Untitled - Altervista

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Untitled - Altervista
Blood Red, l’ombra del vampiro
(Bluenocturne N° 11)
Blood Red
La sua fidanzata Katie è stala uccisa da un
vampiro sanguinario di nome Stephen, e da
allora Mark Davidson pattuglia le strade di
New Orleans armato di croce e acqua santa,
cercando vendetta. Poi una notte la polizia
rinviene il cadavere di una donna senza testa,
e Mark capisce che l'ora della resa dei conti è
vicina. La sua convinzione si rafforza quando
conosce Lauren Crow. una giovane donna
che assomiglia come una goccia d'acqua alla
sua amata Katie. Ma lei. nonostante
l'attrazione bruciante che vibra tra loro, non è
disposta a credergli. E convincerla che i suoi
non sono soltanto i vaneggiamenti di un folle
si rivelerà una missione quasi impossibile.
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La loro bellezza è incantevole.
Il loro potere senza limiti. Per secoli la
solitudine ha dato loro la caccia, ma
all'improvviso un raggio di luce illumina
le tenebre della loro esistenza con la
promessa di un amore destinato a durare
per l'eternità.
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese:
Blood Red
Mira Books
© 2007 Heather Graham Pozzessere
Traduzione di Elena Rossi
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione
integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata
per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.
Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
© 2010 Harlequin Mondadori S.pA. Milano
Prima edizione Bluenocturne
marzo 2010
Questo volume è stato impresso nel febbraio 2011
da Grafica Veneta SpA - Trebaseleghe (Pd)
BLUENOCTURNE
ISSN 2035 - 486X
Periodico quindicinale n. 11 dell'11/03/2010
Direttore responsabile: Alessandra Bazardi
Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009
Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale
Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA
Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione
Stampa Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)
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contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171
Harlequin Mondadori S.p A.
Via Marco D'Aviano 2-20131 Milano
VOLUME 102
Prologo
Non si era mai vista una sposa più bella né un matrimonio più
perfetto. Perfino il tempo si era inchinato all'occasione e una leggera
brezza rinfrescava l'aria. La serata non era né troppo calda né troppo
fredda e il momento era stato scelto con cura: a occidente, il sole
stava calando oltre l'orizzonte. La sposa aveva sempre desiderato
sposarsi in un castello, e avevano trovato un'antica cattedrale
appollaiata su una collina, all'interno di una vecchia città fortificata.
Lo sposo faceva del suo meglio per apparire in tutto e per tutto il
principe azzurro delle favole. Aveva sempre cercato di vivere
seguendo un proprio codice morale, che gli imponeva di rispettare
gli altri esseri umani. Non si piegava facilmente ai desideri altrui, ma
aveva imparato l'importanza del compromesso e della compassione.
Sapeva di poter commettere degli errori ed era pronto ad
ammetterlo. Poteva dire onestamente di essere pronto a combattere
per i poveri e gli oppressi e aveva affrontato abbastanza battaglie da
rendersi conto dei molti errori che venivano commessi intorno a lui.
Soprattutto, mentre si preparava a prendere in moglie la bellissima
sposa, poteva dire di amarla teneramente, più della vita stessa.
Ecco perché si sposava.
Era pronto a darle qualsiasi cosa desiderasse: un castello sperduto
in un paese a lui sconosciuto, un'elegante carrozza trainata da muli o
qualsiasi altra cosa potesse rendere ancor più perfette le nozze da
favola che lei sognava. Era stata una fortuna che le cose avessero
improvvisamente iniziato a girare a suo favore: per molti anni aveva
lavorato duramente per coltivare quello che si augurava fosse
autentico talento, e all'improvviso si era ritrovato ricco, quasi dalla
sera alla mattina. Anche se la sposa era originaria del paese in cui si
trovavano per le nozze, l'aveva conosciuta negli Stati Uniti. Lei
l'aveva sentito suonare la chitarra; lui aveva sollevato il capo... ed
era stato amore a prima vista. Dal momento che molti dei loro amici
più stretti avevano ancora delle difficoltà finanziarie, i due sposi
erano riusciti con molto tatto - o almeno così speravano - a regalare
il viaggio agli amici che non potevano affrontarlo, procurando loro
una gradita tregua dalle difficoltà quotidiane insieme al piacere di
assistere alle nozze. Una sontuosa passatoia percorreva l'intera
lunghezza della navata centrale. Lo sposo, elegante nel suo smoking
nero, aspettava accanto ai due testimoni. Quando l'organo attaccò la
marcia nuziale e il prete si schiarì la voce, tutti si voltarono verso
l'ingresso della chiesa in attesa di veder comparire la sposa e il suo
seguito.
La prima a entrare fu un'adorabile ragazzina che spargeva
tutt'intorno petali di fiori, concentrata sull'importante compito che le
era stato affidato. Seguivano le damigelle, deliziose nei loro abiti
color argento con rifiniture nere.
E infine giunse la sposa...
Era incantevole. I capelli, lunghi e luminosi come oro rosso, le
ricadevano sulle spalle, incorniciando il viso come un'aureola.
Indossava un abito moderno con suggestioni in stile rinascimentale e
lo sposo rimase senza fiato nel vederla. Sotto il velo le brillavano gli
occhi, lucidi di commozione. Le sorrise, e sentì il cuore battere più
forte.
Lei avanzò con grazia lungo la navata.
Poi...
Una goccia di sangue apparve sul suo vestito, un puntino rosso sul
cuore che si allargò rapidamente fino a coprire il seno... l'intero
corpetto...
La sposa si fermò.
Lo fissò.
Sul suo volto comparve un'espressione d'orrore. I suoi occhi lo
guardarono imploranti.
Si lanciò verso di lei, ma non riuscì a raggiungerla. Sentì un rombo
assordante, come una tempesta, un assedio, una corsa precipitosa...
Poi il sangue si riversò verso di lui come un'onda di marea. Come
se un fiume cremisi fosse esploso, rompendo gli argini e riversandosi
lungo una collina...
Batté le palpebre.
Vide il suo viso, i suoi occhi che imploravano aiuto.
Poi il sangue fu dappertutto, invase la navata e i muri coperti di
licheni della cattedrale e salì, salì.
Stava affogando nel sangue.
Si sentiva soffocare.
Molto lontano da quelle montagne remote, un uomo si svegliò da
un incubo con un grido rauco e scattò a sedere. Il sogno era stato
così vivido, i dettagli così realistici che per un istante credette
davvero di essere coperto di sangue. Stava tossendo come se nel
sonno avesse lottato per respirare.
Scostò le lenzuola madide di sudore, si alzò e andò alla
portafinestra che dava sul balcone, spalancandola. La realtà irruppe
nella stanza accompagnata dal profumo delle magnolie in fiore.
Non finirà mai? Quest'incubo non finirà mai di perseguitarmi?
Era la fine della primavera, l'inizio dell'estate. Di giorno faceva
caldo ma di notte una piacevole brezza fresca accarezzava la pelle
come una mano gentile.
Guardò il cielo. Le nuvole velavano la luna tingendola di un
colore sinistro.
Strinse i denti, sul viso un'espressione rigida e determinata.
Sembrava tutto come allora...
Come il giorno di quelle nozze di sangue.
Capitolo 1
Mark Davidson osservava una coppia seduta al bar, uguale a tutte
le coppie in qualunque locale.
L'uomo si sporgeva verso la donna, una ragazza graziosa, con un
top attillato che lasciava scoperto l'ombelico e una gonna corta che
attirava lunghi sguardi sulle gambe ancora più lunghe. Batteva le
ciglia di tanto in tanto, chinando il capo e sorridendo timidamente,
quasi con aria dispiaciuta, al tipo alto e scuro di fianco a lei.
Nonostante l'apparente disinvoltura con cui rispondeva al suo
atteggiamento provocante, c'era in quell'uomo una certa tensione,
un'energia trattenuta che faceva pensare - quanto meno a Mark - che
ci fosse qualcosa che non andava.
I due ridevano insieme, flirtando. Il linguaggio del corpo diceva
che lei era in cerca di avventure quella sera; e lui era senza dubbio
entrato in azione.
«Un altro drink, signore?» La voce della cameriera, una donna
attraente ma più matura, con grandi occhi e una bella figura, attirò
momentaneamente la sua attenzione. Era gentile ma anche stanca,
pensò. Forse gli ultimi anni non erano stati facili per lei.
«Ehm...» Non sapeva perché gliel'avesse chiesto, visto che aveva
appena toccato la birra che aveva ordinato. Del resto il locale
doveva guadagnare, quindi forse il suo era un velato suggerimento.
«Scusi, immagino che la risposta sia no» disse la donna con un lieve
sospiro. Dal marcato accento del sud, Mark ebbe la sensazione che
fosse originaria del posto. Non che a New Orleans abitassero solo
nativi. Era il tipo di città di cui le persone si innamorano, come se
avesse una personalità tutta sua. I più, in effetti, arrivavano presto a
odiare la sua atmosfera spensierata e Mark stesso doveva ammettere
che il vomito nelle strade dopo un Mardi Gras particolarmente
scatenato non era esattamente un'attrattiva. Ma a lui no n
importava. Amava New Orleans, con le sue stradine strette, i vecchi
edifici e il crogiuolo di culture. Amava tutto di quella città.
Tutto tranne...
Si rese conto che la cameriera gli bloccava la visuale. Aveva scelto
un tavolino in fondo al locale, un po' in ombra, lontano dalla jazzband che suonava all'estremità sinistra del bancone, accanto
all'ingresso. I musicisti erano bravi; Mark sarebbe andato volentieri
nel locale anche solo per sentirli. Era una delle cose che amava di più
di New Orleans; si poteva ascoltare buona musica, tra le migliori al
mondo, e spesso bastava camminare lungo le strade. Giovani e
promettenti talenti iniziavano spesso la loro carriera suonando in
Jackson Square o all'angolo di una strada qualsiasi, esibendosi nella
speranza che i passanti gettassero qualche dollaro nella custodia di
una chitarra o in un cappello.
C'erano così tante cose da amare a New Orleans.
Come tutte le volte che era andato lì con Katie...
No.
Mandò giù un lungo sorso di birra ormai tiepida e strinse i denti.
Non era lì per percorrere il viale dei ricordi.
«Ma sì, dai, un'altra birra. Fredda, per favore» disse, cercando di
sbirciare oltre la cameriera. Ma quando lei si spostò, si accorse che la
coppia se n'era già andata.
Scattò in piedi e frugò in tasca alla ricerca di una banconota che
tese alla cameriera. «Non importa, ho cambiato idea» disse,
dirigendosi verso l'uscita.
«Signore, il resto» protestò la donna, fissando il biglietto da
cinquanta dollari.
«Lo tenga pure» mormorò lui, lo sguardo già fisso sulla porta che
dava sulla strada.
Fuori il mondo era luminoso, animato dai neon, dalle risate e dai
ritmi di jazz e rock che si riversavano nell'aria umida dai bar e dai
locali allineati lungo la strada. Insegne luminose reclamizzavano ogni
tipo di drink e di divertimento; vecchi edifici sembravano scrutare la
fiumana di gente con un'eleganza ammaliante, anche se un po'
decrepita, nonostante la pubblicità che li ricopriva.
Donne e uomini, in gruppo, in coppia o da soli, passeggiavano;
alcuni erano un po' alticci, e barcollavano urtando gli altri passanti,
altri camminavano di buon passo.
Mark imprecò tra sé perché non riusciva a localizzare la coppia del
bar.
Dove diavolo avrebbe portato la ragazza? Non era costretto a
scegliere il buio di un cimitero per commettere un omicidio; avrebbe
potuto affittare una stanza ovunque. Maledizione, poteva anche
essere una casa di proprietà. Ma dove? Da solo poteva muoversi
veloce come il vento, tuttavia aveva la donna con sé, che lo
rallentava.
«Signore?»
Si voltò. La cameriera l'aveva seguito.
«Le ho detto di tenere il resto» disse in tono gentile.
Lei gli sorrise. «Il barista ha detto che la coppia che stava tenendo
d'occhio è andata a sinistra. Il tizio l'ha convinta a fare una visita
notturna al cimitero.» Si strinse nelle spalle, lanciandogli un'occhiata
dolce e riconoscente. «Ci sono un sacco di idioti che per rimorchiare
una donna la convincono a entrare nei cimiteri di notte. Un posto
pericoloso. Ci bazzicano trafficanti di droga e peggio. Stia attento.»
«Grazie» rispose lui. «Molte grazie.»
Sapendo in che direzione dirigersi, si mise a correre lungo la
strada. Figurarsi se aveva optato per una stanza d'albergo o per il
cortile di un grazioso Bed&Breakfast.
Mentre correva, tastò la tasca dei pantaloni di tela, controllando
che la fiala fosse ancora lì. Aveva anche un'arma tradizionale, ma
sapeva che non gli sarebbe servita a molto, visto con chi aveva a che
fare.
Raggiunse il cimitero. Di notte era vietato entrare, ma non fu
difficile scalare l'inferriata. Mentre atterrava con un tonfo sordo dalla
parte opposta udì la risata. I due si trovavano in mezzo a un campo,
dietro la lapide in marmo e stucco di una tomba, con i suoi angeli
tristi e i cherubini in preghiera.
«Oh, questo sì che è decadente. Mette i brividi e ha qualcosa di
eccitante» disse una voce femminile.
«Sì, lo so.»
«Vuoi... farlo qui? Proprio qui?» mormorò la donna. Sembrava
esitante. Ora che si trovava nel cimitero, forse si sentiva un po'
turbata da quella mancanza di rispetto per la morte. O forse era solo
la paura di essere scoperti da un poliziotto.
«Dimmelo tu» rispose l'uomo. «Vuoi sentire le mie labbra sulla
pelle?»
La ragazza emise un suono che Mark non riuscì a identificare.
Serrò la mascella, cercando di controllare il dolore e la collera che gli
montavano dentro. Non poteva biasimare la ragazza. Era possibile
che fosse stata ipnotizzata.
«Io... sì» mormorò lei.
Mark si avvicinò strisciando ai due. Eccoli.
L'uomo si era sfilato la camicia. La ragazza era distesa su una delle
tombe e il suo addome nudo risplendeva alla luce della luna. L'uomo
si chinò su di lei e fece scorrere una mano per tutta la lunghezza
delle gambe, sfiorandole con le labbra la pelle intorno all'ombelico.
«Ti prego, aspetta!» C'era una nota di paura nella voce della
donna, adesso.
«Troppo tardi.»
«No. No!»
«Sei molto bella... ci saremmo potuti divertire un po', prima. Ti
avrei fatto provare un piacere inimmaginabile. Peccato che
stanotte... be', sono davvero affamato. Temo di essere a digiuno da
troppo tempo.»
Lei cercò di protestare con voce strozzata. Aveva appena capito
che stava per morire, Mark lo sapeva, e cercava disperatamente di
gridare, ma il terrore, dolce come zucchero nel sangue, incominciava
a paralizzarla e lei non riusciva a dar voce all'agonia che le bloccava
la gola.
Ora!
Mark fece un respiro profondo, tendendo i muscoli. Se non avesse
agito subito, la donna sarebbe potuta morire da un istante all'altro.
Infilò la mano in tasca e spiccò un balzo.
Era in perfetta forma: dopo aver prestato servizio nei Marines,
aveva fatto il buttafuori per anni mentre cercava un produttore
interessato alla sua musica. Ma per quanto veloce fosse stato, l'uomo
avvertì la sua presenza. Mark udì il suo ringhio rabbioso prima che si
girasse verso di lui per affrontarlo, il viso distorto da un'orribile
maschera di furore. Vide la bocca spalancata, i denti acuminati
scintillare nel buio. Stranamente avevano un affascinante bagliore
opalescente.
Imprecò tra sé a bassa voce. Non era lo stesso individuo cui dava
la caccia con ostinata determinazione da tempo immemorabile. Era
un altro, senza dubbio altrettanto malvagio.
Avvertì un tuffo al cuore. Eppure...
Quella creatura stava per uccidere. Non doveva dimenticare la
giustizia; doveva porla al di sopra della vendetta. Non poteva
permettersi di abbassare la guardia né di esitare un solo istante.
Prima che potesse raggiungerlo, però, l'uomo scoppiò a ridere.
«Hai intenzione di spararmi?» chiese.
«Per l'inferno, no» gli assicurò Mark. La fiala era piena e già aperta.
La scagliò mirando al viso e agli occhi dell'avversario.
Quando l'acqua benedetta gli bagnò il viso, la creatura lanciò un
raccapricciante grido di rabbia e stupore. Ci fu un rapido fluttuare di
ombra e buio, un debole frullare d'ali, prima che fuggisse e si
schiantasse su una lapide.
Mark lo seguì. Tirò fuori dalla tasca il piolo di legno dalla punta
aguzza che portava sempre con sé e lo conficcò nel petto della
creatura della notte che giaceva accanto alla tomba.
La notte fu illuminata per un istante da un'esplosione di colori, poi
si alzò una nube di polvere, rossa del sangue di molte vite.
Il frullare d'ali cessò. Per un istante accanto alla tomba si vide
l'essenza annerita di un uomo... poi più nulla. Polvere e cenere.
Polvere alla polvere.
Mark si rialzò senza distogliere lo sguardo da quel punto. Poi tutto
a un tratto iniziò a tremare e si ritrovò in un bagno di sudore
freddo.
Improvvisamente la ragazza gridò e quel suono lo riportò alla
realtà. Si voltò. Lo stava fissando con occhi colmi di terrore, il trucco
che le colava sul viso insieme alle lacrime, in palese stato di shock.
«Zitta» le disse in tono fermo ma non scortese.
«Era un... un vampiro!» La ragazza batté le palpebre, incapace di
credere alle sue stesse parole.
«Sì.»
«L'hai ucciso!» ansimò. «Ma era... reale.» Scosse il capo. «È...
impossibile.»
«Temo di no.»
La ragazza vacillò. Tremava come se avesse la febbre alta. «Era...
era davvero un vampiro?»
Mark poteva sentire le sirene della polizia che si avvicinavano.
Qualcuno doveva aver udito le grida. «Sì» ammise. Anche se non era
quello cui davo la caccia, aggiunse tra sé.
«Io... non... non posso crederci.»
«Dobbiamo andarcene di qui. Sta arrivando la polizia.»
«Non dovremmo aspettare e riferire... ehm... spiegare cos'è
successo?»
Lui inarcò un sopracciglio. «Vorresti raccontare ai poliziotti quello
che è successo qui?»
Lo fissò, senza smettere di tremare. «Sì, ma... No, non è vero...
non può essere reale...»
«E reale» le assicurò. Si sforzò di essere paziente, ma non c'era
tempo da perdere. Sospirò. «Non ti crederebbero comunque.
Dobbiamo andarcene di qui.»
Lei aprì e richiuse la bocca, cercando di formulare le parole. «Puoi
aiutarmi a scavalcare il muro, per favore?»
«Certamente. Da questa parte.»
Anche lui poteva muoversi veloce come il vento - da giovane
aveva giocato nella squadra di football del college - ma la donna era
ancora così stordita che gli sembrava di trascinare un peso morto.
Dovette sollecitarla perché si aiutasse mentre la spingeva oltre il
muro, poi scavalcò anche lui e la portò in salvo sul marciapiede.
Una volta posati i piedi a terra, lei lo guardò scuotendo il capo.
«Era davvero un vampiro?»
«Sì.»
«No» negò, ostinata. «Sì» capitolò infine.
Avrebbe avuto bisogno di supporto psicologico, pensò Mark. In
dosi massicce.
«Tu... mi hai salvato la vita. Io... io... oh, Dio, ti devo...»
«Dobbiamo andarcene di qui tutti e due. Penseranno che siamo
ladri, drogati o qualcosa del genere» disse in tono neutro.
«Sì, ma... io devo... devo ringraziarti in qualche modo.» I suoi
occhi erano enormi, spaventati; non aveva intenzione di flirtare con
lui, era soltanto riconoscente e incerta sul da farsi.
Poi raddrizzò la schiena, ancora incapace di credere a ciò che era
successo ma decisa a mantenere almeno una parvenza di dignità.
«Mi hai salvato la vita. Sono in debito con te.»
Le auto della polizia si stavano avvicinando ai cancelli.
«Vuoi davvero fare una cosa per me?» le chiese Mark. «Sii più
prudente. Non andare in giro per cimiteri con il primo idiota che
incontri in un bar, okay?» La prese per mano. «Andiamo.»
Corse, trascinandola con sé lungo Canal Street e per tutta la strada
fino al casinò dell'Harrah's Hotel.
«Non so nemmeno come ti chiami» mormorò lei.
«Meglio così» le rispose con gentilezza. «Entra. Telefona a
qualcuno e fatti venire a prendere. Vai a casa.»
Le voltò le spalle e se ne andò, improvvisamente esausto e più
deluso di quanto fosse disposto ad ammettere.
Era convinto di essere sulle tracce di... qualcuno.
Invece si era sbagliato, semplice.
Imprecò tra sé.
Dannazione, c'erano una quantità di creature disgustose che se
andavano in giro per il mondo in cerca di preda.
Mentre tornava all' albergo, stanco e deluso, gli venne in mente
che anche l'uomo poteva essere considerato un predatore... anche
prima che fosse contaminato dalla malvagità assoluta.
Si fermò e guardò il cielo nuvoloso. Quella notte aveva ucciso un
succhiasangue assassino.
Ed era solo l'inizio.
Capitolo 2
«Sto venendo a prenderti. Sarai mia, in un mondo di sangue,
tenebra e morte» mormorò con voce cupa Deanna Marin.
«Oh, per l'amor del cielo, smettila» la implorò Lauren Crow.
«Sul serio. Forse apriremo una porta su un altro mondo e i
demoni ne usciranno per portare tenebre e malvagità sulla terra»
rincarò la dose Heidi Weiss, ridendo, senza riuscire a parlare con il
tono basso e minaccioso di Deanna.
Entrambe guardavano con un sorriso divertito l'amica seduta
all'altro capo del tavolo all'aperto. Stavano sorseggiando un drink
preso in uno dei tanti bar di Jackson Square, anche se Lauren non
riusciva a ricordare quale. Il bicchiere di Deanna aveva la forma di
un contenitore di materiale radioattivo e quello di Heidi era
sagomato come un uomo nudo, completo di glutei e pettorali
scolpiti. Forse per effetto dell'alcol e dell'atmosfera di New Orleans
combinati, improvvisamente le due amiche non vedevano l'ora di
far visita a una delle numerose veggenti che tenevano banco nei
dintorni di Jackson Square, munite di Tarocchi e sfere di cristallo.
Lauren era felice di essere lì: New Orleans era uno dei posti che
amava di più al mondo. Pochi luoghi offrivano una tale ricchezza
artistica, fatta non solo di stimoli visivi ma anche della storia della
città e della vitalità delle persone che si respirava per le strade.
Eppure quella sera...
Forse era colpa dell'unico drink che aveva bevuto, ma anziché
sentirsi allegra e spensierata, aveva l'impressione di essere oppressa
da una bizzarra sensazione di angoscia e timore.
«Lauren, si può sapere che cosa ti prende?» le chiese Heidi. «È solo
per divertirsi.»
Semplicemente non le andava l'idea. Non sapeva perché -non era
particolarmente superstiziosa - ma non voleva farsi leggere le carte
né tanto meno lasciare che qualcuno vedesse il suo futuro in una
sfera di cristallo o le propinasse altri tipi di consigli astrali o
soprannaturali. La vita, secondo lei, era già abbastanza difficile senza
doversi preoccupare in anticipo di tutte le cose brutte che
potrebbero accadere.
Ma detestava l'idea di fare la guastafeste mentre si trovavano a
New Orleans per festeggiare l'addio al nubilato di Heidi,
programmato da tempo. Dato che lavoravano insieme nello studio
grafico che avevano aperto dopo il college, non era stato facile
organizzarsi in modo da potersi assentare tutte insieme.
Era la festa di Heidi, e lei si era ripromessa di fare del proprio
meglio perché tutto andasse esattamente come l'amica desiderava.
Tuttavia, quel desiderio di giocare con l'occulto era una novità che la
faceva sentire a disagio.
«Hai detto che questo fine settimana avresti fatto qualsiasi cosa
pur di rendermi felice. Ricorda che sei la mia damigella, quindi è
come se fossi mia schiava» scherzò Heidi.
«Perché sei così contraria?» volle sapere Deanna.
Lauren non era in grado di addurre una motivazione convincente
e si rendeva conto che era una sciocchezza sentirsi così, ma non
voleva sapere nulla del proprio futuro.
«Puoi scegliere tu da chi andare. Che ne dici?» propose Heidi.
«Pensavo solo... »
«Non avrai paura di qualche effetto drammatico o di qualche
messinscena spettrale» incalzò Deanna.
«Non ho paura» protestò Lauren ma nel momento stesso in cui lo
negava, si rese conto che era proprio così. Aveva paura.
«Dai, rifletti» aggiunse Deanna. «La maggior parte dei medium di
New Orleans sono ragazzi del college che cercano di raggranellare
qualche soldo. Pensa a tutte le volte che siamo venute qui con i
nostri album da disegno e quanto avevamo bisogno che la gente
comprasse i nostri schizzi.»
«Credo che tu trascuri il punto essenziale» intervenne Heidi. «Te
l'ho già detto, si suppone che tu sia la mia schiava, ricordi?»
«Sì, sì, sì» borbottò Lauren. «E va bene. In questo caso, credo che
dovremmo rivolgerci a una specie di sacerdotessa voodoo. Siamo a
New Orleans, dopotutto.»
«Perché, tu conosci un'autentica sacerdotessa voodoo?» domandò
Heidi.
Suo malgrado, la risposta le strappò un sorriso. Heidi Weiss aveva
occhi color cobalto, capelli biondo platino e un sorriso che invitava
al buonumore che ti sentissi allegro o meno. In quel momento il
sorriso era leggermente asimmetrico, ma nessuna di loro aveva
bevuto al punto di essere brilla, solo quel tanto da non pensare ai
problemi.
«Possiamo fare due passi e guardarci in giro» suggerì.
Deanna decise di prendere il comando della situazione.
Esteriormente era l'opposto di Heidi, con occhi a mandorla scuri e
capelli lisci, neri con riflessi quasi blu. «Ci sono. Per cominciare
faremo il giro della piazza. Poi, se non vediamo nessuno che piaccia
a Lauren, passeremo in rassegna l'intero Quartiere Francese.»
Lauren si chiese se Deanna avesse davvero tanta energia o se
pensava che si sarebbe decisa più in fretta davanti all'alternativa di
un'interminabile camminata, dato che era già palesemente stanca.
Erano arrivate quella mattina con un volo low cost da Los Angeles e
da allora non si erano fermate un attimo. Lauren si sentiva sempre a
casa a New Orleans, dato che veniva da Baton Rouge, ma Deanna
era cresciuta a New York e Heidi era di Boston. Erano venute spesso
lì da quando avevano fatto amicizia al college, ma né Heidi né
Deanna conoscevano come lei tutti gli angoli nascosti della città. Per
prima cosa erano andate al casinò, dopodiché Lauren le aveva
guidate in un tour di tutti i negozietti del Quartiere Francese che non
facevano parte di una grande catena. Ora era esausta e voleva solo
farla finita al più presto con quella storia.
«D'accordo: quella» disse, indicando una persona a caso.
La donna che aveva scelto sedeva a un tavolino pieghevole, di
fronte alla cattedrale. Sembrava più anziana di loro ma, oltre a
questo era impossibile dire quanti anni avesse. Portava i capelli
raccolti in una sciarpa e indossava una gonna e una camicetta
bianche alla contadina. Il viso era notevole, con lineamenti marcati e
la pelle di una bella sfumatura dorata che parlava di un'ascendenza
multietnica. Parlava con voce grave a un uomo seduto di fronte a
lei, indicando le carte dei Tarocchi che aveva disposto sul tavolo
davanti a sé. Avrebbe potuto essere in una fiera rinascimentale
anziché nel Quartiere Francese di New Orleans. Alle sue spalle c'era
una piccola tenda rossa che non avrebbe stonato su un campo di
battaglia medievale, al cui interno si intravedeva un tavolino coperto
da un drappo su cui erano raffigurate la luna e le stelle. Sopra il
tavolo era posata una sfera di cristallo.
«Ha già un cliente» osservò Deanna.
«Sono sicura che non ne avrà per molto» replicò Lauren, alzando
le spalle. Non sapeva perché avesse scelto quella donna, ma adesso
che l'aveva fatto, era decisa. A un tratto si rese conto che invece
sapeva esattamente che cosa l'avesse indotta a indicare proprio lei:
aveva un viso interessante, che le sarebbe piaciuto ritrarre.
«Potremmo andare da Madame Zorba» scherzò Heidi, inclinando
il capo verso una donna più giovane, a pochi passi di distanza.
Lauren sorrise. Madame Zorba era senza alcun dubbio una
studentessa del college.
«Preferisco la donna laggiù» insistette.
«C'è anche uno zingaro dall'aria affascinante poco più avanti» disse
Heidi.
«Sei già fidanzata» la prese in giro Deanna.
«Sì, ma a te e a Lauren potrebbe fare comodo.»
«Wow. Grazie.»
«Proprio quello di cui ho bisogno, uno zingaro» commentò
Lauren, continuando a sorridere. Dannazione, Heidi, sai bene che
non sto cercando un ragazzo.
«Non devi mica innamorarti; impacchettarlo e portartelo a casa,
sai» ribatté Heidi. Poi aggiunse in tono più dolce: «Dovresti uscire
con qualcuno. È già passato più di un anno».
«Grazie del consiglio, mammina» mormorò Lauren. A un tratto si
bloccò, scossa da un brivido improvviso, e sollevò lo sguardo. Il
cielo si era rannuvolato e a un tratto l'aria si era fatta più fredda.
Sembrava che la luna cercasse di fare capolino tra le nubi. Aggrottò
la fronte. Strano. C'era un bagliore rossastro dove avrebbe dovuto
esserci la luna. «Può darsi che domani piova» osservò.
«Le previsioni dicevano che sarebbe stato bello per tutto il fine
settimana» disse Deanna.
Lauren si strinse nelle spalle. «Guarda il cielo.»
«Bah... sarà lo smog.»
«Non siamo mica a Los Angeles» ricordò loro Heidi con una risata.
«E allora? Non si chiama inquinamento quando non siamo a L.A.?»
replicò Deanna.
«È un cielo rosso di collera» mormorò Lauren.
«Oh, Dio» fece Heidi con una smorfia. «Non siamo ancora andate
dall'indovina e già parla di fine del mondo.»
«Non volevo dire quello. Solo che è strano.»
«E non trovi niente di strano nel vento?» la prese in giro Heidi.
«Ora che me lo fai notare, mi sembra più freddo.»
«Grazie al cielo» sospirò Deanna.
«Potremmo concederci un altro drink, che ne dite?» propose
Lauren.
Heidi ridacchiò. «Il cliente ha finito. Andiamo.»
Lauren sospirò, esasperata. «Ricordati che l'hai voluto tu. Io farò
tutto quello che vuoi, ma voglio sia messo agli atti che sono
contraria a queste sciocchezze.»
«Questo viaggio è fatto apposta per le sciocchezze» le rammentò
Heidi. «Sto per sposarmi. Niente più folli weekend con le amiche.
Niente più vacanze avventurose. Voglio dire, Barry non avrebbe
niente da ridire se volessi andarmene via per qualche giorno con voi
ragazze, ma... be', sapete come vanno le cose. E poi sono sicura che i
suoi amici gli organizzeranno un addio al celibato memorabile, con
tanto di spogliarelliste. E scommetto che quell'idiota di suo fratello
farà in modo di procurargli una ballerina di lap-dance... »
«Sarei felice di farti una lap-dance, se volessi» scherzò Lauren.
Heidi rise. «No, grazie, non voglio una lap-dance. Adesso
assecondami, schiava.»
«Non vedo l'ora» borbottò Lauren. «Andiamo.»
Mentre si avvicinavano alla donna, pensò che le si doveva leggere
in viso il nervosismo. O era così o si era fatta prendere da qualche
ridicola paranoia, perché le parve che l'indovina aggrottasse la fronte
vedendole, come se fosse preoccupata. Ciò nonostante, non poté
fare a meno di ammirare la bellezza dei suoi lineamenti e si chiese se
a un certo punto avrebbe osato chiederle il permesso di farle uno
schizzo.
Sul tavolo non c'era alcuna targhetta, niente del genere Madame
X, Madame Zenia o un altro dei soliti cliché. La donna si alzò,
tendendo un braccio e porgendo una mano sottile, con unghie ben
curate.
«Salve» disse semplicemente.
Heidi ricambiò il saluto in tono cordiale.
«Vuoi conoscere il futuro?» chiese la donna, fissandola con sguardo
grave.
«Assolutamente sì» rispose lei. «Mi chiamo Heidi Weiss e sto per
sposarmi. Mi piacerebbe avere qualche... anticipazione.»
La donna annuì, ma la sua espressione diceva che dietro le parole
educate leggeva il semplice fatto che la ragazza non credeva davvero
a ciò che stava facendo. Per lei era solo un gioco.
«Io sono Deanna Marin» si presentò Deanna, facendosi avanti. «E
questa è Lauren Crow.»
La donna inarcò leggermente un sopracciglio, osservando Lauren.
«Crow?»
«Il mio bisnonno era Cherokee» spiegò lei, accettando la mano che
la donna le tendeva. La sua stretta era decisa e trasmetteva una
strana sicurezza, notò.
«Anch'io ho sangue cherokee. Abbiamo gli stessi occhi verdi.»
«Sì, è vero» convenne Lauren, anche se non era sicura che gli occhi
verdi fossero una traccia della sua ascendenza cherokee.
«Quanto sei alta... uno e settantotto?»
«Più o meno. Un altro nonno era originario delle Isole Orcadi.
Dicono che fosse alto e robusto, un po' norvegese e un po' scozzese.»
«Ah, ecco perché hai i capelli rossi.»
«Preferisco pensare che siano ramati.»
La donna sorrise. Lauren doveva ammettere che le piaceva, e
tuttavia ora meno che mai voleva che le leggesse il futuro. Avrebbe
preferito invitare l'indovina a bere qualcosa con loro, piuttosto.
«A me piace pensare che non sto diventando grigia» replicò
sorridendo la donna. «Io mi chiamo Susan.»
Heidi scoppiò a ridere, ma si scusò immediatamente. «Mi dispiace,
è solo che... è un nome così normale.»
Susan rispose con un sorriso. «La vita è normale, il ciclo della vita è
normale, l'aria che respiriamo è normale. Ci sono tante cose normali,
incluse molte che non comprendiamo ancora.»
«Ha un viso molto interessante» commentò Lauren, d'istinto.
Susan inclinò lievemente il capo, accettando con grazia il
complimento. Quando sollevò nuovamente lo sguardo, sorrideva.
«Siete artiste?»
«Io sono una progettista grafica» spiegò Deanna, «ma Heidi e
Lauren possono disegnare qualsiasi cosa. Sono fantastiche.»
«E così, tu vorresti farmi il ritratto?» chiese Susan, rivolgendosi a
Lauren.
«Mi piacerebbe molto.»
«Non è per questo che siamo venute, però» intervenne Heidi.
«Ah, sì, il futuro.» Susan sollevò le mani. «Che cosa vi riserva?
Volete che vi legga la mano o preferite vedere che cosa dicono le
carte? In alternativa, ovviamente, c'è sempre la sfera di cristallo.»
«Ognuna di noi dovrebbe provare un metodo diverso» propose
Deanna.
«Per me i Tarocchi» scelse Heidi.
«Io preferisco la lettura della mano» dichiarò Deanna. Lauren si
strinse nelle spalle. «Okay, a me la sfera di cristallo, allora.»
Susan annuì, indicando delle piccole sedie pieghevoli all'interno
della tenda. «Lauren, sei libera di disegnare, se vuoi. Incomincerò
dalla futura sposa.»
Lauren portava sempre con sé un piccolo album da disegno, ma si
chiese come potesse saperlo Susan e ne fu leggermente turbata. Un
po' più di leggermente, a dire la verità. Poi si disse che sapeva già
che erano artiste, e che quindi era logico supporre che avesse con sé
l'occorrente per dipingere. Senza dubbio chi si guadagnava da vivere
in quel modo imparava a valutare le persone e sapeva come intuire
molte cose da poche parole sulla cui base poi costruiva il resto.
Deanna aprì la piccola sedia di legno e sedette di fianco a Heidi,
mentre Lauren rimase un po' più indietro e tirò fuori l'album. Mentre
guardava Susan dare istruzioni a Heidi su come scegliere le carte,
poteva sentire intorno a sé i rumori della piazza. La musica in
lontananza, che proveniva dai bar. Le chiacchiere della gente,
interrotte di tanto in tanto da un grido di ammirazione per una delle
opere d'arte esposte lungo la strada. Di fronte a loro, accanto alla
cattedrale, un flautista solitario aveva messo per terra il cappello e
suonava una melodia dolcissima e melanconica.
Lauren alzò lo sguardo al cielo. Le nuvole coprivano ancora la
luna come un velo rosso disteso nel cielo.
Studiò Susan. Era elegante e aveva una bella voce, gentile. Era
molto diversa da come si aspettava. La matita scorreva sul foglio.
Tracciò prima le linee del viso, poi aggiunse le ombre e le sfumature.
Alla fine tratteggiò lo sfondo: gli alberi che circondavano la piazza, i
marciapiedi, la tenda, la statua di Andrew Jackson che si intravedeva
alle spalle della veggente.
«Ehi! Che cosa significa questo?» esclamò Heidi, attirando
l'attenzione di Lauren sul tavolo dove Susan aveva girato una carta
raffigurante uno scheletro.
«È... la Morte, vero?» volle sapere Heidi.
Susan scosse il capo. «Questa carta spesso indica un cambiamento,
una fine da cui nasce un nuovo inizio. Tu stai per finire la tua vita da
single e iniziarne una nuova.»
«Wow» mormorò Heidi. Anche se aveva parlato in tono leggero,
Lauren pensò che sembrava sollevata e avvertì una nuova ondata di
disagio.
«E questa cos'è?» chiese Deanna, indicando un'altra carta.
«Gli Innamorati.» Susan guardò Heidi. «Puoi essere sicura che il tuo
fidanzato ti ama davvero. Tu sei tutto quello che ha sempre
desiderato e di cui ha bisogno nella vita.»
«Oh» sospirò Heidi, felice. «La cosa è reciproca.»
«Lo vedo» mormorò Susan.
«Filerà tutto senza intoppi alle nozze?» chiese Heidi.
«Non c'è matrimonio che fili senza qualche piccolo intoppo»
rispose Susan mentre raccoglieva le carte e ricomponeva il mazzo.
«Ma tu sei amata profondamente e ami a tua volta profondamente.»
«Grazie.» Heidi si alzò e guardò Lauren con un'espressione che
sembrava voler dire: Visto? Niente di cui avere paura.
Lauren sorrise tra sé, chiedendosi se avesse davvero ascoltato.
L'indovina non le aveva rivelato niente di specifico sulle nozze, solo
frasi generiche. E aveva detto che l'arcano della Morte indica spesso
un cambiamento.
Poi si chiese se non fosse lei a vedere significati nascosti dietro le
parole.
«Vai con la mano» disse Deanna. Lei e Heidi si scambiarono di
posto. Mentre stava per sedersi, Deanna lanciò un'occhiata allo
schizzo di Lauren e increspò la fronte.
«Che cosa c'è?» le chiese Lauren.
«Oh, niente... È molto bello. Solo che... hai messo al centro la
carta con lo scheletro.»
«Non è vero!» protestò Lauren, guardando il disegno. Era uno dei
suoi lavori più riusciti, pensò. Era solo un disegno a due dimensioni,
ma dava l'idea della profondità. Aveva colto la singolare bellezza di
Susan e l'atmosfera della piazza. Guardando il disegno si aveva quasi
l'impressione di sentire la musica.
Tuttavia...
Deanna aveva ragione. In qualche modo la carta dei Tarocchi era
disegnata con tanta minuziosità da attirare lo sguardo e diventare il
centro della composizione.
«Non farmi il ritratto» le sussurrò Deanna.
«D'accordo» le assicurò.
Accorgendosi che Susan le stava osservando, Deanna le rivolse un
mesto sorriso. «Lauren era fidanzata...»
«E lui morì» aggiunse Susan.
Wow, bel colpo, pensò Lauren, un po' irritata. Tuttavia la donna
aveva il cinquanta per cento di possibilità di indovinare: o si erano
lasciati o era morto. La realtà era che si era innamorata di un soldato
e lui era andato in guerra. Si erano scritti per sei mesi, dopodiché
aveva smesso di ricevere risposta alle sue lettere. Finché un ufficiale
non si era presentato a casa sua.
Il dolore aveva attraversato diverse fasi, dalla devastazione alla
collera, e infine, in qualche modo, ne era uscita. Non credeva che le
fosse rimasto qualche terribile blocco psicologico; era solo che in
quel momento non stava cercando attivamente un'altra relazione.
Ma se avesse incontrato la persona giusta...
Si sarebbe sentita pronta? Onestamente, non lo sapeva.
«Mi dispiace» le disse Susan, in un tono così sincero che la fece
sentire in colpa senza sapere bene perché.
«Grazie» rispose, ignorando la sensazione di disagio. «Ma questo è
il passato e noi stiamo guardando al futuro, non è così? Che cosa
dice la mano di Deanna?»
Susan si concentrò sulle linee del palmo e sollevò lo sguardo con
espressione grave.
«Allora?» chiese Deanna, impaziente.
«Finora mi dice soltanto che detesti i lavori domestici.»
Deanna rise. «Vero. Il fatto è che sono un disastro, così alla fine
rinuncio.»
«Non si preoccupi, ha una donna bravissima che va da lei due
volte alla settimana» intervenne Heidi.
Susan seguì con il dito una delle linee della mano.
«È la linea della vita, vero?» chiese Heidi.
Susan si strinse nelle spalle.
«Non sembra molto lunga» osservò Deanna, preoccupata.
Susan scosse il capo, guardandola in viso. «Spesso le cose sono
come le rendiamo noi. Le linee della mano... sono come le carte.
Può non significare affatto qualcosa di male. Indica un cambiamento
nella vita. Heidi per esempio sta per sposarsi.»
«Io non ho nemmeno un fidanzato fisso.»
«Sei una ragazza molto bella» disse Susan, criptica.
«Che cos'altro vede?»
«Qui...» continuò la veggente, indicando con un dito, «c'è il
successo in campo artistico. Sei intelligente e determinata.» Susan
alzò lo sguardo e la guardò negli occhi. «Quando sei concentrata su
qualcosa puoi farla accadere. Quando falliamo, il più delle volte è
perché abbiamo paura. Ricorda, tu possiedi talento e volontà. Non
lasciarti frenare da circostanze che possono sembrare negative. Sei
molto forte. E ci saranno dei cambiamenti.»
«Mi sposerò?» domandò Deanna.
Susan si strinse nelle spalle. «Le linee non me lo dicono. Posso
vedere che sei capace di intense emozioni e hai un carattere
generoso, che sei in grado di suscitare passione e amore intorno a
te.»
«Questo mi piace» sorrise Deanna.
Lauren la guardò, cercando di evitare lo sguardo di Susan. Molte
persone avrebbero potuto dirti le stesse cose, sembravano dire i suoi
occhi severi.
«Forza, Lauren, adesso tocca a te» la sollecitò Deanna.
«Ah, la sfera di cristallo per la nostra giovane artista» mormorò
Susan. Tuttavia non si mosse e abbassò lo sguardo.
«Credo che Susan sia stanca» osservò Lauren.
«Oh, no, non ti tirerai indietro!» insistette Heidi.
«Posso vederlo?» domandò Susan, indicando il disegno.
Lauren glielo tese.
«Sei molto brava» mormorò la donna. «Mi hai colta con grande
abilità.»
«Vorrei lavorarci di più. Le manderò una copia quando l'avrò
finito» promise.
Susan annuì e le restituì il disegno. Lauren chiuse l'album e lo
rimise in borsa.
«Sembra che abbia avuto una serata difficile, Susan» disse. «Ha
l'aria stanca. Non è obbligata a fare un'altra lettura.»
«Sta cercando di tirarsi indietro» intervenne Heidi.
Susan si alzò. Il suo volto era serio. «Credo proprio che dobbiamo
guardare nella sfera di cristallo.»
Heidi e Deanna fecero per alzarsi.
«C'è posto solo per una persona nella tenda, mi dispiace. La sfera è
molto diversa dalla lettura della mano e delle carte.»
Susan stava aspettando e alla fine Lauren la seguì nella tenda. I
suoni che venivano dalla piazza giungevano attutiti e quando si
sedette di fronte all'indovina fu come se il mondo esterno smettesse
di esistere.
«Il tuo fidanzato era un soldato?» le chiese, guardando nella sfera.
Lauren la guardò, sorpresa. «Sì.»
«Mi dispiace, davvero. Ma... c'è chi crede che il nostro destino sia
prestabilito e immutabile, e chi invece è convinto che ciascuno di noi
sia artefice del proprio futuro. Ciò che voglio dire, è che forse il tuo
fidanzato è morto perché altre persone potessero vivere.»
«Grazie, mi piace pensarlo» mormorò Lauren.
«Non esci molto con i ragazzi.»
«Qualche volta l'ho fatto.»
Susan le rivolse un sorriso enigmatico.
«Che cosa c'è?» domandò Lauren.
«Non esci con i ragazzi perché da quando il tuo fidanzato è morto
hai la sensazione di incontrare solo stupidi o approfittatori.»
«Non è facile trovare la persona giusta.»
Stavano chiacchierando normalmente, come se fosse una qualsiasi
conversazione in uno dei tanti locali della città. Eppure, al tempo
stesso, qualcosa era sottilmente cambiato da quando era entrata
nella piccola tenda.
A un tratto la sfera di cristallo si illuminò e al suo interno si formò
una nebbia rossastra.
Lauren la fissò, incapace di distogliere lo sguardo. Vedeva
vagamente il volto di Susan e si rese conto, come se fosse a una
grande distanza, che la veggente sembrava tesa, perfino angustiata.
«Devi andartene... Tu e le tue amiche dovete andare via di qui.»
«Sì» disse Lauren.
Ma non riusciva a muoversi. Aveva la sensazione di essersi
congelata sul posto, come se avesse tutti i muscoli paralizzati.
Poi al centro della sfera prese forma qualcosa di scuro, una
sagoma rossa e nera che si faceva più nitida con il passare dei
secondi.
Sembrava un uccello. Un essere alato...
A un tratto non lo era più, aveva preso la forma di un uomo.
Alto, con il viso scuro, la figura imponente.
Le parve di udire un suono e si rese conto che era una risata.
Ricca, profonda, minacciosa e... crudele.
Udì delle parole.
Dapprima erano pronunciate a voce così bassa che non riusciva a
distinguerle. Poi capì.
«Sto venendo per te. Sto venendo a prenderti» diceva la creatura
nella sfera.
«No» mormorò Lauren, lottando per tornare alla realtà. Qualcuno
le aveva sentite parlare poco prima, non c'era altra spiegazione.
Qualcuno aveva origliato le parole che Deanna aveva pronunciato
per scherzo.
«Lauren...» la chiamò l'uomo nella sfera di cristallo. «Sto arrivando,
Lauren... »
«No!»
«Verrò a prenderti. E sarai mia, in un mondo di sangue, tenebra e
morte.»
A quel punto Susan scattò in piedi, come se avesse spezzato
improvvisamente i legami invisibili che tenevano inchiodata anche
lei.
Emise un suono strozzato e agitò con violenza il braccio colpendo
la sfera di cristallo, che cadde dal tavolo e si infranse al suolo.
E mentre andava in frantumi, a Lauren parve di udire un ultimo
sussurro roco e l'eco di una risata malvagia.
Capitolo 3
Lauren si ritrovò fuori dalla tenda senza nemmeno sapere come ci
fosse arrivata. Tutto sembrava normale, e il padiglione della
veggente era tornato a essere esattamente ciò che era: una piccola
tenda rossa.
Era uscita di lì come se avessero concluso normalmente la breve
seduta e non avesse ascoltato altro che qualche bella predizione sul
suo futuro. Era di nuovo nel mondo reale, in mezzo alle luci al neon
e alla vita notturna della piazza. Una vita normale. Sentiva i passi
della gente e le risate, frammenti di conversazione, lo scalpitio degli
zoccoli dei muli che battevano il selciato, trainando carrozzelle piene
di turisti.
Heidi e Deanna la stavano fissando a bocca aperta, e questo non
era affatto normale.
Lauren si voltò per guardare all'interno della tenda. Le immagini
che aveva visto le apparivano ridicole, ora, ma la sfera di cristallo in
mille pezzi era lì a testimoniare che qualcosa fuori dell'ordinario era
veramente successo.
«Lauren!» esclamò Heidi, sgomenta. «Susan, ci dispiace tanto.
Naturalmente le ripagheremo il danno. Che cosa è successo?» Si fece
avanti, prendendo sottobraccio l'amica e abbassando la voce a un
sussurro. «So che non eri entusiasta della cosa, ma dovevi proprio
rompere la sfera?»
«È stato un incidente» protestò Lauren.
Era stato sul serio un incidente e non era stata lei a rompere la
sfera di cristallo. Ma al di là di questo, non era possibile che avesse
visto veramente quello che credeva di aver visto. Era stata
ingannata. Probabilmente si trattava di un qualche trucco da
baraccone, anche se ora sembrava impossibile con tutte le luci e i
rumori che la circondavano.
I dettagli di ciò che aveva visto e le parole che aveva udito
stavano svanendo dalla sua mente. Cercò di trattenerli, ma le
stavano sfuggendo. E lei incominciava a sentirsi una sciocca.
Era in condizioni psicologiche ed emotive peggiori di quanto
pensasse?, si chiese.
No!
Susan la stava ancora fissando e non sembrava preoccupata per la
sfera di cristallo quanto per Lauren stessa.
«Dove alloggiate, ragazze?» domandò.
«All'Old Cote» rispose Deanna.
Susan aggrottò la fronte. «Non lo conosco.»
«È un posto molto carino, con piccole villette a schiera. Ci abitava
una grande famiglia prima dell'uragano, ma l'hanno trasformato in
Bed&Breakfast per rifarsi in parte delle perdite. La nonna - immagino
che sia la matriarca della famiglia - ci ha preso gusto, e credo che lo
manterranno così per un po'. L'ho trovato su Internet» spiegò
Deanna, evidentemente orgogliosa della sua piccola scoperta.
«Dove si trova?» volle sapere Susan.
Deanna parve leggermente sorpresa dal suo tono insistente. «Oltre
Rue Conti e per fortuna ben lontano da Bourbon. Il rumore è bello
finché partecipi alla festa, ma quando vuoi dormire può essere
eccessivo.»
«Dovete spostarvi. Trasferitevi nell'albergo più grande e affollato e
prendete una stanza tutte e tre insieme. Dovete restare sempre in
gruppo finché non partirete da New Orleans» le mise in guardia
Susan.
«Ma abbiamo in programma di rimanere per diversi giorni» disse
Heidi. «È la mia festa di addio al nubilato.»
Susan scosse il capo con espressione costernata. Guardò Lauren, e
lei capì che poteva leggerle in faccia come si sentiva: cominciava già
a dubitare di quello che era successo, come se fosse stata vittima di
un trucco o di uno scherzo.
«Dovete partire al più presto.»
«Oh, andiamo...» replicò Deanna, impaziente.
«Le ripagheremo il danno» tagliò corto Heidi, che incominciava a
essere irritata.
«Siete venute per una lettura. L'avete avuta e adesso dovete
andarvene» ripeté Susan.
Heidi tirò fuori il portafoglio per pagarla, e quando vide che la
donna indietreggiava di qualche passo posò il denaro sul tavolo
scuotendo il capo. Poi prese sottobraccio Lauren, trascinandola via.
«Non ti lascerò scegliere mai più un'indovina.»
Mentre si allontanavano dalla piazza, Deanna scoppiò a ridere.
«Non vi sembra di essere entrate in un vecchio film dell'orrore?»
«Mi aspettavo che da un momento all'altro ci dicesse di guardarci
dal morso di un lupo mannaro» disse Heidi, unendosi alla sua risata.
«E tu hai creduto a tutti i suoi trucchi!» aggiunse, rivolta a Lauren.
«Non è vero» protestò lei, ma in cuor suo stava pensando: Sì, è
vero. Metteva i brividi là dentro.
Tuttavia si sentì un'idiota mentre oltrepassavano Royal Street, non
lontano da Bourbon. Piccole bande suonavano a ogni angolo di
strada e le note del jazz si mescolavano a quelle della musica rock.
«Abbiamo bisogno di un drink» sentenziò Heidi. «Dove andiamo?»
«Meow» disse Deanna.
«Come?»
«Al Cat's Meow. Karaoke.»
«Stai scherzando. Voglio bere» disse Heidi.
«Ecco perché il karaoke è perfetto» esclamò allegramente Deanna.
«Avrei bisogno di bere molto di più per cantare in pubblico»
replicò Lauren. Erano riuscite a farla ridere, ma non aveva voglia di
provare il karaoke più di quanta ne avesse avuta di sperimentare la
divinazione. «Aspettate!» disse, bloccandosi di colpo e costringendo
le amiche a fermarsi.
«Che cosa c'è, adesso?» chiese Deanna.
«Sono la schiava di Heidi, non la tua» la rimbeccò scherzosamente
Lauren. «E tu non vuoi andare sul serio al karaoke, vero?» domandò
voltandosi verso l'amica.
«Puoi scommetterci!» rispose l'interpellata.
Con un gemito, Lauren si lasciò trascinare nel locale.
Non era poi così male. Il gestore era un bell'uomo di colore con
una voce eccezionale. Anche la scelta musicale era ottima; la sala era
affollata di ballerini e tutti sembrarono apprezzare l'esecuzione di
Summer Nights che Heidi e Deanna fecero tra grandi risate.
Quando scesero dal palco, Lauren fu lieta di vedere che anche
loro incominciavano a sentire gli effetti del frastuono e della calca ed
erano pronte ad andarsene prima che toccasse a lei rendersi ridicola
in pubblico. Uscite dal locale, entrarono in un pub poco lontano,
con luci soffuse e un sottofondo di musica jazz.
«Ordinatemi uno di quei cocktail con le bollicine che ho bevuto
prima» disse Lauren quando ebbero trovato un tavolo. «Vado un
attimo in bagno.»
Lasciò le amiche e si fece strada fra i tavoli. Quando raggiunse
l'anticamera dei servizi, si scontrò con un uomo. Non si era resa
conto di camminare a testa bassa, immersa nei propri pensieri, e non
sapeva bene da dove fosse uscito quando gli era finita addosso.
Sollevò lo sguardo, scusandosi, e fece un passo indietro.
L'uomo era alto più di un metro e novanta e decisamente ben
piantato. Aveva capelli scuri, di lunghezza media, e anche nella
penombra del locale si notavano gli occhi di un blu intenso e
luminoso. Doveva essere sulla trentina, con bei lineamenti scolpiti,
zigomi alti, naso lungo e diritto, mascella decisa e fronte alta. La
bocca era generosa, del tipo che può indurirsi in una linea sottile o
piegarsi in un rapido sorriso.
Era indubbiamente attraente, anche se la sua non era la bellezza di
un modello. Piuttosto, si aveva l'impressione che fosse un uomo che
vive secondo le proprie regole, incurante dell'opinione altrui.
«Mi scusi» disse Lauren, rendendosi conto che lo stava fissando.
D'altra parte anche lui la stava guardando. Sembrava quasi che
avesse visto un fantasma.
«Katie» mormorò.
«Lauren» lo corresse automaticamente lei.
Lui fece un passo indietro, continuando a fissarla con sguardo
incandescente. «No, mi scusi. Lei mi ricorda una persona. Mi sono
sbagliato. Scusi.» Tuttavia non si mosse e non distolse lo sguardo da
lei.
Come se la conoscesse davvero.
Ma non era possibile. Si sarebbe ricordata di lui se le loro strade si
fossero già incrociate. «Io... ehm... devo andare» borbottò.
«Certo.»
Ma continuò a fissarla e lei si sentì arrossire.
Era sicura di non averlo mai visto prima, anche se le sarebbe
piaciuto fare la sua conoscenza.
Naturalmente poteva presentarsi. Erano in un pub, e non ci
sarebbe stato niente di strano: succedeva spesso, nei locali, e alcuni ci
andavano appositamente per conoscere gente.
Ma lei non era quel tipo di persona. Non usciva con un uomo da
quando... be', solo da quando era morto Ken, in effetti. Ci aveva
provato con il proprietario di un negozio di stampe che Deanna
aveva deciso di presentarle, ma non aveva funzionato.
Semplicemente non si sentiva attratta da lui. Forse la ferita era
ancora aperta, il senso di perdita troppo intenso. Era stata molto
innamorata del suo fidanzato. Ken la faceva sorridere, la faceva
ridere. Si era sentita attratta da lui sin dall'inizio. Non c'era niente
che non andasse nel negoziante. Solo che non era il suo Ken. Solo
che non si era sentita attratta da lui.
Quello sconosciuto che la stava fissando, invece... be', l'attirava
decisamente.
Quel pensiero la fece arrossire. C'erano persone che abbordavano
gli sconosciuti nei bar. Ma lei non era una di quelle. Si trovava lì solo
per Heidi.
Sorrise. «Sono davvero spiacente di esserle finita addosso. E adesso
devo proprio andare.»
«Giusto. Mi scusi.» L'uomo si fece da parte.
Lauren lo oltrepassò, diretta verso la porta con la scritta Signore,
ma prima di entrare non poté fare a meno di voltarsi.
Lui la stava ancora guardando.
Fantastico. Stava entrando nella toilette in un corridoio poco
illuminato e un uomo bello ma potenzialmente pericoloso non le
toglieva gli occhi di dosso.
Aprì la porta, la richiuse alle proprie spalle e si appoggiò al
battente. Non c'era chiave nella serratura; solo le singole toilette si
potevano chiudere dall'interno.
Dovrei tornare al tavolo e chiedere a Heidi o a Deanna di
accompagnarmi, pensò. Sto per essere aggredita nel bagno di un
locale di Bourbon Street.
Stai diventando ridicola, si disse subito dopo. Doveva essere colpa
di quel senso di disagio che le era rimasto dentro dopo l'esperienza
nella tenda dell'indovina. Probabilmente la donna stava ancora
ridendo di loro. Forse avrebbero dovuto riferire l'incidente all'ufficio
turistico. Sciocchezze! Cercare di spaventarle e dire loro di lasciare la
città non favoriva certo gli affari.
Socchiuse la porta e sbirciò fuori.
L'uomo non c'era più. Lauren si sentì sollevata, e al tempo stesso
un po' delusa.
Sospirò, irritata con se stessa perché era così nervosa.
Riluttante a tornare subito al tavolo, si sciacquò il viso con l'acqua
fredda e si lavò le mani, dandosi della stupida. Quando finalmente
uscì dalla toilette, l'anticamera era deserta.
Il locale si era riempito durante la sua assenza. Mentre si faceva
strada tra la calca, notò che Heidi era rimasta sola al tavolo.
Aggrottando la fronte, individuò Deanna al banco, che parlava con
un uomo alto dai capelli scuri. Con un tuffo al cuore, si chiese se
fosse lo stesso uomo.
No, a meno che non si fosse cambiato, razionalizzò. Quello con
cui si era scontrata indossava una camicia di sartoria; questo era
vestito in modo più casual.
Si diresse verso il banco. Deanna aveva bevuto più di lei quella
sera, e Lauren non voleva che desse troppa confidenza a uno
sconosciuto in quelle condizioni,
D'altra parte, non era Deanna che stava per sposarsi. Era libera di
flirtare con chi voleva.
A quanto pare mi preoccupo per qualsiasi cosa, stasera, pensò.
Mentre si avvicinava al banco, l'uomo che parlava con Deanna si
girò e si diresse verso l'uscita,
«Oh, eccoti qui» la salutò l'amica vedendola. «Sua Maestà vuole
altre ciliegie per il suo cocktail» aggiunse con un sorriso.
Lauren si sforzò di sembrare allegra. Deanna non sembrava per
niente sbronza, pensò. Era solo più vivace del solito. «Fantastico»
disse. «Chi era quel tipo?»
«Quale?» Deanna increspò la fronte e si gettò dietro le spalle i
lunghi capelli neri.
«Quello che era qui poco fa.»
«Oh. Solo un tipo.»
«Interessante?»
«Sì, abbastanza.»
«E...?»
«Gli ho detto che stasera ero in compagnia.» Deanna rise. «Sono
grande, non devi preoccuparti per me.»
«Non ero preoccupata» mentì Lauren.
«Sì che lo eri. E lo sei ancora. Sei... tesa» ribatté l'amica, e sospirò.
«Non avremmo dovuto spingerti ad andare dall'indovina.»
«Non dire sciocchezze.»
«Quella donna aveva qualcosa di strano.»
«Era molto bella, non trovi?»
«Un viso interessante da ritrarre, ma strano. Vieni, torniamo al
tavolo. Heidi sta aspettando le ciliegie.»
La jazz-band che si esibiva nel locale era eccezionale; sembrava
che i musicisti suonassero insieme da sempre. Una volta seduta,
Lauren si lasciò assorbire dalla musica e sorrise. Dopotutto veniva
dalla Louisiana ed era stata centinaia di volte a New Orleans.
Conosceva bene la città. Chissà perché si era lasciata intimorire dai
trucchi di un'indovina di Jackson Square.
«Allora non vuoi dirci dove andrete in luna di miele?» chiese
Deanna.
Heidi si strinse nelle spalle. «Lo dirò a voi, ragazze, ma non agli
amici di Barry. Un paio di loro sono abbastanza svitati da
raggiungerci.»
«Allora?» la sollecitò Lauren.
Heidi si sporse verso di loro, l'amore che provava per il promesso
sposo evidente nel sorriso malizioso e negli occhi scintillanti. «Fiji»
disse.
«Fiji. Wow!» commentò Lauren.
«Credi davvero che gli amici di Barry si farebbero vedere alle Fiji?»
domandò Deanna.
«Non si sa mai. Quello che posso garantirvi è che in quel caso
finiremmo tutti nella piscina, che legherebbero le lattine all'auto e
farebbero tutte le cose assurde tipiche dei ragazzi. Alcuni di loro
sono già laureati e un paio sono perfino avvocati, come Barry, ma vi
assicuro che si comportano ancora come una banda di ragazzini.»
«Non stai per sposarti con loro. Solo con Barry» le ricordò
Deanna.
«Lui è meraviglioso» dichiarò Heidi, addentando la ciliegia infilata
nello stuzzicadenti del cocktail.
«È un bravo ragazzo» convenne Lauren.
«E ha degli amici piuttosto attraenti. Svitati ma attraenti» aggiunse
Deanna.
«Posso combinare un incontro quando vuoi» propose Heidi.
«Grazie, ma preferisco arrangiarmi da sola. Vedremo cosa
succederà alle nozze» rispose Deanna.
Lauren sbadigliò e si affrettò a scusarsi.
«È tardi, vero?» chiese Heidi.
«Non per New Orleans. E questa è la tua festa» le assicurò lei.
«Lo so, ma credo che preferirei rientrare nel nostro simpatico
B&B.»
«Perfetto. Ai tuoi ordini, mia signora» scherzò Lauren.
Entrambe guardarono Deanna, chiedendosi se avrebbe sollevato
obiezioni.
«Okay» capitolò la ragazza con una risata. «Lo ammetto, sto
crollando anch'io. Certo che siamo patetiche, però! Sono sicura che
all'addio al celibato di Barry andranno avanti per tutta la notte.»
«Già, ma la sua festa dura solo una notte mentre noi abbiamo un
intero weekend» le ricordò Heidi. «Abbiamo ancora tempo per
divertirci e fare shopping.»
«Brindiamo alle Fiji, allora» disse Lauren.
«Sì, alle Fiji.» Heidi fece tintinnare il bicchiere contro quello delle
amiche. «E alle migliori amiche del mondo.»
«Questo vale anche per te» ricambiò Lauren.
«Evitiamo di diventare sdolcinate, per cortesia» disse Deanna.
«Se Heidi vuole che siamo sdolcinate lo saremo. È lei che
comanda.»
«Okay» si arrese Deanna. «Però facciamolo mentre torniamo al
B&B, d'accordo?»
«Mi sembra ragionevole» approvò Lauren.
Mentre si incamminavano, discussero dei negozi che Heidi voleva
visitare il mattino seguente.
Lungo Bourbon Street, tutto sembrava perfetto a Lauren. Il
quartiere era più tranquillo di prima, ma i pub erano ancora aperti e
c'era parecchia gente in giro. Piccoli gruppi uscivano dai locali e
alcuni ambulanti distribuivano volantini con la pubblicità dei locali di
striptease. Un gruppo che sembrava composto di pensionati
camminava di buon passo poco più avanti. Tra loro c'erano della
coppie che sembravano aver vissuto insieme parecchi anni e si
tenevano ancora per mano. Sorridendo, Lauren pensò che
sembravano un po' fuori posto. Ma in fondo chi era lei per
giudicare?, si disse. Evidentemente erano giovani nello spirito.
Avevano lasciato da poco Bourbon, quando incominciò ad
avvertire una bizzarra sensazione di timore.
Le strade non erano più così illuminate e non c'era molta gente.
Le voci di Heidi e Deanna parvero svanire. Non le stava più
ascoltando. Osservava le ombre.
Aveva l'impressione che si muovessero troppo. Gli edifici che si
susseguivano a poca distanza l'uno dall'altro avrebbero dovuto
essere fermi. Invece la loro ombra si muoveva, diventando più lunga
e spettrale.
E poi c'era la brezza.
Non l'aveva avvertita in Bourbon Street, ma ora soffiava con una
forza inquietante.
Affrettò il passo.
«Ehi!» Il grido di protesta di Heidi penetrò nella sua coscienza,
risvegliandola da quella strana sensazione di straniamento.
«Come?» chiese.
«Dobbiamo proprio correre?»
«Sì, penso che sia meglio affrettarci» rispose lei.
«Avevi detto che questo è un quartiere sicuro» protestò Heidi.
«Lo è ma... è molto tardi.»
«Guarda. Là davanti» disse Deanna.
«Che cosa?» domandò Lauren, sentendo accelerare i battiti del
cuore.
«Un poliziotto a cavallo.»
«Oh.» Lauren rallentò il passo mentre passavano davanti al
poliziotto, che si portò la mano all'elmetto e augurò loro la buona
notte prima di proseguire verso Bourbon Street, ma non appena si fu
allontanato non poté impedirsi di accelerare il passo.
«Lauren, vai più piano» la pregò Deanna. «Le mie gambe non
funzionano molto bene.»
«Questo perché vogliono stendersi su un letto» replicò lei.
«Le tue sono più lunghe delle mie» le ricordò l'amica.
Stringendo i denti, Lauren si costrinse a rallentare. Era spaventata
senza sapere perché. Ed era in collera. Non aveva mai avuto paura a
New Orleans prima d'allora.
Tutta colpa di quella dannata indovina.
Si costrinse a rallentare il passo, ma non poté impedirsi di scrutare
le ombre. Benché continuasse a ripetersi che era ridicolo, era
convinta che non si comportassero come si sarebbero dovute
comportare delle normali ombre. Aveva l'assurda sensazione che la
stessero spiando.
Quando finalmente intravide in lontananza il Bed&Breakfast, con
il suo grazioso cortile e i bungalow a schiera, dovette fare uno sforzo
per non mettersi a correre.
Varcando i cancelli in ferro battuto, tirò un sospiro di sollievo
sperando che non fosse troppo evidente. L'edificio principale, che
risaliva al 1840, era circondato da bungalow. Quello in cui
alloggiavano loro si trovava proprio di fronte alla piscina.
Lauren trascinò letteralmente le amiche verso l'ingresso.
«Finalmente siamo arrivate. Adesso potrete riposarvi, non siete
contente?»
Deanna sbadigliò tirando fuori la chiave e aprì la porta. «Già, già,
grandioso, siamo a casa.» Poi si voltò e disse in tono meditabondo:
«Guardate che aria invitante ha la piscina».
«Vuoi andare a nuotare... adesso?» trasecolò Lauren.
«Be', sono tutta sudata... dal momento che mi hai fatto fare la
strada di corsa» rispose Deanna.
«Faremo troppo rumore» protestò lei.
«Nessuno ci ha detto che non possiamo usare la piscina di notte»
osservò Heidi.
«Abbiamo bevuto tutte un po' troppo. Nessuno verrebbe a
salvarci se dovessimo annegare» obiettò Lauren, che non vedeva
l'ora di entrare e chiudere la porta a chiave.
«Ha ragione» cedette Heidi. «Abbiamo bevuto troppo.»
«Bene.» Lauren spalancò la porta e accese la luce. Fu felice di
scoprire che avevano lasciato il televisore acceso e che stavano
trasmettendo una commedia brillante degli anni Settanta e non un
film dell'orrore.
«Come ci sistemiamo?» domandò Heidi. C'erano due letti gemelli
nell'unica stanza da letto e un divano letto nel grande soggiorno con
angolo cottura in cui si trovavano.
«Io dormirò qui, voi due potete prendervi la stanza» rispose
Lauren. Avrebbe dormito anche su un pavimento di legno in quel
momento, tanto era sollevata di aver raggiunto finalmente il
Bed&Breakfast.
«Sei sicura? Se vuoi, puoi dividere il letto con una di noi» propose
Deanna.
«No, grazie. Tu russi quando hai bevuto» rispose Lauren,
sorridendo. «Starò benissimo qui.»
«Io non russo!» protestò Deanna.
«Sì, invece» confermò Heidi sogghignando. «Ma solo quando hai
bevuto.»
«Humph» borbottò Deanna, dirigendosi verso la camera da letto.
«Immagino che questo significhi che userà per prima il bagno»
commentò Heidi, stringendosi nelle spalle. «Be', io mi metto il
pigiama e crollo.» Abbracciò Lauren augurandole la buona notte.
«Grazie, questo è il più bel viaggio che abbia mai fatto.»
«Sono d'accordo» convenne lei, anche se non era affatto convinta
che fosse vero.
Rimase a guardare mentre anche Heidi entrava in camera da letto,
poi si accinse ad aprire il letto estraibile. Non era poi tanto male,
considerò. Nell'armadio trovò lenzuola e cuscini in abbondanza e
riuscì a lavarsi i denti e il viso nel piccolo bagno di servizio accanto
alla cucina.
Si infilò calzoncini e maglietta, spense tutte le luci tranne quella del
bagno, e decise di lasciare acceso il televisore perché le voci della
commedia la accompagnassero nel sonno. Poi si affacciò alla finestra
che dava sul cortile e sulla piscina, convinta che quel gesto l'avrebbe
rassicurata. Invece avvertì un brivido gelido lungo la spina dorsale.
C'era qualcuno là fuori. Un uomo. Era appoggiato a un lampione,
sulla strada. Riusciva a vederlo perfettamente nonostante l'inferriata
che circondava il complesso, e sapeva che stava osservando il loro
bungalow.
Si rese conto, terrorizzata, che conosceva quell'uomo.
Alto, capelli scuri, penetranti occhi blu... Era l'uomo che aveva
urtato nel pub.
Un grido le si gelò in gola. Ma in quel momento, come se si fosse
accorto di essere stato visto, lo sconosciuto si staccò dal lampione e
si allontanò. Lauren rimase a guardare la sua schiena per qualche
secondo, prima che scomparisse alla vista.
Soltanto dopo qualche istante si rese conto che stava stringendo
convulsamente le tende fissando la strada buia. La notte ora
appariva del tutto tranquilla e normale.
Si morse il labbro inferiore, chiedendosi se fosse il caso di chiamare
la polizia. Che cosa poteva dire? Che non aveva prove, ma era sicura
che un uomo incontrato in un locale le avesse seguite fino all'albergo
e spiasse il loro bungalow? Messa così, sarebbe stata un'ulteriore
preoccupazione per uomini che dovevano affrontare problemi reali
come
drogati,
malviventi
e
ubriachi
molesti.
Eppure,
indipendentemente da quello che avrebbe pensato la polizia, era
sicura che fossero... braccate.
Guardò verso la camera da letto. La porta era socchiusa e la stanza
silenziosa. Probabilmente Heidi e Deanna si erano già addormentate.
D'accordo, decise, avrebbe chiamato la polizia e chiesto se una
pattuglia poteva fare un paio di giri di controllo durante la notte.
L'avrebbero presa sicuramente per una svitata, ma era sempre
meglio che...
Una volta presa la decisione, si allontanò dalla finestra, chiuse la
porta della camera da letto e telefonò alla polizia senza usare il
numero delle emergenze. Le rispose un agente molto educato che
prese l'informazione assicurandole che non era affatto un'idiota e
promettendole che un'auto avrebbe tenuto sotto sorveglianza
l'albergo per tutta la notte.
Quando riagganciò, si sentì quasi compiaciuta. Prese una lattina di
Coca dal frigorifero e si rannicchiò sul divano a guardare la
televisione.
