A1 Acqua - Gestione Acqua Rifugi

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A1 Acqua - Gestione Acqua Rifugi
BOZZA DI LINEE GUIDA
per la realizzazione di un manuale di buona prassi igienica nelle preparazioni alimentari
per strutture ricettive in quota (Malghe, Rifugi, Agriturismi) secondo il metodo HACCP.
Premessa
Il presente documento costituisce una bozza di vademecum pratico per il manuale
che ogni singola struttura che confeziona e somministra alimenti deve redigere e tenere a
disposizione del personale addetto e degli ispettori interni ed esterni.
Le strutture ricettive in quota normalmente hanno un menù fisso composto da
qualche primo, alcuni secondi e talora qualche dolce: pertanto la redazione del manuale
dovrebbe essere abbastanza semplice e veloce seguendo le indicazioni di massima
sottoriportate.
HACCP
Sigla in inglese che, in sostanza, significa:ricordati di controllare i punti critici (per
sviluppo di batteri nocivi alla salute) quando prepari un alimento da somministrare ai
clienti. Come funziona? Semplicemente:
1. scrivendo tutta la procedura (dall’acquisto dei componenti base, alla somministrazione
al cliente) per confezionare un alimento, cioè un piatto del menù;
2. una volta scritte le procedure, bisogna identificare i punti o passaggi della ricetta o
della procedura in cui possono svilupparsi i batteri (punti critici) e scrivere le azioni
correttive per evitare che si sviluppino.
La raccolta dei primi due punti costituisce il manuale di buona pratica alimentare
HACCP.
3. verificare che locali ed attrezzature siano a norma per la sicurezza del lavoro (se ci
sono dipendenti o soci) e per la sicurezza alimentare (DPR 327/82 e D. Lgs. 155/97);
4. preparare tutte le ricette del menù seguendo fedelmente le procedure scritte nel
manuale (HACCP: scrivi quello che fai; fai quello che hai scritto);
5. periodicamente (una volta ogni 15 gg., ogni mese) controllare se effettivamente è stata
seguita la procedura, ev. annotare quando e perché non è stata seguita;
6. tenere conto che i batteri si sviluppano fra i + 5°C e i 65°C. Non muoiono con il freddo,
ma solo con il calore.
ESEMPIO: spezzatino di manzo con polenta: applicando i punti di cui sopra.
acquisto Kg. 5 di carne di manzo già a pezzi presso il macellaio di paese o al
supermercato (punto critico: conservazione nel trasporto)
come ovviare al punto critico: la faccio confezionare sottovuoto con etichetta o la faccio
etichettare e la trasporto in una busto o borsa termica al più presto nel frigo del rifugio;
nel rifugio, con un termometro, controllo che rimanga a temperatura non superiore al
6°C per qualche giorno: altrimenti faccio mettere l a data di acquisto e la congelo fino al
momento dell’uso (punto critico);
una volta tolta dal frigo o dal congelatore non va più rimessa negli stessi e va quindi
utilizzata senza lasciarla fuori a lungo scoperta (punto critico);
per la cottura posso utilizzare una pentola normale o a pressione; comunque una volta
cotto lo spezzatino va servito subito (punto critico) oppure conservato a >65°C o subito
refrigerato.
Cucina, asciugamani, grembiuli, copricapo, pentole, stoviglie e attrezzature vanno
pulite e sanificate dopo ogni uso e comunque almeno una volta al giorno.
Il manuale va datato e firmato da colui che lo ha redatto e dal gestore del Rifugio.
Dr. Domenico Grazioli-Sez. CAI Feltre-Dip. Prev. ULSS n°2 del Veneto
HACCP/acque/doc.
I PROBLEMI IGIENICO-SANITARI E AMBIENTALI DEI
RIFUGI ALPINI
Dr. Domenico Grazioli – Sezione C.A.I. di Feltre BL
Dipartimento di Prevenzione U.L.S.S. n° 2 del Venet o
QUALI SONO?
1. Acqua potabile ……….
2. Scarichi acque usate e residui organici
3. Alimentazione
4. Gestione rifiuti
5. Impianti ed energia
6. Informazione e formazione per proprietari, gestori, ispettori
sezionali e zonali, utenti.
DI CHE TIPO SONO?
A. ASPETTI STRUTTURALI
1. APPROVVIGIONAMENTO IDRICO (quantità, qualità)
2. SCARICHI ACQUE USATE (quantità, qualità)
3. ALIMENTAZIONE (aspetti nutrizionali e igienici)
4. STANDARD RICETTIVITA’ (posti letto/cubatura, servizi/posti letto)
5. GESTIONE RIFIUTI (modalità conferimento)
6. IMPIANTI ED ENERGIA (quantità, qualità)
7. ANTINCENDIO (strutturale/funzionale)
B. ASPETTI GESTIONALI
1. FORMAZIONE E QUALIFICAZIONE PROPRIETARI GESTORI E ISPETTORI
(scolastica?, aggiornamento professionale su temi igienico-sanitari, ambienti,
alimentari, P.S. e soccorso in montagna)
2. RIFUGIO COME STRUTTURA POLIVALENTE (sportiva, culturale, scientifica)
Esaminiamo questi aspetti strutturali/gestionali sotto il profilo normativo in sintesi.
A. ASPETTI STRUTTURALI
1. Acqua potabile: DPR 24/05/88 n° 236, DMS 26/03/91, D. Lgs. 11/05/99 n° 152 e
s.m.e., D. Lgs 02/02/01 n° 31 e s.m.e.
