IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come percorso di

Transcript

IL TEMPO DEL RACCONTO La narrazione come percorso di
IL TEMPO DEL RACCONTO
La narrazione come percorso di conoscenza sociologica
di SEBASTIANO DISTEFANO
1.
La trama del racconto
La pratica autobiografico-dialogica possiede una forte valenza narrativa,
in cui la memoria e la retrospezione, inerenti la propria autobiografia, sono strumenti ottimali per cercare di sviscerare i problemi, per metterli in
discussione, o comunque portarli alla coscienza.
Il sapere autobiografico ha infatti una sua costruzione: non indica
soltanto un modo di essere ma è modellato su conoscenze cumulabili,
organizzate in un intreccio fattuale che coinvolge, crea e utilizza simultaneamente sistemi di concettualizzazioni e di valori, tramite la possibilità
di riscoprire, attraverso un’operazione di metacognizione, origini e radici
esperienziali delle personali conoscenze e parti delle identità cognitive. La
riflessione epistemologica di ogni sociologo, riguardo al proprio operato
e metodo di studio, basata sul paradigma della complessità, valorizza e
scopre il rapporto con il sapere costruito all’interno del progetto di laboratorio autobiografico, modellato su seduzioni e relazioni reali, appartenenti alla trama vitale e al contesto pratico, quale sapere costruito, prodotto dall’esperienza con le cose, con i fatti, e dalla relazione con noi
stessi.
La trama è fatta di traiettorie sociali, quei percorsi attraverso i
quali i soggetti si trovano in determinate circostanze e cercano di gestirle
nel migliore dei modi. È dalle traiettorie, dal sentiero a volte tortuoso,
che si ricavano, unendo i punti, i gradini di un cammino individuale, dal
quale si evince la varietà dei percorsi di vita1.
È dunque azzardato volere intercettare in questo affascinante
flusso di parole e di storie, delle informazioni che siano pienamente oggettive, nel senso di puri prodotti dell’intelligenza critica, ma è più pertinente pensare che il racconto di vita si costruisca in un ambiente in cui
1
Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita. La prospettiva etnosociologica, Franco Angeli, Milano
1999, p. 38.
34
l’illusione e la realtà si fondono, in una miscela che non è fuorviante o
ingannevole ma che è altrettanto verosimile. Una storia, nel momento in
cui assume la forma di racconto diviene, sia per chi la racconta che per
chi ascolta o per il destinatario finale del resoconto, una verità conoscibile e accettabile di una soggettività che si costruisce progressivamente, che
si contraddice, che si interroga nel suo svelarsi. Un significato, anche
provvisorio, ha motivo di esistere in quanto incastonato in una serie di
eventi che assumono rilevanza e acquistano una loro articolazione in una
presentazione del sé2. Non importa se l’intervistato mente, bluffa, presenta una versione parziale dei fatti: ciò che conta è la scelta di elementi
importanti ai suoi occhi, la ricerca di continuità, di coerenza, nonché il
tentativo di convincere, persuadere e conquistare il pubblico.
Come scrive Richardson: «people organize their personal biographies and understand them through the stories they create to explain and
justify their life experiences»3. Le esperienze compiute dagli individui si
configurano in una gerarchia e prendono ordine attraverso i racconti partoriti per esplicare queste stesse esperienze, per giustificarle in qualche
modo. Quando ci si chiede quale motivazione si nasconda dietro un certo comportamento, si forniscono delle spiegazioni di tipo narrativo e
non logico-scientifico. È il percorso attraverso il quale i soggetti danno
un senso alla loro esistenza e a quella degli altri, in cui singole esperienze
sono connesse ad altre e valutate in relazione a un agglomerato esperienziale più ampio, poiché un evento non ha senso quando non si integra
nella narrazione. Ciascun soggetto ricostruisce la propria biografia per
dare senso alle singole tappe, ai piccoli-grandi obiettivi raggiunti, ai piccoli-grandi insuccessi, attraverso la pratica del ri-narrare.
È così che i percorsi narrativi trascendono la singolarità di pratiche individuali per essere presentati in forme «culturalizzate» che forniscono loro la possibilità di entrare nel circuito dei racconti fruibili. La
narratività si distingue così nettamente dal flusso dell’attività quotidiana,
superando gli aspetti apparentemente frammentari e discordanti4.
La svolta epistemologica prevede la visione del sapere come un
tutto che integra sistemi e livelli di conoscenza differenti quali l’interesse
2
Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires que l’on construit et que l’on se raconte…, in «Cahiers internationaux de Sociologie», 100, 1996, pp. 60-61.
3 L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, in Representation in Ethnography, a cura di J. VAN
MAANEN, Sage, London 1995, pp. 209-210.
4 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 60.
35
per il linguaggio e la sua connessione con gli oggetti, la valenza dei fenomeni discorsivi, la sociologia della cultura e le sue relazioni con la politica e l’economia. Il termine «svolta culturale» non è di certo concepito
come una totale rottura con il passato, ma come un focus su cultura e linguaggio con un conseguente cambiamento delle attitudini verso il linguaggio, considerato come elemento essenziale della costruzione di significato5. Secondo il punto di vista di Davidson, il linguaggio non può essere considerato come un calcolo algoritmico, poiché gli algoritmi, per loro
natura, non possono permettere lo scambio comunicativo e la comprensione reciproca, cancellando tutta la dimensione inventivo-comunicativa
del linguaggio stesso6. Il modo in cui va scritta una ricerca, i problemi retorici, non sono per niente banali e riflettono la convinzione postmoderna che tutta la conoscenza sia costruita socialmente. Scrivere non è semplicemente una corretta rappresentazione di una «realtà oggettiva», poiché il linguaggio crea una particolare visione della realtà, attraverso determinate strutture grammaticali, narrative e retoriche, che conferiscono
significato e costituiscono il soggetto e l’oggetto delle fasi d’indagine7.
Per lo scienziato sociale, il suo linguaggio, quello che egli usa nella ricerca, non è neutro ma si colora di costruzioni ed espressioni personali, dato che, come ribadisce Habermas, quella del linguaggio è una «conoscenza pregressa». Lo scienziato però, a differenza della gente comune, possiede una spiccata capacità argomentativa che gli permette di porre davanti agli occhi di tutti le tendenze riflessive tipiche della modernità8.
L’autobiografia quale metodo e percorso di conoscenza e di pratica attiva, trans- o metadisciplinare, attraversa e unisce tutti i campi del
sapere che hanno come punto focale il vivente e come trama organizzatrice la totalità delle azioni auto-organizzantesi. La biografia è un processo ontologico proprio del percorso evolutivo di un soggetto e della sua
narrazione, e diviene un modello alternativo e concreto di conoscenza, di
ricerca e formazione. Un modello con una dinamica epistemologica por5
S. HALL, La centralità della cultura: annotazioni sulle rivoluzioni culturali del nostro tempo, in
«Studi di sociologia», 3, 2001, pp. 308-313.
6 Cfr. L. PERISSOTTO, Linguaggio e comunicazione. Alcune riflessioni tra Davidson e Gadamer, in
Conversazioni, storie, discorsi. Interazioni comunicative tra pubblico e privato, a cura di G. CHIARETTI, M. RAMPAZI, C. SEBASTIANI, Carocci, Roma 2001, p. 48.
7 Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., pp. 198-199.
8 Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione. La sociologia come racconto di racconti, in
«Studi di sociologia», 15, 2002, p. 406.
