A1 Acqua - Gestione Acqua Rifugi
Transcript
A1 Acqua - Gestione Acqua Rifugi
BOZZA DI LINEE GUIDA per la realizzazione di un manuale di buona prassi igienica nelle preparazioni alimentari per strutture ricettive in quota (Malghe, Rifugi, Agriturismi) secondo il metodo HACCP. Premessa Il presente documento costituisce una bozza di vademecum pratico per il manuale che ogni singola struttura che confeziona e somministra alimenti deve redigere e tenere a disposizione del personale addetto e degli ispettori interni ed esterni. Le strutture ricettive in quota normalmente hanno un menù fisso composto da qualche primo, alcuni secondi e talora qualche dolce: pertanto la redazione del manuale dovrebbe essere abbastanza semplice e veloce seguendo le indicazioni di massima sottoriportate. HACCP Sigla in inglese che, in sostanza, significa:ricordati di controllare i punti critici (per sviluppo di batteri nocivi alla salute) quando prepari un alimento da somministrare ai clienti. Come funziona? Semplicemente: 1. scrivendo tutta la procedura (dall’acquisto dei componenti base, alla somministrazione al cliente) per confezionare un alimento, cioè un piatto del menù; 2. una volta scritte le procedure, bisogna identificare i punti o passaggi della ricetta o della procedura in cui possono svilupparsi i batteri (punti critici) e scrivere le azioni correttive per evitare che si sviluppino. La raccolta dei primi due punti costituisce il manuale di buona pratica alimentare HACCP. 3. verificare che locali ed attrezzature siano a norma per la sicurezza del lavoro (se ci sono dipendenti o soci) e per la sicurezza alimentare (DPR 327/82 e D. Lgs. 155/97); 4. preparare tutte le ricette del menù seguendo fedelmente le procedure scritte nel manuale (HACCP: scrivi quello che fai; fai quello che hai scritto); 5. periodicamente (una volta ogni 15 gg., ogni mese) controllare se effettivamente è stata seguita la procedura, ev. annotare quando e perché non è stata seguita; 6. tenere conto che i batteri si sviluppano fra i + 5°C e i 65°C. Non muoiono con il freddo, ma solo con il calore. ESEMPIO: spezzatino di manzo con polenta: applicando i punti di cui sopra. acquisto Kg. 5 di carne di manzo già a pezzi presso il macellaio di paese o al supermercato (punto critico: conservazione nel trasporto) come ovviare al punto critico: la faccio confezionare sottovuoto con etichetta o la faccio etichettare e la trasporto in una busto o borsa termica al più presto nel frigo del rifugio; nel rifugio, con un termometro, controllo che rimanga a temperatura non superiore al 6°C per qualche giorno: altrimenti faccio mettere l a data di acquisto e la congelo fino al momento dell’uso (punto critico); una volta tolta dal frigo o dal congelatore non va più rimessa negli stessi e va quindi utilizzata senza lasciarla fuori a lungo scoperta (punto critico); per la cottura posso utilizzare una pentola normale o a pressione; comunque una volta cotto lo spezzatino va servito subito (punto critico) oppure conservato a >65°C o subito refrigerato. Cucina, asciugamani, grembiuli, copricapo, pentole, stoviglie e attrezzature vanno pulite e sanificate dopo ogni uso e comunque almeno una volta al giorno. Il manuale va datato e firmato da colui che lo ha redatto e dal gestore del Rifugio. Dr. Domenico Grazioli-Sez. CAI Feltre-Dip. Prev. ULSS n°2 del Veneto HACCP/acque/doc. I PROBLEMI IGIENICO-SANITARI E AMBIENTALI DEI RIFUGI ALPINI Dr. Domenico Grazioli – Sezione C.A.I. di Feltre BL Dipartimento di Prevenzione U.L.S.S. n° 2 del Venet o QUALI SONO? 1. Acqua potabile ………. 2. Scarichi acque usate e residui organici 3. Alimentazione 4. Gestione rifiuti 5. Impianti ed energia 6. Informazione e formazione per proprietari, gestori, ispettori sezionali e zonali, utenti. DI CHE TIPO SONO? A. ASPETTI STRUTTURALI 1. APPROVVIGIONAMENTO IDRICO (quantità, qualità) 2. SCARICHI ACQUE USATE (quantità, qualità) 3. ALIMENTAZIONE (aspetti nutrizionali e igienici) 4. STANDARD RICETTIVITA’ (posti letto/cubatura, servizi/posti letto) 5. GESTIONE RIFIUTI (modalità conferimento) 6. IMPIANTI ED ENERGIA (quantità, qualità) 7. ANTINCENDIO (strutturale/funzionale) B. ASPETTI GESTIONALI 1. FORMAZIONE E QUALIFICAZIONE PROPRIETARI GESTORI E ISPETTORI (scolastica?, aggiornamento professionale su temi igienico-sanitari, ambienti, alimentari, P.S. e soccorso in montagna) 2. RIFUGIO COME STRUTTURA POLIVALENTE (sportiva, culturale, scientifica) Esaminiamo questi aspetti strutturali/gestionali sotto il profilo normativo in sintesi. A. ASPETTI STRUTTURALI 1. Acqua potabile: DPR 24/05/88 n° 236, DMS 26/03/91, D. Lgs. 11/05/99 n° 152 e s.m.e., D. Lgs 02/02/01 n° 31 e s.m.e. 2. Scarichi acque usate: devono essere adeguati alla normativa applicabile. (D. Lgs. 11/05/99 n° 152 e s.m.i. per recepimento direttiva 91/271/CEE e 91/676/CEE. Varie soluzioni tecnologiche (vasca IMHOFF, ossidazione biologica, fitodepurazione, grigliatura a coclea con dispersione….) con vantaggi e …..svantaggi! 