A un tratto il freddo della bibita sembrò penetrarle nelle ossa,
mentre la sua mente tornava ai vaghi ricordi di quanto era successo
nella tenda dell'indovina. E mentre sedeva da sola al buio, i dettagli
della scena parvero farsi più chiari. Aveva la netta e inquietante
sensazione che l'essere malvagio nella sfera di cristallo non fosse stato
soltanto uno scherzo dell'immaginazione.
E che nemmeno una dozzina di poliziotti potessero far fronte al
pericolo agghiacciante che rappresentava.
L'aveva visto. Fantastico. Adesso avrebbe pensato che le stesse
dando la caccia.
Lui stesso era ancora sotto shock. Non era possibile che quella
donna somigliasse così tanto a Katie, eppure... Era come se la sua
fidanzata fosse stata clonata. Perfino il suo sorriso, il modo in cui
arrossiva o inarcava lievemente le sopracciglia... erano identici a
quelli di Katie.
Mentre si allontanava dal Bed&Breakfast, era fin troppo
consapevole che probabilmente la donna in questione lo stava
ancora guardando dalla finestra.
Poi notò sorpreso che c'era una luce accesa sul portone della
costruzione principale e che l'interno era ancora illuminato.
Decise di andarsene, ma poco dopo cambiò idea e tornò sui
propri passi. Le tende del cottage erano tirate. La donna non poteva
più vederlo. Salì i gradini del porticato e spinse la porta della
costruzione principale. Era aperta.
«Salve. C'è qualcuno?»
Un lungo corridoio conduceva a un bancone. Mentre avanzava,
pensò che l'ambiente gli ricordava un altro Bed&Breakfast, il
Cornstalk, uno dei più belli di New Orleans. Una scalinata curva
conduceva al piano superiore mentre tutt'intorno alla hall si
aprivano le camere del pianterreno. Niente era fatto in serie;
probabilmente ogni stanza era arredata in modo diverso.
«Salve!» lo salutò una voce cordiale che proveniva dall'estremità
opposta della hall.
Mark si diresse verso il banco della reception, dietro il quale
sedeva una donna sulla sessantina, dai capelli bianchi striati
d'argento. Davanti a lei erano sparse delle carte e sul tavolo alla sua
sinistra c'era un computer.
«Ho visto le luci accese» disse Mark.
«Dovrei chiudere e andare a letto, ma ho scoperto che mi piace
molto fare la locandiera.» La donna aveva un bel sorriso, occhi scuri
e sembrava circondata da un'aura di energia anche se era immobile.
«Mi chiamo Lilly Martin. Come va?»
«Piacere, Mark Davidson. Il suo Bed&Breakfast è molto bello. Mi
chiedevo se avesse un bungalow libero.»
La donna inclinò leggermente il capo. «Cerca una stanza alle tre
del mattino?»
Mark rise. «Ho già una stanza, ma ho visto questo posto e l'ho
trovato incantevole.»
Lilly Martin arrossì di piacere. «La ringrazio. Sì, in effetti ci sarebbe
un bungalow libero. Ma non sono sicura che sia giusto affittarlo.
Non posso darglielo gratis e non posso nemmeno addebitarle una
notte intera.»
«Potremmo spartirci la differenza» suggerì lui.
«Perfetto. Affare fatto.»
Lilly si voltò verso il computer. «Vediamo. Mark Davidson.
Indirizzo, telefono, durata del soggiorno... Paga con la carta di
credito?»
Mark esibì patente e carta di credito. Mentre la donna registrava
le informazioni, sbirciò il monitor del computer da sopra la sua
spalla. Vi comparivano tutte le registrazioni del giorno.
Scorse rapidamente lo schermo. Facile. Le ragazze erano nel
cottage numero cinque.
Lauren Crow, Heidi Weiss, Deanna Marin.
Si ritrasse sorridendo.
Mentre inseriva i dati al computer, Lilly gli chiese: «Non per essere
indiscreta, Mark, ma che cosa fa per vivere?».
«Scrivo.»
«Oh! Ho letto qualcosa di suo?»
Lui esitò. «Probabilmente no. Per lo più scrivo articoli sportivi per
le agenzie di stampa» mentì.
Lilly lo guardò con la coda dell'occhio. «Hmm. E pensare che la
credevo un modello di biancheria intima.»
«Come?»
Lilly rise. «Mi scusi. Sembra uno di quei ragazzi della pubblicità.»
«Uh, grazie... credo.»
«Oppure un ninja» aggiunse lei.
«Un ninja?»
Lilly rise nuovamente. «Che sciocca. Okay. Forse un poliziotto, o
magari un agente dell'FBI.»
«Solo un giornalista» replicò Mark. «Ma la ringrazio.» Un ninja?
Dieci minuti dopo Lilly aveva completato la registrazione e lui
aveva la chiave del suo bungalow. Tuttavia esitava ad andarsene.
«Dovrebbe davvero chiudere a chiave a quest'ora di notte» consigliò
alla donna.
«Lo so. I miei figli mi sgridano sempre.»
«Come è giusto che sia.»
«Ma così facendo ho affittato un altro bungalow, no?» ribatté lei
in tono cordiale.
Mark le strinse le mani. «Sì, ma non è sicuro, Lilly. La prego,
chiuda molto, molto più presto, d'accordo?»
La donna emise un lungo sospiro. «Sì, certo, ha ragione. Ma non
faccia la spia, d'accordo?» aggiunse ammiccando. «In ogni caso è ora
di andare a dormire per tutti e due. Al mattino, caffè e croissant
vengono serviti in sala da pranzo, alla sua sinistra, oppure nel patio,
accanto alla piscina.»
«Magnifico, grazie. Vado a prendere le cose che ho lasciato nel
mio orribile albergo» le disse con un sorriso. «Tornerò subito.»
Lasciò che Lilly lo accompagnasse alla porta e, una volta uscito,
controllò che chiudesse a chiave. Lo preoccupava un po' l'idea di
trasferirsi lì; sperava che la sua presenza non mettesse in pericolo
Lilly.
Del resto, se lui pensava che quella ragazza assomigliasse a Katie,
l'avrebbe pensato anche Stephen. E Mark era certo che Stephen fosse
lì. Aveva seguito le sue tracce dall'Abruzzo a Cannes, poi a Essex e
infine a New Orleans ed era solo questione di tempo prima che
vedesse la ragazza. Sempre ammesso che non fosse già successo.
Sì, Stephen era lì. Poteva sentirlo.
Non si aspettava di incappare in così tanti vampiri nell'arco di una
sola giornata. Quella sera avrebbe giurato di aver finalmente
localizzato la creatura che cercava, e invece si era sbagliato. Era così
ossessionato da Stephen che gli sembrava di vederlo in tutti gli
uomini alti e scuri su cui posava lo sguardo?
In ogni caso, era stata una buona notte di lavoro. Non
rimpiangeva di aver ucciso il vampiro al cimitero: aveva salvato
almeno una vita.
Tuttavia...
La sete di vendetta era come un fuoco che ardeva dentro di lui. E
adesso tutto era più complicato.
Perché era come se Katie fosse ritornata in vita.
Sto ancora dormendo... e questo è un sogno, pensò Lauren.
Doveva essere così.
Era lì, al pub.
E c'era anche lui.
Le disse qualcosa, scherzando come se fossero amici da sempre.
Anzi, come se fossero innamorati da sempre. Sentiva un odore che le
solleticava i sensi, ed esercitava il suo effetto non solo sul corpo ma
anche sulla mente, risvegliando la sua sensualità dall'interno,
sfiorando le zone più erotiche.
Poi lui la toccava, la accarezzava.
Si svegliò bruscamente nell'udire un sommesso click. Si rese conto
che il televisore era rimasto acceso; ora trasmetteva una pubblicità di
pillole dietetiche.
Il sogno indugiava ancora nella sua mente, ma era sicura che non
fosse stata la tivù a svegliarla.
La porta! Aveva sentito la porta che si apriva.
Balzò a sedere, guardandosi intorno. Il chiavistello era sollevato.
Istintivamente spalancò il battente, pensando solo in un secondo
momento che era la cosa più stupida da fare. Poi però fu contenta di
averlo fatto.
Deanna era fuori, in piedi all'estremità della piscina, e parlava ad
alta voce, come se discorresse con una persona invisibile o con
qualcuno che se n'era appena andato.
Lauren corse verso di lei, chiamandola per nome. «Deanna!»
La ragazza non si mosse.
Lauren le si piazzò di fronte, l'afferrò per le spalle e la fissò negli
occhi. Erano vitrei, come se non la vedesse nemmeno.
«Ehi!» disse, scuotendola. Niente. «Deanna!» Un'altra scossa, più
forte.
Finalmente la ragazza sussultò, sgranando gli occhi,
allarmata. «Lauren?»
«Si può sapere che cosa ci fai qui?»
«Dormivo» mormorò, confusa.
«Camminavi nel sonno» la corresse Lauren, a sua volta sconcertata.
Deanna non aveva mai sofferto di sonnambulismo, almeno per
quanto ne sapeva lei.
«Incredibile» disse Deanna, facendo vagare lo sguardo sugli alberi
del giardino, sulla superficie baluginante della piscina, sulle ombre
della notte. «Sono fortunata a non essere caduta in piscina e
annegata.»
«Non ricordi nemmeno di essere uscita? Davvero?»
Deanna scosse il capo e gemette. «Non voglio più saperne di quei
drink con tutti quei superalcolici, festa di nubilato o meno.»
«Ben detto» approvò Lauren, ripensando con un brivido all'uomo
che aveva visto accanto alla piscina poco prima. E se fosse stato
ancora lì nei paraggi?, si chiese. «Torniamo dentro.» Una volta nel
bungalow sprangò la porta. «Metterò una sedia davanti alla porta»
decise.
Deanna la strinse in un rapido abbraccio. «Grazie» disse con voce
roca.
Dopo che l'amica fu tornata in camera da letto, Lauren si sdraiò
nuovamente, turbata. Era così stanca che non riusciva a tenere gli
occhi aperti. Si assopì.
E sognò.
Mark tornò al Bed&Breakfast con l'auto e i bagagli. Guardò
l'orologio: erano le quattro del mattino.
Dopo aver parcheggiato e preso con sé la borsa, si fermò qualche
istante nel cortile, pervaso da uno strano disagio.
Qualcuno era stato lì. Lo sentiva dall'odore.
Lasciò cadere la borsa per terra e corse verso il bungalow in cui
alloggiavano le tre ragazze. Provò ad aprire la porta. Chiusa. Pregò
che fosse rimasta così da quando se n'era andato.
Quella faccenda non gli piaceva. Non gli piaceva per niente.
E se Stephen avesse scoperto la ragazza, quella che assomigliava a
Katie?
Era tentato di bussare alla porta per assicurarsi che le ragazze
stessero bene, ma tutto lasciava pensare che stessero dormendo
pacificamente. E se l'avessero considerato un pazzo pericoloso non
sarebbe stato più in grado di aiutarle.
Lo sfiorò il pensiero di usare le ragazze come esca per attirare la
creatura cui stava dando la caccia.
No, si disse subito dopo, stringendo i denti. Niente esche, mai.
Rimase a fissare la porta ancora per qualche istante, poi scrutò il
cortile, controllando ogni angolo. Chiunque fosse stato lì, se ne era
andato. Probabilmente da tempo. Si allontanò a malincuore dalla
porta e si diresse verso il suo bungalow.
Per fortuna era quello accanto.
Lauren si svegliò con la luce del sole che filtrava attraverso le
tende e il cinguettio degli uccelli.
Aggrottò la fronte aprendo gli occhi, nonostante il miracolo
meraviglioso della luce del giorno. Almeno non aveva fatto sogni
spaventosi con indovine e creature mostruose in sfere di cristallo, si
disse. E non aveva sognato nemmeno Deanna che usciva in cortile,
profondamente addormentata. Quella era stata un'esperienza
davvero spaventosa, e reale.
Invece, aveva ripreso il sogno che aveva iniziato prima di uscire a
cercare l'amica, e anche quello era stato altrettanto spaventoso.
E fin troppo reale.
Aveva sognato di nuovo quell'uomo.
Il ricordo la fece arrossire. Era così strano. La sua mente l'aveva
riportata nel pub, al momento in cui era finita addosso allo
sconosciuto.
Era stato incredibilmente erotico. E assurdamente reale. Aveva
visto le pareti del locale con i loro poster dei grandi del jazz. Aveva
avvertito perfino il vago odore di alcol che aleggia in ogni bar e il
sentore di fumo stantio. Aveva visto le ombre e le luci soffuse. E lui.
Si erano scambiati uno sguardo e un attimo dopo si era trovata tra le
sue braccia, senza presentazioni, senza nemmeno qualche chiacchiera
banale per rompere il ghiaccio. Per fortuna non ricordava come si
fossero liberati dei vestiti, ma sicuramente era nuda, come lo era lui,
nella penombra del corridoio. Bruciava di desiderio, sentiva il calore
del suo corpo, la sua essenza vitale mentre la teneva stretta
schiacciandola contro la parete. Poteva quasi ricordare la sensazione
delle sue labbra sulla bocca e sulla pelle. La potenza del suo membro
mentre facevano sesso contro la parete del pub.
Anche se era stato soltanto un sogno, era umiliante. Lei non
avrebbe mai fatto una cosa del genere nemmeno in mille anni, tanto
meno con uno sconosciuto. Una persona, per giunta, che poteva
essere decisamente pericolosa.
Emise un gemito. Aveva un disperato bisogno di una relazione
affettiva, si disse, sedendosi sul letto e stiracchiandosi con un sorriso.
Un nuovo giorno. Era sicura che una volta alzata, dopo aver
bevuto un caffè e fatto la doccia, il ricordo del sogno sarebbe
sbiadito. Decise che non poteva nemmeno raccontarlo a Heidi o a
Deanna. Era troppo imbarazzante. Troppo... intimo.
Scosse il capo, si alzò e si diresse spedita verso la macchina del
caffè.
Heidi e Deanna erano ancora nel mondo dei sogni. Poteva vedere
la testa scura in un letto e quella bionda nell'altro. Decise di
approfittare del fatto che dormivano per fare la doccia.
Mentre si infilava sotto il getto d'acqua, le sfuggì un gemito. Non
era esattamente paura quella che provava, ma si sentiva fuori posto
nella propria pelle, non riusciva a liberarsi della sensualità del sogno.
Continuava a immaginare le sue mani e le sensazioni che le
trasmettevano sulla pelle nuda.
Terminò la doccia il più rapidamente possibile.
Decisamente, aveva bisogno di una relazione stabile, si ripeté. Ma
non era così facile. Aveva passato l'età in cui cercava solo di divertirsi
mentre costruiva la propria carriera. Voleva qualcosa di più solido:
impegno, rispetto... e naturalmente passione. Qualcosa di simile a
quello che aveva vissuto con Ken. Deanna le diceva sempre che non
c'era bisogno di prendere un impegno al primo appuntamento e che
non avrebbe mai scoperto se un uomo le piaceva abbastanza da
amarlo se non gli concedeva almeno una chance. Ma era difficile
tornare ai primi appuntamenti dopo essere stata già fidanzata,
innamorata e pronta a costruire un nuovo futuro. La sola idea le
dava fastidio. La faceva sentire a disagio. E non voleva correre il
rischio di soffrire di nuovo.
Mentre versava il caffè, Deanna emerse dalla camera da letto.
Aveva un'aria stanca e arruffata.
«Che Dio ti benedica, bambina» la salutò. «Caffè.»
«Ne prenderemo un altro nel patio quando faremo colazione»
disse Lauren. E dopo una breve esitazione le chiese: «Ti senti bene?».
«Solo un po' stanca» rispose lei.
«Be', ti sei data parecchio da fare nel bel mezzo della notte» le
ricordò Lauren.
Deanna prese una tazza di caffè e lo sorseggiò. «Non mi era mai
successa una cosa del genere in vita mia.»
«Troppo alcol» suggerì Lauren.
«Quello, in effetti, mi è già successo» ammise Deanna.
«Non ricordi proprio niente?»
La ragazza scosse il capo, ma abbassò lo sguardo. Lauren pensò
che c'era sotto qualcosa di più, anche se preferì non forzarla. Poteva
solo sperare che Deanna si sarebbe confidata con lei quando si fosse
sentita pronta.
Andò alla porta e rimosse la sedia che aveva incastrato sotto la
maniglia. «Bene, vediamo se la luce del sole che splende sulla piscina
ci aiuta a cominciare bene la giornata.» Aprì la porta.
Sullo zerbino c'era un giornale.
Si chinò a raccoglierlo e automaticamente lesse il titolo in prima
pagina.
CADAVERE DI DONNA SENZA TESTA
RIPESCATO NEL MISSISSIPPI .
Capitolo 4
Mark era seduto in cortile a bere il caffè e a leggere il giornale,
munito di occhiali da sole. Provò un senso di amara fatalità di fronte
a quel titolo a caratteri cubitali, e niente di ciò che lesse nell'articolo
lo sorprese.
La donna trovata senza testa veniva chiamata Jane Doe, come
tutte le vittime non ancora identificate. Il coroner stimava che fosse
morta da sette a dieci giorni prima e che il suo corpo fosse stato
lasciato in un punto qualsiasi a monte del fiume, in un tratto di
centosessanta chilometri dal luogo in cui era stato ritrovato. Bianca,
alta circa uno e settanta, cinquantotto chili di peso, età apparente tra
i ventotto e i trent'anni. I resti erano stati orribilmente devastati dal
fiume e dalle creature di cui era popolato. Il coroner non aveva altro
da dire per il momento, se non che stavano eseguendo altri test sulla
vittima.
La testa non era ancora stata ritrovata.
Mark posò il giornale e sorseggiò il caffè, fissando la porta del
bungalow affittato dalle tre ragazze. Qualcuno aveva ritirato il
giornale, ma nessuna di loro era ancora uscita di casa.
Mark occupava un tavolo alle spalle di una simpatica coppia
dell'Ohio, e alla sua sinistra c'erano due sposini in luna di miele,
Bonnie e Ralph. Altri ospiti gli erano passati davanti, augurandogli
amichevolmente il buon giorno. Alcuni di loro non avevano letto il
giornale. Altri sì ed erano rimasti agghiacciati dalla notizia. Ma tutti
sembravano in grado di prendere le distanze dall'omicidio. Una
giovane donna sola, aggredita e uccisa. Ebbene, era facile che una
donna graziosa fosse in pericolo e diventasse una potenziale vittima.
Stando ai frammenti di conversazione che aveva udito intorno a sé,
molti preferivano pensare che fosse una tossicomane o una
prostituta, o qualunque cosa assicurasse loro che la violenza di cui
era stata oggetto non li avrebbe mai sfiorati. Stava ascoltando uno di
quei commenti quando finalmente la porta del bungalow numero
cinque si aprì e ne uscirono le tre ragazze. Una profonda
inquietudine lo assalì nel vedere Lauren Crow, la donna dai capelli
ramati e dagli straordinari occhi verdi che gli ricordava così tanto
Katie. Anche la bruna era una bellezza mozzafiato, esotica e
flessuosa. Mark decise che doveva essere Deanna, mentre la biondina
con l'aria da piccola principessa doveva essere quella di nome Heidi.
La notte prima aveva pensato a loro come esche, ma l'articolo che
aveva appena letto lo costrinse a vederle in termini più brutali:
erano bersagli.
Tutte e tre belle e giovani. Dell'età giusta. Pura tentazione per il
killer che aveva gettato quel povero corpo straziato nel Mississippi.
«Poveretta» stava dicendo Heidi mentre lei e le amiche si
avvicinavano a un tavolo libero.
«Orribile» commentò Lauren.
«Sì, ma vi prego, non fatevi ossessionare da questa storia» disse
Deanna. «Non ricordo le statistiche, ma in ogni momento, solo negli
Stati Uniti, ci sono dozzine di serial killer all'opera. Diventeremmo
pazze se dovessimo preoccuparci di loro tutti i giorni. Giusto?»
«Sì, certo. È solo che... quel titolo a caratteri cubitali fa una certa
impressione» disse Lauren.
«Be', è naturale: il corpo era decapitato.»
«Già. Più orribile il delitto, più grandi i titoli» mormorò Lauren.
Deanna la prese sotto braccio e sistemò gli occhiali da sole. «Noi
però siamo ragazze sveglie e non faremo niente di stupido come
andare in giro da sole. Sei tu quella che ci faceva la predica sulla
sicurezza ai tempi del college, e noi ti abbiamo sempre ascoltata,
no?»
«Mio padre era un poliziotto» le ricordò Lauren. «Ho imparato
presto la lezione.»
«Giusto. E l'hai insegnata a noi. Nessuna delle tre va in giro da sola
di notte e tutte siamo ben attente alle persone che ci stanno
intorno.»
«Lo so.»
«Adesso basta con gli argomenti deprimenti. È ora di fare
shopping» intervenne Heidi. «Sul serio, Lauren, mia schiava adorata,
è la mia festa. So che ti preoccupi sempre dei pericoli del mondo, ma
adesso andiamo a divertirci.»
«Giusto, vada per lo shopping» concordò Deanna.
Mark le osservava a distanza, cercando di isolare quello che
dicevano dalle altre conversazioni. Studiò a lungo Deanna. Aveva
l'aria stanca, come se non avesse dormito affatto.
Le ragazze non l'avevano visto, dal momento che teneva il
giornale aperto davanti al viso e portava gli occhiali da sole. In quel
momento stavano attraversando lentamente il cortile, come se
fossero incerte se andare o meno.
«Caffè?» propose Deanna.
«Lo prenderemo per strada» decise Heidi. «Adesso andiamo...»
«... a fare shopping» concluse mesta Lauren.
«Vedo che sei ancora preoccupata» sospirò l'amica.
«Scommetto che è per via di quella donna di ieri sera, l'indovina»
intervenne Deanna.
«Non avremmo mai dovuto obbligare Lauren a fare quello che
non voleva» ammise Heidi.
«Ormai è acqua passata e sto bene. Andiamo.»
Con grande sollievo di Mark, Lauren gli passò davanti senza
notarlo e nemmeno le altre due lo degnarono di un'occhiata.
Prima di uscire dal cortile, tuttavia, Lauren si fermò e si voltò a
guardare indietro, perplessa, come se avesse la sensazione di aver
visto qualcosa ma non sapesse esattamente cosa.
Increspò la fronte quando lo sguardo le cadde su Mark e lui la
fissò attraverso le lenti scure.
Ebbe una lieve esitazione, e lui si chiese se l'avesse riconosciuto
dalla sera prima. Il giornale gli nascondeva parte del viso, ma
l'espressione della ragazza era titubante.
Deanna, concentrata a sistemare le cinghie della borsa, la chiamò.
«Ehi! Credevo che stessimo andando.»
Invece di rispondere, Lauren tornò sui propri passi dirigendosi
verso Mark. «Salve» disse, guardandolo dritto in faccia.
Il cuore gli fece una capriola nel petto. Assomigliava a Katie come
una goccia d'acqua. «Salve.»
«Se non sbaglio ci siamo già incontrati... ieri sera.»
«Sì, al pub.»
«Alloggi qui?»
«È un gran bel posticino. Vedo che anche tu e le tue amiche l'avete
scoperto.» Si alzò tendendole la mano. «Io so come ti chiami, ma
non mi sono presentato. Mark Davidson.»
Quando gli strinse la mano il contatto, benché del tutto casuale,
gli trasmise un brivido.
«Il mio cognome è Crow. Lauren Crow» mormorò lei. Si voltò
verso le amiche, che l'avevano seguita e si erano fermate dietro di
lei. «E queste sono Deanna Marin e Heidi Weiss.»
«Salve» dissero all'unisono le due ragazze, facendosi avanti per
stringergli la mano.
«Voi due vi conoscete?» domandò Deanna, incuriosita.
«Non proprio. Ci siamo incontrati ieri sera al pub.»
«Fantastico.»
«Noi siamo di Los Angeles. E tu da dove vieni?» chiese Heidi.
«Al momento? Sono nel bel mezzo di un trasloco.»
«Pensi di trasferirti qui a New Orleans?» domandò Deanna.
«È una bella città.»
«Credo di sì.» Deanna cercò di trattenere uno sbadiglio e si affrettò
a scusarsi. «Ma non si riesce a dormire un granché.»
Mark notò che Lauren lo stava guardando con aria sospettosa.
«Che cosa fai per vivere?» si informò ancora Deanna.
Lauren le diede un colpetto con il gomito e le rivolse un'occhiata
di rimprovero, ma lui si limitò a ridere. «Non importa. Scrivo e
suono.»
«Che cosa?» gli chiese bruscamente Lauren.
«Il pianoforte e la chitarra.»
«E componi, anche?» chiese Deanna.
«A volte, ma per lo più mi limito a scrivere articoli per le riviste
specialistiche e qualche racconto.»
«Interessante» commentò Heidi.
«Racconti dell'orrore?» indagò Lauren in tono velatamente
provocatorio.
I suoi occhi verdi non l'avevano lasciato un secondo, e Mark non
poté fare a meno di chiedersi perché sembrasse così turbata da lui.
«Ho provato un po' di tutto» rispose.
«E sei ricco e famoso?» scherzò Heidi.
«Temo di no. Mi limito a tirare avanti.»
«Non so se crederci» mormorò Deanna sorridendo.
«Probabilmente usi uno pseudonimo e non vuoi dircelo, confessa!»
«Niente di così intrigante o misterioso, mi dispiace.»
«Bene, piacere di averti conosciuto» tagliò corto Lauren, posando
una mano sulla spalla di Heidi senza distogliere lo sguardo da lui.
«Ora dobbiamo andare.»
«Che fretta c'è?» chiese Heidi.
«Hai detto che volevi andare a fare shopping» le ricordò. «Spero
che ci rivedremo, Mr. Davidson, ma adesso dobbiamo proprio
andare.»
«Giusto» mormorò Heidi, trascinando un po' quell'unica parola.
«Immagino che ci rivedremo. Dopotutto alloggiamo nello stesso
albergo» si congedò Deanna.
«Già» borbottò Lauren. Non sembrava affatto felice della cosa,
notò Mark.
«Ti fermerai per qualche giorno?» volle sapere Heidi.
«Sì. Mi hanno dato il bungalow numero sei.»
«È quello accanto al nostro» osservò Lauren, senza riuscire a
nascondere la sorpresa.
«Davvero?»
«Immagino che allora ci rivedremo di sicuro» concluse, la
diffidenza e l'irritazione evidenti nel tono di voce. «Ma adesso
dobbiamo proprio andare.» Si voltò e si avviò di buon passo verso la
strada.
«Arrivederci» salutò Deanna.
«A più tardi» aggiunse Heidi.
«Certo. Godetevi New Orleans» rispose Mark, e tornò a sedersi
fingendo di concentrarsi di nuovo nella lettura del giornale.
«Accidenti, l'hai incontrato ieri sera e non solo non ce l'hai
presentato ma non hai detto nemmeno una parola?» si meravigliò
Heidi, fissando Lauren mentre si dirigevano verso Royal Street.
«Non l'ho esattamente incontrato. Gli sono finita addosso.»
«Che fortuna! Io finisco addosso solo agli ottantenni con il
bastone» si lamentò Deanna.
«Ha uno sguardo... magnetico» commentò Heidi.
Lauren le lanciò una rapida occhiata.
«Non guardarmi così. Io amo Barry e sono sicura che
sconfiggeremo tutte le statistiche e resteremo sposati per sempre. Ma
se fossi finita addosso a un tipo come quello, non l'avrei
dimenticato. Tu invece non ci hai raccontato niente.»
Lauren sospirò. «Che cosa avrei dovuto dirvi? Non abbiamo
bevuto qualcosa insieme, non siamo usciti a cena... Mi sono
scontrata con lui nel corridoio delle toilette.»
«Io avrei almeno accennato alla cosa» replicò Deanna.
«Alloggia nel nostro Bed&Breakfast» osservò Heidi.
«Già.»
Deanna si fermò e scoppiò a ridere. «Ma l'hai sentita, Heidi? Ha
detto una sola parola, ed è riuscita a riempirla di diffidenza. Che
cosa c'è di strano, Lauren? L'hai incontrato a New Orleans e guarda
caso sta a New Orleans, pensa un po'.»
«Sta a New Orleans nel nostro stesso albergo» sottolineò lei.
«Io direi che è fantastico» disse Heidi.
«Tu sei fidanzata» le ricordò Lauren.
«Ma non morta» ribatté con un sorriso l'amica.
«Che ti prende, Lauren?» esclamò Deanna. «Di solito non ti
comporti così. Quel ragazzo è affascinante ed è stato gentile. Qual è
il problema?»
Lauren inarcò un sopracciglio e scosse il capo. «Non lo so. Forse
ero solo nervosa, ieri sera, ma sono sicura di averlo visto qui fuori,
quando siamo tornate. Era fermo sulla strada.»
«Se alloggia al Bed&Breakfast doveva per forza passare di qui per
rientrare» le fece notare Heidi con un sorriso.
«Molto acuto. Poi ho trovato Deanna che camminava nel sonno,
accanto alla piscina!»
Heidi si voltò verso Deanna. «Camminavi nel sonno?»
«Credo di sì. Per fortuna Lauren mi ha trovata prima che
annegassi. O forse, se fossi caduta in acqua, mi sarei svegliata,
chissà?»
«Forse non avremmo mai dovuto prendere quel volo» mormorò
Heidi.
«Sciocchezze! Oggi sarà una giornata stupenda» le assicurò Lauren.
«Da questa parte, ragazze. La boutique dove volevate andare è a
pochi isolati sulla destra. Io intanto faccio un salto nella galleria
d'arte di fronte. Ci vediamo lì tra mezz'ora, e voglio vedervi con i
cappelli più belli che riuscirete a trovare.»
Quando ebbero raggiunto la meta di Heidi, aspettò che entrassero
nel negozio e si allontanò.
Il tenente di polizia Sean Canady sedeva alla scrivania del suo
ufficio, al distretto, fissando il giornale.
Cadavere decapitato.
Un'altra volta, pensò con un gemito.
«Salve, tenente.»
Alzando lo sguardo, vide davanti a sé l'agente Bobby Munro.
«Ciao, Bobby.» Non gli chiese se avesse visto il titolo; era
impossibile che gli fosse sfuggito.
«Il Mississippi è un fiume lunghissimo. Il corpo potrebbe essere
finito in acqua in qualunque punto» disse Bobby. «E ci sono un sacco
di criminali che decapitano le loro vittime. Senza testa è più difficile
identificarle.»
Bobby era un ottimo agente, pensò Sean. Benché giovane e
belloccio, era comunque un bravo poliziotto. Aveva già conosciuto
l'inferno ma non era ancora demotivato. Si considerava ancora dalla
parte dei buoni e credeva sul serio di poter contribuire a creare un
mondo migliore.
Sean si appoggiò allo schienale della poltrona e guardò l'agente.
Lui faceva quel mestiere da molto più tempo e, se non era proprio
demotivato, era quanto meno stanco. Era originario della regione.
Sapeva di essersi guadagnato il rispetto dei suoi superiori, dal sindaco
al governatore, e persino quello dei federali. Gli era concesso un
largo margine di flessibilità nelle indagini. La sua parola era
considerata affidabile e il suo fiuto infallibile.
E quella storia non gli piaceva.
«Un killer professionista che cerchi di nascondere l'identità di una
delle sue vittime le avrebbe tagliato anche le mani» osservò.
«Abbiamo rilevato le impronte e sono sicuro che sapremo presto chi
era.»
«Un traffico di droga che si è concluso male?» ipotizzò Bobby.
Sean si strinse nelle spalle. «Può darsi. Tu tieni gli occhi aperti.»
«Ci può contare, tenente. Ma tenga presente che il Mississippi è il
fiume più grande degli Stati Uniti.»
«Già.» Sean fece un mesto sorriso. «Solo che il cadavere si trova nel
nostro obitorio.»
Lauren terminò gli acquisti e si mise d'accordo con il gallerista
perché la piccola opera d'arte che aveva scelto venisse consegnata al
Bed&Breakfast, dopodiché uscì in Royal Street. Il sole splendeva alto
nel cielo. Si schermò gli occhi con una mano mentre con l'altra
frugava nella borsa alla ricerca degli occhiali da sole. Quando una
delle tipiche carrozze trainate dai muli le passò davanti, batté le
palpebre e strizzò gli occhi contro il bagliore del sole. Avrebbe
giurato di aver visto Deanna sul sedile anteriore accanto al
conducente, un uomo alto e scuro, con un cappello a cilindro.
La carrozza viaggiava a velocità sostenuta.
«Deanna?» gridò, seguendo il veicolo, ma il traffico la costrinse a
tornare rapidamente sul marciapiede e a farsi strada tra la folla, e la
vettura era ormai lontana quando finalmente rinunciò a inseguirla.
E poi, non era possibile che fosse Deanna, si disse. Non avrebbe
mai preso una carrozza da sola, e in quel momento avrebbe dovuto
essere a far compere con Heidi.
Quando però attraversò la strada per raggiungere la boutique
dove avevano appuntamento, trovò solo Heidi nel retro, intenta a
provare diversi cappelli.
«Ciao» la salutò. «Come ti sembra questo?»
Indossava un cappello di paglia a tesa larga con un fiore dai colori
sgargianti. Le stava molto bene.
«È perfetto» disse. «Dov'è Deanna?»
«Ha detto qualcosa a proposito di un negozietto qui accanto.
Tornerà subito.»
«Avrei giurato di averla appena vista a bordo di una carrozza.»
«Perché mai dovrebbe fare un giro in carrozza senza di noi?»
chiese Heidi.
«In effetti, non avrebbe senso.»
«Quindi probabilmente hai visto soltanto una ragazza che le
assomiglia» disse Heidi. «Sai, i prezzi sono un po' alti, in questo
negozio, ma il cappello mi piace molto. Che ne dici, secondo te
dovrei prenderlo?»
«Sì, certo» le rispose in tono distratto lei. «Vado a vedere nel
negozio qui accanto.»
Heidi si voltò a guardarla. «Sembri preoccupata.»
«No, non proprio.»
«Lauren, è pieno giorno! Ci sono milioni di persone per le strade.»
«Lo so.»
«E va bene» sospirò Heidi. «Andiamo a cercarla.»
«Tu compra il cappello. Io vado a vedere qui di fianco.»
«D'accordo, ti raggiungo lì.»
Appena uscita in strada, Lauren fu letteralmente aggredita dalla
musica. Si fermò di colpo.
Stava succedendo qualcosa per strada. Un funerale jazz, intuì. Il
carro funebre, trainato da muli e scortato dalla polizia a cavallo,
passò davanti a lei proprio mentre usciva. Dietro venivano parenti e
amici e, con loro, i musicisti. Era uno spettacolo che non si vedeva
tutti i giorni; aveva un che di unico, di triste e meraviglioso insieme.
Era una cerimonia in grande stile, pensò.
Probabilmente il corteo era partito dalla chiesa e avrebbe
accompagnato il feretro fino al cimitero, che si trovava piuttosto
lontano da lì. In quel momento i musicisti stavano suonando un
lamento funebre, ma lei aveva assistito ad altri funerali jazz e sapeva
che una volta arrivati al cimitero avrebbero celebrato la vita del
defunto, concludendo con il vecchio gospel When the Saints Go
Marching In, una vecchia usanza che univa le credenze africane con i
riti religiosi dell'Occidente.
Per strada tutti si erano fermati a osservare il corteo funebre che
procedeva lentamente.
Lauren fece lo stesso.
Le persone del corteo funebre erano vestite di nero, bianco e tutte
le sfumature intermedie di grigio. Uno dei trombettisti era un
afroamericano molto alto, con bei lineamenti scolpiti. Mentre
suonava, posò lo sguardo su Lauren e lei gli fece un cenno del capo
in segno di rispetto. Stranamente, l'uomo continuò a guardarla con
aria solenne finché non l'ebbe superata.
Lauren rimase ad ascoltare il malinconico inno finché non fu che
un'eco lontana, coperta ben presto dai rumori della strada e da una
banda rock che suonava in un angolo. Poi si riscosse e si affrettò a
raggiungere il negozio accanto.
Vide T-shirt, scatolette con pozioni voodoo, teste di alligatori,
candele votive, ma nessuna traccia di Deanna.
Aspettò qualche minuto. Poi, visto che Heidi non si faceva vedere,
tornò alla boutique dove l'aveva lasciata poco prima, ma non vi
trovò nessuna delle due amiche,
Irritata, tirò fuori il cellulare e digitò il numero di Deanna, e
quando le rispose la segreteria telefonica lasciò un messaggio. La
stessa cosa si ripeté con quello di Heidi. Imprecando tra sé, lasciò un
messaggio anche a lei.
Non voleva allontanarsi troppo, certa che fossero da qualche
parte lì vicino. Ma dopo essere entrata e uscita da una dozzina di
negozi, caffè e ristoranti, sentì crescere il livello di irritazione.
Cedendo al caldo e alla stanchezza, scelse un locale con dei
tavolini sulla strada e ordinò un gigantesco tè freddo.
Per ingannare il tempo tirò fuori l'album da disegno per
immortalare uno scorcio di strada particolarmente suggestivo, e si
trovò a fissare il ritratto dell'indovina che aveva fatto la sera prima.
«Ci hai rovinato la festa, sai?» mormorò, rivolta alla donna dello
schizzo. Aveva una bellezza che colpiva; tutto in lei era fuori del
comune, dal colore della pelle alla struttura ossea del viso.
«Ehi, parli da sola?» disse qualcuno.
Lauren alzò lo sguardo, sorpresa, e qualcosa le fece scattare un
allarme in testa.
L'attraente vicino del bungalow numero sei le stava davanti con
un piacevole sorriso sul volto. Si chiamava Mark, ricordò.
Non rispose, combattuta tra un'istintiva diffidenza e l'inesplicabile
desiderio di avviare una conversazione. Era davvero un bel ragazzo.
Alto e ben proporzionato, prestante senza avere un fisico da
culturista; i lineamenti del viso erano di una bellezza classica e
intensamente virile. Le piaceva perfino il suo odore e si sentiva
stranamente invogliata ad avvicinarsi di più a lui.
Mi piacerebbe davvero conoscerlo, ammise.
Eppure qualcosa, in quell' uomo, la spaventava. O forse a
spaventarla era l'attrazione che esercitava su di lei, considerò.
Sarebbe stata così intimorita se non fosse stato per quello che era
successo nella tenda dell'indovina il giorno prima, con la sfera di
cristallo e l'illusione di genuino pericolo che aveva provato?
«Wow» esclamò Mark, guardando lo schizzo. «È davvero
splendido.»
«Grazie» mormorò, imbarazzata.
Non le chiese se poteva tenerle compagnia e lei non gli aveva
detto nulla che potesse passare per un invito, tuttavia Mark scostò la
sedia di fronte e si mise a sedere.
Era contenta che l'avesse fatto, si rese conto Lauren. Le piaceva
stare con lui, parlare con lui e sentire su di sé il suo sguardo.
Tuttavia la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava era
forte, e la indusse a rimanere sulla difensiva.
«Sei una vera artista» osservò Mark.
«È il mio lavoro.»
Lui le rivolse un sorriso affascinante. «Non tutti sono abbastanza
bravi da trasformare una passione in lavoro.»
«Sono stata fortunata.»
«Anche le tue amiche sono artiste?»
«In un certo senso... Si occupano di progettazione grafica.»
«Vuoi dire che create marchi, depliant e cose del genere?» indagò
educatamente lui.
«Sì, e anche campagne pubblicitarie e così via.»
Non voleva che se ne andasse. Che cosa c'era in lui che la attirava
così intensamente?, si chiese. Avrebbe voluto toccarlo, assicurarsi che
fosse reale, seguire i contorni del suo viso, sentire i battiti del suo
cuore sotto il palmo della mano.
Lui tamburellò con le dita accanto all'album. «Ho visto questa
donna. La somiglianza è incredibile. C'è qualcosa di magico in lei e tu
l'hai colto alla perfezione.»
«Grazie.» Lauren esitò. «Così... la conosci?»
Mark scosse il capo. «L'ho vista passeggiando nella piazza. Ha un
viso così particolare che è impossibile non notarla. Siete andate tutte
e tre a farvi predire il futuro da lei?»
«Sì.»
«E...?»
Il suo tono era scherzoso, il sorriso accattivante. Eppure Lauren
avvertì una nota seria nella sua voce, come se lui sospettasse che
aveva avuto delle strane visioni.
Impossibile, naturalmente.
«Avremo tutte una vita lunga e felice» mentì.
«Splendido. Dove sono le tue amiche? Si sono smarrite nei
meandri di New Orleans?» le chiese, corrugando lievemente la fronte
malgrado il tono leggero.
«No, le ho solo perse di vista mentre facevamo shopping.»
«E sei preoccupata.»
«È pieno giorno e ci sono migliaia di persone qui intorno» replicò
lei.
Quando la cameriera si avvicinò al loro tavolo, Mark ordinò un tè
freddo, quindi si rivolse a Lauren. «Posso offrirti il pranzo?»
«Dovrei aspettare le mie amiche.» La ragazza lanciò un'occhiata
alla strada, poi riportò l'attenzione su di lui e sobbalzò quando Mark
posò una mano sulla sua. Una miriade di sensazioni si accese sulla
pelle, fluì nelle vene e si condensò al centro del suo essere come un
fiume di lava incandescente. Era tentata di ritrarre la mano, ma in
quel modo si sarebbe tradita. Lo guardò inarcando un sopracciglio.
Improvvisamente lui si fece serio in volto e parlò con voce grave.
«Forse penserai che sono pazzo, ma ti assicuro che non è così. Ho
paura che tu e le tue amiche siate in pericolo.»
«Oh, per favore» mormorò Lauren, chiudendo gli occhi un istante
per nascondere la delusione che si fosse rivelato uno squilibrato.
«Non di nuovo questa storia.»
Ora voleva solo che se ne andasse. Per un istante si era illusa che
la trovasse interessante, attraente, che volesse farle la corte. Aveva
desiderato che lo facesse. Le sue attenzioni la lusingavano... eppure
aveva la fastidiosa sensazione che ci fosse qualcosa sotto ogni parola
che diceva, che non volesse essere veramente con lei e che fosse
semplicemente pazzo.
«In che senso di nuovo?» le domandò, brusco, Mark.
Lauren si sentì assalire dall'irritazione e da un inquietante senso di
paura. «L'indovina mi ha detto la stessa cosa. Siamo qui per una festa
di addio al nubilato, Mr. Davidson. Heidi sta per sposarsi e abbiamo
pianificato questo viaggio da mesi. Non riesco a capire perché uno
sconosciuto come te dovrebbe volerci rovinare il divertimento.»
Lui era rimasto calmo, appoggiato allo schienale della sedia.
Lauren non poteva decifrare la sua espressione perché
improvvisamente i suoi occhiali sembravano scuri come la notte.
Sapeva che avrebbe dovuto dirgli semplicemente di andarsene, ma
per qualche inesplicabile ragione non riusciva a farlo.
A impedirglielo non era il fatto che lui le teneva ancora la mano.
Non sapeva resistere alla sua presenza.
«Ti giuro che non desidero altro che sapervi al sicuro» mormorò
Mark.
«Io non sono in pericolo!»
«Sì, invece. Hai visto i titoli dei giornali.»
Lauren scosse il capo, rabbrividendo. «Vuoi dire che qualsiasi
donna che si trovi lungo le rive del Mississippi rischia di essere
uccisa?»
«Sì.»
«Oh, andiamo!»
«C'è un killer in azione qui intorno» replicò lui, con una sicurezza
tale che Lauren si sentì improvvisamente avvolta dal gelo benché
facesse piuttosto caldo.
«Sei un poliziotto?» gli domandò di punto in bianco.
«No.»
«FBI?»
«No.»
«Allora chi sei esattamente?»
«Te l'ho detto, uno scrittore e un musicista.»
«Oh, be', questo spiega molte cose» ironizzò lei. «Sono sicura che
sai tutto dei serial killer e che sai anche come e perché le mie amiche
e io saremmo in pericolo.»
Il tono calmo e autorevole con cui le rispose le ghiacciò il sangue
nelle vene. «È così.»
Lauren si limitò a fissarlo, allibita.
La cameriera portò il tè e Mark la ringraziò.
«Io adesso me ne vado» annunciò Lauren, tornando al presente. «E
tu lascerai in pace me e le mie amiche» aggiunse con fermezza.
Lui ignorò le sue parole. «Io so chi è il killer. Lo conosco da molto
tempo. È stato lui a uccidere la mia fidanzata.»
Lauren rimase inchiodata sul posto mentre le tornava alla mente
ciò che lui aveva detto quando si erano scontrati nel corridoio del
pub. Il nome che aveva pronunciato.
«Katie?» mormorò, e dopo una breve esitazione aggiunse: «La
donna per cui mi hai scambiata ieri sera?».
«Sì.»
«Io non sono Katie.»
Mark incurvò le labbra in un mesto sorriso. «Lo so.»
«E tu credi che quell'uomo... l'abbia uccisa?»
Mark esitò prima di annuire.
«È morta qui, a New Orleans?» indagò Lauren.
«No.»
«Oh, capisco.»
«No, non puoi capire» ribatté Mark. «Katie lo incontrò qui,
durante un viaggio. E ora ho paura che ti stia dando la caccia,
proprio come ha fatto con lei.»
Lauren sospirò e abbassò lo sguardo.
Quell'uomo era affascinante, aveva un sex appeal pazzesco... ed
era assolutamente pazzo. Avrebbe potuto essere addirittura un
assassino.
Per quel che ne sapeva, era possibile che fosse lui stesso a darle la
caccia.
Stava per allontanarsi dal tavolo quando le domandò: «Siete
rimaste sempre nel bungalow, chiuse a chiave, dopo che siete
rientrate, ieri sera?».
«Ti ho visto che ci stavi osservando dalla strada» lo accusò Lauren
invece di rispondere.
«Siete rimaste chiuse in casa?» ripeté lui.
«Sì, anche se non sono affari tuoi» mentì.
Lui sembrava ancora preoccupato. «Te l'ho chiesto perché è
importante» spiegò con calma.
Lauren si sentiva stranamente indecisa ed era irritata con se stessa
perché non riusciva ad andarsene lasciando le cose tra loro in
sospeso.
In effetti, qualcosa era veramente successo, quella notte. Deanna
era uscita dal bungalow in stato di sonnambulismo, cosa che non le
era mai successa prima, e Lauren l'aveva seguita. Non solo, aveva
avuto la netta sensazione che ci fosse qualcun altro, là fuori, e che in
qualche modo Mark lo sapesse.
Ai limiti della sua coscienza indugiavano il ricordo del sogno di cui
lui era stato protagonista e la ridicola speranza che, contro ogni
evidenza, Mark si rivelasse perfettamente sano di mente.
Si sforzò di sorridere con noncuranza. «D'accordo. Abbocco.
Perché è così importante?»
Anziché rispondere, Mark frugò nel taschino della camicia. «Voglio
darti una cosa.»
«Non posso accettare niente da te.»
Lui la guardò con un sorriso seducente e divertito insieme. «Stai
tranquilla, non comporta alcun vincolo» le assicurò.
Lauren era colpita dalla sensualità che trasudava da quell'uomo,
apparentemente senza che se ne rendesse conto.
Dio, come avrebbe voluto che fosse normale. Non aveva mai
incontrato nessuno come lui, non aveva nemmeno sognato di poter
incontrare un tipo simile dopo aver perso Ken. Il timbro della sua
voce era affascinante, il linguaggio del corpo sottilmente provocante.
Se solo l'avesse incontrato in altre circostanze...
«Questa apparteneva a Katie» le disse, sporgendosi verso di lei.
Lauren guardò l'oggetto che aveva tirato fuori dal taschino. Era
una croce d'argento, molto bella e chiaramente antica. «Non posso
accettarla, davvero» rispose, fissandolo dall'altro lato del tavolo.
«Ti prego.»
«È un oggetto di valore.»
«Non lo venderei nemmeno tra mille anni.»
Lei scosse il capo. «No, davvero.»
Improvvisamente le sorrise. «Se la prendessi e la portassi al collo,
mi sentirei più tranquillo sapendoti in giro per New Orleans. Potrei
perfino smettere di darti noia.»
«Secondo me hai qualche rotella fuori posto» gli disse in tutta
franchezza Lauren.
«Non è così, credimi.»
Lei bevve un lungo sorso di tè, poi posò entrambi i gomiti sul
tavolo e si sporse verso di lui. «Okay, guardiamola dal mio punto di
vista. Prima ti finisco addosso in un pub, poi ti vedo fermo nella
strada dove abito.»
«È anche la mia.»
«Una semplice coincidenza, vero?»
Lui si strinse nelle spalle.
«Okay. Poi mi siedo a bere un tè ed ecco che salti fuori tu con una
storia assurda a proposito di un killer. Non credi che dovresti andare
alla polizia se sai chi è l'assassino?»
«Forse. Solo che non so bene come spiegare ciò che so.»
«Perché è pura follia» suggerì in un sussurro Lauren. «Ti giuro che
voglio solo saperti al sicuro.»
Lauren emise un gemito, guardandosi le mani. «Ho ascoltato una
parte della tua storia e non sono sicura di voler sentire il resto. Ti
prego... tu mi piaci molto ma... Devo chiederti davvero di stare
lontano da me.»
Ecco fatto. Ci era riuscita, gli aveva detto di lasciarla in pace.
Lui tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia e raddrizzò le
spalle, fissandola con espressione rassegnata e un po' dispiaciuta.
A un tratto Lauren udì la voce di Heidi. «Eccoti qui! Lauren, perché
non rispondevi al telefono? Oh, ciao, Mark. Okay, adesso capisco
perché non rispondevi! Possiamo unirci a voi o dobbiamo toglierci
dai piedi?»
Heidi non era sola. Deanna era con lei. La sua voce era scherzosa,
era una splendida giornata e tutto era normale.
Eppure...
Capitolo 5
Mark Davidson era un tipo affascinante e le sue amiche sapevano
civettare spudoratamente quando ci si mettevano, pensò Lauren.
Quando chiese loro dove fossero finite, Deanna parve sorpresa
che si fosse preoccupata tanto solo perché si erano allontanate senza
avvisare. «Stavamo facendo shopping, se non sbaglio» rispose, un po'
piccata. «E sono perfettamente in grado di entrare e uscire dai negozi
da sola. Sei tu, piuttosto, quella che ci ha piantate in asso.»
Ignorando l'accusa, Lauren le domandò se per caso avesse preso
una carrozza. «Perché mai avrei dovuto farlo?» fu la sconcertata
risposta dell'amica.
Quello che l'aveva turbata tanto, in realtà non era che una mera
coincidenza, si rimproverò Lauren. Forse era il caso che cominciasse
a preoccuparsi per se stessa.
Ordinarono un paio di po'boy, i tradizionali sandwich con frittura
di mare, mentre Mark le intratteneva con i racconti dei suoi viaggi e
del suo lavoro.
«Devi essere un musicista di talento» osservò Heidi, di buon
umore.
«Questo lo lascio decidere a chi ascolta» replicò Mark.
«Mi piacerebbe molto sentirti suonare» disse Lauren.
Lui si strinse nelle spalle. «Raccontatemi qualcosa di più sulla vostra
attività: mi incuriosisce molto.»
Era stato molto abile a stornare il discorso da sé, penso Lauren,
ma lei non gliel'avrebbe fatta passare liscia. «Anche Mark ha perso la
sua fidanzata» raccontò alle amiche. «Si chiamava Katie e secondo lui
mi assomigliava molto. Oppure io somiglio a lei, dipende dai punti
di vista... »
Tutti ammutolirono.
rompendo il silenzio.
«Mi
dispiace»
mormorò
infine
Heidi
«Anche a me.» Deanna allungò il braccio sul tavolo e strinse la
mano di Mark.
Lauren notò che lui la scrutava come se volesse scoprire qualcosa
o aspettasse che lei in qualche modo si tradisse. «Mark è preoccupato
per noi» riprese.
«Perché?» volle sapere Heidi.
«A causa del cadavere che hanno trovato nel Mississippi» spiegò
Lauren.
Con sua sorpresa, Heidi gli rivolse un sorriso luminoso. «È così
carino da parte tua!»
«Pensate, andiamo in vacanza e conosciamo un giovanotto così
affascinante e protettivo» esclamò Deanna. «E alloggia proprio nel
bungalow accanto al nostro» aggiunse, rivolta a Lauren.
Dovevano aver preso tutte e due un colpo di sole, decise lei. Il
modo in cui civettavano con lui... non era sicura se le facesse venire
voglia di gridare o le desse la nausea. «Crede di sapere chi è il killer;
è convinto che sia lo stesso che ha ucciso la sua fidanzata.»
«Oh, mio Dio!» Deanna si sporse verso Mark, sfiorandogli il
braccio con sincera partecipazione.
«Non ho detto che l'ha uccisa, ma che è responsabile della sua
morte» precisò Mark, aggrottando la fronte.
«Be', se sei in possesso di informazioni significative, credo che
dovresti andare alla polizia» gli disse Heidi.
«Avete ragione, dovrei farlo» ammise lui, alzandosi. «Bene, penso
che farò due passi fino al distretto di polizia. Grazie per avermi
tenuto compagnia a pranzo, ragazze. Se avete bisogno di me, mi
trovate al bungalow numero sei.»
«Siete impazzite?» sibilò Lauren non appena si fu allontanato.
Mark si voltò a guardarla con espressione divertita, e lei capì che
l'aveva sentita anche a distanza. Arrossì,
imbarazzata.
«Si può sapere che cosa ti prende?» le chiese Heidi. «È un ragazzo
davvero affascinante.»
«È proprio questo il punto» borbottò lei.
«Ti comporti in modo ridicolo, Lauren. È chiaro che hai fatto
colpo su di lui, ma se sei così idiota da non accorgertene e non hai
intenzione di lanciarti, lascia almeno una possibilità a Deanna.»
«Be', mia cara, se davvero non ti interessa sei messa peggio di
quanto pensassi» commentò Deanna.
«Ehi, non sono io quella che cammina nel sonno» replicò lei. «E
quel tizio nasconde qualcosa... Scommetto quello che volete che
mente e che non è affatto diretto al distretto di polizia.»
«Potremmo seguirlo» propose Deanna.
«Sì, dopo aver chiesto il conto. Ha pranzato con noi e se n'è
andato senza nemmeno pagare» fece notare Lauren, agitando la
mano per chiamare la cameriera.
«Può portarci il conto, per favore?» chiese quando la donna le
raggiunse.
«Il signore che era con voi mi ha lasciato il numero della carta di
credito prima di sedersi al vostro tavolo» le informò.
«Oh, grazie.» Lauren la guardò, confusa.
«Le lasceremo una mancia» disse Heidi.
«Il vostro amico è stato molto generoso» rispose la cameriera.
«Non ce n'è bisogno, davvero.»
«Be', aggiungeremo qualcosa in ogni caso» mormorò Heidi, e
mentre Lauren e Deanna si alzavano, frugò nella borsa e posò una
banconota sul tavolo. «Ehi, guardate qua» esclamò un secondo dopo.
Era la croce d'argento. Lauren si rese conto che Mark l'aveva
lasciata sul tavolo.
«Da dove arriva?» domandò Heidi, incuriosita.
«L'ha lasciata Mr. Fantastico» rispose Lauren, scuotendo il capo
mentre gliela prendeva di mano. «Andiamo, voglio dimostrarvi che
ci ha raccontato un sacco di storie.»
Le condusse a passo spedito attraverso il Quartiere Francese,
ignorando per una volta l'architettura degli edifici, che non mancava
mai di incantarla, e i musicisti di strada che sembravano sempre così
bravi. Quando raggiunsero il distretto di polizia, Lauren aprì la porta
e si bloccò di colpo.
Mark Davidson stava parlando con il sergente di turno allo
sportello.
La ragazza indietreggiò in tutta fretta, pestando un piede a Heidi e
finendole addosso.
«Ehi!» protestò lei.
«Ne deduco che Mr. Davidson è proprio qui» disse Deanna con un
sorrisetto saputo.
«Sì» ammise Lauren, sconcertata.
«Vedi?» fece Deanna.
«Eppure c'è qualcosa che non va...»
«Tu pensi sempre che ci sia qualcosa che non va» replicò l'amica.
«Lauren, non puoi vivere la tua vita se non ti va mai bene niente»
aggiunse poi in tono più gentile.
«No, voi non capite» cercò di giustificarsi lei.
«Capiamo benissimo, invece» replicarono all'unisono Deanna e
Heidi, guardandola con aria preoccupata. Erano entrambe convinte
che avesse un disperato bisogno di lasciarsi alle spalle il passato.
«No, vi sbagliate» replicò lei. «Sto bene, adesso. Mi piacerebbe
incontrare il ragazzo giusto - o almeno uno non troppo sbagliato andare al cinema, a cena, a un concerto... E so benissimo che non è
necessario programmare una vita intera per uscire con qualcuno.»
Heidi scambiò uno sguardo grave con Deanna. «Sai di che cosa
avrebbe bisogno?»
«Sì» rispose lei.
«Di che cosa?» chiese Lauren.
«Sesso, mia cara. Scatenato, selvaggio, passionale» rispose Deanna.
«Oh, ti prego!»
«Istintivo. Sfrenato» aggiunse Heidi.
«Volete finirla, per cortesia?» cercò di fermarle Lauren.
«Guarda, è diventata rossa. Aha, allora è attratta da lui» osservò
Deanna, trionfante.
«Del resto, come potrebbe non esserlo?»
«Sentite» insistette Lauren. «C'è davvero qualcosa che non va in
quel tizio.»
Le altre due si scambiarono un'occhiata. «L'indovina» affermò
Deanna.
Heidi prese sotto braccio Lauren. «Non so che cosa dobbiamo fare
con te. Aspetta! Mi è venuta un'idea grandiosa! Andiamo a giocare a
Craps.»
«Tu perdi sempre a Craps» le ricordò Lauren.
«Però mi diverto moltissimo. Avanti, schiava, andiamo al casinò
dell'Harrah's Hotel. Più tardi prenderemo il sole accanto alla piscina
e prima di cena faremo un tuffo. Stasera cucina tipica della Louisiana
da K-Paul, e per concludere giro turistico in Bourbon Street in cerca
di buona musica. Non è grandioso?»
«Grandioso» disse Lauren, anche se non sembrava convinta. Poi
guardò Deanna increspando la fronte. «Sei sicura di non aver fatto
un giro in carrozza, oggi? Giurerei di averti vista in compagnia di un
uomo alto, dai capelli scuri, come quello con cui stavi parlando ieri
sera al bar.»
«Quello carino?»
«Sì. Sei andata in carrozza con lui?»
«No.»
Era difficile stabilire quando Deanna arrossiva, perché la sua
carnagione aveva una delicata sfumatura bronzea, eppure a Lauren
parve che fosse diventata rossa.
Come se avesse mentito.
«Ehi, date retta a me, schiave» le richiamò Heidi.
Entrambe si voltarono a guardarla. «Al casinò» ordinò.
Lauren sospirò senza distogliere lo sguardo da Deanna.
«D'accordo, andiamo al casinò.»
Mark sapeva che le ragazze l'avevano seguito, istigate da Lauren.
Per fortuna se n'erano andate subito.
Al distretto di polizia aveva ottenuto più informazioni di quanto si
aspettasse, anche se era passato parecchio tempo da quando abitava
a New Orleans e molte cose erano cambiate.
Al sergente di turno aveva detto di non avere informazioni sicure,
ma di essere al corrente della presenza in città di un europeo che era
stato coinvolto in diversi crimini oltre oceano, omicidi le cui vittime
erano simili alla donna trovata nel Mississippi.
Si aspettava di essere introdotto in qualche ufficio per parlare con
un passacarte annoiato. Invece, con sua grande sorpresa, l'avevano
accompagnato dal tenente Sean Canady, un uomo imponente, con
gelidi occhi azzurri e un mento volitivo.
«Mi hanno detto che ha informazioni riguardo al cadavere
decapitato che abbiamo ripescato nel fiume» disse Canady,
rimettendosi a sedere dopo una breve stretta di mano e indicandogli
una sedia davanti alla scrivania.
«Non esattamente» lo corresse Mark. «Ma ho motivo di credere
che il delitto possa essere collegato a un uomo di nome Stephen
Delansky, che ritengo si trovi in città.»
«Capisco.» Canady posò le mani sulla scrivania. «Purtroppo, Mr.
Davidson, gli omicidi non sono rari e nemmeno le vittime
decapitate, anche se devo ammettere che quest'ultimo dettaglio è già
più insolito.»
«No, certo.»
«Dunque...?»
Mark respirò a fondo. «Secondo alcune antiche credenze, la
decapitazione impedisce a un mortale di essere trasformato in
vampiro. E una più recente afferma che alcuni vampiri usano tale
precauzione con le vittime di cui non sono interamente... sicuri.
Controllo della popolazione, in un certo senso. Selezione dei più... »
«Dei più forti? Dei più furbi?» disse Canady.
Probabilmente lo riteneva un idiota, pensò Mark. «Sì.»
Il tenente non batté ciglio. O stava cercando di intrattenerlo fino
all'arrivo del furgone imbottito per il manicomio, oppure non c'era
più niente che lo sorprendesse.
A meno che...
A meno che non avesse già avuto delle esperienze con i vampiri.
«Vuole dire che c'è un vampiro a piede libero a New Orleans?»
Mark scosse il capo. «No» rispose, quindi prese fiato prima di
concludere: «Sto dicendo che ce ne sono molti».
«Guarda! È tornato fuori il Mostro della laguna nera!» esclamò
Deanna, trionfante, guardando Lauren con gli occhi che brillavano di
gioia. «Bonus, bonus, bonus.»
Deanna adorava le slot machine, e quella in particolare più delle
altre.
Entrambe si erano allontanate dal tavolo di Craps dopo aver
perso troppo rapidamente le proprie fiches, lasciando Heidi, che
invece stava vincendo, a continuare da sola.
Avevano ripiegato sulle slot machine e ora, anche se le puntate
erano minime, almeno stavano vincendo.
«Non è fantastico?» disse Lauren, indicando il mostro. «Sembra
incredibile che il film facesse davvero paura.»
Lauren rifletté sulla domanda. «È stato molto tempo fa, prima che
inventassero gli effetti speciali di cui disponiamo oggi giorno.»
«Non credo che io mi sarei lasciata spaventare» dichiarò Deanna
con un sorriso.
«Cocktail?» Una graziosa cameriera in abiti succinti interruppe la
loro conversazione.
Deanna guardò l'orologio. «Certo.»
«Ricordi che hai fatto la sonnambula, ieri notte?» le sussurrò
Lauren.
Deanna agitò una mano in aria. «Sono quasi le cinque.»
«Sono le tre.»
«Be', ormai non manca molto. Un Bacardi Cola, per favore»
ordinò alla cameriera. «E tu, smettila di comportarti come se fossi
mia madre. Se non sbaglio, questo doveva essere un weekend
scatenato.»
«Una birra a bassa gradazione» ordinò Lauren.
«Wow, ti sei lanciata, vedo» la prese in giro Deanna.
Lauren osservò attentamente l'amica. Aveva un fisico da modella,
e l'altezza, insieme al colorito e ai lineamenti esotici, facevano sì che
fosse difficile scambiarla per un'altra persona.
«Davvero non hai fatto un giro in carrozza questa mattina?» le
chiese.
«No» rispose Deanna, guardandola fissa negli occhi. «Dov'eri?»
«Dov'eri tu?»
«Ti stavo cercando.»
«Ho lasciato Heidi che provava il venticinquesimo cappello e ho
girato un po' per i negozi lì intorno.»
Ancora una volta a Lauren parve di vederla arrossire. «Che cosa
stai cercando di nascondermi?» indagò.
Deanna si strinse nelle spalle. «Va bene, ho incontrato quel tipo
del pub.»
«Oh?» Lauren avvertì una strana sensazione di disagio. «È con lui
che mi sembrava di averti vista, infatti.»
«Che strano» mormorò Deanna.
«Che cosa?»
«C'era una carrozza... be', ci sono un sacco di carrozze a New
Orleans, e io ero tentata di prenderne una, ma poi ho visto Jonas.»
«Jonas?»
«Il ragazzo del pub.»
«E poi?» incalzò Lauren.
«Abbiamo chiacchierato, lui ha detto che sperava di incontrarmi
ancora stasera e se n'è andato. Ho cercato Heidi e poi ti abbiamo
vista insieme al bel palestrato della porta accanto.»
«L'allarmante palestrato della porta accanto» la corresse Lauren.
Deanna scoppiò a ridere. «Sai che cosa c'è di veramente allarmante
in lui?»
«Cosa?»
«Tu.»
«Io?»
«Sì, tu. La tua reazione. Hai paura di avvicinarti a chiunque. Hai
paura perfino di pranzare con qualcuno. Ma sarebbe ora che
superassi queste paure, Lauren. Siccome ti senti attratta da quel
ragazzo - attratta sessualmente, intendo - cerchi di respingerlo. Non
vuoi rischiare di soffrire, di perdere nuovamente qualcuno a cui
tieni.»
«Grazie, dottoressa.»
«Perché non gli dai una possibilità?»
«Sono stata carina con lui a pranzo.»
«Quello che vuole è ben più di un pranzo. E credo che lo voglia
anche tu.»
Lauren arrossì, rivelando all'amica che aveva toccato una corda
sensibile.
«Lo senti anche tu, non è così?»
«Che cosa dovrei sentire?»
«Il desiderio di... Be', stavo per dire di saltargli addosso, ma
trattandosi di te mi limiterò a dire soltanto desiderio.»
Lauren emise un gemito e si alzò, stiracchiandosi.
«Dove credi di andare? Abbiamo appena ordinato da bere a una
cameriera che lavora sodo tutto il giorno. Non sarebbe educato
andarsene, non credi? Aspetta almeno che torni, così prendiamo i
nostri drink e le lasciamo la mancia.»
«Oh, d'accordo.» Per ingannare il tempo, Lauren premette il
pulsante della slot machine e rimase a guardare a occhi sgranati
mentre cinque mostri della laguna nera si allineavano in fila sul
monitor.
I campanelli cominciarono a squillare.
«Cinquantamila pence!» esclamò Deanna, deliziata. «Hai appena
vinto cinquecento dollari!»
«Questo sì che è un bel colpo!» convenne Lauren.
I campanelli stavano ancora suonando e la gente si fece intorno
per assistere alla vincita. Lauren era certa che ci fossero jackpot ben
più alti, ma cinquecento dollari non erano certo da buttar via e la
maggior parte delle persone era entusiasta che qualcuno avesse
avuto fortuna. Soltanto un vecchio ipocondriaco si avvicinò
protestando: «La vincita spettava a me. Quella macchinetta mi ha
svuotato le tasche».
L'impiegato fu felice di firmare il foglio che attestava la vincita, la
cameriera fu felice della lauta mancia che le lasciarono e il cassiere fu
felice di consegnare il denaro anche se in realtà non era una somma
così importante: l'uomo di fronte a loro stava incassando cinquemila
dollari in fiches da poker.
«Non è tanto la cifra, quanto l'eccitazione della vincita» commentò
Deanna.
«Anche vincere cinquemila dollari dev'essere una bella eccitazione»
ribatté Lauren ridendo. Era stato davvero divertente.
Entrambe si erano dimenticate di Heidi. «Al tavolo di Craps»
dissero all'unisono quando pensarono all'amica.
Arrivarono con tempismo perfetto proprio quando Heidi, che
evidentemente aveva una giornata fortunata, vinse tutta la posta in
gioco. Gli altri giocatori applaudirono mentre lei si alzava, felice e
con gli occhi scintillanti.
«Ehi, non può andarsene proprio adesso, Lady Fortuna!» esclamò
un signore di mezza età elegantemente vestito.
«Non abbia paura. La fortuna continuerà a sorriderle» le assicurò
un giovanotto che indossava un chiodo da motociclista con il logo
della Harley Davidson.
«Meglio andarcene adesso che siamo in attivo» disse Deanna.
«Perché non mi hai portata via prima, quando stavo vincendo
ancora di più, allora?» ribatté Heidi mentre aspettavano di cambiare
le fiches. «E a voi come è andata alle slot machines?» chiese poi in
tono di sufficienza.
«Lauren ha vinto cinquecento dollari.»
«Cinquecento dollari?»
«Già» confermò Deanna, orgogliosa.
«Io credo di averne vinti trecentotrentacinque.» Heidi sorrise,
maliziosa. «Il che significa che tocca a te pagare la cena.»
«Prima sole e piscina, giusto?» chiese Lauren.
«Puoi scommetterci» approvò Heidi.
Poco dopo uscivano in un luminoso pomeriggio di sole, dirette
verso il Bed&Breakfast.
Tuttavia, malgrado la splendida giornata, Lauren non riusciva a
scrollarsi di dosso la sensazione di essere circondata da cupe ombre.
«Vampiri, al plurale» ripeté Sean Canady, guardando negli occhi
Mark.
Il tenente si era scusato ed era uscito dall'ufficio per qualche
minuto. Mark era sorpreso che non fosse tornato con gli infermieri e
la camicia di forza.
Forse erano ancora per strada.
Okay, pensò. Proviamo con un'altra tattica. «Ascolti, tenente, io
adoro New Orleans. È un posto unico al mondo, ma ci sono un
sacco di sette e di svitati.»
«In questo le do ragione.»
Non parlavo di me, aggiunse tra sé Mark prima di riprendere.
«Stephen Delansky è il capo di una setta. È anche uno psicopatico, un
uomo che non prova alcun rimorso per il dolore che provoca. È in
grado di ipnotizzare le persone e indurle a uccidere.»
«Bene, la ringrazio per le informazioni. Apprezzo che sia venuto di
persona.»
«Non ha compilato alcun verbale.»
«Lo farò.»
«Di solito i poliziotti mettono per iscritto le dichiarazioni dei
testimoni.»
«Ha familiarità con le procedure di polizia?» domandò Canady.
Mark esitò solo un istante prima di rispondere: «Be', sa, guardo
anch'io i serial polizieschi».
«Giusto» convenne educatamente Canady. «E anche CSI,
immagino. Riusciamo sempre a incastrare il nostro uomo in un solo
episodio» concluse in tono asciutto.
«Deve credermi, tenente. È importante che troviate quell'uomo e
lo fermiate.» Mark si alzò. C'erano molte cose che avrebbe voluto
dire, ma così facendo avrebbe rischiato sul serio di essere internato.
Increspò la fronte notando una catena al collo del tenente. «È una
croce?»
«Sì, perché?»
«Così, pura curiosità.»
Decise di andarsene alla svelta, prima che la situazione si
complicasse. Ci aveva provato, ma come al solito era lui da solo
contro Stephen.
«Grazie del tempo che mi ha dedicato, tenente. Un'ultima cosa,
prima che me ne vada: sono sicuro che l'assassino ha una specie di
covo da queste parti. Probabilmente nel Quartiere Francese, forse
nel Garden District o perfino nei quartieri residenziali. Lo cercherò.
Se lo cercherete anche voi, siate prudenti.»
Canady batté le palpebre, ma non tradì alcuna emozione.
«Buona fortuna, tenente» salutò Mark, scuotendo il capo. Che cosa
diavolo si aspettava, in fondo? Che mettesse insieme una squadra
armata di paletti e acqua santa?
«Anche a lei» rispose Canady.
Mark si voltò e uscì dall'ufficio. Non aveva bisogno di guardare
indietro per sapere che gli occhi di ghiaccio del tenente l'avrebbero
seguito fino in strada.
Benché fossero ormai le quattro del pomeriggio, il sole era ancora
caldo quando le tre amiche in costume da bagno si sistemarono sui
lettini accanto alla piscina. Il posto era tutto per loro, dato che gli
altri ospiti del Bed&Breakfast erano impegnati in altre attività.
Tuffarsi in acqua era delizioso ed era piacevole anche uscirne.
Trascorsero un paio d'ore chiacchierando piacevolmente delle
nozze di Heidi, della città, e di come investire le vincite al gioco.
Evitarono invece di accennare al cadavere senza testa o ai due
uomini avvenenti che avevano incontrato in quei giorni. Alla fine
Heidi si alzò, stiracchiandosi con uno sbadiglio. «Vado a fare una
doccia» annunciò. «Se rimango ancora al sole finirò per andare
arrosto.»
Dopo che Heidi fu rientrata nel bungalow, si levò una lieve brezza
rinfrescante, piacevole sulla pelle ancora bagnata. Lauren aveva la
sensazione di essere tornata nel mondo normale e si stava finalmente
rilassando.
A un tratto Deanna si voltò verso di lei. «Lo senti anche tu?»
domandò con voce tesa.
«Che cosa?»
«Come se qualcuno ci stesse osservando.»
Lauren la fissò perplessa. «Ehm... credi che Mark Davidson ci stia
spiando dal suo bungalow?»
«No, non è in casa.»
«Come lo sai?»
«Ho bussato alla sua porta mentre ti stavi cambiando per
chiedergli se voleva venire in piscina con noi.»