36
tatrice di un’irriducibile complessità, specie relativa alla ricerca connessa
alle storie di vita, dove il tentativo di raccontare si traduce nell’intenzione
essenziale di stabilire una continuità, una permanenza, di dare un certo
ordine alla molteplicità degli eventi temporali vissuti. Sembra dunque che
una parte della complessità correlata alle storie di vita, coincida proprio
con questa multitemporalità degli episodi9: una storia si profila e si forgia
da uno sfondo, un fondale in cui si annidano tutte le storie vissute, e assieme a esse appare anche il soggetto, tra luci e ombre, imbrigliato nelle
sue stesse storie. La complessità del processo risiede nella fluttuazione di
una memoria che vaga tra diversi emisferi temporali dell’esperienza: tale
molteplicità di tempi e luoghi sembra risolversi, almeno in parte, nel riemergere delle tracce sommerse, che riappaiono attraverso vari movimenti
di ricerca identitaria, movimenti che definirebbero in qualche modo la
capacità dell’eroe tragico di trasfigurare gli eventi in gesta epiche.
Il sociologo può sentirsi disorientato di fronte al puzzle che gli è
presentato, dove spesso, almeno a primo impatto, mancano i pezzi essenziali, che possono essere incarnati da figure cardine del proprio passato, che si riverberano nel presente o che appartengono semplicemente al
presente; da pezzi di storia del proprio passato familiare vissuti in prima
persona o raccontati da altri; dalle ambizioni professionali e dal coesistente desiderio di curare i propri affetti10. Goffman delinea bene la problematicità e la criticità del termine «ruolo». La stessa parola infatti viene
utilizzata sia per indicare l’attività sul palcoscenico che quella che si svolge fuori di esso, confondendo identità personale e funzione specializzata
dell’attore. Una descrizione più sottile ci viene fornita con l’introduzione
di ulteriori termini, quello di «persona», per indicare la biografia del soggetto con il fine di differenziarla dalla «parte» o «personaggio», che non
sono altro che una versione teatralizzata della persona. Nella vita di tutti i
giorni, poi, l’attenzione sembra rivolta maggiormente al ruolo di un individuo, e non alla biografia o alla persona11: le autoidentificazioni multiple
possono essere additate come una delle cause della provvisorietà del ruolo, dove il passaggio da un ruolo all’altro può evidenziare un momento di
9
Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 63.
Cfr. Ibid., p. 64.
11 Cfr. E. GOFFMAN, La struttura teatrale in Frame Analysis. L’organizzazione dell’esperienza,
Armando, Roma 1974, pp. 166-167.
10
37
incertezza, una fase in cui l’individuo accetta solo parzialmente il ruolo e
gli impegni morali che ne conseguono12.
Il metodo dell’intervista biografica è un’alternativa metodologica
peculiare della ricerca sociale dove la riflessione retrospettiva assurge a
forma di conoscenza di sapere. Il metodo autobiografico diventa presa di
coscienza per attivare un empowerment che scaturisce dalla scoperta di avere una tradizione, una storia, un’identità. Un’importante istanza riscontrabile nel metodo autobiografico consiste nella ricerca di senso e significato, come la ricerca del bene, dell’identità, della conoscenza, che diventano saggezza, intesa come arte del vivere. Il percorso autobiografico attraversa significati plurimi, connotati di senso, simbolismi e trame che
ogni storia di vita presenta a suo modo, con annesse emozioni, sensi, rimandi diversi. Bisogna prestare attenzione all’uso didascalico e pleonastico delle accezioni, ai nessi profondi della stasi, dei silenzi, del non detto,
di tutte le note marginali dell’esistenza.
1.1.
Decostruzione e ricostruzione
Il pensiero narrativo interpreta la storia di vita come testo da decodificare, come essere altro rispetto alla vita in sé e per sé, come significato aperto a potenziali decostruzioni e ricostruzioni. In ambito etnografico,
l’analisi testuale e altri nuovi saperi stanno gradualmente alterando il modo in cui ci si prefigura le rappresentazioni culturali sia presenti che passate. Si possono utilizzare nuove categorie, o alcune delle precedenti che
hanno subito delle variazioni, per descrivere le pratiche etnografiche, in
un processo di ricostruzione del sapere. Alcune tecniche di miglioramento dei lavori etnografici sono attinte direttamente dall’analisi testuale.
Decostruire semplicemente i vari testi, scavare in profondità per
ricercare le motivazioni che hanno portano al fallimento e al mancato
raggiungimento degli obiettivi prefissati, non porterebbe a un modo migliore di fare etnografia. Gli sforzi effettuati nel decostruire sono già stati
oggetto dell’etnografia del passato e adesso l’etnografia parte solo occasionalmente da un’analisi o da una decostruzione di una rappresentazione precedente di una cultura data. Sembra quindi un inno alla ricostru-
12
Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., pp. 387-378.
38
zione dell’etnografia basata su una cesura forte con il passato, quasi una
rottura13.
Ma come le trame sono fatte di un susseguirsi complementare di
decostruzioni e ricostruzioni, così l’etnografia non potrebbe ridursi a mera ricostruzione che non dà voce al passato, anche se si tratta di un
passato non del tutto brillante, con risultati che adesso sembrano
superati o obsoleti. L’orientamento di tipo testuale, sul quale ci si sta
concentrando di recente, è relativamente nuovo e lascia scaturire
l’affascinante prospettiva che la cultura possa essere studiata come testo,
o meglio, vorremmo suggerire, come testo organizzato che si configura
in trama.Sembra che si dia così giustizia, almeno in questo ambito, agli etnografi della prima generazione che si sentono traditi dai loro successori.
L’antropologia culturale fornisce un elevato numero di splendidi esempi
di riscrittura dell’etnografia del passato, in una ricostruzione dove la società viene dipinta come qualcosa di isolato e senza tempo che va oltre la
portata della contemporaneità. Il testo confuso dalla deterritorializzazione – in base alla quale i nuovi etnografi vedono le vite attorno al globo
allo stesso tempo contrastanti e interconnesse – non lamenta la perdita di
un oggetto antropologico, ma, di fatto, inventa un oggetto ancora più
complesso, lo studio del quale può essere tanto rivelativo e realistico
quanto il precedente14.
Le trame, con le loro infinite e costitutive ricorrenze e rimandi,
non sono solo rappresentazione dell’esistenza, ma permettono un discorso narrativo che costituisce e inventa la vita con l’ausilio del modello autobiografico, una pratica conoscitiva che si esplica in un pensiero narrativo e discorsivo caratterizzato da intenzionalità, sensibilità al contesto, ragionamento analogico-metaforico, in un globale processo di costruzione
di senso, quale concezione ultima del raccontare.
1.2.
Modalità d’ascolto
L’accorgimento comunicativo nell’esercizio dell’ascolto e la rivisitazione
delle vicende esistenziali, con la disponibilità a condividere parti di riflessioni importanti, pongono le premesse per una modalità di ascolto partecipativa e attenta nel corso della quale sono comprensibili motivi di im13
Cfr. J. VAN MAANEN, An End to Innocence: The Ethnography of Ethnography, in Representation in Ethnography, a cura di ID., Sage, London 1995, pp. 13-15.