3. Alimentazione: deve essere adeguata alla normativa vigente (l. 30/04/1962 n° 283 DPR 26/03/1980 n° 327, D. Lgs. 26/05/1997 n° 155 – HACCP). Il problema è coniugare gli aspetti nutrizionali e di genuinità e gestione rifiuti con la normativa igienica, (es. prodotti monodose, le uova, etc.) 4. Standard ricettività: grande affollamento in periodi ristretti rendono difficile applicare criteri igienici (cubo d’aria/persona o standard “alberghieri” per i servizi igienici/posti letto o coperti) di solito codificati da normativa Regionale. 5. Gestione rifiuti: deve essere adeguata alla normativa, pertanto lo stoccaggio (discarica) e l’incenerimento non autorizzati sono proibiti! La quantità dipende soprattutto dagli imballaggi! Raccolta differenziata/non differenziata. 6. Impianti ed energia: serve energia, in particolare per illuminazione, U.V., lavastoviglie, lavatrici, etc.). Gli impianti devono essere adeguati al tipo e potenza energetica impiegata. Generatori diesel molto efficienti ma molto inquinanti: rumore e inquinamento atmosferico. Centraline idroelettriche: ci vuole un flusso d’acqua costante ed un buon rapporto salto/quantità. Pannelli fotovoltaici ecologici ma spesso inadeguati ed esposti a vandalismi. 7. Antincendio: difficile attuare parte strutturale (scale a norma, vie di fuga, etc.) 2 Vediamoli adesso analiticamente. 1. L’acqua potabile Sicuramente cosa si mangia e si beve nelle zone montane è determinato da una serie di fattori geografici, economici e culturali e quindi diverso da zona a zona e subisce delle evoluzioni nel tempo. Tuttavia un alimento particolare, l’acqua ad uso potabile, presenta analoghe caratteristiche di qualità ed analoghi problemi sulle Alpi come sui Pirenei, le Ande o l’Hymalaia. Le acque della montagna evidenziano normalmente parametri chimici qualitativi rientranti nella normativa Europea: sono in genere acque leggere, con basso residuo secco, poco sodio, bassi nitrati, assenza di metalli pesanti, pesticidi o altri composti organici nocivi. Solo eccezionalmente si verificano inquinamenti chimici, quasi sempre per casi fortuiti: per esempio spandimento di gasolio o utilizzo di diserbanti nell’area di rispetto della sorgente. Altre rare situazioni di scartamento dei parametri fisico-chimici possono dipendere da cause geologiche naturali: sorgenti da rocce o suoli radioattivi o ricchi di ammoniaca o arsenico. Ma si tratta di eccezioni. Invece comincia a farsi strada il dubbio che l’acqua in montagna sia sempre pura, cristallina ed abbondante: anzi possa avere, più spesso e volentieri di quel che si pensi, dei problemi rilevati dalle tecnologie di analisi microbiologica utilizzate ormai da anni. Cominciamo parlando brevemente del problema “quantità” che sembra irrilevante nelle zone montane ed invece vuoi per substrati idrogeologici “colabrodo” come quelli carsici, in cui la pioggia sprofonda subito, vuoi per la frammentazione degli acquedotti legata allo sparpagliamento degli insediamenti nel territorio, vuoi per la perdita delle reti idriche dovute spesso a franamenti del terreno, dopo un breve periodo di siccità in concomitanza di “alta stagione” c’è subito penuria d’acqua. Purtroppo il problema “quantità” è spesso correlato in maniera negativa al problema qualità microbiologica ed un esempio in tal senso lo abbiamo nell’altopiano di Asiago, ma anche nel contiguo Massiccio del Grappa, nel Feltrino, nella Lessinia, nel Friuli, cioè nelle zone a substrato geologico calcareo caratterizzate da estese formazioni carsiche di notevole potenza dove le precipitazioni atmosferiche combinandosi con i gas dell’atmosfera come l’anidride carbonica, determinano una debole soluzione di acido carbonico in grado di sciogliere il carbonato di calcio delle rocce, trasformandolo in carbonato insolubile. Tutto ciò, in tempi geologici, determina la formazione di doline, colatoi, abissi, grotte di ampiezza e profondità variabile fino a dimensioni impressionanti come le grotte di Postumia o l'abisso dei Piani Eterni di Erera (BL) -960m. In questo sistema la circolazione delle acque di origine meteorica assume carattere torrentizio, per cui in brevissimo tempo (24 – 48 – 72 h.), l’acqua di pioggia attraversa l’acquifero carsico e risorge a valle, come è stato calcolato per la sorgente delle grotte di Oliero ove prende origine il più importante acquedotto dell’altopiano di Asiago. Sono pertanto sorgenti con portata molto discontinua specie nei mesi estivi, con temperature variabili, ricche di sali disciolti (acque dure), portatrici di elementi presenti nel terreno superficiale dilavato (limo, polvere, flora microbica) per cui, specie in occasione di abbondanti precipitazioni, avremo acque torbide, con presenza di germi del terreno come coliformi totali o di origine fecale come streptococchi fecali, coliformi fecali, clostridi. L’acquifero calcareo è dunque un sistema molto delicato e fragile se rapportato alle problematiche di inquinamento batteriologico e chimico. 