2. Scarichi acque usate: devono essere adeguati alla normativa applicabile. (D. Lgs.
11/05/99 n° 152 e s.m.i. per recepimento direttiva 91/271/CEE e 91/676/CEE. Varie
soluzioni tecnologiche (vasca IMHOFF, ossidazione biologica, fitodepurazione,
grigliatura a coclea con dispersione….) con vantaggi e …..svantaggi!
3. Alimentazione: deve essere adeguata alla normativa vigente (l. 30/04/1962 n° 283
DPR 26/03/1980 n° 327, D. Lgs. 26/05/1997 n° 155 – HACCP). Il problema è coniugare
gli aspetti nutrizionali e di genuinità e gestione rifiuti con la normativa igienica, (es.
prodotti monodose, le uova, etc.)
4. Standard ricettività: grande affollamento in periodi ristretti rendono difficile
applicare criteri igienici (cubo d’aria/persona o standard “alberghieri” per i servizi
igienici/posti letto o coperti) di solito codificati da normativa Regionale.
5. Gestione rifiuti: deve essere adeguata alla normativa, pertanto lo stoccaggio
(discarica) e l’incenerimento non autorizzati sono proibiti! La quantità dipende
soprattutto dagli imballaggi! Raccolta differenziata/non differenziata.
6. Impianti ed energia: serve energia, in particolare per illuminazione, U.V.,
lavastoviglie, lavatrici, etc.). Gli impianti devono essere adeguati al tipo e potenza
energetica impiegata.
Generatori diesel molto efficienti ma molto inquinanti: rumore e inquinamento
atmosferico.
Centraline idroelettriche: ci vuole un flusso d’acqua costante ed un buon rapporto
salto/quantità.
Pannelli fotovoltaici ecologici ma spesso inadeguati ed esposti a vandalismi.
7. Antincendio: difficile attuare parte strutturale (scale a norma, vie di fuga, etc.)
2
Vediamoli adesso analiticamente.
1. L’acqua potabile
Sicuramente cosa si mangia e si beve nelle zone montane è determinato da una
serie di fattori geografici, economici e culturali e quindi diverso da zona a zona e subisce
delle evoluzioni nel tempo.
Tuttavia un alimento particolare, l’acqua ad uso potabile, presenta analoghe caratteristiche
di qualità ed analoghi problemi sulle Alpi come sui Pirenei, le Ande o l’Hymalaia. Le acque
della montagna evidenziano normalmente parametri chimici qualitativi rientranti nella
normativa Europea: sono in genere acque leggere, con basso residuo secco, poco sodio,
bassi nitrati, assenza di metalli pesanti, pesticidi o altri composti organici nocivi. Solo
eccezionalmente si verificano inquinamenti chimici, quasi sempre per casi fortuiti: per
esempio spandimento di gasolio o utilizzo di diserbanti nell’area di rispetto della sorgente.
Altre rare situazioni di scartamento dei parametri fisico-chimici possono dipendere da
cause geologiche naturali: sorgenti da rocce o suoli radioattivi o ricchi di ammoniaca o
arsenico. Ma si tratta di eccezioni. Invece comincia a farsi strada il dubbio che l’acqua in
montagna sia sempre pura, cristallina ed abbondante: anzi possa avere, più spesso e
volentieri di quel che si pensi, dei problemi rilevati dalle tecnologie di analisi microbiologica
utilizzate ormai da anni.
Cominciamo parlando brevemente del problema “quantità” che sembra irrilevante nelle
zone montane ed invece vuoi per substrati idrogeologici “colabrodo” come quelli carsici, in
cui la pioggia sprofonda subito, vuoi per la frammentazione degli acquedotti legata allo
sparpagliamento degli insediamenti nel territorio, vuoi per la perdita delle reti idriche
dovute spesso a franamenti del terreno, dopo un breve periodo di siccità in concomitanza
di “alta stagione” c’è subito penuria d’acqua. Purtroppo il problema “quantità” è spesso
correlato in maniera negativa al problema qualità microbiologica ed un esempio in tal
senso lo abbiamo nell’altopiano di Asiago, ma anche nel contiguo Massiccio del Grappa,
nel Feltrino, nella Lessinia, nel Friuli, cioè nelle zone a substrato geologico calcareo
caratterizzate da estese formazioni carsiche di notevole potenza dove le precipitazioni
atmosferiche combinandosi con i gas dell’atmosfera come l’anidride carbonica,
determinano una debole soluzione di acido carbonico in grado di sciogliere il carbonato di
calcio delle rocce, trasformandolo in carbonato insolubile. Tutto ciò, in tempi geologici,
determina la formazione di doline, colatoi, abissi, grotte di ampiezza e profondità variabile
fino a dimensioni impressionanti come le grotte di Postumia o l'abisso dei Piani Eterni di
Erera (BL) -960m.
In questo sistema la circolazione delle acque di origine meteorica assume carattere
torrentizio, per cui in brevissimo tempo (24 – 48 – 72 h.), l’acqua di pioggia attraversa
l’acquifero carsico e risorge a valle, come è stato calcolato per la sorgente delle grotte di
Oliero ove prende origine il più importante acquedotto dell’altopiano di Asiago.
Sono pertanto sorgenti con portata molto discontinua specie nei mesi estivi, con
temperature variabili, ricche di sali disciolti (acque dure), portatrici di elementi presenti nel
terreno superficiale dilavato (limo, polvere, flora microbica) per cui, specie in occasione di
abbondanti precipitazioni, avremo acque torbide, con presenza di germi del terreno come
coliformi totali o di origine fecale come streptococchi fecali, coliformi fecali, clostridi.