14 Cfr. ibid., pp. 13-23.
39
barazzo e diffidenza. La benevola disposizione dell’intervistatore verso le
scoperte e le curiosità, stimola l’ascolto e il racconto, all’interno del setting
autobiografico, in un sé mutevole e autocosciente. Le caratteristiche di
un ascolto attento e attivo, nel desiderio di comprensione degli atteggiamenti relativi al codice della comunicazione non verbale, ingenerano una
fiducia nella parola, nel pensiero pronunciato. L’accento posto
sull’ascolto, o meglio, sull’ascolto attivo, pone l’enfasi sul destinatario, di
modo che l’intervistato tenga sempre ben in mente chi è il suo interlocutore, colui che accoglierà la sua storia. L’individuazione di un preciso destinatario è anch’essa una pratica riflessiva: è attraverso la scoperta di colui al quale è rivolto il racconto, che si ritrova se stessi15. L’universo di
credenze, di valori, di miti personali, rivela la rappresentazione e la valutazione di eventi, incontri e scelte che costellano la storia di vita personale accettata e riconosciuta in sentimenti e reazioni di fastidio o disaccordo, che la soggettività esplicita in modo diretto attraverso i gesti, le posizioni discordanti dell’ascolto autentico. L’intervistatore non si confonde
erroneamente con la persona che si pone in atteggiamenti di riflessione,
con un’attenzione autoreferenziale a pensieri, sentimenti ed emozioni
che aprono alla decentrazione e all’accettazione di ogni narrazione di cui
non interessa la verità oggettiva, ma, ancora una volta, la significatività
della narrazione.
2.
La traccia dell’autobiografia
«Raconter sa vie, c’est donc ajouter un sens à une série d’événements qui
ont laissé une trace mnésique, trace plus ou moins signifiante en regard
de l’intention qui préside à la construction du récit. Cette capacité discursive, loin d’être purement intrinsèque, est comme médiatisée par un ensemble de schèmes ou de modèles narratifs, culturellement ancrés et
socialement véhiculés»16. L’atto del raccontare la propria vita consiste nel
conferire un senso a una serie di avvenimenti che hanno lasciato una
traccia all’interno della propria biografia individuale. Traccia che può essere più o meno significativa, più o meno sbiadita, ma che è comunque
un segnale, lo strascico di una circostanza che non è stata del tutto in15
16
Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., p. 19.
J.-F. GUILLAME, Ces histoires…, cit., p. 63.
40
ghiottita dal vorticoso fluire del tempo. Un frammento, un coccio del vaso è rimasto in nostro possesso, ma può essere anche più di un tassello
del mosaico; il fiume dei ricordi può portare alla luce un pezzo della
struttura, una parte consistente della trama. Questa capacità discorsiva è
integrata da un insieme di modelli narrativi culturalmente ancorati e socialmente trasmessi. Ed ecco che sembrano qui riecheggiare le parole di
Hall, citate in precedenza, riguardo all’importanza rivestita dalla cultura e
dalla svolta culturale.
L’approccio biografico, in ambito sociologico, rimanda come
scenario all’America degli anni ’20 e ’30 con la Scuola di Chicago, la cui
prassi veniva espletata tramite la raccolta di autobiografie relative al disagio urbano, con lo scopo di mettere in comunicazione culture e subculture diverse, incrementando un modello di ricerca che prevedesse interviste, testimonianze, schede autobiografiche. L’utilizzo delle storie di vita
si trasforma in strumento d’indagine e di conoscenza autonomo, in una
metodologia qualitativa con una certa autonomia epistemologica: la narrazione autoriflessiva racconta vicende che si svolgono nella prassi umana, fatta di rapporti sociali trasformati in struttura psicologica e narrativa.
Il metodo biografico fa scaturire un’ingente potenzialità relazionale che
rivoluziona l’impostazione tradizionale dell’analisi epistemologica, come
l’interazione tra soggetto e ricercatore che si collocano attivamente nel
contesto della ricerca e sono implicati nel processo riflessivo. L’approccio autobiografico diviene strumento di ricerca qualitativa perché si basa
sulla soggettività, intesa nella sua unicità e specificità. Con la consapevolezza della complessità di queste relazioni, subentra la qualità come categoria significativa nella ricerca del metodo autobiografico, che diviene
esperienza euristica e insieme ermeneutica, in un approccio che si configura come strumento di ricerca.
La svolta comunicativa non vuole lasciarsi alle spalle il problema
della morale, come se sia possibile parlare di relazioni sociali mettendo da
parte il senso del dovere, delle norme e dei valori. Con Goffman, in particolare, si può parlare di una vera e propria «teoria della conoscenza» in
cui regna un metodo d’indagine di tipo naturalistico: il ruolo
dell’osservatore è qui di primaria importanza poiché deve ascoltare,
prendere appunti e osservare, cercando di non monopolizzare il discorso, ma, al contrario, facendo in modo che l’altro si apra e si abbandoni
all’espressione del suo self, e che si possano ricavare frames utili per la costruzione della conoscenza.
41
Il sociologo si vede in mezzo agli altri e diventa, anch’egli, oggetto di osservazione, e, come gli altri che lo circondano, si muove in un
ambiente con un forte grado di incertezza, dove morale e comunicazione
tendono a coincidere e dove la sociologia si fa carico di essere «racconto
di racconti»17. Affinché colui che si vuole intervistare si esprima con naturalezza, in un’atmosfera rilassata, il contesto dell’intervista narrativa
deve introdurlo a, e farlo familiarizzare con il ruolo di narratore che egli
ricoprirà in prima persona. Il ricercatore deve manifestare interesse, non
interrompendo il corso della narrazione se non in circostanze che siano
davvero critiche, rianimando il colloquio con rilanci neutri, nel caso in
cui il soggetto interrompa il racconto18.
L’autoriflessione biografica è una modalità di apprendimento
dall’autobiografia che permette di riscoprire se stessi tramite l’analisi di
aspetti dell’esperienza troppo spesso relegati nell’oblio. La pratica del
metodo narrativo costituisce un mezzo di autoriflessione quale ricostruzione e riedificazione della personale identità nella ricerca dei diversi sé
del passato, grazie a un consapevole ritorno alla dimensione interiore e
autoriflessiva, tramite la narrazione di sé, con la possibilità di attribuire
significato anche al presente, di esplicitare connessioni e rimandi del testo di una vita, per riformulare un progetto di sé. Il passato del vissuto
personale trascorso non è sempre lineare e continuo, ma frammentario e
discontinuo, per cui subentra la necessità di cogliere i nessi di interdipendenza o connessione, armonizzando la molteplicità dei diversi tempi della vita. Il sé e la vita, entrambi narrati dalla soggettività del narratore, si
declinano verso la ricerca di senso e significato nelle esperienze personali, esplicate durante il rapporto tra uditore-ricercatore e soggettonarratore, entrambi impegnati a ricercare un senso e a conferire significato all’identità proiettata nelle tracce autobiografiche, che permettono di
ristrutturare immagini mutevoli di sé, destinate a formare le polimorfe
facce dell’identità personale. Il tentativo di ridefinizione e riconoscimento del sé come istanza dinamica nelle sue poliedriche sfaccettature, si genera nel racconto autobiografico, dando origine a un’identità molteplice,
errante, nomade, priva di stabilità e in grado di presentare svariate dimensioni.
17
18
L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., pp. 403, 408.
Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 77.
42
Nell’era del post-moderno, l’individuo, comparabile al turista, al
vagabondo, al flâneur, sarà costretto a cambiare frequentemente, in un
mondo in cui tutto muta velocemente e in cui tutti sono impegnati a
provare nuove esperienze che non portano a nulla di definitivo ma che
dirigono verso una frammentaria individualizzazione in cui le vocazioni
personali si dissolvono nella provvisorietà dell’esistenza. Viaggiare non
significa solo spostarsi nel tempo e nello spazio, ma rimanda a un cammino di prove, incontri imprevisti e lingue da decifrare. Una vita vissuta
viaggiando è posta in un territorio dai confini incerti, un percorso senza
il sostegno della comunità di appartenenza. L’esperienza si colora di molti contatti d’occasione e di rari scambi completi, di individui come flâneur,
come apparizioni-scomparse instabili19. La molteplicità dell’identità non è
da attribuire a un’istanza frammentaria di tipo patologico, ma a un «Io
diviso» nelle molteplici parti del suo sé, ovviando al rischio di disgregazione. Il processo autobiografico che si avvale dell’esplicazione narrativa,
può ingenerare processi cognitivi autoriflessivi che rendono espliciti i
percorsi individuali di significazione cognitivo-emotiva della propria esperienza.
