dissertazioni e note di s. alfonso sulla probabilita` e

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dissertazioni e note di s. alfonso sulla probabilita` e
DOMENICO CAPONE, C.SS.R.
DISSERTAZIONI E NOTE DI S. ALFONSO
SULLA PROBABILITA' E LA COSCIENZA DAL 1769 AL 1777
SUMMARIUM
Doctrinalis activitas s. Alfonsi de conscientia probabili ab anno 1748
ad 1764 est praevalenter inventiva; ab anno 1764 ad 1769 est theoretica et simul defensiva veritatis quam ipse invenisse putat et exprimit
sub forma probabilismi moderati a prudentia, seu probabilismi aequiprobabilistici. Haec vidimus.
Tertia et ultima periodus, ab anno 1769 ad 1777, quam nunc considerandam suscipimus, valorem assumit potius biographicum quam theoreticum, quin tamen hic desit et suum habeat momentum. Quapropter
studium nostrum plura refert documenta quae ambitum historicum eius
activitatis in lucem produnt atque rectaeeius magisterii intelligentiae
favent.
Revera violenta c1ari Ordinis Societatis J esu persecutio, usque ad
eius tum civilem tum ecc1esiasticam suppressionem producta, quae tunc
temporis saevit, in Alfonsi Congregationem eiusque doctrinam probabilisticam acriter et invexit. Inde necessitas huius doctrinae tegendae
sub terminologia minus quandoque propria. Inde explicatur quomodo
s. Doctor potuerit aequiprobabilismum verbis respuere et probabilioristas sese suosque congregatos appellare. Recte tamen eius biographus
Antonius Tannoia, quieum bene noverat, potuit affirmare Alfonsum
retractasse quidem quasdam de rebus particularibus sententias, sed numquam suam immutasse doctrinam de conscientia probabili.
Haec igitur, etiam Alfonsiextrema labente aetate et acri inseviente pressura gubernii regalistici neapolitani, docet personam moralem
servare suam spiritualem libertatem, quousque sibi per certam moraliter
conscientiam non promulgetur lex. Promulgatio, quam dicunt fieri inscriptione legis in natura, non est constitutiva legis formaliter obligantis actu in ordine formaliter morali, quamvis constituit ordinem
obiectivum pluralisticum. Orda obiectivus personalisticus, in quo per'sona agit ut Dei imago, ponitur actu cum promulgatione quae fit personae in actu conscientiae certae de lege. Haec si desit, persona certa
de non obligatione legis dubiae seu aequeprobabilis, sese conformat,
libero usu mediorum, supremo valori seu principio finalitatis, nempe
caritatis gloriae Dei per Christum.
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Dall'esame degli opuscoli di s. Alfonso sulla probabilità delle opinioni nel vasto campo morale, quando esse si pongono alla
coscienza di chi deve agire hic etnunc, in situazione \ ci sembra che si possa dedurre l'esistenza di due periodi nell'attività
letteraria alfonsiana, con differente atteggiamento nello sviluppo del suo pensiero. Dal 1748 al 1764 esso è fortelnente problematico, con punte di accentuata perplessità pastorale, finché non
raggiunge nel 1760-1763 la certezza scientifica e la conseguente
sicurezza pastorale: cesseranno allora quelli che i biografi, un
po' sbrigativamente, chiamano «scrupoli ». Dal 1764 al 1769 il
pensiero alfonsiano è dinamizzato dalla pesante e tuttavia provvidenziale polemica del Patuzzi, che lo costringe ad una più rigorosa ricerca scientifica e ad una più vigile disciplina concettuale.
Il terzo ed ultimo periodo che noi qui vogliamo studiare, va
dal 1769 al 1777: esso però perde il carattere di pura evoluzione
teoretica, benché questa non sia assente, per diventare principalmente un capitolo della sua biografia ed anche della storia politico-religiosa del Regno di Napoli, in quanto si pone come lotta
alla Compagnia di Gesù, spinta fino alla estrema violenza tanto
da ottenere e consumare la soppressione della Compagnia.
Essere probabilista significava nel Settecento esser gesuita.
Poiché Alfonso era uno dei capi del probabilismo, egli e la Congregazione da lui fondata erano considerati come una specie di
Gesuiti di campagna. Già fin dal 1764 aveva dovuto difendersi
dall'accusa di esser filogesuita, lanciatagli da un religioso napoletano probabiliorista z•
Mi scrive di più V.P. ch'io seguito questa mia sentenza (la dottrina
del probabilismo), perché sono troppo appassionato per li PP. Gesuiti,
E' assai che non mi ha chiamato anche terz?:ario de' Gesuiti, secondo
la frase che corre 3,
Abbiamo visto per quali vie e con quale arte Blasucci in Sil
Stud1:a Moral'ia I (1963), pp. 265-343; II (1964), pp. 89-155.
2
Studia M01"alia II (1964), p. 90.
3 S. ALFONSO, Risposta apologetica ad una lettera di un 'religioso ci'i'ca l'uso
dell'opinione egualmente p'i'obabile in «Quattro apologie italiane della Teologia Morale del b. Alfonso M. De Liguori », Torino 1829, p. 35,
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cilia abbia dovuto sul princIpIO del 1769 contestare l'accusa di
essere i Redentoristi probabilisti, seguaci dei Gesuiti 4.
Ma l'antigesuitismo montava; sicché se il Blasucci aveva
vinto la battaglia in Sicilia, Alfonso si vide assalito personalmente, a Napoli e fuori, come autore della «Theologia Moralis ».
Essa conteneva una dissertazione storico-didattica del gesuita
Francesco Antonio Zaccaria ed il testo della «Medulla» del Busenbaum Hermann, anch'egli gesuita. Bastava questo per convincere gli avversari che l'autore e la sua Congregazione religiosa
erano dei Gesuiti camuffati.
Il 15 ottobre 1769, in risposta ad una lettera del suo editore
veneziano, Alfonso scrive:
Ora sento in questa sua la proibizione della mia Morale in Portogallo. Che voglio dire? L'ho intesa con molta pena... lo peraltro non
seguito il sistema de' Gesuiti circa la probabile. Essi seguitano la
massima: «qui probabiliter agit prudenter agit »; ma questa massima io la riprovo. Essi difendono fortemente che può seguirsi la
meno probabile; ma ciò io lo nego e dico che quando si conosce che
la maggior probabilità sta per la legge, quella dee seguitarsi. In
quanto poi alle opinioni particolari io non sono già rigorista, ma
sono più stretto che largo:;.
Due anni dopo, quando anche il compendio della sua «Theologia Moralis», cioè lo «Homo Apostolicus» sarà colpito in Portogallo dalla stessa condanna, scriverà:
... si vede che non già l'han proibito forse per la dottrina larga, ma
perché mi han creduto partigiano de' Gesuiti; e perciò hanno proibito ancora Antoine, con tutto che Antoine insegna una sentenza
troppo rigida, per lo che, quantunque sia gesuita, si è fatto amico di
Concina e di Patuzzi 6.
Costantemente dal 1769 in poi affermerà con energia che
egli non segue i PP. Gesuiti nella dottrina probabilistica; dirà
che egli non è probabilista ; anzi respingerà anche l'equiprobabilismo e si presenterà come probabiliorista. Probabiliorista a rovescio, come vedremo ; ma tutto questo documenta la presenza di
4 Studia Moralia II (1964), pp, 124-125; 128-129.
:; S, ALFONSO, Lettere III, Roma 1890, p, 358.
6S. ALFONSO, Lette?'e III, pp, 393-394,
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pressioni extrascientifiche, certo non favorevoli alla piena espressione del suo pensiero.
Il 26 novembre 1769 spediva al Remondini, suo editore a
Venezia, una dissertazione in latino sulla validità dell'opinione
probabile nella coscienza, da inserire nella terza edizione del suo
« Homo Apostolicus». Noi non consideriamo questa dissertazione
come opuscolo a sé, perché essa è la semplice versione in latino
dell'Apologia da noi già esaminata 7.
21) IL MONITUM del 1771.
Nel 1769 moriva Vincenzo Patuzzi, tomista valoroso, principale avversario di s. Alfonso nella questione sulla probabilità
nel canlpo della coscienza morale. Nel 1770 veniva pubblicata a
Venezia la sua «Ethica Christiana sive Theologia Moralis» ìn
quattro volumi. Nel luglio del· 1771 Alfonso ne riceveva una copia 8 e leggeva nel breve elogium composto dal P. Sinesius questa
nota sulla sua disputa del 1765 col Patuzzi:
Quum nihil Ligorius, contra ac probabilistis mos sit, jam haberet
quod validissimis Patuzzii scriptis opponeret, velletque tamen omnino aliquam, quam suis scriptiunculis haud potuerat, adversario suo
conflare invidiam, Patuzzii omnia adversus se scripta ad Sacram
Indicis Congregationem deferri procuravit, ut ab eadem ceu Episcopali dignitati sibi admodum iniuriosa, damnarentur.
At quis Ligorium tulisset de stylo Patuzzii forti ac vehementi conquerentem? Quum ipse Ligorius Theologiae suae Benedicto XIV nuncupatae et tertio Remondinianis typis editae p. Francisci Zaccariae
dissertationem de casuisticae Theologiae originibus praefixerit, cuius
auctor in Concinam et alios furit ac debacchatur? Liceat haec duo
verba perdidisse.
Patuzzii igitur modo memorata adversus Ligorium scripta Romae
oculis subiecta fidelibus, omnem effugere censuram; dignaque prorsus
sunt habita viro theologo, qui strenue saniorem opinandi methodum,
nullo perterrefactus titul0 aut gratia permotus personarum, defendisset 9.
Studia M oralia II (1964), pp. 126-128.
S. ALFONSO, Lettere III, p. 384.
9 PATUZZI J.V., Ethica christiana sive Theologia Moralis ex purioribus Sacrae
Scriptume dÌ1Jinaeque traditionis fontibus dM"ivata et s. Thomae Aquinatis doctrina
continenter illustrata, Bassani 1770,p. XX.
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Alfonso, nel leggere questa nota, esclamò:
Papae! hoc probrum mihi deest: nomen accusatoris! Quod autem
ipse detulissem ad S.C. Indicis scripta contra me a Patutio, hoc
minime verum est. Nec unquam in mentem mihi venit Hl!
Questa sua meraviglia per esser trattato da accusatore presso la
Sacra Congregazione dell'Indice egli la esprimeva in un «Monitum» che nel luglio 1771 mandò al Remondini a Venezia 11, e fu
stampato nella settima edizione della «Theologia Moralis» nel
1772, in calce alla dissertazione: «De usu moderato opinionis probabilis » 12 • Noi, come abbiamo fatto per altri opuscoli, denominiamo questo «Monitum» non dall'anno della stampa, ma da quello della composizione, perché questo interessa il divenire del pensiero di un autore.
Nel «Monitum» vengono riassunte le principali obiezioni
del Patuzzi e le risposte già date da Alfonso, specialmente. quanto alla promulgazione della legge di natura. Per questa, egli dice, occorre oltre la inscrizione nella natura, l'attuale cognizione
quando l'uomo acquista coscienza di tutto l'ordine morale e della
sua responsabilità nell'ordinarsi a Dio con intenzione leale, usando di tutto l'ordine fisico creato come mezzo di elevazione della
sua persona a Dio: elevazione intesa come glorificazione di Dio
e non come egoistica ed eudemonistica perfezione soggettiva.
Nel «Monitum» del 1771 è da notare la risposta che Alfonso dà ad un articolista di giornale francese:
Ephemeridum gallicarum scriptor mihi obiecit quod ego opmlOnem
aeque probabilem admittendo, eo quod in huiusmodi casu lex est
dubia, etiam minus probabilemadmittere deberem, quia tunc lex
est dubia.
Sed huic oppositioni jam in libro meo praeivi, statuens quod ubi
adest probabilior opinio pro lege, tunc lex est moraliter promulgata,
ideoque obligat, non obstante illo dubio lato pro opinione benigniori.
Ubi enim veritatem certam non invenimus, illam sequi debemus
opinionem, quae magis veritati se propinquat; contra vero ubi
w S. ALFONSO, Theologia M01'alis I, Romae 1905, 1. I, tr. I, c. 3, n. 86, p. 67a.
11
12
S.
S.
ALFONSO,
ALFONSO,
Lettere III, p. 386.
Theologia Moralis 7 III, Bassani 1772, in calce pp. 202-204.
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opiniones sunt aeque probabiles, lex est vere dubia dubio stricto ita
ut nullo modo tunc lex dici potest (sic) sufficienter promulgata 13.
La risposta pone in evidenza il principio verisimilius est sequendum e non si può negare che essa, se si prenda isolatamente, può
soddisfare una delle esigenze probabilioristiche, almeno come si
ponevano per es. nel Blasucci 14. Tuttavia ciò non basta per esser
probabiliorista ; per esserlo bisogna affermare che in caso di equiprobabilità bisogna uniformarsi all'opinione che sta per la legge.
Comunque il «Monitum» rimanda alla dottrina dell'opera: Dell'Uso moderato dell'opinione probabile, del 1765 ed alla Dissertazione latina da essa ricavata, anche del 1765: l'una e l'altra definiscono molto chiaramente quale sia la maggior verisimiglianza
che faccia uscir l'opinione favorevole alla legge dallo stato di equiprobabilità 15.
LA TEMPESTA ANTIGESUITICA AUMENTA. Il 12 aprile 1772 Blasucci dalla Sicilia notificava ad Alfonso il superamento di gravi
ostilità contro i Redentoristi, accusati di esser «rei del probabilismo, del gesuitismo e di seguire le dottrine del Molina in materia
di grazia »16. Sicché Blasucci, per superare la tempesta aveva dovuto dichiarare e ripetere che essi erano probabilioristi. Ed il
fondatore in data 5 agosto 1772 scriveva:
Seguitate a dire che io e tutti siamo probabilioristi; e questa è
la verità: mentre io dico che la probabile non può seguitarsi come
probabile, giacché per operar bene vi bisogna la certezza morale: onde
la probabilità non dà bastante fondamento di operar bene.
Ciò sebbene io non l'ho scritto con queste parole, nondimeno l'ho spiegato in altri termini, avendo detto più volte che per operare rettamente vi bisogna la certezza morale, ed avendo ritrovata come falsissima la massima de' probabilisti: qui probabiliter agit, prudenter
agito
Come dico, non l'ho spiegata la dottrina in questi termini; ma nella
nuova ristampa che vuoI fare Remondini della mia Morale mi spiegherò in termini più espressi. Quando poi l'opinione per la libertà
è egualmente probabile, allora non è che può seguirsi quella opinione
13
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s. ALFONSO, Theologia Momlis 7 I, Bassani 1772, L I, tr. alter, c. 3, n. 23.
Studia Moralia II (1964), p. 128.
Studia Mo'ralia II (1964), pp. 120, 122.
S. ALFONSO, Lette?'e III, p. 403 in nota.
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perché è probabile, ma perché allora l'opinione per la legge non obbliga, perché la legge non è promulgata. Allora è promulgato il
dubbio o sia la questione se vi è la legge, ma non è promulgata la
legge; e perciò allora la legge, come non sufficientemente promulgata,
non obbliga, come dice s. Tommaso in molti luoghi e lo dicono tutti
i probabilisti e probabilioristi. Anche il gran Gersone dice che Dio
non può obbligare l'uomo ad osservare una legge se non ce la manifesta.
Vi prego di far leggere questo capitoletto a tutti i compagni nostri,
acciocché tutti diciamo la stessa cosa. E' vero che in Girgenti, come
mi scrivete, neppure ciò può dirsi, seguendosi costì la tuziore. Ipsi
videantf Mi dispiace che le povere anime ci vanno di sotto. Oh Dio,
che tempi miserabili: il giansenismo va in giro! 17.
Dunque tutto il probabiliorismo alfonsiano è nel negare il
principio: qui probabiliter agit, prudenter agit e nell'affermare
che «per operar bene vi bisogna la certezza morale». Ma mentre il vero probabiliorismo, cioè quello del Concina e del Patuzzi, esigeva tale probabiliorità o certezza morale nell'opinione favorevole alla libertà per concederne la liceità e per di più voleva
che tale certezza fosse diretta e non riflessa, il così detto probabiliorismo alfonsiano esigeva tale probabiliorità nella opinione
favorevole alla legge: dunque probabiliorismo a rovescio; probabiliorismo tattico per mettere a tacere avversarii non esperti.
Vedremo che Blasucci nel 1777 ricorrerà a ben altra presentazione della dottrina alfonsiana 18.
Comunque questa lettera o, come Alfonso dice, «questo capitoletto» ha grande importanza perché insieme ad un altro «Monitum» che esamineremo, contiene un'importante evoluzione nel
pensiero alfonsiano, almeno quanto ad espressione più chiara.
Lo vedremo esaminando il «Monitum».
22) MONITUM PERTINENS AD QUAESTIONEM: AN USUS
PROBABILIUM OPINIONUM SIT VEL NE LICITUS ALIQUANDO. - 1772.
Nella suddetta lettera al Blasucci Alfonso dice dunque che si
sarebbe spiegato meglio nella ristampa della «Theologia Mora17
18
S. ALFONSO, Lettere III, p. 422.
Cf. infra, pp. 116-120.
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lis» che Remondini stava per fare. Infatti 16 giorni dopo scriveva a quest'ultimo:
Ho pensato di fare un « Monitum », che si metterà in fine del libro,
dopo l'indice. Ora mi san posto a fare questo « Monitum» e fatto
che sarà ve lo manderò 19.