L’acquifero calcareo è dunque un sistema molto delicato e fragile se rapportato alle
problematiche di inquinamento batteriologico e chimico.
3
Alcuni aspetti tecnico-scientifici della normativa
Fra tante cose che si possono dire sull’attuale normativa, preme sottolineare alcuni
aspetti che si ritengono più interessanti per la zona montana.
In primo luogo l’importanza delle aree di salvaguardia delle risorse idriche
L’estensione e la distanza dalle opere di presa e di accumulo sono determinate dalla
legge, per prevenire l’inquinamento della risorsa idrica.
Naturalmente, nelle zone montane, l’area di salvaguardia difficilmente potrà avere
una forma di circonferenza, in quanto le sorgenti sono in genere poste in pendenza, per
cui risulta inutile salvaguardare le aree a valle mentre può essere importante estendere
l’area verso monte. In secondo luogo si evidenzia che per i parametri chimici, la cui
tossicità dipende direttamente e linearmente dalla quantità presente nell’acqua, è prevista
non solo la possibilità di deroga (art. 17 e 18 D.P.R. 236/88) della concentrazione
massima ammissibile (per es. per il piombo, cromo, pesticidi, ecc.) ma anche il
finanziamento statale per il risanamento dell’acquedotto; per contro, per i parametri
microbiologici, i limiti sono invalicabili e “in nessun caso” derogabili. In terzo luogo che i
parametri microbiologici comprendono tutti la ricerca dei batteri non patogeni per l’uomo,
vale a dire microrganismi puramente indicatori di inquinamento fecale (umano o animale)
dell’acqua. Si tratta cioè di segnali indiretti di una possibile potenziale presenza di
eventuali microrganismi patogeni nell’acqua. In particolare, fra questi batteri indicatori, non
patogeni si ripete, si annoverano i così detti “Coli totali” che sono batteri saprofiti cioè
presenti naturalmente in gran numero nel terreno oltre che nelle feci animali e umane e nel
latte vaccino.
Tale normativa, evidentemente, favorisce la pianura, in cui prevale l’inquinamento
chimico, rispetto alla montagna in cui prevale quello microbiologico.
L’acqua nelle malghe, i rifugi, gli agriturismi
La tecnologia di potabilizzazione con U.V. ha avuto un grosso sviluppo in questi anni e
viene sempre più spesso adottata dai gestori di acquedotti pubblici e privati per la
semplicità di installazione e funzionamento, per la scarsa necessità di manutenzione, per i
costi contenuti, per l’inalterabilità dei parametri organolettici ma soprattutto per l’efficacia
verificata sia in grossi acquedotti sia in impianti domestici e specialmente in malghe e
rifugi alpini e agriturismi.
Queste strutture ricettive in un’indagine sistematica di alcuni anni fa, non solo nella nostra
zona, ma anche proprio qui ad Asiago, hanno rivelato problematiche di qualità dell’acqua,
dovendo spesso avvalersi di acqua piovana o di scioglimento della neve per la carenza di
sorgenti. Come si vede dalle seguenti tabelle (tab. 4 e 5), ciò comporta non solo
inquinamento di tipo microbiologico ma spesso anche di tipo chimico. Questo fatto ci ha
indotto a proporre un semplice sistema idraulico di prima depurazione delle acque piovane
(fig. 1).
Per concludere alcune indiscrezioni e suggerimenti per il trekking e le spedizioni: di fronte
a una risorsa idrica ricordare il rischio microbiologico in scala crescente:
sorgente d’alta quota: rischio basso
fontana acquedottistica: rischio basso
acqua di neve o ghiacciaio: “
“
4
sorgente o fontana senza insediamenti umani (abitazioni): rischio medio
o animali (stalle, malghe) a monte:
“
“
sorgente o fontana con insediamenti umani o animali a monte: rischio elevato
acqua superficiale corrente, acqua piovana di cisterna: rischio elevato
acqua superficiale corrente a valle di abitati o acque ferme (laghi, bacini): rischio molto
elevato.
In questi casi, la disinfezione più semplice e sicura è l’uso di prodotti a base di cloro.
Per semplicità di utilizzo uno dei più pratici, anche se relativamente costoso è l’Amuchina.
Se è possibile utilizzare energia elettrica è possibile potabilizzare grandi quantità di acqua
con i raggi U.V. Entrambi i metodi hanno vantaggi e svantaggi. Per maggior tranquillità, in
situazioni a medio o alto rischio è bene associare un metodo fisico e uno chimico. Per
esempio: filtrazione + clorazione; oppure decantazione + clorazione, oppure U.V. e
clorazione.
2.Scarichi di acque usate e residui organici
Il secondo anello del ciclo dell’acqua, comprende gli scarichi di acque usate e i residui
organici umani (urine e feci)
Oltre all’aspetto estetico ed ambientale, questi prodotti la cui entità è direttamente
proporzionale al carico antropico nell’unità di tempo, pongono problemi igienici e di
eventuale diffusione di malattie infettive a trasmissione feco-orale protozoarie, e
batteriche. Le soluzioni compatibili con la normativa sono molto varie: importante è
studiare a priori il rapporto costo/benefici di volta in volta.
3. Alimentazione
Consigli ed indicazioni sull’aspetto nutrizionale ed igienici se ne trovano ovunque. Mi
preme qui evidenziare che in qualunque parte del mondo la cucina espressa è la più
sicura. Si può mangiare tranquillamente quello che si vuole, purchè sia stato appena tolto
da fuoco! Per i gestori vedi il contributo per la redazione manuale HACCP.