Lauren registrò l'informazione. «Forse non ha voluto rispondere»
suggerì.
Deanna scosse il capo con fermezza.
«Come fai a esserne così sicura?»
«Ho visto la donna delle pulizie entrare nel suo bungalow. Ha
lasciato la porta aperta e all'interno di lui non c'era traccia.»
«D'accordo, così non si tratta di Mark. Ma tu pensi che qualcuno ci
stia spiando?»
«Non lo penso. Lo so per certo.»
Lauren sentì evaporare quella piacevole sensazione di pace e
tranquillità. Si guardò in giro. La brezza muoveva le foglie degli
alberi intorno alla casa e alla piscina, ma non era come se si
trovassero in una foresta fitta e buia.
Si alzò e camminò per il cortile, aggirando una siepe di ibisco e un
croton; si spinse fino al parcheggio sul retro e controllò anche gli
alberi che lo circondavano.
«Non c'è nessuno» riferì, tornando a sdraiarsi.
Deanna non sembrava convinta.
«Forse qualcuno ci stava guardando dalla costruzione principale»
suggerì Lauren. «Magari la padrona di casa voleva assicurarsi che non
ci lanciassimo in un party scatenato.»
«Non riesco a farti capire.»
Sì, ci riesci. Mi stai facendo venire i brividi, pensò Lauren. «Bene»
disse. «Heidi dovrebbe essere uscita dalla doccia, adesso. Possiamo
rientrare. Ti cedo il primo turno. Credo che mi farò un caffè prima
che voi due decidiate di ricominciare il giro dei locali.»
«Okay.» Deanna incominciò a raccogliere le loro cose e Lauren la
imitò. «Deanna» disse a un tratto, bloccandosi.
«Sì?»
«Credi... credi che possa essere l'uomo che hai incontrato al pub
ieri sera?»
«Quello carino?»
«Non l'ho visto bene. Non so se sia carino.»
Deanna aggrottò la fronte, riflettendo, ma poi scosse il capo. «No.
Non c'era niente di... inquietante in lui. Quell'altro, invece...»
«Quale altro?»
Deanna esitò. «Non lo so.»
«Non ti seguo. Di che cosa stai parlando?»
«Ci sono due uomini.»
«Due?» ripeté Lauren, perplessa. «Vuoi dire Mark Davidson e
l'uomo che hai incontrato al pub?»
«No, Mark è quello che hai conosciuto tu.»
«Allora di chi stai parlando?»
«Io... non lo so, davvero. Forse avevo bevuto un po' troppo, non
ricordo con precisione. Ma sono sicura di aver visto... o incontrato...
due uomini. Uno è quello del pub. Si chiama Jonas e mi piace. È
molto dolce e l'ho visto di nuovo stamattina, proprio quando... »
«Proprio quando...?»
«Il giro in carrozza» rispose Deanna in tono brusco. «Hai fatto
davvero un giro in carrozza?»
«No, ma sono stata tentata di farlo.» La guardò, confusa. «Tutto
questo è pazzesco. Sai che ti dico? Mi sa che hai ragione a diffidare
delle indovine. Ma...»
«Ma cosa?» la sollecitò Lauren.
«C'è qualcos'altro» mormorò, turbata, Deanna.
«Ti riferisci al secondo uomo che hai visto? Hai parlato con lui?
Forse ti è capitato di incontrarlo un paio di volte per caso. Deanna,
quello che dici non ha molto senso. Non capisco nemmeno di cosa
stai parlando.»
«Nemmeno io. Più che altro è una sensazione» mormorò lei.
«Scusami. So che sembro... confusa. Dev'essere stato il
sonnambulismo.»
«Va tutto bene. Sto solo cercando di capire.»
Deanna si bloccò all'improvviso, guardandosi intorno. «Se n'è
andata.»
Lauren esitò. «Chi?»
«Qualsiasi cosa ci stesse osservando.»
«Chiunque ci stesse osservando, vuoi dire.»
Deanna rabbrividì. «No. Qualsiasi cosa» ripeté, fissando l'amica
con occhi sgranati. «Non era umana, ne sono sicura.»
Capitolo 6
Cercare la tana di Stephen era come cercare un ago nel pagliaio,
pensò Mark. Avrebbe potuto scegliere la cantina di un complesso
residenziale abbandonato in qualsiasi parte della città. O un vecchio
magazzino. O una zona industriale in disuso. Intuire dove si
nascondeva non era affatto facile.
E raggiungere il secondo dei suoi obiettivi non si prospettava più
semplice. Doveva assolutamente entrare nell'obitorio, anche se non
sapeva come. Del resto, convincere qualcuno del personale a
mostrargli le polaroid della vittima o magari delle foto digitali non
gli sarebbe servito a molto.
Era abbastanza abile a ipnotizzare la gente e con una persona
fiduciosa come la proprietaria del B&B, Lilly Martin, era quasi sicuro
di riuscirci. Ma all'obitorio c'erano impiegati, assistenti, funzionari e
ausiliari per il trasporto delle salme... tutta gente che sarebbe stato
meglio eludere.
Per fortuna la prima persona che si trovò davanti era una giovane
donna sui venticinque anni, che teneva una fotografia del marito e
del figlio sulla scrivania.
Qualunque uomo d'affari sa che uno sguardo diretto e sicuro di sé
è quello che garantisce i migliori risultati. E la donna non era difficile
da agganciare. Senza raccontare troppe bugie, Mark riuscì a
convincerla di essere lì in veste ufficiale e ottenne il permesso di
vedere il corpo rinvenuto nelle acque del Mississippi.
Poco dopo scoprì che i resti si trovavano ancora in una delle sale
destinate alle autopsie. Maledicendo la cattiva sorte, Mark si
introdusse di soppiatto in uno sgabuzzino sul retro dove indossò
camice, guanti e mascherina da chirurgo, dopodiché, armato di un
blocco da appunti, imboccò il corridoio diretto alla sala autopsie. E
si ritrovò di fronte un ostacolo imprevisto: il tenente Sean Canady.
L'agente sollevò lo sguardo, lo vide e, nonostante il camice e la
mascherina, lo riconobbe all'istante.
Dannazione, rischiava di farsi arrestare, pensò Mark. Brutta
situazione.
Non aveva senso fingere. «Salve, tenente» salutò mentre Canady
avanzava verso di lui lungo il corridoio.
«Musicista e scrittore, eh?»
«Lo giuro. Dovrebbe sentirmi suonare.»
Canady lo studiò a lungo, guardandolo dritto negli occhi. Poi, con
grande sorpresa di Mark, si strinse nelle spalle. «Sente la necessità di
vedere il cadavere? Venga con me.»
Uno degli assistenti portò un paio di guanti a Canady. Lui
ringraziò e chiese: «Chi c'è in sala?».
«Il dottor Mordock.»
«Bene.»
La sala autopsie era come tutte le altre del suo genere. Sterile.
Piastrelle e pareti di un azzurro spento. Odore di morte, di antisettici
e di conservanti. Acqua corrente per tenere puliti e il più possibile
liberi da germi i tavoli in acciaio e per permettere ai medici e ai
tecnici di lavorare sui resti umani con tutti i loro fluidi e tessuti.
Solo una delle lettighe presenti nella stanza era occupata da un
corpo coperto da un lenzuolo. Un uomo in camice e maschera era in
piedi alle sue spalle.
«Salve, Sean» disse quando entrarono.
«Salve, Doc» rispose il tenente.
Mordock guardò Mark con aria interrogativa. «Mark Davidson» lo
presentò Canady. «Ha visto altre vittime trovate in circostanze simili.
Potrebbe essere in grado di dirci se stiamo cercando un killer che ha
già colpito altrove» spiegò brevemente.
«Se è insieme a te, per me non ci sono problemi» disse Mordock
sollevando il lenzuolo.
C'è sempre qualcosa di triste e di inquietante in un corpo nudo su
una lettiga d'acciaio, ma quando la testa non c'è, l'effetto è ancora
più forte.
Mark sapeva che Mordock poteva dedurre un buon numero di
informazioni dai danni inferti dall'acqua, dai pesci e dai crostacei che
popolavano il Mississippi. Poteva stabilire il giorno e l'ora della
morte, qual era stato l'ultimo pasto della vittima e molto di più.
Ma a lui non importava nulla di tutto questo, anche se ascoltò con
interesse la conversazione tra il medico e Sean Canady.
«L'avete identificata?» chiese Mordock.
Canady annuì. «Eloise Dryer. Qualche furterello, adescamento. È
conosciuta in alcuni bordelli del posto, ma risulta residente a
Houston.»
«Una prostituta, dunque?» domandò Mark.
«Più o meno» rispose Canady.
Mark esaminò il collo del cadavere.
«Decapitata con un'accetta» dichiarò Mordock. «Post mortem. Un
taglio netto. Sono disposto a scommettere che più di un condannato
al patibolo avrebbe dato qualunque cosa per essere ucciso con un
colpo così pulito.»
«Ed era già morta?» chiese Mark.
Mordock indicò il taglio. «Non c'è sangue» disse.
Eccolo, notò Mark. Un segno di puntura. Dopotutto non era un
sistema così efficace per nascondere ogni prova. «Non c'è sangue»
ripeté, lanciando un'occhiata a Canady.
Il poliziotto rimase in silenzio, il volto inespressivo.
«L'omicidio potrebbe far parte di un rituale» riprese Mordock. «Dio
sa se ci sono abbastanza individui fuori di testa in circolazione.»
Guardò Mark. «E non mi riferisco solo a New Orleans. Diavolo,
sono stato chiamato per un caso nei boschi del Midwest, nel cuore
dell'America, e quello che si erano trovati di fronte quei ragazzi era
roba da far vomitare anche il poliziotto più incallito. E sì, ho visto il
segno. Proprio sulla giugulare. È stata dissanguata come un maiale al
macello.»
«Questo non lo diremo alla stampa» affermò Canady, lanciando
un'occhiata di avvertimento a Mark.
Lui si strinse nelle spalle. «Non scrivo per i quotidiani.»
«Però scrive.»
«Non mi occuperò di questo caso.»
Canady parve soddisfatto. «Grazie, Doc. Metti qualsiasi altra
informazione ti venga in mente nel tuo rapporto e fammelo avere il
prima possibile. Ancora non si sa dove è stata buttata nel fiume?»
«I tecnici della scientifica ci stanno lavorando. Correnti, flussi e
cose del genere. Ma non è morta da molto tempo. Con le correnti e
tutto il resto, un corpo fa in fretta ad andare all'inferno una volta in
acqua. Ma ecco qualcosa di interessante: a chi l'ha gettata nel fiume
non interessava che venisse trovata o meno. Il corpo non era stato
zavorrato; è stato semplicemente spinto in acqua.»
Canady ringraziò nuovamente l'anatomopatologo e si voltò per
uscire dalla sala autopsie. Mark lo seguì.
Nel corridoio, il tenente si levò i guanti guardandolo negli occhi.
«Ha avuto quello che cercava?»
«Sì, e lei?» Anche lui si tolse l'armamentario di protezione.
Canady lo studiò attentamente.
«Non un solo vampiro ma molti, eh?»
Mark si schiarì la gola. «È stata usata per qualche rituale
sanguinario.» E visto che il tenente restava in silenzio, continuò:
«Ogni culto ha una specie di leader, un gran sacerdote o qualcosa del
genere» disse, osservando Canady. «Ho l'impressione che lei abbia
già avuto a che fare con una setta del genere, tenente. Che sappia di
che cosa sto parlando.»
«Venga da me domani. Le metterò a disposizione un disegnatore
per tracciare l'identikit di quel tizio, Stephen Come-si-chiama.»
«Grazie.» Mark esitò. Canady sembrava una brava persona e lo
trattava abbastanza rispettosamente, ma lui era preoccupato per la
sua incolumità. «Il fatto è che... quegli uomini credono sul serio di
essere dei vampiri. Cadono a terra se vengono toccati dall'acqua
santa, arretrano di fronte alle croci e... a meno che non vogliano che
la loro vittima si risvegli dopo la morte, le tagliano la testa per
impedire che la popolazione dei loro simili cresca a dismisura. Sono
preoccupato per i suoi uomini...»
Canady sorrise. «I miei agenti non sanno che devono infilzarlo con
un paletto. È questo che vuole dire?»
Non capì se si stesse prendendo gioco di lui o meno. «Sì, qualcosa
del genere.»
«Ci penserò io. La aspetto al distretto domani, Mr. Davidson.»
«Ci sarò. Ehm... tenente?»
«Sì?»
«Potrebbero non essere soltanto uomini.»
«Scusi?»
«I vampiri. Ne esistono di entrambi i sessi.»
«Afferrato. A domani.»
Mark esitò ancora. «Come le ho già detto, Stephen Delansky si
nasconde da qualche parte in città. Può muoversi anche durante il
giorno, ma quello per lui è il momento migliore per riposare.»
«Ho avvisato la polizia locale di stare in guardia» gli disse Canady.
«E non solo in questo quartiere.»
«Ottimo. Purché sappiano che potrebbero trovarsi davvero in
pericolo... »
«Conosco il mio lavoro» tagliò corto Canady.
«Giusto. Bene, grazie.»
Appena lasciato l'obitorio, Mark si affrettò a tornare al
Bed&Breakfast. Mentre entrava nella proprietà, vide Deanna e
Lauren in costume da bagno che rientravano nel loro bungalow con
borse che immaginò piene di riviste e lozioni.
Chiudetevi dentro, pensò, guardandole sparire oltre la porta.
Chiudete a chiave e non aprite a nessuno...
Poi, decidendo che per il momento erano abbastanza al sicuro, si
diresse verso la propria auto.
Proprio quando il mondo sembrava bello e normale...
Quando Lauren e Deanna entrarono nel bungalow, Heidi aveva
già finito la doccia, si era rivestita e stava parlando al cellulare.
Vedendole entrare, lanciò loro un sorriso articolando con le labbra
"Barry".
Entrambe annuirono, poi Deanna si infilò in bagno, mentre
Lauren si sistemava sul divano e accendeva la tivù per ascoltare un
notiziario.
Un ufficiale di polizia, alto e prestante, attorniato da una marea di
giornalisti che lottavano per arrivare più vicini con i microfoni, stava
leggendo un comunicato stampa. «Ricordiamo a tutti, ma in
particolare alle donne, di usare prudenza e buon senso» stava
dicendo il poliziotto.
«È vero che la vittima era una prostituta già nota alla polizia?»
gridò uno dei reporter.
«La vittima era prima di tutto una donna» replicò l'ufficiale con
fermezza. «E ancora non sappiamo dove sia stata uccisa. Potrebbe
essere successo in un punto qualsiasi lungo il Mississippi. Questa è
una grande città, abbiamo affrontato momenti difficili, ma ci siamo
sempre rialzati. Ora fate conto che abbiamo un problema e cercate
di comportarvi in modo intelligente: uscite, divertitevi, andate a
cena fuori o al casinò se siete appassionati al gioco; godetevi tutto
quello che New Orleans ha da offrire, ma restate in gruppo, evitate
di andare in giro da soli. Non date per scontato di essere al sicuro
solo perché l'ultima vittima era una donna o una prostituta.
Nascondersi o cambiare le proprie abitudini non avrebbe senso: la
presenza di criminali e predatori in città non è una cosa insolita e
comportarsi in modo intelligente è come sempre la difesa migliore.»
I reporter incominciarono a gridare domande, cercando di
sovrastare con la propria voce quella degli altri. L'agente alzò una
mano. «Non c'è altro che possa dirvi al momento, se non aggiungere
un ultimo avvertimento: non aprite la porta agli sconosciuti.»
«Nemmeno a quelli alti e belli, tenente?» domandò una donna con
un sorriso.
«A nessuno, bello o brutto che sia, Amy» le rispose serio l'ufficiale.
Stava parlando di un omicidio ed era chiaro che non aveva
apprezzato la battuta. Era tutto. I reporter continuarono a gridare,
ma lui si voltò e si allontanò.
Le immagini sullo schermo scomparvero all'improvviso. Lauren
alzò lo sguardo e si accorse che Heidi aveva spento la tivù con il
telecomando. «Quell'uomo ha ragione» disse con fermezza la
ragazza. «Dobbiamo fare come dice lui.»
«Sì, certo. È un tipo in gamba» commentò Lauren.
Heidi sedette accanto a lei. «La tua espressione mi dice che stai
prendendo troppo seriamente questa storia. Stasera si esce.»
«Già, e ci comporteremo come ha detto il poliziotto.»
«Vale a dire?» le domandò Heidi aggrottando la fronte.
«Staremo sempre insieme.»
«Certo, si capisce» replicò la ragazza, agitando una mano. «Non
sarà difficile.»
Poco dopo Deanna uscì dal bagno, seguita da una nuvola di
vapore. Indossava un accappatoio e aveva in mano il beautycase. «È
tutto tuo, Lauren.»
Mentre si crogiolava sotto la doccia, Lauren rifletté sul servizio che
aveva appena visto alla tivù. Comportatevi in modo intelligente,
aveva detto il poliziotto. Forse, la cosa più intelligente da fare
sarebbe stata salire sul primo aereo e andarsene da lì.
Ma Heidi e Deanna non avrebbero mai acconsentito.
Deanna, tra l'altro, si stava comportando in modo ancora più
strano di lei, pensò. Che cosa le stava succedendo? Di solito non era
propensa a fantasie o stranezze.
Come se non bastasse, ultimamente erano attorniate da troppi
uomini alti e dai capelli scuri. Mark Davidson, bello da impazzire ma
dannatamente inquietante. E Jonas, il ragazzo che aveva incontrato
Deanna. E quell'altro...
Quella cosa non è umana, aveva detto Deanna.
Smettila, si rimproverò Lauren. Ci sono spesso momenti in cui
anche tu hai la sensazione di essere osservata, ammettilo. Rabbrividì.
A volte, rifletté, anche quando era a casa a Los Angeles sentiva il
cuore accelerare i battiti guardando fuori dalla finestra, la sera,
perché aveva sentito i cespugli frusciare accanto alla porta. La paura
era un'emozione umana, si disse. E poi, quella non era esattamente
paura, quanto piuttosto un senso di disagio.
Quella sera sarebbero uscite, come da programma, si disse con
fermezza; avrebbero fatto il giro dei locali e sarebbero state sempre
insieme.
Tuttavia, le parole del poliziotto continuavano a risuonarle alla
mente.
Non aprite la porta agli sconosciuti.
Erano secoli che non tornava in quella strada. Da quando era
tornato a New Orleans non era mai capitato da quelle parti, e
ancora adesso non sapeva bene perché tutto a un tratto la
tentazione di andarci fosse stata così forte.
Tuttavia, sapeva di essere nel posto giusto.
La casa non c'era più da tempo e al suo posto non era stato
ricostruito nulla. Solo un intrico di vegetazione copriva la proprietà.
Si domandò oziosamente a chi appartenesse ora. Probabilmente non
sarebbe stato difficile scoprirlo.
Rimase a contemplare il terreno per un po', poi percorse a piedi
l'ampia curva del viale d'ingresso. C'erano ancora alcune delle
vecchie querce e magnolie, e qua e là spuntavano i resti delle
fondamenta. Se chiudeva gli occhi, poteva quasi vedere l'edificio
com'era un tempo. Udire le risate.
Era stata una gran bella casa, tanto tempo prima.
Si voltò e tornò verso l'auto. Non si poteva modificare il passato,
ma il futuro si avvicinava e lui aveva tutte le intenzioni di cambiarlo.
«Un Hurricane, per favore» ordinò Deanna.
Il cameriere era un nero alto e affascinante, con un sorriso allegro
che sembrava illuminare il mondo. Per tutta la sera aveva flirtato
apertamente con le tre ragazze e loro erano state al gioco.
«Hurricane» ripeté sottovoce.
Deanna esitò, temendo di aver fatto una gaffe. «La gente ordina
ancora gli Hurricane, vero?» domandò.
Il cameriere le rivolse un altro sorriso assassino. «Ma certo!
Dopotutto è solo un drink. Sapete, durante l'uragano Katrina rimase
aperto soltanto un bar. Quando la birra finì, i proprietari non si
diedero per vinti: andarono a rifornirsi in un vicino supermercato e
lasciarono un biglietto alla cassa per avvertire che avrebbero saldato
il debito alla riapertura dell'esercizio. Comunque non è stato
l'uragano a metterci in ginocchio, ma l'alluvione. Quindi non fatevi
problemi e ordinate quello che volete.»
«Grazie» disse Deanna. «Bella figura» mormorò a bassa voce
mentre il cameriere si allontanava.
«Anche da dietro non è male» scherzò Heidi, ridendo.
Lauren notò che nel locale non c'era il solito brusio. Forse molti
erano rimasti in casa, dopotutto. Loro invece avevano cenato da KPaul, dopodiché avevano scelto un locale che proponeva musica
jazz. A Lauren era parso di riconoscere uno dei musicisti, un
afroamericano molto alto che al momento suonava il sassofono,
mentre lei avrebbe giurato di averlo visto suonare il trombone solo
qualche ora prima.
«Heidi, ricordati che sei fidanzata» esclamò Deanna, fingendo di
essere scandalizzata dal commento dell'amica.
«Oh, lo so, lo so. Ma mi guardo in giro per voi due.»
«Heidi, ti prego» gemette Lauren.
«Oh, dimenticavo, lei ha già il bel tenebroso del bungalow
numero sei» scherzò Heidi.
Lauren rifiutò di abboccare e si concentrò invece sulla musica,
riportando lo sguardo sui musicisti. L'uomo che le pareva di
conoscere le fece un cenno, come se anche lui l'avesse riconosciuta.
Quando sollevò il boccale di birra in un brindisi alla sua salute, lui
le sorrise.
Il locale era affollato ma piuttosto grande e l'acustica era ottima.
Per un momento fu contenta di essere lì.
«È un gran figo, Deanna» disse Heidi, riscuotendola dai suoi
pensieri. Lauren tornò a guardare le amiche e notò che Heidi
inclinava il capo, indicando il cameriere. «Non fartelo scappare.»
«Deanna sta aspettando Jonas» disse senza sapere bene perché. Il
rossore che tutto a un tratto imporporò il viso di Deanna era
evidente anche alla luce fioca e Lauren rimase senza fiato per la
sorpresa. Aveva buttato lì quel commento quasi per scherzo, e
invece lei stava veramente aspettando quel tizio.
«Ah, che spreco!» sospirò scherzosamente Heidi.
«Fatti avanti tu, allora» la provocò Deanna.
«Mia cara, dovresti lasciar decidere a noi con chi flirtare»
intervenne Lauren.
«Vorrei solo che tutti fossero felici come lo sono io. Il mondo
intero. Ve lo immaginate? Niente diffidenza, niente guerre, perché
tutti sarebbero veramente felici, anche i capi di stato.»
Lauren scambiò un'occhiata con Deanna, che inclinò la bottiglia di
birra con una smorfia ironica. «Secondo me ne ha bevuta una di
troppo.»
«Ridete pure se volete» riprese Heidi, ostinata, «ma converrete con
me che diversi politici trarrebbero beneficio da una vita sessuale
migliore.»
Lauren sorrise, rilassata e disposta a lasciarsi trasportare dalla
corrente dopo la terza birra.
«Senti senti» commentò distrattamente Deanna mentre il cameriere
tornava con il suo cocktail. Borbottò un ringraziamento, ma senza
guardarlo davvero, gli occhi fissi sul bancone del bar.
Lauren si girò di scatto, cercando di capire che cosa avesse attirato
la sua attenzione e alla fine lo individuò: lo sconosciuto di Deanna.
Immediatamente si irrigidì.
Era decisamente attraente. Alto uno e ottantacinque circa, asciutto
e muscoloso al punto giusto. Appena sotto la trentina, con folti
capelli scuri leggermente ondulati.
L'uomo si scostò dalla fronte una ciocca che si arricciava a forma
di C, prese un drink e ringraziò il barista. Poi si voltò e vide Deanna.
Le sorrise. Un bel sorriso.
Deanna si alzò, con il suo cocktail in mano, e si avviò verso il
banco.
Heidi la fissò sconcertata. «Cosa... »
Lauren era già in piedi. «È lui» le spiegò.
«Lui chi?»
«Il tizio per cui si è presa una cotta.»
«Jonas» mormorò Deanna.
Lauren la seguì con lo sguardo, ma prima che l'amica raggiungesse
l'uomo al banco qualcuno si frappose tra loro come un muro di
mattoni. Stava chiaramente cercando di impedire che Jonas e
Deanna si incontrassero, pensò Lauren riconoscendo Mark.
Che le stesse spiando?, si chiese Lauren.
A quanto pareva, sì.
Mentre guardava, Jonas reagì a qualcosa che aveva detto Mark.
Un'emozione simile a paura lampeggiò nel suo sguardo mentre
scuoteva il capo. Le sembrò che dicesse: «Tu non capisci» ma non ne
era sicura.
Mark gli posò una mano sul petto e sul volto di Jonas comparve
un'espressione di collera, poi di sfida. Lauren decise che era venuto il
momento di intervenire e si affrettò a raggiungere l'amica.
«Che cosa diavolo sta facendo Mark?» le domandò Deanna.
«Ha tutta l'aria di cercare la rissa» rispose Lauren. Guardò verso il
tavolo. Heidi aveva seguito il consiglio che lei stessa aveva dato
all'amica poco prima e, del tutto ignara della tensione all'altro capo
della sala, stava parlando con il cameriere, ridendo e mostrandogli
l'anello di fidanzamento.
In effetti, ben pochi dei clienti del locale si erano accorti che stava
succedendo qualcosa. La musica si era interrotta e l'attenzione del
pubblico era concentrata sul cantante, che stava raccontando la
storia del jazz di New Orleans. Lauren guardò il sassofonista
afroamericano che aveva già visto quella mattina. Al funerale jazz,
ricordò a un tratto.
Si era accorto di ciò che stava accadendo al banco e osservava
attentamente i due uomini.
E stava parlando a bassa voce al cellulare.
Lauren riportò l'attenzione su Mark, che aveva posato una mano
sul braccio di Jonas e gli stava indicando con aria truce un corridoio
che dava sul retro.
«Vogliono uscire e prendersi a pugni!» esclamò Deanna, incredula.
Che avesse ragione?, si chiese Lauren, che aveva notato un vicolo
sul retro del locale.
Sotto lo sguardo allibito di Deanna, Jonas si avviò in quella
direzione, seguito da Mark. Lauren passò davanti all'amica, irritata
all'idea che l'atteggiamento protettivo di Mark potesse avergli preso
la mano.
Si fece strada lungo il corridoio, superando i servizi e un
ripostiglio, e sbucò in un piccolo cortile con qualche tavolino dove
erano sedute poche persone. Il cancello in ferro battuto che dava sul
vicolo era aperto.
Lo varcò di corsa per raggiungere i due uomini.
«Tu non sai niente» stava dicendo Jonas mentre Mark lo teneva
inchiodato contro il muro. «Non sai proprio niente.»
«Ho tutte le intenzioni di scoprirlo.»
«Io non ti sono nemico.»
«Sei uno di loro.»
«Mark!» gridò Lauren posandogli una mano sulla spalla. Lui si
irrigidì, digrignando i denti, e si voltò a guardarla con il viso
stravolto dalla tensione e dal furore.
«Vai via di qui, Lauren. Subito!»
«Non ti permetterò di picchiare quest'uomo» ribatté lei.
«Ehi, guarda che non sono mica una mammoletta!» intervenne
Jonas con una punta di indignazione nella voce, e quando Mark si
voltò verso di lui tentò di allungargli un pugno.
Mark tuttavia reagì con prontezza, parò il colpo a mezz'aria e
contraccambiò con un gancio. Jonas, colpito alla mascella, si accasciò
a terra.
«Smettetela!» gridò Lauren.
«Se l'è cercata» sibilò Jonas. Qualcosa nel suo sguardo, in tutto il
suo atteggiamento, sembrò cambiare. Emise un suono minaccioso e
si lanciò addosso a Mark.
Lauren avvertì un movimento alle sue spalle e si girò di scatto,
convinta che fosse Deanna intenzionata a intervenire per separare i
due contendenti.
Ma non era lei.
Era il sassofonista.
«Ho chiamato la polizia» annunciò il nero in tono brusco. «Quindi
alzate le chiappe e andatevene da qui... subito!»
Aveva una bottiglia di birra in mano e la scagliò contro i due
uomini. Lauren ebbe l'impressione che una cortina di vapore o di
nebbia si levasse dall'ombra, oscurandoli alla vista. Udì un sibilo
rabbioso, ma non avrebbe saputo dire da chi o da dove venisse.
Poi udì l'ululato delle sirene. Bourbon Street era chiusa al traffico
di sera, ma un attimo dopo le auto della polizia inchiodarono
all'incrocio mentre due poliziotti a cavallo sopraggiungevano
dall'estremità opposta del vicolo.
«Due tizi si stanno picchiando laggiù» disse il sassofonista,
indicando con il pollice il vicolo alle proprie spalle.
«Dove?» domandò uno dei poliziotti a cavallo.
«Proprio lì!» esclamò Lauren con impazienza, voltandosi verso il
punto in cui si trovavano Mark e Jason.
Ma il vicolo era deserto. Chissà come, i due erano riusciti a
dileguarsi nelle tenebre.
Udì la portiera di un'auto che sbatteva. Un poliziotto, alto, con i
capelli brizzolati, gli occhi grigi freddi come acciaio e un portamento
imponente quanto la sua statura, si stava dirigendo verso di loro.
Benché fosse in borghese qualcosa le disse che si trattava di un
ufficiale.
«Salve, tenente» disse il nero.
«Che succede, Big Jim?»
«Una rissa, di quelle che potrebbero finire male» rispose il
sassofonista.
«Tra...?»
«Erano proprio lì» intervenne Lauren. «Quest'uomo ha intimato
loro di fermarsi e gli ha tirato addosso una bottiglia di birra... e un
secondo dopo erano spariti. Se ne sono andati, immagino.»
Gli occhi azzurri si posarono su di lei. «E lei chi è?»
«Mi chiamo Lauren Crow.»
Il poliziotto si guardò intorno. «Parteggiava per uno dei due?» le
chiese.
«Certo che no! Sono venuta a dire a Mark di lasciare in pace quel
tipo.»
«E questo Mark chi sarebbe? Il suo ragazzo?» si informò il tenente.
«No! È solo un... conoscente. Alloggia nel nostro stesso
Bed&Breakfast» spiegò rapidamente lei. Dannazione, in che razza di
situazione l'aveva messa quel pazzo?
I due poliziotti a cavallo perlustrarono il vicolo.
L'agente che era arrivato insieme al tenente scese dall'auto e
rimase in silenzio sullo sfondo. Mentre altri due uomini in uniforme
scendevano da una seconda auto, il tenente sollevò una mano. «Ci
sono già io, ragazzi. In ogni caso, pare che sia tutto finito.»
«Perfetto. 'Notte, tenente Canady» disse uno di loro.
«Ehi, tenente, lei lavora troppo» commentò l'altro in tono
rispettoso.
«Già... be', comunque ormai ci penso io. Grazie» rispose Canady
mentre i due agenti tornavano verso la loro auto.
«Mark» disse Canady rivolgendosi a Lauren. «Mark... e poi?»
«Mark Davidson.»
«Capisco.»
Aveva tirato fuori un taccuino, ma non stava scrivendo. «E chi era
l'altro?»
«Non lo conosco. So che ha parlato brevemente con una mia
amica» spiegò Lauren. Accidenti, stava tirando in ballo anche
Deanna. «In realtà non lo conosce nemmeno lei.» Guardò oltre la
cancellata, verso il cortile e il bar, ma di Deanna non c'era traccia.
«Immagino che sia ancora dentro. Ho pensato che quell'uomo Jonas, credo che si chiami - avesse intenzione di scatenare una rissa e
ho cercato di impedirlo.»
«È così che sono andate le cose, Big Jim?» chiese il tenente.
«Direi di sì» confermò il sassofonista. «Questa è l'impressione che
ho avuto.»
Lauren avrebbe voluto baciarlo. Tirò un sospiro di sollievo e giurò
a se stessa che non avrebbe più avuto niente a che fare con Mark
Davidson.
Si udì un rumore di zoccoli. I poliziotti a cavallo erano di ritorno.
«Se c'erano due tizi pronti a saltarsi alla gola, non ne abbiamo visto
traccia qui intorno» riferì uno di loro. «Big Jim deve aver raffreddato
i bollenti spiriti.»
«Grazie, Macinaw» disse il tenente.
«Noi torniamo in Bourbon Street.»
Canady annuì e li guardò allontanarsi lungo la strada.
Poi si avvicinò a Lauren e indicando la gola domandò:
«Interessante, quella croce. È antica?».
«Oh... sì. Credo di sì.»
Il tenente la fissò come se si aspettasse dell'altro. Lei deglutì, restia
a dirgli che l'aveva indossata dopo che Mark Davidson l'aveva
lasciata sul tavolo quel pomeriggio perché non voleva rischiare di
perderla prima di avere l'occasione di restituirgliela.
«Dovrebbe tenerla sempre indosso» osservò Canady, facendo un
passo indietro. «Dove alloggia?» le chiese subito dopo.
Quando glielo disse inarcò un sopracciglio. «È stata lei a chiamare
la notte scorsa per chiedere che una pattuglia tenesse d'occhio i
dintorni?»
Lei arrossì. «Sì.»
«Qualcosa l'aveva spaventata?»
«Io... avevo visto un uomo aggirarsi sul marciapiede davanti
all'albergo.»
Canady annuì, osservandola intensamente. «Da dove viene?»
«Sono originaria di Baton Rouge, ma vivo a Los Angeles.»
«Capisco.»
Che cosa aveva capito?
«Sono qui in vacanza con due amiche. Se posso esserle utile in
qualsiasi modo ne sarò felice. Altrimenti... be', ora dovrei tornare da
loro.»
«Certo.» Il tenente si rivolse all'agente che lo aveva accompagnato.
«Ufficialmente sono fuori servizio, Bobby. Ne ho avuto abbastanza
per oggi. Tieni occhi e orecchie aperti. Io vado a fare quattro
chiacchiere con Big Jim e a bermi una birra.»
«Certo, tenente.» L'agente si voltò e risalì in macchina. «Mi chiami
se ha bisogno di un passaggio.»
«Posso accompagnarla io» si offrì Big Jim.
«Ottimo.»
«La ringrazio, signorina Crow» concluse il tenente, facendole
cenno che era libera di rientrare al bar.
Lauren attraversò il cortile. Nessuno sembrava essersi accorto di
ciò che era accaduto a pochi passi di distanza. Ma che cosa era
successo in realtà?, si chiese lei.
Due uomini si erano presi a pugni e poi erano spariti, come se
fossero stati inghiottiti dalla nebbia.
Deanna era tornata al tavolo ed era impegnata in una discussione
seria con Heidi. Lauren riprese il proprio posto al tavolo.
Né Big Jim né il tenente Canady la seguirono. Poco dopo il
sassofonista tornò sul palco e il poliziotto si accomodò su uno
sgabello al banco. I membri della band gli rivolsero un cenno di
saluto, e uno di loro alzò il bicchiere alla sua salute.
Il tenente allentò il colletto della camicia e ordinò da bere.
Sembrava che ascoltasse la musica, ma Lauren era convinta che
l'unica ragione per cui aveva voluto fermarsi era per controllare che
fosse veramente in compagnia delle sue amiche. O forse solo per
tenerla d'occhio. Non sapeva perché, ma si sentiva innervosita dalla
sua presenza come lo era stata da tutto il resto.
Deanna si sporse verso di lei. «Che cosa è successo?» domandò. «Il
sassofonista è stato un fulmine; credo che abbia chiamato la polizia
prima ancora che quei due uscissero dal locale. Stavo per seguirti, ma
lui mi ha fermata e mi ha dato questo» concluse tirando fuori un
biglietto da visita e consegnandolo a Lauren.
«Che cos'è?» volle sapere Heidi.
«È l'indirizzo di un altro Bed&Breakfast» mormorò Lauren.
Monstresse House.»
«Credi che abiti lì?» Heidi ridacchiò. «E questo che cosa sarebbe?
Un nuovo metodo per rimorchiare?»
«Non stava cercando di abbordarmi» precisò piccata Deanna.
«No?»
«No, e lo sai anche tu.»
«Forse è amico del proprietario e distribuisce i biglietti da visita
per fargli pubblicità» suggerì Lauren.
«Può darsi. C’è qualcosa in quel ragazzo... non so... che mi ispira
fiducia» disse Deanna.
Lauren guardò di nuovo il biglietto. «Lo terrò nel portafoglio.»
«Giusto. Non si sa mai, potremmo tornare a New Orleans, prima
o poi» disse Deanna, ma Lauren ebbe la netta impressione che in
realtà stesse pensando che non avrebbe voluto tornarci mai più.
«Allora, che cosa è successo là fuori?» chiese nuovamente Heidi.
«Niente» rispose Lauren. «Mark e Jonas stavano litigando, poi è
uscito quel tipo della band, Big Jim, e gli ha tirato addosso una
bottiglia di birra. Sono spariti prima che arrivassero i poliziotti.»
«Spariti?» domandò Deanna, delusa.
«Non è possibile che tu sia già cotta di quel ragazzo» osservò
Heidi. «E comunque questo dovrebbe servirti di lezione: mai farsi
coinvolgere dai tipi strani.»
Le altre due la fissarono, sconcertate.
Heidi sospirò. «Dai, torniamo a casa. L'atmosfera è decisamente
fiacca stasera. Bel modo di festeggiare.»
Lauren si appoggiò allo schienale della sedia, richiamò l'attenzione
del cameriere e gli chiese di portare il conto.
Dopo aver pagato, si alzarono e si diressero verso l'uscita.
Nonostante il tenente fosse voltato di spalle, Lauren era sicura che
avesse notato che se ne stavano andando.
«Che serata deprimente» commentò Heidi pochi minuti dopo,
mentre camminavano nella notte.
Deanna le passò un braccio intorno alle spalle. «Heidi, mi
dispiace.»
«No, sono io che devo chiederti scusa. È solo che non riesco a
capire... Quei due si conoscevano già?»
«Non credo» rispose Lauren.
«Allora...?»
«Boh.»
Imboccarono Bourbon Street camminando di buon passo. Lauren
aveva l'impressione che qualcuno le stesse seguendo, ma quando si
voltò non vide nessuno. La sensazione non la abbandonò, eppure il
buio e le ombre quella sera non la spaventavano perché in cuor suo
aveva la certezza che a pedinarle fosse il tenente.
«Che ne dite di fare una crociera sul fiume, domani?» propose
Deanna.
«Buona idea» approvò Heidi. «E prima di partire mi piacerebbe
anche andare allo zoo. Lo adoro.»
«Perfetto» disse Lauren, voltandosi nuovamente. Non riuscì a
distinguere nulla, ma era sicura che il poliziotto si nascondesse
nell'ombra di uno degli edifici vicini.
Raggiunsero il cortile del Bed&Breakfast senza incidenti. I cancelli
cigolarono quando Lauren li aprì. Girarono intorno alla piscina. La
simpatica coppia di lesbiche del bungalow numero tre era seduta a
uno dei tavolini. Alte, bionde e bellissime, Janice ed Helen
lavoravano come modelle per una grande catena di abbigliamento.
Avevano davanti a loro delle tazze di plastica e guardavano le stelle.
«Una notte stupenda, vero?» osservò Janice.
«È così bello stare a guardare il cielo con il profumo delle
magnolie» replicò Helen. «Non pare anche a voi?» chiese, come se
davvero volesse conoscere il loro parere.
«Magnifico» convenne Lauren.
«Janice pensa che sia anche un po' inquietante.»
«Vedo ombre dappertutto» spiegò Janice scoppiando a ridere.
«Scherzi dell'immaginazione, suppongo. Lei non fa una piega
nemmeno di fronte al più truce film dell'orrore, ma io li guardo solo
a casa, dove posso andarmene quando non ce la faccio più.»
«Io vado a letto, sono sfinita» annunciò Deanna, avviandosi verso
il bungalow, seguita da un coro di buonanotte.
«Credo che seguirò il suo esempio» disse Heidi poco dopo.
«Meglio che rientriamo anche noi.» Janice le guardò con un sorriso
e aggiunse: «Avremmo ancora dello champagne, se vi va».
«Domani sera?» propose Lauren.
«Perfetto» rispose Janice. «Ci vediamo qui fuori? Adoro questo
posto di notte, solo che a volte... »
«A volte cosa?» la sollecitò Lauren.
Janice si strinse nelle spalle e guardò Helen con aria di scusa. «Be',
ho la sensazione che qualcuno ci osservi.»
Erano tutte pazze, si chiese Lauren, o il loro senso di disagio era
giustificato? Era vero che i bungalow erano in una zona piuttosto
isolata, ma erano pur sempre visibili dalla costruzione principale.
Sull'altro lato, un muro separava la proprietà da un vecchio edificio
vittoriano, occupato al pianterreno da alcune botteghe che
vendevano T-shirt, caffè e pozioni voodoo, mentre al piano
superiore c'erano appartamenti da affittare. Il muro era alto e
robusto; non sarebbe stato facile per un intruso scalarlo.
«Anche Deanna ha avuto la sensazione che qualcuno ci osservasse»
disse Lauren.
«E che cosa c'è di strano, sentiamo?» esclamò Helen, ridendo. «La
tua amica è uno schianto. Sarà il solito guardone che spia una bella
donna.»
«In ogni caso, sarà meglio chiudere la porta a chiave» suggerì
Lauren.
«Ci puoi scommettere» convenne Helen.
Lauren era contenta di aver trovato le due donne ad accoglierle,
anche se le parole di Janice l'avevano messa in allarme. Ma a ben
pensarci, la spiegazione di Helen era plausibile, rifletté.
Dopo essersi augurate la buonanotte, si avviarono verso i rispettivi
bungalow. Quando furono davanti alla porta, Lauren si voltò verso
la strada e vide che un uomo le aveva effettivamente seguite. Alla
luce dei lampioni si vedeva chiaramente: era il poliziotto.
Rassicurata, si voltò ed entrò in casa.
«Io vado a letto» annunciò Heidi, stringendo le amiche in un
rapido abbraccio. «Scusatemi se sono stata una lagna. Domani sera
niente risse, ci divertiremo un sacco.»
«Puoi giurarci» le assicurò Deanna.
«Sicuro» promise Lauren.
Anche Deanna la abbracciò, dopo che Heidi si fu ritirata in camera
da letto. «Sei una grande amica. E io mi sono comportata in modo
davvero strano. Scusami. Ti voglio bene.»
«Anch'io. E non sei tu a essere strana. È solo che sono successe
delle cose inspiegabili, non trovi?»
«Sì, ma vuoi sapere qual è la più bizzarra?»
«Sentiamo.»
«Nonostante quello che è successo stasera, voglio rivedere Jonas.
Non temere» si affrettò ad aggiungere. «Non ho intenzione di uscire
di notte o di fare altre pazzie. Sono esausta e voglio proprio farmi
una bella dormita.»
«Buonanotte.»
Rimasta sola, Lauren si avvicinò alla finestra, scostò le tende e
guardò fuori. Il poliziotto se n'era andato.
Mentre guardava la strada, dei colpi leggeri alla porta la fecero
sobbalzare e per poco non le scappò un grido. Probabilmente era il
poliziotto, si disse, ed era per questo che non lo vedeva più in
strada.
Senza riflettere, aprì la porta.
Non era il poliziotto.
Prese fiato per gridare, ma non ne ebbe il tempo.
Una mano le coprì la bocca mentre qualcuno la trascinava fuori
nella notte.
Capitolo 7
Sean Canady si trovava sul marciapiede di Conti Street, dopo
essersi assicurato che Lauren e le sue amiche fossero rientrate sane e
salve nel loro bungalow, quando suonò il cellulare.
«Canady» rispose.
«Sono Bobby, tenente. Abbiamo un problema.»
«Parla.»
«Un altro cadavere nel fiume.»
Sean imprecò tra sé. «Dove?»
Quando l'agente gli comunicò le coordinate, fu sollevato di sentire
che non era nel cuore della città.
«Manda un'auto a prendermi» disse, dandogli l'indirizzo.
«Sissignore.»
«Bobby?»
«Sì?»
Sean fece una pausa. «È senza testa?»
«Sì, tenente, senza testa.»
«Non gridare. Ti prego, non gridare. Giuro su Dio che non voglio
farti del male. Sto cercando di aiutarti!»
pensieri le turbinavano nella mente alla velocità della luce mentre
veniva trascinata lontana dalla soglia.
Doveva gridare, si disse, doveva chiamare aiuto.
Avrebbe finto di acconsentire, e non appena le avesse tolto la
mano dalla bocca, avrebbe urlato con tutto il fiato che aveva in
gola.
suo sguardo sembrava sincero, notò. Ed era un uomo forte,
muscoloso. Se avesse voluto trascinarla da qualche parte, avrebbe
potuto farlo facilmente.
Chiama aiuto!
Quante donne nella storia erano morte perché avevano dato
ascolto alle parole non gridare?
Lei non era una stupida. Anzi, era la figlia di un poliziotto!
«Ti prego, se solo mi ascolterai, giuro che non ti toccherò mai più.
Devi solo ascoltarmi. Devi capire il pericolo in cui ti trovi.»
In realtà mi piace quando mi tocchi, anche se guardi me e pensi a
Katie, anche se non sono nemmeno sicura che tu sia sano di mente...
Pensieri distorti dalla paura, si disse.
Eppure, quando Mark le tolse la mano dalla bocca, Lauren si
limitò a guardarlo con gli occhi che lanciavano strali. Tremava, ma
nonostante ciò che si era ripromessa, non gridò. «La polizia sa tutto
di te» si limitò a dirgli.
«Forse qualcuno di loro sa di che cosa sto parlando.»
«Sanno che alloggi qui.»
«Ti prego.» Non la stava toccando, anche se Lauren aveva
l'impressione che volesse farlo. «Vieni nel mio bungalow. Solo per
dieci minuti. Puoi andartene quando vuoi.»
Non solo non avrebbe gridato, si rese conto, ma lo avrebbe
accontentato. Non era un gran rischio, considerò. I bungalow erano
piccoli e molto vicini l'uno all'altro. Se avesse gridato, qualcuno
l'avrebbe sentita.
«Se penserai ancora che sono completamente pazzo dopo aver
ascoltato quello che devo dirti, ti giuro... che ti lascerò in pace.»
«Potrei farti arrestare.»
«Le vostre vite valgono il rischio.»
Sembrava sincero. Lauren sapeva che avrebbe dovuto ascoltare la
voce della ragione e dirgli di no. Certo, era attratta da quell'uomo, e
in un modo che non aveva mai creduto possibile. In sua presenza si
sentiva come se tutti i sensi fossero acuiti, e tuttavia quella non era
una buona ragione per fidarsi di lui. Eppure... «Sarà meglio che ti
sbrighi» disse bruscamente. «Aspetta qui. Vado a chiudere la porta.»
Con sua stessa sorpresa, rientrò con calma nel bungalow, prese le
chiavi e si assicurò che la porta fosse ben chiusa prima di tornare
fuori, questa volta volontariamente. Mark la condusse al bungalow
di fianco e la fece entrare. Appena varcata la soglia, Lauren respirò a
fondo, chiedendosi se non avesse appena firmato la propria
condanna a morte.
Il bungalow era identico a quello in cui stavano loro - camera da
letto, soggiorno con angolo cottura e bagno - solo che in quello di
Mark il divano era rimasto un divano. Lauren sedette su una sedia
per evitare qualunque contatto fisico, anche casuale.
«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese lui.
«No. Hai detto che devi parlarmi, quindi parla.»
Mark si accomodò di fronte a lei sul divano. Si sporse in avanti e
respirò a fondo senza toglierle gli occhi di dosso. «Tu sai che il
pericolo è reale. Nel fiume è stato trovato un corpo senza testa.»
«Difficile non averlo letto sul giornale» replicò Lauren.
«E come ti ho già detto, io so chi è il killer.»
Dovrei sospettare di te, pensò lei, ma per qualche strana ragione
non riusciva a crederci. In caso contrario non lo avrebbe mai seguito
lì spontaneamente.
Forse non era del tutto sano di mente, decise, ma non stava
mentendo. «Come puoi esserne certo?» gli chiese.
«Perché lo conosco bene.»
Lauren lo fissò, cercando di assimilare quello che aveva detto, poi
domandò con cautela: «Sei proprio sicuro che quello che mi stai
dicendo sia... reale?».
«Stephen Delansky è fin troppo reale» le rispose con calma Mark.
«Sono venuto qui perché mi sono imbattuto in uno dei suoi... accoliti
e ho capito che era diretto a New Orleans. Con un esercito.»
«Un esercito?» ripeté lei. «E chi sarebbe questo Stephen Delansky?»
«Un vecchio nemico. E non è solo nemico mio. È un uomo
pericoloso. Molti anni fa feci un viaggio a Kiev, in Ucraina. Lì
incontrai una donna, Katja.»
«Quella che mi assomigliava.»
«Sì» mormorò lui. Trasse un profondo respiro prima di continuare,
come per farsi coraggio. «Io sono originario di questa zona. Dopo
aver conosciuto Katja, lei si trasferì qui con me. Eravamo pazzi l'uno
dell'altra. La chiamavo Katie. Pensavamo di tornare a Kiev per il
matrimonio, perché lei aveva sempre sognato di sposarsi in un
castello e laggiù ce ne sono di molti belli. Mentre eravamo ancora
qui a New Orleans incontrò più di una volta un suo vecchio amico,
Stephen. Una volta la vidi parlare con lui e le chiesi chi fosse, suggerii
perfino che ci presentasse, ma lui non volle incontrarmi. Intanto
facevamo i preparativi per le nozze. Poi, poco prima della
cerimonia, Katie morì. Per colpa di quell'uomo.»
La sua voce era ammaliante, seducente. La toccava in profondità,
lasciandola indifesa. Voleva continuare ad ascoltarlo. Voleva
credergli.
E tuttavia non poteva fare a meno di pensare che forse il dolore
della perdita aveva alterato il suo equilibrio mentale. Sapeva che
cosa significava negare la realtà, passare attraverso la collera, lo
strazio e poi l'accettazione apatica di un lutto così grave.
Forse lui non era ancora arrivato in fondo a quel percorso.
«Le ha sparato? L'ha pugnalata? Come l'ha uccisa?» chiese con voce
sommessa.
Lui chinò il capo per qualche istante e Lauren fu tentata di
allungare una mano e sfiorargli i lucidi capelli neri.
Poi Mark sollevò lo sguardo e la guardò negli occhi.
«Stephen è un vampiro.»
Lauren rimase immobile, come paralizzata. Si augurò di aver
sentito male, ma sapeva che non era così. «Capisco» mormorò, anche
se in realtà l'unica cosa che capiva era che lui non era sano di mente.
Che cosa triste. Il primo uomo con cui aveva pensato di poter avere
una relazione, forse perfino di poter amare di nuovo...
Una relazione? Okay, sesso.
Doveva riprendere la padronanza di sé, si disse. Non era mai stata
il tipo da avventure occasionali.
Solo che quell'uomo non le ispirava nulla di "occasionale".
Perfino in quel momento, dopo averlo sentito affermare in tutta
serietà che esistevano i vampiri, provava ancora il desiderio di
accarezzare i suoi capelli scuri come la notte.
Mark scosse il capo e incurvò le labbra in un sorriso autoironico.
«So che non mi credi. Ma credi almeno a questo. Conosco il
poliziotto che è venuto nel locale, quello che vi ha seguite fin qui. È
il tenente Sean Canady. Oggi sono stato con lui all'obitorio.»
«All'obitorio?» ripeté Lauren, fissandolo con sguardo vacuo.
«Avevo bisogno di vedere il corpo.»
«Quello della donna senza testa?» Il solo pensiero le metteva i
brividi.
«Sì.»
«Fammi capire. Il tenente Canady, un ufficiale di polizia, ti ha
portato con sé a vedere il corpo della vittima di un crimine?»
«Sì, puoi chiederglielo, se non ci credi.»
C'era una nota di assoluta sincerità nella sua voce. Lauren non
poté dubitare che Canady l'avesse portato con sé all'obitorio.
Fantastico. Anche i poliziotti sono impazziti, pensò.
Mark alzò una mano. «Ti prego, ascolta fino in fondo. I poliziotti
non sono pazzi, come non lo sono io. Siamo a New
Orleans, la capitale del voodoo. Lo sanno tutti che da queste parti
si praticano ogni genere di culti dai rituali raccapriccianti.»
«Sì, certo» mormorò Lauren.
Doveva andarsene di lì. Le aveva promesso che non l'avrebbe
fermata. Tutto quello che doveva fare era alzarsi e uscire. Ma non lo
fece.
«E dopo che hai visto il corpo?»
«Anche se è stata decapitata, si vedono ancora i segni.»
«I segni? Di un vampiro?»
«Sì.»
Lauren fece un respiro profondo; avvertiva il bisogno di fuggire a
gambe levate, ma nello stesso tempo era affascinata dal racconto.
Anche se desiderava disperatamente che quella conversazione non
avesse mai avuto luogo. «E va bene» disse. «Torniamo a quello che è
successo stasera in quel locale. Quell'uomo, Jonas, Deanna lo
considera un amico. Perché volevi picchiarlo?»
«Perché è un vampiro.»
«Credevo che il vampiro fosse Stephen.»
«Stephen è uno di loro, un vampiro molto vecchio e molto
potente. Può influenzare la gente intorno a lui, incutere rispetto.»
Mark fece una smorfia. «Proprio come il leader di una setta»
mormorò. «Credo che sia venuto qui con un esercito di vampiri. E
sono convinto che sappia che sei qui.»
«Mi darebbe la caccia perché assomiglio a Katie?»
«Non so se sia stato veramente innamorato di lei o se averla fosse
diventata per lui solo una questione d'orgoglio, un'ossessione. Ma se
quando ti ho vista ho pensato, anche solo per una frazione di
secondo, che fossi Katie, posso assicurarti che Stephen avrebbe
reagito esattamente allo stesso modo.»
Lauren si inumidì le labbra e parlò in tono pacato e ragionevole.
«D'accordo, ma... se Stephen vuole me, perché Jonas sta dietro a
Deanna?»
«Speravo di scoprirlo stasera. Deanna è molto bella; qualsiasi
uomo la noterebbe anche in mezzo alla folla. Può darsi che sia tutto
qui. Forse, dopo averla vista, Jonas la vuole per sé. O forse Stephen
ha deciso di togliere di mezzo le tue amiche una a una, e ha
ordinato a lui di occuparsi di Deanna. Naturalmente Stephen sa che
anch'io sono nella zona.»
«Come fa a saperlo?»
Mark si incupì. «Fidati, lo sa. Ed è stato qui, nella tenuta. So anche
questo.»
«L'hai visto?»
«Ho sentito il suo... odore.»
Ha sentito il suo odore?
Lauren si sentì scuotere da un brivido gelido. Avrebbe dovuto
ridere.
Anzi no, avrebbe dovuto andarsene. Avrebbe dovuto farlo già
dieci minuti prima.
Ma ancora una volta si limitò a guardarlo, allibita. C'era qualcosa
nelle sue parole, una sincerità pacata che era inquietante. Mark
parlava con una tale autorità e sicurezza da far pensare che quello
che diceva fosse vero... o almeno che ci credesse veramente.
Rimase in silenzio per qualche istante, poi si sporse in avanti e
disse: «Mark, io so che cosa significhi perdere una persona cara.
Anch'io ero fidanzata. Lui era nell'esercito e rimase ucciso oltremare.
Sapevo che correva dei pericoli laggiù, ma in qualche modo non
riesci a credere che possa accadere qualcosa di orribile alle persone
che ami. Era un pilota, e il suo aereo precipitò. Cercai di convincermi
che non era vero, che c'era stato un errore, che si trattava di qualcun
altro... Poi il suo corpo venne rimpatriato e fui costretta ad
affrontare la verità. Ci sono diversi stadi del lutto, sai. Negazione e
rifiuto, rabbia, sensi di colpa... Sono certa che è stato un dolore
terribile perdere Katie. C'erano giorni in cui io stessa credevo di aver
perso il senno. Ti giuro, sono pacifista, ma avrei distrutto mezzo
mondo con la bomba atomica».
Lui scosse il capo, gli occhi velati dalle ciglia scure, poi le rivolse un
mesto sorriso, del tipo che le faceva desiderare di confortarlo. «Io
non voglio fare del male a nessuno, se non a Stephen e alla sua
genia.»
«Vuoi dire i vampiri?»
Mark esitò. «La sua genia» ripeté.
Lauren alzò le mani in segno di resa. «Che cosa vuoi da me?» gli
chiese.
«Lascia che vi protegga.»
«Vuoi seguirci come un'ombra?»
«Sì.»
Si alzò, pensando per l'ennesima volta che doveva andarsene da lì
e dare ascolto alla voce della ragione. Al tempo stesso non sapeva
rinunciare a stare con lui, accanto a lui, a guardarlo negli occhi e a
sentire la sua voce. Tutto quello che desiderava era che quella fosse
una conversazione normale. Che le chiedesse un appuntamento, per
esempio. Voleva ridere con lui. Voleva che la prendesse tra le
braccia... voleva vivere il sogno.
«Devo pensarci» disse infine.
Anche lui si alzò. «Vuoi andare alla polizia domani mattina per
denunciarmi come squilibrato e metterti nelle mani delle autorità.
Ma loro non possono aiutarti. Non sono sicuro che possano aiutare
nemmeno se stessi.»
«Senti, sono davvero stanca. Ho bevuto un po' e in questo
momento non so proprio che cosa pensare.» Si avviò verso la porta
e si voltò prima di uscire. «E non sono la tua Katie.»
Lui scosse il capo. «Questo lo so. Tu sei molto diversa, sei solo te
stessa.» La sua voce aveva un tono roco e Lauren non fu in grado di
bloccare le immagini sensuali che evocava nella sua mente, pur
sapendo che era folle anche solo pensare di poter avere una
relazione con lui.
Non sapeva bene perché, eppure aveva bisogno di sapere che la
considerava diversa, una donna con una personalità propria. Ed era
irritata con se stessa perché questo le sembrava così importante. Non
voleva sentirsi la sostituta di un'altra se...
Se fosse finita a letto con lui.
Ma non sarebbe successo. Tanto per cominciare, quell'uomo non
era del tutto sano di mente.
«Allora perché sei interessato a me?» chiese in tono più duro di
quanto fosse nelle sue intenzioni.
«Perché sei una persona notevole.»
A un tratto fu troppo. «Devo andare. Heidi o Deanna potrebbero
svegliarsi e si spaventerebbero se non mi trovassero in casa.»
«Sì, certo.»
Mentre pronunciava quelle parole, un grido agghiacciante lacerò il
silenzio della notte.
Il rumore degli elicotteri che sorvolavano il Mississippi era
assordante.
Se non fosse stato per quello e per le squadre al lavoro, avrebbe
potuto essere una notte qualunque in una qualunque località lungo il
fiume. Anche se non li vedeva, Sean sapeva che tutto intorno c'erano
sciamo di insetti. La brezza portava con sé il profumo delle
magnolie, e se chiudeva gli occhi...
... sentiva ancora il rumore degli elicotteri e le grida degli uomini.
I due ragazzini che avevano fatto la macabra scoperta scendendo
il fiume in canoa si trovavano sulla banchina, avvolti in coperte,
pallidi e spaventati. Sean sapeva che non avevano niente a che fare
con l'omicidio. Chiamò due agenti e disse loro di accompagnarli a
casa.
«Cristo santo, quell'uomo è seriamente malato» mormorò
qualcuno accanto a lui.
Sean non disse nulla. Sapeva che l'assassino non era affatto
malato. E nemmeno pazzo. Era malvagio. E scaltro. Sapeva anche
che doveva tenere la situazione sotto controllo e lasciare che la
polizia locale credesse al solito maniaco.
«Che nessuno tocchi la vittima finché non arriva Mordock» ordinò,
facendo un cenno a Bobby perché si assicurasse che i suoi ordini
venissero eseguiti alla lettera.
Si avvicinò all'acqua, pur sapendo che non avrebbe trovato indizi.
L'assassino era ben di più di un dannato maniaco, pensò, e godeva di
ciò che stava facendo. Controllo della popolazione. Lasciava quel
tanto di indizi da mettere la polizia su una falsa pista. Gettava i corpi
nel Mississippi, ben sapendo che il fiume avrebbe cancellato gran
parte delle tracce.
«Tenente? È arrivato Mordock» riferì Bobby poco dopo.
Sean tornò accanto al cadavere e lo guardò. Non era mai riuscito
a fare il suo lavoro con distacco. New Orleans era la sua città e lui
l'amava, lottava per lei. Aveva a cuore la sua gente.
Ma la ragazza morta aveva un che di irreale. Niente testa. La pelle
livida, il tipico gonfiore degli annegati.
Mordock finì di esaminare il corpo e sollevò lo sguardo. «Ne
sapremo di più dopo l'autopsia» disse.
«Che cosa puoi dirmi adesso?»
«Il decesso è avvenuto da due a quattro giorni fa, direi. Non credo
siano di più.»
«Decapitata prima o dopo la morte?» domandò Sean, pur
conoscendo già la risposta.
«Dopo.»
Uno dei poliziotti lì accanto si fece il segno della croce. «Grazie a
Dio» mormorò. Poi si voltò e si allontanò in tutta fretta. Sean lo udì
vomitare.
«Dissanguata?» chiese con un filo di voce.
«Sì.» Mordock lo guardò negli occhi. «Abbiamo per le mani una
setta di pazzi che si credono vampiri o qualcosa del genere?»
«Già, qualcosa del genere» rispose Sean. «Scusami, devo chiamare
mia moglie.»
Mark poteva essere alto, robusto e veloce, ma Lauren fu più svelta
di lui.
Schizzò nel cortile e vide... qualcosa.
Una sagoma scura. Sembrava l'incarnazione stessa dell'oscurità. Un
grande buco nero nell'universo.
All'estremità della piscina, qualcuno - o qualcosa - stava parlando
con Deanna.
La ragazza, splendida in una leggera camicia da notte bianca,
teneva una mano sul cuore mentre fissava...
Che cosa?
Lauren non riusciva a vedere chiaramente, ma era sicura che ci
fosse qualcosa davanti a lei. Qualcosa oltre all'oscurità.
L'oscurità si muoveva.
Mark la superò. Era incredibile che un uomo della sua corporatura
potesse muoversi così velocemente e subito pensò che doveva essere
stato un giocatore di football. Poi si chiese come potesse perdere
tempo in pensieri tanto futili quando era così terrorizzata. Mentre
Mark correva, notò che aveva tirato fuori qualcosa dalla tasca.
All'improvviso un getto di liquido volò dritto verso l'ombra vivente
che incombeva su Deanna.
Lauren si fermò, con il cuore che batteva all'impazzata. Vide Mark
fermarsi davanti a Deanna, ponendosi fra lei e qualunque cosa fosse
ciò che era lì fino a un istante prima. La sua mente rifiutava di
accettare la sensazione di aver visto una nuvola di pura malvagità
dissolversi nell'aria. Era stata soltanto un'illusione ottica dovuta al
buio, si disse. Qualcuno era veramente stato lì.
Eppure, quando Mark aveva lanciato il liquido, era sicura di aver
udito qualcosa.
Una specie di sibilo.
Poi l'ombra era svanita, e con essa era sparito anche Mark. Non
era uscito dal cancello, ma stava correndo attraverso il cortile come
un quarterback lanciato verso la meta. Con un balzo scavalcò il
muro che separava i bungalow dalla proprietà accanto.
Lauren lo fissò allibita per qualche istante.
Poi tornò alla realtà con un sussulto. Deanna era immobile, scossa
da un violento tremito.
«Deanna!» gridò, correndo verso di lei e stringendola tra le
braccia.
L'amica rimase immobile; sembrava che non l'avesse riconosciuta.
«Deanna?» la chiamò, scrollandola.
Finalmente la ragazza si riscosse: ammiccò, come se si fosse
svegliata bruscamente da un sonno profondo, e la fissò sgranando gli
occhi.
«Io...» Si interruppe e si guardò intorno, confusa. «Non ricordo di
essere uscita» disse, rabbrividendo. «Ho avuto un altro attacco di
sonnambulismo? Ho sognato di uscire dal bungalow per vedere
Jonas... ma poi non era più Jonas.» Sembrava sperduta e impaurita;
poi il suo atteggiamento cambiò all'improvviso e la sua espressione
passò da perplessa a impaziente e irritata. «Stavi parlando con Mark
Davidson? Che cosa diavolo ha per la testa quel tizio? Voleva fare
del male a Jonas?»
«Deanna, questa è una faccenda seria. E non ha niente a che
vedere con Mark o con Jonas» disse con fermezza Lauren. «Stavi
camminando di nuovo nel sonno. E hai gridato.»
«Non è vero! Io non ho affatto gridato!» esclamò, sgomenta,
la ragazza.
«Va tutto bene?»
Lauren si voltò sentendo un'altra voce. Era Helen. Lei e Janice
erano uscite dal loro bungalow e le guardavano stringendosi nelle
vestaglie.
«Oh» gemette Deanna. «Vi ho svegliate? Ho davvero gridato?»
«Sì» confermò Janice. «O almeno, qualcuno l'ha fatto.»
«Non volevo, mi dispiace moltissimo. Non capisco come sia
potuto accadere... Questa sera ero anche stata attenta a non bere
troppo» si scusò Deanna.
In quel momento uscì anche Heidi, ancora assonnata e confusa.
«Ehi, che cosa sta succedendo qui fuori?»
«Va tutto bene» la tranquillizzò Deanna, che sembrava tornata la
stessa di sempre e cercava di liquidare il proprio comportamento
come una sciocchezza. «In vita mia ho fatto migliaia di sogni, a volte
belli, a volte brutti, ma non mi era mai capitato di svegliare l'intero
vicinato. Mi dispiace tanto.»
«Non c'è problema. È una fortuna che siamo vicine di bungalow»
disse Janice. «Comunque è strano...» aggiunse in tono pensoso.
«Dov'è il bel palestrato del bungalow numero sei? Mi stupisce che
non sia uscito anche lui. Ha l'aria di un...»
«Di un vero duro?» scherzò Helen.
«Credo che sia un poliziotto o qualcosa del genere» terminò
Janice.
«È uno scrittore e un musicista» la corresse Lauren.
«Così dice lui. Secondo me è della polizia. FBI, forse.»
Io credo che sia pazzo, avrebbe voluto dire Lauren.
Ma in realtà tutto quello che era successo quella notte era una
follia. Anche se doveva ammettere che ora il cortile sembrava del
tutto normale, senza ombre viventi né strani occhi che le spiassero;
era umido e buio ed era molto tardi.
Deanna, pallidissima, stava ancora tremando. «Mark...» mormorò,
poi scoppiò a ridere. «Credo che si sia lanciato all'inseguimento del
mostro uscito dal mio sogno.»
Non era più in collera con lui per aver aggredito Jonas, notò
Lauren.
«Bene, visto che è tutto a posto...» disse Janice con uno sbadiglio.
«Sì, mi dispiace davvero molto. Spero che riuscirete tutte a
riprendere sonno» si scusò ancora Deanna.
«Non c'è problema» le assicurò Helen.
«Allora, possiamo tornare a dormire anche noi?» chiese Heidi.
«Bloccheremo la porta, Deanna, così non potrai uscire di nuovo.»
Dopo che furono rientrate, Lauren si assicurò che la porta fosse
ben chiusa, e per maggior precauzione la bloccò incastrando lo
schienale di una sedia sotto la maniglia.
Heidi e Deanna la osservarono senza fiatare.
«Mi sembra che vada bene» disse infine Heidi.
«Grazie» mormorò Deanna.
Dopodiché si ritirarono entrambe nella loro stanza.
Lauren si rannicchiò sul divano letto, prese il telecomando e fece
un po' di zapping finché non trovò una replica di Tre cuori in affitto.
Dovevano andarsene, pensò mentre guardava la vecchia sit-com.
Poco ma sicuro, dovevano tornare a casa.
A Heidi non avrebbe fatto piacere interrompere la vacanza, ma
Lauren avrebbe cercato in qualche modo di convincerla che non
aveva senso rimanere in un posto dove il loro vicino sosteneva di
essere un cacciatore di vampiri, Deanna continuava a camminare nel
sonno e lei stessa credeva di aver visto l'oscurità prendere vita.
E dove un corpo senza testa era stato trovato a galleggiare nel
fiume...
Rimase sveglia per circa un'ora, cercando di seguire la sit-com
anche se in realtà fissava lo schermo senza vederlo.
Non riusciva a spegnere la mente. Continuava a vedere Mark che
scattava all'inseguimento dell'ombra e le lanciava addosso una
qualche sostanza liquida.
Poco prima, al bar, Big Jim aveva gettato una birra addosso ai due
avversari nel vicolo, rammentò. Strano...
Vampiri. Mark insisteva nel dire che erano vampiri.
Oh, per favore!
Mark Davidson era pazzo. Intrigante ma fuori di testa.
Si chiese se la follia fosse contagiosa, perché anche Janice era
convinta che qualcuno le stesse spiando.
Mentre cercava di trovare un senso a tutte quelle cose assurde
doveva essersi addormentata, perché si svegliò di soprassalto quando
un grido da far accapponare la pelle squarciò per la seconda volta il
silenzio della notte.
Secondo giorno, secondo cadavere.
Sean fece una smorfia vedendo il titolo del giornale. Se
l'aspettava, e temeva che avrebbe scatenato un'ondata di panico in
tutta la città.
Bobby entrò nel suo ufficio. «Si sente bene, tenente?»
«Oh, sì, d'incanto.»
L'agente rimase in silenzio qualche istante. «Abbiamo messo al
lavoro tutti gli uomini in servizio e la polizia fluviale sta perlustrando
in lungo e in largo tutto il Mississippi» lo aggiornò.
Sean fissò il collega. «Già. Come se questo potesse fermarlo.»
Bobby arrossì. «Che cos'altro potremmo fare, tenente? Vuole che
faccia cercare quel tipo che ha nominato la ragazza ieri sera? Mark
Davidson?»
Sean si appoggiò allo schienale. «Buona idea. Ma non voglio che
venga arrestato. Mi occuperò io di lui, intesi? Se avrò bisogno di
aiuto te lo farò sapere.»
«Sì, signore.» Bobby esitò. «Ho messo in guardia i ragazzi, ma non
so quanto possa servire» aggiunse, avviandosi verso la porta.
«Bene.» Sean si alzò. «Io vado in giro a fare qualche domanda.
Voglio che chiami tutti gli ospedali. Sai che cosa stiamo cercando.
Chiedi a qualcuno di controllare tutte le denunce delle persone
scomparse. E per quando sarò di ritorno voglio sulla scrivania tutti i
rapporti su persone che si comportano in modo strano.»
Bobby lo fissò.
«Che c'è?» chiese in tono brusco Sean.
L'agente si strinse nelle spalle. «Qui a New Orleans la gente si fa
vanto di comportarsi in modo strano.»
«Bobby, fila a prendere quei rapporti!»
«Non riesco a svegliarla!» esclamò Heidi con gli occhi sgranati per
l'ansia mentre Lauren si chinava su Deanna. «Guardala! Non è solo
pallida, è cinerea! Sta male davvero, Lauren. E non si sveglia.»
Lauren corse al telefono e chiamò il servizio di emergenza, poi
sedette accanto a Deanna e cercò di sentirle il polso.
Niente!
Le tastò la gola, e finalmente...
«È viva» annunciò con un sospiro di sollievo.
Mentre parlava, udì la sirena dell'ambulanza che si avvicinava.
I minuti successivi furono caotici. I paramedici si precipitarono nel
bungalow, e mentre si occupavano di Deanna Lauren e Heidi
dovettero rispondere alle loro domande; uno di loro era in costante
contatto telefonico con un medico del Pronto Soccorso.
Poi le ragazze andarono a turno in bagno per vestirsi e Lauren
cercò la borsa di Deanna per assicurarsi che ci fossero carta d'identità
e assicurazione sanitaria. Uno dei paramedici disse che una di loro
poteva salire sull'ambulanza con l'amica, mentre l'altra avrebbe
dovuto raggiungere l'ospedale con mezzi propri.
Quando Deanna era già sistemata sulla lettiga e l'ambulanza era
pronta a partire, Helen e Janice uscirono dal loro bungalow per
vedere che cosa stesse succedendo. Erano già vestite e, dato che
avevano un'auto, si misero subito a disposizione per un passaggio.
Lauren mandò Heidi con Deanna sull'ambulanza e salì in macchina
con le due ragazze, ringraziandole profusamente. Quando
arrivarono all'ospedale, si fermò un istante prima di scendere
dall'auto. «Mi raccomando, state molto attente anche voi, intesi?»
«Certo, stai tranquilla. Siamo abbastanza navigate» le assicurò
Helen.
Ma Lauren notò che Janice aveva la fronte corrugata, come se
avvertisse che c'era qualcosa che non andava. Proprio come lei.