Esso fu inserito nel terzo tomo, e si estende per quattro pagine «in folio»: pp. 201-204. L'autore stesso ne sottolinea l'importanza in una lettera del 7 settembre 1772 al Remondini:
Questo « Monito» molto m'importa, perché mette in chiaro tutto il
mio sistema della Probabile, e serve per regola di tutta la mia Morale. E perché è d'una materia molto delicata, che ogni parola che
viene mal posta può sconciare tutto il «Monito », perciò ho pensato, per farlo venire senza errore, a farlo stampare in Napoli, per
poterlo rivedere ed accomodare qualche altra cosa che mi bisognerà
accomodare sopra la stampa... E perché questa è l'ultima fatica che
fa sopra la Morale e mi. costa da un mese di fatica (per tornarlo tante volte a copiare, tanto che stamattina mi sono inteso con febbre),
mi preme che venga tutto aggiustato, lasciando per altro la dissertazione fatta, in cui vi sono più cose alle quali poi nel « Monito» mi
rimetto 20.
Si rivela anche nella tarda vecchiaia il tipo mentale di Alfonso nel comporre: tipo visivo ed autocritico, per cui posto di
fronte al proprio elaborato, paragona i dettagli e ricompone o
integra per amor di precisione, quasi di cesello o di miniatura.
Ma veniamo al contenuto dottrinale. La terminologia è la
stessa che quella dell'Apologia del 1769. Tuttavia un'attenta comparazione dei due lavori rivela la presenza di una sollecitudine
nel non porre in evidenza citazioni di testi sulla necessità di decisa certezza morale perché la legge possa dirsi promulgata 21.
Anche la regola: in obscuris verisimilius est sequendum, è proposta come stretta deduzione dal principio: veritas est sequenda;
e vien data fin dall'inizio come ragione dell'obbligo di seguire
l'opinione più probabile favorevole alla legge 22.
S. ALFONSO, Lettere III, 430.
S. ALFONSO, Lettere III, 431.
21 Cf. v. gr. Monitum in Theologia Moralis 7 III, Bassani 1772, in calce,
pp. 202b-203a e Homo Apostolicus 3, Venetiis 1770, tr. I, c. 3, nn. 46-48, pp. 12-13.
22 S. ALFONSO, Theologìa Moralis 7 III, Bassani 1772, in calce p. 201a.
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Non si può negare in tutto questo la preoccupazione di avvicinarsi alla tesi antiprobabìlistica del Blasucci. Ciò è confermato anche dal fatto che egli vorrebbe concedere a quest'ultimo
anche nel «Monitum» la validità della probabìliorità di un solo
grado per dichiarare promulgata la legge 23. Ma poi esita e riafferma che la opinione favorevole alla legge, per poter essere
vera promulgazione della legge, deve essere certe probabilior 24 ;
noi sappiamo già quale valore qualitativo di certezza secondo s. Alfonso voglia indicare questo avverbio: certe 25. E bisogna anche
notare che, nonostante la critica del Blasucci 26, egli trova modo
di ripetere anche nel «Monitum », benché si sia in piena tensione antigesuitica, che la legge per esser legge obbligante, secondo s. Tommaso, deve esser «mensura certissima ». Anzi sottolinea questo superlativo, aggiungendo tra parentesi: nota 27. Questo ci sembra abbastanza eloquente.
Nella lettera al Blasucci del 5 agosto 1772 Alfonso ci ha
detto che nella ristampa della sua «Theologia Moralis» avrebbe
espresso meglio ìl suo distacco dai Gesuiti, confutando il principio: qui probabìUter agit, prudenter agit 28. L'espressione del suo
pensiero è data dal «Monitum» del 1772. Ma in questo egli dichiara di aver composto ìl «Monitum» per dare forma più chiara ed insieme più concisa al suo equiprobabìlismo. Ecco la sua
dichiarazione:
Posito igitur principio a d. Thoma tradito ac satis superque probato,
nempe quod nullus ligatur per praeceptum aliquod, nisi mediante
scientia illius praecepti, quod idem est ac dicere non posse legem
incertam certam obligationem inducere; necessario eruitur esse moraliter certum quod ubi duae opiniones aeque probabiles concurrunt,
non ,est obligatio sequendi tutiorem. Si quis autem de huius sententiae certitudine rationem exposcat, breviter ei ex omnibus in hoc
Monito respondebitur: quia lex dubia non obligat.
Et si quaerere perget: CUI' lex dubia non obliget, respondebimus hoc
23
Studia Moralia II (1964), pp. 132-137.
24
25
S. ALFONSO, Theologia M oralis 7 III, Bassani 1772, in calce p. 203a.
Studia Moralia I (1963), pp. 331-334.
26
Studia Moralia II (1964), p. 147.
27
S.
28
ALFONSO Theologia Moralis
Cf. supra, p. 87.
7
III, Bassani 1770, in calce p.201b.
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succincto argumento: lex non sufficienter promulgata non obligat;
lex dubia non est sufficienter promulgata (quia dum lex est dubia
promulgatur sufficienter dubium sive quaestio, sed non promulgatur
lex); ergo lex dubia non obligat...
Haec tandem sit conclusio huius sententiae: speetata probabilitate
aequali utriusque opinionis, homo dubius maneret, neque operari posset; speetata autem vi legis, cum ipsa eo casu non sit sufficienter
promulgata, non obligat nec ligat. Et ideo homo, utpote ab huiusmodi
lege dubia non ligatus, redditur certus de sua libertate; et sic licite
operari potest (cioè può lecitamente autodeterminarsi secondo l'opinione favorevole alla libertà).
Huius autem conclusionis concinnatio fuit mihi motivum ad praesens
Monitum hic apponendum; nam in praefata mea Dissertatione, licet
eandem conclusionem tenuerim, tamen per viam longiorem eam
probavi. Hoc autem Monito per viam breviorem et planiorem eadem
conclusio probata apparet 29 •
Osserviamo subito che la dottrina qui esposta è diretta negazione non del probabilismo ma del probabiliorismo; è la conferma della dottrina della dissertazione del 1765, Alfonso lo afferma apertamente, ma «per viam breviorem et planiorem ». Evidentemente quando egli scrive lettere per seguire e dirigere la
difesa contro gli attacchi degli antigesuiti, pone in evidenza ciò
che lo distacca dai Gesuiti; ma quando scrive in sede teoretica,
il rigore della sua antica dottrina e l'esigenza della verità prevalgono, ed il suo pensiero si muove nella linea che a lui appare
esser la linea della verità.
Per individuare l'evoluzione di questo pensiero nel «Monitum» del 1772 si deve aver presente la lettera al Blasucci del
5 agosto 1772 3 °. Essa infatti ci dà le idee del santo quando iniziava la composizione del «Monitum», per la quale il 7 settembre ci ha detto di aver lavorato un mese intero 31. Ora nella lettera dice che nel caso di due equiprobabili, si può seguire la libera autodecisione non per la probabilità dell'opinione alla libertà favorevole, ma perché in tal caso non vi è legge.
Nel « Monito» del 1772 conferma tale dottrina, ma aggiunge
che non essendovi legge, «homo redditur certus de sua liberta21)
S. ALFONSO, Theologia Moralis
30
Cf. supra, p. 87.
31
Cf. 8upra, p. 89.
7
III, Bassani 1772, in calce p. 203a-b
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te, et sic licite operari potest ». Dunque non è il principio: qui
probabiliter agit prudenter agit, cioè non è la probabilità dell'opinione benigna che rende lecito l'atto ad essa conforme; né è il
principio: lex dubia non obligat che dà la motivazione positiva
dell'atto morale autodeterminato. Tale principio non serve ad
aÌtro che a rassicurare l'uomo sulla liceità della libera scelta:
questa dovrà essere motivata da altro valore o principio positivo, come diremo in fine di questo studio. Comunque appare chiaro un movimento di pensiero in s; Alfonso verso una più piena
espressione.
Nel testo che abbiamo letto dal «Monitum» il principio della legge dubbia è già riportato al principio superiore della necessità di promulgazione in ogni legge. Ma anche su questo torneremo in seguito 32.
23) DICHIARAZIONE DEL SISTEMA CHE TIENE L'AUTORE INTORNO ALLA REGOLA DELLE AZIONI MORALI. 1774.
Sul finire del 1773 un reverendo canonico di Martina Franca, rev. Magli, scriveva contro s. Alfonso, convinto che questi
con i suoi opuscoli sulla probabilità morale insegnasse il positivismomorale a danno della legge naturale. Il santo decideva
di rispondere, ma il suo confessore p. Villani consigliava silenzio: questi era vicario generale nel governo della Congregazione
redentorista e perciò si preoccupava per ogni cosa che avesse potuto attirare sulla Congregazione la reazione degli antigesuiti.
Alfonso gli scriveva in data 21 novembre 1773:
Vorrei sapere se V.R. sta colla stessa specie (impressione) che se
io rispondo all'abate Magli, ne può venire la ruina totale della Congregazione. Dio mio! non è venuta questa ruina quando ho risposto
al p. Patuzzi, il quale faceva altra figura dell'abate Magli; ed ora per
rispondere a Magli, che, come sento, è tenuto per un fanatico (e
cosÌ pare a tutti secondo scrive), ha da venire questa ruina?
V.R. sa che io, per fissare il mio sistema circa la scelta delle opinioni
e per evitare il rigorismo che porterebbe rovina alle anime, ho faticato da 20 anni. Risposi a Patuzzi e le mie risposte universalmente
32
Cf. in/m, pp. 127-131.
93
sono state applaudite da' dotti, mentre ho parlato colla dottrina di
s. Tommaso e de' migliori teologi del mondo.
Il sign. Magli ha posto in campo un nuovo sistema per confutare la
mia sentenza,e giunge a dire che chi la seguita si fa vedere seguace
di Hobbes, Spinoza e di Epicuro: ingiurie che non mi ha dette
Patuzzi.
Ma come (poiché) egli ha poste cose nuove in campo, molti possono
abbagliarsi e stimare che io colla nostra Congregazione seguitiamo
una mala dottrina, quandoché io fo vedere chiaramente che le cose
che dice Magli son tutti spropositi che non possono sostenersi. Onde
io, come vescovo e come superiore della Congregazione, per onore
del mio carattere e della Congregazione, stimo assolutamente necessario che mi difenda e faccia vedere che non siamo né manichei,
né hobbesiani, come dice Magli 33.
Come si vede Villani è preoccupato della rovina della Congregazione per parte degli antiprobabilisti; Alfonso è preoccupato della rovina delle anime se trionfa il rigoris:mo contro il, quale ha
cOlnbattuto ed ha fissato il suo sistema da oltre 20 anni.
La risposta al Magli fu stampata nel 1774 a Napoli e nel 1775
a Bassano, in calce alla nuova opera alfonsiana: «Traduzione dei
salmi », su 50 pagine in 8° (cm. 18 x 12), da p. 361 a p. 411. Il
titolo completo è: «Dichiarazione del sistema che tiene l'autore
intorno alla regola delle azioni morali; e si risponde ad alcune
nuove opposizioni che vengon fatte».
Poiché le obiezioni del Magli ed il suo discorso erano di natura prevalenten1ente filosofica, è interessante vedere come Alfonso segue il suo avversario anche in questo campo e faccia una
coraggiosa difesa della libertà, dichiarando che essa non deve
confondersi con il libertinaggio o col vizio:
Dunque presso dei nostri avversarii significa lo stesso libertà che libertinaggio? lo stesso essere esente da qualche obbligo, che seguire
il vizio e gli appetiti della carne? No. Altro è il libertinaggio che
ammette i vizi e gli appetiti disordinati, altro la libertà permessa
che importa essere esente da qualche legge non ancora manifestata.
Non può negarsi di esserci data da Dio questa libertà in quelle cose
che non conosciamo a noi proibite (n. 44).
Dicono che nel dubbio dobbiamo seguire l'opinione che sta per la
legge, perché deve preferirsi la legge alla nostra libertà. Ottimo!
83
S.
ALFONSO,
Lettere III, 457.
94
quando la legge esiste; ma quando non si sa se esiste o non esiste la
legge? allora non è che dovrebbe preferirsi la legge, ma l'opinione
di coloro che vogliono esservi la legge. E come mai poi questa opinione diventa legge che obbliga, tuttoché sia ignota la legge? Dove
mai sta scritta e promulgata questa legge che tutte le opinioni rigide, nel dubbio se vi è legge, si hanno da tenere per leggi che obbligano? No, dice s. Tommaso, nessuno è tenuto ad osservare un
precetto, se quello non gli è manifestato (n. 45).
I probabilioristi in realtà rispondevano a questa ultima argomentazione con il principio fondamentale di tutto il loro pensiero: in dubiis pars tutior est sequenda. Ed il valore supremo
da cui emana questo loro principio è di natura antologica: la sacramentalità dell'ordine dei fini e mezzi particolari nell'ordine cosmico come portatore della gloria di Dio formale. Onde per essi non esiste peccato materiale e peccato formale; tutto questo
lo abbiamo visto 34. E' l'ontologia dell'ente come esistente che nella forma acquista un significato e quindi un valore: prevale il
quidditativismo pluralistico, donde emana l'oggettivismo rigido e
rigoroso nell'ordine morale; emana la riduzione dell'uomo a semplice portatore della natura, con la conseguente degradazione della persona, e quindi della libertà, della coscienza. Si comprende
allora come la libertà morale sia considerata dal probabiliorismo
autentico come una zona dove la persona, identificata con l'individuo egoistico, facilmente sfugga all'ordine morale oggettivo: al
sovrano ordine delle leggi. Ed è chiaro allora come ogni notizia
fondata, ogni opinione che dica esservi una legge lega la libertà;
così come ogni piccola probabilità che dietro un cespuglio si nasconda un uomo e non un merlo nli vieta di sparare; così come
ogni probabilità piccola purché seria che un liquido non sia acqua mi proibisce di battezzare con quel liquido, a meno che non
ve ne sia altro, ed allora vale la pena tentare sub conditione. Si
comprende bene perché Patuzzi contro s. Alfonso affermi così
recisamente che la vera promulgazione come fondazione dell'ordine morale formale si fa con la inscrizione di un ordine nella
natura, e la cognizione che ne ha la persona è soltanto una condizione per la responsabilità soggettiva dell'atto conforme odiffOl'me dalla legge. Sicché io che genufletto davanti ad un'ostia
34
Studia M omlia II (1964), pp. 106 in nota.
95
non consacrata che io credo consacrata, io commetterei un atto
formalmente idolatrico ed imprudente, dice Concina 35; un atto
che non può in alcun modo esser premiato da Dio, ma che si
può soltanto scusare per la mia ignoranza. Che se si tratta di
legge naturale, poiché questa è inserita nella natura, solo i pazzi
ed i fanciulli possono ignorarla; negli altri non se ne darebbe
ignoranza invincibile, sicché ogni atto difforme dalla legge naturale sarebbe atto formalmente cattivo ed imputabile. Con più
forte ragione sarebbe imputabile la violazione, quando la legge si
annuncia in una opinione probabile, anche meno probabile di quella che favorisce la libertà: pars tutior est sequenda!
Dottrina che senza dubbio è coerente e sembrerebbe solidamente fondata perché presenta una base ontologica ed una concezione cosmica religiosa.
Ma basta che l'ente si concepisca non come semplice essenza esistente, ma essente per partecipazione dell'Essere sussistente; basta che non si confonda l'essere con l'esistere; basta che
la persona cosciente e libera, cioè spirituale immagine di Dio,
si riporti al valore dell'essere, ed allora sulla dottrina del probabiliorismo ci sembra che prevalga la dottrina di s. Alfonso. E
con lui si dovrà asserire che la promulgazione è quella che si fa
alla coscienza; che la libertà non deve esser confusa con il libertinaggio. E con lui si può domandare: «dove mai sta scritta
e promulgata questa legge che tutte le opinioni rigide, nel dubbio se vi è legge, si hanno da tenere per leggi che obbligano»?
Tutto l'opuscolo del 1774 combatte il rigorismo oggettivistico e pluralistico. Però quando stabilisce lo «status quaestionis»
e deve usare i termini che in quel tempo provocavano fenomeni
di allergia, «eccitazione della bile de' più flemmatici» dice il
Blasucci 36; quando cioè deve usare i termini: probabile, meno
probabile, equiprobabile, allora Alfonso è costretto a studiare
questi benedetti termini e la loro spiegazione, sicché non appaia
filogesuita.
Così sul principio dell'opuscolo, dopo aver dichiarato che
35
Studia Momlia II (1964), pp. 114-115 in nota.
36 St~tdia
Momlia II (1964), p. 134:
96
egli non è probabilista, né seguace del Busenbaum, dopo aver riassunto il principio del «Monitum» del 1772 sottolineandone il
principio caro ai probabilioristi: verisimilius est sequendum, scrive quanto segue:
Dico che non solo è illecito operare secondo l'opinione meno probabile che sta per la libertà, ma neppure, parlando per sé, secondo
l'opinione più probabile, quando l'altra che sta per la legge anche è
probabile, benché meno probabile; perché allora neppure si ha la
certezza morale necessaria a deponere adequatamente il dubbio,
stando che qu~ll'opinione meno. probabile per la legge anche può
esser vera. Sicché io non sono né probabilista, né equiprobabilista,
in modo ch'io dica esser per sé lecito il seguire l'opinione equiprobabile (n. 3).
Paragoniamo questa pagina alfonsiana con una pagina scritta dal Patuzzi 16 anni prima nel 1758. Traducendo una tesi espressa in latino dal probabiliorista Gonzalez, egli scriveva:
J:>er poter seguire con sicurezza l'opinione alla libertà favorevole
contro la legge, non basta che dessa sia più probabile o verisimile
all'operante in qualche modo, cioè con eccesso di probabilità lieve
e dubbioso, attesoché tal eccesso non SI considera dall'uomo saggio,
ma necessario si è che ella sia all'operante manifestamente più verisimile con eccesso notorio, per cui venga giudicata vera con giudizio fermo e non titubante 37.
Anche s. Alfonso afferma che quando la opinIOne per la
legge è meno probabile e di conseguenza quella per la libertà è
più probabile, anche allora non si può seguire questa più probabile in forza della sua probabiliorità, perché in tal caso neppure
si ha la certezza morale necessaria al giudizio di coscienza. Sembrerebbe che nel 1774 Alfonso si sia convertito alla tesi del Patuzzi. Forse per questo il Conlon ha affermato che il santo, partito dal probabiliorismo in gioventù, dopo aver combattuto il Patuzzi, alla fine aderì alla tesi del suo avversario 38.