4. Gestione rifiuti
E’ un problema strettamente collegato all’alimentazione in quanto, per sicurezza
igienica, va di moda il monouso per gli alimenti, le confezioni, le stoviglie, etc. Aumenta
quindi la quantità di rifiuti o di problemi ambientali, specie per la componente in plastica.
Qui le indicazioni sintetiche: utilizzate scatolame e bottigliame per più persone, non
individuali. Carta e legno si possono bruciare, la plastica no. Per i rifiuti organici, residui
vegetali… comportarsi come nel punto scarichi: buco e nella terra o coprire di pietre. Per
tutto il resto raccolta differenziata (lattine Al, bottiglie plastica, bottiglie vetro, metalli vari)
da portare a valle.
5. Impianti ed energia
Ormai è difficile passare anche solo un giorno senza energia elettrica! Ma per produrla ci
vogliono impianti come i generatori diesel che sicuramente sono i più affidabili, ma i
peggiori in senso ambientale per rumore e inquinamento atmosferico. Per le centrali
elettriche ci vuole un flusso d’acqua abbastanza costante ed un buon rapporto
salto/quantità. I pannelli fotovoltaici sono spesso inadeguati alla potenza richiesta ed
esposti a vandalismi.
5
6. Informazione e formazione partecipanti, accompagnatori e medici
E’ la parte più trascurata finora! Sarebbe invece importante programmarla durante l’anno
(per gestori, proprietari e ispettori) come gli incontri organizzati dalla Commissione
Centrale Rifugi per arrivare ad una scuola centrale permanente di rifugismo.
BIBLIOGRAFIA
1. J. Chin-Manuale per il controllo delle malattie trasmissibili 17° Dea ed. Setteville di
Guidonia (Roma) 2000
2. D. Grazioli Problemi igienico-sanitari nelle malghe della Comunità Montana FeltrinoULSS n° 4 del Veneto Tecnica Sanitaria 1990
3. D. Grazioli - La situazione igienico-sanitaria delle malghe della
Comunità Montana
Feltrina – ULSS n° 4 Riv. It. Med. Comunità 1991
4. F. De Cet-D. Grazioli-F. Pierobon-R. Burigo Approccio multidisciplinare ai problemi
igienico-sanitari delle acque di cisterna delle malghe della Comunità Montana Feltrino
L’Igiene moderna 1992
5. D. Grazioli-P. Curto-D. Antoniol-E. Pagani-M. Rech- P. De Paris
La vigilanza per l’igiene degli alimenti : Atti 23° Conv. Naz.
Ambiente e risorse Bressanone
Arti Grafiche – Limena (PD) 1995
6. D. Grazioli
I problemi igienico-sanitari dei rifugi – 1996 Le Dolomiti
Bellunesi
7. D. Grazioli
La potabilità dell’acqua ad uso dell’alpinista
Le Dolomiti Bellunesi-1997
8. D. Grazioli
Corso di ecologia umana e ambientale con riferimenti al Bellunese e al
Feltrino.Tipografia DBS – Rasai di Seren del Grappa - 1997
9. D. Grazioli
Qualità dell’acqua ipogea Atti 3° Co nvegno Naz. Protezione e
gestione Acque sotterranee – 1999. Parma 13-15/10/1999.
10. D. Grazioli et al. Le sorgenti Lasen Alta e Bassa: risultati di due anni di monitoraggio di
un modello interpretativo e revisionale.
Atti 3° Convegno Naz. Protez. e gest. Acque sotterr anee –
1999. Parma 13-15/10/1999.
6
APPROVVIGIONAMENTO IDRICO CON ACQUE PIOVANE
Domenico Grazioli – Sez. CAI Feltre – Dipartimento di Prevenzione ULSS n°2
Per sfortunata coincidenza sembra appurato che alla quantità di acqua disponibile
ad uso umano si associ in maniera inversa la qualità della stessa, nel senso che, dove ce
n’è poca, di solito è di pessima qualità.
Questa legge di carattere generale sembra applicabile anche alla risorse idriche dei
rifugi alpini, cui si associa la problematica dell’aumentata richiesta dovuta spesso,
paradossalmente, a esigenze igienico-sanitarie (aumento dei servizi igienici disponibili,
utilizzo di lavastoviglie e lavabiancheria, produzione energia elettrica, etc.).
Queste situazioni di difficoltà, per la scarsità della risorsa idrica, si ritrovano spesso
in rifugi a quote molto elevate a causa del gelo e nelle zone carsiche in cui ogni goccia di
pioggia si infiltra nel terreno per risorgere eventualmente a valle. In questi casi l’unica
alternativa al trasporto da valle consiste nell’utilizzo di acque piovane o acqua di
scioglimento della neve, in genere da superfici artificiali come la copertura del rifugio o di
altri edifici.
L’esperienza e l’analisi chimico e microbiologica hanno dimostrato che queste
acque hanno caratteristiche qualitative scadenti, sia dal punto di vista microbiologico che
fisico e chimico. La copertura degli edifici, le grondaie, le canalizzazioni ed i pozzetti
contengono infatti sostanze organiche di origine vegetale ed animale che consentono la
proliferazione di batteri. Le piogge e le nevi contengono spesso contaminanti fisici e
chimici del fall out atmosferico: ricordiamo la ricaduta di Chernobyl, le piogge acide etc.,
inoltre a contatto con le superfici di raccolta e trasporto (coperture e condottazione) ne
raccolgono i contaminanti (es. residui organici vegetali e animali come ammoniaca o
nitrati) e possono solubilizzare componenti di queste superfici es. zinco, Cd, Cr, Fe da
lamiere zincate o rame.