«Tienici informate» le raccomandò Helen e lei promise che
l'avrebbe fatto.
Al Pronto Soccorso trovò Heidi seduta in sala d'attesa. «Un
medico ha preso in carico Deanna proprio ora» la aggiornò.
«Hanno detto qualcosa?»
«Le faranno una trasfusione, perché a quanto pare ha una grave
anemia. Ho tanta paura, Lauren. Forse è per questo che soffriva di
sonnambulismo.» Heidi rabbrividì. «Se non l'avessimo portata qui in
tempo avrebbe rischiato di morire.»
Vedendo lo sfinimento e il terrore sul viso dell'amica, Lauren la
strinse in un forte abbraccio. «Ma non è successo. E adesso che è
nelle mani dei medici si risolverà tutto.»
«È colpa mia, lo so.»
Lauren si rese conto che ne era davvero convinta, anche se non
riusciva a capire perché dovesse sentirsi in colpa.
Comunque fosse, non poteva lasciare che si tormentasse. «Se
Deanna sta male non può certo essere colpa tua. Rifletti: se tu non
fossi stata con lei e non ti fossi accorta che aveva perso i sensi,
avrebbe rischiato di morire. Invece, per fortuna eravamo lì per
portarla subito all'ospedale.»
Heidi annuì, anche se non sembrava ancora del tutto convinta.
«Va tutto bene» le assicurò Lauren. Tutto si sarebbe risolto, e non
appena Deanna fosse stata in grado di viaggiare, l'avrebbero portata
via da lì.
Sperava solo che nessuno le avrebbe seguite...
Che idea ridicola!, si rimproverò subito dopo, sentendosi
un'idiota. Si era lasciata suggestionare dalle assurdità con cui Mark
Davidson aveva cercato di convincerla che erano inseguite da
qualcosa di malvagio.
Vampiri, nientemeno!
«Ehi, guarda. c'è quel tipo di ieri sera...» disse a un tratto Heidi.
«Quale tipo?»
«Quello che è entrato ad ascoltare la musica ieri sera. Non avevi
detto che è un poliziotto?»
Lauren si girò. Era proprio lui, il tenente Sean Canady. Era al
banco dell'accettazione e stava facendo domande.
Mentre lo guardava, lui si voltò e la riconobbe. «Salve, signorina
Crow» la salutò avvicinandosi.
«Salve, tenente. Questa è la mia amica Heidi Weiss.»
Canady le rivolse un breve cenno del capo. «Ho sentito che la
vostra amica sta molto male.»
«Sì.»
Canady sorrise con gentilezza a Heidi. «Sono certo che le
permetteranno di vederla e di stare un po' con lei se lo chiederà.» Il
suo tono non era altrettanto delicato quando si rivolse nuovamente
a Lauren. «Vorrei farle qualche domanda,
signorina Crow.»
Sospettava di lei?
Heidi corrugò la fronte, sconcertata. «Okay» disse. «Vado da
Deanna.»
Dopo che se ne fu andata, il tenente si sedette al suo posto
accanto a Lauren.
«Ieri sera ci ha seguite fino all'albergo» esordì lei. «Non riesco a
immaginare cos'altro voglia sapere.»
Canady si strinse nelle spalle con un sorriso. «Mi scusi, credevo che
avrebbe apprezzato una scorta.»
Lauren distolse lo sguardo e cercò di raccogliere le idee. Un uomo
seduto di fronte a loro, che si premeva sulla mascella una compressa
di garza sporca di sangue, la fissò con insistenza e la cosa la
innervosì. Due infermiere stavano medicando una bambina che si era
schiacciata un dito nella portiera dell'auto. Le persone che si
trovavano lì erano malate o ferite, e tuttavia la sala in sé era
luminosa e piena di vita, notò. Il che faceva sembrare più irreali che
mai gli avvenimenti della notte prima e le ombre animate.
«Vorrei che mi dicesse qualcosa di più sull'uomo coinvolto nella
rissa al bar» disse Canady.
Lauren si voltò nuovamente verso di lui. «È pazzo.»
«Oh? Per quale motivo?»
«Crede che esistano i vampiri.» Rimase in attesa della sua reazione.
Si aspettava che il tenente scuotesse il capo con aria ironica o facesse
un commento sprezzante, e quando nulla di tutto ciò accadde
aggiunse: «Mi ha sentita? Quell'uomo è fuori di testa. Non credo che
sia pericoloso e ammetto che è piuttosto affascinante ma... è
completamente pazzo, non c'è altra spiegazione».
Ancora una volta Canady non disse una parola. «Tenente?»
«Vedo che porta ancora la sua croce» osservò infine lui.
Lauren si portò una mano alla gola. Se ne era completamente
dimenticata. «Non è mia» mormorò.
«Be', continui a indossarla ugualmente» le consigliò in tono
solenne. «È molto bella. E in questo modo non la perderà. Non sa
dirmi niente dell'altro uomo? Jonas?»
Lei scosse il capo. «No. So solo che Deanna gli ha parlato un paio
di volte.» Fissò Canady negli occhi, avvertendo ancora una volta che
c'era qualcosa che non andava. «Che cosa diavolo sta succedendo,
tenente?» chiese.
«Ho tutte le intenzioni di scoprirlo» rispose lui. «Mi ascolti, non
sono certo che siate al sicuro dove alloggiate e non ho abbastanza
uomini per proteggervi.»
«Perché è così preoccupato per noi, mi scusi?»
Canady rimase in silenzio per un po', guardando dritto davanti a
sé. «Faccio il poliziotto da molto tempo» rispose infine. «La mia è
solo una sensazione, ma credo che siate state scelte come bersaglio
da... be', da uno squilibrato, chiamiamolo così. Conosco un albergo
in cui sareste al sicuro.» Si strinse nelle spalle e sorrise. «Uno dei miei
uomini esce con la direttrice ed è sempre da quelle parti. La
proprietaria è all'estero. Credo che lei e la sua amica Heidi dovreste
trasferirvi lì. Si chiama Monstresse House e si trova a Bourbon.» Si
alzò. «Metterò un agente a piantonare la stanza della vostra amica
per essere certi che non corra pericoli.»
«Forse la dimetteranno oggi stesso» disse Lauren.
«La tratterranno.»
Lauren sentì un nodo di paura serrarle la gola. «Non è possibile
che sia così grave. Devo riportarla a casa» mormorò.
«Prima deve riprendersi. Nel frattempo, voi due trasferitevi a
Monstresse House. E si fidi di me: ho tutte le intenzioni di andare a
fondo di questa storia.»
Le tese un biglietto da visita e Lauren lo prese senza nemmeno
guardarlo. Con un ultimo sorriso rassicurante, il tenente si diresse
verso la porta.
Lei rimase a guardarlo per qualche istante, poi riportò lo sguardo
di fronte a sé. L'uomo con la mascella insanguinata se n'era andato,
ma aveva lasciato il giornale.
Il titolo d'apertura le gelò il sangue nelle vene.
SECONDO GIORNO, SECONDO CADAVERE.
Chiuse gli occhi, li riaprì, poi fissò il biglietto che teneva in mano.
Era identico a quello che Big Jim aveva dato a Deanna la sera prima.
Capitolo 8
Mark aprì gli occhi con un gemito.
Ci era andato vicino. Molto vicino.
Ma non si era aspettato la trappola e questo era stato un grave
errore - quasi fatale - da parte sua. Appena Deanna aveva gridato
aveva capito subito che cosa stava succedendo, e in quel momento
lanciarsi all'inseguimento gli era parsa l'unica scelta possibile, pur
sapendo di essere solo mentre Stephen poteva contare su un intero
esercito.
Quello che i seguaci di Stephen ignoravano era che al loro capo
non importava che fine avrebbero fatto; erano lì per essere
sacrificati, tutto qui. Di conseguenza, più folli scalmanati Stephen
avrebbe raccolto intorno a sé, più lui ne avrebbe dovuti sacrificare
strada facendo per evitare che lo catturassero o lo uccidessero.
In effetti, era già un miracolo che fosse riuscito a cavarsela la notte
precedente, pensò.
Rotolando sul letto, si alzò e andò in bagno, dove si guardò allo
specchio.
Si aspettava di essere conciato peggio. Per fortuna non erano
riusciti a disarmarlo, pensò. Era caduto in un'imboscata e lo avevano
pestato a sangue, ma lui aveva tenuto ben strette le sue armi, armi
che i suoi avversari non erano preparati ad affrontare.
Stephen, naturalmente, l'aveva sempre saputo.
I suoi scagnozzi invece non sospettavano neanche lontanamente
che il loro grande capo conoscesse il nemico, ed erano morti per lui.
Mark guardò ancora il proprio viso riflesso nello specchio,
dandosi dello stupido. In quella storia non c'era spazio per gli errori,
avrebbe dovuto saperlo.
Una bella doccia bollente l'avrebbe aiutato a sentirsi meglio
pensò, infilandosi in bagno.
Fu così. Mezz'ora più tardi, ben rasato e vestito, non aveva più un
aspetto così terribile. Si stava passando il pettine tra i capelli ancora
umidi quando bussarono alla porta.
Era Helen, la ragazza del bungalow accanto. «Mark, per fortuna ci
sei» disse, trafelata.
«È successo qualcosa?»
«Ho pensato che dovessi saperlo. Una delle ragazze del bungalow
accanto è stata portata all'ospedale d'urgenza stamattina.»
«Deanna?» chiese Mark con il cuore che martellava nel petto.
Helen aggrottò la fronte, sconcertata. «Sì, come fai a saperlo?»
«Lauren mi aveva detto che si era sentita un po' strana
ultimamente, tutto qui» mentì.
«Ah. Be', Heidi è salita con lei sull'ambulanza mentre Janice e io
abbiamo lasciato Lauren al Pronto Soccorso. È passato già un po' di
tempo... Ho provato a bussare, prima, ma evidentemente non hai
sentito.»
«Ho il sonno pesante» spiegò Mark. «Grazie di tutto. Ti sono grato
di avermi informato.»
«Figurati. Oh, ecco il tuo giornale» aggiunse con un sorriso,
tendendogli la copia del quotidiano che veniva lasciata ogni mattina
davanti a ciascun bungalow.
Mark lesse il titolo.
SECONDO GIORNO, SECONDO CADAVERE.
Ringraziò ancora Helen, e dopo aver chiuso la porta scagliò il
giornale attraverso la stanza. Pochi minuti dopo uscì di corsa, diretto
all'ospedale.
Errore numero due.
Non lo vide nemmeno arrivare, tanto era concentrato su Deanna
e sul secondo cadavere.
Qualunque cosa fosse ciò che lo colpì, fu come una tonnellata di
mattoni sul cranio.
Mentre crollava per terra, pensò che forse era il manico di
un'accetta. Una molto grande, come un'arma
medioevale. Poi perse i sensi e non pensò più a nulla.
da
battaglia
«Ci trasferiremo in questo posto» dichiarò Lauren.
«Come, scusa?» domandò Heidi, distratta.
Deanna era stata sistemata in una stanza ma non aveva ancora
ripreso coscienza. Se non altro, aveva acquistato un po' di colore; i
medici avevano assicurato loro che sarebbe guarita, se avesse
superato le successive ventiquattr'ore. Il livello di globuli rossi era
così basso che aveva rischiato di morire, ma la trasfusione aveva
invertito il processo e c'erano buone probabilità che tutto si
risolvesse per il meglio.
Le avevano assegnato una stanza singola, e un poliziotto montava
la guardia fuori dalla porta.
Avrebbe dovuto sentirsi tranquilla, pensò Lauren, ma non era così.
«Quel poliziotto, il tenente Canady, dice che sarebbe più prudente
se cambiassimo albergo e ci trasferissimo al Monstresse House»
spiegò a Heidi.
«Perché si preoccupa di dove stiamo?»
Lauren respirò a fondo. «Teme che uno squilibrato ci abbia scelte
come bersaglio.»
Heidi aggrottò la fronte.
«Potrebbe trattarsi di uno squilibrato convinto di essere un
vampiro» continuò Lauren.
Heidi la fissò per diversi secondi con espressione incredula, poi
scoppiò a ridere. «Lauren, ti rendi conto di quello che hai appena
detto? Un vampiro? Leggi troppi romanzi horror.»
«Heidi... »
«Deanna ha perso molto sangue» continuò l'amica in tono
ragionevole. «È malata. Probabilmente lo era già prima che
venissimo qui ed è per questo che ha avuto quelle crisi di
sonnambulismo. Non è stata aggredita.»
«Heidi, il tenente Canady dice che dobbiamo cambiare albergo e
io preferirei fare come dice lui» dichiarò con fermezza Lauren. «Senti,
pare che un poliziotto sia sempre lì e il tenente lo considera un posto
sicuro. Se qualcuno ci ha davvero prese di mira, dobbiamo trasferirci.
Non vorrai mettere in pericolo qualcun altro, per esempio Janice o
Helen?»
Heidi inarcò un sopracciglio, riflettendo. «D'accordo. Come vuoi.
Quando ci spostiamo? Non credo che dovremmo lasciare sola
Deanna in questo momento.»
Lauren era d'accordo con lei, ma non voleva nemmeno passare
tutto il giorno in ospedale. Decise che più tardi avrebbe fatto un
salto in Jackson Square. Voleva trovare Susan, l'indovina, e farle
pressioni finché non le avesse detto qualcosa che avesse senso.
Avrebbe dovuto raccontare alla polizia di quella donna, pensò
con amarezza. Ma che cosa poteva dire? In fondo non c'era niente di
concreto e non voleva passare per pazza. No, meglio parlare prima
con lei, decise.
Si sporse verso Heidi. «D'accordo, per il momento faremo così: io
vado a preparare i bagagli. Se hai bisogno di fare due passi per
prendere una boccata d'aria fai pure, ma poi torna qui. D'accordo?»
«D'accordo» rispose Heidi. Guardò il letto in cui Deanna giaceva
immobile e pallidissima, quindi si alzò e posò una mano sulla fronte
dell'amica. «È fresca» mormorò, «ma non ghiacciata come prima.»
Scambiò uno sguardo con Lauren attraverso il letto. «Sono così
preoccupata per lei.»
«Anch'io.»
«Credi che sia stata colpa mia?»
«No, assolutamente no» le assicurò Lauren. «E si riprenderà, vedrai.
È quello che hanno detto i dottori.»
Heidi fissò lo sguardo nel vuoto. «Dissero così anche di mio padre
prima che morisse per un secondo infarto» mormorò, angosciata.
«Non me la sento di lasciarla in questo momento. Vai tu, d'accordo?»
A un tratto si udì la suoneria di un cellulare. Heidi si frugò in tasca.
«Barry» annunciò allarmata prima di rispondere. «Che cosa devo
dirgli?»
«È il tuo fidanzato» le ricordò Lauren.
«Lo so, ma si preoccuperebbe. Meglio che non risponda. Lo
richiamerò più tardi, quando avrò pensato a cosa dirgli.»
«Digli solo che Deanna si è sentita male e che è all'ospedale, che
siamo qui con lei e che i dottori dicono che si riprenderà.»
Heidi annuì. «Giusto. Gli dirò così, ma più tardi. Vai, adesso, e fai
quello che devi fare. Io starò qui con Deanna. Andrà tutto bene.»
«Okay, farò il più in fretta possibile» le assicurò Lauren.
Heidi le rivolse un lieve sorriso. «Ehi, non ha senso stare tutte e
due sedute qui. Io uscirò più tardi. Mi dispiace solo che tocchi a te
raccogliere tutte le nostre cose.»
«Non c'è problema. Ci vediamo tra poco.» Lauren ricambiò il
sorriso e uscì.
Mark riprese lentamente i sensi, ma non aprì gli occhi. Prima cercò
di sentire l'ambiente in cui si trovava.
Era seduto. Legato a una sedia, con i polsi stretti dietro la schiena.
Non era una stazione di polizia.
La temperatura era gradevole, grazie all'aria condizionata.
Non si udivano rumori, ma sapeva che c'era qualcuno con lui nella
stanza. Non Stephen, però. Non era un vampiro.
La testa gli pulsava.
Respirò a fondo un paio di volte, cercando di placare il dolore.
«L'hai colpito troppo forte» sussurrò qualcuno. Una voce
femminile. Dolce, preoccupata.
«Avevo bisogno che perdesse i sensi.»
Per poco Mark non sobbalzò, rivelando così di aver ripreso
conoscenza. Aveva riconosciuto la voce. Era quella del tenente
Canady.
Continuò ad ascoltare, cercando di stabilire dove si trovava.
«Sean, avresti potuto ucciderlo.»
«Smettila di preoccuparti, Maggie. Il nostro amico è un tipo tosto.»
«Non sai nemmeno se sia colpevole di qualcosa.»
«Però so che è al corrente di quello che sta succedendo qui
intorno.»
Mark si sforzò di distinguere altri rumori, cercando di capire se ci
fosse qualcun altro nella stanza. Dopo essersi concentrato per diversi
secondi, ebbe la certezza che non ci fossero altre persone.
Tastò le corde, flettendo impercettibilmente i polsi per vedere se
cedevano.
Era chiaro che non era in arresto. Le cose potevano anche andare
diversamente in Louisiana, ma nemmeno lì era legale che un
poliziotto ti spaccasse la testa e ti tenesse legato a una sedia in un
posto isolato.
Si raddrizzò e aprì gli occhi.
Canady era seduto su una sedia di fronte a lui. Una bella donna
con intensi occhi castani e capelli rosso scuro era in piedi al suo
fianco e gli teneva una mano sulla spalla. Il tenente indossava una
camicia di buon taglio e una giacca leggera; la donna sembrava
appena rientrata dalla palestra.
Mark fissò il poliziotto per un istante, poi si guardò intorno.
Si trovavano in una soffitta. Era piuttosto spaziosa, quindi doveva
essere un edificio grande. Riconobbe l'architettura: anche la sua
abitazione era costruita in uno stile simile. Probabilmente era dalle
parti di Plantation Road, decise, e quella casa doveva avere almeno
duecento anni.
Inarcò lentamente un sopracciglio guardando Canady e la donna.
«Suppongo di non essere precisamente agli arresti» disse.
«Non ufficialmente. Non ancora.»
Attese, facendo del suo meglio per nascondere i movimenti
mentre lavorava alle corde che gli stringevano i polsi. Naturalmente
Canady era armato. Era certo che portasse sempre una pistola
addosso. Glock? Smith & Wesson? Qualsiasi fosse, la giacca la
nascondeva. Ma lui era sicuro che fosse lì. «È casa sua?» chiese.
Canady annuì. Non sembrava particolarmente in collera. Più che
altro circospetto e meditabondo.
«Salve» disse la donna. «Io sono Maggie.»
«Maggie... Canady?»
«Sì.»
«Vorrei ringraziarla dell'ospitalità, ma...»
«Che cos'è venuto a fare qui in città?» domandò il tenente.
Mark chinò il capo per nascondere il mezzo sorriso che gli era
affiorato alle labbra. Gli sembrava di essere finito in un vecchio
western e che lo sceriffo stesse per intimargli di montare in sella e
squagliarsela prima del tramonto.
«Sono venuto da lei, se ben ricorda» rispose.
«Per dirmi che ci sono dei vampiri a New Orleans.»
«So chi è il vostro killer. Mi creda, se non è stato lui a commettere
gli omicidi, ne è responsabile.»
Era quasi riuscito a liberare le mani.
«Quel tale, Stephen» disse Canady.
«Sì.»
«Così, lei sostiene che ci sono dei veri vampiri a New Orleans.»
«Sean» mormorò Maggie.
«Maggie, lascia che lo dica.»
Mark scosse il capo e li fissò, poi sospirò. «Sì, sostengo che ci sono
veri vampiri a New Orleans. C'è un pericolo reale là fuori, e non
sono io.»
Aggrottò la fronte, perplesso. Maggie Canady lo stava fissando
come se credesse a ogni parola che aveva detto, anche se il marito
restava scettico.
«Cercavo solo di metterla in guardia» concluse.
«Dove si trovava la notte scorsa?» domando Canady.
Mark sospirò nuovamente. «Stavo lottando contro un vampiro.»
Decise di mettere tutte le carte in tavola. «Stephen è qui. Sta dando
la caccia a Lauren Crow. Non so se lo faccia perché vuole
tormentarmi o perché ha un profondo bisogno inconscio di ritrovare
Katie.»
«Katie?» ripeté Canady.
«Una donna che lui e io conoscevamo un tempo» rispose con
calma. «Allora non sapevo nulla di vampiri; avrei riso anche solo a
sentirne parlare, finché non andai a Kiev. La incontrai lì. Era nata a
Kiev e voleva sposarsi in uno dei castelli della zona. Conosceva
Stephen già da prima. Credo che lui l'abbia seguita fin qui e poi di
nuovo a Kiev. Cercò di allontanarla da me, ma lei ritornò.»
«Dov'è adesso questa Katie?»
«È morta.»
Maggie e il marito si scambiarono un'occhiata.
«Ho seguito le tracce di Stephen fin da quando sono arrivato qui,
ma so che è sempre stato vicino. Mi sono imbattuto in Lauren Crow
per caso, in un locale. Ho creduto di vedere un fantasma, tanto
assomiglia a Katie.»
«Quella che è stata attaccata però è Deanna» osservò Canady.
Mark aggrottò la fronte e sentì l'adrenalina scorrere nelle vene. Si
era ormai liberato delle corde, ma avrebbe preferito evitare un
contrasto diretto. «Le ho detto...» Esitò, respirò a fondo e poi disse
tutto d'un fiato: «I vampiri esistono e Stephen è uno dei più malvagi.
Non solo, credo che abbia radunato un piccolo esercito. Mi sono
imbattuto in alcune di quelle creature. Se lei non mi darà ascolto, se
non mi aiuterà, ci sarà una carneficina».
«Liberalo, Sean» mormorò Maggie.
«Lei mi crede?» domandò Mark.
«Certo che le crediamo. Non è così, Sean?»
Mark fissò la donna. Era un miracolo. «Voi... voi siete disposti a
credere che i vampiri esistono?»
La donna si gettò dietro le spalle i lunghi capelli rosso scuro.
«Certo che ci credo. Un tempo ero una di loro. E abbiamo diversi
amici che lo sono ancora. Ci sono molti modi per sopravvivere
senza uccidere vittime innocenti e trasformarle... » Sospirò. «A
proposito, Sean ha convinto le sue amiche a trasferirsi a Monstresse
House. La proprietaria è una vampira di nome Jessica, ma è partita
con alcuni compagni per sistemare una faccenda in Africa. Sean, ti
prego, lascialo andare.» Sfiorò delicatamente il braccio del marito.
«Sai che dice la verità.»
Lauren era dispiaciuta e si sentiva un po' in colpa all'idea di
lasciare il Bed&Breakfast, così non disse alla proprietaria che si
trasferivano; le lasciò pensare che avevano semplicemente deciso di
anticipare la partenza.
In effetti avrebbero dovuto veramente tornare a casa, ma non
potevano partire finché Deanna non fosse stata in grado di
viaggiare.
Radunare tutte le loro cose fu uno strazio, perché sia Heidi che
Deanna avevano l'abitudine di lasciare tutto in giro. Lauren cercò di
aggrapparsi all'irritazione: se non altro le impediva di pensare agli
strani eventi che si erano verificati in quelle ultime ore.
Quando ebbe fatto i bagagli, li portò sul marciapiede e chiamò un
taxi.
Il conducente, che parlava una lingua di difficile identificazione,
non fu molto contento di dover caricare in auto così tante valigie
per accompagnare una sola persona a pochi isolati di distanza.
Impaziente, Lauren gli promise una lauta mancia.
L'indirizzo sul biglietto da visita che le aveva dato il tenente
corrispondeva a un edificio in Bourbon Street che non aveva mai
notato prima. C'erano un prato, un vialetto costeggiato da alberi e
fiori, e una piscina sul retro. Il cancello era in ferro battuto.
La casa sorgeva un poco all'interno rispetto alla strada e aveva un
bel porticato che la faceva assomigliare a una fazenda sudamericana.
Il taxista scaricò i bagagli sul marciapiede, e quando Lauren cercò
di spiegargli che aveva bisogno d'aiuto per raggiungere l'ingresso,
finse di non capire una sola parola di inglese, prese il denaro e la
piantò in asso.
Era appena sparito, che la porta si aprì e una donna snella, alta
circa un metro e sessanta, si precipitò lungo il vialetto, seguita da un
poliziotto che Lauren aveva già visto: era l'agente che era
intervenuto nel vicolo dietro il bar insieme al tenente Canady.
Qualche istante dopo comparve anche il sassofonista, Big Jim.
«Salve!» la salutò cordialmente la donna. «Sono Stacey Lacroix. Tu
sei Lauren, vero? Sean mi ha parlato di te. Non ti dispiace se ti do
del tu, vero? Vieni dentro. Ci occuperemo noi dei bagagli.» Era
minuta, ma sembrava un vortice di energia. «Oh, e questo è Bobby
Munro» aggiunse, presentandole il poliziotto.
«Ci siamo già conosciuti» disse l'agente con un mezzo sorriso.
«Nel vicolo, ricordo. Salve, io sono Lauren Crow.»
«E questo è Big Jim Dixon, il miglior sassofonista di tutti gli Stati
Uniti» continuò Stacey.
«La solita esagerata» replicò Jim Dixon, porgendo la mano alla
ragazza. «Anche noi ci conosciamo già.»
«E credo di averti visto suonare anche a un funerale jazz l'altro
giorno.»
«Sì, ero io» confermò lui, sollevando senza sforzo una delle valigie
più pesanti.
Nonostante l'accoglienza calorosa, Lauren si sentì un po' a disagio.
Se non altro, si consolò prendendo la tracolla di Deanna, in quattro
sarebbe bastato un solo viaggio per trasportare i bagagli all'interno.
Prima di seguire gli altri lungo il vialetto d'ingresso, si fermò a
guardarsi intorno come aveva fatto Stacey.
Tutto a un tratto il cielo aveva assunto un colore cinereo e le
nuvole si addensavano scure e minacciose sopra di loro. Alcuni
uccelli si alzarono in volo sopra casa.
«Andiamo dentro» li sollecitò Stacey.
Lauren avvertì un'improvvisa tensione aleggiare nell'aria. Big Jim
era già a metà strada. Si affrettò a seguirlo.
Il posto era bellissimo e Lauren se ne innamorò non appena vi
mise piede. Pensò che la casa doveva essere molto vecchia, il che
non era insolito per la zona, ma era stata restaurata ed era tenuta
alla perfezione. Il corrimano delle scale era levigato e lucente;
tappeti di lana ricoprivano i pavimenti di legno; un orologio a
pendolo batté le ore al loro ingresso e un lampadario di cristallo
illuminava l'atrio, avvolgendolo in un caldo bagliore.
«La reception è là dietro» le spiegò Stacey. «Ti farò firmare il
registro dopo averti mostrato le vostre stanze. La proprietaria è
all'estero in questo momento, ma credo che sarete soddisfatte della
sistemazione. Non avevamo previsto di avere ospiti, ma quando
Sean ha chiamato... be', non potevo proprio dirgli di no. Se non
altro avrete un sacco di spazio.»
Bobby Munro e Big Jim erano già a metà dell'elegante scalinata.
Stacey chiuse a chiave la porta d'ingresso e li seguì. Lauren le andò
dietro.
La scala conduceva a un lungo corridoio che si estendeva in
entrambe le direzioni. «Le camere degli ospiti sono a sinistra» spiegò
Stacey, voltandosi a guardarla. «C'è una balconata che corre sul
retro, con una magnifica vista sulla piscina. Abbiamo un'unica regola:
non fare entrare nessuno, mai, senza chiedere prima a me. L'ha
stabilita Jessica, la proprietaria, e noi tutti la rispettiamo.»
Stacey le stava sorridendo, tuttavia c'era qualcosa di strano nel
modo in cui parlava. Come se infrangere quella regola potesse
portare conseguenze disastrose, tipo una carrozza che si trasformava
in zucca. O peggio.
«È una casa bellissima» disse educatamente Lauren.
«Sì, vero?»
Big Jim e Bobby uscirono proprio in quel momento da una delle
stanze degli ospiti. «Non sapevamo dove mettere i bagagli» disse il
sassofonista, «così li abbiamo lasciati tutti in una stanza.»
«Mi pare di aver capito che siete in tre» riprese Stacey. «Il tenente
ci ha detto che una delle tue amiche è in ospedale, mentre l'altra Heidi, giusto? - avrà bisogno di una sistemazione per la notte. In
ogni caso, questa è la tua stanza, quella di Heidi è qui accanto e la
vostra amica potrà sistemarsi in quella di fronte.»
«Non sono sicura che avremo bisogno di così tanto spazio»
mormorò Lauren. La porta della camera che le era stata assegnata
era aperta e si vedeva che il locale era molto ampio. C'erano un
letto imponente, un tavolo, un armadio enorme e un sacco di spazio
nel mezzo. Una portafinestra dava sulla balconata.
Stacey si strinse nelle spalle. «La casa è grande. Ne approfittiamo,
quando è possibile.»
«Al piano di sotto, sul retro, c'è la cucina» la informò Bobby,
osservandola con un sorriso. «Io sono qui per la maggior parte del
tempo, quando non sono in servizio.» Prese per mano Stacey e
aggiunse: «Siamo fidanzati».
«Congratulazioni.»
«Io invece abito nel villino del custode sul retro» la informò Big
Jim. «Non che faccia veramente il custode: semplicemente, vivo lì.»
«Che Bobby è un poliziotto lo sapevi già, no?» disse Stacey.
«Sì.» Lauren non poté fare a meno di chiedersi se i poliziotti del
posto fossero normali. Quelli che aveva incontrato fino a quel
momento sembravano osservarla come se non la giudicassero del
tutto sana di mente. Se non altro l'avevano presa abbastanza sul
serio da mettere qualcuno a piantonare la stanza di Deanna
all'ospedale, si disse.
«Sono sicura che la tua stanza ti piacerà» continuò Stacey,
invitandola a entrare con un gesto della mano, evidentemente
orgogliosa.
Lauren trovò la camera davvero adorabile. Tutto era di un gusto
squisito, dal legno levigato dell'armadio ottocentesco al letto a
baldacchino, al tavolo in ciliegio, al copriletto a fiori. Esitò,
chiedendosi se potesse permettersi una sistemazione così raffinata,
indipendentemente dal fatto che il tenente Canady la ritenesse
sicura, ma prima che potesse esprimere le proprie riserve Stacey le
disse un prezzo a persona che era ridicolmente basso.
«Com'è possibile che possiate mandare avanti l'attività con questi
prezzi?» non poté trattenersi dal chiedere.
«Oh, Jessica non ha bisogno di Monstresse House per vivere» le
spiegò. «È una psicologa ed è ricca di famiglia. Apre e chiude questo
posto quando più le fa comodo.»
«Siamo le uniche ospiti in questo momento?»
«C'è un altro cliente che arriverà più tardi» rispose Stacey. «Se sei
pronta, possiamo procedere con la registrazione.»
«Io devo andare al lavoro, ma di solito passo qui la notte» la
informò Bobby. «Mi ha fatto davvero piacere conoscerti.»
«E io devo andare al club» disse Big Jim.
«A presto» li salutò Lauren mentre i due si avviavano lungo le
scale. Si sentì leggermente a disagio vedendoli andar via. Aveva
l'impressione che sapessero troppe cose di lei e che si fossero mostrati
un po' troppo amichevoli. E che dire di quella regola? Non far
entrare nessuno.
Non era tutto un po' troppo misterioso?
Oh, al diavolo, si disse. Che cosa poteva esserci di più inquietante
di quello che stava già succedendo? Un uomo affascinante l'aveva
sequestrata solo per poterle dire che c'erano dei vampiri a New
Orleans. Deanna era in ospedale e aveva subito una trasfusione
dopo una crisi di sonnambulismo e forse un'aggressione. Il bel
tenebroso era sparito per inseguire un'ombra nel buio e un tenente
di polizia aveva disposto che la stanza di Deanna venisse piantonata.
«Sono pronta, andiamo» disse a Stacey, scrollandosi di dosso quei
pensieri. «Mi farà bene muovermi.»
Era iniziato tutto con l'indovina, rifletté mentre scendevano alla
reception. E appena fatta la registrazione, sarebbe andata a cercarla
per avere delle risposte.
Heidi aveva finito di sfogliare la terza rivista. Aveva studiato
Modern Bride, leggendo un articolo sui piccoli incidenti dell'ultimo
minuto che avrebbero potuto rovinare le nozze, poi era passata a
People e infine aveva dato una scorsa a Time.
Deanna non aveva dato segno di vita. Giaceva sul letto come la
Bella Addormentata, bellissima nel suo sonno profondo, in attesa del
bacio del vero amore.
Perché non si sveglia?
Heidi si concesse qualche istante di autocommiserazione. Si
trovava con le sue migliori amiche in una città che tutte e tre
adoravano, dove avrebbero dovuto pensare solo a divertirsi. Barry
era a casa con i fratelli e i suoi amici. Non c'era niente di meglio di
un gruppo di giovani avvocati per lasciarsi andare a divertimenti
sfrenati. Pensò di chiamarlo, poi decise che in quel momento doveva
essere al lavoro e non voleva sembrare una di quelle donne che
chiamano un uomo solo per sentirsi rassicurare.
No, era tutto a posto. Deanna riceveva le cure migliori per... per
qualsiasi malattia fosse quella che l'aveva colpita. Lauren sarebbe
tornata presto. Un giorno avrebbero ripensato a quei giorni come a
un'esperienza che le aveva unite ancora di più. In fondo non
avrebbe mai voluto che il suo matrimonio o la festa di addio al
nubilato finissero per essere noiosi.
Posò la rivista, si alzò, si stiracchiò, poi si chinò su Deanna per
scostarle i capelli dalla fronte. L'infermiera era entrata pochi minuti
prima a controllare la flebo e registrare i segni vitali della paziente.
Tutto stava andando bene e lasciava sperare che Deanna avrebbe
ripreso presto conoscenza.
Andò alla porta e sbirciò nel corridoio. Un poliziotto in uniforme
seduto su una sedia leggeva il giornale. Tornò accanto a Deanna e si
sedette. La poltrona poteva essere trasformata in letto;
probabilmente lei o Lauren vi avrebbero trascorso la notte. Per il
momento, tuttavia, era soltanto una poltrona confortevole.
«Ti spiace se accendo la tivù?» chiese ad alta voce. Il suono della
propria voce le parve irreale. Come se a Deanna potesse importare
se accendeva o no la televisione, si disse.
Il telecomando era appeso alla testiera del letto, ma riuscì a
sistemare il filo in modo da controllare lo schermo dalla poltrona.
Fece un po' di zapping e alla fine si fermò su un talk show; non che
fosse appassionata a quel genere di programmi, ma non c'era nulla
che volesse vedere veramente.
Chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale della poltrona,
lasciandosi cullare dal brusio delle voci in sottofondo. Era
stanchissima. In fondo era come se fosse da sola, si disse, cedendo al
sonno.
Pochi minuti sognò che si trovava in uno strano posto. Era come
se un uomo fosse comparso alla televisione e parlasse direttamente a
lei. Era un uomo molto sensuale. Di solito Heidi non si lasciava
influenzare dalla bellezza fisica o dal carisma, anche se sapeva
riconoscerli. Essere profondamente innamorata di Barry non le
impediva di vedere bellezza e fascino negli altri uomini, e quello in
particolare era riuscito a conquistare tutta la sua attenzione. Stava
sognando, ne era certa, ma nel sogno gli sorrideva. Lui faceva
battute provocanti, la corteggiava, e lei si ritrovò a rispondere.
Aveva capelli molto scuri, un viso dai lineamenti virili e una voce
ipnotica. Non era sicura di cosa stesse dicendo esattamente, tuttavia
si sentì arrossire. Strano. Aveva la sensazione che la sua voce la
toccasse. Che la eccitasse sessualmente.
Che assurdità...
Provò un calore crescente e fu come se potesse sentire le sue dita
che le sfioravano la pelle delicata all'interno delle cosce.
È solo un sogno, si disse. Si stava avvicinando il giorno delle nozze
e una parte di lei aveva ceduto per qualche istante al panico. Era più
che comprensibile: dopotutto stava per rinunciare agli altri uomini
per sempre! Ed ecco spiegato quel sogno erotico con un attore della
televisione.
Ora però lo sconosciuto del sogno le stava dicendo di alzarsi.
Di andare alla finestra e farlo entrare.
Naturalmente non gli stava obbedendo davvero. Siamo seri, chi
mai entrerebbe in un ospedale dalla finestra? E com'era possibile che
lei si alzasse, andasse alla finestra e lo facesse entrare...?
Che gli permettesse di fare certe cose...
Che facesse sesso con lui...
Mentre Deanna giaceva in stato comatoso sul letto, poi!
Capitolo 9
Lauren firmò il registro e lasciò Monstresse House sentendosi
piena di energia e determinata a trovare l'indovina di Jackson
Square.
Ma dopo aver fatto più di una volta il giro della piazza, si rese
conto che molte delle persone che frequentavano abitualmente la
zona si facevano vedere solo sul tardi, probabilmente verso sera.
Peggio ancora, aveva la sensazione di essere seguita, pur essendo
in uno spazio pubblico alla luce del giorno. Il sole era forte, l'aria
calda e una leggera brezza spirava dal fiume. Il mondo sembrava
tranquillo, normale.
Ma non lo era affatto.
Tornò all'ospedale pensando che probabilmente Heidi era pronta
a tirarle il collo.
Invece non era affatto in collera.
Entrando nella stanza, la vide addormentata nella poltrona
accanto al letto. Si svegliò solo quando Lauren la toccò; si stiracchiò
e arrossì, guardandosi intorno con aria disorientata.
«Ciao. Ci sono novità? Hai parlato con qualcuno?»
Heidi sembrava un po' confusa. «Ehm... sì. L'ultima infermiera che
è entrata ha detto che i segni vitali sono forti e che Deanna si sta
riprendendo bene. Non si è ancora svegliata, ma sembra che stia
riposando tranquilla e i medici sono soddisfatti dei suoi progressi.»
«Mi dispiace» si scusò Lauren. «Non avevo intenzione di metterci
così tanto.»
«Perché, sei stata via a lungo?»
«Sì, ma il nuovo Bed&Breakfast è bellissimo.»
«Lo era anche l'altro» puntualizzò Heidi.
«Vedrai, Monstresse House ti piacerà» le assicurò Lauren.
Heidi si strinse nelle spalle. «Se è quello che volevi.»
«Grazie per avermi accontentata.»
«Bella schiava ti sei dimostrata.»
«Scusami.»
Heidi aggrottò la fronte un istante. «C'è ancora il poliziotto in
corridoio, vero?»
«Sì, certo.»
«Credi che possiamo andare a pranzo insieme? Abbiamo saltato la
colazione e sto morendo di fame.»
Lauren esitò. Era pieno giorno, si disse poi. Deanna era in
ospedale con un poliziotto che montava la guardia fuori dalla porta
della sua stanza. «Vuoi che prendiamo qualcosa alla caffetteria
dell'ospedale?»
«Veramente avrei preferito uscire, ma va bene lo stesso.»
In corridoio, Lauren vide che l'agente in servizio era un uomo sulla
cinquantina, probabilmente di origine francese o spagnola. Aveva un
viso che ispirava fiducia, un po' tirato ma gentile e rassicurante.
Quando gli disse che andavano a mangiare un boccone insieme,
rispose: «Buona idea. Andrò a sedermi dentro per stare con la vostra
amica. Fate pure con calma».
Mentre lo ringraziava, Lauren notò che portava una pesante
catena d'oro al collo. «È un crocifisso?» gli chiese.
«Oh... sì.» Lo tirò fuori dalla camicia per farglielo vedere. «Un
regalo di mia moglie. Lo porto sempre. È molto bello anche il suo.»
«Così indossi la croce di Mark» la prese in giro Heidi.
Lauren le rivolse un vago sorriso e ringraziò di nuovo l'agente.
Al bar, scoprirono che il self-service dell'ospedale era abbastanza
decente. Riempirono i vassoi e sedettero a un tavolo.
«Mi dispiace davvero che la tua festa sia andata in questo modo,
ma soprattutto sono preoccupata per Deanna» disse Lauren.
«Oh, non pensarci. Credo che dopotutto sia stata una buona cosa
non esagerare. Ho avuto più tempo per riflettere sul passo che sto
per compiere» rispose Heidi in tono leggero.
«Che cosa vuoi dire?»
«Ho ripensato all'intera faccenda del matrimonio» spiegò,
stringendosi nelle spalle.
Lauren rimase bloccata a mezz'aria mentre portava alle labbra una
forchettata di lattuga. «Come, scusa?»
«Non credo di essere pronta per il matrimonio.»
«Heidi, mancano solo due settimane alle nozze.»
«Lo so.» Per nulla turbata, Heidi si sistemò il tovagliolo sulle
ginocchia.
«Ma tu ami Barry.»
«Sì, certo che lo amo.»
«Allora?»
«Forse non sono ancora pronta.»
«Ma eri così sicura.»
«Le cose possono cambiare.»
«Hai parlato con lui? Avete avuto una discussione o qualcosa del
genere?» domandò Lauren, sempre più perplessa.
«No, non voglio discutere al telefono di una questione così
delicata, e in ogni caso no, non abbiamo mai litigato. Ogni tanto
siamo in disaccordo su qualcosa, ma le nostre non sono mai vere
liti.»
«Da quanto tempo non lo senti?»
«Da ieri.»
«E allora cosa...?»
«Non sono sicura di essere pronta per il matrimonio.» Heidi
arrossì, guardandola negli occhi. «Se proprio vuoi saperlo, mi è
venuto il dubbio che forse non sono del tutto pronta per una vita
sessualmente monogama.»
Lauren si limitò a fissarla con sguardo vacuo.
«Non ho voglia di discuterne» tagliò corto Heidi.
«Come vuoi.»
Heidi posò la forchetta. «Sai, dopotutto non ho veramente fame.
Dato che sei qui, andrò a fare due passi. Passerò a controllare che
non abbiamo dimenticato niente al vecchio Bed&Breakfast e a dare
un'occhiata a quello nuovo. D'accordo?»
«Okay» disse Lauren. Non sapeva nemmeno se l'amica l'avesse
sentita: Heidi era già uscita.
Scoprì che anche a lei era passato l'appetito e a un tratto sentì
l'urgenza di tornare da Deanna.
Salì le scale di corsa.
L'agente di polizia era ancora nella stanza e arrossì quando Lauren
lo trovò a leggere la rivista di Heidi sulle spose. «Ci sono delle belle
fotografie» disse. «Mia moglie e io siamo fuggiti a Las Vegas per
sposarci. A volte penso di averla privata di un vero matrimonio.»
«Da quanto tempo siete sposati?»
«Ventisei anni.»
«In questo caso immagino che sia contenta di quello che ha avuto»
gli assicurò Lauren.
Il poliziotto sorrise. Sembrava una persona felice. Lauren sedette ai
piedi del letto con la sensazione che il mondo potesse tornare a
posto. Il poliziotto rimase con lei. Non si accorse di essersi appisolata
finché non si sentì scuotere e l'agente le disse che stava arrivando un
collega a dargli il cambio.
Lauren si riscosse, batté le palpebre e si rese conto che era già il
crepuscolo.
Lauren si stava chiedendo se fosse opportuno allontanarsi
dall'ospedale per cercare di rintracciare l'indovina senza avvertire
Heidi, quando l'amica rientrò.
La mente di Lauren era ancora in subbuglio.
Le condizioni di Deanna erano immutate, ma ora era Heidi a
comportarsi in modo strano. Era tornata dalla sua passeggiata di
buon umore anche se sembrava un po'... spiritata. Non era un
termine che Lauren usasse abitualmente, tuttavia sembrava il più
adatto a descrivere il comportamento dell'amica. Accennò al fatto di
non aver risposto a diverse chiamate di Barry, affermò in tono
spensierato che Deanna sarebbe stata bene e si dichiarò felicissima di
restare con lei a guardare la televisione o a leggere per tutta la sera.
Quando Lauren le promise che sarebbe tornata il prima possibile, le
disse di non preoccuparsi.
Ciò nonostante Lauren continuò a provare un certo disagio
all'idea di lasciarla lì da sola. Ma poi si disse che stava diventando
ridicola. C'era un poliziotto di guardia alla porta e di certo, in caso
di bisogno, sarebbe stato perfettamente in grado di proteggere le
due ragazze.
Dopo aver lasciato l'ospedale prese un taxi e si fece portare a
Monstresse House, perché aveva deciso di prendere con sé una
giacca leggera prima di perlustrare Jackson Square. Il tassista,
gentilissimo, le offrì la propria comprensione quando seppe che
aveva un'amica all'ospedale. Credeva nell'occulto e le consigliò di
procurarsi un talismano efficace che la proteggesse contro il male.
Lauren lo ringraziò, pensando tra sé che non era il caso di lasciarsi
suggestionare.
Sfortunatamente il tassista non riuscì a portarla fino a Monstresse
House e nemmeno in Bourbon Street, perché le strade erano
bloccate a causa di un incidente, e scusandosi profusamente le
suggerì di scendere e percorrere a piedi gli ultimi isolati.
Lauren seguì il consiglio, anche se non sapeva esattamente dove si
trovasse, perché le strade erano così illuminate e piene di gente che
non avrebbe corso pericoli. Mentre camminava, ripensò a tutto
quello che avevano fatto da quando erano arrivate in città.
A un tratto si sentì pervadere da una sensazione di gelo che la
indusse a fermarsi. Si guardò intorno aggrottando la fronte; la strada
era fiancheggiata da vecchi edifici residenziali, c'erano solo pochi
negozi qua e là e la maggior parte erano caffè che aprivano solo di
giorno. Splendide dimore si innalzavano protette da alti muri. A un
tratto le parve che le siepi che costeggiavano il marciapiede
incominciassero a stormire tutte insieme.
Riprese a camminare, affrettando il passo, poi si bloccò di nuovo.
Qualcuno era sbucato da dietro un muro di mattoni, una figura
imponente, che si stagliava scura contro il cielo notturno.
In lontananza si udiva il rumore del traffico; risate, persino della
musica.
Lauren rimase immobile. Tutto a un tratto si era levata una brezza
insolitamente fresca per la stagione. Si rese conto di essere rimasta
sola sulla strada. Portoni e cancelli erano chiusi. Non era lontana da
Bourbon Street, e tuttavia era come se fosse ai confini del mondo.
La figura davanti a lei non si muoveva, o almeno non lo faceva in
modo percettibile, eppure sembrava avvicinarsi, come se fluttuasse,
librandosi nell'aria a pochi centimetri dal marciapiede.
All'improvviso la sagoma scura si rivelò un uomo. Alto, sulla
trentina, atletico, con occhi e capelli scuri. Indossava jeans neri, una
polo dello stesso colore e una giacca sportiva. I suoi capelli
sembravano più neri della notte.
E i suoi occhi...
Dovevano essere neri anche quelli.
Solo che sembrava che vi brillassero delle pagliuzze dorate.
Lauren si disse che doveva muoversi, affrettare il passo e
oltrepassare quell'uomo, ma si rese conto a un tratto di essere come
paralizzata.
Lo sconosciuto si avvicinò sorridendo.
Lauren udì un clacson suonare, ma era come se provenisse da un
altro mondo. Lo seguì il miagolio di uno strumento a corda.
Ma era così lontano.
«Salve.»
Fu come se il suo cuore rabbrividisse quando lo sconosciuto parlò.
Lauren non capiva perché non riuscisse a muoversi. Era come se fosse
paralizzata. Ed era furiosa con se stessa. Che cosa diavolo le stava
succedendo?
La voce dell'uomo era calda e profonda, e Lauren si chiese se fosse
quella a tenerla inchiodata sul posto; poi però si rese conto che era
rimasta lì, ad aspettarlo, ancor prima che parlasse.
Non rispose.
Si limitò a fissarlo e lui ricambiò il suo sguardo.
«Ti stavo cercando» disse infine lo sconosciuto.
La stava cercando? Ridicolo. Non lo conosceva. O sì? In quel
momento si fece strada dentro di lei la consapevolezza di averlo già
visto prima, solo che non riusciva a ricordare quando o dove.
Scoprì sorpresa che riusciva ancora a parlare. «Io non la conosco»
disse. Se si fosse sforzata, pensò, forse sarebbe riuscita anche a
muoversi.
«Ma io conosco te. E tu ricorderai, col tempo.»
Era la tattica peggiore che avesse mai visto per attaccare discorso,
pensò Lauren. «Mi scusi, ma devo andare» mormorò, alzando un
braccio.
Poteva muoversi!
Ma quando cercò di fare un passo avanti, se lo trovò
improvvisamente di fronte anche se non l'aveva visto muoversi. È
come se fosse volato qui.
Lo guardò negli occhi. Erano dorati. Anzi no, erano scuri. E c'era
una specie di fuoco che sembrava ardere dall'interno.
Era diventata completamente pazza.
«Questa volta sono in vantaggio» mormorò lo sconosciuto. «Non
ti perderò di nuovo.»
Lauren aprì la bocca per parlare, per dirgli che non poteva
perdere qualcosa che non aveva mai avuto. Ma il fuoco che ardeva
nel suo sguardo era così abbagliante...
La croce, pensò. La croce d'argento. Se solo avesse potuto tirarla
fuori...
Un gesto del genere tuttavia avrebbe implicato che credeva nei
vampiri, ed era ridicolo, considerò.
Inoltre non poteva più muovere le braccia. Era incatenata dal
bagliore del suo sguardo. Provò a muovere una mano, implorò il
proprio corpo di reagire...
Quando toccò la croce con le dita e la tirò fuori dalla camicia, un
lampo di furia attraversò gli occhi dello sconosciuto.
Aprì la bocca. I suoi denti non erano ingialliti, e nemmeno orribili,
marci o grondanti sangue. Semplicemente non erano denti.
Erano zanne!
L'uomo si avventò su di lei, furioso alla vista della croce. Sembrava
che soffrisse, ma che fosse determinato a sopportare il dolore pur di
agguantarla. Voleva strapparle la croce dal collo, intuì Lauren,
costringendosi a indietreggiare.
Fu allora che apparve Mark.
Lauren non riuscì a capire da dove fosse sbucato; semplicemente,
tutto a un tratto era lì.
Sentì le sue mani sulle spalle e si rese conto che la spingeva via.
Impugnava una pistola ad acqua, notò sconcertata. Una pistola ad
acqua da bambini!
Lui sollevò l'arma e sparò all'aggressore.
Si alzò una nuvola di vapore, poi un sibilo lacerò il silenzio,
accompagnato da un ruggito furibondo.
L'uomo dagli occhi di brace parve svanire nel buio, benché
echeggiasse ancora il suono della sua voce.
E all'improvviso, in quella strada così vicina a Bourbon eppure così
lontana, si materializzarono una ventina di ombre, simili a pozze di
oscurità che si muovevano.
Presero forma. E vita.
Mark le lanciò qualcosa.
Un'altra pistola ad acqua.
Lauren lo fissò, sgomenta, ma afferrò istintivamente il giocattolo.
«Non lasciare che prendano la croce. Spara!» le gridò Mark.
Sparare?
Con una pistola ad acqua?
Le ombre si stavano affollando intorno a lei. Erano tantissime.
Sembravano... Prima erano soltanto ombre, realizzò atterrita Lauren,
ma adesso erano proprio persone.
Una bambina con le gonne corte e i capelli a caschetto, il viso
spruzzato di lentiggini. Un ragazzo sulla ventina con una T-shirt dei
Grateful Dead. Un uomo che sembrava il sosia di James Bond. Una
donna che assomigliava come una goccia d'acqua alla protagonista di
Lucy ed io.
Qualcuno si lanciò addosso a Mark e lui lo respinse con un calcio
degno di Jackie Chan. L'aggressore volò all'indietro e andò a sbattere
con violenza contro un muro, poi si rialzò come se niente fosse e
tornò all'attacco.
Mark si era girato e per un istante Lauren pensò che volesse
sparare a lei con la pistola ad acqua, ma non era così. Udì un grido
di rabbia, seguito da quell'orribile sibilo, proprio dietro di sé. Si voltò
e vide una sagoma nera trasformarsi in un cumulo di cenere
infuocata.
Una bambina saltò sulla schiena di Mark. Lui la afferrò con
entrambe le mani e la fece volare oltre le spalle, sul marciapiede.
Sembrava Pollyanna.
Mark mirò in mezzo ai suoi occhi con la pistola ad acqua e
premette il grilletto.
La bambina lanciò un grido.
Un sibilo, una palla di fuoco, e la piccola diventò un mucchietto
di cenere.
Mark cominciò a ruotare su se stesso, spruzzando getti d'acqua
con la pistola.
Da qualche parte, qualcuno suonava della musica jazz.
In lontananza echeggiavano delle risate.
Un'auto suonò il clacson.
Altri sibili, punteggiati da grida di rabbia.
«Spara!» gridò Mark. «Girati e spara!»
Lauren si voltò. Un uomo che sembrava un cavaliere d'altri tempi
incombeva su di lei. Assomigliava così tanto ai ritratti di Carlo II che
lo shock la fece esitare.
Poi strinse il dito sul grilletto.
Il cavaliere era a pochi centimetri da lei quando il getto d'acqua lo
colpì; digrignò i denti e lanciò un grido mentre si dissolveva davanti
ai suoi occhi, lasciando impressa nella sua mente l'immagine delle
fauci spalancate e delle zanne lucenti.
A Lauren parve di vedere una lingua di fuoco illuminare un teschio
prima di vederlo sparire tra le fiamme...
Avvertì una presenza alle proprie spalle. Un uomo cercò di
afferrarla alla gola. Quando toccò la croce d'argento gridò e le sue
dita si incendiarono. Per un istante la fissò, il viso stravolto da una
maschera di furore che si trasformò in un teschio prima di esplodere
con una fiammata. Attraverso il fumo, Lauren vide Mark e capì che
era stato lui a sparare.
Poi udì una specie di frullare d'ali e vide le ombre volare in alto.
Pochi secondi dopo la strada era tornata tranquilla. I rumori che
provenivano da Bourbon Street parvero crescere di volume,
diventare sempre più reali e vicini.
Lauren rimase immobile sul marciapiede.
Stava ancora fissando un uomo.
Ma questa volta l'uomo era Mark.
Tremando, guardò la pistola ad acqua che teneva in mano. Aveva
portato le armi giuste, pensò distrattamente. Contenevano una gran
quantità d'acqua. I bambini si sarebbero divertiti un mondo a giocare
in piscina.
Solo che lei non era una bambina e quella non era una piscina.
E già le riusciva impossibile credere a quello che era appena
successo.
«Tutto bene?» le domandò Mark.
Che cosa sta dicendo?, si chiese Lauren. Tutto bene? È fuori di
senno?
«Tutto bene?» ripeté. «Accidenti, no!»
Lui respirò a fondo e le rivolse un sorriso di scusa. «Mi dispiace.
Volevo dire, sei ferita? Ti ha toccata prima che arrivassi io?»
Lei deglutì, scossa da un tremito incontrollabile. «No.»
Mark si avvicinò con cautela.
«Non è possibile che abbia visto quello che ho creduto di vedere»
mormorò Lauren.
«È così» le assicurò lui.
Era impossibile. Tutto era successo così rapidamente. Non può
essere stato reale.
Guardò a terra. Sembrava che un giardiniere maldestro avesse
perso della terra mentre spingeva la carriola lungo la strada.
Mark allungò un braccio per prenderle la pistola dalla mano con
la stessa cautela che avrebbe usato se l'arma fosse stata vera.
«Dobbiamo rientrare a Monstresse House» le disse gentilmente.
«L'albergo» gli fece eco lei, aggrottando la fronte.
«Se non altro non sei svenuta» mormorò lui.
Quelle parole la riscossero. All'improvviso la voce nella sua mente
che continuava a dirle che ci doveva essere qualcosa di vero nelle
storie che lui le aveva raccontato, si fece più forte.
I vampiri esistono davvero.
«Certo che non sono svenuta!» sbottò. Stava tremando così forte
che stentava a reggersi in piedi.
«Andiamo» disse Mark.
«A Monstresse House?»
«Sì.»
«Ma certo!» esclamò Lauren, colpita da un'intuizione. «Tu hai una
camera lì, vero?»
«Sì.»
«Deanna è stata morsa da un vampiro.» Era una constatazione,
non una domanda. Aveva ancora problemi a digerire il fatto che i
vampiri fossero reali.
«Sì.»
«Vivrà?»
«Lo spero.»
Lauren prese a camminare con movimenti meccanici, quasi fosse
una marionetta guidata da qualcun altro.
Mentre Mark si incamminava al suo fianco, le venne in mente che
era intervenuto appena in tempo.
Mi ha salvato la vita.
Erano quasi in Bourbon Street e dappertutto c'era gente che
parlava e rideva.
Un ubriaco le passò davanti e lei pensò che era stupendo. Era
reale. Normale.
«Mi stavi seguendo» disse in tono d'accusa, fermandosi e
voltandosi verso Mark.
«Fin dove ho potuto» ammise lui, fermandosi a sua volta.
Era tentata di picchiarlo. «Sei arrivato tardi!»
«Pensavo che fossi all'ospedale. Sono corso non appena ho saputo
che eri uscita.»
Voleva che la stringesse tra le braccia. Voleva rannicchiarsi contro
il suo petto. No, voleva che anche lui si comportasse in modo
normale. Aveva un disperato bisogno di fare un passo indietro.
Aprì la bocca per parlare. C'erano così tante cose da dire, così
tante domande da fare... Ma dalle sue labbra non ne uscì nemmeno
una. Non sapeva da che parte incominciare.
Fece un passo verso di lui, poi un altro. Si appoggiò alla sua spalla.
Sembrava solido, forte. Sentì le sue braccia stringerla e rimase così,
scossa da un violento tremito.
Oh, Dio, così è molto meglio...
Gli posò una mano sulla camicia e sentì la compattezza dei
muscoli attraverso il tessuto. Aveva desiderato stargli vicina, ma
aveva avuto paura.
Nemmeno in quel momento osava fidarsi di lui, anche se...
Anche se lui mi ha salvato la vita!
Ma aveva bisogno di sentire il suo fresco odore virile, la forza
vitale del suo corpo. Il suono della sua voce.
Oh, Dio, sarebbe stato così facile...
Si staccò da lui e riprese a camminare.
Raggiunsero la casa in Bourbon Street e tutt'a un tratto il cielo
parve riempirsi di uccelli. Stormi di uccelli. O pipistrelli.
O forse ombre volanti.
Quando li vide, Mark si incupì. Non sembrava spaventato,
piuttosto in collera.
«Apri il cancello» le disse con calma.
Lauren ubbidì e gli uccelli, pipistrelli o ombre che fossero,
continuarono a librarsi sopra di loro, senza avvicinarsi.
Insieme percorsero il vialetto che conduceva alla casa. La porta
d'ingresso si aprì prima che arrivassero a metà strada. «Venite,
presto» disse Stacey.
Era evidente che lei e Mark si conoscevano già.
«Che cosa è successo?» domandò.
«Stephen si è esibito per la prima volta davanti a Lauren» le spiegò
Mark.
«Oh, mio Dio, dove? Quando?» Guardò Lauren con aria
sospettosa. «È riuscito a...?»
«No» rispose Mark. «Ma sta diventando sempre più audace. Era
appena fuori da Bourbon.»
Stacey sospirò. «Era solo?»
«No. Ha con sé un esercito, proprio come pensavo.»
Lauren non riusciva a staccare lo sguardo dai due. Parlavano come
se la città fosse cinta d'assedio dal nemico contro cui avevano lottato
poco prima.
«Una vera infestazione» borbottò Stacey. Poi notò che Lauren la
stava fissando e sorrise, stringendosi nelle spalle. «Immagino che ora
capirai il motivo per cui non dobbiamo fare entrare assolutamente
nessuno.»
«Sì» mormorò lei. Capiva che erano pazzi, e anche lei doveva
essere fuori di testa, perché vedeva le stesse cose che vedevano loro.
«Mi dispiace» aggiunse. «Sto facendo del mio meglio per...»
«Per credere l'incredibile» concluse per lei Stacey.
«Tu sei davvero convinta che esistano i vampiri?»
«Sì.»
«Ma... »
Stacey scosse il capo, guardandola negli occhi. «Ti chiedi perché il
mondo non lo sappia? Tu li hai appena visti e ancora non riesci a
crederci. E poi...» Esitò, lanciando un'occhiata a Mark. «Credo che
Mr. Davidson potrebbe dirti che là fuori è pieno di vampiri che
vivono la loro vita in modo del tutto normale, senza fare del male a
nessuno. Ma ci sono anche quelli che...» Fece un'altra pausa e
concluse tutto d'un fiato: «Anche tra le persone normali ci sono degli
psicopatici. Killer che uccidono a sangue freddo. Non è diverso nel
mondo dei non-morti».
«I non-morti» ripeté lentamente Lauren. «In altre parole, stai
dicendo che potrei aver già conosciuto dei vampiri, vampiri buoni,
senza rendermene conto?»
«È possibile, sì» annuì Stacey. «Molti vivono senza che gli amici più
intimi conoscano la verità.»
Lauren la guardò con aria scettica.
«So che ti è difficile accettarlo» intervenne Mark.
«Ma l'importante è che qui sei al sicuro» terminò Stacey. «Big Jim
dorme nel villino del custode. Bobby è qui per gran parte del tempo
e io ho già passato esperienze simili. La nostra unica debolezza può
venire dall'interno.»
Lauren li fissò entrambi. «È stato il Tenente Canady a consigliarci
di venire qui. Mi state dicendo che anche lui crede ai vampiri?»
«Sì» rispose Mark.
«Sua moglie era una di loro» spiegò Stacey, come se fosse la cosa
più naturale del mondo.
«Era?»
«Nessuno ha capito esattamente che cosa sia successo nel suo caso,
sta di fatto che Maggie un tempo era una vampira. Lo è stata per
molti anni. Poi Sean entrò nella sua vita; insieme lottarono contro
un nemico profondamente malvagio e lei... tornò a essere umana.
Fu una gran cosa per Maggie, perché desiderava disperatamente
avere una famiglia. Le cose sono andate diversamente per Jessica
Fraser, la proprietaria di questo posto. Anche lei è una vampira,
buona, naturalmente.»
«Naturalmente.»
«È per questo che Sean vi ha mandate qui» le spiegò Stacey. «Noi
sappiamo come combattere il male. Abbiamo già lottato contro i
vampiri.»
«Quelli cattivi, naturalmente» mormorò Lauren.
«Naturalmente» confermò Stacey, seria in volto.
Possibile che quell'incubo fosse reale?, si chiese Lauren.
Solo pochi giorni prima il mondo ruotava intorno al suo asse, e
anche se tutte loro avevano qualche piccolo problema, almeno
erano... sane di mente.
Ora, invece...
Mark le posò una mano sulla spalla e lei lo guardò negli occhi.
Erano profondi, straordinari, occhi che l'avevano praticamente
ipnotizzata fin dall'inizio.
«Andrà tutto bene. Non ho intenzione di fermarmi finché non
avrò sconfitto Stephen, non importa quanti servi abbia ai suoi
ordini.»
«Giusto.» Lauren sapeva che la sua voce suonava esausta e
incredula, ma non le importava.
«Ho bisogno di una doccia» disse Mark.
Solo in quel momento Lauren notò che la sua camicia era
impregnata di una sostanza nera simile a fuliggine.
Anche lei ne era ricoperta.
Era la sostanza stessa della morte.
Cenere alla cenere.
Polvere alla polvere.
Aveva letteralmente addosso il male di innumerevoli anni.
Un'altra rivelazione la colpì, con tale violenza che temette di
svenire.
Ora ricordava dove aveva visto l'uomo che l'aveva fermata in
Bourbon Street.
Nella sfera di cristallo.
Capitolo 10
La doccia gli fece bene. Mark rimase a lungo sotto il getto
bollente, avvolto da una nuvola di vapore. Dubitava di potersi
sentire ancora veramente pulito visto il lavoro che faceva da tanti
anni, ma di sicuro si sentiva molto meglio fisicamente.
Forse, se fosse riuscito a distruggere Stephen e a vendicarsi del
male che gli aveva fatto, poi avrebbe trovato un po' di pace.
Ripensandoci, doveva ammettere che era stata una giornata piena
di sorprese.
Non capitava spesso di scoprire che un tenente di polizia non solo
credeva alle sue parole, ma aveva già avuto esperienza nella lotta
contro i vampiri.
E poi c'era stata la battaglia sul marciapiede.
Aveva sempre saputo che Stephen prima o poi sarebbe arrivato a
Lauren, ma non sapeva quando, dove o come l'avrebbe fatto. E
quando l'aveva sorpreso nell'atto di trasformarsi, si era illuso di
avere finalmente l'occasione di liberare per sempre il mondo da
quella creatura.
Stephen però non aveva intenzione di morire. Mark era riuscito a
coglierlo di sorpresa con l'acqua santa, ma ucciderlo sarebbe stato
ben più difficile. Essendo a capo di una setta, Stephen aveva degli
accoliti pronti a morire per lui e Mark sapeva di essere stato
fortunato, perché fino ad allora quelli che gli aveva mandato
addosso mentre spariva erano per la maggior parte inesperti.
Abbastanza antichi da sapere come partecipare a una caccia, ma
anche abbastanza folli da andare allo sbaraglio. Nessuno di loro
aveva molta esperienza, nemmeno il cavaliere che era comparso per
ultimo. Probabilmente veniva da una festa in costume.
Del resto, quella era la prima regola di ogni guerra: mandare
avanti le forze che si potevano sacrificare. Strinse i denti per la
collera, chiedendosi quando Stephen avesse incominciato a
preoccuparsi di tenere sotto controllo la sua gente. Pensò alle povere
donne assassinate, i cui corpi senza testa erano stati buttati nel fiume.
Era possibile, anche se poco probabile, che fossero stati alcuni dei
nuovi accoliti a commettere i crimini. E lui aveva la sensazione che il
responsabile fosse lo stesso Stephen.
Gli piaceva creare un'atmosfera di terrore.
Gli piaceva quando le autorità pensavano di dare la caccia a un
maniaco, sanguinario ma umano.
Naturalmente non aveva previsto di incontrare un uomo come
Sean Canady.
In tutta onestà, nemmeno Mark aveva immaginato di trovarsi in
una situazione simile. Non era solo il poliziotto a sapere
dell'esistenza dei vampiri. C'era un'intera comunità di persone, a
New Orleans, che ne era al corrente e che si occupava di intervenire
contro i più pericolosi. Sfortunatamente, molti di loro in quel
momento erano all'estero.
Secondo la moglie di Sean, Maggie, gran parte delle stragi
avvenivano nei paesi in via di sviluppo, dove la gente non aveva
niente, né ricchezze né speranza, e i colpi di stato erano all'ordine
del giorno; dove l'AIDS imperversava e la vita della gente era così
dura e triste che i vampiri potevano governare incontrastati sui loro
feudi.
Ma Sean era ancora lì, insieme a pochi altri di cui non aveva
voluto fare il nome. Mark sapeva che doveva comportarsi con
cautela, con lui, se voleva guadagnarsi la sua fiducia. Maggie invece
aveva un carattere più aperto. Lo aveva ascoltato con grande serietà,
e poi gli aveva raccontato alcune storie dei loro amici.
Era stata una conversazione assurda, o almeno lo sarebbe stata se
lui non fosse stato l'uomo che era e se la situazione non fosse stata
così critica.
E ora Stephen era uscito allo scoperto.
Soprattutto, ora Lauren credeva all'esistenza dei vampiri. Di più,
forse incominciava anche a fidarsi di lui.
Mentre usciva dalla doccia, decise che era di vitale importanza
tornare al più presto in ospedale.
Si avvolse un asciugamano intorno ai fianchi e iniziò ad asciugarsi i
capelli, quando udì bussare alla porta. Esitò, non sentendosi ancora
pronto per una visita. «Sì?»
«Sono io, Lauren.»
Dopo un istante di esitazione, Mark andò alla porta e l'aprì.
Gli occhi di Lauren sembravano di un verde ancora più brillante di
quanto ricordasse. I capelli splendevano come oro scuro. Era pallida,
ma appariva forte e cauta.
«Posso entrare?» gli chiese, rimanendo sulla soglia.
«Ehm... certo.» Mark si fece da parte, facendole un cenno con la
mano.
Lei entrò e sedette ai piedi del letto. Se aveva notato il suo
abbigliamento sommario, non lo diede a vedere.
Sapeva di shampoo, sapone e acqua di colonia, e a Mark parve un
profumo estremamente erotico. Indossava un semplice abito di
maglia nero che sottolineava le curve in un modo che era
impossibile non notare.
«Quello che è successo... è davvero reale?» domandò senza
preamboli.
«Sì» rispose semplicemente lui.
«È impossibile» mormorò lei guardandolo negli occhi, e Mark capì
che desiderava sentirsi dire che nulla di ciò che era successo era reale.
Si avvicinò al letto e sedette di fianco a lei, ricambiando il suo
sguardo senza sfiorarla. «Che cosa è impossibile?» chiese. «Il male nel
mondo si manifesta in modi diversi, il più delle volte in forma
umana. Oggi ha assunto quella di un vampiro, tutto qui. Stephen è
reale, e così pure la sua piccola schiera di potenziali assassini. Ho
cercato di spiegarti quello che stava accadendo. E biasimo me stesso
per ciò che è successo a Deanna. In un primo momento pensavo che
fossi tu l'unica a correre un serio pericolo. Ma lui ha cercato di
arrivare a te tramite la tua amica.»
«credi che Deanna si riprenderà?»
«Ci sono buone speranze.»
Lauren si alzò e camminò con passo agitato fino alla portafinestra
che dava sulla balconata. Scostò le tende e guardò fuori nella notte.
«È così bello» disse con voce piena di toccante nostalgia.
«Lo è» convenne lui. Sorpreso, vide che lei lasciava andare le tende
e tornava verso il letto.
«Dovrei darmi una mossa» gli disse Lauren. «Ci sono delle cose che
devo fare stanotte.»
«Hai intenzione di tornare all'ospedale?»
«Sì, certo, e...»
Lasciò la frase in sospeso, senza smettere di guardarlo negli occhi.
Era così vicina che Mark poteva sentire il suo profumo e gli faceva
male. Perché non era Katie.
Era molto diversa da lei.
Era stata la somiglianza ad attrarlo in un primo momento, ma i
capelli rosso scuro erano solo suoi, come lo erano lo smeraldo e
l'oro dei suoi occhi cangianti. E il suo sorriso seducente... anche
quello apparteneva solo a lei.
«E...?» la sollecitò con dolcezza.
Lauren si avvicinò, gli mise le braccia al collo e trovò le sue labbra
mentre si stringeva a lui, aderendo al suo corpo come se fossero fatti
l'uno per l'altro. Mark era penosamente consapevole della pienezza
dei seni, sentiva la propria erezione premere contro di lei e sapeva
che anche lei la sentiva.
Non è Katie, ricordò a se stesso.
Era Lauren, ed era sotto shock. Per quanto forte potesse essere in
condizioni normali, in quel momento era vulnerabile. Se avesse
avuto un minimo di correttezza, si sarebbe tirato indietro...
Ma chi diavolo sarebbe riuscito a farlo?
Non c'era esitazione in quelle labbra che sfioravano le sue. Erano
dolci, con una traccia di menta; i movimenti della lingua erano un
invito stuzzicante, irresistibile...
Una voce risuonò nella sua mente.
Staccati.
Mark la ignorò. Le dita di Lauren gli accarezzavano il petto e il
suo tocco era elettrizzante. Il bacio si faceva più profondo e
appassionato a ogni istante. Ancora stupito che fosse venuta da lui,
Mark le prese il volto fra le mani, ansioso di assaporare la sua bocca.
Le passò le dita tra i capelli, una cascata di seta e velluto che per lui
era seduzione allo stato puro.
Lauren si staccò da lui e, guardandolo negli occhi, sollevò l'orlo
del vestito e se lo sfilò dalla testa. Rimase davanti a lui con indosso
soltanto i sandali.
«Sei sempre così determinata?» non poté trattenersi dal chiederle
con voce roca.
«Solo questa volta» gli assicurò lei con un sorriso, tornando a
sistemarsi tra le sue braccia.
Mark non dovette preoccuparsi dell'asciugamano che gli cingeva i
fianchi perché si dileguò come per incanto.
Poi non ci fu niente a dividerli e lui si abbandonò al piacere di
assaporare il contatto con la sua pelle nuda, cercando di non cedere
alla follia.
L'aveva desiderata fin dal primo istante, l'aveva osservata, si era
sentito eccitato da lei, eppure era sempre riuscito a mantenersi
lucido...
Fino a quel momento.
Si staccò dalle sue labbra per stuzzicarle il lobo dell'orecchio e
accarezzare la pelle morbida della gola. La sentì inarcarsi sotto di sé
mentre faceva scorrere le dita lungo la sua schiena, fino ai glutei.
Sentì i muscoli flettersi e tendersi.