37 PATUZZI G.V., Trattato della ?>egola prossima delle azioni umane nella scelta
delle opinioni, in cui si dimostra la falsità, imp?'obabilità e assurdità .del sistema
probabilistico e il gmve pericolo di chi in pratica lo segue, Venezia 1758, t. I,
p. I, c. 2, n. V, p. 13.
38 COULON R., Concina in D.Th.C. 3, 707: «L'évolution ne pouvait pas etre
plus complète: aussi, dans cette seconde phase d~ la carrière doctrinale de saint
97
Ci sarebbe dunque nel pensiero alfonsiano una vera parabola, abbastanza audace. Ed il nostro disagio sarebbe maggiore in
quanto la critica ci dice ora che la pagina del Patuzzi che abbimn6
letta, fu proprio essa che nel 1759 determinò l'intuizione e la
espressione del suo probabilismo equiprobabilistico 39. Nel 1774
Alfonso sarebbe ritornato a quella pagina per farla sua e rinnegare il suo equiprobabilismo? E si direbbe di sÌ, dal momento
che nel testo citato dice espressamente «sicché io non sono né
probabilista, né equiprobabilista».
Ma non vi sono parabole in s. Alfonso. Già nella lettera al
Villani ci ha detto che egli nel rispondere al Magli vuoI confermare il suo sistema che ha fissato venti anni prhna: noi sappiamo che venti anni prima ha fissato il suo probabilismo moderato equiprobabilistico.
Nei due testi citati Alfonso e Patuzzi dicono che non basta
né la equiprobabilità, né la stessa probabiliorità perché l'opinione
favorevole alla libertà possa motivare l'atto da porre hic et nunc:
manca la certezza morale senza della quale non si può agire hic
et nunc. Ma Patuzzi si ferma qui perché egli parla della certezza morale diretta; egli afferma che senza di questa si resta nel
dubbio; ed allora in forza della sua ontologia pluralistica e naturistica insegna: in dubiis pars tutior est sequenda.
S. Alfonso non si ferma dove si ferma Patuzzi; egli aggiunge: «Dico non però per III» ... ed espone e difende per tutto il
resto dell'opuscolo il suo equiprobabilismo, in quanto dallo stato
di dubbio determinato dalla equiprobabilità, per i principi riflessi si può venire alla certezza riflessa ed in forza di questa operare hic et nunc secondo l'autodeterminazione. Sicché l'opinione
favorevole alla libertà viene assunta nell'atto che si pone hic et
nunc non per la sua probabilità, ma perché l'uomo conscio di
Alphonse, ne trouvons-nous plus de jugements défavorables à Concina et à Patuzzi ». Ed il Coulon sottolinea come prova il fatto che Alfonso alludendo al
Patuzzi morto da qualche mese, scrive: «la buona memoria del P. Patuzzi» (Lette?'e
III, p. 353). Ma a Napoli, quando si parla di un morto, chiunque sia, si dice di lui:
«la buona memoria di Tizio ». Del resto la nota del Coulon su s. Alfonso non tiene
conto del contesto né storico, né letterario nel quale il santo medita ed esprime il
suo pensiero.
3'9
7.
Studia MO?'alia I (1963), p. 387.
9S
potersi autodeterminare liberamente, senza ledere la sua opzione
fondamentale verso Dio come forma di tutti i suoi atti liberi,
fa suo il valore strumentale espresso nell'opinione benigna. Questa differente funzione della probabilità e della libertà s. Alfonso l'ha posta in evidenza nel «Monitum» del 1772, quando ha
detto: «spectata probabilitate aequali» l'uomo non potrebbe operare; «spectata autem vi legis» poiché non è promulgata «homo
redditur certus de sua libertate»; certus, cioè sicuro di poter liberamente scegliere quel che gli appare onesto 40.
Nel testo alfonsiano riportato vi si legge un'affermazione cbe
bisogna considerare. Vi si dice che l'opinione più probabile, quando le è di fronte una opinione meno probabile, non può determinare l'assenso, perché non si ha certezza morale. Questa affermazione, così come è posta, è la negazione del principio: verisimilius sequendum est. E questo può far meraviglia, se si pensi
che nella stessa pagina il santo scrive:
Dico che quando l'opinione che sta per la legge ci apparisce certamente più probabile, quella dobbiam seguire, per più ragioni; delle
quali la principale si è perché noi ne' dubbi morali dobbiam seguire
la verità; onde dove non possiam chiaramente ritrovar la verità, almeno seguire dobbiamo quella opinione che più si accosta alla verità,
quale appunto respettivamente è l'opinione che ci appare più probabile; onde la stessa verità che ci obbliga doverla seguire, ci obbliga ancora a seguire quella opinione che sta per la legge, quando ella
più si accosta alla medesima verità (n. 3).
Contradizione a breve distanza? Si noti: qui si parla dell'opinione certamente più probabile, e quindi della verisimiglianza che
accompagna tale certa probabiliorità. Sappiamo bene il distacco
qualitativo che per Alfonso e per il Patuzzi passa tra certa probabiliorità e semplice probabiliorità 41. Di conseguenza la maggior
verisimiglianza della prima differisce dalla maggior verisimiglianza della seconda: questa è logica e non impedisce la equiprobabilità morale; la prima è veramente morale e toglie la equiprobabilità. Ora mentre quest'ultimo testo alfonsiano parla della certa
40
Cf. 8up1'a, p. 91.
41
Studia Moralia I (1964), pp. 331-334.
99
probabiliorità e quindi della certa maggior evidenza morale, il
primo testo parla della probabiliorità semplice, ed essa non può
determinare il dinamismo del principio: verisimilius est sequen-
dum.
L'opuscolo termina con un'appendice che ha numerazione
a parte da p. 1 a p. 21. Col n. 20 si pone questa obiezione:
Nel concorso delle due opinioni probabili la legge, se non è certamente promulgata, almeno è promulgata probabilmente, e perciò dee
preferirsi l'opinione che sta per la legge.
Questa· obiezione per esser valida, deve fondarsi sulla con..
cezione pluralistica della ontologia dell'ente come essenza esistente; sicché la realtà oggettiva non potrebbe esser violata senza violare di conseguenza la gloria di Dio formale e quindi formalmente morale. L'ordine della persona e della libertà sarebbe
ordine essenzialmente strumentale per quest'ordine pluralistico
della natura; la coscienza personale sarebbe un semplice «rivelatore» di quest'ordine. Gli stoici dicevan questo. Sicché l'ordine della persona dovrebbe uniformarsi anche ad una semplice
probabilità dell'esistenza di una legge particolare. E da ciò dovrebbe seguire la liceità perfino del tuziorismo rigido, nota s. AIfonso 42.
Ma per il santo la motivazione della probabile promulgazione non ha valore: egli è convinto che predomina sempre l'ordine
spirituale della persona; ordine personalistico ed oggettivo, perché nell'intenzione retta lo spirito, la persona entra in oggettivissima unione con Dio, Essere sussitente, di cui la persona è
la più alta partecipazione. Parlare del personalismo autentico,
che è essenzialmente religioso, come se fosse un soggettivismo
anomico, non è tollerabile, né filosoficamente, né teologicamente;
come non era tollerabile per s. Alfonso il rimprovero fattogli di
confondere libertà e libertinaggio.
All'obiezione della probabile promulgazione egli rispondeva:
Si risponde che per questo perciò, o sia per questa conseguenza. non
vi è ragione che la sostiene, perché la retta ragione detta, come di
42 S. ALFONSO, Theologìa Mo'ralìs I, Romae 1905, L I, tr. I, c. 3, n. 78,
p. 58; n. 81, pp. 60-61.
100
sovra nell'opera già si è notato, che dovendo esser certo l'obbligo che
impone la legge, non basta che la promulgazione della legge sia probabile; ma siccome è certo l'obbligo, così anche dev'esser certa la
legge, e certa la promulgazione della legge.
A questa risposta di natura ontologico-morale segue una risposta di natura logico-morale, che nega la stessa premessa dell'obiezione:
La seconda risposta più convincente si è che quando l'opinione che
sta per la libertà è di peso eguale a quella che sta per la legge, allora
l'opinione per la legge neppure è probabile, ma solamente è dubbia;
poiché le due opinioni in tal caso non partoriscono probabilità, ma
solamente un mero dubbio, perché allora l'una opinione toglie la
forza all'altra di probabilità.
Dopo aver confermato con l'autorità di s. Tommaso 'la neutralizzazione sul piano soggettivo di due probabilità opposte, che
tuttavia oggettivamente conservano il loro valore dimostrativo,
il santo continua:
Sicché per concludere la controversia proposta, quando l'opinione
che sta per la legge fosse più probabile, allora concedo che la legge
è probabilmente promulgata; ma quando le due opinioni sono di peso
eguale, allora l'opinione che sta per la legge neppure è probabile,
come abbiam veduto di sovra. E se l'opinione che sta per la legge
neppure è probabile (intendi: sul piano soggettivo), come può dirsi
che la legge sia probabilmente promulgata? Allora appena è pro'mulgato il dubbio, ma non promulgata la legge. All'incontro è certo
presso tutti che la legge per obbligare dev'essere promulgata...
Come abbiam veduto di sopra, nel conflitto delle due opinioni non vi
è della promulgazione né la certezza che vi si richiederebbe per im~
porre un obbligo certo, né v'è alcuna probabilità, ma solamente un
mero dubbio.
Dunque l'opuscolo che nel 1774 avrebbe dovuto essere una dichiarazione antiprobabilistica, termina con la distinzione tra promulgazione certa; promulgazione probabile che si ha quando l'opinione per la legge è più probabile; promulgazione dubbia che si
ha quando le due opinioni, una per la legge l'altra per la libertà,
sono equiprobabili. Orbene nella seconda risposta egli non riconosce come forza obbligante la promulgazione dubbia; nella prima risposta egli non mnmette neppure la promulgazione probabile: afferma recisamente che la legge deve essere certa.
Sicché in pieno 1774 egli insegna che la opinione più proba-
101
bile favorevole alla legge non obbliga per mancanza di promulgazione certa.
Evidentemente Alfonso, se non vogliamo porlo in contraddizione stridente con se stesso in tutto l'opuscolo, qui parla della opinione semplicemente più probabile, non dell'opinione certamente più probabile: la prima è probabiliorità logica che non si
pone quale convinzione morale, impegnativa della persona nei suoi
valori eterni come si pone la seconda: vi è un salto qualitativo.
Ci troviamo di fronte alla costante dottrina del santo, ed è da
ammirare come egli chiuda il suo opuscolo proprio con ciò che lo
distingue dal probabiliorismo.
Vogliamo però dire che distinguendo tra equiprobabile che
genera il dubbio e più probabile che genera promulgazione probabile ma non certa, tale distinzione potrebbe determinare una
certa perplessità quanto al pensiero alfonsiano. Infatti Alfonso ha
affermato fin dal 1760 la grande verità che sta alla base del suo sistema morale: «Quando due opinioni opposte sono ambedue gravemente probabili e fondate, sen1pre sono egualmente probabili» 43. Se è cosÌ, non dovrebbe porsi distinzione tra equiprobabile che genera il dubbio, e più probabile che genera una promulgazione semplicemente probabile. Crediamo che Alfonso per ragion di dialettica ad hominem si ponga sul piano semplicemente
logico; e nel piano logico equiprobabilità e probabiliorità differiscono, anche per un grado, come Blasucci sottolineava nella
vivace discussione col sant0 44 • Ma sul piano morale la sola probabiliorità logica di uno o due gradi non fa uscire dal campo della probabilità e quindi dalla equiprobabilità morale.
24) Il « MANIFESTO» del 1776.
Sul finire del 1774 la Congregazione dei Redentoristi viene
accusata oltre che di illegale esistenza, anche di costituzione gesuitica e di dottrina probabilistica. L'accusa è minacciosa, perché viene portata davanti al Governo regalista ed antigesuitic0 45 •
Studia Moralia I (1963), p. 29l.
Studia Momlia II (1964), pp. 132-133.
45 Archivio Generale Redentoristi, Roma, in KUNTZ Fr., Cornrnentaria de vita
D. Alphonsi et de rebus Congregationis SS. RedernptM'is (manoscritto) IX, pp. 25, 33.
43
44
102
Il 20 marzo 1775 Alfonso scrive al Villani, suo vicario nel
governo della Congregazione:
Don Andrea mio, circa il barone (Nicola Sarnelli, parte avversa in
tribunale) da più giorni non ricevo alcuna notizia da Napoli, né di
male né di bene; e temo di qualche altra burrasca, che mi avesse a
far perdere la testa; di che sono stato in pericolo ne' giorni passati...
lo peraltro sto spaventato dalla vista orrida della distruzione di tutta la Congregazione; e lo spavento mi sta avanti gli occhi, perché
siamo in tempi che si cerca l'occasione per distruggere le opere spirituali 46.
S. Alfonso non è uomo che ama i superlativi; se dunque parla di «vista orrida della distruzione» e di «spavento », ci manifesta uno stato non di tensione momentanea, ma di costatazione
e preoccupazione per una realtà triste.
Il 30 novembre 1775 il redentorista Angelo Maione, dietro
consiglio di uno degli avvocati difensori, Vivenzio, propone al
Villani la sostituzione della «Theologia Moralis» del fondatore
con altra da comporre tutta daccapo. Nel frattempo suggerisce
di redigere un piano di questa nuova Teologia e diffonderlo «a
modo di manifesto », per convincere gli avversari e l'opinione
pubblica che i Redentoristi non sono gesuiti e probabilisti. Ecco
come scrive al Villani:
Vivenzio vuole onninamente che vostra Paternità unisca due o tre
padri de' migliori, fra i quali il p. Meo (cioè il celebre storiografo
Alessandro De Meo), e faccia loro formare un piano di Morale si..
mile a quello del p. Blasucci 47, con un elenco di tutte le proposizioni e trattati che si debbono trattare ad uso de' sacerdoti missionari diretti da Mgr Liguori; e questo piano si debba stampare a
modo di manifesto, per farsene uso innanzi a' consaputi signori ministri e del signor marchese Tanucci. Perché la cosa che si potrebbe
imputare più di ogni altra come nociva allo Stato è appunto la dottrina; sulla quale i suddetti ministri mostrano di far gran caso.
E per questo capo potrebbe la nostra adunanza essere sciolta 48.
Ecco come il redentorista Tannoia, biografo del santo e con46
47
48
p. 82.
S. ALFONSO, Lettere II, p. 328.
Studia Moralia II (1964), p. 140.
Archivio Generale Redentoristi Roma, XXXIX 100; cf. KUNTZ Fr., op. cit.•
103
temporaneo degli avvenimenti, descrive l'azione degli avversari
per rendere ostile ad Alfonso la pubblica opinione di Napoli:
Fuoco a fuoco vi si aggiunse tra questo tempo. Prefisso avendosi i
contradditori la ruina della Congregazione, volendosi dare alla radice, per così denigrare Alfonso ed i compagni, di nuovo attaccano la
dottrina. Questo in senso loro far doveva il maggior colpo. « I Gesuiti redivivi, essi dicevano, se non si spiantano, la fede ed i costumi
sono ruinati. Come quelli sono proscritti in tutti i regni, così bisogna spiantare questi tra di noi ».
Tutto per essi era lassismo, erroneità e veleno Tutto opposto al vangelo. E tutto di danno alla Chiesa ed allo Stato. Secolari, ignoranti
che neppur sapevano ove stasse di casa la Moral-Teologia, vedevansi
farla da teologi. Accaniti com'erano, conversazione di ministri non
frequentavano o di autorevole personaggio, ove malmenar non vedevasi la dottrina di Alfonso, e ventilar proposizioni da esso non
sognate.
Monsignor Liguori, oracolo di Napoli e de' regni stranieri, riformatore del costume ed il flagello de' miscredenti, addivenuto si vide
la favola del volgo; e spacciato ne' caffè inimico della Chiesa e
dello Stato 49.
Le cose peggiorarono, tanto che il marchese Tanucci, capo
del Governo, scosso di fronte a tante accuse, ordinò che la causa iniziata in sede amministrativa fosse devoluta alla Magistratura. «La sola denominazione del tribunale, esclamò Alfonso, basta
a discreditarci» 50.
Avversario dei Redentoristi, fino alla ostilità, era l'avvocato
fiscale Ferdinando De Leon. In un incontro con l'avvocato dei
Redentoristi Gaetano Celano, questi, secondo s. Alfonso, non
avrebbe saputo ribattere e far cadere l'accusa quanto alla dottrina alfonsiana.
Sento che Lione, così Alfonso al Maione il 23 gennaio 1776, ha
avuta qualche discettazione con Celano per la nostra dottrina; ma
mi meraviglio come Celano non abbia risposto esser vero ch'io,
quando fui giovane, tenni qualche dottrina benigna, ma poi mi san
rivocato da molti anni e mi san dichiarato probabiliorista. E di ciò
ne ho scritto così più libri, dopo essermi rivocato. Ma sento che
49 TANNOIA A., Della vita ed Istituto del Venembile Servo di Dio Alfonso
Liguori. t. III, Napoli 1802, c. 4, p. 18.
50 TANNOIA A., op. cito p. 19.
104
Celano non ha risposto così a Lione, come già rispose Vivenzio a
Tanucci; il quale replicò: «Dunque l'hanno fatto rivocare » 51.
Tre giorni dopo, il 26 gennaio 1776, egli scriveva allo stesso
Maione:
lo sto con una grand'apprensione che Dio ci voglia castigati e distrutti, mentre vedo che le cose vanno storte...
Vostra Riverenza di nuovo mi ha scritto che sarebbe buono che venissi io a parlare con Tanucci, ma ben sa che sono un cadavere.