Pertanto le analisi rivelano spesso un inquinamento chimico oltre che
microbiologico di difficile c. Infatti gli impianti di potabilizzazione per inquinamento chimico
sono di solito complessi, di non facile gestione e molto costosi sia come impianto che
come utilizzo.
Nel passato ci si giovava di soluzioni empiriche tipo filtri a sassi, sabbia e poi di
carbone vegetale nei pozzetti a monte delle cisterne, ma ciò comportava un accumulo di
sostanza organica con proliferazione batterica. Tuttavia l’intuizione di cercare di prevenire
l’ingresso di inquinanti nelle cisterne, anziché tentare la potabilizzazione, poi ci ha dato lo
spunto per elaborare un modello, illustrato nel disegno seguente.
Come si vede la pioggia o la neve cadono su una superficie qualitativamente
idonea per il contatto con alimenti, vengono raccolte in canalizzazioni pure in materiale
idoneo (per es. non di rame) e sono condottate ad un pozzetto di eliminazione acque di
prima pioggia dimensionato in base alla superficie del tetto tramite l’equazione:
m 0,005 x mq superficie del tetto = mc pozzetto.
In tal modo la pioggia che cade nei primi quindici minuti lava il tetto e viene
convogliata nel pozzetto finchè il galleggiante non ne blocca l’accesso, convogliando la
seconda pioggia, più pulita, in cisterna.
Dopo il temporale il pozzetto va scaricato eliminando l’inquinamento chimico e
microbiologico più grossolano. L’acqua della cisterna va all’utilizzo previo trattamento
battericida con U.V.
Approv.idr.acquepiov.doc
IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE DEI RIFUGI
(ing. Paolo Nardelli - Provincia Autonoma di Trento
Servizio Opere Igienico-Sanitarie)
1. INTRODUZIONE
Il dibattito sulla “sostenibilità” delle strutture turistiche in quota dura da anni.
Nell’ultimo mezzo secolo, infatti, la montagna - specialmente in Europa - ha conosciuto uno
straordinario sviluppo degli sport invernali, ma anche del trekking di comitive organizzate dalle
varie sezioni dei clubs alpini, o, specie dal 1970, di un preponderante turismo per piccoli gruppi.
Le esigenze via via crescenti di questo vero e proprio esercito di estimatori della montagna ha
determinato, come è naturale, un notevole consumo di risorse, concentrando nei rifugi le criticità
più evidenti: fabbisogno di energia e di acqua potabile, scarico di rifiuti e di sostanze inquinanti
nell’ambiente. Per quel che concerne più in particolare le acque reflue, la loro depurazione è un
tema largamente trattato, al momento attuale, da parte delle autorità preposte alla salvaguardia
dell’ambiente nelle regioni alpine d’Europa. “In generale si nota che le normative dei vari Paesi
sono piuttosto discordanti sull’argomento - riconosce la relazione di accompagnamento alla
pianificazione della Provincia di Trento - anche se i limiti imposti a questi tipi di scarichi
appaiono di regola meno restrittivi di quelli applicati alle agglomerazioni di fondovalle, avuto
riguardo alle obiettive difficoltà di depurare i reflui nelle condizioni molto severe di temperatura
e pressione connesse con la quota, oltre che all’onerosità dell’approvvigionamento d’energia e
dello svolgimento delle operazioni manutentive.
Anche la direttiva 271/91/CEE si limita ad indicare, per gli scarichi in acque dolci di agglomerati
con meno di 2000 abitanti equivalenti (AE), un “trattamento appropriato” così definito: “Il
trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo e/o un sistema di smaltimento che
dopo lo scarico garantisca la conformità delle acque recipienti ai relativi obiettivi di qualità e alle
relative disposizioni della presente direttiva e di altre direttive comunitarie pertinenti”. Si
riconosce sostanzialmente un limite economico al trattamento biologico secondario, come
definito dalla medesima direttiva sulla soglia dei 2000 AE, a meno che non si verifichino speciali
condizioni ambientali.
A ciò s’aggiunga che, a mente del paragrafo 2 dell’art. 4 della menzionata direttiva comunitaria,
“gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in regioni d’alta montagna (al di sopra dei
1500 m. sul livello del mare), dove, a causa delle basse temperature, è difficile effettuare un
trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello
previsto al paragrafo 1, purchè studi dettagliati comprovino che essi non avranno ripercussioni
negative sull’ambiente”.
Nell’aprile 1995 si è svolto sull’argomento un simposio a Innsbruck-Igls tra specialisti convenuti
da tutta Europa, con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione attuale, anche nell’ottica di
promuovere un regolamento comune sulla depurazione degli scarichi delle installazioni turistiche
in quota. Nell’ambito del convegno si sono evidenziate due linee di tendenza, ambedue
scaturenti dal concetto centrale di “sviluppo sostenibile”, considerato però sotto due punti di
vista sostanzialmente antitetici.
1
La linea suggerita dai responsabili del Club Alpino svizzero propone un arresto dello sviluppo
delle strutture turistiche in quota (soprattutto rifugi) e un progressivo ritorno a condizioni
“pionieristiche” del turismo in montagna.
Di converso, la linea percorsa dai responsabili del Club Alpino tedesco, proprietario di un gran
numero di rifugi sulle Alpi, non solo germaniche, propone di dotare le strutture del massimo
comfort concretamente ottenibile, limitandone però nel contempo l’impatto sull’ambiente.