3 Alcuni aspetti tecnico-scientifici della normativa Fra tante cose che si possono dire sull’attuale normativa, preme sottolineare alcuni aspetti che si ritengono più interessanti per la zona montana. In primo luogo l’importanza delle aree di salvaguardia delle risorse idriche L’estensione e la distanza dalle opere di presa e di accumulo sono determinate dalla legge, per prevenire l’inquinamento della risorsa idrica. Naturalmente, nelle zone montane, l’area di salvaguardia difficilmente potrà avere una forma di circonferenza, in quanto le sorgenti sono in genere poste in pendenza, per cui risulta inutile salvaguardare le aree a valle mentre può essere importante estendere l’area verso monte. In secondo luogo si evidenzia che per i parametri chimici, la cui tossicità dipende direttamente e linearmente dalla quantità presente nell’acqua, è prevista non solo la possibilità di deroga (art. 17 e 18 D.P.R. 236/88) della concentrazione massima ammissibile (per es. per il piombo, cromo, pesticidi, ecc.) ma anche il finanziamento statale per il risanamento dell’acquedotto; per contro, per i parametri microbiologici, i limiti sono invalicabili e “in nessun caso” derogabili. In terzo luogo che i parametri microbiologici comprendono tutti la ricerca dei batteri non patogeni per l’uomo, vale a dire microrganismi puramente indicatori di inquinamento fecale (umano o animale) dell’acqua. Si tratta cioè di segnali indiretti di una possibile potenziale presenza di eventuali microrganismi patogeni nell’acqua. In particolare, fra questi batteri indicatori, non patogeni si ripete, si annoverano i così detti “Coli totali” che sono batteri saprofiti cioè presenti naturalmente in gran numero nel terreno oltre che nelle feci animali e umane e nel latte vaccino. Tale normativa, evidentemente, favorisce la pianura, in cui prevale l’inquinamento chimico, rispetto alla montagna in cui prevale quello microbiologico. L’acqua nelle malghe, i rifugi, gli agriturismi La tecnologia di potabilizzazione con U.V. ha avuto un grosso sviluppo in questi anni e viene sempre più spesso adottata dai gestori di acquedotti pubblici e privati per la semplicità di installazione e funzionamento, per la scarsa necessità di manutenzione, per i costi contenuti, per l’inalterabilità dei parametri organolettici ma soprattutto per l’efficacia verificata sia in grossi acquedotti sia in impianti domestici e specialmente in malghe e rifugi alpini e agriturismi. Queste strutture ricettive in un’indagine sistematica di alcuni anni fa, non solo nella nostra zona, ma anche proprio qui ad Asiago, hanno rivelato problematiche di qualità dell’acqua, dovendo spesso avvalersi di acqua piovana o di scioglimento della neve per la carenza di sorgenti. Come si vede dalle seguenti tabelle (tab. 4 e 5), ciò comporta non solo inquinamento di tipo microbiologico ma spesso anche di tipo chimico. Questo fatto ci ha indotto a proporre un semplice sistema idraulico di prima depurazione delle acque piovane (fig. 1). Per concludere alcune indiscrezioni e suggerimenti per il trekking e le spedizioni: di fronte a una risorsa idrica ricordare il rischio microbiologico in scala crescente: sorgente d’alta quota: rischio basso fontana acquedottistica: rischio basso acqua di neve o ghiacciaio: “ “ 4 sorgente o fontana senza insediamenti umani (abitazioni): rischio medio o animali (stalle, malghe) a monte: “ “ sorgente o fontana con insediamenti umani o animali a monte: rischio elevato acqua superficiale corrente, acqua piovana di cisterna: rischio elevato acqua superficiale corrente a valle di abitati o acque ferme (laghi, bacini): rischio molto elevato. In questi casi, la disinfezione più semplice e sicura è l’uso di prodotti a base di cloro. Per semplicità di utilizzo uno dei più pratici, anche se relativamente costoso è l’Amuchina. Se è possibile utilizzare energia elettrica è possibile potabilizzare grandi quantità di acqua con i raggi U.V. Entrambi i metodi hanno vantaggi e svantaggi. Per maggior tranquillità, in situazioni a medio o alto rischio è bene associare un metodo fisico e uno chimico. Per esempio: filtrazione + clorazione; oppure decantazione + clorazione, oppure U.V. e clorazione. 2.Scarichi di acque usate e residui organici Il secondo anello del ciclo dell’acqua, comprende gli scarichi di acque usate e i residui organici umani (urine e feci) Oltre all’aspetto estetico ed ambientale, questi prodotti la cui entità è direttamente proporzionale al carico antropico nell’unità di tempo, pongono problemi igienici e di eventuale diffusione di malattie infettive a trasmissione feco-orale protozoarie, e batteriche. Le soluzioni compatibili con la normativa sono molto varie: importante è studiare a priori il rapporto costo/benefici di volta in volta. 3. Alimentazione Consigli ed indicazioni sull’aspetto nutrizionale ed igienici se ne trovano ovunque. Mi preme qui evidenziare che in qualunque parte del mondo la cucina espressa è la più sicura. Si può mangiare tranquillamente quello che si vuole, purchè sia stato appena tolto da fuoco! Per i gestori vedi il contributo per la redazione manuale HACCP. 