Eco-design Palermo ITA
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NURSERY - ideas Packaging Observer – Novembre 2007 Eco- packaging dei prodotti dell’agro-alimentare Veste mandarini, nespole, susine, olio extravergine, vino, pane e biscotti, tutti rari e preziosi per forme, ingredienti e sapori. Racconta la storia e la tradizione e annuncia un futuro costruito sul rispetto dell’uomo, del suo spazio e dei suoi tempi: è il packaging per i prodotti agroalimentari tipici della valle dell’Oreto, pensato nella Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo secondo i criteri dell’eco-design: riuso, riciclo, riduzione, soluzioni in un unico materiale o in più materiali ma facili da separare Il territorio, in quanto luogo di risorse naturali, sociali e culturali, è stato in questi ultimi anni oggetto di studio e sperimentazione da parte della cultura del design che attraverso azioni di natura interdisciplinare, in cui sono state adottate metodologie di ricerca e di progetto mutuate da discipline economiche, ha sviluppato soluzioni progettuali dove risorse e innovazione interagissero in un dialogo di reciproca crescita. Strategia prioritaria in queste nuove metodologie di progetto è il coinvolgimento dei soggetti locali. Sullo sfondo di questo scenario, il territorio siciliano e suoi ricchi “giacimenti agro alimentari” sono diventati oggetto di ricerca progettuale da parte di chi scrive, che ha individuato nelle piccole produzioni d’eccellenza radicate nel territorio e rispettose delle bio-diversità, le risorse materiali su cui agire per preservare, innovare, e consentire uno sviluppo sostenibile. Emblematica è stata la scelta di lavorare nel 2004 con le produzioni di nicchia che rischiano di scomparire; oggi sono presidiate dall’associazione Slow Food che ne garantisce e promuove le tradizionali tecniche di coltivazione e produzione. In un rapporto di confronto con gli attori locali si sono avviati quell’anno progetti di packaging e comunicazione visiva presentati su invito dell’Associazione al Salone del gusto di Torino nel 2006. Il Sistema agro alimentare nella Valle dell’Oreto La ricerca progettuale sui giacimenti agro-alimentari del territorio siciliano ha assunto nel 2006, come area di studio, la Valle dell’Oreto, già da tempo oggetto di ricerca progettuale di docenti e studenti della Facoltà di Architettura di Palermo. Il territorio della Valle, che si estende per 19 Km lungo l’alveo del fiume, ha una lunga storia di disamore e sfruttamento di una città nei confronti del suo paesaggio agricolo e naturale; nonostante alcune rappresentazioni mitiche del fiume, come l’imponente statua marmorea del Marabitti nel Monastero di San Packaging Observer – Novembre 2007 Martino, si può affermare con amarezza che la Valle dell’Oreto non ha mai avuto ”un rapporto diretto con la città di Palermo, eccezione fatta per i mulini dislocati lungo il suo corso”. La vocazione agricola della Valle, che tuttora permane nonostante il degrado, ha una storia ampiamente documentata da pubblicazioni di natura scientifica, dove agrumeti, oliveti, vigneti, seminativi e culture orticole caratterizzano gli attuali sistemi vegetativi. Oggi il suo territorio, fortemente antropizzato e degradato, può rientrare a pieno titolo in quella definizione di “campagna urbana” elaborata dal paesaggista Pierre Donadieu. che nei territori agricoli periurbani delle grandi città, caratterizzati dalla frammentazione di uno spazio agricolo, individua le tracce di “nuove ecologie tra territorio e società” dove potranno convivere cultura urbana e rurale, in un patchwork di luoghi e attività cittadine e agricole. Constatando la progressiva urbanizzazione delle campagne agricole, che circondano le città, in particolare quelle mediterranee, dove la produzione dell’ortofrutta è una costante ambientale, storica, culturale ed economica, Donadieu, propone la tesi di affidare all’agricoltura periurbana il ruolo di strumento di urbanizzazione capace di organizzare in maniera sostenibile lo sviluppo della città, concependo nuovi progetti di territorio sotto forma di spazi produttivi e di godimento sociale, veri e propri parchi dove offrire ai cittadini prodotti di qualità. Il territorio della Valle ha tutte le caratteristiche per diventare, se si attuasse il progetto di Parco Fluviale elaborato alcuni anni fa e tutt’oggi disatteso, un luogo di riequilibrio e di sviluppo urbano sostenibile della città di Palermo. Il progetto di Parco Fluviale potrebbe inoltre essere supportato