Questa modalità di pensiero attiva una riflessione retrospettiva a
cui si combina un’attività cognitiva immaginaria e finzionale tramite cui il
soggetto sviluppa una dimensione progettuale nel futuro, divenendo capace di costruire e inventare uno spazio di vita proiettato in una dimensione futuribile. La sociologia riflessiva, come la definisce Chiaretti, è un approccio di tipo qualitativo che richiede un’osservazione ravvicinata con
l’intento di superare la dicotomia qualitativo-quantitativo e di investire il
ricercatore della carica di ascoltatore, quale persona sensibile al percorso
d’ascolto, inteso come corporeità del sentire, come capacità di saper cogliere le qualità differenziali della voce. Si noti poi come il solo tono e
timbro di voce possa influenzare il modo in cui l’intervista e il suo racconto vengono percepiti, e la differenza che c’è fra incontrare fisicamente una persona e una conversazione telefonica in cui si sente solo la voce,
con un’enfasi sull’udito, un senso che differisce da tutti gli altri per la sua
peculiare prestazione: ciascun senso, del resto, è specializzato in un particolare ambito sensoriale-percettivo. Simmel sottolineava che ogni senso
si culturalizza, cioè entra in contatto con le condizioni socio-culturali
dell’ambiente in cui opera, giungendo alla consapevolezza che i sensi o19
Cfr. L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., p. 394.
43
perano in maniera differente in base al singolo e alle relazioni fra i singoli
soggetti20.
Il nesso indissolubile tra memoria e identità, tra autoriflessione e
autobiografia mette in evidenza la memoria come realtà dinamica costruttiva, narrativa, tra oblio e ricordo, censure e rivelazioni, strutturata come
un mosaico. Nell’attenzione rivolta alla voce, al sentire, si intende
l’ascolto della voce della memoria, carica di storicità. Per questo motivo
la ricerca sociologica attribuisce alla memoria il ruolo di categoria centrale della sua metodologia21. La realtà discorsiva del colloquio riflette un
intricato intreccio di memoria, riflessività e giudizio morale che richiede
l’intervento del sociologo per districarne le fila, attraverso un’opera di ricostruzione che non va confusa con la mera interpretazione22.
2.1.
L’approccio qualitativo
Il metodo autobiografico prevede delle tipologie di tecniche ricognitive:
l’intervista aperta semistrutturata, non direttiva e in profondità, quali
strumenti di ricognizione di vissuti motivazionali, cognitivi ed emotivi
nella singolarità e unicità di ogni individuo, nel lavoro di introspezione
interiore e di autoriflessione, ricco di suggestioni. Le scansioni temporali
ed emotive del raccontarsi nel rapporto soggetto-ricercatore, rivelano
una relazione comunicativa asimmetrica tra chi ascolta e accoglie il racconto autobiografico, e il narratore: tale asimmetria si può mitigare facendo propri atteggiamenti interpersonali, atti e comportamenti comunicativi specifici. Nel percorso di ricomposizione e di esplorazione interpretativa, le soste del proprio racconto evidenziano aspetti espliciti, di
superficie, socializzabili, oppure liminali, impliciti, onirici, che organizzano il tempo della narrazione secondo un filo cronologico di associazioni
di idee e situazioni. «Non è un voler mettere in opposizione tra loro soggettività e oggettività, micro-storie e macro-storia, vita quotidiana e struttura economico-sociale, individuo e sociale, mondo interiore e ambiente
materiale «esterno» […] Andando in profondità. Per capirsi. Per capire la
propria condizione e i suoi nessi con l’intero sociale. Per tirare fuori il
meglio di sé»23. All’interno dell’interazione narrativa non è intenzione del
20
Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., pp. 37-41, 43-44.
Cfr. ibid., p. 40.
22 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 84.
23 P. BASSO, Per tornare a raccogliere storie di vita, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., p. 170.
21
44
biografo incasellare la storia di vita in una griglia già predisposta, ma riproporre suggestioni, stimoli generici, interazioni feconde, focalizzando
la rivisitazione e ricostruzione narrativa. Un problema aperto delle storie
di vita è la generalizzabilità, difficile da mettere in atto a causa
dall’interesse, a volte troppo spiccato, per il caso singolo. Come estrapolare quindi contenuti socialmente rilevanti? Bertaux pone l’enfasi sui contesti sociali di cui i soggetti hanno conoscenza diretta, sulla consapevolezza che il racconto di vita in profondità porta dentro di sé racconti di
pratiche, che bisogna portare a galla e assemblare. Una volta aggregati, i
racconti di pratiche, assieme ai racconti di vita, aiutano a comprendere le
dinamiche interne di un certo oggetto sociale che si vuole analizzare24.
Rampazi afferma che le procedure sono numerose ma ritiene
che, a volte, sia necessario costruirsi delle griglie di lettura, per procedere
nella scomposizione delle storie in elementi concreti con l’ausilio di tavole prefissate di risposte possibili, domande a risposta pre-codificata.
L’evidente rischio che si corre, utilizzando strumenti di questo tipo, è
quello di dare adito soltanto ad alcuni contenuti, mettendo da parte il
racconto di sé. Essendo poi le griglie di analisi create nella fase di esplorazione iniziale, c’è il pericolo che questi costrutti, che dovrebbero avere
il semplice scopo di omogeneizzare i dati di cui si è in possesso, possano
essere utilizzati per sostenere, confermare e avvalorare le ipotesi iniziali,
piuttosto che condurre una ricerca articolata su più livelli di analisi e veramente critica25.
Inoltre, secondo Bertaux, quel che conta è portare alla luce la
struttura diacronica del racconto attraverso trascrizioni successive, fino a
raggiungere chiarezza espressiva e linearità, pur giustificando salti in avanti e repentine inversioni di marcia. Moltiplicando gli studi del caso
che si vuole osservare, si giunge alla generalizzazione, alla saturazione del
modello attraverso la ricerca delle ricorrenze, e di conseguenza, alla verifica o alla riformulazione delle ipotesi. Moltiplicando i racconti di persone che si trovano in situazioni comparabili tra loro, diventa possibile, da
una parte, cogliere quanto di soggettivo viene espresso; dall’altra, disegnare una rappresentazione sociologica di più vasta portata26.
24
Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., p. 63.
Cfr. M. RAMPAZI, I problemi di interpretazione nelle interviste narrative, in Conversazioni,
storie, discorsi, cit., pp. 147-148.
26 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., pp. 88, 49, 52.
25
45
3.
Il senso dell’autobiografia
Storie di vita, resoconti orali, interviste in profondità, case studies, documenti storici e osservazioni partecipanti sono i principali metodi usati
dalla ricerca qualitativa. Numerosa è la letteratura che ammonisce su come approcciare una persona da intervistare, come porre le domande, ascoltare, prendere appunti e registrazioni, ma i veri problemi metodologici risiedono nelle modalità di conduzione del programma della nostra
ricerca, nella maniera in cui si modellano questi resoconti in un pezzo di
prosa, trasformando le interviste biografiche e gli appunti presi sul campo, in un’entità sociologicamente apprezzabile. In questi passaggi salienti
il processo di ricerca richiede che vengano prese decisioni complesse27.