4. Gestione rifiuti E’ un problema strettamente collegato all’alimentazione in quanto, per sicurezza igienica, va di moda il monouso per gli alimenti, le confezioni, le stoviglie, etc. Aumenta quindi la quantità di rifiuti o di problemi ambientali, specie per la componente in plastica. Qui le indicazioni sintetiche: utilizzate scatolame e bottigliame per più persone, non individuali. Carta e legno si possono bruciare, la plastica no. Per i rifiuti organici, residui vegetali… comportarsi come nel punto scarichi: buco e nella terra o coprire di pietre. Per tutto il resto raccolta differenziata (lattine Al, bottiglie plastica, bottiglie vetro, metalli vari) da portare a valle. 5. Impianti ed energia Ormai è difficile passare anche solo un giorno senza energia elettrica! Ma per produrla ci vogliono impianti come i generatori diesel che sicuramente sono i più affidabili, ma i peggiori in senso ambientale per rumore e inquinamento atmosferico. Per le centrali elettriche ci vuole un flusso d’acqua abbastanza costante ed un buon rapporto salto/quantità. I pannelli fotovoltaici sono spesso inadeguati alla potenza richiesta ed esposti a vandalismi. 5 6. Informazione e formazione partecipanti, accompagnatori e medici E’ la parte più trascurata finora! Sarebbe invece importante programmarla durante l’anno (per gestori, proprietari e ispettori) come gli incontri organizzati dalla Commissione Centrale Rifugi per arrivare ad una scuola centrale permanente di rifugismo. BIBLIOGRAFIA 1. J. Chin-Manuale per il controllo delle malattie trasmissibili 17° Dea ed. Setteville di Guidonia (Roma) 2000 2. D. Grazioli Problemi igienico-sanitari nelle malghe della Comunità Montana FeltrinoULSS n° 4 del Veneto Tecnica Sanitaria 1990 3. D. Grazioli - La situazione igienico-sanitaria delle malghe della Comunità Montana Feltrina – ULSS n° 4 Riv. It. Med. Comunità 1991 4. F. De Cet-D. Grazioli-F. Pierobon-R. Burigo Approccio multidisciplinare ai problemi igienico-sanitari delle acque di cisterna delle malghe della Comunità Montana Feltrino L’Igiene moderna 1992 5. D. Grazioli-P. Curto-D. Antoniol-E. Pagani-M. Rech- P. De Paris La vigilanza per l’igiene degli alimenti : Atti 23° Conv. Naz. Ambiente e risorse Bressanone Arti Grafiche – Limena (PD) 1995 6. D. Grazioli I problemi igienico-sanitari dei rifugi – 1996 Le Dolomiti Bellunesi 7. D. Grazioli La potabilità dell’acqua ad uso dell’alpinista Le Dolomiti Bellunesi-1997 8. D. Grazioli Corso di ecologia umana e ambientale con riferimenti al Bellunese e al Feltrino.Tipografia DBS – Rasai di Seren del Grappa - 1997 9. D. Grazioli Qualità dell’acqua ipogea Atti 3° Co nvegno Naz. Protezione e gestione Acque sotterranee – 1999. Parma 13-15/10/1999. 10. D. Grazioli et al. Le sorgenti Lasen Alta e Bassa: risultati di due anni di monitoraggio di un modello interpretativo e revisionale. Atti 3° Convegno Naz. Protez. e gest. Acque sotterr anee – 1999. Parma 13-15/10/1999. 6 APPROVVIGIONAMENTO IDRICO CON ACQUE PIOVANE Domenico Grazioli – Sez. CAI Feltre – Dipartimento di Prevenzione ULSS n°2 Per sfortunata coincidenza sembra appurato che alla quantità di acqua disponibile ad uso umano si associ in maniera inversa la qualità della stessa, nel senso che, dove ce n’è poca, di solito è di pessima qualità. Questa legge di carattere generale sembra applicabile anche alla risorse idriche dei rifugi alpini, cui si associa la problematica dell’aumentata richiesta dovuta spesso, paradossalmente, a esigenze igienico-sanitarie (aumento dei servizi igienici disponibili, utilizzo di lavastoviglie e lavabiancheria, produzione energia elettrica, etc.). Queste situazioni di difficoltà, per la scarsità della risorsa idrica, si ritrovano spesso in rifugi a quote molto elevate a causa del gelo e nelle zone carsiche in cui ogni goccia di pioggia si infiltra nel terreno per risorgere eventualmente a valle. In questi casi l’unica alternativa al trasporto da valle consiste nell’utilizzo di acque piovane o acqua di scioglimento della neve, in genere da superfici artificiali come la copertura del rifugio o di altri edifici. L’esperienza e l’analisi chimico e microbiologica hanno dimostrato che queste acque hanno caratteristiche qualitative scadenti, sia dal punto di vista microbiologico che fisico e chimico. La copertura degli edifici, le grondaie, le canalizzazioni ed i pozzetti contengono infatti sostanze organiche di origine vegetale ed animale che consentono la proliferazione di batteri. Le piogge e le nevi contengono spesso contaminanti fisici e chimici del fall out atmosferico: ricordiamo la ricaduta di Chernobyl, le piogge acide etc., inoltre a contatto con le superfici di raccolta e trasporto (coperture e condottazione) ne raccolgono i contaminanti (es. residui organici vegetali e animali come ammoniaca o nitrati) e possono solubilizzare componenti di queste superfici es. zinco, Cd, Cr, Fe da lamiere zincate o rame. Pertanto le analisi rivelano spesso un inquinamento chimico oltre che microbiologico di difficile c. Infatti gli impianti di potabilizzazione per inquinamento chimico sono di solito complessi, di non facile