Le labbra di Lauren scesero lungo la gola, la sua lingua tracciò una
scia di fuoco lungo la giugulare.
Mark la prese fra le braccia e si lasciò cadere sul letto, le membra
già avvinghiate prima ancora di toccare il materasso. I loro sguardi si
incontrarono e Lauren sorrise prima di cercare nuovamente la sua
bocca in un bacio eccitante e irresistibile. Quando terminò, lui scese a
esplorare la clavicola e l'attaccatura dei seni con la bocca, mentre
con la mano risaliva dalle cosce ai fianchi, accarezzandole la pelle
intorno all'ombelico.
Le mordicchiò i capezzoli, assaporando il tocco delle sue dita,
erotico, leggero e sensuale lungo la schiena, sulle costole, sul ventre.
Sulla sua erezione.
Soffocando un gemito contro la sua pelle, la strinse a sé, spinto da
un desiderio urgente e incontrollabile. La voleva subito, la voleva
per sempre. Voleva che non finisse mai. Scese più giù. Ancora più
giù.
Accarezzare con le mani e con le labbra la sua pelle vellutata gli
accendeva il sangue e la mente. La sentiva inarcarsi contro di lui,
mormorando parole infuocate e muovendosi con una grazia sinuosa
che eccitava ogni fibra del suo corpo. L'eccitazione crebbe
vertiginosamente, ma in qualche modo Mark riuscì a mantenere il
controllo mentre la stuzzicava e la accarezzava dalla punta dei seni,
all'addome, all'interno delle cosce.
Lauren emise un gemito di piacere, il corpo scosso da un lungo
fremito mentre le sue dita danzavano frenetiche sulla pelle di Mark,
cercando di evocare in lui il medesimo, folle desiderio.
Ma lui aveva ceduto alla follia sin dal primo sussurro.
Fin dal primo sguardo che aveva posato su di lei.
Lauren si sollevò per cercare ancora le sue labbra, scivolando
sensuale lungo il suo corpo. Un istante dopo era sopra di lui, e i suoi
capelli lo sfioravano come una magica cascata di fuoco che li
avvolgeva entrambi. Penetrò dentro di lei con un'unica, possente
spinta, poi la strinse tra le braccia e la fece rotolare sotto di sé. E il
mondo fu pieno solo del calore dei loro corpi avvinghiati. Quando
la sentì fremere e inarcare il busto, l'orgasmo esplose dentro di lui
con la forza di un tuono. La tenne stretta, assaporando ogni gemito,
ogni fremito di passione. Il ritmo accelerato del cuore e del respiro
creava una strana melodia nella notte; udì il cuore di Lauren pulsare
rapido contro il proprio, per poi calmarsi lentamente.
Continuò a tenerla tra le braccia, respirando il suo profumo, e
quando finalmente si voltò a guardarla lei gli sorrise dolcemente.
«Forse sono stata un po' troppo aggressiva?» chiese, arrossendo.
«Ti prego, sentiti pure libera di esserlo quando vuoi» rispose
scherzando.
Lei gli scostò una ciocca di capelli umidi dalla fronte. «Non sei
pazzo, dopotutto» mormorò.
«Grazie. Non è proprio il complimento che mi aspettavo in questo
momento, ma grazie lo stesso.»
Lauren sorrise, poi lo fissò, seria. «I vampiri esistono.»
«Sì.»
«Hai idea di quanto mi sembri assurdo tutto questo?»
«Sì.» Mark annuì e le accarezzò una guancia. «Sei incredibile.»
Lauren abbassò le palpebre, scossa da un fremito leggero. «Anche
tu. Era questo il complimento che volevi?» gli chiese poi in tono
scherzoso, tornando a guardarlo.
Mark le sorrise. «È quasi notte» mormorò.
Lei annuì inarcando un sopracciglio. «Io... devo andare
all'ospedale» disse, giocherellando con la croce che portava al collo.
«Questa mi proteggerà?»
«Fino a un certo punto. Stephen può fare in modo che venga
rimossa, ma... Be', non andare da nessuna parte senza pistola ad
acqua.»
Lauren scoppiò a ridere, anche se aveva le lacrime agli occhi. Mark
si mise a sedere e la prese tra le braccia, tenendola stretta e
cullandola dolcemente. «Ehi» mormorò goffamente.
«Mi dispiace... solo che... una pistola ad acqua, dici?»
«Sì.»
Si staccò da lui guardandolo negli occhi. «Se l'acqua santa li uccide
così facilmente, come mai Stephen non è ancora morto?»
Mark sospirò. «Finora, è sempre riuscito a sparire prima che
potessi dargli il colpo di grazia: anche se sono riuscito a ferirlo, i suoi
accoliti mi hanno tenuto occupato mentre lui fuggiva.»
C'erano ancora così tante cose che doveva spiegarle. Considerato
tutto quello che aveva accettato fino a quel momento, Lauren si
stava comportando fin troppo bene. Ma lui doveva essere prudente
nel decidere quanto dirle e a quale velocità. Aveva bisogno di sapere
abbastanza da potersi difendere, ma non troppo. Un eccesso di
informazioni si sarebbe potuto rivelare pericoloso.
«I giovani vampiri sono avventati, impetuosi e non molto potenti.
Credono di essere invincibili, anche se per fortuna non è così, ma
sono assetati di sangue e riescono a uccidere facilmente perché la
maggior parte della gente non sa che esistono. Le persone, vedi,
tendono a fidarsi del prossimo, e i vampiri sanno essere molto...
seducenti.»
Lauren aggrottò la fronte. «Deanna continuava a dirmi che c'erano
due uomini. Insisteva che Jonas era buono e che c'era qualcun altro
che invece era malvagio.»
«Potrebbe avere ragione.»
«Ma tu hai detto che Jonas è un vampiro.»
Mark esitò. «Sì» ammise infine.
«Quindi è malvagio.»
«Non lo so.»
«Non capisco.»
Mark chinò il capo, riflettendo. «Pensa a quante cose orribili sono
successe nel corso del storia» disse dopo qualche secondo.
«L'Inquisizione Spagnola fu una delle peggiori persecuzioni
dell'umanità, e tuttavia questo non significa che tutti gli uomini di
chiesa fossero malvagi. Stalin trucidò migliaia di persone, ma non
tutti i russi sono malvagi. Hitler era un pazzo maniaco, eppure
questo non fa di tutti i tedeschi dei criminali. Ci sono terroristi che
uccidono nel nome di Allah, anche se la maggior parte dei
musulmani sono persone pacifiche.»
Lauren lo stava fissando come se avesse perso la ragione. «Di che
cosa diavolo stai parlando?»
Lui alzò le mani in segno di resa. «Voglio dire che ci sono anche
vampiri buoni.»
«Vampiri buoni?»
Mark parlò lentamente, scegliendo con cura le parole. «Vampiri
che vogliono coesistere in pace con gli esseri umani, che hanno loro
stessi un'indole umana. La proprietaria di questa casa, per esempio, è
una vampira buona...» Si interruppe per un istante, prima di
concludere: «... e saggia».
Lauren saltò giù dal letto, fissandolo a occhi sgranati. Leggendo nel
suo sguardo che lo considerava completamente pazzo, Mark si rese
conto di essersi spinto troppo oltre.
«Tu... tu sapevi tutto questo?» gli domandò, incredula.
Era in piedi davanti a lui, nuda e bellissima. Mark quasi sorrise tra
sé avvertendo la risposta istantanea del proprio corpo, ma non
aveva dubbi su quello che Lauren stava pensando in quel momento.
Non gli avrebbe permesso di avvicinarsi di nuovo dopo quello che le
aveva appena detto. «Lauren, ci sono tante cose... »
«Devo andare in ospedale» lo interruppe, brusca.
«Ti accompagno io. Sono in macchina.»
Lauren annuì. Prese il vestito e se lo infilò. «Dieci minuti. Devo
fare una doccia e cambiarmi, prepararmi per la notte.»
Mark non capì esattamente che cosa avesse voluto dire, ma non
ebbe il tempo di chiederglielo perché era già sparita. Si alzò con una
smorfia e andò anche lui a farsi una rapida doccia prima di vestirsi.
Se non altro si era trasferita a Monstresse House, continuava a
ripetersi. Se non altro aveva accettato di farsi accompagnare in
ospedale. Se non altro...
L'aveva toccata. Aveva fatto l'amore con le i.
Se non altro adesso aveva un'idea del pericolo mortale che si
trovava davanti.
Mark voleva pensare che avrebbero avuto un futuro insieme.
Ma non osava.
C'era un gran numero di turisti in giro per la piazza. Il che era un
bene, pensò Susan. Era quasi come ai vecchi tempi. A pochi passi da
lei una caricaturista stava ritraendo una giovane coppia di
innamorati. Una donna con turbante e vestiti da zingara aveva
sistemato il suo tavolino a fianco dell'artista.
Susan rimase seduta al suo tavolo per qualche istante, chiuse gli
occhi e posò le mani sui Tarocchi disposti davanti a lei. Non girò le
carte; si limitò a chiudere gli occhi e a stare in ascolto.
Poteva sentire il rumore delle carrozze trainate dai muli.
Un sax che suonava alla sua sinistra.
Le chiacchiere della gente,
Qualcuno che aveva già alzato un po' troppo il gomito inciampò
sul marciapiede e fu aiutato da un compagno più sobrio.
Susan si concentrò più a fondo.
Il suo nome per intero era Susan Beauvais e la sua famiglia viveva
a New Orleans da secoli. Uno dei suoi antenati era fuggito dalla
sanguinosa rivoluzione scoppiata ad Haiti nel 1791, e negli oltre due
secoli trascorsi da allora la famiglia si era arricchita di personaggi di
ogni razza: alcuni erano bianchi, almeno uno era un nativo
d'America. Ma era stata la madre di Susan, una creola, a svelarle la
magia che la maggior parte delle persone non scopre per tutta la
vita. Leggere i Tarocchi, la mano e la sfera di cristallo per i turisti le
consentiva di mantenere un discreto tenore di vita. Volendo avrebbe
potuto rivelare molto di più, ma non sempre si sentiva a proprio
agio con quel potere. A volte era meglio che le persone non
sapessero che cosa riservava loro il futuro.
E tuttavia c'erano casi in cui era necessario che un individuo
sapesse che cosa lo aspettava. E questo era uno di quelli.
Le era già capitato di avvertire vibrazioni negative in precedenza,
ma mai così forti, così spaventose.
Si concentrò ancora più a fondo e finalmente lo sentì.
Un suono leggero come uno stormire di foglie al vento.
Un frullare d'ali.
Sollevò lo sguardo verso il cielo. Pipistrelli. Non era raro vederne,
lì; trovavano rifugio sui cornicioni degli edifici più alti.
Tolse le mani dalle carte, chiese alla caricaturista di tenere d'occhio
il suo tavolo e si incamminò verso la chiesa, guardandosi intorno
nervosa.
I grandi portoni erano ancora aperti, anche se tra poco li
avrebbero chiusi.
All'interno, si inginocchiò a un banco e tirò fuori la pesante croce
che portava sempre sotto la camicia di cotone. La tenne stretta
mentre mormorava una preghiera.
Non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sentire che qualcuno
era scivolato accanto a lei. «Non dovresti essere qui» disse, scuotendo
il capo.
«È casa mia» rispose una voce maschile.
«La linea che separa il bene dal male è molto sottile.» Susan si
voltò a guardare il giovane di bell'aspetto seduto al suo fianco.
«Potresti trovarti sotto il fuoco incrociato.»
«Si stanno avvicinando tempi duri.»
Susan chinò nuovamente il capo. «Lo so.»
«Dovevo venire.»
«Pregherò per te» disse Susan.
«Devi aiutarmi.»
«E come potrei?»
«Tu vedi molte cose.»
Lei si voltò a guardarlo. «Non è come un film che scorre nella mia
mente. Vedo solo quello che viene da me. Se potessi scegliere, se
potessi vedere come combattere il male ogni volta, il male non
esisterebbe. Ma tu, tu devi andare via.»
«Non posso.»
«Molti non si fidano di te da queste parti.»
«Voglio mettermi alla prova.»
Susan lo fissò. «Non sai contro che cosa ti metti.»
«Imparerò» replicò il ragazzo in tono risoluto.
Susan lo osservò attentamente mentre si alzava e usciva dalla
chiesa. Dopo diversi minuti, si alzò anche lei e andò al bacile
dell'acqua santa. Intinse le dita e si fece il segno della croce diverse
volte.
A un tratto si accorse che c'era un giovane prete in fondo alla
chiesa, e che la stava osservando in silenzio, perplesso. «Buonasera,
padre» lo salutò.
Lui rispose con un cenno del capo. Forse aveva fatto voto di
silenzio.
Susan gli sorrise prima di uscire.
Tornò al suo tavolo e di nuovo posò le dita sulle carte, chiudendo
gli occhi. Poteva ancora sentire il frullare di ali al di sotto delle risate,
delle ruote delle carrozze e dello scalpitio degli zoccoli dei muli.
Doveva proteggere la sua pace o cercare di mettersi in contatto
con la ragazza?, si chiese. C'erano così tante cose che aveva bisogno
di sapere.
«Vorrei che mi leggesse i Tarocchi» disse qualcuno.
Susan sollevò lo sguardo.
E il sangue le si gelò nelle vene.
Era lui.
Heidi parve infastidita nel vedere Lauren e Mark quando
arrivarono in ospedale. Da parte sua, Lauren rimase sconcertata
notando che l'amica non portava più l'anello di fidanzamento, ma
preferì non chiederle spiegazioni davanti a Mark. Non riusciva a
capire che cosa le fosse successo: possibile che avesse dimenticato
quanto amava Barry? Stavano insieme da quando avevano
terminato il college e si erano trasferite in California. Vivevano
insieme già da due anni. Volevano le stesse cose: due figli, un altro
cane norvegese, un gatto e le vacanze in autostop attraverso le
grandi foreste di sequoie.
«Posso anche stare qui da sola, sai» disse Heidi.
Senza prestarle veramente attenzione, Mark si era avvicinato al
capezzale di Deanna. Parve sollevato quando le sfiorò la fronte, poi
infilò la mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori un'altra catenina
con una croce.
«Che cosa fai?» domandò Heidi in tono brusco.
«Dico solo una preghiera» rispose lui, mettendo al collo di Deanna
la catenina e armeggiando qualche istante con il minuscolo
fermaglio.
Deanna si mosse inquieta nel sonno, poi si rilassò nuovamente.
«Non la vuole!» protestò Heidi.
«Va tutto bene» le disse Lauren. «Io... l'ho comprata per lei» mentì.
«Che stupidaggine!»
«Non le farà certo del male» cercò di tranquillizzarla Lauren,
sconcertata dalla sua reazione.
«Dovresti toglierle quell'affare di dosso.»
«Perché mai?»
Heidi non rispose subito. «Credo che sua madre sia in parte ebrea»
disse infine.
«Allora le daremo anche una Stella di David» propose Mark.
Heidi aprì la bocca per ribattere, ma non le venne in mente nulla
da dire.
«Credo che ti farebbe bene uscire da qui per un po'» le suggerì
Lauren.
«Io... c'è bisogno di me qui» replicò Heidi.
«Adesso c'è Lauren» osservò Mark.
«Giusto. Io resterò qui mentre voi andate a mangiare qualcosa nel
Quartiere Francese» propose Lauren.
Sapeva che Mark non avrebbe mai suggerito una cosa simile, ma
se tutto quello che le aveva detto era vero, non avrebbe lasciato che
Heidi andasse in giro da sola, pensò.
Non se c'erano creature alate che potevano trasformarsi
improvvisamente in vampiri e attaccare a pochi passi da Bourbon
Street.
«Ehm... certo» disse Mark, rivolgendo a Heidi uno dei suoi sorrisi
affascinanti. «Ti porto a fare due passi.»
«Sento che dovrei restare qui» replicò, ostinata, lei.
In realtà Lauren avrebbe voluto uscire con l'amica, se non altro
per cercare di capire che cosa le stesse succedendo. Ma si chiedeva se
fosse prudente. Per quanto avvertita e armata di croce e pistola ad
acqua, era in grado di sconfiggere qualcosa di cui riusciva a stento ad
ammettere l'esistenza?
«Forse sarebbe meglio che uscissi io con lei mentre tu resti qui»
suggerì infine a Mark.
Lui la fissò con espressione minacciosa.
Okay, pessima idea.
Mark si rivolse a Heidi in tono deciso, guardandola negli occhi.
«Lascia che ti porti fuori a cena.»
«D'accordo.»
Lauren fu sorpresa di vedere l'amica alzarsi come se non avesse
mai avuto niente in contrario e quella fosse la cosa più naturale del
mondo.
Mark le posò le mani sulle spalle. «Tu resta qui. E sii prudente, mi
raccomando.»
«È un ospedale. E c'è un poliziotto in corridoio» gli ricordò lei.
«Sii prudente lo stesso» ripeté lui.
«Sì, certo.» Che cosa diavolo poteva succederle in una stanza
d'ospedale?
«Non staremo via a lungo. Andiamo, Heidi.»
Lauren annuì, prese una rivista e trascinò la poltrona accanto al
letto di Deanna. Dopo che i due se ne furono andati, toccò la fronte
dell'amica: la temperatura sembrava normale. Aveva ripreso colore,
il respiro era regolare e quando le posò due dita sul polso il battito
le parve normale.
Eppure continuava a dormire come una principessa in attesa del
bacio del principe, pensò.
Si alzò e sistemò lo schermo del televisore. Passò da un canale
all'altro, irritata perché non trovava niente che avesse voglia di
vedere, nemmeno i programmi che di solito trovava interessanti.
Alla fine optò per un canale che trasmetteva cartoni animati.
Spongebob poteva andare, per il momento.
Stava ascoltando distrattamente la tivù e sfogliando una delle
riviste di Heidi, quando un'infermiera entrò per controllare le
condizioni di Deanna. Lauren la guardò con diffidenza,
immediatamente tesa. Magnifico, pensò. Adesso sospettava di tutti?
L'infermiera cambiò la flebo, e le assicurò che la sua amica faceva
progressi e che con un po' di fortuna si sarebbe svegliata presto. Tutti
i segnali erano positivi e il conteggio dei globuli rossi stava salendo
rapidamente.
Lauren la ringraziò e dopo che se ne fu andata cercò di mettersi
comoda. Girò una pagina, annoiata e un po' preoccupata.
Che cos'aveva fatto?
Aggressivo era un eufemismo per descrivere il suo comportamento
di quella sera. E tuttavia non riusciva a pentirsene. Per un momento
aveva dimenticato il tempo, il luogo e tutti gli orrori che erano
entrati all'improvviso nella sua vita. Mark l'aveva fatta sentire viva,
sensuale, bellissima. Come se lo conoscesse da sempre, come se il
mondo fosse perfettamente normale. Come se...
Come se non avessero appena combattuto in un vicolo contro le
creature della notte. Come se una delle sue migliori amiche non
giacesse in un letto d'ospedale, in coma. Lui sembrava incarnare
tutto il bene del mondo, era il ragazzo perfetto, un uomo di cui si
sarebbe potuta facilmente innamorare...
«Lauren.»
Per poco non cadde dalla sedia per la sorpresa. Guardò verso il
letto. A prima vista non sembrava che Deanna si fosse mossa, poi
notò che tendeva i muscoli, come se stesse scomoda. La vide
sollevare le mani e portarsele alla gola. Aveva ancora gli occhi chiusi,
ma muoveva le labbra. Stava mormorando qualcosa.
Lauren si avvicinò, chinandosi su di lei. «Deanna, sono qui. Che
cosa c'è?»
«L'indovina.»
Lauren trattenne il fiato. «Deanna, sono io, Lauren. Va tutto bene»
mormorò. «Che cosa volevi dire dell'indovina?»
«L'indovina» ripeté la ragazza.
Lauren sedette sul letto e prese le mani dell'amica nelle proprie,
stringendole per rassicurarla «Va tutto bene. Quella donna non è qui
con noi» disse.
«Pericolo» articolò con le labbra Deanna.
Lauren si guardò intorno. La porta che dava sul corridoio era
socchiusa; un rumore di passi si mescolava a quello delle voci. Udì il
poliziotto indicare a qualcuno un'altra stanza. Non c'era alcun
pericolo nei paraggi. «È tutto a posto» mormorò. «Deanna, sono qui
con te. Va tutto bene, siamo al sicuro.»
A un tratto Deanna spalancò gli occhi e la fissò. Tentò perfino di
rivolgerle un debole sorriso.
«Deanna?» ripeté, sollevata ma ancora rosa dall'ansia.
Strinse più forte le mani dell'amica. Deanna sembrava tornata la
stessa di sempre, e lei fu sorpresa di sentire le lacrime colmarle gli
occhi per il sollievo. «Come stai, cara? Come ti senti?»
Deanna tentò nuovamente di sorridere, senza riuscirci. «Mi
dispiace» mormorò.
«Per l'indovina?» le chiese.
La ragazza aggrottò la fronte, come se non avesse idea di che cosa
stesse parlando.
«Non devi aver paura. Sono qui con te» cercò di tranquillizzarla
Lauren.
Deanna distolse lo sguardo un istante. «No, tu non capisci. Lui sta
venendo da me. Viene a prendermi »
«Nessuno viene a prenderti. Sei in ospedale e io sono qui con te.
La polizia ha messo perfino un agente di guardia. Sei al sicuro.»
«No» mormorò lei, scuotendo il capo. «Lui viene con il buio, nei
miei sogni.»
«Ci sono io, qui, e non permetterò a nessuno di avvicinarsi a te, te
lo prometto.» Lauren fece una pausa e scelse con cura le parole.
«Davvero, ti capisco. Lui è malvagio e cerca di infiltrarsi nella tua
mente, e tu hai paura che... che in qualche modo riesca a
raggiungerti.»
Deanna la fissò. «Tu non puoi proteggermi» mormorò.
«Sì che posso» le promise. «Ascoltami, ci sono altre persone che...
che conoscono questo tipo di male. Andrà tutto bene, credimi. Io
posso proteggerti.» Il cuore le mancò un colpo. Poteva davvero
farlo?
Sì. Lauren sapeva che poteva essere forte, molto forte. Anche se
aveva paura. Anche se conosceva una verità che non era possibile...
«Deanna, hai detto qualcosa a proposito dell'indovina.» Esitò un
istante, prima di chiederle: «È lei il male?».
Ma Deanna era agitata e sembrò non sentirla.
Lauren provò un moto di collera verso quella dannata veggente.
Tutto era incominciato con lei. Doveva assolutamente trovare quella
donna e chiederle spiegazioni, pensò.
«Ascoltami, tesoro, andrà tutto bene» ripeté.
A un tratto Deanna sobbalzò e lanciò un grido di puro terrore:
«No!».
Lauren vide che aveva gli occhi puntati sulla finestra e seguì la
direzione del suo sguardo.
Un'ombra scura, nera contro il grigio del cielo, sembrava librarsi
nella notte.
Due sfere di fuoco sembravano brillare al suo interno. Come un
paio di occhi... venuti dritti dall'inferno.
Capitolo 11
Mark cercò di mantenere la calma, ripetendosi che Lauren era al
sicuro in ospedale con Deanna.
Strano, rifletté. Non solo sembrava che gli credesse, ma addirittura
che si fidasse di lui.
Naturalmente non sapeva ancora tutta la verità, e questo gli
pesava enormemente. Per il momento, tuttavia, era più importante
trovare il covo di Stephen e distruggerlo. Portare fuori a cena Heidi,
che si stava comportando come una vera svampita, ovviamente non
gli avrebbe fatto fare passi avanti, ma aveva voluto impedire che le
due ragazze uscissero da sole di notte.
Decise di portarla nel locale in cui suonava Big Jim Dixon. Sean
Canady gli aveva assicurato che il sassofonista era un uomo dotato
di senso pratico, che sapeva bene come difendere se stesso e gli altri.
Canady gli aveva anche detto che tutti gli agenti di guardia a
Deanna in ospedale erano stati messi al corrente dell'esistenza di
creature soprannaturali. Mark sapeva che doveva fidarsi in una certa
misura degli altri, anche se la rabbia e la determinazione che lo
animavano erano così forti da convincerlo di essere l'unico che
potesse trovare e distruggere Stephen Delansky.
Tuttavia, aveva bisogno di aiuto per poter difendere gli innocenti
che rischiavano di essere trucidati mentre lui inseguiva la sua preda.
Stephen era molto potente. Era sopravvissuto a infiniti tentativi di
distruggerlo. Sapeva utilizzare l'ipnosi e guariva rapidamente da
qualsiasi ferita gli venisse inferta: sembrava che gli bastassero pochi
minuti o tutt'al più qualche ora per guarire e recuperare le forze.
Mark rivolse un cenno di saluto a Big Jim mentre lui e Heidi
entravano nel locale. Il sassofonista ricambiò.
«Non ho appetito» dichiarò Heidi pochi minuti dopo, posando il
menu sul tavolo.
«Hai bisogno di mangiare qualcosa.»
«Ho bisogno di stare con Deanna» ribatté lei.
Non sembrava nemmeno la stessa persona che il giorno prima
aveva flirtato spensieratamente con lui, pur esaltando le virtù del suo
fidanzato.
«Ascolta, c'è Lauren con Deanna, e noi torneremo tra poco.
Lauren si preoccuperà per te se non mangi qualcosa e non prendi
una boccata d'aria fresca.»
«Okay, prenderò un hamburger» capitolò la ragazza, e pochi
secondi dopo, quando apparve una cameriera, lo ordinò. «Mi piace
la carne poco cotta, quasi cruda» precisò. «Ha capito? Ben al sangue.»
Mark aggrottò la fronte nel sentire quel tono esigente, al limite
della maleducazione. Ancora una volta gli sembrò molto diversa
dalla donna che aveva conosciuto nei giorni precedenti.
Ordinò un hamburger poco cotto anche per sé e ringraziò
educatamente la cameriera, prima di appoggiarsi allo schienale della
sedia, osservando Heidi.
«Smettila di fissarmi» gli disse lei in tono irritato.
«È venuto anche da te, vero?» le chiese con voce sommessa.
Lei arrossì e scosse il capo. Sembrava confusa. «Io... non so di che
cosa stai parlando.»
Mark si sporse verso di lei attraverso il tavolo. «Sì che lo sai.
Pensaci. Sforzati. In qualche modo è riuscito a entrare dentro di te.
Era Stephen in persona o qualcun altro?»
Heidi arrossì. «Non so di che cosa stai parlando» ripeté.
«Era alto e scuro, più scuro di me? Ti è semplicemente apparso? Sei
uscita dall'ospedale? O si sono aperte le finestre? L'hai invitato a
entrare nella stanza?»
«No!» protestò Heidi, scuotendo il capo, ma i suoi occhi erano
colmi di lacrime. «Non è entrato nessuno. Tu sei pazzo.»
Veloce come un fulmine, Mark si allungò sul tavolo e le prese la
testa fra le mani, sollevandole il mento in modo da poterle
ispezionare il collo.
Era proprio come aveva temuto.
segni delle punture erano lì. Minuscoli, quasi invisibili. Non era
stata prosciugata, solo contaminata.
Era una provocazione, una sfida. Stephen aveva voluto mandargli
un messaggio forte e chiaro per dirgli che poteva prendere chiunque
volesse.
E che alla fine avrebbe avuto Lauren.
Heidi si liberò di scatto. «Non toccarmi» sibilò. «Non...» Poi lo fissò
negli occhi e si morse il labbro.
«Non è colpa tua» le disse in tono gentile Mark. «Dammi il tuo
cellulare.»
«È stato solo un sogno!» protestò lei.
«No, era reale. Dammi il tuo cellulare. Devo chiamare Lauren e
non ho il suo numero.»
Lo sguardo di Heidi sembrava incollato al suo. Frugò nella borsa
alla ricerca del telefono senza mai abbandonare i suoi occhi.
La cameriera arrivò con gli hamburger proprio mentre Mark
selezionava il numero di Lauren sul cellulare di Heidi.
«Non è abbastanza al sangue» si lamentò la ragazza, distogliendo
finalmente lo sguardo da lui.
«Vanno bene così» disse con fermezza Mark. «Ci porti anche il
conto, per piacere.»
Il telefono di Lauren squillò a lungo prima che scattasse la
segreteria telefonica. Doveva aver spento il telefono in ospedale,
pensò. «Scordati la cena. Dobbiamo andare» disse bruscamente.
«Ma...»
«Subito!»
Se ne era andato. La visione era sparita nello spazio di un
secondo, come se non fosse mai esistita.
Lauren batté le palpebre, fissando la finestra. Non c'era niente là
fuori. Assolutamente niente.
Perché non aveva pensato a tirare le tende appena entrata nella
stanza?, si rimproverò. Le ombre potevano giocare strani scherzi alla
mente. Probabilmente aveva visto delle luci che provenivano da
chissà dove, l'ombra di una nuvola sulla luna, il riflesso dei fari di
un'automobile. Poteva essere stata qualsiasi cosa.
«Deanna» disse, voltandosi a guardare verso il letto.
Deanna aveva gli occhi chiusi. Stava dormendo come se non si
fosse mai svegliata.
«Deanna?» la chiamò ancora.
La scosse delicatamente, ma lei non riaprì gli occhi.
«Ciao, cosa succede?»
Lauren si voltò verso la porta. Stacey Lacroix e Bobby Munro
erano sulla soglia. Lui era in borghese e Stacey teneva in mano un
vaso di fiori. Aggrottò la fronte guardando Lauren.
«Si è svegliata per qualche istante» spiegò lei, alzandosi. «Ha
parlato.»
La fissarono entrambi. Era evidente che pensavano che avesse
creduto di vederla aprire gli occhi perché era quello che desiderava
più di ogni altra cosa.
«Bene, forse significa che presto si risveglierà del tutto» commentò
Bobby con un sorriso forzato.
Stacey gli lanciò un'occhiata, poi anche lei sorrise a Lauren. Anche
quando stava ferma sembrava un vortice di energia e competenza.
«Dov'è Mark?» domandò.
«Ha portato fuori a cena Heidi.»
«Allora è un bene che siamo passati di qui» osservò Bobby.
«Sì.» Dove diavolo eravate pochi minuti fa?, pensò Lauren. Avreste
potuto dirmi se c 'erano davvero un paio di occhi nella notte o se la
mia mente genera altri orrori. Come se non ce ne fossero già
abbastanza là fuori.
«Peccato che non siamo arrivati prima. Avresti potuto andare con
loro» disse Stacey. «Ma adesso siamo qui e abbiamo un po' di tempo.
Se vuoi, puoi fare due passi in corridoio, sgranchirti le gambe,
andare a prendere una bibita, un caffè o qualcos'altro.»
Lauren esitò. Si fidava di loro. Era stato Sean Canady, un tenente
di polizia, a mandarla a Monstresse House. Se non poteva fidarsi di
Bobby Munro, un altro poliziotto, e di Stacey Lacroix - la direttrice
di un B&B che apparteneva a una vampira buona, ricordò a se stessa
- di chi poteva fidarsi?
«Sicuri che non sia un disturbo per voi?» chiese. Sapeva che Stacey
intendeva pochi minuti e non tutto il tempo che aveva intenzione di
prendersi lei. Ma le sembrava di primaria importanza parlare con
l'indovina e sapeva di poterla trovare solo di sera.
C'erano dei vampiri, là fuori, ricordò a se stessa.
Ma lei era armata, e sarebbe stata in guardia. Avrebbe usato la
massima prudenza.
«Mi farebbe davvero piacere fare due passi e bere qualcosa. Credo
che andrò alla caffetteria a mangiare un boccone, se per voi va
bene.»
«Ma certo» le assicurò Bobby con un sorriso. Era magro e tutto
muscoli, con un simpatico sorriso ironico. Sembrava un bravo
ragazzo, perfetto per Stacey.
«Vai pure» gli fece eco Stacey. «Bobby e io conosciamo l'agente di
guardia in corridoio; è un tipo in gamba. E non lasceremo sola la tua
amica neanche un attimo. Puoi fidarti di noi, lo sai.»
Devo fidarmi di voi, pensò Lauren.
«Grazie. Tornerò in un batter d'occhio.»
«Prendi pure tutto il tempo che vuoi» le disse Bobby. Lei annuì,
rivolse loro un pallido sorriso e si sforzò di non correre mentre
usciva dalla stanza.
Lauren se n'era andata da qualche minuto quando Bobby disse
all'improvviso: «Che cos'è? Mi pare di sentire una musica».
«Sembra Edelweiss» rispose Stacey, che si era seduta accanto al
letto di Deanna.
«È vero, ma da dove diavolo viene?»
«Dal letto.» Stacey fissò il letto, poi incominciò a cercare sotto le
coperte.
«Aha!» esclamò, tirando fuori un cellulare. «È quello di Lauren.»
Bobby aggrottò la fronte. «Dobbiamo richiamare, potrebbe essere
importante» decise, prendendo il telefono e armeggiando con i tasti.
Qualche istante dopo rispose una voce femminile che sembrava
nello stesso tempo irritata e impaurita. «Pronto?»
«Heidi?» chiese Bobby, esitante.
«Chi parla?» replicò in tono scontroso la donna.
Bobby la udì confabulare con qualcuno, poi un'altra persona prese
l'apparecchio. «Lauren?» disse una voce ansiosa. «Sono Mark.»
«Ciao Mark, sono Bobby Munro. Stacey e io siamo qui con
Deanna. Lauren è andata a prendere un caffè, ma ha dimenticato il
telefono.»
«Trovala subito e restate con lei. Non so come, Stephen è riuscito
a entrare nella stanza di Deanna. Heidi è stata contaminata.»
«Okay» rispose Bobby. Chiuse il telefono e guardò Stacey. «Vado a
cercare Lauren» spiegò. «Fai molta attenzione. In qualche modo è
riuscito a intrufolarsi anche qui.»
«Dev'essere stata Heidi a farlo entrare. Non preoccuparti, io non
lo farò.»
Bobby annuì, serio, e si affrettò a uscire. Non sempre le buone
azioni venivano premiate, pensò. Concedere una pausa alle ragazze
si era rivelata davvero una pessima idea.
Un killer era entrato nella stanza.
E Lauren era sparita.
Fortunatamente Lauren trovò un taxi libero proprio fuori
dall'ospedale e vi salì al volo.
Il conducente parlava un inglese perfetto, con un marcato accento
del sud, le assicurò che non c'era molto traffico e le diede un
biglietto da visita in modo che potesse chiamarlo se ne aveva
bisogno per tornare indietro. Poco dopo la lasciò in Decatur Street,
all'angolo con Jackson Square.
Lauren fece il giro della piazza.
Arrivata al punto dove avevano incontrato per la prima volta
l'indovina, notò che c'era un tavolo su cui erano disposti dei
Tarocchi. Ma non c'era nessuno.
Non vide nemmeno la tenda rossa. Forse Susan non era riuscita a
procurarsi un'altra sfera di cristallo, pensò.
Una giovane artista, seduta
tracciando distrattamente degli
Aveva davanti a sé un cavalletto
ma quando Lauren si avvicinò
ritratto di un uomo.
accanto al tavolino vuoto, stava
schizzi su un album da disegno.
con alcune caricature molto riuscite,
si accorse che stava lavorando al
A prima vista sembrava una persona qualunque, solo che... non lo
era. Indossava jeans alla moda e una camicia sportiva di classe, ma
anche nel ritratto, i suoi occhi erano singolari... conturbanti.
E incutevano paura.
Lauren non avrebbe saputo dire come o perché, tuttavia
l'impressione era quella, benché si trattasse solo di uno schizzo.
«Mi scusi» disse, facendo sobbalzare la giovane donna. «Mi
dispiace, non volevo spaventarla.»
La ragazza chiuse l'album.
«Quell'uomo, per caso l'ha visto, stasera?» domandò Lauren.
La ragazza annuì. Sembrava che cercasse di riprendersi. «Vuole una
caricatura? Sono piuttosto brava e chiedo solo venti dollari.»
«Mi spiace, non ho tempo, adesso, ma...» Lauren frugò nella borsa
e tirò fuori una banconota da venti. Un tempo anche lei era stata
una studentessa che cercava di mettere insieme il denaro per
proseguire gli studi. «Ecco... Quando ha visto quell'uomo?»
«Io...» La ragazza la fissò, confusa, poi scoppiò a ridere e ammise:
«Non ne ho idea».
«Ci pensi, per favore. È importante.»
La caricaturista ci provò, ma alla fine scosse il capo. «Non lo so.
Onestamente, non lo so.»
«È successo qualcosa di... strano, stasera?» volle sapere Lauren.
La ragazza parve sinceramente divertita. «Andiamo, siamo a New
Orleans!»
«La prego. Mi sarebbe davvero molto utile saperlo.»
«Io... non saprei. È come se fossi rimasta avvolta tutta la sera in
una specie di nebbia.»
«Che cosa può dirmi della donna che di solito sta qui accanto?» le
domandò.
La ragazza aggrottò la fronte. «Quale donna?»
«Quel tavolo appartiene a un'indovina che si chiama Susan.»
«Oh, sì, certo.»
«L'ha vista? Sa dove si trovi?»
«È entrata in chiesa, poco fa. Ma adesso hanno chiuso i portoni... »
«Grazie.»
Lauren si diresse a passo spedito verso la chiesa, che effettivamente
sembrava chiusa. Poi, all'ingresso del vicolo che correva accanto alla
fiancata, notò un cartello. Si avvicinò e aggrottò la fronte leggendo
l'annuncio.
Prove del coro. E si stavano svolgendo proprio in quel momento!
Tornò al portone principale. Era chiuso. Corse lungo il vicolo e
trovò un ingresso laterale da cui riuscì a entrare. In una piccola
cappella laterale, qualcuno stava dirigendo il coro. L'inno che
stavano cantando era bellissimo.
Lauren guardò verso il fondo della chiesa, scrutando tra i banchi.
E lì scorse l'indovina, che fissava l'altare.
Lauren percorse la navata e si infilò nel banco accanto a Susan.
«Che cosa ci fa qui?» le chiese in un sussurro.
Susan si voltò verso di lei. «Questa è la casa di Dio. Non porterai
veleno qui dentro.»
«Voglio sapere che cosa ha fatto a me e alle mie amiche» disse
Lauren.
«Io? Tu hai portato il pericolo e la maledizione su di me. Non
dovevi venire qui. Dovevate partire quando ve l'ho detto.»
Lauren respirò profondamente, chiedendosi quanto le sarebbe
sembrato assurdo quello che stava per dirle. «So che ci sono dei
vampiri qui intorno. Ma non è colpa mia. Lei lo sapeva, e non ci ha
messe in guardia.»
«Vi ho detto di andarvene» mormorò Susan. «Ma tu e le tue
amiche vi siete rifiutate di credermi. Pensate di essere al sicuro nella
vostra beata ignoranza, e così sarò io a pagare per la vostra
ostinazione e arroganza. È sufficiente la tua presenza qui per
mettermi in pericolo.»
«Susan, una delle mie amiche è in coma, ma ne è uscita per pochi
minuti e ha fatto il suo nome. Che cosa sa? Perché Deanna ha
parlato di lei?»
Susan si voltò, scrutandola con sospetto. «Forse perché si è resa
conto che mi hai messa in pericolo. Ho paura di lavorare. Come
vivrò? A causa tua sono diventata un bersaglio.»
«Di che cosa sta parlando?»
Susan la fissò. Il suo volto era privo di espressione, la voce dura.
«Di Stephen. Stephen Delansky.»
Lauren fu colta talmente di sorpresa che si limitò a fissarla. Forse
era solo una truffa che Susan aveva messo in piedi con Mark, pensò.
E a quanto pareva, anche i poliziotti ne facevano parte.
Se non avesse visto quelle ali nel cielo, le ombre che prendevano
forma e la inseguivano con le fauci spalancate...
L'indovina riportò lo sguardo sull'altare. «Ci sarà sempre del male
nel mondo. Ci sarà sempre chi lo combatterà. Ci saranno sempre
quelli come me, che lo vedono, lo sentono, ne sono toccati... ma
non hanno il potere di contrastarlo.» Si voltò nuovamente verso
Lauren, anche se sembrava che parlasse con se stessa. «Il male è già
venuto in passato e tornerà ancora. Questo è il destino del mondo.»
I suoi occhi misero a fuoco Lauren. «Ma tu, tu mi hai rovinata.»
«Era lei ad avere la sfera di cristallo!»
«E attraverso la sfera, lui ti ha vista.»
«Ma era già qui» protestò Lauren, spaventata.
«Sì, però ora ci resterà finché non ti avrà.»
«È assurdo» replicò in tono aspro Lauren.
«Davvero? È assurdo quando una madre si sveglia di notte e sa che
suo figlio è morto? È assurdo quando un marito sente all'improvviso
che la moglie è in pericolo? O quando un gemello sa che la sua metà
ha bisogno d'aiuto? E in questo momento sei tu ad avere bisogno di
aiuto.»
«L'ho trovato» sussurrò Lauren.
Susan la ignorò e riprese: «Dimentica quello che credi reale, quello
che consideri la normalità. Dimentica tutto, se vuoi sopravvivere. Se
io sono ancora viva è solo perché so che alcune cose sono reali
anche se non possiamo vederle, che può essere vero anche ciò che
non osiamo ammettere. Se vuoi sopravvivere anche tu, devi
comprendere questo, per te stessa e per le tue amiche».
«Io non sono sua nemica, Susan. È stata lei a tirarmi dentro questa
storia. Lei e la sua sfera di cristallo.»
«Lui ti avrebbe trovata comunque» replicò l'indovina. «Il cristallo ti
ha semplicemente fatto sapere che era già successo. Dovevi fuggire
finché ne avevi l'opportunità.» Si strinse nelle spalle. «Forse ti
avrebbe seguita, e la mia vita non sarebbe più stata in pericolo.»
La donna parlava in tono così freddo, con una tale
determinazione, che le sue parole furono come uno schiaffo per
Lauren. Poi Susan si voltò ancora verso di lei. «Hai trovato aiuto,
dici? Prendilo e tienilo stretto, allora. Non puoi vincere da sola.
Nemmeno un esercito potrebbe aiutarti se non sa vedere e non
crede. Quanto alle tue amiche, tienile al sicuro se puoi.» Si alzò,
palesemente ansiosa di andarsene. Tirò fuori dalla tasca della gonna
un foglio di carta piegato in quattro e lo mostrò a Lauren. «Io non so
tutto, ma raccolgo gli indizi che trovo sulla mia strada. Leggilo. È un
articolo di giornale che potrebbe aiutarti. Ma non farlo adesso.
Prima allontanati da qui, torna da coloro che ti vogliono aiutare. Se
ti importa qualcosa di loro, stai lontana da me. E quando esci di qui,
segnati con l'acqua santa.»
Detto questo, Susan si allontanò di corsa lungo la navata.
Lauren si alzò, più confusa che mai. «Susan, aspetti!»
Ma la veggente se n'era già andata.
Lauren uscì dal banco, si inginocchiò nella navata centrale e si fece
il segno della croce. E non dimenticò di bagnarsi con l'acqua
benedetta prima di uscire dalla chiesa.
Nel vicolo, tutto era tranquillo. Buio. Avvolto nell'ombra. Di
certo c'era della gente lì intorno, si disse. Era ancora presto, specie
per gli standard di New Orleans. Le carrozze giravano fino a tarda
notte e i musicisti suonavano agli angoli delle strade.
Ma il vicolo, stretto e tortuoso, sembrava appartenere a un'altra
epoca, avvolto com'era in una strana atmosfera di decadente
eleganza. La brezza sussurrava in una lingua stranamente fredda.
Udì qualcosa nell'aria.
Come uno stormo di uccelli che volavano sopra di lei.
O pipistrelli.
Alzò lo sguardo verso il cielo scuro.
Un tempo avrebbe pensato semplicemente che la notte era
popolata di creature che riposavano sui cornicioni di giorno e
uscivano a caccia col buio.
Ora sapeva che non era così. Ora sapeva che era lei che stavano
cercando.
Bobby Munro era nell'atrio quando Mark e Heidi tornarono in
ospedale. Aveva l'aria stravolta, come se stesse male. «Che cosa è
successo?» gli chiese Mark in tono ansioso.
«Non riusciamo a trovare Lauren. Non è più all'interno
dell'ospedale, ho cercato dappertutto.»
Mark sentì i muscoli contrarsi per la tensione e serrò la mascella,
lottando per controllare la collera e il terrore che minacciavano di
sopraffarlo. «Vado io a cercarla. Tu devi tornare da Deanna. Heidi,
vai con Bobby.»
Lei lo guardò e incurvò le labbra in un lento sorriso mentre si
avvolgeva una ciocca di capelli intorno al dito. Uno sguardo di pura
lascivia le illuminò il viso. «Sta arrivando, lo sai» disse. «Sta tornando
per ucciderti.»
«Puoi fare qualcosa per lei?» domandò Mark a Bobby, frustrato.
Era chiaro che c'era qualcosa che non andava in Heidi,
ma non aveva il tempo di preoccuparsi per lei in quel momento.
«Farò del mio meglio» gli assicurò Bobby, ma Mark se ne era già
andato.
Lasciò l'auto nel parcheggio. Era di fondamentale importanza
trovare immediatamente Lauren, e conveniva muoversi a piedi tra la
folla del Quartiere Francese.
Leticia Lockwood terminò il giro delle visite ai pazienti, augurò la
buonanotte alle altre infermiere e si diresse verso il parcheggio
dell'ospedale. Probabilmente era l'ultima del suo turno ad andarsene,
ma non le importava. Riteneva di essere fortunata ad aver finito il
corso di infermiera. Amava il suo lavoro, aiutare gli altri la
gratificava, e per giunta la pagavano per farlo.
Sorrise mentre si dirigeva verso la sua auto. Zia Judy non lo
sapeva ancora, ma quella sera sarebbero andate in chiesa. L'anziana
signora ne sarebbe stata felice. Grazie a lei, Leticia era riuscita a
raggiungere il suo obiettivo senza lasciarsi distrarre dalle tentazioni.
Come per esempio Tyrone Martin, ai tempi del liceo. Tyrone era
uno dei ragazzi più affascinanti che si fosse mai visto in un campo da
football. Poi era finito nella spirale della droga, si era dato ai piccoli
furti e ora stava scontando una condanna di sei anni nel
penitenziario di stato. Mentre altri si erano rovinati per colpa sua, a
lei non era successo. Aveva rifiutato la sua coca, la sua erba e gli
innumerevoli tentativi di infilarsi nel suo letto, e ne era felice.
Tyrone aveva generato diversi figli illegittimi, le cui madri erano
mantenute dall'assistenza pubblica. Era stata la forza di carattere di
zia Judy a tenerla incollata ai libri. Non l'aveva mai minacciata, ma
Leticia aveva voluto darle la soddisfazione che meritava, e si era
messa d'impegno per fare le cose per bene.
Quella sera, però...
Aveva promesso al nuovo diacono della chiesa battista che
sarebbe andata alle prove del coro. L'avrebbe fatto per cantare e
anche per Pete Rosman, l'uomo che aveva cercato per tutta la vita e
al quale sapeva di piacere. Entrambi amavano aiutare il prossimo,
avevano gli stessi interessi e credevano che se tutti si fossero dati da
fare, nel mondo, le cose sarebbero state migliori.
Aveva quasi raggiunto l'auto quando vide un uomo. Era piegato
in due accanto a un albero e sembrava che non stesse bene. Leticia
aggrottò la fronte, preoccupata. «Ehi, si sente bene?» gridò.
Quando lui sollevò una mano e fece un debole gesto, si affrettò a
raggiungerlo. Aveva un bel viso, decise, ma era troppo pallido,
probabilmente era malato.
Lo prese per un braccio. «Venga... il Pronto Soccorso è qui vicino,
l'aiuterò io.»
«No, no...» L'uomo le rivolse un sorriso affascinante. «Mi dispiace.
Va tutto bene, ho solo bisogno di sedermi per un minuto. Ero fuori
con degli amici e temo di aver bevuto troppo.»
«Succede spesso da queste parti» mormorò Leticia.
«Lei disapprova. Mi dispiace» si scusò lui. «Sto bene, non si
preoccupi. Può andare... mi riprenderò subito. Andrò in albergo a
sdraiarmi per un po'. È stata molto gentile, comunque. Ed è anche
molto carina.»
Leticia arrossì.
«Davvero, va tutto bene» le assicurò di nuovo, ma si appoggiava
pesantemente a lei e continuava a guardarla con quegli occhi
incredibili.
Leticia si rimproverò tra sé. Avrebbe aiutato quell'uomo non
perché aveva dei begli occhi e le aveva fatto un complimento,
decise. L'avrebbe fatto perché aveva bisogno di aiuto. In fondo, le
avrebbe rubato solo pochi minuti accompagnarlo al suo albergo.
«Venga con me. Le do un passaggio.»
«Lei è troppo gentile.»
Si appoggiò al suo braccio, accettando l'aiuto che gli offriva.
Leticia gli aprì la portiera e lo fece sedere davanti. Mentre prendeva
posto al volante, pronta a mettere in moto, lui alzò gli occhi al cielo
e imprecò.
Stava guardando verso la cattedrale. Leticia seguì la direzione del
suo sguardo e aggrottò la fronte. Sembrava uno stormo di uccelli in
volo. Anche da quella distanza, le pareva di sentirli battere le ali.
«Sono solo uccelli, o forse pipistrelli» disse con l'intenzione di
rassicurarlo.
Ma in realtà lui non sembrava nervoso. A un tratto aveva l'aria di
un grosso felino che aveva fiutato la presenza della sua preda
intrappolata poco lontano. Si voltò a guardarla. C'era qualcosa di
molto strano in lui. «Mi dispiace, ma sono in ritardo» disse.
«Di che cosa sta parlando?» chiese, turbata, Leticia.
Lo guardò negli occhi, e aprì la bocca per gridare.
Troppo tardi.
I pipistrelli volavano in circolo, descrivendo lenti cerchi mentre
planavano verso il basso, sfiorando Lauren con il tocco delle loro
ali... un tocco terrificante.
Non atterravano, non si posavano su di lei, ciò nonostante Lauren
sapeva che non sarebbe stato facile coprire la breve distanza che la
separava dalla piazza.
Lì avrebbe trovato gente, auto della polizia, forse anche qualche
poliziotto a cavallo.
Avrebbe trovato aiuto.
Valutò la distanza.
Avrebbe fatto prima a tornare in chiesa, rifletté. Tempio, rifugio.
Camminando rasente il muro, scivolò fino alla porta laterale più
in fretta che poté.
Era chiusa, maledizione! Bussò ma non le aprì nessuno.
Se non altro era armata, ricordò a se stessa.
Già, ma è soltanto una pistola ad acqua.
La tirò fuori dalla borsa e mirò alla prima creatura alata che le
volò vicino. Tenendo la pistola giocattolo con entrambe le mani,
premette il grilletto. Un getto d'acqua colpì il pipistrello, che
precipitò al suolo con un orribile sibilo, seguito da una piccola
esplosione e da una nuvoletta di fumo... Poi rimase soltanto un
mucchietto di polvere.
Mentre fissava annichilita la scena, Lauren notò una figura vestita
di nero in fondo al vicolo. Era in piedi e la stava osservando.
I pipistrelli incombevano su di lei, sempre più numerosi. Lauren
ignorò il misterioso personaggio e si girò ad affrontare il pericolo più
immediato. Iniziò a sparare, ignorando i sibili e la pioggia di polvere,
finché non si rese conto all'improvviso che stava esaurendo la carica
d'acqua.
Si fermò.
La figura in fondo al vicolo la stava ancora guardando.
Poi nel vicolo echeggiò una risata agghiacciante.
Mark passò al setaccio Bourbon Street, andando di locale in locale
e cercando di fare più in fretta che poteva, spinto da un'inquietudine
che si faceva più forte a ogni secondo.
Era riuscito ad avvisare Canady e sapeva che anche il poliziotto e i
suoi uomini stava cercando Lauren. Aveva fatto tutto il possibile,
eppure si sentiva in colpa, come se avesse fallito di nuovo.
Non aveva idea di dove diavolo potesse essersi cacciata. Ma
l'avrebbe trovata, giurò a se stesso. Lauren era una donna forte. Lo
sarebbe stata anche davanti al pericolo. E poi gli credeva, conosceva
la verità.
Uscendo da uno dei locali, Mark si scontrò con un altro uomo.
Jonas.
«Tu!» esclamò, infilando la mano in tasca alla ricerca dell'arma.
Questa volta non l'avrebbe mancato.
«Per tutti i santi, amico, vuoi ascoltarmi?» lo implorò l'altro.
«Ho un'intera fiala di acqua santa» lo mise in guardia Mark. «Se fai
un movimento sbagliato, ti distruggo.»
Aveva parlato in tono tranquillo perché c'era gente tutto intorno
a loro. Poteva udire la musica che proveniva dall'interno del locale e
una cameriera che gridava qualcosa al barman.
Mentre lui e Jonas e si fronteggiavano sulla soglia, una donna
sorrise e chiese se potevano spostarsi perché voleva entrare.
Mark afferrò per un braccio l'altro uomo e lo trascinò sul
marciapiede.
«Non sono io quello che stai cercando!» disse Jonas.
«Dove diavolo è Lauren?»
«Lauren?» ripeté Jonas aggrottando la fronte. «È Deanna quella che
è in ospedale. Vuoi ascoltarmi per un momento? Io non sono
malvagio.»
Malvagio? Forse no, pensò Mark, ma sei sicuramente un vampiro.
Quando tirò fuori la fiala con l'acqua santa, Jonas lo guardò senza
battere ciglio. «Colpiscimi pure se vuoi, ma ti sto dicendo la verità.
Voglio aiutarti. Io... io tengo a Deanna. Non ho mai incontrato una
donna come lei. È...» Un lampo di rabbia gli attraversò lo sguardo.
«È troppo bella per diventare il giocattolo di un bastardo depravato
come lui.»
«Nessuno ti conosce da queste parti» replicò Mark. «I poliziotti di
New Orleans sanno che esistono i vampiri; alcuni di loro, almeno.
Ma nessuno sa chi sei.»
Jonas alzò una mano e tirò fuori una catenina dalla T-shirt. C'era
appesa una croce.
«Credi che potrei portarla se fossi in combutta con quel mostro di
Stephen?» ribatté.
Mark inarcò un sopracciglio.
«Ascolta, sono nuovo di qui» riprese Jonas. «Sono stato a New
York per molto tempo. Lì la gente si fa i fatti suoi ed è pieno di
banche del sangue... Sono venuto a New Orleans per lavorare
nell'ambiente della musica, tutto qui. Non voglio fare del male a
nessuno.» Gli rivolse un mesto sorriso. «Diavolo, ci sono abbastanza
già abbastanza depravati in giro, non credi?»
«Stai alla larga da me» lo mise in guardia Mark.
«Posso aiutarti. Voglio farlo. Ascolta, non è molto tempo che sono
stato trasformato e non sono molto potente, ma darei... la mia
esistenza per aiutare Deanna. Farò qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa.»
«Stammi solo alla larga» ripeté Mark.
Fece per allontanarsi sentendo crescere nuovamente l'ansia per
Lauren. Non avrebbe ucciso Jonas, decise, anche se lasciarlo in vita si
sarebbe potuto rivelare un grave errore: in quel momento non
aveva il tempo di pensare al modo migliore di gestire la faccenda.
Doveva trovare Lauren.
«Come posso convincerti che dico sul serio?» gli gridò dietro Jonas.
Mark continuò a camminare senza rispondere.
Procedeva a lunghe falcate, ansioso di uscire da Bourbon Street.
Era come se una voce stesse gridando dentro di lui.
Doveva trovarla. Subito.
L'uomo in fondo al vicolo continuava a fissarla, immobile.
Lauren non si mosse. Aveva quasi finito l'acqua santa e stava
disperatamente cercando di richiamare alla mente tutto quello che le
aveva detto Mark. Quell'uomo era Stephen, ne era certa. Mark le
aveva detto che era uno dei vampiri più potenti. Poteva colpirlo con
l'acqua benedetta rimasta e sicuramente l'avrebbe ferito, ma sarebbe
bastato? C'era il fondato rischio che si arrabbiasse e decidesse che era
giunto il momento di affondare i denti nella sua gola...
«Non sono Katja!» gridò.
«Tu sei quella che io avrò» le rispose in tono sommesso lui.
Era come se il mondo si fosse fermato. Come se il tempo si fosse
congelato in quell'istante. Era sola nel vicolo con quella figura
ammantata di tenebre.
«No» mormorò. «Tu non sai che cosa voglia dire avere veramente
qualcuno. Tu non mi avrai mai. E nella tua brutalità e crudeltà
troverai la tua stessa distruzione.»
Lui incominciò ad avanzare.
Che portata aveva la pistola a spruzzo?, si domandò Lauren.
«Metti giù quell'arma. E togliti la croce. Perché io ti avrò. In un
modo o nell'altro otterrò ciò che voglio, e questa è l'unica cosa che
importa. E quando mi sarò stancato di te... be', forse sarai fortunata
e non succederà.»
Lauren fece un passo indietro.
Stephen sembrava più vicino di prima. Come se si fosse spostato
fluttuando nell'aria. Poi si incamminò lentamente verso di lei, come
se fossero vecchi conoscenti che si erano incontrati per caso.
Avvertì, più che sentirlo, un improvviso frullare d'ali.
Un'ombra nell'aria. Buio...
Lauren vide che Stephen aggrottava la fronte.
Poi, all'improvviso, un altro uomo si materializzò tra lei e
Stephen. Era Jonas, il giovane dai capelli scuri che aveva fatto colpo
su Deanna. «Lasciala stare» disse.
Stephen si fermò, poi scoppiò a ridere. «E come pensi di
convincermi, sentiamo?»
Jonas si voltò leggermente verso Lauren. «Scappa!» le gridò.
Lauren si rese conto che con tutta probabilità Stephen era
abbastanza potente da fare a pezzi il giovane. Il giovane? Non era
altro che una creatura della notte anche lui; l'aveva appena visto
materializzarsi dal nulla. «Non combattere contro di lui!»
«Vai!» la sollecitò Jonas.
Stephen si avvicinò, fluttuando... Raggiunse Jonas e alzò una
mano. Sembrava un movimento fortuito, distratto, ma bastò a far
volare l'altro nel vicolo mandandolo a cozzare con violenza contro
il muro della chiesa.
Poi Stephen riprese ad avanzare verso di lei.
Lauren scoprì che aveva difficoltà a muoversi. Poteva vedere i suoi
occhi. Erano scuri e nello stesso tempo luminosi. Sembravano fatti di
tenebra, profondi come lo Stige, e ardevano di un fuoco interno.
Lauren cercò di concentrarsi, si costrinse a battere le palpebre, a
sollevare il braccio, poi prese la mira con la pistola.
«Non sparerai» disse Stephen.
Lauren premette il grilletto.
Quando il getto d'acqua lo colpì si udì un sibilo che crebbe
progressivamente fino a diventare un ruggito furioso, ma Stephen
non si fermò.
Nel frattempo Jonas si era ripreso e si stava rialzando. Si lanciò di
corsa verso di loro, balzando alle spalle del vampiro. «Scappa,
Lauren! Non lasciare che entri nella tua mente!»
Lei annuì, arretrando. Stephen si era già voltato e si stava
liberando di Jonas come se non fosse altro che un insetto fastidioso.
«Lascialo andare!» gli ordinò Lauren, sparando ancora con la
pistola ad acqua.
Colpito dallo spruzzo, Stephen lanciò un altro grido di rabbia.
Lauren premette ancora il grilletto di plastica, ma non successe
niente. L'arma era scarica.
«Vai!» le gridò Jonas.
Stephen disse qualcosa che lei non riuscì a capire, ma a un tratto si
sentì come se fosse stata colpita da una raffica d'aria gelida e
paralizzante. I piedi erano pesanti come piombo. Aprì la bocca per
gridare. Stephen scagliò a terra Jonas e gli diede un calcio,
allontanandolo come se fosse un rifiuto, dopodiché riprese ad
avanzare verso di lei.
Un istante prima che la raggiungesse e che il suo alito fetido si
riversasse su di lei, un vortice di energia si materializzò in mezzo alla
strada e Stephen venne colpito da un fulmine.
Sulle prime Lauren non riuscì a immaginare quale potesse essere la
fonte di un simile potere, poi si rese conto che era un uomo.
Mark.
Lui si lanciò su Stephen, attaccandolo con tale violenza che Lauren
lo paragonò alla collera di Dio in persona. Il suo assalto colse di
sorpresa il vampiro. Per una frazione di secondo, Stephen esitò, poi i
due rotolarono avvinghiati sul pavimento di pietra, come un massa
scura di collera e furore.
In quel momento il cielo riprese vita; migliaia di ali scaturirono dal
buio e tornarono a farsi inghiottire dalle tenebre. Lauren vide
qualcosa volare verso di lei e nello stesso istante udì Mark gridare a
Jonas: «Portala via di qui! Portala via subito!».
Jonas si mosse con la velocità di un fulmine. Lauren sentì le sue
braccia che la stringevano. «Corri! Aiutami, Lauren, dannazione!
Corri!»
Corsero.
Le ombre prendevano forma al loro passaggio, come se le ali e
l'oscurità si fondessero fino a diventare enormi mani che si
protendevano per ghermirli.
Corsero a perdifiato, finché non sbucarono nella piazza
mescolandosi ancora una volta alla fiumana di umanità. La gente
passeggiava pigramente, parlando e ridendo. Un chitarrista suonava
una canzone country, una rispettabile imitazione di Johnny Cash.
Alla luce dei lampioni, in mezzo alla folla, tra la musica, le
chiacchiere e la vita della piazza, Lauren smise finalmente di correre.
Jonas la stringeva ancora quando si voltò a guardare verso il vicolo.
Non vide nulla.
Niente ali né ombre. Nessuna traccia di Stephen.
E nemmeno di Mark.
Capitolo 12
«Non avremmo dovuto abbandonarlo» protestò Lauren.
Erano ai margini della piazza, accanto a un cartello che indicava lo
storico Palazzo Pontalbo. Alla destra di Lauren c'era un cannone
della Guerra civile protetto da un'inferriata; oltre il prato si vedeva
la statua equestre di Andrew Jackson. Tutt'intorno a lei c'era un
mondo perfettamente normale.
Jonas la guardò scuotendo mestamente il capo. «Non avevamo
scelta. Non capisci? Sarebbe stato più vulnerabile se tu fossi rimasta
lì. Avrebbe dovuto difenderti.»
Lauren lo osservò. Sembrava un ragazzo normale, eppure lei
sapeva che non lo era affatto.
L'aveva visto materializzarsi dal buio.
Era anche lui un vampiro.
Istintivamente fece un passo indietro.
Jonas emise un gemito. «Ero pronto a dare la mia vita per te poco
fa» mormorò. «Perché hai paura? Puoi fidarti di me, lo sai.»
Lei aggrottò la fronte e scosse il capo. «Ti rendi conto che penso
ancora di essere pazza perché credo che esistano i vampiri? Mi
dispiace, ma non è così facile fidarsi di uno di voi.»
«Ah, se solo gli uomini sapessero quanti vampiri del tutto onesti
camminano tra loro...» sospirò Jonas.
«Non è che i vampiri siano rinomati per le loro buone azioni»
replicò Lauren, poi guardò nuovamente verso il vicolo, sentendo
crescere la preoccupazione. «Dove sono andati? Come hanno fatto a
sparire così in fretta?»
Lui scosse il capo. «Non ne ho idea. Tutto quello che so è che
devo proteggerti fino al ritorno di Mark» rispose con fermezza.
Lauren continuò a fissare con ansia il vicolo deserto. «Che cosa
dobbiamo fare?»
«Dobbiamo andare all'ospedale.»
«Vuoi che ti lasci entrare nella stanza di Deanna?» gli domandò,
increspando la fronte.
«Ti giuro che non sono stato io a farle del male e non lo farei mai.
Ti do la mia parola.»
«Scusami, ma non sono sicura di potermi fidare della parola di un
vampiro.»
«Ero pronto a morire per te» le ricordò di nuovo, sinceramente
ferito.
«Forse è tutto un inganno» replicò lei. «Forse stai dalla parte di
Stephen e stai cercando di imbrogliarci.»
«Ascolta. Lui vuole te, questo è evidente, mi sembra. E poco fa
avrebbe potuto prenderti. Sono quasi sicuro che se non l'ha fatto è
solo perché gli piace l'eccitazione della caccia.»
«Perché non inseguirci fino in piazza, allora? Che cosa avrebbe
potuto fare questa gente contro un'orda di vampiri?»
Jonas scosse il capo. «Se tutti credessero - o meglio, sapessero - che
i vampiri sono reali, che esistono accanto a voi in quello che credete
il vostro piccolo mondo sicuro, cercherebbero di sterminarli. Tutti. I
buoni e i malvagi. I buoni morirebbero per primi, perché non
vogliono fare del male agli altri. Allora vi trovereste soli contro i
cattivi. E loro potrebbero distruggere tutto. Devi capire che c'è un
intero mondo infernale là fuori. Alcuni lo avvertono. Altri sanno che
esiste. Alcuni, come Sean Canady, si sono resi conto di avere bisogno
del nostro aiuto nella lotta per la salvezza dell'umanità. Se Stephen
avesse portato la sua battaglia nella piazza, se la gente l'avesse visto
e fosse stata attaccata, la verità sarebbe diventata di dominio
pubblico e sarebbe scoppiata una vera guerra. Sarebbe stato un
bagno di sangue. Creature come Stephen esistono perché si nutrono
di quelle che gli esseri umani considerano paure reali. Se si stanca
delle sue vittime e decide di non accettarle come membri della sua
schiera di tirapiedi, le decapita e si libera dei loro corpi. Quando è
venuto qui, ha cominciato a gettare i corpi nel Mississippi.» Esitò un
momento prima di riprendere. «Un tempo c'era un vero sistema
gerarchico, una specie di codice d'onore dei nonmorti. Ogni vampiro
poteva trasformare solo altre tre persone per ogni secolo.
Naturalmente ci sono sempre stati, anche in passato, mostri che
violavano la legge e il cui comportamento minacciava di tradire
tutta la stirpe. Di costoro si occupavano i loro simili o,
occasionalmente, un cacciatore di vampiri o un guardiano. C'era c'è, in effetti - anche una specie di re. Quello attuale risiede qui a
New Orleans.»
«E perché non interviene?» chiese Lauren.
«Pare che sia fuori dal paese.» Jonas scosse il capo. «Ascolta, io
sono venuto qui proprio per cercare Lucian, il nostro re. È a capo di
un'alleanza di individui che combattono il male, e che così facendo
sperano di potersi redimere ed entrare a far parte di un mondo
migliore. Ti giuro che quello che ti sto dicendo è la verità.»
È assurdo. Impossibile.
Eppure qualcosa di vero ci doveva essere, si disse subito dopo.
Altrimenti era vittima dell' illusione più realistica e assurda che avesse
mai afflitto un essere umano.
«Ti prego, andiamo all'ospedale e aspettiamo Mark» propose
Jonas. «Sono sicuro che verrà a cercarti lì. Mi sono imbattuto in lui
poco fa, mentre ti stava cercando nel Quartiere Francese.»
«Era insieme a Heidi? L'altra mia amica?»
«No, lei dev'essere tornata all'ospedale.»
Lauren era spaventata. Aveva paura di fidarsi di lui e altrettanta di
non farlo. Era ormai notte. Se fosse salita in taxi con lui...
«Allora, prendiamo un taxi?» la sollecitò Jonas.
Lei esitò.
«Ti giuro su Dio - e ti assicuro che credo in Lui - che non ho
intenzione di azzannare l'autista e rapirti.»
Deanna le aveva detto che erano in due. Uno era malvagio.
Stephen. L'altro buono. Che si riferisse a Jonas?
Si guardò intorno. Probabilmente Bourbon Street era ancora piena
di gente, ma lì, nella piazza, gli artisti stavano già raccogliendo le
loro cose. Il ragazzo con la chitarra era andato via. «Va bene»
capitolò. «Ma ti avviso: ho una croce al collo.»
Jonas le sorrise. «Anch'io.»
Mentre si incamminavano verso la strada principale, Lauren gli
domandò: «Come puoi portare addosso una croce?».
«Perché non sono malvagio» spiegò lui con un mesto sorriso. «Non
voglio fare del male a nessuno.»
«Quindi... è perché gli altri sono malvagi che le croci e l'acqua
santa sono come veleno per loro?»
«Certo. Ha senso, se ci pensi.»
Trovarono un taxi e salirono a bordo, ma Lauren era ancora
molto nervosa. E anche preoccupata.
Per Mark.
E per Deanna.
In auto mantenne le distanze da Jonas e lui non le fece alcuna
pressione. Raggiunsero l'ospedale senza incidenti e, quando Lauren
tirò fuori il portafogli, lui insistette per pagare la corsa.
Trovarono Bobby davanti alla porta della stanza di Deanna. «Gesù
santissimo, eccoti qua finalmente!» esclamò il poliziotto,
abbracciandola. Poi si fece indietro. «Dov'è Mark?» domandò,
guardando Jonas con un sopracciglio inarcato.
«È... impegnato altrove» mormorò Lauren, quindi presentò i due
uomini prima di guardare nella stanza. Stacey sedeva su una sedia
accanto al letto e c'era anche Heidi, rigida come un fuso e
imbronciata.
«Che cos'ha Heidi?» chiese immediatamente.
«Immagino che tu non abbia parlato con Mark» sospirò Bobby.
«No, non proprio.» C'erano troppe persone nel corridoio che
avrebbero potuto udire la loro conversazione perché potesse
spiegargli quello che era successo.
Jonas, ignorando tutti gli altri, si avvicinò al letto di Deanna. Le
prese una mano e rimase a guardarla. O era davvero preoccupato
come sembrava o era un bravissimo attore, pensò Lauren.
«Che cos'ha Heidi?» ripeté, riportando l'attenzione su Bobby.
Lui abbassò la voce a un sussurro. «È stata contaminata.»
«Contaminata?» ripeté lei con un tuffo al cuore. Era abbastanza
sicura di sapere che cosa significasse anche senza una spiegazione
dettagliata. «Come è successo?»
Bobby si strinse nelle spalle con aria infelice. «Ehm... be',
immagino che l'abbia fatto entrare.»
«Oh, Dio. Allora...?»
«Non sembra così... grave. Credo che possiamo curarla»
intervenne Stacey, alzandosi e avvicinandosi a loro. «Ma è meglio
che la riporti a Monstresse House. Bisogna tenerla d'occhio. Impedire
che... che faccia ancora del male a se stessa.»
Stacey tacque mentre un'infermiera entrava nella stanza. Aveva
un'aria scontrosa ed era evidente che non era contenta di vedere
tutta quella gente nella camera di una paziente. «Questa è una stanza
d'ospedale, non un locale di Bourbon» disse in tono irritato. «Non
più di due visitatori per volta, per favore.»
«Possiamo occuparci noi di Heidi se tu vuoi stare un po' con
Deanna» propose Bobby.
Lauren esitò di fronte alla prospettiva di restare sola con Deanna e
Jonas. A vederlo sembrava sincero, ma non sapeva ancora se poteva
fidarsi di lui.
Ma aveva altra scelta?
Del resto, anche Bobby e Stacey erano praticamente degli estranei.
Mentre rifletteva, il telefono del poliziotto squillò. L'infermiera gli
lanciò uno sguardo di disapprovazione e stava per fargli una
ramanzina sull'uso dei cellulari in ospedale, quando lui le mostrò il
distintivo e rispose. Dopo aver terminato la conversazione, guardò
la donna con espressione autoritaria. «Ce ne andremo tra poco. Il
Tenente Canady sta per arrivare e ci ha ordinato di rimanere fino al
suo arrivo.»
L'infermiera gli rivolse un altro sguardo di disapprovazione prima
di andarsene.
Bobby guardò Lauren. «Mark è a casa di Sean.»
Mentre aspettavano, Heidi rimase seduta in silenzio, fissando la
finestra come se potesse vedere fuori benché le tende fossero tirate.
Era stato troppo precipitoso, pensò Mark. Ma che cos'altro poteva
fare, date le circostanze? Se non altro, Lauren era salva. Doveva
convincersi che era così. Doveva credere di potersi fidare di Jonas. In
effetti aveva preso un bel colpo quando si era lanciato nella lotta,
ma poteva anche essere tutta una messinscena.
In ogni caso era un problema minore di fronte al fatto che ancora
una volta Stephen era riuscito a fuggire. La violenza del
combattimento li aveva portati a parecchi isolati di distanza dal
vicolo, e quando Stephen si era smaterializzato, Mark si era ritrovato
a barcollare lungo Bourbon Street, dove l'avevano fermato dei
poliziotti, convinti che si trattasse di un ubriaco coinvolto in una
rissa.
Mentre stavano discutendo se arrestarlo o portarlo all'ospedale,
era riuscito a convincerli a chiamare prima il tenente Canady.