Nell'altra notte stetti travagliato con asma di petto e col palpito,
ma in modo che mi credeva di morire...
Sperava di venire a sollevarmi in Nocera (aveva da pochi mesi lasciato il governo della Diocesi); ma son venuto a provare in questa
casa (religiosa di Pagani) mille spine, che non mi lasciano riposare. Sempre sia benedetto Iddio! Tengo la testa ruinata e mi bisogna tener sempre vicino un panno bagnato per evitare qualche vertigine o mancamento di testa per le tante lettere che ho da scrivere 52.
Abbiamo visto come il Maione nel novembre 1775 suggeriva al Villani l'idea di diffondere per via di «manifesto» l'indice
della nuova teologia morale da comporre in sostituzione della
«Theologia Moralis» del fondatore. Il Villani dovette comunicare ad Alfonso l'idea del manifesto e della nuova teologia, dal
momento che già dal mese di luglio il santo, ritiratosi dalla Diocesi, conviveva col Villani a Pagani. Sta di fatto che già in data
12 febbraio 1776 egli spedisce per lettera al Remondini due copie
di un «Manifesto », composto per «liberarsi dalla taccia» di
essere «seguace de' Gesuiti» 53. Eccone il testo trascritto da una
fotografia di un esemplare che ancora si conserva nella biblioteca dei Redentoristi di Pagani.
lo, Alfonso de Liguori, vedendomi vituperato da taluni qual probabilista, mi dichiaro ch'io assolutamente riprovo il probabilismo, e
dico che quando l'opinione che sta per la legge è più probabile, quella
deve in ogni conto seguirsi. Ed all'incontro dico che l'opinione probabile o sia egualmente probabile non può seguirsi, mentre per lecitamente operare vi bisogna la certezza morale dell'onestà dell'azione; e questa certezza non può aversi dalla sola probabilità dell'opinione.
51
S. ALFONSO, Lette?'e III, pp. 363-364.
52
S. ALFONSO, Lette1'e II, pp. 365-366.
53
S.
ALFONSO,
Lettere III, p. 477.
105
E per dir tutto sinceramente confesso di aver aderito ne' tempi antichi alla sentenza benigna; ma da molti anni in qua mi son rivocato,
conoscendo la verità; e contra i difensori della benigna sentenza ho
difesa fortemente la contraria da me riferita di sopra; e l'ho data
anche alle stampe in più luoghi delle mie opere, come ,farei osservare a chi ne dubitasse.
Non mancherà taluno di dire che io ora, per soli fini particolari,
riprova il probabilismo e mi dichiaro probabiliorista; ma rispondo
a costui che trattandosi di dottrina morale, se io parlassi per soli
fini particolari e non secondo la mia coscienza, mi stimerei dannato.
Dicano dunque quel che vogliono, quello che ho scritto di sopra è il
mio vero sentimento; e son pronto a sostenerlo con tutte le mie forze
contra chi mi contraddicesse.
E la stessa mia sentenza tengono ancora i miei compagni.
Nel 1823 il redentorista Giacomo Basso parlerà di questo
manifesto, ne darà alcune circostanze di cronaca e dirà che secondo alcuni il santo fu indotto a scriverlo, o a sottoscriverlo, o
anche solo a consentirne la divulgazione 54.
Certo nel manifesto è evidente l'atteggiamento di chi riconosce pubblicamente un proprio errore e si discolpa; è evidente
anche l'enfasi della dichiarazione fino ad impegnare la coscienza
individuale nei suoi valori morali e religiosi. Ciò documenta senz'altro la violenza dell'azione minatoria degli avversarii, e tutto
questo mortifica il nostro spirito: la libertà di pensiero e di espressione è violentata in un Vegliardo; questo colpisce personalmente chiunque sente e vive la dignità del pensiero. Mortifica ancora
più tutto questo, perché Alfonso, come fa capire il Basso, fu assediato e sollecitato anche dai suoi, i quali avrebbero dovuto capire
la solitudine di questo Vegliardo «attratto e buttato sopra una
sedia», come dice egli stesso mentre manda al Remondini il
54 I zelanti... seguitarono a molestare il Beato dicendogli che... era dell'ultima
urgenza nelle critiche circostanze di quel tempo ... convincere il pubblico di Napoli
che ei non fosse probabilista, né gesuita; con questo pretesto lo indussero, alcuni
dicono a scrivere, altri a sottoscrivere, ed altri a consentire soltanto che si divulgasse la carta seguente: «Dichiarazione di Monsignor D. Alfonso de Liguori»:
lo Alfonso de Liguori vedendomi vituperato da taluni etc...
Or i zelanti, strappata questa carta con segretezza massima, sia perché non capita
abbastanza, sia per spirito di partito, assicurasi che avutala in Napoli ne fecero
una specie di trionfo: l'affissero in vari cantoni e divulgarono che finalmente il
Liguori si era ritrattato. BASSO G., Riflessioni critiche sull'opuscolo del sace7"dote
Andrea Tingelo intitolato: i zelanti indiscreti, Napoli 1823, § 7, pp. 57-59.
106
« manifesto» 55. Vero Giobbe per la Teologia Morale nel Settecento!
Comunque vogliamo dire che se si prescinda dal tono psicologico e morale del documento, la dottrina che esso contiene
non ha nulla di nuovo; essa poteva benissimo essere non solo
tollerata, ma perfino scritta di proprio pugno dal santo.
Infatti il manifesto consta quasi per intero di affermazioni
generali e di notizie biografiche che potevano certo impressionare l'opinione pubblica; ma di ragioni che impegnino sul piano dottrinale ve n'è una sola, là dove dice che non si può seguire l'opinione probabile o equiprobabile perché «per lecitamente operare vi bisogna la certezza morale dell'onestà dell'azione, e
questa certezza non può aversi dalla sola probabilità dell'opinione ». Questa sarebbe la ragione per cui non è più equiprobabilista.
Ma questa insufficienza della «sola probabilità» s. Alfonso
l'ha affermata da quando ha rifiutato il principio qui probabiliter
agit, prudenter agito Ecco per es. le sue parole nel 1764:
Questo principio (qui probabiliter agit, prudenter agit) è mal fondato, perché l'uomo non può operare appoggiandosi alla sola probabilità dell'opinione, poiché allora manca la certezza dell'onestà, ch'è
necessaria per ben operare. Onde chi opera così non opera prudentemente, ma imprudentissimamente, perché opera col dubbio pratico
dell'onestà dell'azione 56.
Come si vede le parole del manifesto coincidono letteralmente con le parole scritte nel 1764, quando s. Alfonso definiva
con precisione il suo probabilismo equiprobabilistico. La chiave
di tutto il suo pensiero sta nell'aggettivo sola: non basta la sola
probabilità oggettiva; anche i probabilioristi dicono che non basta la probabilità, anzi neppure la probabiliorità semplice perché
l'opinione benigna diventi forma e valore dell'atto da porre hic
et nunc. Però essi rifiutano l'aggettivo sola e si fermano qui, ed
insegnano che bisogna operare secondo l'opinione rigida, cioè fa-
s.
ALFONSO, Lettere III, p. 476.
S. ALFONSO, Risposta apologetica... ad una lettera d'un religioso circa l'uso
dell'opinione egualmente probabile, in B. ALFONSO, Quattro apologie italiane della
<I: Teologia Morale », Torino-Marietti. 1829, apol. seconda, p. 44.
55
56
107
vorevole alla legge, perché solo così si è certissimi di non violare l'ordine oggettivo delle leggi particolari.
S. Alfonso, lo abbiamo già visto, non si ferma qui, e dopo
di aver detto che la probabilità, se si prende da sola, non basta,
propone la dottrina dei principi riflessi e della conseguente certezza morale riflessa. Nel manifesto questa dottrina della certezza riflessa è certam.ente chiusa nell'aggettivo sola, ma non è
espressa. Gli avversari, questa volta non intelligenti, non badarono a questo e furono contenti: andarono affiggendo il l\Ianifesto per i muri di Napoli, ci ha detto Basso; in realtà Alfonso,
vecchio ma più fine di essi, aveva dato loro un pezzo di carta.
Tannoia, alludendo alle voci di ritrattazione, che avevan tra
gli altri disorientato dopo la morte di Alfonso un suo ammiratore, sacerdote tedesco, scrive:
Il vero si è che Monsignore meglio ponderandola (la sua teologia
morale) varie opinioni aveva in seguito ritrattate; ma non ritrattò
giammai il suo sistema morale, né mai alterò i suoi principi 57.
Il probabiliorismo alfonsiano, se in realtà gli si vuoI dare
un contenuto, è proprio qui, nella scelta di opinioni particolari:
egli spesso si orienta per le opinioni più severe che si pongono
come legge. Vogliamo però notare che la sua è severità di medico e non di giudice, come suoI essere quella dei probabilioristi.
Probabiliorismo dunque materiale è quello di Alfonso, non formale e di sistema. Ed in realtà nel manifesto si accenna a questo
probabiliorismo di opinioni particolari e non a quello formale di
sistema. Per questo egli scrivendo ad un reverendo professore di
Napoli, dove regnava il probabiliorismo, dice così:
Sappia V.S. IlLma ch'io ed i miei compagni siamo stati tacciati da
alcuni di seguaci dei probabilisti e di seguaci dei Gesuiti; e tra le
altre cose han detto che tra noi non si studia e perciò siamo una
massa d'ignoranti. Ma ciò non è vero. Volesse Dio che tutte le Religioni facessero gli studi così ordinati come li fanno i nostri giovani! Essi oltre della lingua latina e rettorica, studiano per due
anni la filosofia, per due altri anni la teologia scolastica e due altri
anni la morale.
Noi non seguitiamo la dottrina de' Gesuiti, né nella Scolastica, né
57 TANNOIA
A., op. cito p. 80.
108
nella Morale, perché non siamo probabilisti, ma veri probabilioristi.
E perciò per disingannare la gente, ho dovuto cacciar fuori un piccolo manifesto del sistema che teniamo, di cui accludo qui una copia,
e pl'ego V.S. Ill.ma di farla leggere al Sign. Canonico (Giuseppe
Simioli)58.
E' facile vedere in questo lamento del santo l'eco della diffamazione di tutta la Congregazione nell'opinione pubblica, come
di gente che aderiva al probabilismo perché era gente che non
studiava!
Comunque il santo volendo presentare i Redentoristi in ambiente probabiliorista, si dice con essi senz'altro vero probabiliorista. Ma ecco come dà il vero senso del suo manifesto, quando
scrive a persona indifferente a qualunque sistema, come il Remondini di Venezia:
Circa le opere morali io sono criticato per probabilista da' moderni
e per seguace de' Gesuiti. Onde per liberarmi da questa taccia, ho
stampato questo breve Manifesto, che qui accludo. Ma quel che sta in
questo Manifesto sta tutto poi spiegato a lungo in quel Monitum,
(il « Monitum » del 1772), che V.S. Ill.ma stampò nell'ultima ristampa (della «Theologia Moralis»)...
Di questo Manifesto ne mando due: uno avrei a caro che lo mandasse
in Portogallo, dove hanno proibito le mie Morali ed anche l'Homo
Apostolicus, dove fa vedere ch'io non sono de' probabilisti antichi;
né gesuita di quei Gesuiti che sono stati troppo benigni. lo non sono
rigorista ; ma neppure sono probabilista: seguito la via di mezzo.
Dallo stesso Papa Benedetto XIV sono stato chiamato autore equo;
ed in altro luogo da lui san chiamato prudens auctor 5'9.
Dunque nel manifesto Alfonso vuoI dire che non segue i Gesuiti antichi ed i probabilisti antichi: quelli che erano troppo benigni. Altrove egli dichiara apertamente che essi erano tali perché si fondavano sul principio: qui probabiliter agit, prudenter
agit, cioè sulla probabilità presa come valore oggettivo valido
per se stesso, anche contro 1'opinione di colui che poi in pratica
si avvaleva di tale probabilità 60. Abbiamo visto come il testo del
58
5'9
6'()
nn. 2-4.
S.
S.
S.
ALFONSO,
ALFONSO,
ALFONSO,
Lettere III, p. 370.
Lette?'e III, p. 477.
Dell'uso moderato dell'opinione p1'obabile, Napoli 1765, c. 3,
109
manifesto, respingendo come criterio dell'agire la sola probabilità, voleva appunto escludere la validità del principio: qui probabiliter agit, prudenter agito
TENTATIVO DI UNA NUOVA « THEOLOGIA MORALIS ». Il manifesto
fatto, diffondere da Alfonso era una semplice dichiarazione del
suo sistema morale, ma non un piano di nuova teologia morale,
quale lo avevano ideato Maione con Vivenzio. Questa nuova opera
di teologia morale avrebbe dovuto sostituire quella alfonsiana.
Anche Alfonso si era lasciato persuadere ed il 4 luglio 1776 scriveva al Rev. Di Maio a Napoli:
Abbiamo pensato con i miei compagni, ancora per compiacere il
sign. Cardinale Banditi, arcivescovo di Benevento, il quale lo desidera, di dar fuori un nuovo libro di Morale, ma più breve della Morale già stampata, che sia conforme al cartellino che le mandai (cioè
al manifesto).
lo ho detto ai miei fratelli che per la testa che tengo rovinata non
mi fido (cioè: non ho forza) di stendere questa nuova Morale; onde
ne ho già data l'incombenza ad uno de' nostri fratelli, molto abile
a riuscirvi, e già l'ho mandato a chiamare dalla Sicilia dove al presente si trova...
Onde aspetto presto il detto nostro compagno per fargli cominciare
l'opera, nella quale almeno voglio rivedere tutto ciò che si scrive,
sintanto che san vivo. Dico così perché mi sento molto abbattuto;
ed all'incontro per compirsi l'opera secondo si è designata, coll'assistenza ancor di altri compagni a ciò da noi destinati, vi bisogna
qualche tempo; tanto più che io non posso applicarmi per lungo
tempo 61.
Il Blasucci, prima che fosse designato per la compOSIZIOne
della nuova teologia morale, era stato informato del progetto,
ed il 13 maggio 1776 scriveva così al Villani:
Veneratissimo Padre, ho preinteso che già si pensa di riformare la
nostra teologia morale, per non esporci ad ulteriore discredito e
pericolo di rovina. Ne godo grandemente, solo perché amo il decoro
e la buona riputazione, tanto necessaria, della nostra Congregazione
e mi dispiacerebbe se inefficacemente, come per lo passato, si facesse un tal progetto. Se non si rimedia presto a questo punto di universale contraddizione, non so dove vada a parare la cosa.
61
S.
ALFONSO,
Lettere III. p. 275.
1ì(j'
Dunque la «Theologia Moralis» di s. Alfonso e la sua dottrina non erano nel 1776 di decoro per la Congregazione redentorista! E' un uomo assai dotto, intelligente e sincero ammiratore
di Alfonso, come uomo e come santo, che dice questo. Ciò documenta la grande solitudine spirituale in cui Alfonso era venuto a
trovarsi alla fine del suo secolo e della sua vita, anche nel suo ambiente.
Blasucci così continua la sua lettera al Villani:
Ho pensato di sottometterle, al buon esito dell'opera, miei deboli
sentimenti:
1. Non bisogna né riformare l'opera di Monsignore, né entrare
nell'impegno di dar alla luce un corpo compiuto di Morale. Non il
primo, perché non è decoro di Monsignore farsi da altri riformare
la sua Morale; né riformarsi a suo nome sospetto di probabilista ;
ma lasciarla tale quale, come le opere di tanti altri autori, al vario
gusto de' lettori; maggiormente che già centinaia di migliaia di copie
si sono sparse dappertutto; le quali sarebbero perdute dai compratori, se comparisse nuova edizione della medesima impastata tutta
da capo. - Non il secondo, poiché l'opera non si finirebbe mai, mai
potrebbe riuscire perfetta, se non colla fatica indefessa di molti
e molti anni; e sempre sarebbe soggetta alla critica, per le varie ed
infinite opinioni, che necessariamente si risolvono secondo la rigida
o benigna morale. Oltreché il mondo presentemente è stuffato (infastidito) della moltitudine innumerevole delle Morali stampate e
degli autori moralisti.
II. Stimo più proprio all'urgenza del presto disinganno del mondo
che ci ha mal appreso; alla scarsezza del tempo che hanno i nostri
di attendere a simile studio; alla nostra povertà per la stampa ed
all'aria nuova dell'opera, che si facesse un'operetta in un tomo o due
in quarto, col titolo: Elementa seu lnstitutiones Theologiae Moralis
ad usum alumnorum c.ss.r. etc; la quale esprimerebbe i principi più
sani di Morale che s'insegnano a' nostri' giovani, dimostrati dappertutto conformi alla retta ragione, alla legge naturale, divina ed
ecclesiastica; colli corollari che legittimamente discendono in ogni
materia da tali principi; e nello stesso tempo confutarebbe sodamente i falsi principi e sistemi probabilistici; e darebbe ai giovani
una introduzione a studiare con discernimento, critica e migliore
scelta gli autori trattatisti di Morale; gl'imbeverebbe di sane massime, e sarebbe come la chiave, il primo latte più puro de' giovani
applicati allo studio della Morale.
III. Questa operetta deve esser fatta non alla maniera casistica:
semplice, inerudita; ma da buon filosofo morale che ragiona e dimostra; da teologo profondo, perito della Scrittura e de' Padri, di
111
cui ne faccia uso frequente ma giudizioso; scritta con pulizia di
lingua latina, che alletta a leggersi; ordinatissima con metodo diverso da quello comunemente usato da' moralisti; arricchita di scelta
ed utile erudizione etc.
Sicché deve comparire un'operetta erudita, piccola di mole; ma ripiena de' migliori sentimenti che non contengono le opere di grandi
volumi. Di questa maniera gradirebbe al pubblico e farebbe molto
onore alla Congregazione.