Dialogare, discutere, parlare e ricavare biografie da queste modalità comunicative, costituiscono un’antica forma culturale consueta, di incoraggiamento e autoriconoscimento, svelando la natura delle parole, quando
dai racconti, dalle storie, dagli eventi che il pensiero lascia trasparire, si
impara sempre di sé, degli altri, del mondo. Il pensiero è l’ambito profondo dei giochi discorsivi e conversazionali, poiché rivolge le attività
della mente a orizzonti, possibilità, sfide, salti cognitivi, che si riverberano in cambi di mentalità, nell’emergere di immagini diverse della realtà.
Narrare e far narrare costituiscono, innanzitutto, una tecnica ambiziosa,
in un contesto quotidiano in cui troppo spesso si disperdono il senso e
l’esperienza delle modalità narrative che rappresentano la storia di uomini e donne, e più in generale la storia della trasmissione di sapere.
Nell’attuale crisi della narrazione e dell’oralità, si vive di suggestioni e
immagini volte a impressionare. La narrazione è il modo primario attraverso il quale gli individui organizzano le loro esperienze in episodi significativi temporalmente poiché i soggetti collegano gli eventi in modo narrativo. Roland Barthes commenta che esiste una miriade di narrazioni nel
mondo e, inoltre, che la storia della narrazione si perde nella notte dei
tempi: essa è presente in ogni luogo, in ogni società. È emblematico, del
resto, che non sia mai esistito un popolo senza narrazioni.
Il significato di ciascun evento è prodotto dalla sua collocazione
in un dato tempo e dal suo ruolo in un tutto, in un agglomerato di senso
intelligibile. Il significato scaturisce dalla connessione fra gli eventi, dalla
narrazione, che è un modo di articolazione del pensiero, dei ragionamen27
Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 198.
46
ti e delle rappresentazioni. Il codice narrativo è intervallato da cornici
meta-narrative dove le strutture narrative stesse sono pre-attive, ovvero
sono state create precedentemente28.
Ma qui ci troviamo a livelli elevati di astrazione.
Ritornando all’economia di questo lavoro, la narrazione è la memoria che prende vita, che affiora attraverso la trama, attraverso il racconto delle intenzioni, degli scopi, delle azioni dei protagonisti. Nel significato delle sequenze, oltre agli stimoli, alle impressioni, ai segni chiusi in
se stessi, si manifestano emozioni, si sviluppano interrogativi, pathos, enigmi, mistero.
Il senso dell’autobiografia risiede dunque nella narrazione. Sebbene la narrazione sia stata retoricamente marginalizzata, e nonostante la
sua presenza sia stata giustificata all’interno della sociologia soltanto in
alcuni frangenti particolari, come ad esempio le fasi esplorative della ricerca, e malgrado sia stata usata come riempitivo per le scienze statistiche, si può affermare a testa alta che la narrazione è la quintessenza della
comunicazione in sociologia. Gli scritti scientifici di natura sociologica
dipendono dalla struttura narrativa e dagli espedienti della narrazione,
sebbene questa struttura e questi espedienti siano spesso celati dietro un
frame scientifico, che è esso stesso una metanarrazione29.
La norma analogica della narrazione presenta un valore metaforico, simbolico, mitico. Ricoeur mette in evidenza lo stretto parallelismo
che lega la metafora e il racconto: entrambi agiscono in nome di una
continua innovazione semantica. Nella metafora l’innovazione risiede
nella produzione di una nuova pertinenza semantica attraverso una attribuzione che, a primo impatto, sembra incongrua, fuori luogo.
L’elemento innovativo del racconto consiste, invece, nell’invenzione di
una trama che opera un’efficace sintesi, riunendo la causalità delle azioni
in un’unica unità temporale. Quando una nuova metafora viene immaginata, due termini prima lontani, vengono messi a confronto da una nuova pertinenza semantica, superando la resistenza delle classificazioni correnti del linguaggio. L’atto del narrare procede in modo simile. La narrazione, il senso dell’autobiografia, ci fa capire meglio come si svolge la
complessa operazione che unisce, integra e completa la diversa «consistenza» delle circostanze, i fini, i mezzi, le iniziative, le interazioni, il va28
29
Ibid.
Ibid., p. 199.
47
riare della sorte e tutte quelle conseguenze, spesso poco desiderate, che
non sono necessariamente frutto dell’azione umana30.
Il metodo autobiografico ha la capacità di promuovere desideri di
conoscenza e trame di storie che sanno senza dubbio stupire. Il senso
biografico si evolve nei criteri narrativi, nei meandri dell’attività retrospettiva della nostra mente. La memoria, il ricordo, l’evocazione, costituiscono un itinerario di indagine sulle cronologie, le stagioni della vita, i
ricordi più significativi che si sviluppano nella didattica autobiografica
con chiari scopi di carattere cognitivo, dove il ricordare è produzione di
un racconto in una sorta di retrospezione che risulta composita, cucita
assieme dall’ago di identità molteplici. La riattivazione di abilità cognitive
necessarie per il flusso dei ricordi diviene rievocazione poetica, ricerca di
significato, sviluppo di un’intelligenza interiore e analitica che stimola un
nuovo amore di sé.
4.
La sospensione temporale dell’autobiografia
La storia di vita nella dialettica tra narrazione ed evento, tra elemento
semantico e temporale, presenta l’alternanza di diversi ritmi e differenti
movimenti, di ricordi e rievocazioni, in rapporti di consequenzialità con
tonalità affettiva nell’apicalità dello stesso ricordo. Il rapporto dialettico
tra elemento sincronico e diacronico garantisce la continuità tra gli eventi
e gli accadimenti della storia, l’elemento sincronico irrompe in un ritmo
nuovo e diverso. La percezione del tempo, connessa alla tonalità emotiva
e ai significati di eventi, incontri e relazioni, tramite il lavoro selettivo della memoria, del ricordo di un evento, di un incontro, di uno scenario, di
un segnale rilevatore, determina un segno indelebile nella narrazione. Il
gioco dialettico tra diacronico e sincronico, tra discordanza e concordanza, permette di esplorare la storia in movimento costante, non lineare.
Un movimento fatto di apparizioni, irruzioni, ingressi, immersi in un
tempo altro: il tempo dello spiazzamento, dell’istantaneità. In questo
tempo della sospensione si possono ricercare tracce e trame di continuità
o motivi di cambiamento che presentano difformità rispetto al tempo
sociale, ritmato e regolato dalle norme, in cui ci si presenta tramite biografie familiari, affettive e professionali. Qualche volta il tempo è esperi30
Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 64.
48
to come una concordanza di più elementi; altre volte, il tempo è percepito come una discordanza, come quando si rimpiange il passato, si ha
paura del futuro, ci si scaglia contro il presente per modificarlo31.
Al di là dell’esasperata ricerca di coerenza, fra concordanze e discordanze, si può tentare di trarre delle logiche più generali, partendo
dall’idea che i racconti di vita sono prestrutturati da temporalità esterne,
organizzate secondo catene di causa-effetto. Secondo De Coninck e Godard il mondo dell’azione sarebbe inquadrato in forme sociali dotate di
temporalità proprie, in un gioco di temporalità storiche che si intrecciano
negli schemi narrativi dei racconti. Difformità come perdita e smarrimento, riconosciuta ed esplorata nelle varie tonalità emotive, rientra nella
temporalità narrativa che è ambito di ricomposizione dei molteplici tempi e ritmi di crescita, di scoperta e intuizione, in rievocazioni subitanee,
nella percezione di immersione o avvolgimento in un tempo altro, in cui
i significati, le emozioni in forma episodica e improvvisa non hanno collocazione e definizione in una connessione causale. Queste connessioni
causali vengono recuperate da certe matrici simboliche che fanno in modo che il narratore scompaia in quanto soggetto, per divenire un’entità
astratta in cui converge l’ordinamento di temporalità esterne. Sono i simboli, i processi di significazione, a imprimere il marchio di «sociale» al
cuore di ciò che appare, a prima vista, come il prodotto della più sperduta intimità32.