da alcune iniziative in atto di natura culturale e politica, alcune centrali e specifiche sull’area del bacino fluviale, (vedi il progetto di Antonio Presti, Io sono il fiume Oreto dell’Umanità), altre che la coinvolgono tangenzialmente. Da quest’insieme d’iniziative, progetti e ipotesi progettuali, dove la dimensione agricola e naturalistica della Valle gioca un ruolo significativo per il futuro di Palermo, si sono così individuate e selezionate alcune produzioni d’eccellenza. analizzandone, attraverso un sistema di schedatura grafica e fotografica, sistemi di coltivazione, trasformazione e confezionamento. I progetti di eco-packaging Le analisi, in sinergia con le esigenze dettate dagli stessi produttori (costi, problemi d’inserimento nel mercato, frantumazione del sistema agricolo ormai ridotto a piccole unità produttive), hanno condotto, attraverso una verifica continua di ipotesi progettuali e modelli, a 25 progetti e prototipi di eco- packaging dei prodotti stessi, in mostra dal 14 al 23 febbraio 2006 nella Sala Esposizioni della Facoltà di Architettura di Palermo. In questa occasione gli studenti hanno presentato ai produttori della Valle i loro lavori. Obiettivo prioritario dei progetti è stato la riqualificazione dei prodotti che hanno una loro specifica identità legata al territorio: l’olio di Altofonte, frutto di produzioni sia Packaging Observer – Novembre 2007 private che cooperativistiche, le susine bianche sanacore e arriddacore, specie presidiata da Slow Food, le nespole marcenò, il mandarino marzullo e il tardivo, che si producono con cura e amore nell’alveo del fiume, i biscotti ad “S” e il pane nero di Monreale, il vino Perricone, prodotto negli ultimi vitigni esistenti negli antichi terrazzamenti oggi in parte abbandonati, sono alcuni di questi prodotti di forte identità, ma sappiamo che ancora altri ne esistono e che andrebbero parimenti valorizzati, come i fichi, le mandorle, la selvaggina e i prodotti caseari. Tale riqualificazione è stata demandata essenzialmente al sistemi di confezionamento (packaging) di cui si è voluto intenzionalmente alzare il target di consumo in funzione di una fruizione turistica della valle, di un turismo sostenibile e urbano, che in un prospettiva di attuazione del Parco Fluviale potrà godere di manufatti storici, quali ville, bagli,e musei localizzati nelle antiche cartiere e mulini, ma anche di percorsi naturalistici ed enogastronomici. Oggi la funzione del packaging non è solo protettiva ma anche comunicativa. Ad esso si affida non solo l’identità, l’affidabilità, la serietà della ditta che lo produce (immagine coordinata), ma anche la storia in cui ogni consumatore s’identifica. A partire dalla specificità dei prodotti, si è lavorato su confezioni dove il valore della “tipicità”, che di solito allude ai sapori e alla storia di un territorio, al suo “genius loci, si coniugasse con la “contemporaneità”. Qui, il linguaggio delle forme, dei materiali, dei segni, e dei simboli, che in questo tipo di prodotti identifica ritualità ormai desuete, ne suggerisce altre, dove prioritaria è stata la necessità di rallentare tempi di consumo, inducendo comportamenti dove la lentezza del gesto si fa qualità di vita. Così il mandarino, che dalla Cina lungo le rotte inglesi e l’isola di Malta giunge a Palermo nel 1810, assumendo varietà genetiche legate ai luoghi di produzione come il tardivo, o il marzullo, viene proposto da Alessio Chirco e Laura Cusimano, oltre che in una pratica borsa in cartapesta, in raffinate barchette in cartone: nella forma richiamano gli spicchi del frutto, che si potrà acquistare già sbucciato e assaporare passeggiando nel Parco. Anche le susine sanacore, dalla buccia delicata e dalla polpa zuccherina “il cui sapore da piacere oltre che al gusto al sentimento” e le ariddu di core, per la forma tipica del seme che richiama il cuore, sono una varietà geneticamente prodotta in valle. Packaging Observer – Novembre 2007 Sono delicatissime e vanno manipolate durante la raccolta il meno possibile per non intaccare la pruina, ovvero la patina bianca che le ricopre, ed evitare che si stacchi il peduncolo. Presidiate da Slow Food, si coltivano in piccoli appezzamenti di terreno. Per lo loro rarità e delicatezza sono state proposte da Isabel de Azvedo, Marco Enia, Benedetta Fontana e David Frumento in confezioni simili a scatole di cioccolatini, e da Alessandro Cannella, Tiziana Caradonna e Filippo Grutti, in piccoli coppi di cartone. Il pane nero di Monreale, che comunemente