La linea svizzera tende quindi sostanzialmente al risparmio, mentre la proposta tedesca tende al
massimo sviluppo compatibile con le risorse disponibili.
Tutti i convenuti hanno auspicato ulteriori incontri per redigere un regolamento comune che
possa adattarsi alle situazioni medie delle zone di montagna europee senza determinare forti
aggravi di spesa per i soggetti interessati.
Un precedente Convegno internazionale su “Il disinquinamento negli ambienti di alta
montagna”, organizzato dal Dipartimento Ecologico della Provincia di Trento a Riva del Garda
nel mese di giugno 1983, evidenziava la carenza su scala nazionale dei servizi di igiene
ambientale a presidio dei rifugi alpini, prospettando la necessità di interventi con soluzioni che
devono essere semplici e funzionali.
Il trattamento delle acque di scarico nelle zone turistiche di montagna è stato inoltre oggetto di
un seminario internazionale – svoltosi a Lione il 19-23 novembre 1990, su promozione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del CEMAGREF – al quale ha partecipato la
Provincia di Trento in rappresentanza dell’Italia” 1)
2. CARATTERIZZAZIONE DEI REFLUI
La Provincia di Trento ha effettuato una campagna sperimentale dal 1991 presso il Rifugio Boè
(Dolomiti, gruppo del Sella, 80 posti letto, 2873 metri di quota) con lo scopo di definire le
caratteristiche degli scarichi di un rifugio-tipo e di valutare le performances di un sistema
depurativo che potesse costituire uno standard per strutture simili. I dati elaborati in varie
stagioni di studio sono stati raccolti e presentati in lavori sintetici ai quali si rimanda per
maggiori dettagli. 2), 3), 4)
Dalle campagne di misura emerge generalmente una buona corrispondenza dell’”abitante
equivalente” (AE) organico con la produzione giornaliera media di 120 g di COD (valutato sul
personale del rifugio, sempre presente nella struttura): ad es., in 2) si ha: 111,9 ÷ 123,2 g
COD/AE giorno.
Per l’azoto ammoniacale il carico specifico risulta più alto di quello medio normalmente
registrato nei depuratori di fondovalle (18,1 ÷ 19,9 g/AE giorno 2) nel rifugio contro 12-15 g/AE
giorno in fondovalle).
Il carico idraulico medio specifico è invece molto limitato, come è ovvio, in considerazione della
maggiore difficoltà di approvvigionamento: nella relazione 2) si riporta il dato medio di 137,7
L/AE giorno, che deriva dal rapporto tra l’acqua complessivamente scaricata ed il numero totale
di abitanti equivalenti valutati in termini di COD; nella relazione 3) si osserva una fluttuazione di
tale rapporto su valori spesso ancora minori, compresi tra 80 e 140 L/AE giorno. Di certo, risulta
che presso il rifugio Boè il volume complessivo d’acqua scaricata non ha mai superato i 12
m3/giorno 4), mentre gli abitanti equivalenti organici hanno più volte raggiunto le 125 unità 3).
Gli scarichi dei rifugi contengono una notevole quantità di solidi che possono essere rimossi
semplicemente con una grigliatura fine (diametro fori ≤ 3 mm): al Boè la quantità stagionale
rimossa è stata valutata in 662 kg.3).
Significativo è anche il volume di olii e grassi separati dai disoleatori: sempre al rifugio Boè, in
una stagione, ben 300 litri 3).
2
3. REGOLAMENTAZIONE DEGLI SCARICHI
Di fronte a tali carichi, che possono rappresentare localmente rilevanti “aggressioni”
all’ambiente, in Provincia di Trento si è ritenuto di procedere ad una regolamentazione che si
ispira al principio di “sostenibilità”, interpretato dall’orientamento uscito con maggiori consensi
dal convegno di Innsbruck-Igls del 1995. Secondo tale orientamento, va innanzitutto eliminato
dagli scarichi il contenuto di solidi con dimensione lineare > 3 mm., a mezzo di una grigliatura
fine. Va inoltre rimosso il contenuto di olii e grassi per mezzo di idonei disoleatori inseriti sugli
scarichi delle cucine.
Se l’entità del rifugio è rilevante (indicativamente: più di 70 posti letto e più di 5.000 pasti
giornalieri nella stagione estiva, valutata in 100 giorni), oppure se lo scarico avviene in zone
particolarmente sensibili sotto il profilo igienico-sanitario, è necessario limitare anche il carico
organico, espresso come COD, nella misura minima del 70% (inserendo, se del caso, una fase di
debatterizzazione finale sull’effluente). Si parla, in questa evenienza, di “trattamento completo”.
Non si è ritenuto di porre limiti specifici per la trasformazione dell’azoto ammoniacale, perché
realisticamente utopico nelle condizioni severe di esercizio dei depuratori in alta montagna.
E così non si è posto l’obiettivo dell’abbattimento del fosforo, perché si introdurrebbe la
necessità di utilizzare coadiuvanti chimici contro il dichiarato intento di semplificare il processo.
Per rifugi ed altre strutture razionalmente e facilmente collegabili senza provocare impatti
insostenibili sull’ambiente va preferito il collegamento con il fondovalle a mezzo di idonea
tubazione.