gestione e molto costosi sia come impianto che come utilizzo. Nel passato ci si giovava di soluzioni empiriche tipo filtri a sassi, sabbia e poi di carbone vegetale nei pozzetti a monte delle cisterne, ma ciò comportava un accumulo di sostanza organica con proliferazione batterica. Tuttavia l’intuizione di cercare di prevenire l’ingresso di inquinanti nelle cisterne, anziché tentare la potabilizzazione, poi ci ha dato lo spunto per elaborare un modello, illustrato nel disegno seguente. Come si vede la pioggia o la neve cadono su una superficie qualitativamente idonea per il contatto con alimenti, vengono raccolte in canalizzazioni pure in materiale idoneo (per es. non di rame) e sono condottate ad un pozzetto di eliminazione acque di prima pioggia dimensionato in base alla superficie del tetto tramite l’equazione: m 0,005 x mq superficie del tetto = mc pozzetto. In tal modo la pioggia che cade nei primi quindici minuti lava il tetto e viene convogliata nel pozzetto finchè il galleggiante non ne blocca l’accesso, convogliando la seconda pioggia, più pulita, in cisterna. Dopo il temporale il pozzetto va scaricato eliminando l’inquinamento chimico e microbiologico più grossolano. L’acqua della cisterna va all’utilizzo previo trattamento battericida con U.V. Approv.idr.acquepiov.doc IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE DEI RIFUGI (ing. Paolo Nardelli - Provincia Autonoma di Trento Servizio Opere Igienico-Sanitarie) 1. INTRODUZIONE Il dibattito sulla “sostenibilità” delle strutture turistiche in quota dura da anni. Nell’ultimo mezzo secolo, infatti, la montagna - specialmente in Europa - ha conosciuto uno straordinario sviluppo degli sport invernali, ma anche del trekking di comitive organizzate dalle varie sezioni dei clubs alpini, o, specie dal 1970, di un preponderante turismo per piccoli gruppi. Le esigenze via via crescenti di questo vero e proprio esercito di estimatori della montagna ha determinato, come è naturale, un notevole consumo di risorse, concentrando nei rifugi le criticità più evidenti: fabbisogno di energia e di acqua potabile, scarico di rifiuti e di sostanze inquinanti nell’ambiente. Per quel che concerne più in particolare le acque reflue, la loro depurazione è un tema largamente trattato, al momento attuale, da parte delle autorità preposte alla salvaguardia dell’ambiente nelle regioni alpine d’Europa. “In generale si nota che le normative dei vari Paesi sono piuttosto discordanti sull’argomento - riconosce la relazione di accompagnamento alla pianificazione della Provincia di Trento - anche se i limiti imposti a questi tipi di scarichi appaiono di regola meno restrittivi di quelli applicati alle agglomerazioni di fondovalle, avuto riguardo alle obiettive difficoltà di depurare i reflui nelle condizioni molto severe di temperatura e pressione connesse con la quota, oltre che all’onerosità dell’approvvigionamento d’energia e dello svolgimento delle operazioni manutentive. Anche la direttiva 271/91/CEE si limita ad indicare, per gli scarichi in acque dolci di agglomerati con meno di 2000 abitanti equivalenti (AE), un “trattamento appropriato” così definito: “Il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo e/o un sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità delle acque recipienti ai relativi obiettivi di qualità e alle relative disposizioni della presente direttiva e di altre direttive comunitarie pertinenti”. Si riconosce sostanzialmente un limite economico al trattamento biologico secondario, come definito dalla medesima direttiva sulla soglia dei 2000 AE, a meno che non si verifichino speciali condizioni ambientali. A ciò s’aggiunga che, a mente del paragrafo 2 dell’art. 4 della menzionata direttiva comunitaria, “gli scarichi di acque reflue urbane in acque situate in regioni d’alta montagna (al di sopra dei 1500 m. sul livello del mare), dove, a causa delle basse temperature, è difficile effettuare un trattamento biologico efficace, possono essere sottoposti ad un trattamento meno spinto di quello previsto al paragrafo 1, purchè studi dettagliati comprovino che essi non avranno ripercussioni negative sull’ambiente”. Nell’aprile 1995 si è svolto sull’argomento un simposio a Innsbruck-Igls tra specialisti convenuti da tutta Europa, con l’obiettivo di fare il punto sulla situazione attuale, anche nell’ottica di promuovere un regolamento comune sulla depurazione degli scarichi delle installazioni turistiche in quota. Nell’ambito del convegno si sono evidenziate due linee di tendenza, ambedue scaturenti dal concetto centrale di “sviluppo sostenibile”, considerato però sotto due punti di vista sostanzialmente antitetici. 