Sean era andato a prenderlo e l'aveva portato a casa sua, dove
Maggie gli aveva medicato le ferite anche se Mark continuava a dire
che non ce n'era bisogno. Era preoccupato per Lauren e voleva
uscire a cercarla, ma Canady si era messo subito in contatto con
Bobby Munro e aveva saputo che lei e Jonas erano al sicuro
all'ospedale.
Quando Mark fece per alzarsi, il tenente lo fermò. «Hai bisogno di
riprenderti. Concediti un po' di tempo. »
«Non posso.»
«Devi farlo. Altrimenti sarai inutile.»
Non aveva tutti i torti, fu costretto ad ammettere Mark.
«Ascolta, andrò io stesso all'ospedale» gli disse Sean. «Tu resta qui e
rimettiti in forze.»
«Abbiamo una stanza degli ospiti al piano di sopra» intervenne
Maggie. «Puoi sdraiarti e riposare un po', adesso che ti ho medicato e
che hai mangiato qualcosa.»
Mark sapeva che avevano ragione e a un tratto si sentì felice di
averli incontrati. Così accettò di buon grado, anche se si sentì inutile
e frustrato quando vide uscire Sean.
Dopo averlo accompagnato al piano di sopra, Maggie sedette
accanto a lui. «L'altro giorno, dopo che ci siamo incontrati, mi sono
resa conto di averti già visto» gli rivelò dopo qualche minuto.
Mark la osservò, cercando di ricordare dove potesse essere
successo. «Be', ora che me lo fai notare, anche tu hai una faccia
familiare.»
Maggie sorrise. «Sei di New Orleans, vero?»
«Della zona» confermò lui. Poi scosse il capo. «C'è una cosa che
non capisco, Maggie» disse, esitando un po'. «Tu eri una vampira. Sei
davvero sicura di non esserlo più?»
«Oh, cielo, sì. Di solito ne sono felice, anche se a volte vorrei
poter fare alcune delle cose che facevo prima. Ma adesso ho Sean, e
la nostra famiglia. Non ho mai sentito che questo tipo di
trasformazione al contrario sia successa ad altri, ma... il mio è un
caso particolare.» Si alzò e incominciò a camminare per la stanza con
passi nervosi. «Molto tempo fa, mio padre e alcuni dei suoi amici
uccisero il vampiro che mi aveva aggredita mentre non aveva ancora
finito di trasformarmi. Mi salvarono prima che fossi in punto di
morte, e credo che questo abbia fatto la differenza. Sai, tra i nostri
amici ci sono diverse coppie miste. Come ti ha già detto Sean, Jessica
Fraser, la proprietaria di Monstresse House, è una vampira e il suo
compagno è un guardiano antico quanto lei, una specie di angelo
sterminatore che lotta contro i vampiri malvagi. Com'è strano il
mondo, vero?»
«Che cosa pensi di Jonas?» le domandò a bruciapelo Mark.
«Hai detto che ha combattuto contro Stephen.»
«Sì, ma... Mi preoccupa l'idea di lasciare Deanna e le altre ragazze
con lui.»
«Non preoccuparti. Sean arriverà presto in ospedale. E adesso tu
devi riposare. Ti lascerò solo, così potrai dormire un po'.»
Aveva ragione. Aveva bisogno di riprendere le forze, ammise
Mark chiudendo gli occhi.
Quando arrivò Sean Canady, la voce dell'autorità, Lauren ne fu
felice.
Si sentiva molto più tranquilla e il fatto che lui si fidasse
ciecamente di Bobby e Stacey le diede ulteriore sicurezza. Rimase a
guardare mentre i due accompagnavano Heidi fuori dalla stanza,
promettendo di vegliare su di lei con occhi di falco.
Jonas non si era mosso dal capezzale di Deanna e le stava così
attaccato che Lauren non poteva nemmeno avvicinarsi. Ma non
riusciva nemmeno a lasciarla, pur sapendo che Sean Canady
montava la guardia in corridoio.
Il resto della notte passò senza incidenti.
Scoprì di essersi addormentata quando alle prime luci dell'alba
entrò un'infermiera per cambiare la flebo e controllare i segni vitali
di Deanna.
Lauren sentì una mano sulla spalla. Era Sean Canady. «Vieni. Ti
accompagno a casa.»
«Non posso lasciarla» protestò, indicando Jonas con un cenno.
«Sì che puoi. Bobby è in servizio. Si piazzerà qui nella stanza e farà
buona guardia. Deanna non rimarrà sola nemmeno un istante.»
Guardando oltre la spalla del tenente, Lauren vide una donna
molto bella, con i capelli ramati, che si presentò come Maggie
Canady, la moglie di Sean.
«Ti prometto che la tua amica sarà al sicuro» le assicurò la nuova
arrivata.
Lauren era esausta e sapeva di aver bisogno di dormire. Forse era
una follia fidarsi di quella gente, si disse, ma se non avesse accettato
il loro aiuto, tanto valeva che si desse subito per vinta.
Il sole era già sorto quando Sean la riaccompagnò a Monstresse
House. Graziosi uccellini dai colori vivaci cinguettavano tutt'intorno
alla casa.
La lasciò davanti al vialetto d'ingresso.
«Lei non entra?» gli domandò Lauren.
Lui scosse il capo. «Stacey sa che sei qui. Guarda, ti ha già aperto la
porta.»
«Deve lavorare?»
Sean distolse lo sguardo. «Devo assistere a un'autopsia» rispose con
voce stanca.
«La seconda donna trovata nel Mississippi?»
Dopo qualche secondo di silenzio, lui le tese il giornale che aveva
posato sul sedile posteriore. «La terza vittima» disse mentre Lauren
leggeva i titoli.
«Una ogni notte...» mormorò lei.
Sean si strinse nelle spalle. «Potrebbe andare peggio. Pare che
Stephen Delansky stia tenendo a freno i suoi seguaci e uccida solo
quel tanto da assicurarsi che la polizia sia impegnata su e giù lungo il
fiume a dar loro la caccia.»
«Qualcuno deve fermarlo.»
«Sì, certo. Ma non tu, e non ora. Cerca di riposarti un po'.»
Mentre usciva dall'auto, Lauren si fermò. «E Mark?»
«Mark starà bene. Vai, adesso.»
Lauren obbedì. Stacey l'aspettava sulla soglia e dopo averla fatta
entrare uscì a salutare Sean e a controllare i dintorni.
Apparentemente soddisfatta che non ci fosse nessuno, seguì Lauren
all'interno e chiuse la porta a chiave. «Ho messo su il caffè» le disse,
«ma forse non ti va. Potrebbe impedirti di dormire. Ho fatto anche
delle frittelle buonissime. Mangia, fatti una doccia, mettiti a letto e
cerca di dormire un po'.»
«Come sta Heidi?» volle sapere Lauren.
«Bene, direi. Le ho dato un sedativo per farla dormire. È meglio
che non parli con nessuno finché non avrà avuto il tempo di...
disintossicarsi dall'infezione.»
Lauren si guardò intorno con aria diffidente. «Come puoi essere
sicura che il male non possa entrare qui dentro?»
Stacey rise. «Guardati in giro. Vedi le fioriere? Le bagniamo tutti i
giorni con acqua santa. E se guardi bene come sono costruite le
finestre, vedrai che le assi sono tutte a forma di croce. E per
precauzione nella vernice del telaio è stato mescolato dell'aglio in
polvere. Fidati, abbiamo ogni tipo di misure difensive qui. Anche se
è sempre meglio non abbassare la guardia.»
Stacey la condusse in cucina, aprì il microonde e tirò fuori un
piatto di frittelle. «Siedi e mangia.»
Lauren scoprì di essere affamata e le frittelle erano in effetti
deliziose come le aveva promesso Stacey. «Siamo al sicuro di
giorno?» domandò.
«Più che di notte. I vampiri - sia buoni che cattivi - sono più forti
di notte. E sinceramente dubito che Stephen attaccherà di giorno.
Non è un giovane sprovveduto che va in giro per la città a
folleggiare. Bisognerebbe essere proprio stupidi per farlo: questa è la
sede dell'Alleanza.»
«Cosa?»
«L'Alleanza.»
Lauren aggrottò la fronte, scuotendo il capo. «Allora Jonas diceva
la verità.»
«Esiste un'alleanza tra le creature... diciamo ultraterrene, che
hanno stabilito qui la loro sede. Purtroppo Stephen ha scelto il
momento migliore per colpire. Sono quasi tutti all'estero. Spero solo
che ritornino in tempo.»
«Lo speri?»
«Non avere paura. Mark conosce bene il suo nemico. E anche
Sean e Maggie. Nessuno sa più cose di loro. È un peccato che Brian
MacAllistair, il compagno di Jessica, non sia qui. I guardiani sono
antichissimi e proprio per questo molto potenti. Pochissimi individui
sono sopravvissuti al medioevo. Credimi, è tutto sotto controllo. Gli
agenti di Sean sono in grado di affrontare i vampiri. Non che tenga
lezioni di vampirismo a tutta la squadra, questo è ovvio, ma ci sono
alcuni poliziotti nel suo distretto che sono a conoscenza dei fatti.
Non è così strano, in fondo. Se credi nell'esistenza di un'entità
superiore, automaticamente credi nel bene. E se credi nel bene devi
credere anche al male.» Stacey si interruppe. «Scusami, ti sto
confondendo le idee e probabilmente tu vuoi soltanto dormire.
Ancora qualche frittella?»
«Come?» Lauren si rese conto di essersi appisolata e di aver appena
sentito quello che la donna le stava dicendo.
«Frittelle. Ne vuoi ancora? Hai ripulito il piatto.»
«Oh, no, grazie. Erano buonissime. Io... penso che andrò a dare
un'occhiata a Heidi e poi andrò a dormire anch'io, se per te va
bene.»
«Ma certo.»
Salirono insieme e Stacey aprì la porta di una delle stanze. Heidi
dormiva profondamente, stringendo tra le braccia un orsacchiotto di
pezza.
«Bobby l'ha vinto a una fiera» le spiegò Stacey.
«È carino, grazie.»
«Di niente. Chiamami se hai bisogno» le disse, dirigendosi verso le
scale.
Una volta nella sua stanza, per prima cosa Lauren fece una lunga
doccia bollente per togliersi il sudiciume di dosso. Il pensiero che i
granelli di polvere che le coprivano la pelle e i capelli erano i residui
di esseri malvagi non era affatto piacevole. Dopo essersi insaponata,
si strofinò vigorosamente, quindi ripeté l'operazione.
Infine, sazia, pulita e al calduccio, crollò sul letto mentre le
immagini vorticavano nella sua mente. Vampiri. Ombre. Tenebre.
Pipistrelli. Sagome informi che si materializzavano nella notte. Cose
orribili, creature malvagie...
E Mark.
Mark la sera prima.
Si rannicchiò sul materasso. Mark era a posto, glielo aveva
assicurato Sean Canady. Poteva fidarsi di lui. Era al sicuro.
Finalmente si addormentò.
Più tardi... lo sentì arrivare.
Dapprima pensò che fosse un sogno. Sentiva la sua voce perché
era quello che desiderava, pensò; aveva la sensazione che la toccasse
e le passasse le dita tra i capelli perché aveva nostalgia delle sue
carezze.
«Lauren.»
Poi si rese conto che era davvero lì, al suo fianco. Occhi blu
profondi come il mare e luminosi come il giorno. Le linee del viso
forti e decise e un'espressione tenera nello sguardo.
Un attimo dopo lui la stava baciando.
Le sue labbra si muovevano su di lei, sensuali, invitanti. Le sue
mani la accarezzavano, le stringevano i seni e scivolavano lungo i
fianchi.
No, decisamente non stava sognando. Mark era lì con lei. Stavano
facendo l'amore.
Oh, Dio, era così bello.
Si rannicchiò tra le sue braccia, ricambiò i suoi baci con passione,
esplorò il suo corpo con le mani e con le labbra, stuzzicandolo e
inebriandosi del suo profumo. Chissà come, la camicia da notte che
aveva indossato dopo la doccia era sparita, e i loro corpi nudi erano
stretti in un abbraccio erotico e sensuale. Poteva sentire la pressione
del suo pene tra le cosce, la sua vitalità, la potenza dei suoi muscoli.
Le tende erano tirate e solo un raggio di sole penetrava nella stanza,
avvolgendolo in una luce dorata. Quando la toccava, aveva la
sensazione di trasformarsi in fuoco vivo, come se gli elementi stessi
congiurassero per eccitarla e sedurla. Non aveva mai provato niente
del genere.
Evidentemente Mark aveva deciso di prendere le cose con calma.
Sembrava che volesse accarezzare ogni centimetro e ogni curva del
suo corpo, facendo seguire al tocco delle dita quello delle labbra e
della lingua. Le tracciò una lenta scia di fuoco sulla pelle,
strappandole un roco gemito di piacere mentre scendeva lungo la
gola, la clavicola, il seno, l'addome, il ventre, le cosce, destando in
lei un desiderio lancinante, fino a portarla sull'orlo della follia, a un
orgasmo incredibile... e poi ancora a un altro.
La sua forza virile sembrava penetrarle ovunque, perfino nella
mente. Lauren pensò che sarebbe morta mentre si inarcava contro di
lui, spinta da un desiderio insaziabile, o che sarebbe quantomeno
impazzita. Poi il dolce delirio dell'orgasmo la travolse ancora una
volta e lei si abbandonò totalmente, carne contro carne, i cuori che
battevano all'unisono, il respiro ansante...
Crollarono insieme.
Lauren tuttavia non rimase sdraiata tranquilla al suo fianco,
aspettando che l'incanto svanisse. Si rizzò a sedere e lo guardò in
viso con espressione ansiosa. «Sei tutto intero?»
«Tu che ne dici?» scherzò lui. «Pensavo di avertelo dimostrato.»
Lauren gli tirò un pugno, sorridendo. «Sul serio! Sei riuscito a
sfuggirgli, ma eri ferito. Come diavolo hai fatto?»
«Sto bene» le assicurò Mark. «Davvero.»
Lei saltò giù dal letto senza preoccuparsi della propria nudità,
ansiosa di controllare di persona e assicurarsi che stesse veramente
bene.
Scostò le tende, lasciando entrare la luce del sole, e tornò al suo
fianco, per poi perlustrarlo dalla testa ai piedi con le mani e con lo
sguardo.
«Tu... non hai nemmeno un graffio.»
«Sono tosto. Vecchio e logoro, ma tosto» rispose lui con una risata
sommessa.
«Ero così preoccupata quando non ti ho visto tornare.»
Mark allungò una mano e le sfiorò la guancia, guardandola negli
occhi. «Tu eri preoccupata? Ebbene, anch'io lo ero. Non è stato
facile, per me, fidarmi di Jonas.»
«Mi ha riportata nella piazza.»
Mark annuì. «Sean mi ha detto di essere ragionevolmente sicuro
che sia un bravo ragazzo.»
«A Deanna piace molto» mormorò Lauren.
«Già. Bene, direi che ieri sera è intervenuto al momento
opportuno. Eppure... questa storia non mi piace. Devo
assolutamente trovare il covo in cui si nasconde Stephen.»
Lauren aggrottò la fronte. «Sei sicuro che abbia un... covo?» gli
chiese lentamente.
«Naturale.»
«Scusa, forse sto facendo delle domande stupide, ma... è ancora
una novità per me accettare l'esistenza dei vampiri. Credi che abbia
una bara da qualche parte? Con la terra del suo paese natale e tutto
il resto?»
Mark stava fissando il soffitto con espressione seria e non
sembrava che trovasse strana la sua domanda. «Non è complicato
come potresti pensare. Certo, ha un rifugio da qualche parte, un
luogo dove può riposare e guarire dalle ferite. Ma deve esserci anche
un posto abbastanza grande da raccogliere i suoi seguaci.» Si voltò a
guardarla, questa volta con espressione severa. «Si può sapere dove
sei andata ieri notte? Perché sei uscita dall'ospedale? Sai bene che è
pericoloso andare in giro da sola col buio.»
Lauren fu colta di sorpresa da quella domanda. E anche se non
sapeva bene perché, non volle dirgli tutta la verità. «Io... pensavo
che fosse importante trovare l'indovina.»
Mark aggrottò la fronte. «La donna del tuo schizzo?»
Lei annuì.
«L'hai trovata?»
«No.» Non sapeva perché gli avesse mentito, ma poi capì. Susan le
aveva dato quel ritaglio di giornale, una copia di quello che aveva
trovato in biblioteca, e prima di parlarne con qualcun altro Lauren
voleva leggerlo da sola, per vedere se vi avrebbe trovato qualcosa
che avesse un qualche senso. L'incontro con quella donna l'aveva
messa in agitazione.
Tuttavia si sentiva in colpa per la bugia, così cercò di dargli
almeno una vaga spiegazione. «Non credo di avertene parlato, ma...
ho visto Stephen nella sua sfera di cristallo. La sera che siamo arrivate
qui, Heidi e Deanna hanno voluto farsi leggere la sorte. Susan aveva
una piccola tenda con una sfera di cristallo. E quando ci ho guardato
dentro, mi è apparso Stephen.»
Mark la guardò con espressione grave. «Perché non me l'hai detto
prima?» Era arrabbiato, si rese conto Lauren, anche se cercava di non
darlo a vedere.
«Mi dispiace... ma all'inizio non sembravi esattamente sano di
mente.»
«Da allora, però...» Chiuse gli occhi, scuotendo il capo e
stringendo i denti. Si mise a sedere, poi si alzò e prese i pantaloni.
«Ecco come ha fatto a trovarti» disse con calma. «Cercherò di
rintracciare quella donna per vedere se può dirci dell'altro. E tu devi
essere estremamente prudente. Non uscire da sola per nessuna
ragione. Ti prego, Lauren, dammi ascolto.»
Lei annuì, guardandolo in viso. «Ha ucciso ancora, sai? Hanno
trovato un terzo cadavere nel fiume.»
Mark imprecò mentre si infilava i jeans. «Dobbiamo trovarlo. E
fermarlo» disse a denti stretti.
«Che cosa faccio... che cosa posso fare per Deanna e per Heidi?»
gli chiese.
«Stacey sa come trattare Heidi. Immagino che a quest'ora sarà già
tornata in sé.»
«Quindi
essere
sedotti
automaticamente... vampiri?»
e
morsi
non
fa
diventare
Lui scosse il capo. «Si diventa vampiri solo dopo la morte. A meno
che non si venga infilzati con un paletto nel cuore. O decapitati.»
«Com'è possibile che ci siano così tanti vampiri e solo tre omicidi?
Voglio dire... non hanno bisogno di nutrirsi?»
Mark si infilò la camicia. «Possono cibarsi di ratti, piccoli animali...
e sono sicuro che se controllassimo nella zona, scopriremmo che più
di una banca del sangue è stata svaligiata.» Esitò. «Stephen è un
mostro. Crudele, assetato di potere, e gode nell'infliggere dolore e
nel tormentare gli altri. Ma prima di tutto vuole vivere. Non vede
l'ora di uccidermi, perché gli do la caccia da molto, molto tempo.
Tuttavia prima vuole te e spera che io sia vivo per vederlo. Forse è
convinto di poterti sedurre, per vivere insieme una vita lunga,
felice... e sanguinaria. Forse ti vuole soltanto perché sa che in questo
modo può ferirmi. Sta usando Heidi e Deanna per tormentarti, per
arrivare a te. E io devo fermarlo.»
Rimase immobile quando ebbe finito di parlare.
Lauren aggrottò la fronte. «Che cosa c'è?»
Mark emise un gemito. Improvvisamente, invece di abbottonare
la camicia, la sfilò nuovamente. I jeans si afflosciarono sul
pavimento. Un istante dopo era ancora al suo fianco, la guardava
teneramente negli occhi e le accarezzava i capelli. «Devo andare»
mormorò.
Lei annuì.
«Ma non subito. Non ancora.»
Né lei poteva lasciarlo andare. Entrambi in preda a una specie di
febbre, fecero l'amore con una passione disperata e frenetica.
Si stava innamorando, pensò Lauren. Del suo viso. Delle sue mani,
delle sue carezze.
Dei suoi baci.
Non solo dell'amore in sé o del sesso. Si stava innamorando di lui.
Anche se lo conosceva appena.
Si augurò che fosse abbastanza.
Poi smise di pensare per lasciarsi andare alle sensazioni e librarsi
tra le ali del piacere.
Insieme erano una potenza esplosiva. Non riusciva a saziarsi di lui.
Il cuore le batteva forte, il respiro si faceva ansimante; la pelle era
umida di sudore; il culmine dell'orgasmo fu dolcissimo e devastante.
Alla fine Mark la tenne stretta per un momento e sospirò. Un
attimo dopo si alzò per andarsene.
Lei rimase sola con i suoi pensieri, a chiedersi se quello che
provava era reale o se era solo un sogno.
Un sogno... quando tutto il resto era un incubo.
Capitolo 13
Mark si diresse verso Jackson Square. Aveva notato Susan,
l'indovina, la prima volta che era andato in città e aveva fatto il giro
della piazza per vedere cosa era cambiato e cosa era rimasto uguale
rispetto a quando era partito da New Orleans.
Quel posto non mancava mai di sorprenderlo. Fatta eccezione per
alcuni particolari insignificanti, la piazza era la stessa di sempre. In
quel momento c'erano pochi musicisti, qualche artista e solo una
cartomante. Nessuna traccia di Susan.
Andò al distretto di polizia dove, dopo qualche difficoltà, ottenne
di vedere Sean Canady, che era chino sulla sua scrivania a leggere
delle carte.
Il tenente studiò Mark per qualche istante quando lo vide entrare
nell'ufficio. «Hai un'aria riposata» osservò infine.
«Hai un minuto?»
Canady gli indicò una sedia.
«C'era qualcosa di insolito nell'autopsia?» gli domandò Mark,
arrivando subito al punto.
«Perché, non ti sembra abbastanza insolito trovare tre cadaveri
senza testa nel Mississippi in tre giorni?» rispose Sean. «È chiaramente
lo stesso killer. Sull'ultima vittima si intravede un solo segno di
puntura. Negli altri casi, qualunque traccia è sparita insieme alla
testa. Non so se Stephen l'abbia lasciato di proposito per lanciare un
segnale a chi può capirlo, o se sia semplicemente una trascuratezza.
L'anatomopatologo afferma che le vittime sono state decapitate a
morte già avvenuta, grazie al cielo. La polizia di stato ha mandato
una squadra a perlustrare tutto il corso del fiume.»
«Hanno trovato qualcosa?»
«Niente su cui si possa lavorare. Niente impronte, niente indizi, e
l'acqua ha cancellato qualsiasi prova fosse rimasta sui corpi. Il profiler
incaricato di tracciare il profilo psicologico del killer è convinto che
stiamo cercando un uomo tra i ventisette e i trent'anni, che svolge un
lavoro umile e prova un profondo senso di inadeguatezza. Potrebbe
anche essere sposato. Tutti sono stupiti dall'abilità che dimostra nel
decapitare le vittime e nasconderne le teste, benché sia probabile che
anche queste si trovino nel fiume. Tutti concordano nell'affermare
che sarebbe un passo importante scoprire dove vengono uccise le
vittime. Stanno cercando qualcosa come un macello abbandonato,
dato che i corpi sono praticamente dissanguati.»
«Hai dato loro qualche ipotesi su cui lavorare?» chiese Mark.
«Sì, certo. Ho suggerito di cercare un vampiro.»
Mark inarcò un sopracciglio. «E non hai ancora perso il posto?»
Sean sorrise. «Ho capito ormai da molti anni che quello contro cui
lottiamo non sempre coincide con ciò che ci si aspetterebbe. Che
non sempre si riescono a distinguere gli umani pazzi dai pazzi non
umani. E visto che ci è già capitato di avere a che fare con delitti
commessi da sette, qui a New Orleans, talvolta i ragazzi mi
ascoltano. Ho detto loro che personalmente sono convinto che
abbiamo a che fare con una congrega di quel genere e che devono
comportarsi come se avessero di fronte dei veri vampiri, perché è
quello che pensano di essere gli adepti di questa particolare setta.»
«Buona idea» si complimentò Mark. «E che cosa mi dici dei tuoi
uomini?»
Sean si strinse nelle spalle. «Gli scettici pensano da tempo che sia
un po' toccato o, peggio, che riesca a calarmi nei panni dei criminali.
Ma hanno visto che, lasciandomi fare, siamo arrivati spesso a una
conclusione soddisfacente e così... Quanto agli uomini che ho messo
di guardia in ospedale... hanno già svolto compiti simili in passato.
Loro credono.»
«Che ne pensi di Jonas?»
«Sembra che stia dalla parte giusta, ma non lo conosco di
persona.»
«Nemmeno io.»
«A dire il vero, non conosco nemmeno te» aggiunse Sean.
Mark stava per dire tua moglie mi conosce, ma si trattenne. In
realtà aveva solo sentito parlare di lui, ed era passato molto tempo.
«Stephen si nasconde da qualche parte qui a New Orleans, anche
se non credo che il suo covo si trovi sotto la tua giurisdizione.
Dev'essere da qualche parte fuori dal Quartiere Francese, forse anche
fuori città. Stavo pensando di dare un'occhiata in Plantation Row,
passata casa tua. Ho già fatto un rapido giro da quelle parti e non ho
notato edifici abbandonati, o posti in cui i membri di una setta
potrebbero riunirsi senza dare nell'occhio.»
«Forse non sembra abbandonato» suggerì Sean. «Stephen potrebbe
aver preso contatti con qualcuno prima di trasferirsi qui. Forse di
giorno il suo nascondiglio sembra una casa come tutte le altre.»
«I tuoi uomini tengono occhi e orecchie ben aperti?»
Sean si limitò a fissarlo.
«Lo stanno già facendo, vero?»
«Sì.»
«Mi terrò in contatto» gli assicurò Mark, alzandosi.
«A proposito, abbiamo identificato le tre vittime. Tutte sono
prostitute. Una viene da Baton Rouge, una da Lafayette e l'altra da
Poughkeepsie.»
«Poughkeepsie?»
«Nello stato di New York. Forse si era trasferita qui, anche se non
risulta un indirizzo conosciuto da queste parti.»
Mark si strinse nelle spalle. «Le ragazze che fanno quella vita sono
abituate a seguire gli sconosciuti. Avrebbe senso.»
«Sì» disse semplicemente Sean, poi respirò profondamente. «Ho
mandato degli uomini a tenere d'occhio pub e locali di striptease, ma
non credo che troveremo Stephen in questo modo. È troppo furbo.
Se è lui a commettere gli omicidi, credo che porti le donne nel suo
covo.»
Mark annuì. «Mi sono imbattuto in uno dei suoi tirapiedi in un
pub la prima sera che sono arrivato. L'ho seguito quando ha portato
una donna al cimitero e l'ho ucciso.»
«Quella poveretta avrà pensato che sarebbe stato eccitante farlo in
un cimitero.»
«Anche i vampiri giovani sanno essere seducenti.»
Sean annuì. «Stiamo in guardia e non lasciamoci sfuggire niente di
insolito. Ti chiamerò se dovessi avere altre notizie.»
Mark lo ringraziò e lasciò il distretto di polizia.
Stephen e i suoi seguaci avevano scelto prede facili, pensò. Donne
pronte a farsi rimorchiare in cambio di denaro senza sapere che
sarebbero state loro a pagare.
Bene, lui aveva battuto i locali e aveva trovato uno dei tirapiedi
di Stephen, anche se la giovane donna che aveva scelto era solo una
turista.
Tuttavia, Delansky aveva molti seguaci. Potevano essere
dappertutto, anche se fino a quel momento sembrava che nessuno di
loro avesse acquisito la forza e il potere che Stephen aveva
accumulato negli anni. Probabilmente la maggior parte di loro
durante il giorno dormiva... ma forse non tutti.
Di giorno la città era più tranquilla che di notte. La maggior parte
dei turisti passava il tempo visitando i quartieri storici, i musei, i
ristoranti e andando per negozi. I genitori portavano i bambini in
carrozza. L'acquario e lo zoo attiravano folle di persone.
Ma i bar erano aperti.
E così pure i locali di striptease.
Entrò e uscì da qualche pub, ascoltando frammenti di musica dal
vivo. In uno di questi i musicisti erano così bravi che avrebbe
volentieri abbandonato la caccia per stare ad ascoltarli, ma resistette
alla tentazione. Ovunque andasse, non sentiva nulla, non vedeva
nulla. Tutto era tranquillo.
Decise di provare in qualche striptease. Al Bottomless Pit trovò
tappeti logori, una clientela dimessa e spogliarelliste stanche e
svogliate. Nessuno aveva un'aria minacciosa. In realtà, tutti
sembravano annoiati.
Proseguì e trovò un'insegna che prometteva Nudo! Nudo! Nudo!
Un imbonitore dai denti marci stava sulla soglia, cercando di
attirare clienti. Mark decise di pagare l'ingresso e dare un'occhiata.
Tutto era tranquillo.
C'erano pochi clienti sparsi qua e là, incluso un uomo corpulento
seduto in prima fila, con una vista privilegiata proprio accanto al
palo della lap-dance. Quando Mark entrò nella sala, un presentatore
dalla voce stanca stava cercando di eccitare il pubblico decantando
le grazie di Nefertiti, dea tra le donne.
La ballerina che si presentò sulla passerella era davvero bella, in
contrasto con l'atmosfera stantia del locale, la voce annoiata del
presentatore e l'aspetto dimesso di molti clienti. Alta, dalla pelle
dorata, con lunghi capelli lisci e neri, avanzò fino al palo e dopo
aver lanciato un'occhiata al cliente in prima fila incominciò a
dimenarsi intorno al palo. All'inizio del numero indossava pantaloni
orientali ricoperti di lustrini e un reggiseno tempestato di gioielli, con
le coppe striminzite tenute insieme da fili di tessuto sottile. I
pantaloni se ne andarono per primi, poi fu la volta del reggiseno e
poco dopo, come promesso, se ne andò anche il resto e Nefertiti
rimase nuda, nuda, nuda.
Raccolse una discreta quantità di applausi per l' esibizione,
considerato che la sala era mezza vuota, poi lasciò il palco e il
presentatore annunciò un'altra ragazza, Annie Oakley, con un poco
convinto: In sella, cowboy!
Annie Oakley era chiaramente una veterana: il seno era
palesemente rifatto e la legge di gravità si stava prendendo la
rivincita.
Pochi clienti la stavano guardando.
Nel frattempo Nefertiti si era rivestita, anche se non si poteva dire
che fosse pronta per andare in chiesa, e stava proponendo una lapdance privata al grassone in prima fila. Mark teneva un occhio alla
scena sul palco e uno a lei. Era la solita roba, ma l'uomo era
evidentemente incantato dalle grazie di Nefertiti.
A un tratto squillò il telefono. Senza perdere di vista Nefertiti,
Mark rispose a bassa voce: «Sì?».
«Ho qualcosa» disse Sean.
Mark tuttavia lo udì appena; imprecando, chiuse di scatto il
cellulare, fissando Nefertiti. I capelli le facevano da schermo, ma non
bastavano a nascondere che stava per mordere il collo del suo
cliente e addentargli la giugulare.
Heidi sembrava di nuovo se stessa, pensò Lauren quando scese a
fare colazione il mattino seguente. Tuttavia sembrava sconcertata dal
suo stesso comportamento, come se non ricordasse nulla di ciò che
era successo il giorno prima.
«Ciao» la salutò, abbracciandola affettuosamente.
«Ciao» rispose Heidi, prima di chiederle con ansia: «Credi che
Deanna si riprenderà presto? Non riesco... non riesco a dare un
senso a quello che è successo ieri. È come se... mi fossi beccata
qualche strana malattia. E mi è successa una cosa terribile. Non ci
crederai mai».
«Che cosa?» domandò Lauren con il fiato sospeso.
«Non riesco a trovare il mio anello di fidanzamento. Come
diavolo ho fatto a perderlo?»
«Vedrai che salterà fuori» cercò di tranquillizzarla Lauren.
«Barry mi ucciderà.»
«No, non lo farà. Ma tu... sei sempre convinta di sposarlo?»
Heidi aggrottò la fronte. «Certo che lo sposerò.»
«Ne sono felice.»
«Quando mai ho detto che non l'avrei sposato?» incalzò Heidi.
Stacey, che veniva dalla cucina con il caffè fumante, rispose
serafica: «Ieri».
«Impossibile!» ribatté Heidi.
Lauren scambiò un'occhiata con Stacey prima di riportare lo
sguardo sull'amica. «Be', a dire il vero l'hai fatto» mormorò.
«Forza, diglielo. Deve sapere la verità» la sollecitò Stacey.
Lauren la guardò in silenzio, chiedendosi se Heidi avrebbe creduto
a ciò che stava per raccontarle.
«Sei stata morsa da un vampiro» dichiarò Stacey. «Devi saperlo, e
devi andare avanti con i tuoi progetti.»
Heidi rimase a bocca aperta. Guardò Lauren con aria accusatoria,
come se la ritenesse responsabile di averla portata in quella casa di
pazzi.
«Un vampiro?» domandò, incredula. Poi, vedendo che Stacey
rimaneva in silenzio, prese una tazza di caffè con dita tremanti. «Un
vampiro» ripeté in tono incolore.
«Sì, è così» confermò Lauren.
«Chi sarebbe?»
«Crediamo che tu sia stata morsa da un vampiro di nome Stephen»
la informò Lauren.
Stacey si sedette insieme a loro al tavolo e si avvicinò a Heidi.
«Pensaci, cerca di ricordare. Quando eri in ospedale, sei stata tu a
farlo entrare. Grazie al cielo è venuto da te e non ha prosciugato
quel che restava della vita di Deanna.»
Di nuovo Heidi la guardò a bocca aperta. «Voi siete impazzite»
disse, facendo per alzarsi.
Stacey le posò una mano sul braccio. «Sforzati. Cerca di richiamare
alla mente quello che è successo ieri. Pensa a quando siamo arrivati
Bobby e io. Ricorda Lauren. Ricorda di essere uscita a cena con Mark
e poi di essere tornata in ospedale. Niente di tutto ciò è stato un
sogno. Era tutto reale.»
Heidi era pallidissima e sembrava a disagio. «D'accordo, ieri è stata
una giornata strana. Di certo avevo la febbre. Forse ho preso anch'io
la stessa malattia di Deanna, solo in forma più leggera.»
Lauren stava per replicare, ma non ne ebbe il tempo. Stacey aveva
deciso che Heidi doveva essere messa brutalmente davanti ai fatti
perché potesse avere un quadro chiaro della situazione e andare
avanti.
«Puoi scommetterci che era la stessa malattia. Deanna sarebbe
morta se non l'aveste portata subito in o spedale. E ha rischiato di
nuovo di morire quando tu hai lasciato entrare quel mostro nella
stanza. Fortunatamente, lui ha deciso che avrebbe cercato di
avvelenare anche te. Mark, per fortuna, ha riconosciuto
immediatamente i sintomi e siamo riusciti a portarti qui prima che
succedesse qualcosa di peggio. Ma lui è ancora da qualche parte, là
fuori, e tu sei debole...»
«Io non sono affatto debole!» si inalberò Heidi.
«Aspetta!» intervenne Lauren. «Stacey, quell'uomo è estremamente
potente e Heidi non aveva idea di che cosa la aspettasse. Stephen ha
poteri ipnotici. Io stessa sono rimasta quasi pietrificata quando me lo
sono trovata di fronte, eppure ero armata e sapevo con chi avevo a
che fare.»
«Tu eri armata?» domandò Heidi.
«Con una pistola ad acqua. Acqua santa.»
«Lascia stare per il momento» la interruppe Stacey. «È importante
che tu rifletta e cerchi di ricordare ogni cosa» disse a Heidi. «I vampiri
esistono davvero e sia tu sia Deanna siete state contaminate. Adesso
Stephen ha modo di arrivare a te quando vuole, a meno che tu non
capisca realmente il pericolo che corri e non lotti contro di lui»
concluse con fermezza.
Di nuovo, Heidi si limitò a guardarla a occhi sgranati. «Ricordo di
essere uscita a cena con Mark. Non mi ha lasciato mangiare il mio
hamburger» mormorò con espressione pensosa.
«Appena è rimasto solo con te ha capito subito che eri stata
contaminata» le spiegò gentilmente Lauren.
Heidi scosse il capo. «Qualcosa deve avervi dato alla testa. So che
c'è qualcosa che non va, ma addirittura i vampiri... !»
Prima che una delle due potesse rispondere, il cellulare di Heidi
cominciò a squillare. Riconoscendo la suoneria, la ragazza si affrettò
a rispondere.
«Ciao, tesoro.»
Sia Lauren che Stacey colsero la collera che vibrava nella voce di
Barry, anche se non riuscivano a capire che cosa stesse dicendo.
«No!» protestò Heidi. «Non è vero! Dev'essere stato uno stupido
scherzo. Io non avrei mai...»
Il telefono rimase muto nella sua mano e i suoi occhi si riempirono
di lacrime mentre guardava le altre due donne. «Dice... dice che ieri
l'ho chiamato per dirgli che era tutto finito, che mi dispiaceva ma
che volevo andare a letto con altri uomini. Poi ho riagganciato!»
«Lo chiamerò io» si offrì Lauren. «Troverò qualcosa da dirgli.
Sappiamo tutti quanto lo ami e quanto lui ama te.»
«Adesso mi odia» mormorò Heidi, sconvolta. «Non sono stata io a
chiamarlo. Non avrei mai detto delle cose così orribili.»
«Invece l'hai fatto, questo è il problema. È il tuo fidanzato,
riconosce la tua voce» le fece notare Stacey.
Heidi scoppiò in lacrime.
«Andrà tutto a posto» cercò di tranquillizzarla Lauren. Le parole
suonavano vuote alle sue stesse orecchie, ma erano le uniche che le
sembrassero appropriate in quel momento.
Stacey invece fu molto più diretta e brutale. «Prima di tutto
dovresti essere contenta di essere ancora viva. E poi dovresti
cominciare a credere a quello che ti stiamo dicendo. Fa' tutto quello
che ti dirò di fare e poi, quando saremo fuori da questa storia,
cercheremo di porre rimedio alla situazione con il tuo fidanzato.»
«Chiamerò Barry oggi stesso» promise Lauren, tendendole un
tovagliolo perché si asciugasse gli occhi. «Non piangere, Heidi. Non
serve a niente.»
«Non piangere?» sbottò lei. «Mi stai dicendo che sono stata morsa
da un vampiro - perché sono debole - e che ho telefonato al mio
fidanzato distruggendo la possibilità di sposarci. E secondo te non
dovrei piangere?»
«Esatto, non devi piangere ma infuriarti» rispose Stacey. «Apri gli
occhi e renditi conto di quello che ti ha costretta a fare quella
creatura. Svegliati, Heidi!»
«Sono sveglia. Credimi, sono sveglia» replicò la ragazza, irritata. Si
asciugò le lacrime e fissò le altre due. «Se è uno scherzo idiota... »
«Vorrei che lo fosse» mormorò Lauren, allungando il braccio
attraverso il tavolo per stringere la mano dell'amica. «Chiamerò
Barry. Lo convinceremo che il tuo telefono è stato rubato da
qualcuno che ti aveva sentito parlare con lui e che ha deciso di
giocarvi uno scherzo crudele.»
«Ci crederà?»
«Ci crederebbe se gli dicessi che eri sotto l'influenza di un
vampiro?» ribatté Stacey.
«Lo chiamerai davvero, Lauren? Cercherai di convincerlo?»
«Te lo prometto. Tu lo ami e lui ama te. Adesso è arrabbiato, ma
sono sicura che non vuole perderti.»
Heidi rimase tranquilla per un minuto. «Allora... che cosa si fa
adesso?» disse infine.
«Io devo tornare in ospedale» rispose Lauren.
«Sì, certo, dobbiamo stare vicine a Deanna.»
«Tu non ti muovi» intervenne Stacey con fermezza.
«Cosa?» protestò Heidi.
«Tu resti qui con me. Hai bisogno di un altro giorno per
recuperare il sangue che hai perso, e devi imparare le procedure» le
spiegò.
«Quali procedure?»
«Quelle per uccidere i vampiri» le rispose Stacey in un tono che
non ammetteva repliche.
Mark scattò, rovesciando un tavolo nella fretta di raggiungere
Nefertiti prima che affondasse le zanne nella gola dell'uomo.
«Ferma!» gridò, lanciandosi su di lei.
La donna cadde a terra. I suoi occhi, di un caldo colore castano
con un bagliore che tradiva la collera, incontrarono quelli di Mark.
Poi il grassone lo afferrò per un braccio e lo trascinò via.
«È uno psicopatico!» strillò Nefertiti.
«Bastardo! Paga se vuoi divertirti anche tu» sbraitò il cliente.
«Chiama la polizia» gli ordinò Nefertiti.
«Mi occuperò io di questo stronzo» dichiarò l'uomo, preparandosi
a far scattare un pugno micidiale.
Mark schivò facilmente il colpo. «È contagiosa!» gridò, chinandosi
per schivare il colpo.
Il grassone l'aveva attaccato con tale impeto che cadde a terra con
un tonfo sordo. «Contagiosa? Oh, mio Dio!»
Nefertiti colse al volo l'opportunità di fuggire dietro le quinte.
Mark scavalcò il cliente a terra e la seguì.
Una mezza dozzina di ragazze in abbigliamento succinto
strillarono quando lo videro lanciarsi all'inseguimento della loro
collega attraverso i camerini.
Nefertiti afferrò una vestaglia di seta e continuò a correre verso
una porta sul retro, con Mark alle calcagna.
La porta dava su un lungo corridoio.
La donna raggiunse l'uscita una frazione di secondo prima di
Mark, uscì in strada e lui l'afferrò per un braccio.
Nefertiti si rivoltò, scoprendo i denti aguzzi, pronta a mutare
forma, ma lui aveva già estratto dalla tasca una piccola pistola a
spruzzo; premette il grilletto e la colpì in pieno petto.
La donna gridò, attirando l'attenzione della gente.
«Polizia! Chiamate la polizia!» gridò qualcuno.
«Ha una pistola!» strillò un altro.
«È solo una pistola giocattolo» fece osservare un terzo.
Comunque fosse, Mark non poteva stare lì a perdere tempo. Era
una scena piuttosto ridicola, pensò: la spogliarellista con il trucco
pesante e la vestaglia di seta e lui che le puntava addosso una pistola
ad acqua mentre una nuvola di fumo si alzava dal suo petto
prosperoso.
Doveva andarsene, e in fretta. Ma non voleva abbandonare
l'ostaggio e nemmeno distruggerla. Aveva intenzione di ottenere
delle risposte da lei. «Vieni con me, subito. E zitta. Sai che cos'ho qui.
Puoi morire oppure aiutarmi. A t e la scelta» le disse.
«Sono ferita» si lamentò lei.
«Tra due secondi sarai ferita ben più gravemente se non chiudi la
bocca e non fai come ti dico» la minacciò lui.
Nefertiti gli passò un braccio intorno alle spalle, fingendo di essere
con lui. I passanti avrebbero pensato a un litigio tra due amanti,
pensò Mark.
«Sto per svenire...»
«Fatti forza, sono certo che ti riprenderai.»
«Dovresti mostrare almeno un po' di pietà...» piagnucolò lei.
«Come stavi facendo tu con quell'uomo?»
«Non avevo intenzione di ucciderlo.»
«Comunque sia, non lo sapremo mai, giusto? Adesso taci e vieni
con me. Altrimenti verranno i poliziotti e io sarò costretto a
ucciderti. Perché non posso lasciarti andare, lo capisci, no?» le disse
rapidamente. «Forza, muoviamoci.»
Lei obbedì senza protestare.
L'anziana donna di colore seduta di fronte a Sean Canady era
sconvolta. Il sergente di turno aveva cercato di spiegarle che non si
poteva denunciare la scomparsa di una persona prima che fossero
trascorse ventiquattr'ore.
Ma la donna aveva insistito.
Si chiamava Judy Lockwood, e aveva allevato la nipote Leticia sin
da quando lei era una bambina e suo padre, il fratello di Judy, era
morto. Crescendo, Leticia era diventata una brava ragazza, che
andava in chiesa e lavorava come infermiera all'ospedale. Non
aveva fatto un solo giorno di malattia da quando era stata assunta.
Ma la sera precedente non era rientrata e quella mattina non si era
presentata al lavoro.
Dal momento che Sean aveva insistito per essere informato di
qualsiasi cosa si scostasse anche solo leggermente dalla routine, Judy
era stata mandata nel suo ufficio.
Il tenente aveva fatto una telefonata a Mark Davidson appena
aveva sentito le parole scomparsa e ospedale.
La donna seduta davanti a lui indossava un abito a fiori, pulito e
perfettamente stirato, che odorava di fresco. Era fiera e dignitosa;
cantava nel coro della chiesa e viveva secondo un codice morale
semplicissimo, in cui le cose erano buone o cattive.
Sean si sentì stringere il cuore mentre la ascoltava. Pregò che non
fosse successo niente alla nipote, anche se dentro di sé ne dubitava.
Stando a quanto aveva sentito, la giovane donna aveva ben poco in
comune con le altre vittime i cui resti pietosi erano stati gettati nel
fiume.
«Quando è stata vista per l'ultima volta sua nipote, Miss
Lockwood?» chiese.
«Ieri sera. Tenente, lo so che non è passato abbastanza tempo, ma
posso garantirle che c'è qualcosa che non va. Ha salutato Bess
Newman, la collega che le dava il cambio per la notte. Bess dice che
è uscita tardi, perché Leticia si trattiene sempre oltre l'orario per
assicurarsi che le cartelle siano compilate a dovere e che i suoi
pazienti siano in buone condizioni. È davvero una brava infermiera,
sa» gli assicurò.
«Nessun altro l'ha vista dopo che ha lasciato l'ospedale?»
«No.»
«Era in auto?»
«Sì. Ci stavo giusto arrivando: la macchina non è nel parcheggio.»
«E lei non crede che possa essere andata da qualche parte e... che
abbia incontrato qualcuno?»
La donna lo fissò come se soltanto un perfetto idiota potesse fare
un commento simile. «Tenente, lei non mi sta ascoltando. Leticia è
una brava ragazza. Frequenta la chiesa. Non ha mai perso un giorno
di lavoro. Secondo lei, che cosa avrebbe potuto indurre una donna
così a decidere di non presentarsi al lavoro?»
«Miss Lockwood, sono davvero preoccupato per sua nipote, ed è
per questo che seguo di persona il suo caso.»
A un tratto gli occhi di Judy si riempirono di lacrime. «Leticia è
una brava ragazza. Non auguro del male a nessuno, naturalmente,
ma a giudicare da quello che hanno riportato i giornali le altre
donne conducevano una vita più rischiosa. Mia nipote no. Andava
in chiesa, lavorava sodo. Usciva di tanto in tanto con un bravo
ragazzo, uno che aveva conosciuto al coro. Non ha mai avuto a che
fare con le bande di strada. Non può essere stata presa da qualche
orribile mostro... uccisa come le altre... vero, tenente?» chiese con
voce piena di speranza.
Sean posò una mano sulla sua. «Seguirò personalmente il caso,
Miss Lockwood. Glielo prometto, faremo tutto il possibile per
trovare sua nipote.»
Mentre Judy Lockwood stava per alzarsi, qualcuno bussò alla
porta. Il sergente fece capolino nell'ufficio. «C'è qui un'amica di Miss
Lockwood, tenente» disse.
Un'altra donna, più o meno della stessa età di Judy, entrò
nell'ufficio. Era alta quasi quanto Sean, portava un cappello di paglia
e, come Judy, vestiva in modo impeccabile. «Mi scusi, Tenente
Canady, e grazie per avermi dedicato il suo tempo. Signora
Lockwood, ho appena ricevuto una chiamata da Leticia. Ha fatto
tardi al lavoro, tutto qui. Le dispiace di averla fatta stare in pena e
dice che le spiegherà tutto stasera. Ma sta bene, ed è questo che
conta, giusto?» Si rivolse a Sean. «I miei nipoti mi hanno regalato un
cellulare per Natale. A Miss Lockwood non piacciono, per questo
non ne ha mai avuto uno.»
«Sia ringraziato il Signore!» esclamò Judy, alzandosi e battendo le
mani. Si rivolse a Sean con aria imbarazzata. «La ringrazio per avermi
ricevuta, tenente Canady. E mi dispiace di averle fatto sprecare
tempo prezioso.»
«Non lo considero affatto uno spreco, signora Lockwood.
Abbiamo bisogno di trovare delle risposte, e spero che tutti quelli
che hanno dei sospetti si rivolgano tempestivamente a noi, proprio
come ha fatto lei.»
«Lei è proprio un giovanotto come si deve, tenente.»
Sean sorrise. Si stava avvicinando ai cinquanta e non si sentiva più
esattamente un giovanotto.
Una volta uscite le due donne, Sean stava per prendere il telefono
quando bussarono nuovamente alla porta. Era ancora il sergente di
turno. «Mi dispiace, signore.»
«No, hai fatto la cosa giusta» gli assicurò Sean, e non appena il
sergente uscì prese il cellulare e chiamò Bobby Munro. «Resta lì. Non
uscire dalla stanza finché non arrivo io.»
«Ricevuto, tenente» rispose Bobby.
«Jonas è ancora lì?»
«Sissignore» rispose a bassa voce il poliziotto. «Non si è mosso
nemmeno per andare in bagno.»
Speriamo che sia a posto come sembra, pensò Sean prima di
chiedere: «Come vanno le cose? Tutto bene?».
«Sì. Il dottore è passato stamattina presto. Si augura che la
paziente riprenda presto conoscenza. Pare che stia procedendo tutto
per il meglio.»
«Hai modo di controllare i turni delle infermiere assegnate alla
stanza?» chiese Sean.
«Sì, da qui vedo la lavagna.»
«Ce n'è una che si chiama Leticia?»
«Sì, come fa a saperlo?»
«Non lasciarla entrare.»
«Ehm... questo potrebbe essere un problema, tenente.»
«Perché?»
«È appena entrata. In questo momento è con la ragazza.»
La vena della gola, le aveva detto. «Trova la vena della gola. Sei
un'infermiera, quindi non avrai alcun problema. Sei affamata e
soffrirai la fame finché non ti nutrirai di quello di cui hai bisogno, ma
devi essere prudente. C'è solo una persona che può porre fine alla
tua sofferenza. Devi andare nella sua stanza. Ci sarà qualcuno con
lei, e dunque devi fare molta attenzione, ma tu sei un'infermiera e
puoi farlo.»
Le parole rimbombavano ancora nella mente di Leticia. Ricordava
poco di quello che era successo; sapeva solo che doveva comportarsi
normalmente: andare al lavoro, firmare il registro. Una volta fatto
quello che le aveva ordinato, tutto sarebbe andato bene. Lui
l'avrebbe cercata ancora. L'avrebbe ricompensata come non era mai
stata ricompensata prima.
Trovò la paziente, Deanna Marin, che sembrava addormentata.
C'erano due uomini nella stanza: uno era seduto accanto al letto e
osservava intensamente la ragazza. L'altro era un poliziotto, e in quel
momento stava parlando al telefono. L'aveva visto prima in quella
stanza. Bobby, ricordò. Si chiamava Bobby. Per qualche motivo,
anche se si sentiva confusa, ricordava il suo nome.
Si avvicinò al letto e sostituì la flebo come avrebbe fatto in
condizioni normali. Poi si chinò sulla paziente. Poteva sentire il
battito del suo cuore, vedeva la vena sul collo pulsare, invitante.
Avvertì un dolore lancinante come non aveva mai provato in vita
sua. Una sete straziante la dilaniava dall'interno come la lama di un
rasoio e chiedeva con insistenza di essere soddisfatta.
Aprì la bocca e sentì un'altra fitta di dolore mentre i suoi denti... si
allungavano. Da qualche parte, nei meandri della sua mente, la
coscienza le sussurrava che mordere un'altra donna e prosciugarla
fino all'ultima goccia di sangue era sbagliato.
Ma la sete... la sete era insopportabile.
Si bloccò, improvvisamente terrorizzata.
Il dolore continuava a straziarle lo stomaco, ma qualcosa di
peggio, simile a una bomba atomica, esplose nella sua mente,
abbagliandola.
Eppure vedeva...
C'era una croce al collo della donna.
Una catena con una croce.
Leticia ricordò zia Judy e Pete, ricordò come avesse voluto
diventare infermiera per salvare delle vite, come le piacesse cantare
nel coro della chiesa e...
No! Il dolore la trafisse, facendola sanguinare dentro. Stava
impazzendo di sete. Doveva nutrirsi.
Si chinò sulla donna, accostando le zanne alla sua gola.
Poi sentì una mano calarle sulla spalla e gridò, dilaniata
dall'agonia.
A Lauren ci volle così tanto tempo per appianare le cose tra Barry
e Heidi, che stava per mettersi a urlare quando finalmente Barry
acconsentì a parlare con Heidi.
Erano ancora al telefono, a tubare come due piccioncini, allorché
uscì accompagnata da Big Jim Dixon.
Il sassofonista la portò in auto fino all'ingresso dell'ospedale. «Tu
non vieni?» gli chiese lei.
«Preferisco tornare a casa. Non mi va di lasciare sola Stacey» le
spiegò lui. «Heidi sembra essersi ripresa perfettamente» aggiunse,
notando la sua espressione allarmata. «Davvero.»
«Sì, certo. Grazie per il passaggio.»
«Qui ci diamo tutti una mano. Adesso vai dalla tua amica. Non
sarà sola: troverai Bobby con lei.»
Lauren attraversò l'ingresso e prese l'ascensore. Diverse persone la
salutarono e lei rispose educatamente. New Orleans era davvero una
grande città, vampiri a parte.
Quando arrivò al piano di Deanna notò la consueta attività nel
locale delle infermiere. Medici, inservienti e infermieri si
affaccendavano nei corridoi.
Lauren si diresse verso la stanza dell'amica.
Provò una certa apprensione vedendo che non c'era il solito
poliziotto davanti alla porta, poi ricordò che era di turno Bobby. Di
sicuro l'avrebbe trovato all'interno.
Ma quando entrò nella stanza, non c'era nessuno.
Deanna dormiva come al solito, bella e tranquilla come la
principessa delle fiabe in attesa del principe.
Le finestre erano aperte e la brezza gonfiava le tende. Non c'era
traccia di Bobby né di Jonas. Mentre stava sulla soglia, perplessa, un
grido echeggiò nel corridoio.
Capitolo 14
Mark non osò portare Nefertiti a Monstresse House: per nulla al
mondo avrebbe fatto entrare una creatura simile nella casa in cui
avevano trovato rifugio Lauren e le sue amiche. Per la stessa ragione
non volle rivolgersi nemmeno a Sean Canady, con il rischio di
mettere in pericolo il tenente e la sua famiglia.
Per fortuna sembrava che la donna lo considerasse una potenziale
minaccia e preferisse comportarsi in modo da non irritarlo,
lasciandosi guidare in silenzio lungo la strada mentre Mark cercava
un caffè con un cortile sul retro, spazioso e pieno di luce.
Protestò solo quando lui scelse un tavolo e si accomodò su una
sedia all'ombra lasciando a lei quella esposta al sole.
«Siediti» le ordinò, brusco.
«Ehi, che modi. Un attimo...»
«Parla.»
«Che cosa vuoi sapere?»
«Dove dormi?»
«Dove capita.»
«Chi ti ha fatto questo?»
Lei fece un vago gesto con la mano. «Chi lo sa? Un tizio pieno di
soldi.»
Mark si appoggiò allo schienale, scuotendo il capo. «Sei una
bugiarda. Non hai mai lavorato in quel club prima di diventare una
vampira. E hai un posto preciso dove andare di notte.»
Lei lo fissò imbronciata mentre una cameriera si avvicinava al loro
tavolo.
«Ordina» disse Mark.
Nefertiti sorrise alla donna. «È sempre così rude, ma è talmente
bravo a letto che non mi importa.»
La cameriera, una donna di mezza età dai capelli grigi, li guardò
come se fossero due rifiuti della società.
«Un tè freddo» ordinò Mark.
«Ho fame» si lamentò Nefertiti.
«Allora mangia.»
«È davvero autoritario» disse lei alla cameriera. «Prenderò un
hamburger.»
«Media cottura?»
«Crudo, per favore.»
«Vuol dire... al sangue?» replicò la cameriera, sconcertata. «Le
norme igieniche sconsigliano...»
«Non al sangue. Crudo. Niente pane, grazie.» precisò la
spogliarellista con un sorriso.
«Non posso portarle un hamburger crudo. La normativa sull'igiene
alimentare...»
Mark posò una banconota di grosso taglio sul tavolo. «Per favore,
le porti quello che ha chiesto.»
La cameriera se ne andò con uno sguardo di disapprovazione.
«Da dove vieni?» chiese Mark, sporgendosi verso Nefertiti.
«Bourbon Street.»
«Di dove sei?» riformulò la domanda Mark.
Lei sorrise. «Originariamente di Houma, ma adesso di Bourbon
Street.»
«È lì che sei stata trasformata?»
«Ohoo, vedo che sei sveglio.»
«Allora, dove dormi?»
«Dove mi gira.»
Mark, che teneva la pistola ad acqua puntata contro di lei sotto il
tavolo, sparò un piccolo spruzzo che la fece sussultare. «Bastardo!»
sibilò.
La cameriera ritornò con l'hamburger crudo. L'aveva appena
posato sul tavolo che Nefertiti vi si avventò prendendolo con le
mani. La donna non riuscì a soffocare una smorfia di disgusto.
«Forse puoi essere ancora aiutata» disse Mark quando rimasero
nuovamente soli.
Nefertiti smise di mangiare per un istante, lo guardò in viso e
scosse il capo. «No, sono morta e poi rinata. Non c'è più niente da
fare.»
A un tratto Mark si rese conto che aveva lo sguardo fisso su un
punto oltre le sue spalle. Si voltò, ma non vide nulla. In quella
frazione di secondo, lei si era alzata ed era fuggita.
«Ferma!» gridò.
La donna continuò a correre. La seguì, balzando letteralmente su
un tavolo per raggiungerla. La vide svoltare l'angolo e imboccare un
vicolo. «Fermati!» grido ancora.
In quel momento un bambino uscì di corsa da un portone e si
fermò sul marciapiede di fronte a lei. Nefertiti lo afferrò e si voltò
guardando Mark negli occhi.
Il bambino incominciò a piangere. Dall'interno della casa si udì
una voce di donna che chiamava: «Ryan? Ryan! Dove sei?».
Nefertiti scosse il capo e guardò Mark con uno strano sorriso,
quasi dispiaciuto.
«Non farlo!» le gridò lui.
Lei aprì la bocca e chinò il capo, preparandosi a conficcare i canini
nella gola del bambino in lacrime.
Mark sfoderò la pistola e sparò un lungo getto d'acqua. Quando
la colpì, lei lanciò un grido di agonia e mollò la presa sul bambino.
Fumo e vapore si alzarono dalla sua pelle mentre cadeva per terra e
perdeva ogni sembianza umana, trasformandosi in una sagoma
informe che si contorceva decomponendosi miseramente.
Mark udì le sirene della polizia avvicinarsi.
Disgustato, si voltò e fuggì rapidamente dal vicolo. Udì la madre
che chiamava a gran voce il bambino e poi lanciava un grido di puro
terrore mentre si imbatteva nei resti semicarbonizzati del vampiro.
Svoltando in Rue Delphine, Mark vide un'auto della polizia
oltrepassarlo con le luci lampeggianti.
Poi udì un frullare di ali sopra la testa.
Mentre si allontanava velocemente, ripensò a quello che era
successo e si rese conto che la donna chiamata Nefertiti aveva
preferito farsi uccidere da lui piuttosto che affrontare il proprio
padrone ed essere marchiata come traditrice.
A un tratto si ricordò di aver chiuso bruscamente la
comunicazione con Sean, mentre si trovava al club. Imprecando, tirò
fuori il cellulare e compose il numero del tenente.
Lauren era dilaniata dai dubbi. Da una parte il grido che aveva
udito, o meglio l'istinto di sopravvivenza la spingeva a fuggire. Al
tempo stesso voleva sapere perché qualcuno aveva gridato. E
soprattutto sapeva di non poter lasciare di nuovo sola Deanna, se
voleva che avesse almeno una possibilità di salvarsi.
L'ultima riflessione fu il fattore decisivo. Si precipitò verso il letto
dell'amica, chiedendosi se il grido fosse solo un trucco per indurre
tutti a lasciare sola e vulnerabile la giovane in coma. La flebo era
ancora collegata al braccio e Deanna era immobile e pallida contro il
bianco del cuscino e delle lenzuola, esattamente come lo era da
quella che sembrava un'eternità. La bella addormentata.
Deglutendo per scacciare il terrore che minacciava di paralizzarla,
Lauren le prese una mano e tastò la vena del polso. Con un sospiro
di sollievo sentì il battito forte e regolare. Ma che cosa diavolo stava
succedendo?
Era così concentrata su Deanna che impiegò qualche secondo
prima di rendersi conto che qualcuno era entrato nella stanza dopo
di lei.
Mentre si voltava, rosa dall'ansia, udì la porta chiudersi con un
tonfo.
Lui era lì.
Stephen. Stephen Delansky. Stava ai piedi del letto e i capelli neri
come inchiostro gli cadevano sulla fronte, in netto contrasto con il
camice bianco da medico che indossava.
«Come va la mia paziente?» domandò con voce gentile.
Lauren guardò verso la finestra aperta. Pianti e grida echeggiavano
ancora nel corridoio; l'intero ospedale sembrava essersi trasformato
in un manicomio. Stephen Delansky sembrava incurante di tutto ciò.
Lauren non sapeva da dove fosse sbucato, se fosse entrato dal
corridoio o dalla finestra.
lì.
Ma non aveva importanza. Quello che contava era che si trovava
Lo fissò tirando fuori dalla camicetta la croce d'argento.
Lui sorrise. «Non puoi fermarmi con quella, lo sai.»
«Può darsi, ma tu sei lì e io sono qui.»
«Perché sei tu che devi venire da me.»
«Mai.»
«Lo farai, alla fine.» Fece una risata sommessa. «Ho i miei metodi
per ottenere ciò che desidero. Potrà sembrarti una follia, ma, vedi,
questa è una guerra. Per quante battaglie perda contro il mio
nemico, alla fine sarò io a vincere. E tu verrai da me, perché io ti
conosco.»
«Semini morte e sofferenza ovunque» replicò lei. «Hai quasi ucciso
la mia amica. Sei malvagio e non vincerai.»
Stephen sorrise e scosse il capo, come se stesse parlando a una
bambina. «Che cosa ti porta a credere che quello che chiami "male"
non possa vincere? Togli quella stupida croce dal collo. L'ho già vista
molte volte in passato e non è mai riuscita a fermarmi. Non mi
fermerà nemmeno ora. Lui non è il salvatore che credi. E io non
sono la morte, bensì la vita eterna.»
«Dillo alle donne che hai decapitato» mormorò Lauren.
«Non meritavano di vivere» replicò lui, liquidando la sua
obiezione con un gesto incurante.
«Ti sbagli. Non meritavano di essere uccise.»
In quel momento udirono dei passi; qualcuno stava correndo
verso la stanza di Deanna.
«Tu verrai con me» disse Stephen, guardandola con un sorriso
freddo e sicuro.
Si udì qualcosa sbattere con violenza contro la porta.
Istintivamente Lauren guardò in quella direzione proprio mentre il
pannello di legno cedeva.
Mark era sulla soglia e il suo sguardo perlustrò rapidamente la
stanza. Poi si precipitò verso di lei, stringendola tra le braccia.
«È stato qui» affermò con voce roca.
«Sì.» Lauren non riusciva a smettere di tremare, anche se Stephen
era sparito velocemente come era apparso.
«Deanna?»
«Credo che stia bene.»
«E... tu?»
«Sto bene anch'io.»
Mark tirò un sospiro di sollievo. Per un momento le parve così
stanco che Lauren avrebbe voluto stringerlo tra le braccia per fargli
forza. Ma in quel momento più che mai aveva paura di lasciare sola
Deanna. «Che cosa sta succedendo là fuori?» chiese.
Per tutta risposta, un altro grido lacerante echeggiò nel corridoio.
Nemmeno in due riuscivano a trattenere la donna, si rese conto
Sean.
Leticia Lockwood era fragile e minuta, eppure in quel momento
era animata da una forza incredibile.
«Non riesco a tenerla!» gridò Bobby.
Sean Canady era uscito dall'ascensore giusto in tempo per vedere
Bobby strappare Leticia da una sacca di sangue con l'etichetta 0
positivo, attaccata a una barella su cui giaceva un uomo piuttosto
anziano, probabilmente uscito da poco dalla sala operatoria. Il
poliziotto aveva una guancia gonfia e il personale dell'ospedale stava
correndo in tutte le direzioni.
«Ehi!» Sean afferrò Leticia per le spalle mentre la donna si
divincolava come un animale selvatico sotto il peso di Bobby e
lanciava un grido da far accapponare la pelle, orribile a sentirsi,
prima di far volare il poliziotto all'altro lato del corridoio, con una
facilità impressionante.
«Dannazione, smettila! Non voglio spararti!» ruggì il tenente.
Senza badare minimamente a lui, Leticia si era già rialzata e si
stava avventando su un malcapitato tirocinante che si era fermato a
osservare la scena.
«Merda!» imprecò Sean, lanciandosi sulla donna.
La afferrò per le spalle ed entrambi rotolarono sul pavimento del
corridoio.
La donna si liberò di lui con la stessa facilità con cui si era
sbarazzata di Bobby e saltò addosso alla caposala, che era rimasta
seduta alla sua scrivania, paralizzata dal panico.
Rialzandosi con una smorfia di dolore, Sean estrasse la pistola e
sparò un colpo di avvertimento.
Tutti gridarono, tranne Leticia che non si fermò nemmeno.
Prima che Sean avesse la possibilità di esplodere un altro colpo,
Mark Davidson uscì correndo dalla stanza di Deanna. Vedendo
Leticia che lottava con la caposala, balzò sulla scrivania, afferrò la
vampira per le spalle e la scaraventò a terra, mandandola a sbattere
contro un carrello pieno di medicamenti. Fiale e flaconi volarono da
tutte le parti.
Sean attese, aspettandosi di vedere Mark fare la stessa fine che
avevano fatto lui e Bobby, ma non successe niente. Solo silenzio.
Si avvicinò alla scrivania e guardò oltre. Mark, a cavalcioni sulla
giovane donna, la inchiodava con lo sguardo e le parlava con voce
sommessa. «Qualcuno le dia subito un sedativo» ordinò il poliziotto.
La caposala, che fino a quel momento era parsa catatonica per il
terrore, tornò improvvisamente alla vita. Frugò a terra, tra le
siringhe e le fiale sparse, e un secondo dopo raggiunse Mark. Leticia
cominciò scalciare, costringendola ad allontanarsi, ma lui le prese di
mano la siringa e conficcò velocemente l'ago nella coscia della
vampira. Un attimo Leticia dopo smise di agitarsi convulsamente,
chiuse gli occhi e rimase immobile.
Mark la fissò per diversi secondi prima di lasciarla andare.
«Tutto bene?» gli domandò Sean, andando verso di lui. «Sì.»
«Non posso crederci» disse la caposala, ancora sotto shock. «Leticia
è una delle mie migliori infermiere.»
«È impazzita» mormorò uno dei tirocinanti,
«Sembrava un cane idrofobo» commentò un altro.
«Facciamola stendere su un letto» suggerì un terzo,
«Scoprirete che ha urgente bisogno di una trasfusione» li avvisò
Mark.
«Lei è un medico, giovanotto?» gli chiese la caposala.
Mark la guardò. «So di che cosa ha bisogno» rispose con calma. La
donna aggrottò la fronte e rimase a guardare mentre si alzava da
terra sollevando Leticia tra le braccia. «Una stanza?» domandò.
L'infermiera si limitò ad annuire. Il giovane tirocinante che aveva
suggerito di mettere a letto la ragazza condusse Mark in una stanza
vuota e chiese subito che gli venisse portata la sua cartella personale.
«Per controllare il suo gruppo sanguigno» spiegò.
L'infermiera lo fissò.
«Vada. Subito.»
Sussultando, la donna lanciò uno sguardo di disapprovazione a
Mark e si affrettò a eseguire l'ordine.
Sean rimase a osservare dalla soglia, poi sentì qualcuno battergli
sulla spalla. Si voltò e vide Bobby.
«Lauren è nella stanza di Deanna. Io resto con lei.»
«Grazie, Bobby.»
Guardò Mark, che era in piedi accanto al letto dove Leticia
giaceva addormentata. «La trasfusione riuscirà a salvarla?» chiese.
Mark scosse il capo per esprimere la propria incertezza.
Il tirocinante, che stava controllando il polso della ragazza, disse:
«Credo che si riprenderà. Dev'essere stata sotto l'influsso di qualche
droga pesante. Le faremo un'analisi tossicologica e scopriremo di che
cosa si tratta. È una delle nostre infermiere migliori. Non riesco a
immaginare Leticia... Non ha mai fumato nemmeno uno spinello,
canta nel coro della chiesa...»
L'agitazione nel corridoio incominciò a trasformarsi in chiasso.
Sean uscì per vedere che cosa stesse succedendo e notò che diversi
pazienti erano usciti dalle rispettive camere, attirati dalla confusione.
Volevano sapere che cosa fosse successo, e il personale cercava di
calmarli e convincerli a tornare nelle loro stanze.
«Signori, è tutto finito. È tutto sotto controllo» annunciò con voce
autorevole.
A un tratto una donna di mezza età, con un camice da ospedale
che la copriva sommariamente, puntò il dito e incominciò a gridare.
Sean si voltò verso la barella con il paziente appena operato.
L'uomo era ancora privo di sensi, ma Leticia doveva essere riuscita
ad addentare la sacca perché il sangue si era riversato sull'uomo
schizzando le pareti.
Un'infermiera si affrettò a tranquillizzare la donna che aveva
gridato. «È tutto a posto, Mrs. Ruben. Ora ci penseremo noi.»
Un inserviente si precipitò verso la barella. «Ho bisogno di aiuto
qui!» gridò.
«Per piacere, signori, tornate nelle vostre stanze» disse Sean.
«Lasciate che il personale dell'ospedale faccia il suo lavoro.»
«Qualcuno l'ha pugnalato!» gridò Mrs. Ruben.
«Non è stato pugnalato» replicò in tono paziente Sean. «È stato un
incidente, la sacca della trasfusione è soltanto danneggiata, e la
stanno sostituendo.»
«Altro che incidente. È stato un tentativo di omicidio!» esclamò la
donna.
«Un omicidio!» ripeté qualcun altro.
Sean strinse i denti. «Basta!» sbottò, ricorrendo a tutta la sua
autorità. «Non c'è stato nessun omicidio» dichiarò, pur sapendo che
le sue parole potevano sembrare una bugia. «Tornate nelle vostre
stanze.»
Con suo sollievo, i pazienti incominciarono a obbedire.
Sapendo che Mark era con Leticia Lockwood e vedendo che il
personale sembrava aver ripreso coraggio e buon senso, Sean si
diresse verso la stanza di Deanna.
Lauren era seduta al capezzale dell'amica.
Bobby era in piedi poco lontano, con le mani sui fianchi, e
sembrava una tigre in agguato, pronta a balzare in qualsiasi
direzione.
Sean si avvicinò al letto. «Tutto bene?» si informò.
«Nessun cambiamento» rispose Lauren.
In quel momento Mark rientrò nella stanza. «Dobbiamo portarla
via di qui» dichiarò. «Sean, Judy Lockwood vorrebbe parlarti.»
Il tenente si diresse verso la porta, fermandosi un istante per
chiedere a Mark: «E che cosa diavolo posso dirle?».
Lui trasse un profondo respiro. «Non ne ho la minima idea»
ammise. «Dopotutto sei tu il poliziotto» aggiunse con un sorriso
prima di tornare serio. «Ma dobbiamo assolutamente portare via da
questo posto Deanna.» Aggrottò la fronte. «Dove diavolo è finito
Jonas? Fino a poco fa non si staccava dal letto e ora non c'è traccia
di lui.»
«Non saprei» rispose Sean.
«Okay, diamoci da fare.»
Sean contrasse le labbra in una smorfia e uscì in corridoio.
Che cosa diavolo poteva dire alla donna? Sua nipote, la sua brava,
dolce nipotina timorata di Dio è stata morsa da un vampiro?
Sperava solo di non essere costretto a piantarle un paletto nel
cuore.
Lauren non sapeva come Mark fosse riuscito a convincere i dottori
che Deanna avrebbe ricevuto cure migliori a casa. In un primo
momento il medico responsabile, richiamato d'urgenza dalle ferie,
era stato inflessibile nell'affermare che non si poteva dimettere la
paziente mentre era ancora in stato di coma.
Lauren aveva giurato di accudirla giorno e notte, ma lui aveva
continuato a scuotere il capo.
Poi aveva incominciato a parlare Mark. Non aveva detto niente
che non avesse detto anche lei, ma in qualche modo risultò più
convincente. Forse era una questione di ruoli. In condizioni normali
Lauren ne sarebbe stata infastidita, ma al momento preferì non
lamentarsi, perché riuscirono a ottenere ciò che volevano.