viene venduto anche a Palermo in piccoli banchetti vetrati, rigorosamente cotto a legna, si caratterizza per la bruna crosta esterna alta almeno tre millimetri e cosparsa di semi di sesamo. Il pane nero, che ha alle spalle tradizioni e congregazioni religiose che ne proteggono la produzione, grazie ad un comitato cittadino sta per ottenere il riconoscimento di Indicazione Geografica Protetta. I progetti di packaging elaborati per questo prodotto hanno avuto come riferimento la memoria, legata alla macinazione del grano e alla conservazione del pane, che nel passato si avvolgeva in panni di lana. Nel progetto di Silvia Arcidiacono e Isabella Daidone, una grande scatola tonda in cartone con un foro trasparente rimanda all’immagine della macina degli antichi mulini disseminati nel territorio della Valle, mentre in quello di Anna Giammanco e Irene Monteleone un sacchetto in fettucce di feltro si adatta alle varie forme in cui ancora si produce il pane. Il buccellato di Monreale viene proposto da Francesca Serio, Ornella Mercurio, Anna Chiara Falci e Giorgio Faraci, in scatole di cartone che all’interno propongono un gioco per bambini: dei cubi dello stesso materiale (che contengono i dolci) si compongono per formare immagini dei mosaici del Duomo o foto di paesaggi e ambienti del luogo. Il design chiede oggi ai beni e ai prodotti non solo d’essere funzionali, sensorialmente piacevoli e percettivamente multidimensionali, ma anche di essere ecologicamente equilibrati ed eticamente propositivi. La sostenibilità ambientale di un prodotto alimentare non è solo demandata alle sue qualità biologiche, organolettiche, cioè ai suoi sistemi di coltivazione e produzione, ma comprende, in una valutazione globale d’impatto ambientale, anche il suo sistema di confezionamento e distribuzione. Il packaging design, per la sua natura effimera di prodotto “usa e getta”, rappresenta però uno dei settori più problematici da gestire e risolvere in termini di sostenibilità, tanto da essere stato uno dei primi settori di produzione Packaging Observer – Novembre 2007 e consumo, oggetto di regolamento nella normativa nazionale per la gestione dei rifiuti. I progetti hanno risposto alle esigenze ambientali, utilizzando le strategie messe in atto dall’eco-design: la monomatericità, il disassemblaggio, il riuso, il riciclo e la riduzione sono state così le strategie con cui gli studenti si sono confrontati. Il riuso e l’allungamento di vita dei prodotti è stato quello che in larga misura ha informato la soluzione finale dei progetti dove la confezione diventa, dono, gioco, oggetto di memoria, strumento di conoscenza del luogo. Così le nespole marcenò, che prendono nome dallo stesso produttore e che tramite innesti e ricerche effettuate in collaborazione con la Facoltà di Agraria, sono diventate un frutto particolarmente saporito, saranno vendute in un cesto in legno di betulla intrecciata, progettato da Salvatore Aglieri, Francesca Cirrito, Marzia Miceli. Il cesto offre in kit la possibilità di confezionare secondo una ricetta di famiglia, la marmellata; semplice ed essenziale, potrà essere riutilizzato. Il mandarino tardivo, dalla pelle poco spessa e quasi privo di semi, si venderà in piccoli contenitori di canna dell’Oreto che potranno diventare portacandele. (Antonio Bonifacio, Desirèe Frattagli, Maria Giovanna Lipari). L’olio di Altofonte affida la sua vendita a contenitori in acciaio ricaricabili e facilmente utilizzabili in cucina, (Valentina Marchese e Patrizia Lo Presti) o in bottiglie di vetro da utilizzare quotidianamente a tavola. (Francesco Viola e Rosa Sciacca). Packaging Observer – Novembre 2007 Il vino Perricone viene confezionato da Flavia Castiglione e Ita Inghilleri in una piccola borsetta di legno e fettucce di fibra vegetale che si potrà riutilizzare dopo il consumo. Ogni progetto è accompagnato da un modello o un prototipo, frutto spesso di auto-costruzione.Ma la valorizzazione di ogni prodotto singolo risulterebbe debole se non fosse inserita in un progetto più ampio. Cosi si è arrivati, nella fase finale, alla messa a punto, per ogni gruppo di lavoro, di una idea di massima su una possibile mappa del gusto che attraverso manufatti di tipo grafico o oggettuale (segnaletica, cartina, cartolina,) collegasse e indicasse in un unico itinerario tutti i prodotti analizzati. (di Anna Cottone - Architetto, designer, professore associato di Disegno Industriale alla Facoltà di Architettura di Palermo-Italia) Packaging Observer – Novembre 2007