1 La linea suggerita dai responsabili del Club Alpino svizzero propone un arresto dello sviluppo delle strutture turistiche in quota (soprattutto rifugi) e un progressivo ritorno a condizioni “pionieristiche” del turismo in montagna. Di converso, la linea percorsa dai responsabili del Club Alpino tedesco, proprietario di un gran numero di rifugi sulle Alpi, non solo germaniche, propone di dotare le strutture del massimo comfort concretamente ottenibile, limitandone però nel contempo l’impatto sull’ambiente. La linea svizzera tende quindi sostanzialmente al risparmio, mentre la proposta tedesca tende al massimo sviluppo compatibile con le risorse disponibili. Tutti i convenuti hanno auspicato ulteriori incontri per redigere un regolamento comune che possa adattarsi alle situazioni medie delle zone di montagna europee senza determinare forti aggravi di spesa per i soggetti interessati. Un precedente Convegno internazionale su “Il disinquinamento negli ambienti di alta montagna”, organizzato dal Dipartimento Ecologico della Provincia di Trento a Riva del Garda nel mese di giugno 1983, evidenziava la carenza su scala nazionale dei servizi di igiene ambientale a presidio dei rifugi alpini, prospettando la necessità di interventi con soluzioni che devono essere semplici e funzionali. Il trattamento delle acque di scarico nelle zone turistiche di montagna è stato inoltre oggetto di un seminario internazionale – svoltosi a Lione il 19-23 novembre 1990, su promozione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del CEMAGREF – al quale ha partecipato la Provincia di Trento in rappresentanza dell’Italia” 1) 2. CARATTERIZZAZIONE DEI REFLUI La Provincia di Trento ha effettuato una campagna sperimentale dal 1991 presso il Rifugio Boè (Dolomiti, gruppo del Sella, 80 posti letto, 2873 metri di quota) con lo scopo di definire le caratteristiche degli scarichi di un rifugio-tipo e di valutare le performances di un sistema depurativo che potesse costituire uno standard per strutture simili. I dati elaborati in varie stagioni di studio sono stati raccolti e presentati in lavori sintetici ai quali si rimanda per maggiori dettagli. 2), 3), 4) Dalle campagne di misura emerge generalmente una buona corrispondenza dell’”abitante equivalente” (AE) organico con la produzione giornaliera media di 120 g di COD (valutato sul personale del rifugio, sempre presente nella struttura): ad es., in 2) si ha: 111,9 ÷ 123,2 g COD/AE giorno. Per l’azoto ammoniacale il carico specifico risulta più alto di quello medio normalmente registrato nei depuratori di fondovalle (18,1 ÷ 19,9 g/AE giorno 2) nel rifugio contro 12-15 g/AE giorno in fondovalle). Il carico idraulico medio specifico è invece molto limitato, come è ovvio, in considerazione della maggiore difficoltà di approvvigionamento: nella relazione 2) si riporta il dato medio di 137,7 L/AE giorno, che deriva dal rapporto tra l’acqua complessivamente scaricata ed il numero totale di abitanti equivalenti valutati in termini di COD; nella relazione 3) si osserva una fluttuazione di tale rapporto su valori spesso ancora minori, compresi tra 80 e 140 L/AE giorno. Di certo, risulta che presso il rifugio Boè il volume complessivo d’acqua scaricata non ha mai superato i 12 m3/giorno 4), mentre gli abitanti equivalenti organici hanno più volte raggiunto le 125 unità 3). Gli scarichi dei rifugi contengono una notevole quantità di solidi che possono essere rimossi semplicemente con una grigliatura fine (diametro fori ≤ 3 mm): al Boè la quantità stagionale rimossa è stata valutata in 662 kg.3). Significativo è anche il volume di olii e grassi separati dai disoleatori: sempre al rifugio Boè, in una stagione, ben 300 litri 3). 2 3. REGOLAMENTAZIONE DEGLI SCARICHI Di fronte a tali carichi, che possono rappresentare localmente rilevanti “aggressioni” all’ambiente, in Provincia di Trento si è ritenuto di procedere ad una regolamentazione che si ispira al principio di “sostenibilità”, interpretato dall’orientamento uscito con maggiori consensi dal convegno di Innsbruck-Igls del 1995. Secondo tale orientamento, va innanzitutto eliminato dagli scarichi il contenuto di solidi con dimensione lineare > 3 mm., a mezzo di una grigliatura fine. Va inoltre rimosso il contenuto di olii e grassi per mezzo di idonei disoleatori inseriti sugli scarichi delle cucine. Se l’entità del rifugio è rilevante (indicativamente: più di 70 posti letto e più di 5.000 pasti giornalieri nella stagione estiva, valutata in 100 giorni), oppure se lo scarico avviene in zone particolarmente sensibili sotto il profilo igienico-sanitario, è necessario limitare anche il carico organico, espresso come COD, nella misura minima del 70% (inserendo, se del caso, una fase di debatterizzazione finale sull’effluente). Si parla, in questa evenienza, di “trattamento completo”. Non si è ritenuto di porre limiti specifici per la trasformazione dell’azoto ammoniacale, perché realisticamente utopico nelle condizioni severe di esercizio dei depuratori in alta montagna. E così non si è posto l’obiettivo dell’abbattimento del fosforo, perché si introdurrebbe la necessità di utilizzare coadiuvanti chimici contro il dichiarato intento di semplificare il processo. Per rifugi ed altre strutture razionalmente e facilmente collegabili senza provocare impatti insostenibili sull’ambiente va preferito il collegamento con il fondovalle a mezzo di idonea tubazione. 