Del resto ho detto come stimo. Mi rimetto in tutto alla prudenza
e saviezza di que' soggetti che costà saranno scelti a tale arduo
travaglio.
Resto baciandole la mano con i compagni
ind.mo servo e figlio
Pietro Paolo Blasucci del SS. Red.
62.
Poiché dalla lettera di s. Alfonso del 4 luglio 1776 sappiamo che il Blasucci era stato destinato per la composizione del
nuovo testo di Morale, dobbiamo concludere che i principi e criteri espressi in questa lettera del 13 maggio dallo stesso Blasucci
furono accettati dal Villani e dagli altri Padri che dovettero trattare di questo oggetto. Poiché anche Alfonso dice che il nuovo
testo doveva essere più breve, possiamo pensare che anch'egli abbia accettato alcuni dei criteri del Blasucci; ma non dovette rendersi conto che questi voleva che non si lavorasse «in nome» di
Alfonso «nome sospetto di probabilista ». Né crediamo che gli
sia stata fatta leggere la lettera del Blasucci, la quale praticamente era un netto rifiuto dell'Opera alfonsiana, per ispirazione probabilistica, per metodo casistico, «semplice, inerudito »,
e quindi non atta alla formazione dei giovani; era buona per biblioteca tra le cento e cento opere di casisti, secondo «i gusti» dei
lettori!
Riconosciamo l'importanza deL pensiero del Blasucci e la sua
lettera del 13 maggio ci sembra che abbia un grande valore di
documento per la storia del rinnovmnento dell'insegnamento della teologia morale. Aggiungiamo che non pochi dei suoi criteri e
giudizi sono senz'altro da accettare. La storia però dimostra che
il giudizio da lui dato sulla «Theologia Moralis» del suo fondatore e suo maestro di teologia morale non era vero. Sta di fatto che
62
Archivio Gene'rale Redentoristi Roma XXXVII B-II/2.
112
essa subito dopo la morte del santo non restò in biblioteca, confusa con i cento e cento casisti; ma emerse e diventò magistero
della Chiesa per tutto l'Ottocento. La storia è storia e non si
può né ignorare né negare: per la storia Alfonso era già un rinnovatore.
Certo sull'Opera alfonsiana pesa il metodo del suo tempo:
egli è costretto a pensare, organizzare il suo pensiero in trattati
secondo gli schemi comuni. Anzi egli si è legato al testo del Busenbaum: la «Medulla Theologiae Moralis»; la quale ha i suoi
innegabili pregi: la brevità è un pregio, sicché l'ordine è più
evidente e per esso Alfonso la scelse come testo da commentare 63. Ma è un testo che scende quasi al livello degli autori di
«Casus conscientiae»; fa casistica quasi di «sommisti», sicché
il santo è costretto a trattare dei principi, aggiungendo trattati,
dissertazioni, lunghe note. Manca la parte fondamentale, come del
resto in tutti moralisti del Sei e Settecento. Quelli che ne trattano, la distillano in definizioni e principi che sarebbero buoni se
ogni Tizio o Caio non fosse un uomo immerso nella quotidianità,
ma un «per se hOlno », che basta analizzare quidditativamente in
sede filosofica per stabilirne le «regole morali»; anche le particolarissime regole casistiche. La teologia morale fondamentale
domanda determinazione di principi di valore e non soltanto semplici definizioni, benché senza di queste non sia possibile fare
chiara e scientifica teologia morale fondamentale.
Questa mancanza di teologia morale fondamenale teoreticamente enucleata manca dunque nella «Theologia Moralis» del
Busenbaum e quindi in gran parte in quella di s. Alfonso. Forse per questo Blasucci, mente filosofica, non ne era contento e
meditava la composizione degli «Elementa seu lnstitutiones Theologiae Moralis ». Però egli non si rese conto di quello di cui si
rese poi conto l'Ottocento nell'Opera alfonsiana: in tutta la sua
casistica circola la presenza di valori veramente teologici ed essi
diventano criterio per determinare le regole casistiche. Erano i
valori che Alfonso non teorizzava sul piano riflesso, ma che intuiva, controllava e viveva nella sua prassi di vero pastore, cioè
santo ed insieme comprensivo dell'uomo storico, concreto con i
63
S.
ALFONSO,
Lettere III, p. 459.
113
suoi valori umani che sono anch'essi doni di Dio, e con le sue
difficoltà reali. Vi era dunque nella teologia morale di s. Alfonso
(e quasi tutte le Opere sue sono teologia morale intesa in senso
pieno e vero) vi era una teologia morale fondamentale applicata,
si direbbe: in actu exercito. Di questa si rese conto l'Ottocento
con i Pontefici ed i santi ed il popolo di Dio. Oggi questa teologia fondamentale di principi intesi come valori, che si trova nell'Opera alfonsiana allo stato di applicazione, bisognerebbe porla
in evidenza e darle lo stato di teoreticità, che è necessaria in una
presentazione scientifica della dottrina morale teologica. Così le
risorgenti riserve del Blasucci, che in molti oggi si pongono tout
court come giudizi negativi. cadrebbero e ne avrebbe vantaggio
la teologia morale come scienza e come guida pastorale.
Blasucci venne dalla Sicilia a Pagani nel settembre 1776; ma
il progettato nuovo testo di dottrina morale, non fu composto; e
questo fu un vero, grave danno per la teologia.
Forse la ragione di questa mancata composizione bisogna
cercarla anche nel fatto che essa aveva come scopo immediato
quello di servire agli avvocati dei Redentoristi, per bloccare l'azione dell'avvocato fiscale De Leon. Gli avrebbe dovuto toglier di
mano la potente arma del probabilismo come dottrina ufficiale
della Congregazione: non senza ragione gli «Elementa» dovevan
dichiarare anche nel titolo: ad usum alumnorum c.ss.r. Ma il De
Leon accelerò la sua azione ed il 13 febbraio 1777 presentò al
Governo un lungo, dettagliato memoriale contro i Redentoristi:
erano colpevoli di violazione delle leggi che vietavano la costituzione di corpi religiosi, mentre essi erano veri religiosi; erano
colpevoli di dottrina gesuitica per il loro probabilismo e lassismo
in sentenze particolarmente pericolose per lo Stato, per la convivenza civile; per es.: insegnavano la liceità della restrizione mentale, della testimonianza giurata ambigua 64.
La presentazione del memoriale antiredentorista obbligò Alfonso e Blasucci a concentrare i loro sforzi per redigere un contromemoriale, di cui parleremo subito. Il disegno della nuova Morale passò in seconda linea; non era più di urgenz~a immediata.
La causa fu vinta due anni dopo; ma poco dopo la Congrega64
3.
Archivio Generale Redentoristi Roma: KUNTZ Fr., Commentaria... IX. p. 28.
114
zione redentorista, nel tentativo di ottenere la approvazione regia ed eliminare così radicalmente un'arma di accusa sempre
risorgente, tentò di passare sotto le forche caudine del regalismo napoletano: il tentativo le costò caro, perché dall'interno si
divise in due tronchi ed Alfonso si trovò in quello che non fu
riconosciuto dal Papa come Congregazione pontificia. In tali circostanze non vi era più possibilità di pensare, a composizione di
un testo di nuova teologia morale.
25) Il CONTROMEMORIALE del 1777.
Il 21 febbraio 1777 Alfonso scriveva al Blasucci, che si
trovava allora a Frosinone:
L'inferno fa una gran forza per veder distrutta tutta la nostra
povera Congregazione; ma io spero nel sangue di Gesù Cristo ed in
mamma mia Maria che tutto riuscirà in bene della Congregazione.
Ora le dico che abbia pazienza e procuri di partirsi quanto più presto da costà e venire in Napoli a trovare il p. Maione, il quale le
dirà tutto. La prego poi a tacere a' compagni la burrasca che passiamo, per non atterrirli 65.
Un mese dopo, il 21 marzo, egli poteva scrivere al redentorista De Paola che «la maggiore opposizione nella relazione (del
De Leon) era contro la sua Morale », ed aggiungeva: «lo ho fatto
un lungo scritto, ove rispondo chiaramente a tutte le false dottrine che m'impongono» 66.
Intanto il Blasucci lavorava a Napoli 67 nel preparare la confutazione delle accuse di carattere giuridico sulla illegalità di esistenza dei Redentoristi quale corpo di religiosi non consentito
dalle leggi. Sicché il contromemoriale consta di due parti: una
dottrinale di s. Alfonso, una giuridica del Blasucci; vi è poi una
appendice del Blasucci sulla parte dottrinale, di cui parleremo
in fine.
Il lunghissimo contromemoriale comincia così nella parte che
confuta le accuse di carattere dottrinale:
65
S.
ALFONSO,
Lettere II, p. 420.
66
S.
S.
ALFONSO,
Lettere II, p. 427.
ALFONSO,
ibid., p. 428.
67
115
Sento che il sign. aVvocato fiscale De Leon... abbia attaccato il mio
libro di Teologia Morale dicendo che io sono seguace de' Gesuiti e
che ivi stabilisco il probabilismo e secondo le mie massime scritte
son più malvagio di Ario; che la mia dottrina rovescia tutta la
Morale. Aggiunge che la mia dottrina attacca la sovranità e la sicurezza della sagra persona del Monarca. Aggiunge che la mia è una
dottrina perniciosa e ch'egli parla per difendere la Morale di Gesù
Cristo. Ed indi passa a rimproverare pÌ'ù dottrine particolari da
me scritte.
Accenna quindi alla sua dottrina sulla probabilità e riprende
quel che ha scritto nel «Monitum» del 1772 e nel «Manifesto»
del 1776: non aggiunge nulla di nuovo. Quel che fa meraviglia
è che, dopo aver dedicato una pagina alla dichiarazione di non
esser probabilista, dedica ben cinque pagine alla difesa della seguente dottrina:
Onde io per rispondere a tutto distintamente, nella prima parte parlerò de' punti generali, e nella seconda parlerò de' punti particolari 68.
Quando vi sono due opinioni egualmente probabili: una per la legge
e l'altra per la libertà, allora la legge non è promulgata; allora è
promulgata l'opinione che sta per la legge, ma non è promulgata
la legge; e quando la legge non è promulgata, ella non può obbligare 69.
Questa dottrina è la negazione del vero probabiliorismo; il"
quale domanda certezza non per la legge ma per l'opinione favorevole alla libertà. D'altra parte non si vede perché Alfonso abbia insistito su questo punto che certo non interessava i ministri del Governo. Viene alla mente quanto disse Blasucci, nell'apprendere quel che Alfonso veniva scrivendo nella Apologia del
1769:
Monsignore Liguori non fa altro che difendere il suo equiprobabilismo... Si crede con la candidezza del suo cuore di potere convincere e convertire al probabilismo i ministri... che uniti col resto del
mondo, fanno sanguinosa guerra al gesuitismo... In questi tempi vi
vuole più prudenza di serpente che semplicità di colomba 7Q.
I santi sono così: candore e finezza. E. s. Alfonso, che era
68
6'9
710
Lettere III, p. 493.
ibid. p. 494.
Studia M oralia II (1964), p. 142.
S.
ALFONSO,
S.
ALFONSO,
116
santo ed era conoscitore di uomini, ci sembra candido quando perora la causa della non obbligazione della legge non promulgata;
e tuttavia è sottile e prudente quando riesce a far passare per
professione di autentico probabiliorismo un semplice pezzo di
carta, quale era il «Manifesto» del 1776. E come questo, così
altre pagine delle sue opere apologetiche: il suo non era «bovinus intellectus».
Taluno dirà: dove è la norma evangelica: sì sì, no no? Non
occorre farne una questione di coerenza evangelica. La finezza
alfonsiana non è nel fare un tessuto di parole che abbia un doppio senso come gli oracoli sibillini; egli al più lasciava alle parole
il senso che loro davano i suoi avversari: non era sua la colpa
se .essi si mettevano a parlare di probabilismo, probabiliorismo,
rigorismo, lassismo e confondevano le cose. Il suo era un vocabolario esatto; importa poco che gli avversari lo leggessero a
modo proprio.
Comunque Blasucci non dovette essere contento del candore alfonsiano nel difendersi dall'assalto del De Leon, perché sta
il fatto che egli aggiunse una specie di appendice al contromemoriale presentato in nome di Alfonso: «Osservazioni anonime
sulla rappresentanza del sign. Avvocato fiscale De Leon ». La
terza parte di queste osservazioni presenta alcune «Riflessioni
sopra le censure della Morale latina di Mgr Liguori» 71.
E' utile leggere l'inizio di questa ultima parte, perché, nonostante la probabile amplificazione retorica, esso conferma quanto
Tannoia ci ha detto dell'azione degli avversari sull'opinione pubblica napoletana; e si comprende anche il ricorso alla difesa per
via di manifesto. Dice dunque Blasucci:
Si ha preso ultroneamente la pena il signor avvocato fiscale De Leon
di leggere tutta la Morale in foglio del detto Mgr Liguori, per darne
un saggio al Monarca; ed uscendo dai termini del suo incarico, ha
fatto presente a S.M. che quella sia una dottrina pretta gesuitica,
probabilistica, perniciosa alla Religione ed allo Stato, e degna conseguentemente di censura.
E' così divulgata qui in Napoli cotesta critica severa del signor fiscale, che sin dentro le botteghe de' merciaiuoli si leggono, come mi vien
71
A?'chivio
pp. 332, 341.
Generale
Redentoristi
Roma,
KUNTZ
Fr.,
Commentaricp
IX
117
riferito, i pezzi della sua consulta; e si parla di quella teologia morale come di una gazzetta corrente, che mette alla berlina un vescovo
di s. Chiesa. Sono stato anelante di aver alle mani uno di que' squarci volanti, fatti ormai a scorno del buon Prelato quasi publici iuris,
per sapere i termini precisi della censura ed i punti e luoghi delle
dottrine che più erronee e scandalose son sembrate al purgato intendimento del ministro censore.
Mi è capitato finalmente un pezzetto malconcio della scrittura che
dicono fedelmente trascritto dall'ultime pagelle della Relazione di
esso signor Fiscale e pubblicato non so da chi, a confusione del Liguorì. Sia chiunque l'autore vero di quel pezzo di satira che corre
sotto il nome autorevole di lui, io qui risponderò soltanto a quello
che in esso trovo registrato.
Dice in primo luogo che la Morale di Mgr Liguori sia tratta per
intero da autori gesuiti; che in essa abbia l'autore adottato il principio fondamentale e tutte le perniciose conseguenze del probabilismo
gesuitico 72.
Quindi Blasucci, dopo aver mostrato che nella «Theologia
Moralis» alfonsiana si trovano autori di tutte le Scuole ed Istituti religiosi, asserisce che Alfonso non è probabilista, perché
rigetta la liceità della opinione meno probabile. Questo è senz'altro vero; ma poi procede oltre e scrive così:
Dopo tutto ciò (cioè dopo aver rigettato il tuziorismo assoluto ed
il mitigato), pianta (Alfonso) questa conclusione: «Secunda igitur
sententia nostra et communis tenet licere usum opinionis absolute
probabilis (qui Blasucci aggiunge: che non ha veruna altra in opposto) aut saltem probabilioris, etsi contraria pro lege sit probabilis ».
Ammette per lecito, siccome ognun vede, non già l'uso della opinione
men probabile, come i Gesuiti, ma solamente quella dell'assoluta probabile, che equivale ad una quasi moral certezza o l'uso della probabiliore, per lo meno.
Chi dice che questo sistema sia prossimo al gesuitico, afferma che il
polo artico dall'antartico si discosta poco: cioè quel piccolo passo
che s'inframmette tra il settentrione e mezzogiorno 73.
Dunque Alfonso, secondo questo testo annotato dal Blasucci,
ammetterebbe la liceità dell'opinione favorevole alla libertà solo
quando non ha probabilità opposta: probabilità assoluta intesa
come probabilità unica. La ragione, come commenta Blasucci, sa72
ibid., 341-342.
73
ibid., 343.
118
rebbe perché tale probabilità assoluta equivale alla quasi certezza morale. La liceità dell'opinione più probabile sarebbe una concessione come caso limite: per lo meno, annota Blasucci. Se è
così, è senz'altro vero che tra Alfonso e Padri Gesuiti vi è distanza polare. Ma la prima affermazione è la dottrina del Patuzzi che per il santo è tuziorismo mitigato; la seconda è autentico probabiliorismo. Sicché Alfonso sarebbe tuziorista mitigato
e solo per concessione scenderebbe fino al probabiliorismo. Ma è
proprio così?
La «Theologia Moralis» alfonsiana fino al 1777, anno in
cui Blasucci scriveva quanto stiamo esaminando, aveva avuto sette edizioni; l'ultima era del 1772, la penultima del 1767. Ora il
testo citato dal Blasucci faceva parte di una dissertazione che
Alfonso aveva eliminato fin dal 1763 e che solo per errore dell'editore Remondini fu stampata nella edizione del 1763. Era
dunque un testo composto da Alfonso per la seconda edizione del
1753, ristampato nella terza e quarta edizione del 1757 e del 1760.
Ma in questi anni Alfonso era certamente probabilista e non
ancora aveva espresso la sua dottrina in termini di probabilismo
equiprobabilistico; stando invece alla interpretazione del Blasucci, egli sarebbe stato tuziorista mitigato e solo per concessione
probabiliorista. Esiste tale contrasto?
Bisogna ricordare che dal 1749 al 1760 Alfonso manifestava
la sua dottrina sulla probabilità in dissertazioni anonime ed in
dissertazioni inserite nella sua «Theologia Moralis », che perciò avevano il suo nome come autore. In queste ultime, «per poter sfuggire le lingue di tanti letterati che con ardore assai grande» combattevano il probabilismo, dissimulava il suo probabilismo 74. Nelle dissertazioni anonime difendeva invece il probabilismo con chiarezza e fermezza.