Firmarono le carte per la dimissione e presero accordi perché
un'infermiera venisse a visitare Deanna tre volte al giorno. Infine fu
chiamata un'ambulanza per il trasporto dall'ospedale alla casa di
Bourbon Street.
Il personale paramedico sistemò la paziente sulla lettiga.
Lauren salì sull'ambulanza per restare accanto a Deanna durante il
viaggio mentre Sean, Bobby e Mark le seguivano in auto.
Heidi era ancora sconvolta e nervosa, ma aveva ripreso a
comportarsi in modo normale ed era pronta a prendersi cura di
Deanna come una chioccia. Assicurò a Stacey e a Bobby che avrebbe
fatto in modo di non dare disturbo a nessuno e che avrebbe protetto
l'amica da ogni male.
Lauren notò che Mark sembrava dubbioso al riguardo. Aveva
avuto una breve conversazione in corridoio con Stacey e immaginò
che la donna gli avesse assicurato di aver fatto capire a Heidi la
gravità del pericolo che si trovavano di fronte.
«Sono sicura che Heidi si comporterà bene» gli sussurrò quando lo
vide entrare di nuovo nella stanza. Parlava a bassa voce perché
Heidi era a portata d'orecchio, intenta a sistemare i cuscini dietro la
testa di Deanna.
Lui la guardò con espressione tesa e distante.
«Davvero» insistette Stacey, prendendolo per un braccio e
conducendolo accanto alla porta. «È tornata a essere quella di
sempre.»
Mark sospirò scuotendo il capo. «Da quello che ha detto Sean,
Judy Lockwood sostiene che sua nipote non avrebbe mai passato
una notte fuori o mancato di presentarsi al lavoro. Non capisci? Lui
riesce a impadronirsi della volontà delle persone di cui si serve. Entra
letteralmente nel loro sangue.»
Sean Canady salì le scale, fissando Mark. «Hanno trovato un altro
cadavere» annunciò.
«Senza testa?» domandò Lauren, deglutendo.
«No. E questa volta l'hanno trovato in un cortile, non nel fiume.»
Sean si rivolse a Mark. «I ragazzi della scientifica avranno un bel da
fare a stabilire le cause del decesso. È in avanzato stato di
decomposizione. Pare che sia morta da mesi.»
«Un omicidio rituale?» ipotizzò Lauren, ma le bastò vedere
l'occhiata che si scambiavano i due uomini per rinunciare a ogni
speranza.
«I vampiri esplodono e si tramutano in polvere solo se sono morti
da abbastanza tempo perché il corpo si sia già decomposto. A
quanto pare abbiamo per le mani delle uccisioni recenti.»
«Credo che l'idea di Lauren di un omicidio rituale abbia senso»
replicò Mark. «Quanto meno è la versione che darei alla stampa.»
«Già» grugnì Sean.
«Dovremmo andare, non credi?»
«All'obitorio?»
«All'ospedale. A vedere se è possibile parlare con Leticia
Lockwood.» Mark si rivolse a Lauren. «Tu resta qui. E per piacere,
non uscire di casa.»
«Non lo farò. Deanna e Heidi sono entrambe qui.»
«E anche Stacey e Bobby» aggiunse Sean. «Dirò a Big Jim che la
band dovrà fare a meno di lui per un paio di serate. Chiamatemi se
dovesse succedere qualcosa, qualsiasi cosa» le raccomandò.
«Certamente.»
Lauren annuì, si voltò e sedette sul bordo del letto di Deanna,
come se volesse dimostrare ai due uomini che non aveva intenzione
di muoversi di lì.
Il sole filtrava dalla balconata e nella stanza si udiva il ronzio del
condizionatore.
L'unica cosa insolita era che Stacey aveva appeso trecce d'aglio
tutt'attorno alle finestre e alle portefinestre che davano sul balcone.
La stanza odorava come una pizzeria, ma c'erano odori ben
peggiori, come aveva scoperto Lauren.
Per esempio quello del sangue.
Sean gli era davvero utile, pensò Mark. Era il suo lasciapassare per
i posti in cui aveva bisogno di entrare.
Come la stanza di Leticia, dove il tenente aveva messo un uomo
di guardia mentre discutevano per la dimissione di Deanna.
Quando varcarono la soglia, Mark notò che la ragazza era stata
legata al letto e che Judy Lockwood era ancora lì, seduta accanto
alla nipote su una poltrona che si poteva trasformare in letto.
Mormorava qualcosa a fior di labbra mentre lavorava a maglia.
Aveva portato con sé le sue difese personali: il davanzale della
finestra era cosparso di una polvere che riconobbe come una specie
di mojo; probabilmente Judy pensava che il contenuto di quei
sacchettini voodoo potesse proteggere la nipote. C'era anche un
grande crocefisso sul comodino accanto al letto.
«Come va?» si informò Sean.
«Dorme come una bambina» rispose Judy, continuando a
sferruzzare. Poi lo guardò con un sorriso. «Grazie per avermi dato
ascolto, tenente.»
Sean annuì. «Questo è un mio amico, Miss Lockwood, Mark
Davidson. Credo che vi siate già incontrati.»
Judy lo studiò. «Sì» disse dopo un istante. «È qui per aiutarci, Mr.
Davidson?»
«Farò del mio meglio. Ho bisogno di parlare con Leticia quando si
sveglierà. Spero che possa dirmi qualcosa su dove è stata.»
Judy annuì. «Si sieda, giovanotto.»
«Ti lascio, Mark. Io vado all'o... al distretto» si accomiatò Sean.
«Judy, mi chiami pure in qualsiasi momento.»
«Lo farò, tenente» rispose l'anziana signora, tenendo lo sguardo
fisso su Mark. «E grazie ancora.»
Canady uscì con un cenno di saluto a Mark, che subito dopo si
rivolse a Judy. «Miss Lockwood, i vestiti di sua nipote sono
nell'armadio?»
Lei annuì.
«Posso dare un'occhiata?»
La donna lo fissò a lungo. «Dicono che è stato lei a calmarla. I
poliziotti non riuscivano a trattenerla. Nessuno ci è riuscito, eppure
lei è riuscito a calmarla.»
«Ehm... sì.»
Rimase sorpreso quando Judy gli afferrò un braccio. «Tornerà
come prima?» chiese con ansia.
Quella donna sapeva qualcosa, pensò Mark. Forse non aveva ben
chiaro nemmeno lei di che cosa si trattasse; forse era solo una specie
di intuito, ma in qualche modo aveva capito che c'era sotto ben più
di quanto sembrasse a prima vista. «Lo spero sinceramente» rispose.
«Voglio un bene dell'anima a questa ragazza» dichiarò Judy con
calma determinazione. «Cerchi di capire, la amo più della mia stessa
vita. Sarei capace di uccidere per lei se necessario. Capisce cosa
voglio dire, giovanotto?»
«Ha bisogno di molto sangue» mormorò lui. «Molto.»
Judy si appoggiò allo schienale, guardandolo con diffidenza.
«Glielo stanno dando.»
«Deve essere... sorvegliata.»
«Non me ne andrò di qui.»
Mark esitò. «Deve essere molto prudente. Deve... tenere d'occhio
chiunque entri in questa stanza.»
«Posso farlo» gli assicurò Judy.
Mark annuì.
«Le sue cose sono nell'armadio.»
Dopo averla ringraziata, Mark esaminò gli indumenti. L'uniforme
non gli disse niente; era macchiata di sangue ma questo se lo
aspettava. Poi controllò le scarpe. Le suole erano incrostate di terra
scura ed erba umida.
Le rimise dove le aveva trovate. Era stupito che Stephen non
avesse ucciso la giovane infermiera. Un piccolo miracolo, si disse, poi
aggrottò la fronte mentre ripensava agli avvenimenti della giornata.
Al cadavere in decomposizione che ora si trovava all'obitorio.
A Nefertiti.
«Pregherò per la mia povera bambina» disse Judy, riprendendo il
lavoro a maglia. «Pregherà anche lei, vero, Mark?»
«Sì» rispose semplicemente lui.
«Vada pure, adesso. Io resterò qui giorno e notte. Qualsiasi cosa
succeda. Può contare su di me.»
Le sorrise, poi si avvicinò a un tavolino su cui erano posate carta e
penna e scrisse il suo numero di telefono. «Se dovesse svegliarsi... »
«La chiamerò.»
«Grazie.»
Mark lasciò l'ospedale. Mentre usciva, si rese conto che stava
calando la sera. Il cellulare squillò. Era Sean.
«Vediamoci all'obitorio.»
«Adesso?»
«È un momento buono quanto un altro.»
«Lauren.»
Lei sobbalzò sulla sedia dove si era appisolata.
Alzò lo sguardo, pensando che a parlare fosse stata Heidi, seduta
su una poltrona accanto al letto.
Heidi la fissò.
Poi entrambe si voltarono verso Deanna.
Lauren batté le palpebre.
Questa volta sembrava che Deanna avesse ripreso conoscenza
completamente. Le due ragazze si alzarono di scatto, quasi
scontrandosi l'una con l'altra nella fretta di correre dall'amica.
«Bentornata!» esclamò Heidi.
«Deanna» ansimò Lauren.
«Ho sete» mormorò la ragazza.
«Ti prendo dell'acqua» si offrì immediatamente Heidi.
Lauren sorrise e aiutò Deanna ad alzare la testa in modo che Heidi
potesse porgerle il bicchiere. Deanna bevve un sorso d'acqua.
«Piano» la ammonì Lauren.
La ragazza annuì, bevve e si lasciò ricadere contro i cuscini. Chiuse
gli occhi per qualche istante, poi li riaprì. «Jonas» disse.
«Jonas?» ripeté Lauren con voce incolore. Poi aggrottò la fronte.
Giusto, dov'era finito Jonas? Era stato così a lungo al capezzale di
Deanna, e poi...
Deanna era rimasta sola, completamente sola, mentre Bobby
lottava contro Leticia e in ospedale si scatenava il pandemonio,
rifletté Lauren.
Dov'era andato Jonas?
«Era con me, vero?» mormorò Deanna.
«Sì, tesoro, ti è stato accanto a lungo» le assicurò Heidi,
accarezzandole i capelli.
Deanna fissò Lauren. «Jonas è buono» dichiarò con voce ferma.
Ma allora perché era sparito proprio quando Deanna aveva più
bisogno di lui?, non poté fare a meno di chiedersi Lauren.
Bernie Gibbs faceva il turno di notte all'obitorio. Il suo compito
era sedere al tavolo, aiutare i medici per qualsiasi cosa di cui
avessero bisogno e firmare i certificati di morte per tutte le povere
anime che lasciavano questo mondo dopo il calar del sole. Dato che
i medici non avevano mai bisogno di aiuto di notte, passava la
maggior parte del tempo a leggere e a firmare quando veniva
consegnato un cadavere.
Faceva spesso il turno di notte. In realtà gli piaceva, amava il
silenzio. Lavorando lì era riuscito a mantenersi per tre anni
all'università di Tulane. Di tanto in tanto aveva sentito raccontare
qualche storia raccapricciante, ma lui non ci faceva caso. Era sempre
stato il tipo di ragazzo che poteva vedere il più truculento film
dell'orrore senza batter ciglio. E studiando medicina aveva già visto
ben di peggio di qualsiasi trovata cinematografica.
Quella sera si sentiva in ottima forma. Aveva preso in prestito
dalla biblioteca un nuovo romanzo di spionaggio che si stava
rivelando avvincente quanto promettevano le recensioni. Era quasi
contento di essere al lavoro, perché gli ospiti dell'obitorio non lo
interrompevano mai sul più bello.
Poco prima aveva ricevuto una telefonata dal tenente Canady,
che gli aveva preannunciato una visita. Non gli aveva spiegato il
motivo, limitandosi a suggerirgli di tenere gli occhi ben aperti.
Canady era un brav'uomo. Sapeva fare il duro con i criminali, ma se
eri solo un poveraccio che tirava a campare, non gli importava che
cosa facevi nel tempo libero. Solo che il tenente non si era ancora
visto.
Un rumore improvviso lo indusse a distogliere l'attenzione dal
libro, proprio mentre la spia stava affrontando il nemico asiatico.
Bernie alzò il capo e tese le orecchie, in ascolto.
Niente.
Si chiese che cosa diavolo fosse stato e concluse che dovesse essere
caduto qualcosa. Tornò a leggere il romanzo, ma scoprì di non
riuscire a concentrarsi: continuava a domandarsi che cosa potesse
essere caduto.
Alla fine posò il libro, imprecando tra sé. Forse qualcuno aveva
lasciato una porta aperta, oppure c'erano dei topi o qualcosa del
genere.
Merda.
Decise che era meglio andare a controllare.
Si alzò e si guardò intorno. Non era armato. Gli inservienti
dell'obitorio di solito non hanno problemi con i loro ospiti. Ma se
fosse entrato qualche balordo? Lo sguardo gli cadde sul libro.
«Fantastico» borbottò ad alta voce. Immaginava già i titoli dei
giornali. Coraggioso custode notturno mette un fuga un ladro
all'obitorio con un romanzo di spionaggio.
No, il libro non sarebbe bastato.
Nella sala delle autopsie c'erano seghe e scalpelli di ogni genere,
ma non voleva correre il rischio di imbattersi in un intruso prima di
essersi procurato un'arma. Aprì il cassetto della scrivania. Aha! Un
tagliacarte.
Si alzò stringendolo in mano, guardò verso la porta che dava sulla
strada e si assicurò che fosse chiusa a chiave. Dopodiché si avviò
lungo il corridoio.
Diede un'occhiata alla prima stanza, constatando che tutto era
pulito e in ordine. E che odorava di disinfettante, come si addiceva a
un obitorio.
Un luogo di morte.
Bella scoperta, celiò scrollando le spalle, prima di proseguire il suo
giro.
Non trovò nulla. Alla fine arrivò davanti alle grandi porte in
acciaio che immettevano nel locale delle celle frigorifere.
Le aprì e si guardò intorno. Niente.
No, un momento! C'era qualcosa.
Merda!
Qualcosa si muoveva su uno dei lettini. Dannazione, c'erano
davvero dei topi! Ed erano enormi, a giudicare da quello che si
muoveva sotto il lenzuolo.
«Preso!» gridò, sollevando il tessuto.
Ma non c'era nessuno pronto a balzare fuori e fargli Buu!
Aveva già visto quel cadavere. Era stato trovato da una donna che
stava cercando il figlio ed era già in avanzato stato di
decomposizione. Gli occhi... non c'erano più. Mangiati dagli insetti o
da chissà cos'altro. La pelle era quasi tutta marcita e quello che
restava pendeva dalle ossa come se fosse stata bruciata. In effetti,
notò, il cadavere emanava un lieve odore di carne bruciata. La
donna - perché si trattava di una donna - era appena riconoscibile
come essere umano.
Un rumore che faceva pensare a un brulicare di insetti veniva dal
cadavere... ma non erano insetti.
Erano carne e ossa. Carne e ossa che sembravano ricomporsi.
Mentre fissava il cadavere, inorridito, vide apparire vasi sanguigni,
fasce muscolari che prendevano forma...
Gli occhi della donna - occhi che poco prima erano solo due
orbite vuote - si aprirono all'improvviso e lo fissarono.
Poi la donna sorrise.
Solo che non era un sorriso bensì una specie di ghigno, e i denti
che spuntavano sotto le labbra non erano denti bensì zanne.
Sembrava un grosso serpente, con le orride fauci spalancate, e Bernie
capì che aveva tutta l'intenzione di affondare quelle zanne nella sua
giugulare.
Gridò.
E lottò, tempestandola di pugni sul viso e cercando di colpirla con
il tagliacarte, ma i denti erano sempre più vicini...
Poi, a un tratto, sentì qualcosa di pesante calargli sul cranio. Una
miriade di stelle si accese davanti ai suoi occhi mentre crollava sul
pavimento.
Gli parve vagamente di sentire qualcuno che diceva: «Figlio di
puttana», ma non ne era sicuro. Poi il mondo svanì, come se un
sipario nero fosse stato calato dal cielo. E ci fu solo l'oscurità.
Capitolo 15
Quando arrivò all'obitorio, Mark pensò che non ci fosse nessuno,
ma mentre stava in piedi davanti all'edificio apparentemente
deserto, la porta si aprì e Sean Canady uscì dalle tenebre.
«Ce ne hai messo di tempo» disse, prima di incamminarsi lungo il
corridoio. «Vieni, presto» lo sollecitò senza voltarsi.
Mark lo seguì, adeguando rapidamente la vista all'oscurità.
C'erano delle luci di sicurezza, che però offrivano ben poca
illuminazione. «Niente custode notturno?» domandò.
«È... qui.»
«Oh?»
«L'ho messo fuori combattimento» gli spiegò Sean con impazienza.
«Ho dovuto farlo.»
«Sul serio?»
«Vieni a vedere.»
«Credevo che mi avessi fatto venire per via di quel cadavere che i
tuoi uomini hanno trovato oggi» osservò, aggrottando la fronte.
«Sì.»
«Sono stato io a distruggerla, oggi.»
«Avrebbe dovuto essere cenere, in effetti.»
«Come sarebbe? Be', se è tornata dobbiamo interrogarla.
Dobbiamo scoprire dove va a dormire, chi...»
«Spiacente, ma ormai è troppo tardi.»
«Di che cosa diavolo stai parlando?»
«Seguimi e vedrai.»
Poco dopo, Mark vide con i propri occhi. Il custode giaceva a
terra privo di sensi e il cadavere...
Con le ossa ricoperte parzialmente dai tessuti, sembrava una
trovata pubblicitaria di Hollywood. Gli occhi erano aperti ma vitrei,
la bocca distorta in un ghigno.
I canini acuminati scintillavano alla luce dei neon.
E le dita erano strette su un paletto che le spuntava dal petto.
«Vedo che l'hai sistemata per bene» commentò Mark, guardando il
tenente.
«Ho dovuto farlo. So che speravi di riportarla indietro perché ci
aiutasse, ma non accadrà. E dopo quello che ho visto qui stanotte,
dobbiamo essere molto prudenti.» Gli indicò il custode dell'obitorio.
«Per poco non è riuscita a prenderlo. Pare che ci siano delle nuove
reclute nell'esercito di Stephen. Non possiamo sperare che si
riducano in cenere. Se dovrai ucciderne altri, è meglio che gli tagli la
testa. Mi occuperò io di qualsiasi spiegazione.»
«Come Stephen, quando getta i suoi scarti nel Mississippi»
commentò Mark in tono amaro.
«Dobbiamo avere la certezza che non possano tornare» replicò
con fermezza Sean. «Ho una comunità di vivi da proteggere. So che
hai bisogno di informazioni, ma non puoi ottenerle mettendo in
pericolo gli altri.»
Mark guardò il custode steso a terra. Il poveraccio sembrava
conciato davvero male. «Hai colpito duro?» chiese a Canady.
«Si riprenderà abbastanza in fretta.»
«Che cos'ha visto?»
Canady si strinse nelle spalle. «Troppo, ma suppongo che dopo
quel colpo in testa non dirà nulla. Chi diavolo gli crederebbe?»
«Dovrebbe cominciare a decomporsi in fretta» disse Mark.
«Voglio vederla più che decomposta.»
«Se dovesse tornare...»
«Mark, non possiamo correre rischi del genere. Ha quasi fatto
fuori Bernie. Sono intervenuto appena in tempo.»
«D'accordo» convenne con una smorfia lui. «Che cosa facciamo
ora?»
Sean gli tese una sega da ossa. Mark la prese con un cenno del
capo e si mise al lavoro.
Quando ebbero finito, chiese a Canady: «Come diavolo lo
spiegheremo?».
«Non sarò io a farlo. Mi auguro che entro domani mattina sia già
marcita.»
«E il custode?»
«Lo riporterò al suo tavolo. Con un po' di fortuna, penserà di aver
fatto troppi turni di notte in compagnia dei morti.»
«Immagino che tu sappia quello che stai facendo.»
Sean si strinse nelle spalle. «In ogni caso non mi viene in mente
niente di meglio. Appena uscito di qui, tornerò all'ospedale per
controllare la situazione. E tu dove andrai? A Monstresse House?»
Mark scosse il capo. «No, non posso starmene con le mani in
mano ad aspettare. Devo trovare il covo di Stephen. Sta usando una
tattica da guerriglia, inseguendo prede diverse e tenendoci occupati e
divisi per riuscire ad avvicinarsi a Lauren. Devo trovarlo.»
«Quale credi sarà la sua prossima mossa?»
«Non ne ho idea, ma prego Dio di riuscire a trovarlo prima che la
faccia.»
Deanna era ancora molto debole e molto in ansia per Jonas.
Anche Lauren era preoccupata per lui, benché i suoi motivi fossero
diversi.
Stacey cucinò una zuppa deliziosa che Deanna riuscì a mangiare,
recuperando un po' di forze, tanto che riuscì persino a farsi una
doccia da sola, mentre una di loro aspettava, pronta a passarle
l'asciugamano e a riaccompagnarla a letto.
Il pericolo era sempre in agguato, ma quella sera, con Stacey,
Bobby e Big Jim in casa, a Lauren sembrò che la situazione fosse
nettamente migliorata.
Dopo cena, Big Jim suggerì che si riunissero nella sua stanza per
una partita a Trivial Pursuit, e anche se in un primo tempo Lauren
accolse con indifferenza la proposta, fu lieta di vedere che le amiche
accettavano volentieri. Per quanto si sforzasse, tuttavia, non riuscì a
concentrarsi sul gioco; si sentiva stranamente inquieta e nervosa e
alla fine si scusò e scese in cucina a prepararsi una tazza di tè.
Mentre aspettava che l'infuso fosse pronto, si ricordò
improvvisamente del ritaglio di giornale che le aveva dato Susan. Salì
di corsa in camera sua e, dopo averlo recuperato dalla tasca dei
jeans che indossava il giorno prima, si sedette sul letto, ansiosa di
leggerlo.
Perplessa, si rese conto che si trattava di un articolo scritto dieci
anni prima su alcuni eventi singolari che si erano verificati in
Louisiana nel 1870.
Il proprietario di una piantagione, sopravvissuto alle devastazioni
della Guerra civile, si era recato a Kiev per assistere alle nozze del
figlio. Lì era apparentemente uscito di senno e aveva ucciso la sposa
e numerosi invitati servendosi di frecce e balestra. La sua salma era
stata rimpatriata per la sepoltura, e il giorno dei funerali la casa, una
splendida tenuta sul fiume, era andata a fuoco. Lo scheletro della
struttura era rimasto in piedi per anni. All'epoca dell'articolo, le
rovine erano ancora abbandonate e la proprietà era ritornata allo
stato.
Lauren rilesse l'articolo più volte, incapace di capire perché Susan
glielo avesse dato.
Perplessa, ripiegò il foglio e lo gettò sul comodino.
Mark girò in auto per più di due ore.
All'inizio era convinto che Stephen avesse scelto come rifugio un
posto intorno a Plantation Row, ma a quanto pareva si era sbagliato
perché non aveva visto niente di sospetto.
Tornò all'ospedale per controllare come stesse Leticia, e quando
raggiunse la sua stanza scoprì che tutto sembrava tranquillo. Sean
aveva messo un agente di guardia alla porta e il lavoro a maglia di
Judith Lockwood iniziava a prendere la forma di un maglione.
Mark notò che c'erano altre croci nella stanza, tutte di legno, e
che molte erano allineate sul davanzale della finestra.
«Salve, Miss Lockwood» disse con voce pacata.
Judy sollevò lo sguardo con calma e gli rivolse un cenno del capo.
«Lui è già venuto qui. È venuto e se n'è andato.»
«Lui?» mormorò.
La donna riportò lo sguardo al lavoro a maglia. «I giovani posso
ridere delle antiche credenze, ma lei sa che molto tempo fa, quando
la gente viveva nella giungla e nel deserto, sapeva riconoscere il
bene e il male. La mia bambina ha avuto la sventura di incontrare il
male, ma è una brava ragazza e io non voglio perderla per mano di
uno dei servi di Satana. Ero pronta.» Si interruppe con un sorriso.
«Be', ammetto che adesso ho ancor più paura di lasciare il mio posto,
comunque mi sono fatta trovare pronta. È apparso alla finestra e io
gli ho dato il fatto suo. Vede quella croce d'argento? Ho puntato la
torcia su di lei appena ho visto le orbite dorate dei suoi occhi oltre il
vetro.» Rise sommessamente. «Si è dileguato come neve al sole.
Sissignore, credo che ora andrà tutto bene.»
Mark si avvicinò alla donna e le prese le mani nelle proprie. «Ben
fatto, Judy. Ha salvato la vita a sua nipote, lo sa? Ma ha ragione,
non deve muoversi di qui. Per nessuna ragione. Almeno finché non
sarà... sicuro.»
«Finché non avrà ucciso quel bastardo, vuol dire?» gli domandò
l'anziana signora.
Lui annuì. «Aveva bisogno di Leticia perché è un'infermiera, ma è
anche una bella donna. Lei l'ha salvata. Non era a sua nipote che lui
dava la caccia, e tuttavia cercherà di fare del male a lei perché non
gli piace che qualcuno gli neghi qualcosa. Capisce quello che voglio
dire, vero?»
Judy lo fissò. «Oh, sì, giovanotto. Capisco molto di più di quanto
immagina. E non me ne andrò di qui. Vede della stupidità in questo
vecchio corpo? Io credo di no.»
Mark non riuscì a trattenere una risata. «Ha ragione, nemmeno
io.»
«Vada pure, allora. Vada e fermi il mostro che ha fatto questo alla
mia bambina.»
«Sì, ma'am» disse Mark prima di uscire.
Appena fuori, imprecò ad alta voce. Se solo avesse saputo dove
Stephen aveva intenzione di colpire la prossima volta.
Deanna si sentiva ancora debole, anche se si stava riprendendo più
rapidamente di quanto Lauren si aspettasse, e a mezzanotte dormiva
di già, apparentemente tranquilla.
Heidi, seduta in poltrona, sbadigliò.
«Andate tutti a dormire adesso» disse Big Jim, guardandosi
intorno. «Io farò il primo turno di guardia. Bobby mi darà il cambio
tra qualche ora. E Stacey è sempre in piedi prima delle sei.»
«Posso stare io con Deanna» si offrì Lauren. «Tu hai fatto già
abbastanza, rinunciando al tuo lavoro per restare con noi.»
«Dammi retta, Lauren. Io so esattamente con che cosa abbiamo a
che fare. Vai a dormire. Non sarai di nessun aiuto se sei stremata.»
Heidi si alzò. «Mi dispiace, ma sono davvero esausta.» E aggiunse
sorridendo: «È sfibrante convincere un fidanzato che non hai
intenzione di andare a letto con tutta la squadra dei Los Angeles
Saints. Che Dio ti benedica, Big Jim. Vado a letto».
«D'accordo, cercherò di riposare anch'io» capitolò Lauren.
«Faremo come dice Big Jim.» Bobby si alzò e tese la mano a
Stacey. «Andiamo, bimba.»
Uscirono tutti dalla stanza.
«Se vuoi posso dormire con te, Heidi» si offrì Lauren.
«No, grazie.»
«Ma... »
«Lauren, la stanza è protetta e io ho l'impressione che qualcuno
potrebbe venire a trovarti stanotte. Penso che sia un bene che tu
faccia finalmente un po' di sesso, e preferirei non essere di troppo»
concluse ridendo.
«D'accordo. Sono nella stanza accanto. Se ti sentissi nervosa, se
qualcosa dovesse spaventarti nel mezzo della notte...»
«Griderò fino a sgolarmi così potrai venire a salvarmi» promise
Heidi prima di stringerla in un abbraccio rassicurante. «Credimi, ho
rischiato di perdere Barry e farò di tutto perché non succeda mai più,
specie ora che so chi è il nostro nemico. Sono pronta ad affrontare
qualsiasi cosa, te lo giuro.»
Lauren la guardò sparire nella sua stanza prima di ritirarsi.
Fece una doccia, lasciando scorrere a lungo l'acqua bollente, prima
di indossare una camicia da notte e infilarsi sotto le lenzuola.
Il silenzio che regnava nella casa sembrava incombere su di lei. Si
rese conto di essere tesa, in ascolto.
In attesa di sentire un battito d'ali che svolazzavano nella notte. In
attesa del terrore.
Era proprio quello che lui voleva, si disse. Era venuto all'ospedale
perché aveva voluto dimostrare di poter andare ovunque, di poterle
colpire quando meno se l'aspettavano. E che voleva lei.
Ma per quale motivo?
Perché assomigliava a Katie?
Era tutto così assurdo.
Si alzò e decise di rileggere un'altra volta l'articolo che le aveva
dato Susan. Ancora non riusciva a capire che cosa avesse cercato di
dirle la veggente. Era una storia triste ed era accaduta nel 1870, poco
dopo che la Guerra civile aveva diviso in due la nazione.
Notando che in fondo all'articolo erano citate diverse fonti, si
chiese se potesse consultarne qualcuna su Internet o se dovesse
andare in biblioteca.
Erano quasi le due del mattino, e anche se non riusciva a prendere
sonno si sentiva esausta. Decise che il mattino seguente avrebbe fatto
qualche ricerca.
Tornò a sdraiarsi per cercare di dormire.
Anche se sembrava inutile, Mark decise di fare un altro giro per i
locali.
Scoprì ben presto che Big Jim non suonava con la band quella
sera, ma si fermò ugualmente a bere una birra e ad ascoltare un po'
di musica.
Era ancora sconvolto per quello che era successo con Nefertiti. La
donna voleva che lui la distruggesse, ne era sicuro. Aveva preso il
bambino non perché avesse intenzione di succhiargli il sangue, bensì
per forzargli la mano e costringerlo a ucciderla. Ed era oltremodo
frustrante pensare che forse sapeva qualcosa che avrebbe potuto
essergli d'aiuto.
A un tratto si raddrizzò e si guardò intorno. Non c'era niente di
insolito nel pub, eppure qualcosa era cambiato.
Sorseggiando la birra, osservò attentamente la gente che gli stava
intorno. Tre studenti erano seduti al banco sugli alti sgabelli. Sulla
pista da ballo c'erano otto persone che si muovevano al ritmo della
musica.
Al tavolo accanto al suo, una giovane donna chiacchierava con un
uomo più anziano. Cogliendo qualche frammento della loro
conversazione, Mark capì che erano padre e figlia. Lei studiava alla
Tulane University e lui era venuto a trovarla.
Il locale era scarsamente affollato. Molti clienti sembravano soli.
Due belle donne sulla cinquantina si godevano la musica
chiacchierando e sorseggiando Margarita.
In fondo al locale c'era una coppia. L'uomo, dai capelli castano
chiaro e con le spalle larghe, indossava una camicia nera e un paio di
jeans. Avrebbe potuto essere il quarterback della sua squadra di
football al college.
La ragazza era carina; aveva un'aria dolce, radiosa e innocente.
Sembrava anche molto giovane. Aveva occhi scuri e lunghi capelli
castani, e indossava una minigonna scozzese e un top attillato.
Tenevano le teste vicine, chini l'uno verso l'altro.
A un tratto la ragazza scoppiò in una risata un po' troppo forte,
probabilmente perché aveva bevuto troppo.
Mark vide l'uomo posare il denaro sul banco e sussurrarle
qualcosa all'orecchio.
Lei sorrise e arrossì.
Uscirono insieme, mano nella mano.
Mark li seguì.
Ci fu un forte boato, simile a un tuono.
Lauren si svegliò di soprassalto, spaventata, e si mise a sedere sul
letto.
Le portefinestre si erano spalancate verso l'interno. Le tende,
bianche e leggere, fluttuavano gonfiandosi come nuvole eteree.
Un lampo squarciò improvvisamente il buio.
Ed eccolo lì. Stephen. Alto e minaccioso, con un mantello nero
che svolazzava dietro di lui, si stagliava contro il candore delle
tende.
«Invitami a entrare» le ordinò.
«No, non lo farò mai.»
«So che hai letto l'articolo» disse con voce dolce.
«Che cosa importa?» replicò, brusca, lei.
«Conosco l'indovina.»
«Susan...» mormorò Lauren, con il cuore stretto in una morsa di
gelido terrore. Susan era terrorizzata. Sapeva tutto di Stephen.
«Non le ho fatto del male... non ancora. Ma so che ti ha dato
l'articolo.»
«Non parla di te.»
«Non l'hai letto accuratamente» replicò il vampiro con un sorriso
mentre il bagliore dorato dei suoi occhi si faceva quasi tenero. «Tu
vuoi venire con me. Sai che lo vuoi. Tu sai quello che posso darti.
Con me avrai tutto ciò che desideri. Devi allontanarti da lui. Lui è
malvagio.»
«No.»
«È un bugiardo, lo sai.»
«No.»
Allora incominciò a ridere, ed era la stessa, orribile risata che
Lauren aveva sentito uscire per la prima volta dalla sfera di cristallo.
«Sto venendo a prenderti... Sono venuto per te.»
La coppia sembrava diretta verso uno dei grandi alberghi del
Quartiere Francese.
All'inizio fu abbastanza facile pedinarli tenendosi a una certa
distanza senza perderli di vista, ma più si avvicinavano a Canal
Street, più diventava difficile per Mark seguirli in mezzo alla folla
senza farsi notare. Alla fine li vide entrare in un albergo e non ebbe
altra scelta che entrare. Si avvicinò al banco della reception e chiese
all'impiegato di turno le indicazioni per raggiungere Jackson Square.
Mentre fingeva di ascoltare quello che l'uomo gli diceva, continuò a
tenere d'occhio la coppia e la vide salire in ascensore. Per fortuna
non c'era nessun altro con loro e tenendo d'occhio l'indicatore poté
avere la certezza che si erano fermati al quarto piano.
Ringraziò l'impiegato della reception per le indicazioni, e come se
niente fosse si avviò verso le scale. Arrivato al pianerottolo del
quarto piano, tuttavia, imprecò tra sé: l'hotel era molto grande e
non c'era alcun indizio su quale fosse la stanza occupata dalla
coppia.
Non gli restava altro che perlustrare lentamente il corridoio e stare
in ascolto, sperando di cogliere qualche rumore che lo mettesse sulla
pista giusta.
Da una stanza proveniva il suono di un programma televisivo, da
un'altra della musica rock. Continuò ad avanzare, poi udì
nuovamente quella risata troppo acuta. Se non altro la ragazza era
ancora viva, pensò, e a quanto pareva si stava anche divertendo.
Identificò la stanza da cui proveniva il suono e si fermò davanti
alla porta. Udì un mormorio di voci scherzose e un'altra risata.
Poi un rantolo, seguito da un grido.
Mark fece irruzione nella stanza... e si fermò, cupo in volto.
L'uomo era steso a terra e la ragazza, sopra di lui, gli teneva le
braccia bloccate sopra la testa. Per un istante fu tentato di andarsene,
imbarazzato. Come aveva potuto prendere un simile granchio?
Poi capì di non essersi sbagliato affatto. La ragazza rise ancora e
alla luce soffusa della stanza, i suoi canini scintillarono grondando
saliva.
Guardò Mark mentre all'uomo sotto di lei sfuggiva un gemito di
puro terrore.
Imprecando, Mark si lanciò sulla vampira, disarcionandola
dall'uomo. La ragazza era forte e robusta e lottò strenuamente,
cercando di inchiodarlo al pavimento mentre lui cercava di
raggiungere la pistola che aveva in tasca.
Una violenta spinta lo mandò a sbattere contro il muro, ma si
riprese rapidamente. La donna si lanciò su di lui con un grido
infuriato.
Con la coda dell'occhio, Mark notò che l'uomo si era rimesso in
piedi e usciva barcollando dalla stanza. Un secondo dopo si ritrovò
a fissare gli occhi furiosi e scintillanti della sua avversaria in
minigonna, che faceva scattare le mandibole, cercando di affondare
le zanne in una qualunque parte del suo corpo.
Riuscì a respingerla e ad afferrare la pistola carica d'acqua santa,
ma la vampira tornò alla carica e benché Mark cercasse di schivare
l'attacco chinando il capo, lei fu più veloce e rotolarono entrambi sul
pavimento, avvinghiati, mentre la pistola volava in aria.
Quando smisero di rotolare, lei si trovava sopra di lui, ma
stringendo i denti e flettendo i muscoli con tutta la propria forza
Mark riuscì a scagliarla lontano, facendola atterrare sulla pistola ad
acqua. Si udì un sibilo, seguito da un ululato di dolore. La vampira
balzò in piedi, fissando prima il giocattolo e poi Mark, dopodiché
scoppiò a ridere. «Non puoi competere con Stephen» disse. «Tu e le
tue stupide armi... Lui ti tormenterà, ti porterà via tutto quello che
ami. Pensi di poterlo fermare? Di poterlo ferire? Non accadrà mai.
Lui sa come muoversi nel mondo degli umani, sa come nutrirsi. Sa
come prendere quello che vuole. Tu non sei niente! Proprio niente.
E alla fine non sarai altro che sangue. Sangue, sangue e ancora
sangue. Sarà versato del sangue, cadrà una pioggia di sangue,
saranno nozze di sangue!» concluse scoppiando in una risata
raccapricciante. «La tua donna morirà e poi tornerà in vita. Non
come Katie: lei è morta, è soltanto un ricordo di sangue. No, la tua
donna sarà sua e noi che l'abbiamo servito regneremo in eterno.»
Era troppo.
Mark si alzò in piedi e volò letteralmente attraverso la stanza.
Colpì la vampira con una violenza tale da sfondare la finestra,
mandandola in frantumi, precipitando insieme a lei nell'abisso della
notte...
No, no, no! Non era possibile che stesse accadendo davvero.
Doveva combattere.
Finalmente Lauren riuscì a reagire e si girò di scatto sobbalzando,
guardandosi intorno in preda al panico.
Le finestre erano chiuse.
Le tende erano al loro posto.
Nella stanza non c'era nessuno.
Respirò a fondo, lentamente, e si rese conto che durante l'incubo
le lenzuola si erano aggrovigliate. Il velo di sudore che le imperlava
la pelle si stava ghiacciando e il cuore le batteva all'impazzata.
«Era solo un brutto sogno» disse ad alta voce.
Soltanto un sogno.
Ma aveva ancora paura. Si alzò e accese la luce, poi andò in
bagno e accese la luce anche lì prima di sciacquarsi il viso con l'acqua
fredda.
Si guardò allo specchio: gli occhi sgranati e i capelli in disordine le
davano un'aria da pazza. Si lisciò i capelli, si lavò un'altra volta il
viso e si guardò ancora. Il terrore stava lentamente svanendo dal suo
sguardo.
Dentro di lei, tuttavia, indugiava ancora la sensazione di essere
stata in qualche modo violata.
Uscì in corridoio e trovò la porta di Heidi socchiusa. Fece
capolino nella stanza e vide l'amica rannicchiata sotto le coperte.
Stringeva tra le braccia un cuscino e sembrava che dormisse
tranquilla.
Proseguì lungo il corridoio. La stanza di Deanna era aperta. Big
Jim aveva lasciato il posto a Bobby, che stava leggendo un manuale
di armi.
Il poliziotto sollevò lo sguardo dal libro nel vederla. «Ciao» la
salutò, parlando a bassa voce.
«Ciao. È tutto a posto?»
«Sì. Deanna si è svegliata e aveva ancora fame. Sembra che si stia
riprendendo in fretta.»
«Grazie al cielo.»
«Tu, piuttosto, tu sei sicura di stare bene?» le chiese.
«Sì. Solo che non riesco a dormire.» Si avvicinò a Deanna. Aveva
ripreso colore e respirava regolarmente. Sembrava che dormisse un
sonno sereno e senza sogni tormentati.
«Te l'ho detto, sta bene» disse Bobby.
«Ti credo.» Lauren si voltò a guardarlo con un sorriso, poi si
stiracchiò. Era stanca, ma sapeva che non sarebbe riuscita a dormire.
«Perché non vai a riposare un po'? Domani mattina dovrai andare al
lavoro, suppongo.»
Bobby sorrise. «A dire il vero in questo momento sono assegnato
a questa casa.»
«Non riesco a dormire, Bobby. Potresti approfittarne per riposare
un po'.»
«Sicura?»
«Ti assicuro che non riuscirei ad addormentarmi.»
«Va bene, allora. La casa è protetta e se dovesse succedere
qualcosa - qualsiasi cosa - non devi fare altro che gridare forte.
Okay? E non preoccuparti di lanciare un falso allarme. Meglio farci
alzare per niente che sottovalutare il pericolo e finire morta... o
peggio.»
Lauren fu tentata di raccontargli del sogno, ma poi decise che era
meglio di no. Non voleva che qualcuno si preoccupasse per lei
quando c'era tanto da fare. Inoltre, parlarne l'avrebbe reso ancor più
reale nella sua stessa mente e lei non voleva che Stephen diventasse
più concreto di quanto già non fosse.
Decise che ne avrebbe parlato a Mark quando si fossero visti. O
forse no. Forse, il mattino seguente, sarebbe andata in biblioteca. Si
sarebbe inventata una scusa qualunque e avrebbe chiesto a qualcuno
di accompagnarla.
Si chiese se qualcosa che Stephen le aveva detto nel sogno stesse
minando la fiducia che riponeva in Mark.
No, decise. Semplicemente non lo conosceva abbastanza per
nutrire una fiducia incrollabile.
«Sicura che sia tutto a posto?» le domandò di nuovo Bobby.
«Assolutamente. Davvero, vai pure a dormire.»
Lui annuì e uscì dalla stanza.
Per qualche minuto Lauren camminò irrequieta nella stanza, poi
decise di provare a leggere qualcosa. Il manuale di Bobby non
sembrava molto interessante, così cercò qualcosa di più accattivante
nella libreria. Scelse un libro sui pirati di New Orleans e dopo aver
lanciato un'occhiata a Deanna per assicurarsi che continuasse a
dormire tranquillamente, si accoccolò in poltrona.
Con un sospiro, cercò di concentrarsi sul libro, ma dopo poche
righe si rese conto che non aveva capito una sola parola di quanto
aveva letto. All'improvviso aveva un gran sonno.
Ma doveva assolutamente rimanere sveglia.
Accese il televisore posto sopra il cassettone, grata che ogni stanza
fosse dotata di tivù via cavo. Stavano trasmettendo Robin Hood: un
uomo in calzamaglia, diretto da Mel Brooks. Un film divertente,
pensò. Bene.
Guardò ancora Deanna per assicurarsi che la tivù non la
disturbasse. Pareva di no.
Tornò a sedersi e, se Dio volle, riuscì a restare sveglia.
Quando il film finì e iniziò Dracula di Francis Ford Coppola, però,
si alzò rapidamente e cambiò canale, cercando un telegiornale.
Il servizio parlava delle tre donne decapitate ripescate dal
Mississippi e diceva che la polizia stava ancora perlustrando il corso
del fiume alla ricerca del killer. Cambiò canale e trovò un vecchio
episodio di Lassie. Che sorpresa, pensò sorridendo.
Timmy si era messo di nuovo nei guai.
Provò a leggere, ma le palpebre le si chiudevano.
Devo restare sveglia, si ripeté. Devo.
Dopo un volo di dieci metri, si schiantarono sul selciato. Benché
Mark fosse atterrato sopra la vampira, lei non sembrava aver
risentito del volo e continuò a ridere.
Lui scrutò lungo la strada. Poco lontano, vicino all'Harrah's Hotel,
sembrava esserci una certa animazione. Nell'altra direzione c'era un
negozio di T-shirt che faceva orario continuo e le luci filtravano dalle
vetrine.
Per fortuna, nelle immediate vicinanze non c'era anima viva.
Quando la donna cercò nuovamente di addentarlo alla gola,
Mark le mise le mani intorno al collo e strinse con tutte le sue forze,
mettendo in pratica tutte le tattiche che conosceva.
Lei lottò, si divincolò; aveva una forza incredibile, e ci volle
qualche minuto prima che Mark udisse finalmente il colpo secco
dell'osso che si spezzava. Lei continuava a fissarlo, ma ora il suo capo
era inclinato in un angolo innaturale.
«Sangue, sangue, sangue!» continuava a ripetere.
Vicino al marciapiede, Mark scorse un cumulo di macerie e
materiali da costruzione abbandonati. Senza mollare la presa sulla
vampira, rotolò per raggiungerli.
Intuendo le sue intenzioni, lei cercò di resistere. Invano. Mark
afferrò un piolo di legno e glielo conficcò nel petto con tutte le forze
che aveva.
Da qualche parte, nelle vicinanze, una donna lanciò un grido di
terrore. «Assassino!»
La vampira fissò Mark con occhi sgranati. Il suo ultimo respiro fu
come il fischio di un palloncino che si sgonfia, poi il sangue le sgorgò
dalle labbra, la pelle diventò nera... e infine esplose sotto di lui in
una nuvola di cenere.
Ricoperto da quella polvere nerastra, Mark si rialzò. Udì le sirene
della polizia ululare in lontananza e si mise a correre cercando un
vicolo buio.
Non appena lo trovò, sparì nell'oscurità, consapevole dei passi che
risuonavano alle sue spalle.
Non potevano accusarlo di nulla. Non potevano incolparlo di
omicidio perché non c'era alcun cadavere...
Continuò a correre. In lontananza sentiva ancora la donna gridare
all'assassino.
Un rumore sordo, insistente, si insinuò nel sonno profondo e
senza sogni in cui Lauren era sprofondata, rannicchiata sulla
poltrona.
Aprì gli occhi.
Sì, c'era un rumore. Proveniva dalla porta d'ingresso.
Spalancò gli occhi e guardò rapidamente verso il letto.
Vuoto!
Lauren scattò in piedi e si precipitò in corridoio e poi giù per le
scale. Deanna era in piedi davanti all'ingresso.
La porta era aperta.
Con i capelli scompigliati e il viso ancora appannato dal sonno,
Stacey si precipitò verso l'ingresso seguita da Bobby, e per poco non
finì addosso a Lauren.
«Deanna!» gridò.
In quel momento un uomo entrò in casa. Indossava un paio di
jeans e una T-shirt dei Killers.
Era coperto di sangue e crollò per terra non appena ebbe messo
piede nell'atrio.
Era Jonas.
Capitolo 16
Mark ringraziò Dio che la città non fosse cambiata molto in quegli
anni. Riuscì a tornare nel Quartiere Francese abbastanza
rapidamente e, una volta lì, si rese conto che era quasi l'alba.
Doveva tornare a Monstresse House, rubare qualche ora di sonno
e rimettersi in moto, pensò. Gli era venuto in mente di fare il giro
del lago per cercare il nascondiglio di Stephen.
Il lago era grande, e quindi doveva partire presto. Se fosse riuscito
a dormire un po' e a rimettersi in viaggio di buon'ora, avrebbe
potuto coprire un bel po' di strada.
Non era ancora sorto il sole quando parcheggiò in Bourbon
Street. Appena sceso dalla macchina, si accorse che tutte le luci
dell'antica dimora erano accese.
Preoccupato, percorse il vialetto a tutta velocità, aprì il cancello e
con pochi balzi raggiunse l'ingresso. Un brivido di terrore gli fece
accapponare la pelle quando scoprì che la porta non era chiusa a
chiave.
La spalancò di colpo e si bloccò sulla soglia, aggrottando la fronte
mentre si guardava intorno.
Erano tutti riuniti nell'atrio: Big Jim, Bobby, Stacey, Lauren, Heidi
e Deanna. Insieme a qualcun altro.
Jonas.
Il vampiro era seduto su una sedia, a petto nudo, e stava
raccontando come mai era ridotto in quello stato, mentre Stacey gli
medicava le ferite. Deanna era inginocchiata ai suoi piedi e gli teneva
una mano, guardandolo con occhi traboccanti di adorazione.
I primi ad accorgersi della sua presenza furono Big Jim e Bobby,
seguiti dagli altri. Lauren lanciò un sommesso grido, fissandolo
sgomenta.
«Sto bene. È solo... sporco» la rassicurò lui. Poi si rivolse a Jonas
con voce piena di diffidenza. «Che cosa diavolo ti è successo?»
«L'ho ucciso!» dichiarò l'altro in tono trionfante.
«Stephen?» chiese Mark,
Il sorriso di Jonas si spense. «No» ammise. «Solo il suo braccio
destro... uno dei tanti. Adesso è morto. Morto stecchito. Si è dissolto
in una nuvola di...» Si interruppe, osservando attentamente Mark, e
concluse con un filo di voce: «Sporco».
«È ferito, lascialo in pace!» esclamò Deanna con aria di
rimprovero.
Mark la fissò con durezza. Sembrava molto più in forma di quanto
ci si sarebbe potuti aspettare da una persona appena emersa da un
coma profondo. «Chi l'ha fatto entrare?» domandò bruscamente a
Big Jim.
«Io» rispose Deanna, alzandosi lentamente in piedi.
Mark si guardò in giro con aria interrogativa.
Lauren gli si avvicinò. Indossava una semplice camicia da notte,
ma sembrava elegante come una regina. I suoi occhi brillavano e i
capelli erano come una cascata di raggi di sole che le ricadeva sulle
spalle. Se fosse vestita in un altro modo, se fossimo in un 'altra
epoca, potrebbe davvero essere Katie.
Ma non era Katie. Era Lauren. Bellissima, sincera e piena di
talento, con una personalità spiccata e inconfondibile, Mark lo
sapeva. E sapeva anche che significava moltissimo per lui.
Era la vita, l'amore... la salvezza.
«Mi sono addormentata» spiegò lei. «Poi Jonas ha bussato alla
porta e Deanna è stata la prima a sentirlo.»
Mark si voltò verso la ragazza. «Mi fa piacere vedere che stai
bene» disse.
«È tutto sotto controllo» gli assicurò Big Jim. «Nel caso tu volessi
fare una doccia» aggiunse, guardando i suoi abiti sporchi.
Il sole sarebbe sorto presto e tutto sembrava a posto, pensò Mark.
A quanto pareva, Jonas si trovava lì già da un pezzo e non era
successo niente di orribile. E per ogni eventualità c'era Big Jim,
pronto a farlo a pezzi se avesse causato qualche problema.
«D'accordo. Vado a fare la doccia.» Si rivolse a Jonas. «Poi tu e io
faremo due chiacchiere.»
«È ferito!» protestò Deanna.
«Starà benissimo ora che avrò finito la doccia.» Bobby si rivolse a
Jonas. «Ti ho procurato degli abiti puliti. Immagino che anche tu
vorrai ripulirti dal sangue e... dal resto.»
Mark salutò con un cenno del capo tutti quanti e salì le scale,
diretto verso la sua stanza, dove si liberò dei vestiti facendoli a pezzi.
Sapeva che non li avrebbe lavati né mandati in tintoria, e che
sarebbero finiti nell'inceneritore. Poi si infilò sotto la doccia.
Mentre faceva scorrere l'acqua, udì la porta del bagno aprirsi. Capì
subito chi era. Attese, in piedi sotto il getto bollente, accogliendo
con gratitudine l'acqua che gli scorreva sulla pelle e il calore che
sembrava lenire ogni dolore.
«Mark?»
Non rispose, limitandosi a guardarla mentre lei si avvicinava.
«Sei arrabbiato per qualche motivo, ma non dovresti esserlo. È
colpa mia se Jonas è entrato in casa.»
«Ormai è qui» rispose infine lui. «Non importa di chi è la colpa.»
«Non sei convinto che sia... buono?»
Lui ignorò la domanda e ribatté: «Se sei venuta per tormentarmi,
tanto vale che venga sotto anche tu».
Lauren esitò un istante, ma poco dopo entrò nella cabina doccia.
L'acqua parve diventare più calda. Bollente. Ma non era l'acqua: era
lei.
A un tratto non ci fu altro che quell'istante e tutto quello che gli
importava era averla lì e saperla al sicuro.
«Mi dispiace» mormorò lei, circondandolo da dietro con le
braccia. «Davvero, non sai quanto mi dispiace.» Stava per aggiungere
qualcosa, quando lui si girò cercando le sue labbra.
La sporcizia che lo ricopriva se n'era andata. L'acqua l'aveva
portata con sé nello scarico come se fosse stata un brutto sogno. Il
calore era piacevole e la pelle di Lauren era liscia contro la sua. Il
sapone sapeva di pulito, aveva un aroma di legno e di pino. Era un
aroma gradevole, delicato, legato alla terra. Era eccitante come la
vitalità morbida e vibrante del corpo flessuoso di Lauren. Come il
contatto erotico con la sua pelle calda e scivolosa. La pressione del
suo corpo era quasi insopportabile. Il suo sapore era afrodisiaco.
Mark si abbandonò alle sensazioni, stringendola, coprendola di baci
e carezze, tutte le sue percezioni acuite dal luogo e dall'ora,
dall'acqua, dal calore e dal vapore. Sentì le labbra di lei su di sé, le
sue dita che lo esploravano... Oh, Dio, come sapeva muoversi
contro di lui, accarezzandolo ora con tocco leggero, ora più audace.
Sapeva esattamente quando e dove accarezzarlo, baciarlo,
tormentarlo...
La sollevò facendole appoggiare la schiena alla parete della
doccia. Lauren gli allacciò le gambe intorno alla vita e,
aggrappandosi alle sue spalle mentre entrava dentro di lei come
liquido acciaio, inarcò il busto e assecondò le sue spinte con pari
passione. Mark sentiva i suoi baci e i suoi sospiri sulla gola e dietro
l'orecchio. E dopo che entrambi ebbero raggiunto l'orgasmo, avvolti
dal vapore e dal ritmo battente dei loro cuori, Lauren cercò le sue
labbra e lo baciò avidamente mentre le faceva posare i piedi per
terra.
Il getto d'acqua li avvolse di nuovo.
Mark strinse il suo corpo bagnato e luccicante, accarezzandole i
capelli e guardandola negli occhi.
Stava quasi per dire le parole che aveva pronunciato già una
volta, tanto tempo prima.
Ti amo.
Ma si trattenne. Le prese il mento fra le dita e rimase a
contemplare la bellezza del suo viso, le linee eleganti del suo profilo
scolpite dall'acqua.
«Dobbiamo essere più prudenti che mai» mormorò.
Lei deglutì. «È colpa mia. E stavo pensando che... dobbiamo
andare via da qui.»
Mark avvertì una stretta al cuore. Non sopportava l'idea di
lasciarla andare, così le disse la verità. «Non servirà a niente
andarsene» mormorò con voce stanca. «Lui ti seguirà.»
La paura si accese nel suo sguardo, ma lei la allontanò
rapidamente. «Okay. Ma forse almeno Heidi e Deanna potrebbero
partire.»
Forse dovrebbero farlo, pensò Mark. Solo che una volta partite,
non ci sarebbero più stati Sean Canady, Bobby Munro, Stacey,
Maggie e Big Jim a difenderle.
E nemmeno Jonas, che era entrato a far parte del gruppo. «Ho
idea che questa faccenda vada risolta qui, una volta per tutte,
altrimenti sarete in pericolo per il resto della vostra vita» disse.
Ed era la verità.
Lei abbassò lo sguardo e annuì, sfiorandogli il petto con i capelli.
«Non sto mentendo solo per tenerti qui» mormorò Mark.
«Lo so» rispose Lauren. «Che cosa faremo, allora?»
«Lo troveremo. Così non sarete più in pericolo.»
Mentre ascoltava la donna che gridava istericamente sulla strada,
Sean Canady annuiva educatamente, ricordando a se stesso che era
stato lui a chiedere che gli venisse riferito qualsiasi fatto insolito.
«Le dico che quei due sono caduti da una finestra del quarto
piano» ripeté la donna, indignata. «Anche un cieco può vedere che il
vetro è rotto.»
Il vetro era effettivamente rotto, questo era certo. Il direttore
dell'albergo gli aveva detto che la stanza era registrata a nome di
una certa Rene Smith, residente a New York. Sean non era di New
York e non era stato molto spesso nella Grande Mela, ma perfino lui
sapeva che non esisteva una Diciottesima Strada a Manhattan.
«Sono caduti dalla finestra... e si sono rialzati?» domandò con aria
scettica uno dei detective che era con lui.
La testimone, una donna sulla sessantina che trasudava rettitudine
e virtù, lo guardò e trasse un respiro profondo. «Vi sto dicendo
quello che ho visto» dichiarò. «Con i miei stessi occhi.»
Il tenente chinò il capo, nascondendo un sorriso. Il detective che
aveva parlato era Jerry Merchant. Quella notte era di turno ed era
lui a seguire il caso. Sean lo conosceva bene e sapeva esattamente
che cosa stava per dire.
«Mi scusi, signora, di solito porta gli occhiali?»
Com'era prevedibile, la donna esplose. «Porto gli occhiali per
leggere il giornale, giovanotto, non per vedere lontano. Ero proprio
dall'altro lato della strada, laggiù. E le assicuro che ho visto due
persone volare giù da quella finestra e schiantarsi sul marciapiede.
Poi l'uomo ha preso un pezzo di legno e l'ha conficcato nel petto
della donna.»
«Vuole dire un piolo come quelli che ci sono in quel mucchio di
macerie accanto al marciapiede?» domandò l'agente Merchant.
La donna serrò le labbra. «Harry era accanto a me. Ha visto tutto
anche lui. Non è così, Harry?» chiese, dando un colpetto al braccio
del marito con la borsetta.
«Ehm...» balbettò l'uomo, guardando la moglie. «Io ero
concentrato sull'Harrah's... è lì che eravamo diretti. È il nostro
quarantesimo anniversario, capisce?» Abbozzò un tenue sorriso. Se
voleva festeggiare, non era stato accontentato.
«Harry! Come hai potuto perderti quella scena?» esclamò la
donna, indignata.
«Tesoro, se tu dici che sono volati dalla finestra, sono sicuro che è
così» replicò con galanteria Harry.
«Tireranno fuori quella povera ragazza dal Mississippi, te lo dico
io.»
«Se le hanno conficcato un paletto nel petto sarà morta, e quindi
dev'essere qui intorno, non crede?» osservò il detective Merchant.
«Sono sicuro che non la troveranno nel fiume.»
Sean sapeva che Jerry aveva ragione, ma provava anche una certa
simpatia per la donna, che indubbiamente aveva visto proprio
quello che stava raccontando.
Il che era preoccupante. Sembrava che Mark avesse ragione:
Stephen era davvero venuto a New Orleans con un esercito.
«Dovete trovare quell'uomo e arrestarlo» disse Sonia.
«Può descrivercelo, signora?» le domandò il detective.
Finalmente le stava dando una piccola soddisfazione, pensò Sean.
«Certo. Procuratemi uno di quei disegnatori della polizia e glielo
descriverò per filo e per segno.»
«Ci basta una descrizione generale, per il momento. Cominceremo
da qui» decise Jerry Merchant.
A quel punto Sonia esitò, poi sospirò. «Mi sembra che fosse alto e
bruno. È tutto quello che posso dire.»
A quel punto l'impiegato della reception si avvicinò e disse loro
che la donna che aveva preso la stanza era rientrata in compagnia di
un uomo, che però non era moro. Era giovane, sembrava uno
studente universitario, e aveva l'aspetto di un asso del football
americano.
Sean lasciò Jerry e la sua squadra al lavoro. Poi cominciò a
perlustrare il quartiere, pur temendo che fosse già troppo tardi,
perché sapeva per esperienza che non pagava rinunciare senza
nemmeno aver provato.
Trenta minuti più tardi trovò un giovane alto, con spalle larghe e
capelli castano chiaro, seduto in un bar semideserto. Un cartello
sosteneva con orgoglio che il locale non chiudeva mai e che era
rimasto aperto persino durante il passaggio dell'uragano Katrina.
Sean prese posto accanto all'uomo, che fissava la sua birra ancora
intatta con le mani tra i capelli.
«Brutta nottata?» gli chiese.
L'altro si voltò a fissarlo con uno sguardo impaurito. «Già.
Pessima.» Prese il bicchiere e lo vuotò in un'unica sorsata.
«Sono un poliziotto» si presentò Sean. «Che cosa è successo?»
«Non ho fatto niente, lo giuro. Sono un laureando con ottimi
voti.»
«Quarterback?»
«Terzino.»
«Sei bravo?»
«Ci può scommettere» rispose con orgoglio il ragazzo, leggermente
più a suo agio.
«Vuoi raccontarmi che cos'è successo stanotte?»
«Non mi crederebbe.»
«Provaci.»
«Può offrirmi una birra?»
Sean fece un cenno al barman, che mise un'altra birra di fronte al
giovane.
«Le dirò» esordì il ragazzo con una smorfia, «potrei non bere mai
più. O peggio, avrò paura di fare sesso per tutto il resto della mia
vita.»
«Racconta.»
«Ci siamo incontrati in un locale. Lei era bellissima. Abbiamo
chiacchierato un po', bevuto qualcosa... ballato. Abbiamo bevuto
ancora, poi lei mi ha detto che aveva una stanza in un albergo.
Tutto quello che ricordo è che poco dopo stava cercando di
azzannarmi alla gola.»
«E poi?»
«Un tipo ha fatto irruzione nella stanza, i due si sono messi a
lottare e io ho tagliato la corda. Quella donna era pazza. Si era fatta
limare i denti o qualcosa del genere, perché aveva dei canini
affilatissimi. E deve aver preso degli steroidi perché era più forte di
qualsiasi ragazzo abbia mai visto. Più forte dell'intera squadra di
football.»
«Che cosa mi dici del tipo che è entrato nella stanza? Che ne è
stato di lui?»
«Non lo so. Come ho detto, me la sono data a gambe. Non ho
mai corso così veloce in tutta la mia carriera. La prego, non mi
arresti. Non stavo facendo niente di illegale!»
«Tranquillo, non ho intenzione di metterti dentro» gli assicurò
Sean.
Il ragazzo chinò il capo. «Dopo questa birra, non berrò mai più e
non abborderò mai più una sconosciuta. Non importa quanto sia
bella.»
Sean gli posò una mano sulla spalla. «Se fossi in te, non racconterei
questa storia ai ragazzi della squadra.»
Il giovane lo guardò con espressione di puro terrore. «Oh, Dio,
no!»
«Bene. Questo è il mio indirizzo. Se avessi altri problemi,
chiamami.»
«Grazie» disse il ragazzo, tendendogli la mano. «Mi chiamo Nate
Herman. Davvero, grazie. Non so chi fosse quell'uomo, ma... mi ha
salvato la vita. Glielo giuro, tenente, quella donna aveva delle vere
zanne. E voleva squarciarmi la gola.»
«Se finisci quella birra, ti do un passaggio fino al pensionato.»
Quando uscirono dal locale, stava sorgendo il sole.
Sean si sentì sollevato, ma non era ancora tranquillo.
Il sole non garantiva che il mondo fosse al sicuro, lo sapeva fin
troppo bene.
Lauren non l'avrebbe creduto possibile, ma si addormentò non
appena toccò il cuscino. Mark ne era felice; sembrava reggere bene
alla tensione, ma era convinto che sotto sotto fosse estremamente
stanca.
Quanto a Deanna...
Ora che Jonas era con lei, sembrava essersi ripresa in modo
miracoloso. L'infermiera che era venuta a visitarla poco prima aveva
detto che non riteneva più necessaria un'assistenza continua. Il che
era un sollievo, pensò Mark. Non gli piaceva avere estranei per casa.
Era già tarda mattinata quando poté finalmente parlare con Jonas.
Nel frattempo aveva avuto una lunga conversazione telefonica con
Sean Canady, che l'aveva pregato di non sfondare altre finestre. Gli
aveva detto di evitare anche di cadere dal quarto piano di un
edificio e conficcare paletti nel cuore di quella che agli occhi di tutti
appariva come una giovane donna.
«A proposito» aveva aggiunto verso la fine della conversazione,
«ho chiesto a Maggie di fare un salto a Monstresse House. Potrà dare
il cambio agli altri e aiutare ad alleggerire la tensione.»
Mark sospirò, pensando quanto fosse grato al poliziotto. Si sentiva
più tranquillo all'idea di andarsene, sapendo che Maggie era con
Lauren. Aveva una grande fiducia in quella donna che un tempo era
stata una vampira, anche se non capiva come fosse riuscita a
invertire il processo di trasformazione.
Non ero ancora morta, gli aveva detto.
Quello doveva essere stato il fattore determinante. Mark aveva
visto di tutto nel corso degli anni, ma nessuno come Maggie Canady.
Tuttavia, dopo aver parlato con lei, non dubitava che ciò che gli
aveva raccontato fosse vero.
«Allora, dove sei stato?» chiese a Jonas quando finalmente si trovò
solo con lui al tavolo della cucina.
«Ero in ospedale, quando ho capito che c'era qualcosa che non
quadrava.»
«E cioè?»
Jonas lo studiò inclinando il capo sulla spalla. «Avevo la
sensazione che ci fosse qualcosa di strano, così sono uscito in
corridoio. Ho visto un medico, ma qualcosa mi diceva che non era
un vero medico, e l'ho seguito fino al parcheggio. Troppo tardi mi
sono reso conto che era una trappola. Un'intera banda di vampiri mi
si è gettata addosso. Sono riuscito a scappare, anche se ero messo
piuttosto male e non credevo che ce l'avrei fatta. Devo aver perso i
sensi. Mi sono risvegliato al Pronto Soccorso. Appena ho potuto
sono fuggito, ma a quel punto... l'intero ospedale era sottosopra.
Così sono venuto qui perché mentre inseguivo quel tizio - immagino
che fosse il braccio destro di Stephen o qualcosa del genere - avevo
sentito dire che Deanna era stata dimessa. Comunque, l'ho fatto
fuori.»
Jonas sembrava orgoglioso della sua impresa e, se quello che gli
aveva raccontato non era inventato di sana pianta, aveva diritto di
esserlo. Ma era vero?, si chiese Mark.
O era tutta un'abile messinscena?
Si appoggiò allo schienale della sedia, studiandolo. Sembrava un
tipo a posto, con una delle camicie di Bobby appena stirata e un
paio di pantaloni di tela. «Come ti senti adesso?» si informò.
«Bene. Sono in ottima forma.»
Mark tamburellò con le dita sul tavolo, riflettendo. Non si fidava
a lasciare in casa Jonas mentre lui era fuori, nemmeno sapendo che
Maggie Canady presto sarebbe arrivata a Monstresse House.
«Dunque sei convinto che Stephen sia entrato in ospedale
travestito da medico?»
«Sono disposto a scommetterci. Chi non aprirebbe la porta a un
dottore?»
Mark tirò fuori il cellulare e chiamò l'ospedale, chiedendo della
camera di Leticia Lockwood.
Rispose Judy, che sembrava contenta di sentire la sua voce.
«Sembra che mia nipote stia migliorando. Non è ancora del tutto in
sé, ma ha aperto gli occhi più di una volta. Sembra disorientata,
povera cara. Ma stiamo bene, ed è questo che importa. È stato
davvero gentile da parte sua telefonare.»
Mark esitò prima di dire: «Miss Lockwood, deve stare molto
attenta a non far entrare nessuno nella stanza, compresi i medici.
Non faccia entrare proprio nessuno, d'accordo?».
Udì la sua risata sommessa. «Lo so bene» gli assicurò. «E se avessi
dei problemi, ho il biglietto da visita di quel poliziotto gentile e il
suo numero di telefono. Non si preoccupi per me. So che cosa ho di
fronte.»
«Sono felice di sentirglielo dire, Miss Lockwood. Grazie.»
Chiuse la comunicazione, tornando a studiare Jonas.
«Andremo a fare un giro.»
«Non posso restare qui?»
«No.»
«Non ti fidi ancora di me.»
«Non ti conosco.»
Jonas si strinse nelle spalle. «Okay, dove andiamo?»
«Te l'ho detto, a fare un giro. Niente domande. Mi sembri ancora
un po' sotto pressione; puoi dormire mentre guido.»
«Ti spiace se avviso Deanna che esco?»
«Fai pure. Ti accompagno.»
Rimase a guardare dal corridoio mentre Jonas entrava nella stanza
di Deanna. Heidi era seduta di fianco all'amica. La sua presenza non
sarebbe bastata a rassicurare Mark, ma con lei c'era anche Big Jim e
almeno per il momento le ragazze erano ragionevolmente al sicuro.
Lasciò che i due si salutassero e tornò nella sua stanza.
Lauren era ancora profondamente addormentata. Era così bella
con i capelli sparsi sul cuscino come raggi di sole. Quando si chinò a
baciarla sulla fronte, sorrise come se avvertisse la sua presenza anche
nel sonno.
Incontrò Jonas in corridoio. «Andiamo» disse.
«Ti seguo.»
«Preferisco che tu mi stia davanti» ribatté Mark.
Una volta fuori città, Jonas si voltò a guardarlo. «Che cosa stai
cercando?» domandò.
Mark esitò. «Qualsiasi cosa che sembri abbandonata e tornata
improvvisamente in uso. Potrebbe essere un'auto davanti a un
edificio inagibile o qualcosa di simile.»
«Tipo bottiglie di birra vuote in un prato incolto?» chiese Jonas.
«Sì, esatto.»
«Torna indietro, allora. Ne abbiamo appena superato uno.»
Entrando nella stanza
l'amica addormentata e
Aveva capelli ramati più
pagliuzze dorate. Stava
vedendola entrare.
di Deanna, Lauren fu sorpresa di trovare
una donna sconosciuta al suo capezzale.
scuri dei suoi e incredibili occhi verdi con
leggendo, ma posò il libro e si alzò
«Ciao. Tu devi essere Lauren. Io sono Maggie Canady» si presentò.
«La moglie del tenente?»
«Sì.» Le tese la mano e Lauren la strinse. «In realtà mi sembra di
averti già vista prima.»
«Oh, davvero?» mormorò la ragazza, a disagio, chiedendosi se
anche quella donna avesse conosciuto Katie.
«Ci sono!» esclamò Maggie. «Sei venuta nel mio negozio di
abbigliamento.»
«Oh, cielo, è vero!» le fece eco Lauren. Avrebbe dovuto
riconoscerla, si disse. Nella boutique c'era un suo ritratto; se ben
ricordava, indossava un costume dell'epoca della Guerra civile. Era
un bellissimo dipinto e lei l'aveva ammirato spesso. «Ha un bel
negozio. Ci vado ogni volta che vengo a New Orleans. Credo di
conoscerlo fin da quando ero bambina.»
«In effetti, appartiene alla mia famiglia da anni.»
Deanna si mosse sul letto, ma non si svegliò.
«Sta bene» la rassicurò Maggie, notando l'improvvisa apprensione
nello sguardo di Lauren. «Soprattutto considerando che è stata quasi
dissanguata da un vampiro.»
Lauren batté le palpebre. «Lei... sa?»
«Sì, e sono qui per aiutarvi. Credimi, so quello che faccio. Puoi
considerarmi un'amica e darmi del tu.»
C'era qualcosa che ispirava fiducia nel modo in cui aveva parlato.
«Sono contenta che tu sia qui. Mark... è ancora in casa?»
«È uscito con Jonas.»
«Oh. E Heidi?»
«Dorme nella sua stanza.» Maggie sorrise. «Stamattina sembrano
tutti stanchi. Bobby sta ciondolando in cucina, ma se non altro è
sveglio. È stato assegnato a guardia della casa. Non so bene come
Sean riesca a gestire la cosa con i suoi superiori, ma... è un bravo
poliziotto e gli lasciano spesso mano libera.»
Lauren annuì; si sentiva più sicura sapendo che c'erano poliziotti
che avevano ben chiaro contro che cosa dovevano stare in guardia.
Mark aveva ragione. Lei e le sue amiche non potevano rischiare di
partire finché non avessero fermato Stephen. Dopo la notte appena
trascorsa, l'idea che quell'individuo prima o poi l'avrebbe trovata la
spaventava a morte.
«Bene, io sono sveglia, ma devo ammettere che è stato
meraviglioso poter dormire a lungo stamattina. Adesso però ho
bisogno di fare un salto in biblioteca.»
Maggie aggrottò la fronte. «Non puoi andare da nessuna parte da
sola.»
«Visto che qui ci sono Bobby e Big Jim, non verresti con me?»
Lauren sorrise. «Sono pronta a scommettere che ci sono intere
cisterne d'acqua santa in questa casa. Ho una pistola a spruzzo e so
come usarla» aggiunse in tono leggero. «Sono sicura che anche tu lo
sai.»
Maggie parve riflettere mentre la osservava. «Ho l'impressione che
in un modo o nell'altro andresti comunque in biblioteca. Perché?»
«Voglio controllare una cosa. È importante. Tutta questa storia è
incominciata con una veggente. Ha fatto qualche accenno a dei fatti
che ho bisogno di conoscere.»
Maggie inarcò un sopracciglio. «È così importante da spingerti a
uscire subito?»
«Sì» rispose con fermezza Lauren.
«D'accordo. Farò venire qui Big Jim e poi andremo insieme in
biblioteca. Vai a prendere quello che ti occorre. Ti aspetto nell'atrio
tra un minuto.»
«Grazie.»