4. ANALISI CRITICA DEGLI SCHEMI IMPIANTISTICI USUALI
4.1. La grigliatura fine e la disoleatura sono trattamenti raccomandabili in tutti i casi.
Per quanto attiene al c.d. “trattamento completo” si osserva che impianti di lagunaggio e di
fitodepurazione non raggiungono generalmente i limiti regolamentari (abbattimento minimo
del 70% del COD). Possono essere quindi utilizzati come fasi di finissaggio in situazioni
favorevoli (rifugi a quota medio bassa, in ambienti con ampia copertura vegetativa, e
temperature non particolarmente rigide). Il rendimento è praticamente nullo durante la stagione
invernale. Non esistono schemi impiantistici standard: il progetto va adattato di volta in volta
alla natura del luogo.
4.2. Impianti a fanghi attivi in continuo
Si sono dimostrati in grado di raggiungere con facilità le prestazioni richieste (vedere ad es.
l’esperienza al rifugio Vioz, m. 3535 di quota) 5). L’innesco del reattore è rapido, se si immette
biomassa prelevata da un analogo impianto del fondovalle (tempo di innesco: 48 ore).
L’impianto è compatto (2,17 m3/kg COD abb giorno). Il processo impiega però più energia (al
rifugio Vioz circa 8 kWh/kg COD rimosso) e va gestito con più difficoltà rispetto ai reattori a
biofilm.
3
Aria diretta alla
deodorizzazione
Aspirazione aria
Aspirazione aria
Primo
stadio
biologico
Air-lift
Materiale grigliato
ai sacchi filtranti
uscita
Piano
terreno
mixer
entrata
Secondo stadio
biologico
Pompa di carico
Fango di supero
Pompa trituratrice
Schema dell'impianto di depurazione presso il rifugio Mantova al Vioz
4.3. Impianti a fanghi attivi in batch (SBR)
Hanno i pregi degli impianti a fanghi attivi in continuo e sono più compatti (meno di 2
3
m /kg COD abb x giorno). La gestione va seguita con attenzione. L’impegno energetico è
analogo agli impianti in continuo.2)
ALIMENTAZIONE
FASE
ANOSSICA
eventuale
FASE
AEROBICA
STADI DI UN
SISTEMA SBR
ATTESA
SCARICO
SEDIMENTAZIONE
4.4. Impianti chimico-fisici
Non raggiungono, in condizioni ordinarie, il 70% di abbattimento del COD se non con
consumi elevati di prodotti chimici, e quindi con notevole produzione di fanghi di risulta. La
gestione è di conseguenza più onerosa. Anche i costi di installazione sono maggiori.
4.5. Impianti a biofilm
Sono caratterizzati da consumi energetici minori a parità di prestazione. L’innesco però è
meno rapido rispetto agli impianti a fanghi attivi.
Si distinguono sostanzialmente tre schemi:
4
4.5.1. Letti percolatori naturali
Raggiungono con difficoltà i limiti richiesti, se non sono dotati di ricircolo. Occupano
parecchio volume a parità di prestazione con gli impianti a fanghi attivi (circa 14 m3/kg COD
abb x giorno al Rif. Sesvenna)6). Il tempo di innesco è - come detto - maggiore (15-20 gg.).
L’energia consumata è però minore (2,3 kWh/kg COD abb nella versione con ricircolo).
La gestione non è complicata, se non l’allontanamento dei fanghi residui. Possono dare
inconvenienti con il freddo.
Ricircolo (eventuale)
Letto
percolatore
Sedimentatore
Ingresso
Uscita
Fango di supero
Impianti a biodischi (RBC) 6)
Raggiungono con facilità i limiti richiesti (vedere ad es. l’esperienza al Rifugio Lancia)
L’innesco richiede 10-15 giorni.
Sono compatti (1,5 m3/kg COD abb x giorno) ed il consumo energetico è simile a quello
dei letti percolatori naturali quando questi sono dotati di ricircolo.
Le operazioni di gestione sono abbastanza semplici.
4.5.2.
Ricircolo (eventuale)
Biodisco
Sedimentatore
Ingresso
Uscita
Fango di supero
5
4.5.3.
Reattori a letto fisso sommerso
Raggiungono con facilità i limiti richiesti (vedere l’esperienza al Rif. Boè). L’innesco
naturale richiede 10-15 giorni. Nel caso del Rifugio Boè un modulo del reattore è innescato in
valle e trasportato poi sul posto con elicottero: così l’attivazione può avvenire nelle 24-48 ore.
Sono molto compatti (circa 1 m3/kg COD abb. x giorno). Il consumo energetico è superiore a
quello dei biodischi (4,53 kWh/kg COD abb).2,3)
Le operazioni di gestione sono abbastanza semplici.
Reattore a letto fisso
Sedimentatore
Uscita
Ingresso
Fango di supero
Aria
Uno stadio dell'impianto di depurazione presso il Rifugio Boè
Reattori a letto mobile (MBBR) 2)
Raggiungono abbastanza facilmente il limite richiesto per l’abbattimento del COD, ma
difficilmente quello per i solidi sospesi (50 mg/L, se presente la fase di debatterizzazione).
Il fatto è dovuto sostanzialmente alla struttura della pellicola che, in realtà, è piuttosto
filamentosa e quindi, quando si distacca dai supporti, sedimenta con difficoltà.
Per il resto, le prestazioni sono simili a quelle dei letti percolatori sommersi.
4.5.4.