Così nella dissertazione inserita nella «Theologia Moralis»
del 1753, essendo essa non anonima, si limitava a combattere il
tuziorismo mitigato 75, il quale affermava non esser lecito seguire
l'opinione favorevole alla libertà anche quando era più probabile
di quella favorevole alla legge: bisognava che fosse probabilissima
74
7~
Studia Moralia I (1963), p. 281.
Studia Moralia I (1963) pp. 271-272; 281.
119
cioè certa moralmente. Contro tale dottrina egli stabiliva la tesi:
«Secunda igitur sententia nostra et communis tenet licere usum
opinionis saltem probabilioris» 76. E' chiaro quel che Alfonso voleva insegnare: i tuzioristi mitigati dovevano concedere la liceità almeno, saltem, del probabiliorismo. Nella particella restrittiva saltem è logicamente contenuta la seguente affermazione: prescindendo dalla liceità dell'opinione semplicemente probabile quale è difesa dai probabilisti. Questa tacita allusione al probabilismo è certa, perché nello «status quaestionis» si dice espressamente che al tuziorismo mitigato si oppongono il probabiliorismo
che difende la liceità della «probabilior» ed il probabilismo che
difende la liceità della «probabilis» anche in opposizione alla
« probabilior ». Nella tesi si difende la liceità almeno del probabiliorismo.
Nel 1757 con la terza edizione della «Theologia Moralis»
integra la tesi in questo modo: «Secunda igitur sententia nostra
et communis tenet licere usum opinionis absolute probabilis' aut
saltem probabilioris» 77. Le parole da noi sottolineate sono aggiunte dal santo al testo della seconda edizione; e non fanno
altro che rendere esplicita l'allusione alla liceità del probabilismo.
La certezza dell'allusione al probabilismo ci è data anche dalla comparazione di questa dissertazione del 1757 con una anonima del 1755. Quest'ultima è la difesa aperta del probabilismo
in quanto afferma la liceità dell'opinione probabile che abbia
«certum et grave fundamentum» 78, e confuta il probabiliorismo
che esige la probabiliorità dell'opinione favorevole alla legge. Il
tuziorismo mitigato, dice Alfonso, è confutato implicitamente con
la confutazione del probabiliorismo.
Orbene la dissertazione del 1757 non è altro che la trascrizione di questa ultima dissertazione anonima; ma poiché bisogna
evitare «l'ardore assai grande» degli antiprobabilisti, l'autore,
con materiale sostituzione di termini, pone al posto dei probabilioristi i tuzioristi mitigati, e li combatte estendendo la liceità
76
S.
ALFONSO,
Theologia Moralis
2,
t. I, Neapoli 1753, 1. I, .tr. I, c. 2, n. 47.
Theologia Moralis 3, t. I, Romae 1757, 1. I, tr. I, c. 2, n. 47.
78 [s. ALFONSO], Dissertatio scolastico-moralis pro usu moderato opinionis
probabilis in concursu probabilioris, prooemium, n. 3, Neapoli 1755.
77
S.
ALFONSO,
120
della opInIOne «certo probabilis» anche alla «saltem probabilior ». Così con questa aggiunta «saltem probabilior » la dissertazione da antiprobabiliorista diventa antituziorista.
Veniamo ora al modo di citazione del p. Blasucci. Due cose
son da notare: egli sapeva che nelle due ultime edizioni il testo
citato, anzi tutta la dissertazione era stata eliminata dalla « Theologia Moralis»; perché dunque mette da parte queste due edizioni e prende per la citazione la terza o la quarta edizione?
Di più l'espressione «absolute probabilis» denotava l'opinione «solide probabilis» difesa dal probabilismo; egli invece l'ha
annotata con questa proposizione: «che non ha veruna altra in
opposto»; con ciò s. Alfonso avrebbe indicato la «opinio probabilissima» e di conseguenza la sua tesi diventerebbe tuzioristica.
E' un vero capovolgimento: proporrebbe il tuziorismo; e lo proporrebbe in un contesto direttamente antituzioristico e filoprobabilistico.
Abbiamo dovuto scrivere questa pagina non per trarre dagli
archivi ombre che velino la grande figura morale ed intellettuale del Blasucci. La nostra rievocazione va letta non in funzione
biografica, perché altrimenti avremmo dovuto porre in maggior
evidenza la durezza della lotta nella quale egli si trovò~ La nostra pagina va letta in funzione della storia del pensiero alfonsiano: essa documenta con estrema evidenza quel che veniamo
dicendo sull'ultimo periodo dell'attività letteraria del santo quale
moralista: mancava la libertà di espressione del proprio pensiero 79.
79 I bibliografi (cf. DE MEULEMEESTER M., Bibliographie générale des écrivains
rédemptoristes Louvain 1933, p. 147) e gli editori (cf. Marietti, Quattro Apologie
italiane della Teologia Morale del B. Alfonso M. De Liguori, Torino 1829, pp. 236242) considerano e presentano come opuscolo a sé una composizione di sette paginette
in 12° nell'edizione del Marietti, a cui danno come titolo la tesi che si vuoI provare.
«Si prova che quando l'opinione che sta per la legge non è convincente o non è
almeno più probabile della contraria, ella non obbliga ».
Se ne conserva una copia a stampa del Settecento, presentata con le altre opere
alfonsiane all'esame della Sacra Congregazione dei Riti per la causa di beatificazione.
Dall'enunziazione della .tesi si può già argomentare che l'opuscolo è stato composto
nell'ultimo periodo della attività letteraria, quando Alfonso non poteva professare
apertamente il suo probabilismo moderato.
Il De Meulemeester nota che vi si cita un luogo della «Theologia Moralis» del
Patuzzi, e poiché questa è stata stampata nel 1770, egli conclude che l'opuscolo non
è anteriore a tale anno. Possiamo procedere oltre ed affermare che non può essere
121
26) MORALE SYSTEMA PRO DELECTU OPINIONUM QUAS LICITE SECTARI POSSUMUS. - 1777.
Il memoriale contro la relazione dell'avvocato fiscale è del
marzo 1777. Tre mesi dopo l'ottantunenne Alfonso, avvisato della imminente nuova edizione, l'ottava, della sua «Theologia Moralis », aveva già riveduto e dato nuovo ordine, con piccole aggiunte e varianti, alla dissertazione sull'uso moderato dell'opinione 80. Essa faceva parte del trattato «De Conscientia» ed era
stata composta nel 1765 per la sesta edizione del 1767; era stata
poi ristampata nella settima ed!zione del 1772.
Il vecchio titolo: «De liSU moderato opinionis probabilis»
veniva mutato nel nuovo: «Morale systema pro delectu opinioanteriore al 7 luglio 1771, perché solo in tale giorno Alfonso ricevette i tre primi
volumi dell'opera del Patuzzi (S. ALFONSO, Lettere III, p. 384), e la citazione è tratta
dal primo volume.
L'esame parallelo dell'opuscolo con la «Dichiarazione del sistema» etc. (cf. supra
n. 23) rivela identità di alcune citazioni nell'ordine in cui si seguono e identità
di alcune parole del santo, che si ripetono ad ve1'bum (cf. Dichiarazione nn. 31-35;
Opuscolo nn. 6-17).
Anche il Contromemoriale del 1777 (cf. supra n. 25) presenta simile identità con l'opuscolo: quasi tutte le citazioni del primo si trovano nel secondo. Sembrerebbe di poter
concludere che quest'ultimo sia stato composto verso il 1777, come un abbozzo di
opuscolo da diffondere, per dare ragione della propria dottrina e provare che essa
si appoggiava su autori rigoristi non gesuiti.
E tuttavia questo opuscoletto non combatte il probabilismo, ma difende la tesi
che senza promulgazione non vi è legge che obblighi; e che per promulgazione deve
intendersi la promulgazione che si fa alla persona con l'affiorar della legge alla
coscienza morale e non colla promulgazione che si fa nella natura, con la costituzione dell'ordine delle essenze.
Dobbiamo però confessare, con tutta la venerazione per Alfonso, che la citazione del Patuzzi non ci sembra probante. Infatti il santo, dopo aver affermato:
« Non si offende la legge, né si pecca se non quando la legge è conosciuta attualmente da chi l'offende », cita in conferma con altri questo testo del Patuzzi: «Consentiunt quidem omnes promulgationem esse omnino necessariam, ut lex virtutem
obligandi obtineat» (Opuscolo, n. 13; ed. Marietti 1729, p. 242; cf. PATUZZI J., Theologia M oralis, t. 1. De Legibus c. I, n. VII).
Ma s. Alfonso parla della promulgazione alla persona, Patuzzi parla della
promulgazione nella natura; e l'opposizione è radicale. Nella «Dichiarazione del sistema» (cf. sup1'a n. 23) al n. 57 si citava questo testo del Patuzzi, ma senza affermare la identificazione del pensiero del Patuzzi con quello alfonsiano. Tale identificazione invece è affermata anche nel Con.tromemoriale del 1777 (cf. S. ALFONSO,
Lettere III, p. 496). Che cosa pensare? Siamo nel periodo estremo in cui Alfonso
doveva leggere e scrivere con gli occhi e con le mani degli altri, e, come ci ha detto
Basso (cf. supra, nota 54), «i zelanti» «molestavano» il Vegliardo.
80
S. ALFONSO, Lettere III, p. 509.
122
num quas licite sectari possumus». Tutta la composizione, stampata poi nel 1779, occupa 15 fitte pagine in folio 81.
Sulla variazione del titolo è probabile che abbia influito la
generale antipatia che destava il sospetto di probabilismo, quale
poteva destarsi leggendo il vecchio titolo. D'altronde la preoccupazione .di Alfonso di uniformarsi al modo di pensare degli
altri emerge dal suo epistolario intorno a questa nuova edizione
della «Theologia Moralis». Così per es. il 6 giugno al suo editore Remondini dice che per la nuova edizione ha tolto molte cose,
«perché al presente alla gente non piacciono più le cose che prima si scrivevano» 82. Egli spera che la nuova edizione sarà «più
desiderabile a' compratori, secondo lo genio corrente» 83; «secondo il genio moderno molto più acclamata e ricercata della passata » 84; «plausibile a' letterati del secolo corrente» 85.
Bisogna però notare che la preoccupazione, che diventava
sempre più opprimente per il Vegliardo, era in gran parte determinata dalla presenza nella sua Opera dei trattati dello Zaccaria e del Busenbaum, ambedue Gesuiti. Specialmente la «Dissertatio prolegomena» dello Zaccariache difendeva il probabilismo, posta a principio dell'Opera, sembrava ad Alfonso pregiudizievole per tutta l'Opera: «la gente leggendola a principio, diceva, disprezza tutto ciò che viene appresso» 86.
Quando nell'ottobre 1779 riceverà la nuova edizione, avrà
la sensazione come di liberazione e scriverà al Remondini con
enfasi:
Con indicibile mia consolazione ho ricevuto... sei corpi della nuova
mia Morale... quest'ultima ristampa mi fa morire contento; come all'incontro sarei morto con pena, se fossi morto senza veder questa
ristampa 87.
Oltre la dissertazione storico-didattica dello Zaccaria, veniva
81
s.
ALFONSO,
82
S.
ALFONSO,
83
S.
ALFONSO,
84
S.
ALFONSO,
85
S.
ALFONSO,
86
S.
ALFONSO,
87
S.
ALFONSO,
Theologia Moralis 8 I, Bassani 1779, pp. 7-22.
Lettere III, p. 509.
Lettere III, p. 511.
Lettere III, p. 517.
Lettere III, p. 521.
Lettere III, p. 517.
Lettere III, p. 530.
123
eliminato anche il trattato del Busenbaum sulla coscienza, benché
già dalla 6a edizione del 1767 il suo nome fosse stato già vanificato con la seguente nota introduttoria: «Sequens hic tractatus
editus est ab alio theologo».
Venendo ora all'esame del «Morale Systema », sostanzialmente esso è la ristampa della dissertazione «De usu moderato
opinionis probabilis» delle edizioni sesta e settima della «Theologia Moralis» 88. Dalla dissertazione vien tolta l'introduzione
col suo ottimo «status quaestionis», e vi si prepone il «Monitum» del 1772, già stampato in calce alle settima edizione.
Poiché tale «Monitum», composto nel 1772 come opuscolo a
sé, citava alcuni autori della dissertazione, anzi rimandava ad
essa, nel fondersi con essa sono rimaste citazioni e rimandi, sicché nascono delle ripetizioni che disorientano il lettore. In una
desiderabile, futura edizione critica di tutta la «Theologia Moralis» sarà quindi necessaria un'ampia introduzione storico-critica. E si dovrà tener conto che l'autore, per la sua grave età,
« attratto e buttato su di una sedia» come egli stesso ci ha detto,
non poteva scrivere e comparare da sé i testi passando dall'uno
all'altro volume in folio; evidentemente egli ascoltava e dettava
all'amanuense, che per lo più non era sacerdote. Comunque egli
non si è limitato ad una semplice sutura materiale del « Monitum »
con la « Dissertatio»: vi sono delle eliminazioni, varianti, aggiunte che vanno attentamente considerate, perché contengono o suppongono affermazioni molto importanti per il pensiero alfonsiano, nonostante i suoi ottantun anno.
Per facilitare il nostro studio, divideremo il «Morale Systema» in tre parti: la prima risponde al testo del «Monitum » ;
la seconda e terza alle due parti in cui si divideva la «Dissertatio ». Non parleremo di due altri moniti: «Monitum I» e «Monitum II>> che si trovavano in appendice alla dissertazione e si
trovano ora in appendice al «Morale Systema»; essi non contengono mutazioni.
Quasi sul principio della prima parte si hanno delle varianti; son piccola cosa, ma ci fan costatare l'atteggiamento dell'auto88
Studia Moralia II (1964), p. 122.
124
re: tra esigenze della verità ed esigenze di tattica difensiva che invita al silenzio, vince la verità. Diamo il testo parallelo di una
dichiarazione di principio, sottolineandone le varianti:
Monitum del 1772
Dico III quod duabus aeque probabilibus opinionibus concurrentibus,
quamvis opinio minus tuta teneri
non possit, quoniam (ut diximus)
sola probabilitas haud firmum praebet fundamentum ad licite operandum,
tamen opinio illa quae stat pro
libertate, cum eadem potiatur probabilitate ac opposita quae stat
pro lege, grave quidem immittit
dubium an existat lexquae actionem prohibeat.
Morale Systema del 1777
Dico III quod· duabus aeque probabilibus opinionibus concurrentibus,
quamvis opinio minus tuta teneri
non possit, quoniam, ut diximus,
sola probabilitas (nota: sola probabilitas) haud firmum praebet fundamentum ad licite operandum,
tamen opinio illa quae stat pro libertate, cum aequali potiatur probabilitate ac opposita quae stat
pro lege, grave quidem immittit
dubium an existat lex quae actionem prohibeat; ac proinde suffi-
Ideoque eo casu lex redditur incerta; lex autem incerta nequit certam
obligationem inducere 89.
cienter promulgata minime dici potest; ideoque, dum eo casu promulgata non est, nequit obligare;
tanto magis quod lex incerta non
potest certam obligationem inducere 90.
Si può notare come Alfonso sottolinei nel 1777 il valore restrittivo del termine: sola, «sola probabilitas». E con ciò vien
confermato pienamente quel che abbiamo detto sul valore antiprobabilioristico di questa restrizione, contenuta nell'aggettivo:
sola 91. Con questo termine Alfonso aveva potuto dettare e diffondere il famoso suo « Manifesto» del 1776, senza deflettere di una
linea dalla sua dottrina equiprobabilistica; lo stesso termine sottolinea per l'ultima volta nel suo «Morale Systema».
Prescindiamo dalla piccola variante per cui la «eadem probabilitas» diventa «aequalis probabilitas» ; notiamo però che nel
corso del «Morale Systema» quasi sempre la vecchia espressione: opiniones aequeprobabiles, viene mutata nell'altra: opiniones
aequalis ponderis. Ciò dimostra la preoccupazione di non urtare
Theologia M oralis
Theologia Moralis
89
S.
ALFONSO,
9'0
S.
ALFONSO,
91
Cf. supra, p. 106.
7
III, Bassani 1772, in calce, p. 201a.
8
I, Bassani 1779, L I, tr, I, c. 3, p. 7a.
125
gli avversari, i quali, come abbiamo visto e ci ha detto Blasucci,
reagivano al solo sentire le parole: probabile, meno probabile,
equiprobabile: reagivano anche i più flemmatici, dice Blasucci.
Nel testo parallelo è evidente un'altra variante più lunga.
Nella redazione del 1772 l'equiprobabilità era considerata come
ragione di dubbio sull'esistenza della legge; da ciò si deduceva
immediatamente il carattere di incertezza della legge; e di qui
si passava alla possibilità di applicazione del principio che la legge incerta non può indurre un'obbligazione certa, cioè concreta
hic et nunc.
Nella redazione del 1777 dallo stato di dubbio indotto dalla
equiprobabilità si deduce non, più la incertezza della legge, ma la
non promulgazione della legge; da tale non promulgazione si deduce lo stato di non obbligazione della legge. Cioè si deduce lo
stato di non esistenza della legge per il soggetto che deve agire
hic et nunc, perché una legge che non obbliga non è legge per
Alfonso, come dirà espressamente nello stesso testo del «Morale
Systema »92. E per questo egli affermerà sempre che la violazione di una legge dubbia non è neppure peccato materiale, perché
in realtà non vi è violazione di vera legge 93.
Risolta dunque la legge dubbia in legge non promulgata e
quindi in non-legge, il principio della legge incerta che non può
indurre un'obbligazione certa viene mantenuto nella nuova redazione, ma solo materialiter, come un'aggiunta: tanto magis.
Vedremo però subito come nella riorganizzazione logica di tutta
la dissertazione trasformata in «Morale Systema» questo principio della legge incerta assumerà un altro valore.
Ci sembra che questo riportare la legge dubbia alla legge
non promulgata e cioè alla non-legge abbia un grande valore in
tutto il pensiero alfonsiano; è questa del resto la convinzione dello stesso Alfonso, come vedremo subito.