La storia reale non coincide con il racconto: la storia di una persona possiede una realtà che precede il racconto stesso; così come la diacronia, la successione temporale degli avvenimenti, non coincide con la
cronologia, la loro datazione in termini di anni. L’obiettivo è di ricostruire la dimensione diacronica degli eventi e collocarla nel tempo storico
collettivo, che incarna il cambiamento sociale, lo stile di vita di generazioni differenti, e si distingue dalla soggettività del tempo biografico33.
Il racconto di sé rivela una molteplicità di ritmi e tempi nella concordanza di durate temporali e di senso, quali possibilità di tessere trame,
collegando episodi e scenari improvvisi in rapporti di vicinanza e prossimità. Temporalità e racconto sono dunque strettamente correlati, dato
che ogni esperienza umana ha un carattere spiccatamente temporale. Ma
31
Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 208.
Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 62-63.
33 Cfr. D. BERTAUX, Racconti di vita, cit., pp. 52, 90-93.
32
49
il tempo diventa più vicino agli uomini nella misura in cui è articolato in
modo narrativo, e il racconto, di conseguenza, è significativo quando disegna i tratti dell’esperienza temporale. Ecco allora individuata
un’ulteriore osmosi fra tempo e racconto.
Ricoeur riprende l’interrogativo di S. Agostino di cosa sia in realtà il tempo. La risposta più immediata è che il tempo è il connubio di
memoria e attesa, considerate come la sede delle immagini del passato e
del futuro, inglobate in un presente allargato, non riconducibile né al passato, né al futuro e nemmeno al presente comunemente inteso, ma da intendersi come un «triplo presente». S. Agostino include quindi l’analisi
del tempo in una meditazione sull’eternità, sottoponendo alla riflessione
le aporie, le contraddizioni senza via d’uscita dell’essere e del non-essere
del tempo34. La tesi di Ricoeur è che la coesistenza della natura temporale
del genere umano e l’attività del narrare una storia non sono involontarie,
ma rappresentano una necessità che va oltre gli aspetti culturali del contesto sociale all’interno del quale si è inseriti: la gente non esperisce il
tempo come una successione di istanti scanditi dagli orologi o dai calendari ma come una estensione del passato e del futuro, all’interno del presente. «The future always becomes past. The future is always death»35.
Occorre dunque riflettere su come, oggi, tutto l’universo della
comunicazione mediatica tenda ad abbattere la soglia superiore del tempo e a sviluppare comportamenti capaci di una crescente velocità di risposta agli stimoli esterni, così come avviene attraverso videoclip e videogames, solo per citare alcune situazioni concrete. Lo zapping permette
inoltre di saltare da un canale all’altro, allineando nello stesso istante sullo
schermo immagini di epoche e tempi diversi. Di qui il senso ormai diffuso di vivere in un periodo di totale contemporaneizzazione di ogni evento. Il Nunc la fa da padrone, tutto avviene adesso, in questo momento. I
media, per loro natura, non riescono a rappresentare il passato se non attraverso non pochi artifici retorico-visivi. Le azioni, svolgendosi interamente nel presente, in un’unica estensione temporale, suggeriscono
l’unidimensionalità del tempo. Il fatto poi che il tempo si definisca unidimensionale, usando quindi una categoria descrittiva tipica dello spazio
(l’unidimensionalità, l’esistenza appunto di una sola dimensione), spiega
34
35
Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 65-66.
Cfr. L. RICHARDSON, Narrative and Sociology, cit., p. 208.
50
bene la stretta correlazione che intercorre fra i luoghi fisici e il battere
dell’orologio, fra spazio e tempo.
Gli orologi, come dice McLuhan, sono media meccanici che, accelerando il ritmo delle associazioni umane, trasformano i compiti
dell’individuo, coordinano e velocizzano gli incontri, aumentano in definitiva la qualità dei loro scambi.
La narrazione fornisce potere d’accesso a questa eccezionale esperienza umana del tempo in cinque modi sociologicamente significativi: la quotidianità, l’autobiografia, la biografia, la cultura, e quella che si
può definire collective story. Sebbene queste categorie vengano separate analiticamente per questioni di praticità, in realtà possono sovrapporsi e
intersecarsi, così come spazio e tempo si sovrappongono in un continuo
gioco di rimandi e citazioni. «In everyday life, narrative articulates how
actors go about their rounds and accomplish their tasks. The narrative of
“what we did today” assumes an experience of time. We “had time to”,
“we took time for”, “we lost time”. We organize our days with temporal
markers, such us “first”, “then”, and “after”»36. Dal testo si evince che la
narrazione articola, nel quotidiano, l’azione degli attori, in un ambito
specifico, di modo che assolvano i loro compiti. Traspare da qui un certo
senso del dovere: siamo in una situazione in cui le regole e le norme valoriali non hanno perso del tutto la loro importanza. La narrazione diviene un’esperienza collocata in un certo tempo, dato che organizziamo le
nostre giornate sulla base di determinazioni temporali che fanno da tramite fra la nostra esperienza del tempo, vissuta quotidianamente e il
pubblico, ovvero coloro che ci osservano mentre noi svolgiamo con naturalezza le nostre azioni quotidiane nel nostro mondo. Alcuni etnologi
hanno esaminato come le esperienze quotidiane del tempo, narrate dagli
individui, sono connesse a più ampie strutture sociali, che collegano la
sfera personale a quella pubblica. La narrazione autobiografica indica
come il passato sia messo in relazione al presente: gli eventi hanno un inizio, un centro, una fine e il passato può essere rintracciato e rilevato nel
presente, come passato che si riverbera nel presente e nel futuro37.
Nel caso del life-script, della raffigurazione del passato nei graffiti
metropolitani, ci si trova in una sospensione temporale, fra presente e
passato, in una temporalità imperfetta, priva di progettualità. Ecco allora
36
37
Ibid., p. 209.
Ibid.
51
che lo script si erge a emblema e landmark della sospensione temporale autobiografica38.
La conclusione di una storia, l’end che chiude il cerchio, pone un
punto dal quale la storia può essere vista come un flashback. Comprendere una storia è sviscerare come gli eventi sono stati organizzati per
portare il lettore/uditore alla conclusione. Se questa chiusura non è prevedibile a priori, deve essere quanto meno accettabile. L’intera trama può
essere riportata a un pensiero che ne è il culmine, il punto finale: da qui si
rende manifesta la funzione strutturale della chiusura39. La storia raccontata altro non è che un progredire verso una fine già conosciuta: è questo
l’elemento tragico dell’esistenza umana. Come afferma Guillaume in riferimento a Ricoeur: «C’est alors une nouvelle appréhension de la temporalité qui émerge: le temps peut être autre chose que ce flux qui s’écoule
du passé vers le futur. En reracontant l’histoire, la flèche du temps
s’inverse: en lisant la fin dans le commencement et le commencement
dans la fin, le temps lui-même est lu à rebours, “comme la récapitulation
des conditions initiales d’un cours d’action dans ses conséquences terminales”»40.
Leggendo la fine nell’inizio e l’inizio nella fine, il cerchio si chiude
e il tempo stesso è letto al rovescio, come se le conseguenze finali si congiungessero alle condizioni iniziali: il tempo non può essere altro che un
flusso che scorre dal passato verso il futuro.
4.1.