A quanto pareva c'era davvero una scorta di acqua santa in casa,
perché, quando scese le scale, Lauren trovò Maggie con ben quattro
pistole a spruzzo. Gliene tese due insieme a un piccolo contenitore.
«Che cos'è?» chiese.
«Stuzzicadenti.»
«Stuzzicadenti?» ripeté, sconcertata.
«Non li uccidono, ma possono fare molto male a un vampiro,
specie se glielo cacci in un occhio. Ne tengo sempre qualcuno in
tasca. Porti al collo la croce?»
«Sì.»
«State uscendo?» chiese Bobby Munro, uscendo dalla cucina. «Non
sono sicuro che sia una buona idea. Non state via più di un paio
d'ore, mi raccomando» disse con fermezza.
Maggie rise. «Non preoccuparti, Bobby. Devo rientrare prima che
i bambini tornino dal campeggio. Ho tre figli» spiegò a Lauren, «e
non li lascerei uscire in questo momento se non fosse la parrocchia a
organizzare queste escursioni.»
«Chiamatemi se avete bisogno» disse Bobby.
«Ci puoi contare» gli assicurò Maggie, e con un cenno di saluto,
uscì. Lauren salutò il poliziotto e la seguì.
Mark fece un'inversione a U e poco dopo individuò il posto di cui
gli aveva parlato Jonas. Si trattava di una palazzina di due piani
dall'aria tetra, che sembrava risalire all'epoca vittoriana. Un tempo
doveva esserci un porticato che correva tutt'intorno all'edificio, ma
ora era semidistrutto. Si notava ancora qualche traccia delle
decorazioni a smerlo e uno degli scalini dell'ingresso mancava.
Ma il prato mostrava segni di vita.
Una bottiglia di rum, due lattine e una mezza dozzina di bottiglie
di birra.
Mentre camminavano nell'erba incolta, Mark notò che qualcuno
aveva improvvisato di recente un barbecue, usando una vecchia
griglia da forno sostenuta da due rami sopra un letto di braci.
«Cuociono la carne?» mormorò Jonas.
«Non ho idea di che cosa ci cuociano» mormorò in risposta Mark,
guardandolo negli occhi. «Sei pronto?»
Jonas tirò fuori dal bagagliaio dell'auto una torcia, un pesante
martello e una borsa a tracolla piena di paletti di legno. Mark era
armato nello stesso modo.
«Viaggi sempre con tutto questo armamentario?» gli domandò
Jonas.
«Sempre.»
«Che cosa succede se ti fermano a un posto di blocco?»
«Finora non è mai successo. Andiamo.»
Mark alzò lo sguardo al cielo, grato che fosse una di quelle
giornate in cui il sole splendeva luminoso. La casa era vicina al fiume
e il terreno era soffice sotto i loro piedi. Quando raggiunsero ciò che
restava del porticato, Mark controllò la suola delle scarpe. Era
incrostata dì fango e fili d'erba.
Proprio come le scarpe da infermiera di Leticia.
«Vai avanti tu» disse a Jonas.
L'altro lo guardò e scosse mestamente il capo. «Ma certo, prima io.
Però, se fossi davvero un traditore, in questo modo mi sarebbe più
facile avvisare gli altri.»
«Può darsi, ma se non altro non ti avrei alle spalle, pronto a
prendermi in trappola» replicò Mark. «Vai.»
Jonas lo precedette lungo gli scalini, saltando abilmente e senza
fare rumore quello mancante. Provò ad aprire la porta, ma era
chiusa.
Si voltò a lanciare un'occhiata a Mark, che l'aveva raggiunto e che
fece un cenno del capo.
«Al tre?» sussurrò Jonas.
«Okay.»
Jonas articolò i numeri con le labbra e al tre si lanciarono insieme
contro il battente. La porta cedette e si ritrovarono all'interno della
casa.
Un'oscurità inquietante li avvolse, satura del lezzo fetido della
morte.
Capitolo 17
Heidi stava dormendo, eppure... Aveva l'impressione di essere
sveglia... e di essere sedotta da qualcuno che le faceva qualcosa di
deliziosamente perverso. Qualcosa di sconosciuto, che non poteva...
non sarebbe dovuto esistere. Qualcosa che aveva il sapore
irresistibile del peccato. Era come se qualcuno avesse scostato le
lenzuola e si fosse infilato al suo fianco. Uno sconosciuto... che pure
aveva un che di familiare. Sentì l'aria, tiepida e sensuale, accarezzarla
mentre le lenzuola scivolavano via. Le parve di andare a fuoco
mentre le sue mani le accarezzavano le cosce, le sue dita danzavano
delicatamente su di lei. Schiuse le gambe e non poté credere alle cose
che lui le fece, all'intimità che gli stava concedendo. Ma il desiderio
montava in lei come una vampata selvaggia, il calore si concentrava
nel centro del suo essere, umido e rovente.
«Fammi entrare» mormorò una voce.
E lei capì che non poteva impedirglielo.
Dopotutto era solo un sogno, si disse.
Un sogno erotico che si faceva sempre più intimo mentre la voce
roca e seducente ripeteva: «Fammi entrare... fammi entrare dentro di
te».
Fiamme le lambivano la pelle. Si contorse in preda a un desiderio
spasmodico.
«Fammi entrare» mormorò lui contro la sua pelle.
«Sì» gemette Heidi. «Sì.»
Anche se aveva accettato di accompagnarla, Lauren aveva
l'impressione che Maggie non fosse molto contenta di andare in
biblioteca. Sembrava quasi che la sua ricerca la infastidisse, tuttavia
rimase seduta davanti a una postazione vicina, controllando sul
computer diverse date e altre informazioni su richiesta di Lauren.
L'operazione fu lunga e frustrante. Pareva che ogni riferimento
conducesse a un altro riferimento, e così via fino ad arrivare a un
punto morto.
«Ehi, credo di aver trovato uno degli antenati di Mark!» esclamò a
un certo punto, scorrendo un articolo scritto prima della Guerra di
secessione. «Randolph Davidson e figlio riforniscono la cavalleria
regolare.» Guardò Maggie con aria eccitata e proseguì. «Davidson era
il proprietario di un allevamento e finanziò un gruppo di ribelli. Pare
che fosse molto ricco e... guarda! Suo figlio si chiamava Mark!»
«Che cosa c'è di strano? È un'usanza piuttosto diffusa dare ai propri
figli i nomi degli avi» osservò Maggie.
Lauren passò in rassegna anche le numerose pagine di necrologi
dei giornali locali, che riportavano elenchi di defunti e segnalazioni
di persone scomparse. Poi, nel 1862, il Generale Butler, detto La
Bestia, era entrato in New Orleans e da quel momento in poi la città
era rimasta sotto il controllo dell'Unione.
Aveva quasi abbandonato la speranza di trovare altre
informazioni sugli antenati di Mark quando fu colpita da un articolo
di cronaca mondana datato 1870. La città era ancora in difficoltà: la
guerra era finita ma non i lutti e l'amarezza. E tuttavia la vita
continuava e venivano annunciati nuovi fidanzamenti e matrimoni.
«Mark Davidson arriva in città con la futura sposa» lesse ad alta
voce. Il nome della donna era Katja Bresniskaya, e veniva dalla
Russia. Le nozze si sarebbero svolte nella patria della sposa.
Lauren si voltò a guardare Maggie. «È assurdo! Questo è più o
meno quello che mi ha raccontato Mark del suo passato» proruppe,
indignata.
Maggie la guardò negli occhi, poi trasse un profondo sospiro.
«E c'è dell'altro.»
Lauren si protese verso di lei e fece avanzare la pagina che stava
leggendo sullo schermo. «La tragedia ha colpito ancora. Una nobile
casata travolta dalla follia» lesse ad alta voce. Si voltò verso Maggie,
che non stava nemmeno guardando il computer mentre
incominciava a raccontarle la storia.
«Padre e figlio, insieme ai pochi parenti sopravvissuti alla guerra,
partirono per Kiev. Il giorno delle nozze, Randolph Davidson colpì
alla schiena la futura nuora con una freccia di legno dalla punta
d'argento. La vendetta della famiglia di Katja fu istantanea: le nozze
si trasformarono in un bagno di sangue. Davidson fu il primo a
essere ucciso. In un primo momento si pensò che fosse morto anche
il figlio, anche se la sua salma non fu rimpatriata come quella del
padre. Fu un giorno terribile quello in cui venne sepolto il vecchio
Davidson. Lo portarono nella cappella di famiglia e mentre avevano
luogo le esequie, la casa fu rasa al suolo da un incendio. La proprietà
è tutt'ora abbandonata.»
Lauren scosse il capo, fissandola con gli occhi sgranati. «Non
capisco. È possibile che Mark soffra di allucinazioni e creda di essere
il suo antenato? Ma se è stato il padre di Mark Davidson a uccidere
Katja, perché lui sostiene che è stato Stephen?»
«Credo che dovresti parlarne con lui» rispose Maggie. «Comunque
non crede di essere il suo antenato. Lui è quel Mark Davidson.»
«Non so più con chi parlare, mi sembra di essere circondata da
pazzi» borbottò Lauren distogliendo rapidamente lo sguardo. Poi
tornò a voltarsi verso di lei. «Scusami» mormorò.
«C'è un'altra cosa che posso dirti, perché ho già incontrato creature
come Stephen in passato» riprese Maggie. «Se non poni fine a tutto
questo il prima possibile, vivrai nel terrore per il resto della tua vita.
In alternativa puoi solo accettare la vita che lui ti offre.» Scosse il
capo. «Ah, come vorrei che fossero qui anche gli altri. Soprattutto
Lucian...»
«Lucian» mormorò Lauren, aggrottando la fronte. «Jonas mi ha
parlato di lui. Diceva che era venuto qui per parlargli perché lo
aiutasse a trovare lavoro, a stabilirsi qui.»
Maggie proseguì come se non l'avesse nemmeno sentita e i suoi
pensieri fossero altrove. «Sarebbe bello che ci fosse anche Brent.» Si
voltò verso Lauren e spiegò con la massima serietà: «Brent è un lupo
mannaro».
Lauren ammiccò. Erano tutti pazzi, compresa quella donna.
«È stato "potenziato" meccanicamente» aggiunse Maggie. «Durante
la guerra, sai.»
«La Guerra civile?»
«No, la Seconda guerra mondiale.»
Lauren la fissò, stravolta. «Se ho ben capito quello che stai
dicendo... No, andiamo, è una follia. Significherebbe che Mark era
un soldato della Confederazione durante la Guerra civile, che è
sopravvissuto alle battaglie e alla ricostruzione, e nel 1870 ha
sposato una donna russa di nome Katja che aveva incontrato a New
Orleans... Poi però suo padre, e non Stephen, è impazzito e l'ha
uccisa, e Mark adesso ha più di cent'anni.»
Maggie sembrava a disagio. «Devi assolutamente parlare con lui.»
«Anche tu eri viva ai tempi della Guerra civile?»
Maggie chinò il capo con una smorfia.
«Mi stai dicendo di sì... »
«Ti prego, Lauren, parla con Mark.»
Tutto a un tratto Lauren ebbe la sensazione di essere in trappola.
Pur essendo in una biblioteca, in mezzo a studenti e pensionati che
facevano ricerche al computer, clienti che cercavano libri e mamme
con i bambini, aveva la sensazione di essere entrata in un mondo di
pura follia. Era già abbastanza difficile accettare i vampiri, ma
questo...
Il sogno che l'aveva tormentata sembrava fin troppo reale ora.
Che Stephen fosse riuscito in qualche modo a entrare nella sua
mente? Non le sarebbe mai venuto in mente di andare in biblioteca
se non fosse stato per quel sogno.
Possibile che Mark stesse dando la caccia a Stephen da più di un
secolo? Fin dai tempi della Guerra civile?
No, era assurdo.
E se fosse stato reale? In tal caso l'odio che covava e il desiderio
disperato di giustizia sarebbero stati comprensibili. Tuttavia non si
spiegava ancora perché Mark incolpasse Stephen e non suo padre
della morte di Katja.
Scosse il capo per schiarirsi la mente. Non ne poteva davvero più
di tutta quella storia.
Maggie, ignara del suo stato d'animo, continuava a parlare del suo
amico lupo mannaro, che a quanto pareva era stato potenziato in
qualche modo durante la Seconda guerra mondiale, ma lei non
riusciva a seguirla, ossessionata dalla possibilità che Mark fosse in
circolazione da oltre cent'anni..
Si alzò in piedi con un senso di malessere. Mark le aveva mentito
per tutto quel tempo?, si chiese. O quanto meno aveva trascurato di
dirle la verità? Diffidava di Jonas quando lui stesso non si era
mostrato migliore?
Se non altro Jonas aveva ammesso di essere ciò che era...
Si alzò in piedi, furiosa, confusa, e convinta che ci fosse una sola
persona di cui poteva fidarsi: se stessa. «Andiamo» disse, sperando
che la sua agitazione non fosse così evidente.
«Lauren, ti prego, vorrei poterti persuadere che Stephen dev'essere
fermato.»
«Ne sono più che convinta.» Ma non so più a cos'altro credere,
pensò.
Maggie riaccese il cellulare subito fuori dalla biblioteca e pochi
secondi dopo l'apparecchio squillò. Mentre rispondeva, Lauren la
vide impallidire.
«Che cosa c'è?»
«Dobbiamo tornare subito a casa.»
«Che cos'è successo?»
«Heidi è sparita.»
Fin dal primo istante in cui misero piede nella casa, Mark capì che
c'era qualcosa che non andava.
C'erano dei vampiri, questo era certo. Mentre la porta si chiudeva
alle loro spalle, Mark udì un frullare d'ali. Puntò la torcia verso il
suono e quando una creatura alata virò leggermente lanciando strida
rabbiose, lui le scagliò addosso il pesante martello, facendola cadere
a terra, tramortita. I paletti che aveva portato con sé erano affilati
come rasoi e la sua mira eccellente. Gli bastò un colpo per trafiggere
la creatura. Si alzò un fetore nauseante, e con un lampo di fuoco
l'essere sparì dissolvendosi in un pugno di cenere. Non si disintegrò
del tutto; il cranio rotolò e andò a finire contro l'osso di un braccio.
Subito dopo una nuvola di immondi esseri alati si diressero su Jonas.
Lui gridò incassando istintivamente il capo tra le spalle, ma reagì
seguendo lo stesso metodo di Mark. Dovevano colpire le creature
mentre erano in volo, abbatterle e impalarle all'istante.
Mark illuminò la stanza con la torcia. Il pavimento era rotto in
diversi punti e si vedeva la cantina sottostante.
«La maggior parte di loro sarà laggiù» gridò a Jonas. «Se abbiamo
un po' di fortuna stanno ancora dormendo.»
Jonas deglutì. «Andiamo.»
Quando trovarono le scale, Jonas rischiò di precipitare di sotto a
causa di uno scalino sfondato, ma Mark lo afferrò in tempo. La
cantina si rivelò piena di bare, alcune relativamente recenti, altre
antiche e mezze marce. «Incomincia da quelle più vecchie» disse
Mark.
«Non dovremmo farlo insieme?» chiese Jonas.
«Non vedi quante ce ne sono?»
«Uhm... già.»
«Non c'è tempo da perdere.» Mark si avvicinò a quella che
sembrava la bara più vecchia e la aprì di scatto. La donna che
dormiva all'interno era giovane e bella, vestita con un abito elegante
che evocava un'epoca e un luogo lontani. Era stata trasformata in
vampira intorno al 1700, suppose.
«Mio Dio» mormorò Jonas alle sue spalle. «Questo angelo non
può essere una creatura del demonio.»
Mark lo fissò.
La donna aprì improvvisamente gli occhi e li fissò, sgomenta e
infuriata. Le labbra si ritrassero mentre un sibilo di puro odio le
usciva di gola.
«Merda!» esclamò Jonas.
«Avresti dovuto immaginarlo» replicò Mark.
Sollevò il paletto sopra il cuore della donna proprio mentre lei
incominciava a muoversi e colpì. La bocca della vampira si riaprì ma
questa volta non ne uscì alcun suono bensì un fiotto di sangue.
Aveva mangiato di recente, pensò disgustato Mark. Il suo bel viso
cambiò rapidamente davanti ai loro occhi, si trasformò in un teschio
e poi fu solo cenere.
Qualcosa si mosse nella bara accanto. «Muoviti, dannazione!»
gridò Mark voltandosi verso Jonas.
Il ragazzo si riscosse.
«I più vecchi. Occupati prima dei più vecchi» gli ricordò Mark,
avvicinandosi al feretro da cui proveniva il rumore. Quando sollevò
il coperchio, il nobile e anziano vampiro di epoca edoardiana che
riposava al suo interno era già pronto.
Ma lo era anche lui.
La creatura non riuscì nemmeno a emettere un grido; esplose
silenziosamente, lasciando solo una nuvola di polvere nera.
Mark cominciò a muoversi più in fretta. Dopo qualche istante udì
Jonas emettere un gemito. Si voltò all'istante, preoccupato, ma il suo
compagno stava bene. Era in piedi davanti a una bara aperta, il
volto contorto in una smorfia di disgusto.
«Che schifo» mormorò. «Ne ho colpito uno bello succoso.»
Mark serrò i denti per l'impazienza. «Dannazione, muoviti! Si
stanno svegliando» sibilò senza smettere di sollevare i coperchi delle
bare, uno dopo l'altro, incurante del rumore che stava facendo.
Quando raggiunsero le ultime due casse, i vampiri erano già usciti e
pronti a dare battaglia. Jonas lanciò un grido di sorpresa quando
uno di essi lo afferrò per le spalle, preparandosi a divorarlo.
Mark estrasse la pistola carica d'acqua santa e sparò.
La creatura emise un grido orripilante. Lui prese la mira di nuovo,
ma a quel punto Jonas era tornato padrone della situazione; si voltò
con il paletto grondante di sangue e lo conficcò nel petto della
creatura che si contorceva davanti a lui.
Mark liquidò l'ultimo vampiro nello stesso modo, prima
inondandolo con un getto d'acqua santa e poi trafiggendolo con un
paletto. «Okay» disse a Jonas. «Adesso ripassiamoli uno per uno. Se
vedi una testa ancora attaccata al collo, sai cosa devi fare.»
«Come diavolo spiegheranno questa carneficina?» domandò Jonas
mentre finivano il lavoro.
«Siamo nel distretto di Sean Canady. A quanto pare ha già
sistemato situazioni simili in passato.»
«Oh, Dio» gemette Jonas. «Questo era davvero gonfio.»
Mark fece un passo indietro e illuminò la stanza. Avevano aperto
tutte le bare e distrutto almeno quaranta vampiri, ma c'era ancora
qualcosa che non quadrava. «Non riesco a capire come faccia» disse
ad alta voce.
«In che senso?» chiese distrattamente Jonas, impegnato a sistemare
l'ultimo vampiro, uno di quelli "succosi" come definiva quelli più
giovani.
«Questo posto... è finto. Stephen ha sacrificato di proposito questi
suoi seguaci. Voleva che trovassimo questo posto... che io lo
trovassi.»
«Perché?» domandò Jonas.
Possibile che fosse davvero così ingenuo?, si chiese Mark. «Perché
così può agire indisturbato da un'altra parte» rispose con rabbia,
dirigendosi verso le scale. Doveva tornare a Monstresse House il più
presto possibile.
Maggie aveva appena chiuso la comunicazione quando squillò il
telefono di Lauren. In un primo tempo lei non riconobbe la voce.
«Non parlare con nessuno. Non so dove sei né con chi sei, ma
devi venire subito da me. Hai capito?»
Era Susan, si rese conto un istante dopo. La veggente.
«No» rispose in tono brusco.
Le parve di udire un singhiozzo all'altro capo della linea, ma non
era sicura che fosse reale.
«Io sono solo una portavoce» proseguì la donna. «Ha preso Heidi.
Dice che la ucciderà e che la sua morte ricadrà su di te.»
Maggie la stava fissando con aria interrogativa.
«Non è niente» mentì Lauren.
«Vieni in piazza» continuò Susan, poi fece uno strano verso. Un
gemito di dolore, pensò Lauren. Non fare sciocchezze, non agire in
modo avventato, si disse. Era come se Stephen potesse leggere nei
suoi pensieri e si servisse di Susan per assicurarsi che lei lo sapesse.
«Puoi cercare aiuto, forse puoi addirittura sconfiggerlo, ma
Stephen vuole che tu sappia che tutto questo non conterà nulla,
perché se non andrai subito da lui, Heidi morirà.»
Come diavolo aveva fatto a prenderla?
Lauren ricordò il sogno. Stephen possedeva il potere di penetrare
nella mente.
«Con chi stai parlando?» insistette Maggie.
«Niente, è solo una telefonata da casa.»
Udì ancora la voce di Susan, questa volta ridotta a un sussurro.
«Non andare. Lui vuole te, ma tu non puoi dargli quello che vuole.
Tu...»
La voce della donna si tramutò all'improvviso in un rantolo
agghiacciante. Lauren si rese conto che Maggie la stava ancora
guardando e capì di non poter tradire la propria paura.
«Sei sicura che vada tutto bene?» indagò la signora Canady.
Lauren coprì il microfono con la mano. «Un cliente non è
soddisfatto del lavoro, tutto qui» rispose, prima di riportare
all'orecchio il telefono. Ma la comunicazione era stata interrotta.
Erano vicine all'auto di Maggie e Lauren sapeva di dover agire in
fretta, così disse: «Accidenti, non riesco a trovare il portafoglio. Deve
essermi caduto dalla borsa. Torno subito».
Rientrò di corsa in biblioteca e uscì dalla porta sul retro.
La telefonata arrivò nel momento in cui Mark e Jonas misero
piede nel porticato distrutto.
«Non capisco» gridò, convulsa, la voce di Stacey. «La casa era
protetta. Non c'era modo di entrarvi.»
«Ciò nonostante Heidi è sparita?» volle sapere Mark.
«Sì» confermò, desolata, lei.
«Lauren?» domandò, con il cuore che gli martellava nel petto.
«Dovrebbe essere di ritorno a minuti.»
«Di ritorno? Da dove?»
«È andata in biblioteca insieme a Maggie, ma stanno tornando
qui.»
«Veniamo subito anche noi.»
«Aspetta!» gridò Jonas. «E Deanna?»
«Deanna?» ripeté Mark al telefono.
«Sta bene.»
Fece un cenno affermativo a Jonas, che stava letteralmente
tremando. Eppure Mark non poté evitare di chiedersi se potesse
fidarsi di lui. Dopotutto era stato lui a indicargli la casa in cui
riposavano i vampiri. Una casa che si era rivelata una trappola.
Chiuse la comunicazione. «Andiamo» disse, correndo verso la
macchina.
Lauren prese al volo un taxi per Jackson Square.
Benché ci fosse ancora parecchia luce, presto sarebbe sceso il
crepuscolo. Era stata una splendida giornata di sole ma ora maestose
pennellate di rosa e cremisi coloravano il cielo illuminato dai raggi
del sole calante.
In fin dei conti, si disse Lauren, che cosa significava la luce, se
Stephen poteva muoversi liberamente anche in pieno giorno?
L'oscurità gli dava soltanto un potere ancor più grande.
C'erano persone ovunque e non si vedevano ancora ombre,
tuttavia Lauren sentì crescere la paura mentre si guardava intorno
nella piazza, prima di dirigersi verso il punto in cui aveva incontrato
per la prima volta Susan.
Dove aveva visto per la prima volta Stephen nella sfera di
cristallo.
Rimase in piedi di fronte alla cattedrale e sentì una brezza sfiorarle
la pelle come una gelida carezza.
Si voltò e si guardò intorno, chiedendosi come avesse fatto a non
notarla prima.
Una piccola tenda era stata montata accanto a quello che pensava
fosse il posto di Susan.
La stessa tenda rossa in cui era entrata quella prima notte, che ora
le sembrava lontana anni luce.
Con mano tremante scostò il lembo di tela dell'ingresso.
E vide Susan.
Deanna non riusciva a capire che cosa le stesse accadendo. Non si
sentiva male. Piuttosto, aveva la sensazione di essere stata...
vendicata. E si sentiva come se si fosse innamorata veramente per la
prima volta.
Di Jonas...
Quando si dice un matrimonio misto!
Tuttavia, mentre era nel soggiorno di Monstresse House ad
aspettare che lui tornasse, provava l'irresistibile impulso di andare
via. Qualcosa le diceva che doveva uscire e che non doveva dire a
nessuno dov'era diretta.
Bobby e Big Jim discutevano dall'altra parte della stanza. «Non
dovevamo fidarci di Jonas» stava dicendo il primo. «Sono certo che
Mark sarebbe già qui se non fosse per lui.»
«Lo ucciderò» dichiarò Big Jim.
Esci, esci immediatamente da quella casa, ordinò una voce nella
mente di Deanna. Vieni da me.
Poteva vederlo con gli occhi della mente. Era un uomo alto e
scuro che la invitava ad andare da lui.
«Sarà meglio che ci prepariamo a dare battaglia» disse Bobby.
«Chiamerò Sean. A quanto pare siamo arrivati alla resa dei conti.»
«Come lo sai?» gli chiese Big Jim.
«In effetti non lo so» ammise l'altro. «Però me lo sento. E ho
imparato a fidarmi del mio intuito.»
Big Jim lo fissò, poi annuì lentamente. «Già» si limitò a dire prima
di dirigersi verso il retro della casa, seguito dal giovane poliziotto.
Deanna guardò verso la porta d'ingresso.
Vieni da me. Aiutami. Ho bisogno del tuo aiuto. Ti prego...
Si guardò rapidamente intorno. Nessuno in vista.
Aprì la porta e uscì.
Susan era riversa per terra e sanguinava da una ferita alla testa. Il
sangue sgorgava copioso anche dalla gola.
Lauren soffocò un grido e si inginocchiò accanto a lei, cercandole
disperatamente il polso. Mentre lo prendeva tra le dita, compose
automaticamente il numero dell'emergenza medica sulla tastiera del
cellulare. «Susan, oh, Susan... mi dispiace tanto...» mormorò.
Quando l'operatore rispose, gli diede rapidamente l'indirizzo.
C'erano dei poliziotti lì intorno, si disse. Qualcuno l'avrebbe aiutata.
«Oh, Susan...» ripeté mestamente.
Le labbra della donna si mossero.
Lauren si chinò su di lei con il cuore in gola, animata da sentimenti
contrastanti. Quella donna era gravemente ferita, forse stava per
morire, eppure lei doveva cercare di farla parlare. Doveva trovare
Stephen e salvare Heidi.
«Lui era qui, vero? Stephen è stato qui e le ha fatto del male.
Susan, deve aiutarmi a trovarlo. Devo salvare Heidi. Dov'è la mia
amica, Susan? La prego, mi aiuti.»
Si udì una sirena. Grazie al cielo stavano arrivando i soccorsi.
«Per favore, Susan!»
Di nuovo le labbra della donna si mossero.
Lauren si chinò ancora di più e finalmente capì quello che stava
cercando di dirle: le parole che ripeteva senza interruzione erano un
indirizzo.
Judy Lockwood continuò a sferruzzare un'ora dopo l'altra,
sapendo che era meglio tenere occupate sia le mani che la mente. A
un tratto avvertì una strana sensazione e sollevò lo sguardo dal
lavoro a maglia.
Leticia si era svegliata.
Non solo era sveglia, ma stava lottando contro le cinghie che la
costringevano a letto. «L'ora è venuta» disse, guardando Judy.
La donna accorse al suo fianco. «Leticia, grazie al cielo ti sei
svegliata.»
Ma la nipote sembrava non vederla. «L'ora è venuta» si limitò a
ripetere.
«Quale ora, Leticia? Quale ora?» domandò Judy, aggrottando la
fronte.
Allora la ragazza la guardò negli occhi, come se la vedesse per la
prima volta. «L'ho visto. Stava uccidendo una donna nella piazza.»
Judy pensò che fosse il caso di chiamare un medico.
Ma non lo fece.
Telefonò invece a un'altra persona.
Mark entrò di volata nella casa, seguito a pochi passi da Jonas.
«Dov'è Lauren?» chiese a Maggie, che si limitò a fissarlo prostrata.
C'erano anche gli altri - Big Jim, Bobby e Stacey - ma non c'era
traccia di Lauren, di Heidi o di Deanna.
«Mi ha piantata in asso appena fuori dalla biblioteca» rispose
infine Maggie.
«Deanna?» gridò Jonas.
Gli altri non si mossero, distogliendo lo sguardo con aria
colpevole. Solo allora Mark si guardò intorno e si rese conto che il
grande atrio sembrava un arsenale, con armi di ogni genere disposte
in file ordinate. C'erano una quantità di pistole ad acqua, frecce e
balestre, paletti e martelli. Tutti i presenti portavano una grande
croce al collo. Erano pronti.
Ma erano soli.
Mark si voltò, pronto ad accusare Jonas, ma quando lo vide tanto
sconvolto poté solo concludere che o la sua era un'interpretazione
da Oscar, oppure era in assoluta buona fede. «Che cos'è successo
esattamente?» domandò, guardando i presenti.
«Heidi stava dormendo, e io salivo a controllarla ogni dieci
minuti» disse Stacey.
«Deanna era in soggiorno insieme a noi» aggiunse Bobby.
Mark sapeva che le due ragazze erano uscite volontariamente da
Monstresse House. Stephen non aveva avuto bisogno di entrare in
casa, ma solo nelle loro menti.
Si voltò ad affrontare Maggie con sguardo accusatorio.
Dove poteva essere andata Lauren dopo aver lasciato la
biblioteca? L'incubo che lo perseguitava da sempre riviveva negli
occhi della sua mente.
Una sposa in bianco che percorreva la navata con lo sguardo
pieno d'amore.
E poi sangue, fiumi di sangue...
«Qualcuno ha avvisato Sean?» chiese.
«Sì» rispose Maggie.
In quel momento il telefono di Mark squillò. Era Sean Canady. «In
piazza» disse il tenente. «Un'indovina è stata aggredita nel suo
padiglione.»
Mark si voltò, diretto verso l'uscita. «In piazza!» gridò.
«Aspetta!» esclamò Bobby.
Ma Mark non era disposto ad aspettare.
«Seguitemi!» ordinò.
Lauren non sapeva che cosa fare. L'ambulanza sarebbe arrivata da
un momento all'altro, ma non poteva lasciare Susan.
Eppure doveva farlo, se voleva salvare Heidi.
Non se lo sarebbe mai perdonato se Susan fosse morta, come
sembrava probabile, per aver cercato di metterla in guardia quando
Stephen era con lei.
Quell'essere era un maniaco depravato che provava piacere a
uccidere. A volte lasciava che le sue vittime tornassero in vita solo
per poter godere del loro tormento. O per formare un esercito ai
suoi ordini.
E Heidi non sarebbe mai diventata una delle vittime di Stephen se
non fosse stato per lei.
Non aveva scelta. Doveva trovarla.
Mentre usciva dalla tenda, sentì i paramedici che si avvicinavano e
pregò che non fosse troppo tardi.
Quando Mark arrivò nella piazza, la scena che si presentò ai suoi
occhi era a dir poco caotica. Un'ambulanza e due auto della polizia
erano parcheggiate in mezzo all'area pedonale. Artisti, musicisti,
cartomanti e turisti si erano radunati tutto intorno formando piccoli
capannelli; alcuni venivano interrogati dalla polizia, altri erano solo
curiosi di vedere a che cosa fosse dovuto tanto trambusto.
Mark si fece strada tra la folla fino a un agente che allontanava i
curiosi e rispondeva alle domande.
«È stata aggredita» disse uno dei passanti. «Quando l'hanno portata
fuori ho visto che era coperta di sangue.»
«È stato lo stesso killer che ha gettato quelle donne nel fiume?»
domandò un altro.
Mark decise che in un modo o nell'altro doveva salire
sull'ambulanza.
Proprio in quel momento arrivò l'auto di Sean Canady.
Vedendolo, il tenente gli fece cenno di avvicinarsi.
«Devo parlare con Susan» disse Mark. «Devo vederla.»
Si avvicinarono insieme all'ambulanza. Il portello posteriore era
ancora aperto e Susan giaceva su una lettiga all'interno.
«Le sue domande dovranno aspettare, tenente» lo avvertì il
medico. «È conciata male, ha perso molto sangue. E quella ferita alla
testa... è un miracolo che non le abbia sfondato il cranio. Siamo
pronti a partire.»
«Quest'uomo ha bisogno di rimanere un minuto con lei» disse
Canady.
«E va bene. Venga con noi, ma si renda conto che probabilmente
non ce la farà. La sua vita è appesa a un filo.»
Mark salì sull'ambulanza e prese le mani di Susan nelle proprie.
Voleva infonderle forza e pregò che la donna riaprisse gli occhi.
Non lo fece, ma le sue labbra si mossero appena.
Mark si chinò su di lei.
Susan riusciva a stento ad articolare le parole, eppure lui riuscì a
capire.
Capitolo 18
A Lauren sembrava di essere seduta in taxi da un'eternità.
La bella luce rosata del crepuscolo aveva ceduto il campo a un
rosso cupo, che a poco a poco si stava trasformando in viola. No,
non era esatto, pensò. C'era ancora luce. Una luce rosso sangue che
avvolgeva la luna come un velo di nebbia.
A un tratto l'autista si fermò e si voltò sul sedile per guardare
Lauren. «Eccoci arrivati, signorina. Sono ventidue e cinquanta.»
Arrivati? Dove?
Poi si rese conto che si trovavano davanti a quella che un tempo
doveva essere stata una residenza signorile poi distrutta dall'uragano.
L'intero quartiere era stato allagato in seguito al passaggio di Katrina.
Ecco perché non c'erano luci all'infuori di un unico lampione,
considerò Lauren. Il collegamento alla rete elettrica però doveva
essere difettoso, oppure la lampadina si stava guastando, perché la
luce andava e veniva.
«Sono ventidue e cinquanta» ripeté il taxista. «Senta, signorina, qui
mi ha chiesto di essere lasciata e qui l'ho portata. Mi dia il denaro e
scenda dall'auto. Se è così folle da fermarsi, si accomodi. Altrimenti
sono altri ventidue e cinquanta per tornare alla civiltà.»
Lauren frugò nella borsetta alla ricerca dei soldi e infilò due pistole
a spruzzo nella cintura dei jeans, coprendole con le falde della
giacca. Quindi pagò il tassista, ma a quanto pareva aveva esitato un
po' troppo per i suoi gusti.
«Signorina, io me ne vado da qui» le disse infatti.
«Sì, certo. E grazie. Mille grazie per la gentilezza» replicò lei.
Era a malapena scesa dal taxi che l'uomo diede gas e schizzò via.
Lauren rimase ferma sul marciapiede, a osservare l'edificio.
Doveva essere stata una casa bellissima un tempo. Mentre si
avvicinava, notò un cartello sbiadito che illustrava il complesso di cui
avrebbe fatto parte. L'avevano chiamato Arcadia. Eleganza antica
con tutti i comfort moderni, diceva il cartello. Ogni palazzina era
una variante della costruzione originale, quella che aveva di fronte.
Doveva avere circa duecento anni ed era stata meticolosamente
restaurata.
E poi abbandonata.
Mentre se ne stava lì al buio a fissare la casa, notò che c'era una
luce all'interno. Una luce tenue, che si intravedeva appena dietro le
tende che schermavano le finestre.
Lauren strinse tra le dita la croce che le aveva dato Mark. Aveva
un terribile bisogno di farsi forza. Le tremavano le gambe e avvertì
un fremito di paura, ma sapeva che non poteva tirarsi indietro.
In quel momento la notte cambiò all'improvviso.
Il cielo si oscurò, e quando sollevò lo sguardo le parve che la luna
fluttuasse in un mare di rosso.
L'oscurità che la circondava sembrava precipitarsi verso di lei e
ritrarsi, animata da ombre gigantesche, che cambiavano
continuamente forma, si addensavano, si avvicinavano.
Il sussurro della brezza, dapprima lieve e sommesso, si fece più
forte, assordante, fino a trasformarsi in una risata roca e sensuale che
sembrava risuonare tutt'intorno a lei.
Lauren rabbrividì, sentendo i capelli sollevarsi come se una delle
ombre le avesse sfiorato il viso.
Strinse i denti e lottò contro l'impulso di fuggire. Il suono si fece
più intenso, la risata più rumorosa.
Si sentì tirare per i capelli, spingere.
Le ombre iniziarono a prendere forma e poi, tutto a un tratto, di
fronte a lei si materializzarono delle persone: erano almeno una
dozzina, tutti uomini vestiti di nero dalla testa ai piedi: jeans,
pantaloni di tela o completi da uomo, T-shirt, polo e camicie, tutti
dello stesso colore. Alcuni erano giovani, altri meno. E avevano l'aria
divertita.
Uno di loro si fece avanti. Era Stephen. Più alto e scuro degli altri,
indossava un'ampia camicia con maniche a sbuffo, pantaloni attillati
che gli modellavano le gambe muscolose e stivali neri. «Benvenuta»
disse.
«Risparmiati il benvenuto. Sai bene che non volevo venire qui. Ma
tu hai preso la mia amica.»
«Le ho prese tutte e due, in effetti, e se sarai fortunata e ti
comporterai bene, vivranno entrambe. Vieni da me. Avvicinati.»
«No.»
Lui si strinse nelle spalle. «Prendetela» ordinò in tono pacato.
Il cerchio si strinse attorno a Lauren, tanto che poté sentire il fiato
fetido del vampiro che le stava alle spalle solleticarle la nuca.
In preda al panico, si rese conto che doveva agire... o morire.
Preferì entrare in azione. Tirò fuori le pistola ad acqua e
incominciò a sparare. Piroettò su se stessa per sbarazzarsi della
creatura che le alitava sul collo, mirando dritto in mezzo agli occhi.
Si levò un puzzo nauseante di carne bruciata. Il vampiro gridò, e
mentre sfrigolava e bruciava cercò di tramutarsi nuovamente in
ombra. Ci riuscì parzialmente: Lauren vide un pezzo di cranio e delle
ali.
Sparò ancora finché la creatura non crollò ai suoi piedi. Mentre la
scavalcava, i resti esplosero in una nuvola di cenere nera. Doveva
essere un vecchio vampiro, pensò. Molto vecchio.
Cenere alla cenere. Polvere alla polvere.
Gli altri ripresero ad avanzare e lei girò su se stessa, sparando
all'impazzata e cercando di prendere la mira con cura nonostante il
panico minacciasse di sopraffarla, perché sapeva di non poter
sprecare le munizioni. Non aveva la minima idea di quanto sarebbe
durata la riserva d'acqua santa. La notte sembrava costellata di
esplosioni, gemiti di dolore e grida furiose. La cacofonia salì in un
crescendo agghiacciante; tutt'intorno a lei c'erano fuoco, fumo, e una
pioggia di cenere sporca.
A un tratto risuonò un ruggito infuriato. «Adesso basta!»
Era Stephen.
«Non possiamo prenderla mentre spara» disse uno dei suoi servi.
Lauren non riuscì a capire da dove provenisse la voce e si girò
cercando di identificare la creatura che aveva parlato, smaniosa di
vederla morire.
Ma Stephen tuonò ancora una volta. «Basta!»
All'improvviso tutto fu silenzio intorno a lei.
Le ombre tornarono a prendere forma. Erano rimasti in piedi
soltanto cinque vampiri, che fecero quadrato attorno al loro capo.
«Deporrà le armi» affermò Stephen.
«Perché dovrei?» ribatté Lauren.
Lui sorrise. «Perché altrimenti le tue amiche moriranno. Le
ucciderò lentamente, una alla volta. Prima la biondina, poi la
bellezza bruna. Le vedrai soffrire, e ti prometto che le sentirai gridare
e maledirti prima di morire.»
Lauren lo fissò, pietrificata dal terrore.
«Posa le armi, mia cara» continuò Stephen con voce suadente,
prima di tuonare con improvvisa violenza: «Subito!».
Tempo.
Il tempo era il fattore chiave, Mark lo sapeva.
Fino a quel momento Stephen aveva giocato con lui come il gatto
col topo, senza badare a quanti suoi simili avrebbe sacrificato per
quell'ultimo spettacolo finale. Aveva programmato tutto perché
scoprisse il suo covo, alla fine, e aveva fatto sì che accadesse quando
era ormai a un passo dalla disperazione.
Aveva orchestrato tutto per costringerlo a presentarsi da solo al
rendez-vous, e lui non aveva modo di evitarlo.
Scese dall'ambulanza e si dileguò tra la folla.
Poteva vedere Canady nell'occhio del ciclone, che faceva
domande e diramava ordini ai suoi uomini. Lo chiamò al cellulare.
«Canady.»
«Mark.»
«Dove diavolo sei?»
Mark non perse tempo a rispondere. Diede al tenente un indirizzo
e gli disse che si stava recando lì.
«No! È quello che vuole da te.»
«Lo so, ma non ho alternative» ribatté lui, e chiuse la
comunicazione prima che Sean potesse protestare. Poi chiamò
Monstresse House e riferì l'informazione che aveva ricevuto da
Susan. «Ditelo a Jonas. Lui può arrivare sul posto più in fretta»
concluse.
Si infilò in tasca il cellulare, e partì di corsa.
Lauren stava ancora fissando Stephen quando vide la porta della
casa aprirsi. Sconvolta, vide Heidi e Deanna scendere lentamente gli
scalini e fermarsi di fianco al vampiro.
«Vogliamo entrare?» suggerì Stephen.
Lauren ignorò l'invito e si rivolse alle amiche. «Che cosa ci fate
qui?»
Nessuna delle due diede segno di averla sentita.
Stephen le rivolse un sorriso altezzoso. «In realtà sono felici di
essere con me. Sono due ragazze adorabili...» Sfiorò con le dita la
guancia di Deanna. «Una vera bellezza, e sono sicuro che ha molto
talento. E la biondina... adoro le bionde dalla carnagione chiara.»
«Una volta posate le armi, saremo tutte e tre in tuo potere»
disse Lauren.
«Un taxi ha portato te fin qui e un taxi potrà portare indietro
loro» replicò Stephen con lo stesso tono gentile con cui avrebbe
accompagnato degli ospiti in procinto di andarsene anzitempo da
una festa.
Lauren serrò la presa sulle pistole e notò un lampo di collera
attraversare il volto del vampiro. «Voglio delle garanzie.»
«Tu non hai il diritto di chiedere niente» le rispose con freddezza
Stephen.
«Prima devi lasciarle andare. Entrambe.»
Erano in una situazione di stallo, pensò Lauren mentre si
fronteggiavano in silenzio. Valutò le proprie possibilità nel caso in
cui avesse deciso di sparare l'acqua santa contro Stephen fino
all'ultima goccia, ma non sapeva se ne aveva abbastanza.
Cinque dei suoi seguaci erano ancora "vivi". E lui era fortissimo, in
grado di guarire da ferite che avrebbero ucciso una creatura più
vulnerabile.
La mente di Lauren non aveva ancora terminato di formulare il
pensiero, che Deanna fece un passo avanti e senza dire una parola si
piazzò davanti a Stephen, come se volesse fargli scudo a costo della
propria vita.
«Vogliamo entrare?» ripeté Stephen.
«No, finché le mie amiche non saranno al sicuro, lontano da te.»
Lui si strinse nelle spalle. «Hai il cellulare: chiama un taxi.»
Lauren esitò, poi infilò una delle pistole nella cintura e, tenendolo
sotto tiro con l'altra, infilò la mano in tasca per prendere il telefono.
Stephen si limitò a fissarla sorridendo educatamente mentre
chiamava il taxi e chiudeva la comunicazione.
«È stato così difficile trovarti, Lauren» le disse mentre il suo sorriso
diventava più smagliante. «Eppure in qualche modo sapevo che eri
da qualche parte. Devo aver avvertito la tua presenza appena
arrivato a New Orleans. Poi ti ho vista attraverso la sfera di cristallo
e da allora ti ho aspettata con pazienza, desiderandoti
ardentemente.»
«Aspettata con pazienza?» replicò lei. «Interessante. Io direi invece
che scorrazzavi per la città in cerca di donne da sedurre.»
«Solo per avere la tua attenzione.»
«Be', la mia attenzione ce l'hai. Quello che non hai è la mia
fiducia.»
«Hai chiamato tu stessa il taxi» le ricordò lui. «Chissà? Magari
quello che ti ha appena lasciata qui farà inversione a U e tornerà a
prenderti.»
«O forse riferirà di questo posto alle forze dell'ordine.»
«Spero proprio di no. Non vorrei uccidere un intero corpo di
polizia» replicò il vampiro in tono mondano.
«Immagino tu abbia scoperto, ormai, che i poliziotti locali sanno
esattamente chi e che cosa sei.»
«Stai cercando di prendere tempo» mormorò Stephen. «Ti aspetti
che Mark arrivi a salvarti in sella a un bianco destriero, come un eroe
dei vecchi tempi. Ma ormai avrai intuito la verità. Io sono stato
calunniato. È lui il bugiardo, il malvagio.»
«Non ti credo.»
Stephen si strinse nelle spalle. «Mi crederai.»
Un improvviso bagliore la fece sobbalzare. Si girò, sorpresa,
schermandosi gli occhi con la mano e vide i fari di una macchina che
si avvicinavano.
Il taxi era arrivato.
Stephen alzò le braccia. Muovendosi come zombi, Deanna e Heidi
si incamminarono verso l'auto. Lauren fissò Stephen con diffidenza.
«Parla tu stessa all'autista, mia cara. Dopo però mi consegnerai
quel giocattolo ed entreremo insieme in casa.
Altrimenti non permetterò al taxi di partire con le tue amiche.»
Lauren sentiva le dita prudere sul grilletto, ma non osò sparare.
Cinque vampiri erano ancora al fianco di Stephen, e sapeva che
nessuno di loro avrebbe esitato a uccidere il tassista e le ragazze.
Si avvicinò all'auto insieme a Stephen. «Le signore devono tornare
in Bourbon Street» disse lui in tono cortese, porgendo all'uomo una
banconota di grosso taglio. «Faccia in modo che ci arrivino sane e
salve, per favore.»
Dopo che Heidi e Deanna furono salite, si assicurò che la portiera
posteriore fosse ben chiusa e bussò sul tettuccio della vettura. Il taxi
partì.
Un secondo dopo, Lauren si sentì strappare la pistola dalla mano.
«Andiamo.»
Aveva ancora la croce al collo, ricordò a se stessa.
E anche gli stuzzicadenti.
Si trovava nella tana del mostro e tutto quello che aveva erano
degli stuzzicadenti!
Mark arrivò appena in tempo per vedere le due ragazze salire sul
taxi, e Stephen che passava un braccio attorno alle spalle di Lauren
conducendola verso la casa.
Rimase immobile, cercando disperatamente di mantenere il
controllo; se voleva salvarla, non poteva agire precipitosamente. Era
quello su cui contava Stephen. Se avesse giocato troppo in fretta le
sue carte, avrebbe perso di sicuro. Inoltre, doveva stare molto
attento a non tradire la propria presenza, perché se i servi di Stephen
lo avessero scoperto tutto sarebbe stato perduto.
Mentre aspettava il momento propizio, lanciò un'occhiata al
conducente del taxi e imprecò silenziosamente.
Non era un uomo. Non nel senso consueto del termine, almeno.
Lauren si era sacrificata solo perché Heidi e Deanna diventassero un
pasto prelibato...
Maledicendo la sorte, cercò di farsi coraggio pensando che se
Stephen conosceva lui, lui conosceva altrettanto bene Stephen.
Aspettò ancora qualche istante.
Poi seguì il taxi.
Aveva ancora la croce, pensò Lauren, ma non osava toccarla; non
voleva che Stephen ricordasse che la portava al collo. Pregò che
all'arrivo dell'ambulanza Susan fosse riuscita a parlare e a dire a
qualcuno dov'era andata.
«Vieni, accomodati» la incoraggiò Stephen con galanteria, come se
lei avesse finalmente accettato un appuntamento e lui volesse fare
del suo meglio per sedurla.
Entrò in casa. La luce che aveva visto dall'esterno proveniva da
un'infinità di candele disposte sul pavimento. Non c'era nient'altro,
nemmeno un mobile. Solo ombre, sussurri e battere d'ali.
A un tratto il soffitto parve prendere vita. Con un tuffo al cuore,
Lauren si rese conto che almeno una trentina di vampiri si
nascondevano nel buio della casa.
«Il mio vero regno è la cantina» spiegò Stephen. «Credo che la
troverai molto invitante.»
«Tu dici? Perché io invece trovo molto più attraente una spiaggia
inondata dal sole.»
Stephen sorrise. «Vedrai.»
Fece un cenno con la mano e la sala vuota parve prendere vita
mentre le ombre calavano a terra e le ali diventavano piedi che si
posavano sul pavimento di legno.
«Andate» ordinò Stephen. E tutti cominciarono a muoversi,
prendendo posizione all'esterno.
«Scendiamo» la invitò Stephen, aprendo una porta.
Dalla cantina proveniva altra luce. Ancora candele, pensò Lauren,
scendendo le scale.
Laggiù sarebbe stata sola con lui e forse avrebbe avuto l'occasione
di ucciderlo... O forse Stephen avrebbe smesso di giocare e le
avrebbe affondato i canini nel collo.
Allontanò quel pensiero dalla mente e cercò di concentrarsi sulla
fuga. L'istinto di sopravvivenza era una forza incredibile, si disse, e lei
era determinata a sfruttarlo appieno.
La cantina era stata trasformata in un elegante salone, C'erano
comodi divani e un tavolo da biliardo, separato dalla zona salotto
da colonne di sostegno. Una musica soft proveniva da chissà dove e
in un angolo della stanza campeggiava un televisore con lo schermo
gigante. Lauren si chiese se ci fosse un generatore di corrente.
Stephen la condusse verso uno dei sofà. Lauren non aveva alcuna
voglia di sedersi, ma sapeva che lui non le avrebbe lasciato scelta.
«Guarda lo schermo.»
«No.»
«Hai paura.»
Rifiutandosi di rispondere, voltò deliberatamente il capo, ma lui le
prese il mento tra le dita e la costrinse a guardare mentre un viso di
donna compariva in primo piano.
Era come se si stesse guardando allo specchio. «Devi capire» disse
Stephen, «che lei era mia, lo è sempre stata. Avevo messo gli occhi su
Katja sin da quando era bambina, l'avevo vista crescere. Ero
innamorato di lei. Poi... lei venne qui.»
Sullo schermo apparve il Quartiere Francese in una serie di vecchie
fotografie. Non c'erano auto né taxi, niente luci al neon. Le strade
non erano asfaltate né lastricate e vi passavano le carrozze. Uomini e
donne in abiti del diciannovesimo secolo passeggiavano davanti alle
vetrine; gli uomini portavano la mano alla tesa del cappello quando
incontravano una signora...
E c'era anche lei!
Solo che non era lei. Era un'altra donna. Katja. Passeggiava
insieme a Mark, che aveva i capelli più lunghi e le basette,
posandogli sul braccio la mano delicatamente avvolta in un guanto
bianco. Lui rideva mostrandole qualcosa in una vetrina.
La scena cambiò. Erano in un castello e un fuoco vivace ardeva nel
camino. C'era un divano ricoperto da una pelliccia... E la donna,
Katja, era sdraiata sul divano con un uomo che sembrava Stephen.
Erano insieme, nudi, e facevano l'amore...
Lauren fissò inorridita la scena.
A un tratto lo schermo diventò nero e una voce aspra e piena di
collera tuonò: «Non è affatto così che sono andate le cose».
Lauren si voltò verso le scale con il cuore in tumulto. Mark era lì,
e non era solo: alle sue spalle c'erano Heidi e Deanna.
«Guarda!» esclamò Stephen, alzandosi con un sorriso trionfante. «È
lui il malvagio! Io avevo lasciato andare le tue amiche, e lui invece le
ha rese sue schiave.»
Mark continuò a scendere gli scalini, seguito dalle due donne. Si
muovevano ancora come zombi, pensò Lauren.
«Dille la verità, Mark, o non ne hai il coraggio?» disse Stephen in
tono di scherno.
«La verità? Perché non la dici tu, una volta tanto? Non hai mai
avuto intenzione di liberare Heidi e Deanna. Le hai consegnate a
uno dei tuoi lacchè come ricompensa per averti servito.»
Lauren non si era resa conto che Mark teneva qualcosa dietro la
schiena finché non la gettò ai piedi di Stephen. E malgrado tutto
quello che aveva già visto, lanciò un grido.
Era la testa mozzata del tassista.
Stephen ignorò il macabro trofeo e fissò il rivale. «Lei mi
appartiene, adesso. Così come mi apparteneva Katja.»
«Hai avuto Katja solo perché hai usato il potere malvagio che ti
tiene in vita per sedurla. Non si è data a te di sua spontanea volontà.
Tu non l'hai mai veramente avuta. E non hai mai potuto sopportare
che sia tornata da me.»
Stephen si voltò verso Lauren. «Non sono stato io a uccidere
Katja.»
Lauren non sapeva più a cosa credere. Che Mark non le avesse
detto la verità - non tutta, per lo meno - le era chiaro da tempo.
Passò lo sguardo dall'uno all'altro un paio di volte, confusa. Poi il
momento di indecisione passò e lei comprese che cosa doveva essere
successo in passato. Al tempo stesso, non capiva come mai Mark non
si rendesse conto che erano in grave pericolo. Heidi e Deanna non
sarebbero state di alcun aiuto in uno scontro. Anzi, con tutta
probabilità si sarebbero rivoltate contro di lui e avrebbero cercato di
ucciderlo.
Parlò lentamente, rivolgendosi a Stephen. «So che è stato il padre
di Mark a uccidere Katja. L'ha fatto perché aveva scoperto che sua
figlia era una vampira. Forse sapeva anche che lei a sua volta aveva
trasformato Mark in vampiro. Ma sei stato tu a causare la sua morte.
Sei stato tu a ucciderla, facendola diventare una vampira. Era l'unico
modo in cui potevi averla. Forse all'inizio hai cercato semplicemente
di sedurla... ma hai fallito. Così l'hai contaminata e poi l'hai uccisa
per renderla uguale a te. Ma il tuo piano non funzionò, perché una
volta tornata in vita lei ti disprezzava ancora. Tornò da Mark, che
l'amava ancora ed era disposto ad amarla nonostante tutto.»
Stephen emise una specie di gemito e Lauren cercò di nascondere
il brivido che la scosse mentre lui la fissava. Era così vicino.
Avrebbe potuto ucciderla nel giro di pochi secondi.
«La verità è che io ho il potere, il potere più grande.»
«Tu non sai che cosa sia il vero potere» lo sfidò Mark.
«L'unica questione, adesso, è chi uccidere per primo» mormorò
Stephen.
Poi scattò, più veloce della luce. Lauren gridò, certa che i suoi
canini le avrebbero lacerato la gola. Ma proprio quando era
convinta di non avere più speranze, e che nessuno avrebbe potuto
salvarla, la stanza parve esplodere. L'oscurità piombò fra loro come
un'ala gigantesca.
Ma non era l'oscurità, era Mark. Si lanciò contro Stephen e la
forza dell'impatto fece volare l'altro attraverso la stanza. Per un
istante Lauren provò una sensazione di trionfo, che tuttavia si spense
subito perché Stephen si rialzò in un lampo.
Peggio ancora, Heidi e Deanna si alzarono in volo ululando come
banshee, e mentre Mark e Stephen erano avvinghiati in una lotta
furiosa, Lauren si trovò costretta a fronteggiare le sue migliori
amiche, che sembravano entrambe intenzionate a ucciderla. Heidi
era così minuta che le fu sufficiente una spinta per sbarazzarsi di lei,
mentre Deanna, che era alta e forte, riuscì ad afferrarla per la gola.
Frugando disperatamente nella tasca, Lauren trovò gli
stuzzicadenti. Riuscì a prenderne uno tra le dita e lo conficcò nella
gabbia toracica di Deanna.
Con sua grande sorpresa, le dita che le stringevano la gola
allentarono la presa.
Quando Heidi tornò alla carica, colpì anche lei. Poi, armata di
uno stuzzicadenti per mano, le fronteggiò entrambe, perlustrando la
stanza con lo sguardo per vedere dove Stephen avesse lasciato
cadere la pistola ad acqua.
Quando la individuò sul pavimento, poco lontano, si tuffò in
quella direzione. Riuscì ad afferrarla, rotolò lontano e sparò alle sue
amiche. Gridando, le due ragazze si rifugiarono in un angolo della
stanza, abbracciandosi e fissandola come se fosse una creatura degli
inferi.
Lauren si girò. Mark e Stephen stavano ancora lottando, e la
battaglia era così furiosa che volavano letteralmente da una parte
all'altra della stanza. Stephen si aggrappò alle travi del soffitto,
scalciando per tenere a distanza Mark che cercava di agguantarlo.
Quando Mark, schivando i colpi dell'avversario, riuscì a piombargli
addosso, l'intera casa parve tremare per la violenza dell'impatto.
Si sollevò una nube di polvere e l'oscurità avvolse la stanza
insieme a un vortice d'aria calda, mentre Stephen respingeva l'attacco
con tutte le sue forze.
Lauren pensò di essere impazzita, perché le parve di vedere delle
ali, poi dei lupi, occhi gialli che scintillavano come oro, canini che
grondavano saliva, pellicce in volo...
A un tratto si voltò, avvertendo una presenza alle proprie spalle.
Deanna aveva ripreso coraggio e si stava lanciando su di lei nel
tentativo di azzannarla alla gola.
Lauren non ebbe bisogno di difendersi perché, prima che Deanna
la toccasse, qualcun altro fece irruzione nella stanza.
Jonas.
«Deanna!» Al suo grido la ragazza si immobilizzò.
In quel momento Lauren sentì qualcuno ghermirla alle spalle.
Voltandosi di scatto, si trovò di fronte Stephen.
Vide i suoi canini aguzzi scintillare, pronti ad azzannarla alla gola.
Un istante dopo il vampiro fu strappato da lei e qualcosa di enorme
e di scuro esplose nella stanza.
Un lampo accecante rischiarò la stanza per un istante,
permettendole di vedere Mark che afferrava Stephen e lo
costringeva in ginocchio stringendogli il capo in una morsa e
torcendogli il collo. Poi una detonazione assordante fece tremare le
pareti.
Stephen era esploso.
Lauren tossì e lottò per riprendere fiato, barcollando all'indietro.
Mentre la polvere si diradava, vide che Mark era rimasto in piedi,
benché fosse ferito e sanguinante.
Un secondo dopo lui crollò al suolo.
Lauren si precipitò verso di lui e si lasciò cadere sulle ginocchia.
Con le falde della camicia gli tamponò il sangue che usciva dalle
ferite alle braccia e alla fronte, solo vagamente consapevole della
voce di Deanna, poco distante, che chiedeva confusa: «Dove diavolo
siamo? Jonas!».
Ma lui stava già accorrendo al fianco di Lauren. Si inginocchiò
accanto a lei.
«Sta morendo! » gridò Lauren.
Jonas le strinse la mano in un gesto rassicurante. «No, non morirà.
Vedi? Sta già guarendo.»
Lauren si alzò, allontanandosi da lui. «Come hai fatto a entrare?
Come ha fatto Mark a entrare qui? C'erano dozzine di... loro fuori.
Ma voi... anche voi due siete come loro, vero?»
Jonas si alzò in piedi e la guardò negli occhi. «Sì, sono un
vampiro» ammise. «Ma non sono come loro. Che cosa devo fare per
provartelo?»
Un gemito giunse dal basso. Era Mark.
Lauren tornò a inginocchiarsi accanto a lui e lo aiutò a mettersi
seduto, poi lo fissò sbalordita. La ferita sulla fronte sembrava già più
piccola e non sanguinava più.
Mark fece una smorfia e chinò il capo sotto il suo sguardo. «Avrei
dovuto dirti la verità fin dall'inizio. Solo che c'erano così tante cose
che dovevi accettare e comprendere prima... »
Lauren indietreggiò. «Siamo ancora in pericolo. Ci sono almeno
una dozzina di vampiri là fuori.»
«È tutto a posto. Siamo al sicuro» cercò di tranquillizzarla Jonas.
«Non ti credo» ribatté Lauren. Era terrorizzata e tremava come
una foglia, cosa che la irritava oltre misura.
Era felice che Mark fosse vivo.
Eppure l'aveva appena visto staccare la testa di un uomo come se
fosse il tappo di una bottiglia, pensò. No, non era la testa di un
uomo si corresse subito. Era la testa di un vampiro malvagio.
Con un gemito di impazienza, Jonas prese la pistola ad acqua e
gliela tese. «Avanti. Sparami.»
Vedendo che rimaneva a fissarlo inorridita, voltò la canna
dell'arma verso il proprio petto e premette il grilletto.
Deanna gridò.
Non successe nulla, a parte il fatto che Jonas era bagnato.
Poi lui puntò la pistola contro Mark e gli sparò in pieno viso.
Mark sussultò e gli rivolse uno sguardo feroce. «Vieni fuori» disse a
Lauren con voce ferma. Vedendo che lei non si muoveva, stupita dal
fatto che l'acqua santa non avesse alcun effetto su di lui, spiegò
succintamente: «Noi siamo buoni. L'acqua santa non può farci male.
Andiamo, adesso».
Si rialzò senza chiederle aiuto e si diresse verso le scale.
A Lauren non restò che seguirlo.
Deanna le lanciò un'occhiata diffidente e anche Heidi rabbrividì
mentre le passava davanti.
La sala al piano di sopra era deserta e immersa nel buio. Le
candele si erano spente, ma non aveva importanza. Lauren sentiva
che non c'era nessuno.
Seguì Mark all'esterno.
La luna non era più velata di rosso; era soltanto un grande disco
che splendeva nel cielo.
Si guardò intorno e rimase colpita dallo spettacolo che si presentò
ai suoi occhi.
C'era Big Jim, con una lunga lancia di legno grondante sangue in
una mano e nell'altra un machete.
Accanto a lui, Stacey imbracciava una gigantesca pistola ad acqua,
simile a un Uzi giocattolo. Poco lontano scorse Sean e Maggie,
Bobby e l'altro poliziotto che aveva fatto la guardia a Deanna
quando era all'ospedale.
Stupita, notò anche un'anziana donna di colore che impugnava
una grande croce e un machete, e accanto a lei un ragazzo di colore
e una bellissima donna, anche lei nera. Lauren ricordò di averla già
vista all'ospedale. Era l'infermiera di Deanna, quella che era
impazzita... anche se in quel momento sembrava stesse bene.
La donna anziana avanzò verso di loro. «È tutto finito, allora?»
chiese a Mark.
Lui la prese per mano, attirandola vicina. «Sì, è tutto finito, Miss
Lockwood. Grazie.»
«Le avevo detto che sapevo che cosa avevamo di fronte» replicò la
donna, allontanandosi e scuotendo l'indice con aria di rimprovero.
«Dovrebbe avere un po' più di fiducia nella gente, sa?»
«Ha ragione, ma'am.» Mark guardò Sean. «Come spiegherai tutto
questo?»
Lauren si guardò intorno e ansimò, scossa da un brivido. Nel
cortile c'erano mucchi di polvere e tracce di sporco ovunque,
parecchie ossa e persino un cadavere decapitato.
«Credo che sarebbe una sorta di giustizia poetica se facessimo
ricadere la colpa sul tassista» propose Sean. «Anche se dovrò spiegare
come ha fatto a finire decapitato.»
«Andiamo, Sean» protestò Maggie. «A volte sei così...»
Il tenente sospirò. «Maggie, quel tizio aveva una falsa identità. Il
suo vero nome era Wayne Girard. Qualche tempo fa è stato
dichiarato colpevole di ventisette omicidi, ma è riuscito a fuggire,
probabilmente con l'aiuto del nostro amico Stephen. Dovrò essere
molto convincente, tuttavia sono sicuro di poter addossare a lui la
colpa.»
Lauren si avvicinò ai Canady e alla gente di Monstresse House.
Tutti la abbracciarono con affetto.
«Poliziotto di giorno, acchiappavampiri di notte» scherzò Bobby,
ammiccando.
«Tutti voi dovete sparire immediatamente» ordinò Sean. «Tranne
tu, Bobby Acchiappavampiri. Mi aiuterai a ripulire questo macello.
Altre pattuglie sono in arrivo.»
Maggie gli diede un rapido bacio sulla guancia prima di dirigersi
verso la propria auto. A quel punto anche gli altri erano usciti dalla
casa e Mark fece cenno a Deanna e a Heidi di avvicinarsi.
«Voi tre» disse, includendo Lauren, «andate con Maggie. Jonas e io
torneremo per conto nostro.»
«Jonas...» mormorò Deanna.
«Non preoccuparti per lui» la rassicurò Maggie. «Salite in macchina.
Sarà più facile per Sean e Bobby se ci togliamo di torno.»
Deanna scambiò un lungo bacio con Jonas prima che Maggie la
prendesse per un braccio e la trascinasse verso l'auto.
Mentre si allontanavano, Lauren si voltò a guardare indietro.
Mark e Jonas erano ancora con Sean e Bobby. Forse avevano
intenzione di aiutare a ripulire, ma come avrebbero spiegato la loro
presenza agli altri poliziotti in arrivo?
Deanna doveva aver pensato la stessa cosa, perché chiese in tono
preoccupato: «Che cosa diranno gli altri agenti vedendo Mark e
Jonas?».
«Non li vedranno» rispose Maggie.
«Voleranno via» intervenne Heidi in tono vivace.
Lauren si aspettava che Maggie la contraddicesse.
Ma non fu così.
Era tutto finito, pensava Mark.
Era tornato a Monstresse House molto tardi e tutto era tranquillo.
Era stato a lungo sotto la doccia cercando di liberarsi non solo
dello sporco, ma anche di tutto l'odio e l'amarezza che avevano
guidato così a lungo la sua vita. Continuava a ripetersi che era tutto
finito ora che Stephen era morto.
Eppure si sentiva svuotato. Prosciugato.
Quando uscì dal bagno, vide che le ferite erano già guarite. Ma
non era l'esterno che importava.
Si sentiva come se qualcosa lo dilaniasse dentro.
Avrebbe dovuto dirglielo.
Non era stato onesto, e lei l'aveva scoperto da sola. Così l'aveva
persa.
In realtà non l'aveva mai avuta veramente.
Si distese sul letto, grato di poter tenere aperta la portafinestra che
si affacciava sulla balconata e di sentirsi accarezzare dalla brezza
leggera. Forse, una volta chiusi gli occhi, non avrebbe avuto più
incubi.
Non l'avrebbe più vista venire verso di lui, tutta vestita di bianco.
Non avrebbe più visto il suo sorriso.
Katja l'aveva amato, si era fidata di lui al punto di rivelargli la
verità su quanto era successo. E anche se in un primo tempo lui non
le aveva creduto, aveva avuto fiducia in lei. Così aveva combattuto
contro Stephen, che l'aveva trasformato in vampiro. Dapprima il suo
mortale nemico aveva goduto di quell'impresa, finché non si era reso
conto che a loro due non importava. Si sarebbero sposati
ugualmente e l'avrebbero fatto in chiesa.
Finché Katja era stata all'oscuro di tutto e vulnerabile, Stephen era
riuscito a ipnotizzarla, ma non aveva potuto fare più nulla dopo che
lei si era resa conto di cosa era diventata e di quello che lui stava
facendo. Katja aveva una volontà d'acciaio.
Ma suo padre...
Dio, suo padre! Così forte, così amorevole e orgoglioso del figlio.
Gli aveva raccontato cosa era successo, ma lui non avrebbe mai
immaginato che sarebbe stato disposto a dare la vita per distruggere
la sua promessa sposa. Il pover'uomo non sapeva che anche suo
figlio era stato trasformato in vampiro, e che esisteva un modo di
combattere la natura malvagia degli esseri che erano diventati.
E adesso?, si chiese.
Adesso che era tutto finito, Lauren sarebbe partita. Sarebbe
tornata a casa con Heidi, mentre Deanna sarebbe rimasta con Jonas,
che si era rivelato onesto e sincero.
Mark chiuse gli occhi; aveva bisogno di dormire. Doveva smettere
di tormentarsi.
A un tratto si immobilizzò, sentendo la porta che si apriva. Sollevò
cautamente una palpebra.
Lauren si stava avvicinando silenziosamente al letto. Profumava di
sapone, shampoo e infinita dolcezza. Indossava una camicia da notte
di seta bianca e i suoi capelli erano come un cielo incendiato dal
tramonto.
Si fermò, poi si sdraiò al suo fianco e si appoggiò a un gomito,
guardandolo. «Non azzardarti mai più a nascondermi la verità l'assoluta, completa, totale verità» disse.
Mark aprì gli occhi. Lei aveva parlato in tono deciso, ma le sue
labbra erano incurvate in un tenue sorriso. «Lauren...»
«Taci e ascolta. Credo di non aver mai avuto tanta paura in vita
mia come quando sono arrivata in quella casa stanotte. Ma poi... Poi
ho creduto di averti perso e il dolore è stato dieci volte più forte
della paura. Il punto è questo, Mark: non cercare di proteggere i
miei sentimenti. Nemmeno se dovessi arrabbiarmi.»
«Temevo che ti saresti ben più che arrabbiata se ti avessi detto
tutta la verità sul mio conto» mormorò lui.
«Lo ammetto, a un certo punto ho avuto paura di te. Tuttavia
credo che siamo arrivati a conoscerci abbastanza bene, anche se è
successo in un arco di tempo ridotto. Breve, ma molto intenso.»
Mark sorrise e si voltò verso di lei. «Non ti avevo detto di non
uscire da questa casa per nessuna ragione?» le domandò
bruscamente.
«Dovevo farlo» protestò lei.
«Non senza dirmelo.»
«Tu me l'avresti impedito.»
«Ci puoi giurare.»
Lauren sorrise e abbassò lo sguardo per un istante prima di tornare
a guardarlo negli occhi. «Sul serio... non potevo rischiare la vita di
Deanna e Heidi. E non sappiamo ancora se Susan se la caverà.»
«Io credo di sì» ribatté con fermezza Mark.
«Il punto è...»
«Il punto è che non mi dai ascolto.»
«Il punto è che d'ora in poi voglio che tu mi dica sempre la verità.»
«Già, perché le persone intelligenti sono disposte a credere che i
vampiri esistono, vero?» ribatté lui con un sorriso ironico.
«Quando non possono fare a meno di vedere quello che hanno
davanti agli occhi, sì» mormorò Lauren.
«D'ora in avanti, giuri che mi avviserai prima di correre a salvare
qualcuno? E che avrai fiducia in me?» le chiese.
«Sì.» Lauren gli accarezzò il viso, si strinse a lui e gli sussurrò sulle
labbra: «Adesso abbracciami, ti prego. Perché non mi interessa chi sei
- o dovrei dire che cosa sei? - e non ho mai provato un sentimento
simile prima d'ora. Dimostrami che anche tu mi ami».
Mark la baciò, e il vuoto che sentiva dentro sparì.
Si sentiva completo come mai aveva sperato di poter essere
ancora.
Epilogo
Fu un matrimonio bellissimo. La chiesa traboccava di fiori di tutti i
colori, una passatoia blu correva lungo la navata centrale,
dall'ingresso fino all'altare.
Erano presenti vecchi e nuovi amici.
Lo sposo era affascinante, alto, bruno ed elegantissimo.
La sposa era di una
letteralmente di felicità.
bellezza
indescrivibile
e
splendeva
Camminò verso di lui sulle note di una romanticissima ballata.
«La musica è stupenda» sussurrò Deanna all'orecchio di Heidi, che
aspettava insieme a lei accanto all'alt are.
«L'ha scritta lui» rispose Heidi.
Lauren percorse la navata al braccio di Big Jim, che sfoggiava un
sorriso smagliante mentre la conduceva all'altare e la affidava allo
sposo.
voti che pronunciarono erano dolci come la ballata che aveva
accompagnato l'ingresso della sposa. Li avevano scritti Mark e
Lauren. Non tutti i presenti li compresero appieno, ovviamente. La
promessa di amarsi per tutta l'eternità, qualsiasi cosa fosse successa,
l'amore immortale che sfidava il tempo, tutte parole consuete che
tuttavia per qualcuno assumevano un senso drasticamente diverso.
Gli sposi lasciarono la chiesa sotto una pioggia di riso Il
ricevimento di nozze si tenne nel giardino di Monstresse House,
dove il profumo del barbecue lottava per imporsi su quello del
gumbo e di altri piatti tipici della Louisiana. Mentre il pomeriggio
cedeva il passo alla sera, la banda di Big Jim si esibì in una jam
session e lo sposo si unì a loro per qualche brano, finché non vide la
sposa guardarlo con un'espressione di intimo calore negli occhi.
Allora scese dal palco e le si avvicinò.
«La verità» le disse prendendola tra le braccia, «tutta la verità, è
che ti amo.»
Lei rise. «Non ne dubiterò mai.»
La luna avvolgeva il prato in caldo bagliore argentato. Sembrava
che i due sposi danzassero su un luminoso tappeto di nuvole bianche
e che avrebbero potuto continuare così per sempre.
Forse alcune cose erano davvero eterne.