Nella prima parte del «Morale Systema» oltre le aggiunte
e varianti, troviamo delle soppressioni. Due di esse hanno importanza sul piano teoretico. Nel «Monitum» del 1772 aveva
scritto:
92
93
S. ALFONSO, Theologia Moralis 8 I, Bassani 1779, 1. I, tr. I, c. 3, p. 8b.
Studia Momlia II (1964), p. 107.
126
« Ubi duae sunt opiniones aeque probabiles, etiamsi opinio quae stat
pro lege esset vera coram Deo, attamen cum eo casu desit sufficiens
promulgatio legis, ipsa non habet virtutem obligandi 94 •
La proposizione concessiva: «etiamsi opinio quae stat pro
lege esset vera coram Deo» dice apertamente che la formale promulgazione e costituzione della legge morale, e quindi della obbligazione formalmente morale è costituita non dall' atto con
cui Dio pone in esistenza cosmica l'ordine pluralistico dei fini
particolari e dei relativi mezzi, cioè dall'atto che crea le nature,
ma dall'atto con cui egli intima alla persona l'assunzione di questo ordine oggettivo come mezzo da usare perché essa persona
formalmente ami e glorifichi Dio. Questa intimazione avviene
nella coscienza moralmente certa di un dato rapporto strumentale necessario tra glorificazione intenzionale di Dio e posizione
di un atto morale hic et nunc, determinato secondo questa o quella regola che la prudenza intima alla coscienza.
Sicché anche che Dio abbia costituito questo o quell'ordine
strumentale concreto, se la persona invincibilmente non lo conosce e pone un atto ad esso contrario, seguendo una opinione che
le sembra esser veramente probabile, in tal caso per la persona
operante l'ordine fisico stabilito da Dio non è legge formalmente
morale obbligante.
Ma questa dottrina per il probabiliorismo e per ogni oggettivismo pluralistico fisicista era dottrina sospetta. Non senza
ragione Alfonso era stato chiamato lassissimo casista 95. E forse
per questo Blasucci ripeteva al Villani che la sua dottrina non
era di decoro per la Congregazione; e l'abate Magli lo stimava
discepolo di Epicuro. Affermare dunque questa dottrina nel 1777
avrebbe provocato la reazione degli avversari sul piano civilereligioso. Sta il fatto che la proposizione concessiva: «etiamsi
opinio quae stat pro lege esset vera coram Deo» viene soppressa nel testo del 1777 96 •
Naturalmente la soppressione è puramente materiale, perché negando alla legge conosciuta con semplice equiprobabilità
95
s. ALFONSO, Theologia M oralis 7 III, Bassani 1772, in calce, p. 202b.
Studia M oralia II (1964), p. 96.
96
S.
94
ALFONSO,
Theologia Moralis
8
I, 1. I, tr. I, c. 3, p. 8b.
127
valore di promulgazione e quindi di obbligazione, la dottrina alfonsiana resta' immutata.
L'altra soppressione notevole, questa volta favorevole al probabilismo, riguarda il grado di probabiliorità che si richiede per
la promulgazione. Sappiamo con quanta soddisfazione Blasucci,
mosso dal suo logicismo, aveva indotto il santo a riconoscere che
un solo grado di probabiliorità è sufficiente per considerare come
piena promulgazione l'opinione favorevole alla legge. Alfonso
gliel'aveva concesso, ma con riserve e restrizioni; ed aveva detto
apertamente che la gradazione, anche se di un sol grado, deve
esser morale-qualitativa e non soltanto logico-quantitativa 97 • Questa concessione fatta al Blasucci era stata espressa nel «Monitum» del 1772 '98 • Nella redazione del «Morale Systema» ci si
aspetterebbe la conferma; accade il contrario: tutto il testo che
afferma la sufficienza della probabiliorità di un grado viene soppresso 99.
Nella prima parte del «Morale Systema» troviamo un'altra
aggiunta anch'essa favorevole al suo probabilismo moderato; cioè
una breve ma decisa difesa della libertà «ex ipso naturali dictamine» WO. Non vi è nulla di nuovo, tanto più che della libertà
come dono di Dio che ontologicamente è valore superiore e quindi anteriore ai valori naturistici dell'ordine orizzontale, di questa
anteriorità della libertà parlerà nella terza parte del suo «Systema Morale»; ma il solo fatto di insistere su questo tema non
gradito ai suoi avversari ha il suo valore.
La sutura tra «Monitum» e «Dissertatio », cioè tra la prima e le due altre parti del «Morale Systema» vien fatta con la
seguente proposizione:
Ex hac autem doctrina s. Thomae, nempe quod lex non habet virtutem
obligandi nisi sit promulgata et innotescat, duo corollaria descendunt,
quibus praefata nostra Dissertatio 101 magis solidatur: primum, quod
97
98
99
100
Studia Moralia II (1964), pp. 132-133; 155.
S. ALFONSO, Theologia Moralis 7 III, in calce, p. 203b.
S. ALFONSO, Theologia Moralis 7, III, p. 203b; Theologia Momlis
S. ALFONSO, Theologia Moralis
8,
8,
III, p. 9b.
ibid. p. 9b.
101 GAUDÉ L., che ha curato la bella edizione della Theologia Moralis di
s. Alfonso nel 1905-1912, crede che la «Dissertatio» a cui allude il santo nel Morale
128
lex dubia non obligat; secundurn huic annexurn, quod lex incerta nequit certarn obligationern inducere. Hinc subdirnus...
e segue tutta la dissertazione del 1765, divisa in due grandi parti che trattano dei due corollari, denominando corollari quelli che nella dissertazione e nella disputa col Patuzzi aveva chiamato due fondamentali principi 102.
Nel vecchio testo il primo principio era così enunziato: lex
dubia non obligat, quia lex dubia non est sufficienter promulgata 103. N ella nuova redazione, poiché è enunziato come corollario del principio di promulgazione, la proposizione è semplificata:
lex dubia non obligat.
Il secondo principio era così espresso: lex incerta non potest
certam obligationem inducere, quia hominis libertas anterius ad
legis obligationem possidet 104. Nella nuova redazione come corollario la proposizione non è mutata.
Che cosa pensare di questo presentar come due corollari del
principio della promulgazione della legge, quelli che nel 1765, al
terrnine della grande e feconda disputa col Patuzzi, erano stati
considerati come i due principi fondamentali della dottrina alfonsiana?
Bisogna notare che la risoluzione del principio della legge
dubbia nel principio della promulgazione della legge l'aveva già
intuita ed espressa nel «Monitum» del 1772; anzi era stata proprio questa intuizione che lo aveva indotto a comporre il «MoSystema sia l'opera: Dell'Uso moderato dell'opinione probabile, del 1765 (cf. S. ALFONSO, Theologia Momlis I, Romae 1905, 1. I, tr. I, c. 3, n. 63, p. 34, nota c). Basta
consultare la settima edizione del 1772 Hl, in calce, p. 204b. per convincersi che
s. Alfonso cita qui la «Dissertatio» latina del 1765 (cf. Studia M Q?'alia H (1964),
p. 122), la quale non è altro che la seconda e terza parte del «Morale Systema ».
E' chiaro che unendo « Monitum» del 1772 e «Dissertatio» del 1765, s. Alfonso avrebbe dovuto dire: «ut infra probatur, dicitur». L'amanuense avrebbe dovuto aiutare
il santo a cercare e dare i «loci»; non avendolo fatto, Alfonso ha creduto di rimediare, indicando «aliam quamdam meam Dissertationem, quam olim diffusius da hac
materia edidi» (ediz. Gaudé, ibid), e probabilmente ha voluto rimandare all'opera
di cui parla Gaudé. Ma come si vede è una sutura non normale; documento anche
questo delle condizioni difficili in cui Alfonso si trovava.
1J02
Studia M oralia H (1964), p. l1l.
103
S. ALFONSO, Theologia Moralis
7
104
S. ALFONSO, Theologia Moralis
7
l,LI, tr. I, c. 3, n. 55 § I, p.lla.
l,LI, tr. I, c. 3, n. 55 § II, 16a.
129
nitum » 105. Tale risoluzione è logicamente corretta? Lo è per
l'uno e l'altro corollario?
Il concetto di corollario esige che esso discenda per rigorosa
deduzione da una tesi dimostrata. Ora nel citato testo del «Monitum» il principio della non obbligazione della legge dubbia vien
dedotto assumendo come «medium demonstrationis» il concetto
di promulgazione quale elemento essenziale della legge. Ci sembra quindi corretta la risoluzione operata quanto al principio della legge dubbia. Sappiamo benissimo l'osservazione che si fa anche da semplici novizi in filosofia: s. Alfonso confonderebbe promulgazione con notificazione, ordine oggettivo con ordine soggettivo. Non occorre rispondere. L'osservazione suppone una concezione ontologica ed una conseguente concezione etica che ci sembra discutibile e che d'altronde investe tutto il campo del pensiero non solo filosofico ma anche teologico. Finché non ci si risolvea ripensare l'ente come essente per partecipazione e non
come semplice essenza esistente, Dio sarà sempre definito come
supremo architetto e l'uomo come un semplice portatore di natura particolare. Ma su questo ritorneremo, poiché qui sta il punto
fondamentale e cruciale di tutta la dottrina morale.
Quanto all'altro principio-corollario egli apertamente lo dice
annesso al principio della legge dubbia che è legge non obbligante. In qual senso è annesso a tale principio e nello stesso tempo
è corollario del principio della promulgazione della legge?
Bisogna aver presente la formulazione del principio-corollario: la legge incerta non può indurre un'obbligazione certa, per-
ché anteriormente alla obbligazione della legge la persona libera
è signora di se stessa: hominis libertas possidet.
Rileggiamo un testo di s. Alfonso che ci può guidare nella
interpretazione del suo pensiero, senza flessioni più o meno sottili da parte nostra.
Lex non sufficienter promulgata non obligat; lex dubia non est sufficienter promulgata; ergo lex dubia non obligat.
Haec tandem sit conclusio huius sententiae: spectato pondere aequali
utriusque opinionis, homo dubius maneret, neque operari posset; spectata autem vi legis, cum ipsa eo casu non sit sufficienter promul105
9.
Cf. supra, p. 91.
130
gata, non obligat nec ligat. Et ideo homo, utpote ab huiusmodi lege
dubia non ligatus, redditur certus de sua libertate, et sic licite
operari potest 1'06.
La prima parte di questa argomentazione fonda il principio:
«lex dubia non obligat» sul principio «lex non promulgata non
obligat », cioè non è legge. Da ciò Alfonso trae l'altra conseguenza: et ideo homo etc. Cioè: posta la certezza di trovarsi di fronte ad una legge dubbia che non è legge, l'uomo ha la sicurezza,
«certus redditur », di poter liberamente scegliere. Si tratta dunque di una conseguenza pratica, che si trae dalla coscienza di
trovarsi di fronte ad una legge dubbia, la quale a sua volta è teoreticamente dichiarata non legge dal supremo principio della
promulgazione. In questo senso realmente il principio della libertà ed il principio della non obbligazione della legge dubbia
sono, nella concreta deliberazione morale, connessi: il primo suppone il secondo, gli è annesso,. e l'uno e l'altro trovano la giustificazione teoretica ultima nel principio di promulgazione.
In altri termini s. Alfonso parla non di dimostrazione teoretica sul piano concettuale astratto; ma di deliberazione pratica; e qui la certezza di potersi liberamente autodeterminare è
conseguenza pratica, corollario annesso alla certezza di trovarsi
di fronte ad una legge dubbia, che è riconosciuta non-legge in
forza del principio sovrano della promulgazione.
Ci sembra dunque di poter affermare che s. Alfonso, ponendosi sempre dal lato vitale ed esistenziale della vita morale, ha
considerato la deliberazione non come sillogismo astratto, ma come vivo problema della persona posta tra determinazione di legge o determinazione di piena libertà. Posto così lo «status quaestionis », posto cioè come problema di coscienza, la sua «resolutio in principia» ha semplificato ed unificato tutto il divenire della coscienza morale. E può giustamente parlare di conseguenze
pratiche, corollari pratici che risalgono al grande principio della
non promulgazione il quale assicura di non violare alcuna legge,
ed aprono la via alla risoluzione della libertà nei principi o meglio valori positivi, come diremo in fine. Perché per s. Alfonso
la libertà, avendo valore che è insieme umano e divino perché
106
s.
ALFONSO,
Theologìa Moralis
8
I, 1. I, tr. I, c. 3, p. 9a.
131
dono di Dio 107, deve sempre risolversi nei valori teologici della
uniformità alla volontà di Dio formale, alla glorificazione intenzionale, cioè pienamente personale di Dio.
Se è così il «Morale Systema» del 1777, nonostante tutti i
suoi difetti di dettaglio e di redazione, esprime una sintesi superiore che corona degnamente il lungo lavoro di s. Alfonso quale teologo della coscienza e della persona morale.
Veniamo ora all'esame della seconda e terza parte che trattano della verità affermata nei due corollari. Poiché esse riproducono il testo della precedente dissertazione del 1765, la quale
a sua volta compendia l'Opera fondamentale per il pensiero alfonsiano: «Dell'Uso moderato dell'opinione probabile », rimandiamo
all'analisi fatta di questi due lavori 108. Qui interessa sottolineare quello che Alfonso nel 1777 sottolinea con soppressioni o con
aggiunte di testi o con varianti.
Il testo antico, prima di venire alla trattazione del primo
principio della legge dubbia che non obbliga, risolveva una questione pregiudiziale; affermava cioè la liceità dei principi riflessi
per avere la certezza dell'ultimo giudizio della coscienza prudente,
quando tale certezza non poteva aversi per evidenza diretta. La
trattazione intorno alla legge dubbia cominciava poi con un testo
o meglio con una. dottrina di s. Agostino così come era compendiata nella Causa 23, q. 1, c. 4 Quid culpatur, del Decreto di
Graziano.
Il nuovo testo, omessa la enunziazione e distinzione della questione preliminare, comincia immediatamente con la trattazione
del primo corollario sulla legge dubbia che non obbliga; ma in
tale trattazione introduce la difesa della liceità dei principi riflessi. Non si può negare che l'ordine logico del testo antico viene
velato in questa nuova redazione. Scrive infatti Alfonso:
Ex principio autem firmiter et multipliciter a D. Thoma probato,
nempe quod lex non promulgata non habet virtutem obligandi, certa
descendit praefata prima conclusio, quod lex dubia non obligat.
Huiusmodi conclusio probatur ex eo quod certum et exploratum
11()7
108
109
Studia Moralia I (1963), p. 316; II (1964), 110, 117-118.
Studia Moralia II (1964), 98-123.
s. ALFONSO, Theologia Moralis 8, ibid. p. 10a.
132
communiter est inter omnes doctores quod certitudo moralis alicuius
sententiae, si non probatur ex aliquo certo principio directo, probetur tamen ex alio principio reflexo pariter certo, ut probatur primo
ex can. 4, Quid culpatur etc. 109 •
Non vediamo come la verità del principio «lex dubia non
obligat» abbia una «probatio» nella dottrina sulla necessità dei
principi riflessi, quando non si abbia la evidenza diretta della
verità morale. Vien da pensare che la necessità della sutura tra
testo del «Monitum» e testo della «Dissertatio» abbia determinato un po' di violenza alla logica.
Nella seconda parte del «Morale Systema» viene soppressa
una pagina «in folio» dell'antico testo, dove si citavano autori
gesuiti: Vasquez, Suarez, Segneri Paolo, De Lugo, Sanchez Th~,
La Croix, Terill etc. Forse l'accusa fatta dal De Leon che la
«Theologia Moralis» alfonsiana era tratta da autori gesuiti, ha
influito su queste soppressioni. Ma bisogna dire che il testo del
Suarez è riportato nella prima parte ed esso ha certo un grande
valore, poiché dice:
Quamdiu est iudicium probabile quod nulla lex sit prohibens (vel
praecipiens) actionem, talis lex non est sufficienter proposita (vel
promulgata) homini; unde cum obligatio legis sit ex se onerosa,
non urget donec certius de illa constet. De actuum humanorum bonitate et malitia, D. 12, sect. 6, n. 8 no.
Quando si pensi che Blasucci nel 1769 aveva criticato espressamente questo testo del Suarez come favorevole al probabilismo
semplice, e tuttavia S. Alfonso lo aveva ripreso nel «Monitum»
del 1772, e lo mantiene nel «Morale Systema del 1777, bisogna
dire che, nonostante tutte le critiche e tutte le paure e pressioni,
egli non recede dal suo probabilismo moderato, come lo trovava
in molti autori gesuiti.
Un autore molto caro a S. Alfonso è S. Antonino, il quale
resta quale una delle autorità più largamente presenti nel «Morale Systema»; ma in questa seconda parte ne viene soppresso
un testo, dal quale egli aveva tratto nel 1765 questa conclusione:
Ergo ut possit aliqua opinio speculativa teneri, non oportet illam
haberi ut probabiliorem (sive unice veram, ut volunt antiprobabi1110
S.
ALFONSO,
Theologia M oralis 8, ibid. p. 9a.
133
listae moderni) sed sufficit eam a magis sapientibus non adversari.
Ergo satis est secundum s. Antonium quod opinio minus tuta sit
aequeprobabilis 111.
Con tale dichiarazione nel 1765 egli aveva negato direttamente il probabiliorismo come sistema ed aveva affermato contro
di esso il suo equiprobabilismo. Nel 1777 questa affermazione e
la espressa allusione agli antiprobabilisti moderni poteva bastare
per provocare la reazione di questi ultilIl:i. Ed il santo eliminò la
citazione di s. Antonino ed il commento suo.