4. ANALISI CRITICA DEGLI SCHEMI IMPIANTISTICI USUALI 4.1. La grigliatura fine e la disoleatura sono trattamenti raccomandabili in tutti i casi. Per quanto attiene al c.d. “trattamento completo” si osserva che impianti di lagunaggio e di fitodepurazione non raggiungono generalmente i limiti regolamentari (abbattimento minimo del 70% del COD). Possono essere quindi utilizzati come fasi di finissaggio in situazioni favorevoli (rifugi a quota medio bassa, in ambienti con ampia copertura vegetativa, e temperature non particolarmente rigide). Il rendimento è praticamente nullo durante la stagione invernale. Non esistono schemi impiantistici standard: il progetto va adattato di volta in volta alla natura del luogo. 4.2. Impianti a fanghi attivi in continuo Si sono dimostrati in grado di raggiungere con facilità le prestazioni richieste (vedere ad es. l’esperienza al rifugio Vioz, m. 3535 di quota) 5). L’innesco del reattore è rapido, se si immette biomassa prelevata da un analogo impianto del fondovalle (tempo di innesco: 48 ore). L’impianto è compatto (2,17 m3/kg COD abb giorno). Il processo impiega però più energia (al rifugio Vioz circa 8 kWh/kg COD rimosso) e va gestito con più difficoltà rispetto ai reattori a biofilm. 3 Aria diretta alla deodorizzazione Aspirazione aria Aspirazione aria Primo stadio biologico Air-lift Materiale grigliato ai sacchi filtranti uscita Piano terreno mixer entrata Secondo stadio biologico Pompa di carico Fango di supero Pompa trituratrice Schema dell'impianto di depurazione presso il rifugio Mantova al Vioz 4.3. Impianti a fanghi attivi in batch (SBR) Hanno i pregi degli impianti a fanghi attivi in continuo e sono più compatti (meno di 2 3 m /kg COD abb x giorno). La gestione va seguita con attenzione. L’impegno energetico è analogo agli impianti in continuo.2) ALIMENTAZIONE FASE ANOSSICA eventuale FASE AEROBICA STADI DI UN SISTEMA SBR ATTESA SCARICO SEDIMENTAZIONE 4.4. Impianti chimico-fisici Non raggiungono, in condizioni ordinarie, il 70% di abbattimento del COD se non con consumi elevati di prodotti chimici, e quindi con notevole produzione di fanghi di risulta. La gestione è di conseguenza più onerosa. Anche i costi di installazione sono maggiori. 4.5. Impianti a biofilm Sono caratterizzati da consumi energetici minori a parità di prestazione. L’innesco però è meno rapido rispetto agli impianti a fanghi attivi. Si distinguono sostanzialmente tre schemi: 4 4.5.1. Letti percolatori naturali Raggiungono con difficoltà i limiti richiesti, se non sono dotati di ricircolo. Occupano parecchio volume a parità di prestazione con gli impianti a fanghi attivi (circa 14 m3/kg COD abb x giorno al Rif. Sesvenna)6). Il tempo di innesco è - come detto - maggiore (15-20 gg.). L’energia consumata è però minore (2,3 kWh/kg COD abb nella versione con ricircolo). La gestione non è complicata, se non l’allontanamento dei fanghi residui. Possono dare inconvenienti con il freddo. Ricircolo (eventuale) Letto percolatore Sedimentatore Ingresso Uscita Fango di supero Impianti a biodischi (RBC) 6) Raggiungono con facilità i limiti richiesti (vedere ad es. l’esperienza al Rifugio Lancia) L’innesco richiede 10-15 giorni. Sono compatti (1,5 m3/kg COD abb x giorno) ed il consumo energetico è simile a quello dei letti percolatori naturali quando questi sono dotati di ricircolo. Le operazioni di gestione sono abbastanza semplici. 4.5.2. Ricircolo (eventuale) Biodisco Sedimentatore Ingresso Uscita Fango di supero 5 4.5.3. Reattori a letto fisso sommerso Raggiungono con facilità i limiti richiesti (vedere l’esperienza al Rif. Boè). L’innesco naturale richiede 10-15 giorni. Nel caso del Rifugio Boè un modulo del reattore è innescato in valle e trasportato poi sul posto con elicottero: così l’attivazione può avvenire nelle 24-48 ore. Sono molto compatti (circa 1 m3/kg COD abb. x giorno). Il consumo energetico è superiore a quello dei biodischi (4,53 kWh/kg COD abb).2,3) Le operazioni di gestione sono abbastanza semplici. Reattore a letto fisso Sedimentatore Uscita Ingresso Fango di supero Aria Uno stadio dell'impianto di depurazione presso il Rifugio Boè Reattori a letto mobile (MBBR) 2) Raggiungono abbastanza facilmente il limite richiesto per l’abbattimento del COD, ma difficilmente quello per i solidi sospesi (50 mg/L, se presente la fase di debatterizzazione). Il fatto è dovuto sostanzialmente alla struttura della pellicola che, in realtà, è piuttosto filamentosa e quindi, quando si distacca dai supporti, sedimenta con difficoltà. Per il resto, le prestazioni sono simili a quelle dei letti percolatori sommersi. 