Reattore a letto
mobile
Sedimentatore
Ingresso
Uscita
Fango di supero
Aria
Uno stadio dell'impianto di depurazione presso il Rifugio Boè
6
4.6. Nella tabella di sintesi seguente sono riassunte le principali caratteristiche dei vari schemi a
confronto, come risultano dalle esperienze eseguite:
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEGLI SCHEMI DI TRATTAMENTO VERIFICATI
Consumo energetico specifico Volume specifico del reattore
(kWh/kg COD rimosso)
(m3/kg COD rimosso x
giorno)
Superficie
specifica
dell’impianto
(m2/kg COD
rimosso x giorno)
valori medi
rilevati
valore
normalizzato °)
valori medi
rilevati
valore
normalizzato °)
valore
normalizzato °)
Impianti a fanghi attivi
6-8
7,89
1,7-2,3
2,17
7,76
Letti percolatori naturali
1,8-2,4
2,30
13-17,5
13,84
7,88 *)
Impianti a biodischi
2,0-3,75
2,89
0,80-2,1
1,49
4,36
3,5-6,5
4,53
0,75-1,4
0,99
2,63
Impianti a letto fisso
sommerso e a letto
mobile (MBBR)
*) Nota: Somma delle superfici nette dei comparti interrati
°) Valore normalizzato = valore calcolato in rapporto alle caratteristiche medie dei reflui del rifugio Boè, in modo da
consentire un confronto tra le varie tecnologie.
5. COLLAUDO DEGLI IMPIANTI E GESTIONE
Il regolamento prevede che il collaudo avvenga entro trenta giorni dall’entrata in funzione
dell’impianto.
Nel caso del c.d. “trattamento completo” il gestore deve installare due campionatori automatici, uno
prima e uno dopo il reattore, per almeno ventiquattro ore, al fine di ottenere i campioni medi
richiesti per le analisi e verificare la corrispondenza con i limiti prescritti. I campionatori automatici
possono essere messi a disposizione a titolo gratuito dall’Amministrazione provinciale, su richiesta.
L’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente esegue gratuitamente le analisi di collaudo.
Dopo il collaudo, il regolamento attuale stabilisce che il reattore secondario debba entrare a
regime entro 10 giorni dalla data di apertura stagionale del rifugio e che il gestore esegua autonomi
controlli con cadenza stagionale, prelevando un campione istantaneo dal comparto di accumulo e
omogeneizzazione che sia significativo dell’ingresso, e un campione istantaneo allo scarico,
procedendo all’analisi ed annotando i risultati su un apposito registro, chiamato “registro
dell’impianto”.
7
Sul registro dell’impianto, che va custodito presso il depuratore, devono essere annotati
anche gli interventi di manutenzione ordinaria, gli eventuali interventi di straordinaria
manutenzione ed i guasti ed anomalie che si sono eventualmente verificati.
Nel caso di inadempienze da parte del gestore, è previsto che l’Agenzia provinciale per la
protezione dell’ambiente possa applicare una penale di Euro 100,00, che viene introitata nel
bilancio provinciale.
Per i sistemi con sola grigliatura o con sola sedimentazione primaria (Imhoff) i tempi del collaudo e
degli autonomi controlli sono analoghi, ma le analisi vanno sempre eseguite su campioni istantanei
dello scarico e i requisiti sono i seguenti:
- grigliatura: assenza di solidi con dimensione lineare > 3 mm;
- sedimentazione primaria: - assenza di solidi con dimensione lineare > 1 cm;
- solidi sedimentabili ≤ 0,5 ml/L.
Per tutti i sistemi di trattamento è prescritto che il materiale grigliato e compattato venga
raccolto dal gestore in idonei sacchi impermeabili e allontanato assieme ai rifiuti solidi.
L’olio e i grassi separati nel disoleatore vanno accumulati in un apposito fusto per oli esausti e sono
conferiti allo smaltimento o al recupero nel rispetto della normativa vigente.
Infine, per i sistemi a “trattamento completo” i fanghi di risulta disidratati derivanti dal reattore
secondario devono essere anch’essi raccolti come i grigliati in sacchi impermeabili e smaltiti
assieme ai rifiuti solidi.
Il regolamento di gestione - in una iniziale stesura in parte diversa da quanto sopra descrittoè stato applicato a far data dal 1998.
Dopo una prima applicazione sperimentale, sono state introdotte le correzioni, richieste dai gestori,
che hanno reso meno rigida la procedura del controllo di gestione, ora qui sintetizzata.
Al momento attuale si sta studiando la possibilità di una gestione centralizzata degli impianti
biologici.
Trento, ottobre 2002
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BIBLIOGRAFIA
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relativo agli scarichi dei rifugi alpini ed escursionistici. Relazione tecnica.
1997.
2.
Damiani, E.: Sperimentazione comparativa di tecnologie innovative per il trattamento dei reflui
di rifugi alpini. Università di Trento. Tesi di laurea, 1999.
3.
Boratti, F.: L’impianto di depurazione del rifugio Boè: verifica dell’andamento nella stagione
estiva 2000. Università di Trento. Relazione finale del tirocinio di
Ingegneria Sanitaria Ambientale, 2000.
4.
Andreottola et al.: Treatment of mountain refuge wastewater by fixed and moving bed biofilm
systems. Università di Trento - Provincia di Trento. Relazione presentata
al congresso I.W.A. 2002 di Instanbul.
5.
Foladori, P.: Esperienza di depurazione con sistema biologico per il trattamento delle acque
reflue del rifugio Mantova sul Monte Vioz. Università di Trento.
Relazione al Simposio. “Abwasserreinigung im Gebirge”. Alpinzentrum
Rudolfshütte, 1999.
6.
Foladori, P.: Esperienza di trattamento delle acque reflue con sistema biologico presso il rifugio
Sesvenna.
Università
di
Trento.
Relazione
al
Simposio
“Abwasserreinigung im Gebirge”.
Alpinzentrum Rudolfshütte, 1999.
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