Due tipi narrativi
Se alcuni soggetti tracciano il loro percorso sotto forma di narrazione,
cioè come una successione di episodi che seguono un legame di causalità,
altri tratteggiano le tappe della loro vita seguendo l’ordine cronologico
degli eventi, senza conferire loro un legame manifesto che li unisca assieme. Dietro questi due atteggiamenti si nasconde una differente maniera di considerare il passato. I primi considerano la loro storia come sorgente inestimabile di esempi, di esperienze felici e infelici. Il riferimento
al passato è esplicativo. Per i secondi, il passato è compiuto, appartiene a
un’altra dimensione e bisogna lasciarselo alle spalle. Da una parte il corso
38
Cfr. P. BARBETTA, La conversazione diagnostica fra copioni e narrazioni, in Conversazioni, storie, discorsi, cit., p. 59.
39 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., p. 71.
40 Ibid.
52
del tempo è percorso da un filo conduttore che non si interrompe, una
sorta di fluido che scorre e riunisce tra loro differenti generazioni.
Dall’altra parte, la vita è considerata come una successione di tappe contrassegnata da cesure forti, da rotture che conferiscono, ogni volta, un
nuovo orientamento. Quando il passato riveste una funzione pedagogica
e suggerisce, quasi sotto voce, la via maestra, una ricerca di coerenza attraversa tutta la narrazione, anche se il racconto non appare perfettamente concluso, nonostante la narrazione sia strutturata secondo una trama
ben costruita41. Qualcosa che assomiglia al finale aperto di un film, per
intenderci.
In questa ricerca di coerenza e di compiutezza, in questo tentativo di chiudere il racconto, le incongruenze disturbano: per questa ragione la riflessione che viene portata avanti dentro di sé non può essere esplicitata in tutto e per tutto, per una semplice esigenza di logicità e conformità con quanto affermato precedentemente durante il racconto. C’è
poi da dire che le azioni, estrapolate dal passato e analizzate con le categorie del presente, possono apparire in veste diversa rispetto al momento
in cui le azioni stesse si svolgevano ed erano in continuo divenire42.
Quando si attribuisce un interesse trascurabile al passato, si mettono in
fila soltanto ricordi sparsi, più vicini alla semplice successione dei fatti
che alla loro configurazione e ordinamento in un tutt’uno ben organizzato. Soltanto quando si dà il giusto peso al passato, quando la fine è letta
nell’inizio e viceversa, si può affermare che emerge il senso del racconto
di vita, nell’atto di raccontarsi e ri-raccontarsi43.
4.2.
Il pensiero nel racconto
La connessione tra la narrazione autobiografica e l’orizzonte temporale
nell’ambito del pensiero rappresenta un processo di crescita e di cambiamento intrinseco. Il racconto riflette su eventi, passaggi e svolte, nella
complessità di tempi e ritmi, nella molteplicità di significati e saperi. La
storia è un’intrinseca dinamicità, nell’illusione dell’esistenza di una trama
biografica, nelle ragioni del costrutto come dato in sé e per sé in un quadro biografico, dotato di senso, che diviene frammentario, ma impre-
41
Ibid., pp. 86-87.
Cfr. M. RAMPAZI, I problemi di interpretazione nelle interviste narrative, cit., p. 144.
43 Cfr. J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp.87-88.
42
53
scindibile, nel bisogno di storia, tra le connessioni di una vita e di una
storia attraverso la consequenzialità.
Un’identità storica interpreta la narrazione come possibilità di ricomporre la mutevolezza e la polisemia del tempo della narrazione, come momento della ricomposizione, nella scelta tra significati rilevanti e
coerenti per la costruzione di trame esplicative, tramite la modalità della
pratica narrativa esperita dal soggetto storico, lontano da fattualità e ingenui empirismi. A questo punto è più pertinente vedere nei diversi racconti, delle forme ancora transitorie di identità che, per la presentazione
del self, attingono a diverse fonti, quali i ricordi, i progetti, i fantasmi, i
desideri e le frustrazioni. Nell’eclettismo delle risorse è tuttavia possibile
cogliere i principi che organizzano la presentazione del sé44.
5.
Il sociologo: un educatore autobiografo?
Il metodo pedagogico della narrazione di sé e dell’autobiografia costituisce un approccio educativo sostanziale ed efficace all’interno di contesti
dove si presenta l’esigenza di instaurare relazioni d’aiuto tramite il racconto o la scrittura della personale storia di vita. Gli educatori autobiografi applicano tale metodologia comunicativa soprattutto all’interno dei
luoghi adibiti all’educazione, come i servizi per l’infanzia, la scuola, la
famiglia o nell’ambito della strada, dove si presentano difficoltà esistenziali profonde legate all’adolescenza e al disagio. Allo stesso modo, il fenomeno della telefonia sociale testimonia la diffusione della conversazione telefonica in ambiti, per così dire, a rischio45. Il porsi in un atteggiamento di apertura comunicativa rispetto all’altro e in una modalità favorevole all’ascolto, è una posizione attitudinale di tipo pedagogico, o
meglio: un ruolo etico che instaura dinamiche relazionali con la facoltà di
modificare e migliorare uno status mentale, un comportamento, un modo di essere. «Nella crisi del ruolo educativo dei genitori e dei maestri, il
sociologo che legge non può non chiedersi che cosa insegnerà ai suoi
studenti, come si arrogherà il diritto di dire agli altri come sono o addirittura cosa sarebbe meglio fare»46. Nel mostrarsi aperti verso le esigenze
44
Ibid., pp. 88-89.
Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., p. 25.
46 L. BOVONE, Dalla morale alla comunicazione, cit., p. 384.
45
54
dello studente, nel sapersi soffermare sulle situazioni critiche è racchiuso
il segreto dell’espansione del tempo, intesa come buona gestione del
tempo, il segreto di prendersi il tempo necessario per avere cura della
qualità non puramente tecnica e didattica del proprio lavoro. La coppia
insegnamento-apprendimento non viaggia su due binari separati: insegnanti e studenti compiono, in contemporanea, le due azioni
dell’insegnare e dell’apprendere. Il riconoscimento che nell’altro c’è qualcosa di me non annulla le differenze, anzi alimenta lo scambio di un feedback circolare. Ovviamente questo riconoscimento non deve essere
unilaterale, altrimenti perde la sua autenticità e il suo basilare rapporto di
reciprocità. Nel riconoscimento reciproco, uno degli elementi più pregnanti è la possibilità di sorprendersi, evitando il pregiudizio; evitando
che la non accettazione della sorpresa pregiudichi il naturale sviluppo
della storia. Il processo insegnamento-apprendimento si fa portatore, al
suo interno, di un intreccio di trama e ordito, come in un tessuto, rievocando in noi il lavoro tipico dell’artigiano. Essere ricercatori, essere insegnanti, significa essere persone che imparano dalla propria esperienza:
solo in questi termini c’è qualcosa di autentico da raccontare47. Una maniera per compiere al meglio questa difficile operazione dell’insegnare è
quella dell’umorismo, dell’ironia, che ci permettono di guardare benevolmente le diversità dell’altro anche sorridendo a noi stessi, al solo pensiero di come l’altro possa vederci, di quale idea si sia fatto di noi48.
L’azione del raccontarsi stimola sempre nuovi processi cognitivi, inusuali
capacità analitiche e osservative, aprendo lo sguardo verso un passato
spesso costellato da disagio, da dolore, da frustrazione. Il recupero pedagogico avviene sul fronte della presa di coscienza di una rinnovata consapevolezza di sé, della propria identità, del proprio vissuto, del passato
personale, non limitandosi a un approccio psicanalitico, con cui si riscontrano similitudini, ma focalizzando le problematiche sul soggetto che in
prima persona scrive di sé, e in sé trova le risorse per raccontare la difficoltà e il disagio reconditi nelle cause primarie, per poi comunicare ad altri la personale autoanalisi o meglio l’autobiografia e il racconto interiore.