4.5.4. Reattore a letto mobile Sedimentatore Ingresso Uscita Fango di supero Aria Uno stadio dell'impianto di depurazione presso il Rifugio Boè 6 4.6. Nella tabella di sintesi seguente sono riassunte le principali caratteristiche dei vari schemi a confronto, come risultano dalle esperienze eseguite: PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEGLI SCHEMI DI TRATTAMENTO VERIFICATI Consumo energetico specifico Volume specifico del reattore (kWh/kg COD rimosso) (m3/kg COD rimosso x giorno) Superficie specifica dell’impianto (m2/kg COD rimosso x giorno) valori medi rilevati valore normalizzato °) valori medi rilevati valore normalizzato °) valore normalizzato °) Impianti a fanghi attivi 6-8 7,89 1,7-2,3 2,17 7,76 Letti percolatori naturali 1,8-2,4 2,30 13-17,5 13,84 7,88 *) Impianti a biodischi 2,0-3,75 2,89 0,80-2,1 1,49 4,36 3,5-6,5 4,53 0,75-1,4 0,99 2,63 Impianti a letto fisso sommerso e a letto mobile (MBBR) *) Nota: Somma delle superfici nette dei comparti interrati °) Valore normalizzato = valore calcolato in rapporto alle caratteristiche medie dei reflui del rifugio Boè, in modo da consentire un confronto tra le varie tecnologie. 5. COLLAUDO DEGLI IMPIANTI E GESTIONE Il regolamento prevede che il collaudo avvenga entro trenta giorni dall’entrata in funzione dell’impianto. Nel caso del c.d. “trattamento completo” il gestore deve installare due campionatori automatici, uno prima e uno dopo il reattore, per almeno ventiquattro ore, al fine di ottenere i campioni medi richiesti per le analisi e verificare la corrispondenza con i limiti prescritti. I campionatori automatici possono essere messi a disposizione a titolo gratuito dall’Amministrazione provinciale, su richiesta. L’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente esegue gratuitamente le analisi di collaudo. Dopo il collaudo, il regolamento attuale stabilisce che il reattore secondario debba entrare a regime entro 10 giorni dalla data di apertura stagionale del rifugio e che il gestore esegua autonomi controlli con cadenza stagionale, prelevando un campione istantaneo dal comparto di accumulo e omogeneizzazione che sia significativo dell’ingresso, e un campione istantaneo allo scarico, procedendo all’analisi ed annotando i risultati su un apposito registro, chiamato “registro dell’impianto”. 7 Sul registro dell’impianto, che va custodito presso il depuratore, devono essere annotati anche gli interventi di manutenzione ordinaria, gli eventuali interventi di straordinaria manutenzione ed i guasti ed anomalie che si sono eventualmente verificati. Nel caso di inadempienze da parte del gestore, è previsto che l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente possa applicare una penale di Euro 100,00, che viene introitata nel bilancio provinciale. Per i sistemi con sola grigliatura o con sola sedimentazione primaria (Imhoff) i tempi del collaudo e degli autonomi controlli sono analoghi, ma le analisi vanno sempre eseguite su campioni istantanei dello scarico e i requisiti sono i seguenti: - grigliatura: assenza di solidi con dimensione lineare > 3 mm; - sedimentazione primaria: - assenza di solidi con dimensione lineare > 1 cm; - solidi sedimentabili ≤ 0,5 ml/L. Per tutti i sistemi di trattamento è prescritto che il materiale grigliato e compattato venga raccolto dal gestore in idonei sacchi impermeabili e allontanato assieme ai rifiuti solidi. L’olio e i grassi separati nel disoleatore vanno accumulati in un apposito fusto per oli esausti e sono conferiti allo smaltimento o al recupero nel rispetto della normativa vigente. Infine, per i sistemi a “trattamento completo” i fanghi di risulta disidratati derivanti dal reattore secondario devono essere anch’essi raccolti come i grigliati in sacchi impermeabili e smaltiti assieme ai rifiuti solidi. Il regolamento di gestione - in una iniziale stesura in parte diversa da quanto sopra descrittoè stato applicato a far data dal 1998. Dopo una prima applicazione sperimentale, sono state introdotte le correzioni, richieste dai gestori, che hanno reso meno rigida la procedura del controllo di gestione, ora qui sintetizzata. Al momento attuale si sta studiando la possibilità di una gestione centralizzata degli impianti biologici. Trento, ottobre 2002 8 BIBLIOGRAFIA 1. Provincia Autonoma di Trento: Piano stralcio del piano provinciale di risanamento delle acque relativo agli scarichi dei rifugi alpini ed escursionistici. Relazione tecnica. 1997. 2. Damiani, E.: Sperimentazione comparativa di tecnologie innovative per il trattamento dei reflui di rifugi alpini. Università di Trento. Tesi di laurea, 1999. 3. Boratti, F.: L’impianto di depurazione del rifugio Boè: verifica dell’andamento nella stagione estiva 2000. Università di Trento. Relazione finale del tirocinio di Ingegneria Sanitaria Ambientale, 2000. 4. Andreottola et al.: Treatment of mountain refuge wastewater by fixed and moving bed biofilm systems. Università di Trento - Provincia di Trento. Relazione presentata al congresso I.W.A. 2002 di Instanbul. 5. Foladori, P.: Esperienza di depurazione con sistema biologico per il trattamento delle acque reflue del rifugio Mantova sul Monte Vioz. Università di Trento. Relazione al Simposio. “Abwasserreinigung im Gebirge”. Alpinzentrum Rudolfshütte, 1999. 6. Foladori, P.: Esperienza di trattamento delle acque reflue con sistema biologico presso il rifugio Sesvenna. Università di Trento. Relazione al Simposio “Abwasserreinigung im Gebirge”. Alpinzentrum Rudolfshütte, 1999. 9