Tramite il lavoro autografo, l’allievo, la persona, può decidere di tenere lo
47
Cfr. P. PERTICARI, Riconoscimento reciproco, identità, apprendimenti: verso una prospettiva delle
attese sorprese, in Il senso dell’imparare. Per far riprendere il fiato e la parola a insegnanti e studenti, a
cura di ID. e M. SCLAVI, Anabasi, Milano 1994, pp. 75-82.
48 Cfr. G. ARMELLINI, Io insegnate, inteso come artigiano, in Il senso dell’imparare, cit., p. 138.
55
scritto solo per sé, come valore insito e nascosto nel piacere di scrivere le
proprie esperienze e riflessioni, una personale storia di vita.
«Fa differenza se i parlanti sono uomini o donne, bianchi o neri,
ebrei, cristiani, islamici o atei, etero o omosessuali, sani o malati, professionisti o no, ecc. Fa anche differenza se chi ascolta, trascrive, legge e rilegge, traduce o interpreta la conversazione – il ricercatore – è uomo/donna, nero/bianco, ecc.»49. Nel contesto storico attuale, costellato
di odi razziali e xenofobie pretestuose, di intolleranze etniche e religiose,
a volte ostentate in nome della difesa e della protezione di un occidente
«superiore», si erigono muri e barriere di odio e intolleranza, di guerra e
di pregiudizio misantropo. Si offusca così il valore imprescindibile del
dialogo, del confronto e quindi il significato umanistico e il senso profondamente etico e culturale del raccontarsi, del narrare, del ripensarsi,
dello stare insieme, in quanto ogni individuo ha un valore in sé e per sé.
6.
La quotidianità narrativa
La molteplicità di spazi e ruoli in cui il corpo si dissolve in multiformi
sfumature e inusitati sensi, dispiega spazi vicini e lontani, dove il corpo
invade l’esperienza quotidiana come nostro ambito personale in cui diventiamo diversi e differenti dagli altri, senza forme di identificazione.
Così, in gran parte delle conversazioni quotidiane che si muovono attraverso i cavi telefonici, lo spazio perde le sue connotazioni peculiari, non
esiste alcun elemento oltre al verbale e non rimane altro da fare che cercare di cogliere le impercettibili modulazioni della voce. Tali conversazioni appartengono del tutto al mondo dei suoni, un mondo nel quale il
messaggio «passa» dall’emittente al ricevente attraverso un medium. I vissuti spaziali del corpo che abita lo spazio interno ed esterno ad esso, si
mostrano in una totale complessità e ambiguità come oggetti che hanno
oltrepassato l’oggettività e la neutralità, essendo stati privati della
naturalezza dell’interazione face to face. Si tratta di situazioni fonocentriche
in cui il mezzo tecnologico fa risaltare la tonalità e l’espressività di un
diverso stile conversazionale50.
49
50
P. BARBETTA, La conversazione diagnostica fra copioni e narrazioni, cit., p. 59.
Cfr. G. CHIARETTI, Udire, ascoltare, cit., pp. 23-24.
56
Chiaretti sottolinea che «occorre però la disposizione a cogliere le
diversità, ad apprezzare la ricchezza, a muoversi in una direzione in cui
ascoltatori e parlanti si troveranno a scegliere se i codici debbano somigliare più a organismi viventi, che si adattano all’ambiente, o a gabbie di
ferro costrittive che mortificano le differenze»51. Attraverso il microfono
trasmittente dell’apparecchio telefonico, dice Freud, è possibile captare
ciò che la parola non dice esplicitamente ma che la voce lascia intendere,
in un gioco di dati per scontati e non detti.
La vita e l’espressione dei sensi rivelano anonimie di spazio puro
e neutrale, da cui l’ambiente circostante, omogeneo e oggettivo della geometria, acquisisce un senso significante, svelato da una soggettività incarnata nella corporeità, che esprime direzioni, progetti, sensi, scelte, in
una certa situazione spaziale. Lo spazio situazionale del corpo dipende
dalle proprie scelte, dai compiti, dalle possibilità offerte dalle diverse situazioni, dalle sfumature emotive; per cui la spazialità corporea si dimostra pregna di significati antropologici che abitano nel mondo, vivono e
esistono. A differenza dello spazio situazionale, nello spazio liminale,
termine usato per indicare il contesto che circonda una conversazione a
distanza, «l’ascolto vuole significare la particolare dinamica sociolinguistica che consente ai locutori di introdurre nel discorso una molteplicità di tempi, di parlanti, di autori e di mandanti»52. Se si considera
l’esempio della conversazione telefonica, nello spazio liminale si vanno a
insinuare frammenti del quotidiano appartenenti al chiamante e a colui
che riceve la chiamata.
Il dialogo tra corpo e spazio carica l’esteriorità di intenzioni, pensieri, fantasie, segni che diventano indici di accordo tra soggetto e spazio
verso direzioni e vissuti. Lo spazio del corpo dispiega tracce di sentimenti personali, di elementi emotivi e bisogni sociali che prendono forma di
eco, di risonanze, di ricordi, di luoghi rivissuti, che fanno pensare anche
alle scelte, alle rinunce, all’ambivalenza di variabili interne ed esterne,
quali dimensioni relazionali nella dialettica del pensiero narrativo collegato al mondo dallo spazio interiore. La ricostruzione autobiografica recupera gesti abituali che rievocano il passato, svelando i ricordi dall’oblio,
rispolverando i luoghi e le soggettive risonanze. D’altra parte, il programma da realizzare e il futuro da costruire si collocano in un tempo e
51
52
Ibid., p. 25.
Ibid., p. 33.
57
in uno spazio, che non sono dati una volta per tutti, ma dipendono da
noi. Siamo noi a decidere se vogliamo dilatarli, se vogliamo espandere le
occasioni che un dato evento accada o ridurre le probabilità che si verifichi53. La memoria cognitiva e temporale permette di far riaffiorare i ricordi, grazie ad un’intelligenza fisica che riattiva reminescenze remote e
memorie recondite, nella scissione tra l’attivo e il riflessivo, tra psiche e
corporeità. La percezione del mondo appare influenzata dalla condizione
delle attività motorie del corpo e della mente, che possiede
un’intelligenza autonoma ma non slegata dal corpo, congiunta alla complessità dell’individuo. La ricostruzione della personale storia di vita tiene
conto delle risposte del corpo, per cui il racconto si ricompone in forma
biografica, fatta di vissuti spaziali, sensuali, corporei, tattili, uditivi, olfattivi e visivi, quali vissuti gestuali e mimici del fluire temporale ed
esistenziale.
Concludendo: storie di vita, resoconti orali, interviste in profondità, case studies, documenti storici, e osservazioni partecipanti sono tutti
attraversati dalla medesima intenzione, e cioè quella di dare al mondo
una nuova conformazione, attraverso la costruzione di trame che introducono l’ordine nel disordine, la concordanza nella discordanza, la coerenza nell’incoerenza. È questa l’ardua impresa di ogni opera narrativa. Il
pensiero di Guillame, a tal proposito, ci sembra abbastanza rappresentativo: esso nobilita la prassi dei racconti di vita, elevandola a pratica esistenziale di ricerca del proprio sé, di un equilibrio interiore. «Alors, pour
se penser et pour penser le monde, pour se définir et s’approprier le
monde, peut-être n’y a-t-il pas d’autres voies que celle des mots que l’on
assemble dans un récit cohérent»54. Per pensare se stessi e il mondo non
c’è modo migliore delle parole poste in un racconto coerente.
53
54
Cfr. P. PERTICARI, Riconoscimento reciproco, identità, apprendimenti, cit., p. 78.
J.-F. GUILLAUME, Ces histoires…, cit., pp. 89.
58