E tuttavia gran parte del testo, senza commento, si trova
nella prima parte, dove è stato riportato dal testo del « Monitum»
del 1772. Quivi s. Antonino cita Gersone il quale afferma che come
in materia di fede non si erra fatalmente quando si nega un articolo non dichiarato dalla Chiesa «de necessitate credendus» e
sul quale i dotti disputano, così in materia di condotta morale un
atto non si può condannare come peccato, quando non consta che
sia tale «ex Sacra Scriptura et determinatione Ecclesiae» e vi
è disputa tra i dottori 112.
A questa grave affermazione di s. Antonino tratta dal Gersone, Alfonso aggiungeva le seguenti più categoriche affermazioni
del Biel e del Soto:
Nihil debet damnari tamquam mortale peccatum, de quo non habetur
evidens ratio, vel manifesta auctoritas Scripturae (Biel).
Quando sunt opiniones probabiles inter graves doctores, utramque
sequaris in tuto habes conscientiam (Soto) 113.
Tutte queste autorità citate da s. Alfonso avevan provocato
le chiare riserve del Blasucci, perché esse gli sembravan decisamente probabilistiche e non soltanto equiprobabilistiche 114. E tuttavia Alfonso le riconferma qui nel 1777, in piena lotta antiprobabilistica ed antiredentoristica.
La terza parte del «Morale Systema» riproduce per intero
la seconda parte della dissertazione del 1765, di cui conserva il
111
S. ALFONSO, Theologia MOTalis
112
S. ALFONSO, Theologia Momlis 8, ibid. p. 8b-9a.
113
S. ALFONSO, Theologia Momlis 8, ibid. p. 9a.
7,
ibid. p. 12a.
134
carattere antipatuzziano. Blasucci aveva segnalato, tra le citazioni che gli facevan difficoltà, il testo di s. Tommaso dove si dice
che la legge, in quanto è «mensura voluntatis », deve esser «mensura certissima».
Mi resta solamente da esporle alcune mie difficoltà che ho incontrato
in leggere l'ultima sua Apologia, affinché V.S. In.ma mi illumini...
Nel cap, 4, n. 1, p. 178 s. Tommaso dice: Mensura debet esse certissima; la legge è questa misura; dunque la legge· deve essere certissima 114
Da questa e da altre citazioni, fatte proprie da Alfonso, Blasucci traeva la convinzione che il santo difendeva non l'equiprobabilismo soltanto, ma anche il minus-probabilismo 115. Nonostante tali impressioni, Alfonso non attenua la citazione del testo di
s. Tommaso, e nel «Morale Systema» lo troviamo ripetuto per
ben tre volte 116.
Abbiamo già sottolineato come per Alfonso l'opinione favorevole alla legge, perché sia promulgazione morale, tale che impegni la persona nel suo destino eterno, deve avere un contenuto
psicologico-morale ben deciso e non un contenuto semplicemente
logico di più e di meno sul piano cerebrale 117. Abbiamo visto come
questo contenuto e valore psicologico-morale, secondo il santo, si
pone come convinzione. Convinzione significa che quando al termine della riflessione morale, fatta davanti a Dio con lealtà ma
senza rigorismi che non vengono da Dio, la persona prudente e
generosa si convince che l'opinione favorevole alla legge è tale
che non seguirla è offendere Dio, allora la coscienza deve fare sua
tale opinione.
Questo criterio psicologico-morale, così semplice ed alla portata di ogni uomo ben educato moralmente, è affermato nel «Morale Systema» . Nella seconda parte Alfonso riporta un testo di
s. Agostino che egli aveva già sottolineato nel 1761 118 :
114
115
116
117
118
Studia 'Moralia II (1964), pp. 147-148.
Studia Moralia II (1964), p. 149.
S. ALFONSO, Theologia Moralis 8, ibid. p. 7b-8a, 15a, 16b.
Studia Moralia I (1963), pp. 332-334, II (1964), p. 131.
Studia Moralia I (1963), p. 299.
135
S. Augustinus brevibus totum quod dicimus confirmat: Quod enim
neque contra fidem neque contra bonos mores esse convincitur
(nota: convincitur) indiiferenter est habendum (Epist. 54, c. 11;
CSEL 34, 160) 119.
Bisogna notare che è s. Alfonso che sottolinea in parentesi
l'espressione: convincitur. Ed è opportuno ricordare qui che egli
distingue altrove tra «rationes convincentes» che determinano
un assenso di morale certezza e «rationes probabiles» che determinano un assenso soltanto opinativo, non fermo 120.
La terza parte termina con una nota pastorale contro il rigorismo dei confessori ch~ rifiutano di assolvere chi opera secondo l'opinione benigna che egli stima equiprobabile come la
rigida:
Hic est rigor ille quem immoderatum et iniustum proculdubio reputo et reprobo; cum austeritas haec causa esse potest ut plures
animae damnentur...
Ait Joannes Gersonius: Doctores theologi non debent esse faciles
ad asserendum aliqua esse peccata mortalia, ubi non sunt certissimi
de re. Nota: ubi non sun certissimi...
Idem tandem scribit Dominicus Soto: Postquam opinio poenitentis
est probabilis, excusat eum a culpa; et ideo jus habet absolutionem
petendi, quam ideo plebanus tenetur impendere (In IV Dist. 18,
q. 2, a. 5, § 8).
Ipsemet autem Soto alibi jam dixit: Et quando sunt opiniones probabiles inter graves doctores, utramque sequaris, in tuto habes
conscientiam (De Just. et Jure 1. 6, q. 1, a. 6) 121.
Dunque se non si è certissimi che un atto è peccato mortale,
non lo si può condannare come peccato mortale, e conseguentemente dichiarare incapace di assoluzione sacramentale colui che
vuoI porre tale atto. E' vero che quel certissimi posto a quel modo non è del Gerson 122; ma a noi interessa qui conoscere la mente di s. Alfonso che in questa materia ha maggiore autorità del
Gerson; tanto più che egli sottolinea il superlativo. Così sul finire della lunga dissertazione si riaiferma l'intensità di probabilio119
S. ALFONSO, Theologia Moralis
120
S. ALFONSO, Theologia Moralis ed Gaudé I, 1. I, tr. I, c. 2, n. 36, Romae 1905.
S. ALFONSO, Theologia Moralis 8, ibid., pp. 19b, 20a.
Cf. Gaudé L., in S. ALFoNSO, Theologìa M oralis I, Romae 1905, p. 64 in nota.
121
122
8,
ibid. p.lla.
136
rità che occorre perché la «probabilior» opInIOne per la legge
sia promulgazione di legge: deve essere «mensura certissima»,
che faccia «certissimi », faccia «convinti »di dover agire secondo tale opinione.
Il testo della vecchia dissertazione terminava con la condanna di tali confessori, colpevoli di grande audacia; «animi valde
audentis ». Nella nuova redazione a queste ultime parole segue
una breve dichiarazione che non ha nulla a che fare con il contesto immediato, ma che ricapitola come conclusione tutta la dottrina del «Morale Systema». Essa è quindi l'ultima parola detta da s. Alfonso in sede di morale teoretica, ed assume perciò
grande valore per il nostro studio.
Scrive dunque s. Alfonso:
Tandem ab omnibus quae hic exposita sunt, firmiter confirmatur
principium a s. Thoma nobis traditum: quod lex, nisi sit sufficienter
ac certe promulgata, non obligat.
Deinde concluditur: quod nisi opinio quae stat pro lege sit aut
certa aut saltem certe probabilior, prout ab initio diximus, eam
sequi non tenemur 123.
Niente di nuovo. La prima affermazione pone in evidenza il
principio che sta alla base del suo pensiero: il principio della
promulgazione come atto che fonda la legge morale. E' così determinato lo stato dell'elemento oggettivo-pluralistico della vita
morale, lo stato delle leggi particolari che determinano i fini particolari ed i mezzi relativi: le leggi dell'ordine orizzontale delle
nature. Esse devono trovarsi allo stato di promulgazione alla
persona; devono cioè emergere dall'ordine orizzontale del molteplice e porsi nell'ordine verticale dell'essere, che è vitalizzato dal
dinamismo della partecipazione formale la quale porta all'origine,
all'uno: è la grande legge, oggettivissima legge, della finalità suprema, intesa come presenza della Volontà di Dio che comunica
e porta la realtà.
Questa legge o principio o valore dei valori si pone e manifesta, si promulga, alla persona quando questa è nel pieno suo
123
s.
ALFONSO,
Theologia Momlis
8,
ibid., p. 20a.
137
stato: lo stato di piena responsabilità; cioè di coscienza e libertà. Se tutte le leggi particolari non si pongono in questo stato di
promulgazione superiore, restano leggi cosmiche, di carattere fisico, naturistico, e solo potenzialmente possono dirsi leggi morali. Non senza profonda ragione ontologica s. Alfonso non riconosce la violazione materiale di tali leggi neppure come peccato
materiale.
Si dirà che egli non pensava a tutta questa metafisica, quando enunziava il principio della promulgazione come costitutivo
della legge. Certo, non ci pensava; come non ci pensa qualunque
uomo della strada quando opera da persona morale. Non ci pensava sul piano teoretico riflesso; ma è questa metafisica, meglio:
questa ontologia che egli sentiva, intuiva e viveva quando affermava che la promulgazione si fa alla persona per via di coscienza
certa e non alla semplice natura per via di inserzione di un rapporto fisico con altre nature. Per la intuizione di questa ontologia egli poteva attribuire all'ordine molteplice delle leggi valore
fisico strumentale e non sacramentale per il dialogo intimo della
persona con Dio. In questo dialogo consiste la formale gloria di
Dio; in questo dialogo che la persona cristianizzata fa nel Cristo nella tensione luminosa dello Spirito Santo; cioè nell'intenzione retta informata dalla carità di Dio e nella coscienza illuminata dalla prudenza, intesa come «mens Christi».
Sul campo teoretico riflesso Alfonso questa ontologia non
l'ha meditata; ma non l'ha meditata neppure il tomista Patuzzi, e solo qualche tomista di oggi la scopre in s. Tommaso ed invita i tomisti a meditarla. Però mentre Alfonso poteva intuirla
ed applicarla in actu exercito, Patuzzi e gli altri non la facevano
neppure in actu exercito. E non potevano, né potranno farla finché
considerano l'ente come essenza esistente e non come essente in tale
e tale essenza; finché considerano la creazione solo secondo le categorie di Aristotele e non secondo il concetto rivelato di partecipazione cristiana dell'essere paterno di Dio per la comunione col
Cristo. Partecipazione che è incontro personale, trascendente ed
immanente, e non semplice risalire esistenziale dall'effetto alla
causa, attraverso la rete sacramentalmente inviolabile delle nature e loro leggi.
138
E' naturale che chi pensa così dice ch~ s. Alfonso ha confuso promulgazione oggettiva con notificazione soggettiva. Glielo
disse crudamente Patuzzi nel 1764:
Noi siam fin qui perfettamente d'accordo: la legge, qualunque ella
sia, deve esser promulgata; e se non è promulgata, le manca un
carattere proprio ed essenziale della legge; né con rigore può dirsi
legge.
Ma la differenza che passa tra noi e lo sbaglio troppo manifesto
che voi prendete, si è il confondere che fate la promulgazione necessaria e sufficiente per la legge colla privata notizia della medesima
legge...
Questa particolar cognizione influisce, è vero, praticamente e attualmente nel regolare le proprie operazioni; ma non pertanto contribuisce virtù alcuna o vigore alla legge, che ha già previamente
ad essa siccome la sua essenza o natura compiuta, così pure tutta
la forza di obbligare.
Questa, Monsignore, è la mente e dottrina di San Tommaso e di
tutti i teologi 124.
Certo, la conoscenza individuale non costituisce le essenze
delle cose; non costituisce i loro rapporti come nature e quindi
le loro leggi che esprimono tali rapporti particolari. Ma tutte queste essenze, nature, leggi dove acquistano il valore di essere che
è partecipazione viva dell'Essere? la sintonia viva con l'Essere?
la tensione spirituale? lo stato di presenza immateriale, di intenzionalità non semplicemente concettuale astratta o quidditativa
ma ontica, intensiva; diciamo: spirituale? Perché è necessario che
tutto l'ordine del molteplice, che è ordine naturistico o fisico, si
risolva e prenda sintonia cosciente e personale con l'Essere spirituale di Dio. I concetti di partecipazione, di presenza, di coscienza, di tensione, di amore spirituale insomma, sono concetti senza
dei quali non si fa ontologia vera.
Questa risoluzione e diciamo pure redenzione del molteplice
nell'uno, dell'esistere nell'essere come partecipazione dell'Essere,
non può farsi se non dove la partecipazione si pone allo stato formale: questo si ha nella persona allo stato di coscienza respon-
124 ADELFO DOSITEO (pseudonimo di PATUZZI G.V.), La causa del probabilismo
?'Ìchiamata all'esame da Mons. Alfonso De Liguori e convinta novellamente di falsità,
Ferrara 1764, § II, p. 17.
139
sabile di sé di fronte a Dio. La promulgazione come è concepita
da s. Alfonso non è nient'altro che questo.
Abbiamo meditato finora sulla prima affermazione contenuta
nel testo che chiude il « Morale Systema». La seconda affermazione dice: «Deinde concluditur: quod nisi opinio quae stat pro lege
sit aut certa, aut saltem certe probabilior, prout ab initio diximus, eam sequi non tenemur ». Mentre la prima affermazione determina lo stato in cui l'elemento oggettivo, la legge, deve porsi
per esser legge formalmente morale: lo stato di promulgazione;
la seconda affermazione determina lo stato conoscitivo in cui il
soggetto, la persona morale deve trovarsi perché la legge si ponga come legge promulgata.
Anche qui nulla di nuovo, se si tien conto della dottrina di
s. Alfonso almeno dal 1760 in poi; ma se si considerano le circostanze del 1777 non si può non sottolineare l'importanza particolare di questo testo.
Nel 1769 Blasucci aveva scritto ad Alfonso:
Le indicai esser meglio piantare (cioè: stabilire) senza veruna
clausola la proposizione che dobbiamo seguire la probabiliore conosciuta e giudicata in concorso della meno probabile 125.
La clausola a cui alludeva Blasucci era: «notabilmente più
probabile», «certamente più probabile». Secondo lui questa ed
altre clausole avevano un valore logico difficilmente determinabile, sicché si prestavano ad abuso da parte dei vari autori 126.
Il desiderio del Blasucci non fu seguito dal santo, perché tanto nel «Monitum» del 1772, quanto nella «Dichiarazione del sistema» del 1774 egli nello stabilire lo «status quaestionis» insegna che l'opinione favorevole alla legge deve da noi seguirsi
quando è «opip.io certe probabilior» 127. Però nelle lettere al Blasucci, ai ministri di Stato, ai sacerdoti di Napoli, sempre che sta
in atteggiamento di difesa dagli attacchi antigesuiti, parla semplicemente di «opinio probabilior ». Così nel «Manifesto» del
125
126
Studia Moralia II (1964), p. 150.
Studia Moralia II (1964), p. 149.
127 S. ALFONSO, Theologia Moralis 7 III, Bassani 1772, in calce, p. 201a. Per la
«Dichiarazione del sistema» del 1774 cf. supra p. 98.
140
1776 aveva detto: «Dico che quando l'opinione che sta per la
legge è più probabile, quella deve in ogni conto seguirsi» 128. Nel
contromemoriale del 1777 evita di parlare di opinione più probabile.
Ma nel dire l'ultima sua parola da teologo nel suo «Morale
Systema », egli riprende la sua terminologia ormai classica per
lui. Anzi in conformità con tutta la dissertazione egli afferma che
l'opinione, perché sia valida come promulgazione della legge, deve essere certa; che se non si può avere la certezza, bisogna che
sia almeno, «saltem certe probabilior ». La certezza di cui parla
non può essere la certezza assoluta, altrimenti non si avrebbe
uno stato opinativo; si tratta dunque della certezza morale della
opinione probabilissima. Oltre questa certezza morale, il santo
col Patuzzi ammette una vera certezza morale, che si ha quando
l'opinione è «certe probabilior»: abbiamo allora la certezza morale larga, che pur non essendo perentoria come quella che si ha
con una opinione probabilissima, è tuttavia vera convinzione. In
fondo opinione probabilissima ed opinione certamente più probabile nella mente di s. Alfonso sono, dal punto di vista morale e
non soltanto logico, quasi eguali.
Non nascondiamo che questo insistere su avverbi, comparativi, superlativi crea fastidio; la vita dello spirito, la responsabilità non si può dosare: lo abbiamo già sottolineato 129. Ma da
una parte s. Alfonso col Patuzzi ha dato un chiaro contenuto morale e psicologico alla sua terminologia e gli avverbi essi li hanno proposti proprio per sfuggire al logicismo. D'altra parte le
insidie tese continuamente ad Alfonso dagli antiprobabilisti lo
hanno costretto ad usare di queste clausole, che, ben determinate,
davano certezza di espressione al suo pensiero e tuttavia non
provocavano reazione nei suoi avversari, perché essi non ne capivano la portata.
E' opportuno rileggere qui Patuzzi quando stabilisce la terminologia della «certe probabilior », che s. Alfonso nel 1760 aveva fatto sua e poi aveva mantenuto sempre inalterata.
128
Cf. 8upTa, p. 104.
129
Studia Moralia I (1963), p. 331; II (1964), p. 100.
141
Contro i probabilisti Patuzzi affermava che ogni volta che
ci si trova di fronte ad un'opinione favorevole alla legge bisogna seguire questa; solo si sfugge alla legge ed opinione di legge quando l'opinione favorevole alla libertà è più probabile. Ma
subito dichiarava insieme col Gonzalez che questa probabiliorità
deve essere tale da determinare un giudizio «fermo» a favore della libertà, sicché il pericolo di violare una legge oggettiva sia ridottissimo, quasi nullo.
Per poter seguire con sicurezza l'opinione alla libertà favorevole
contro la legge, non basta che dessa sia pi::' probabile o verisimile
all'operante in qualunque modo, cioè con eccesso di probabilità lieve
e dubbioso; attesoché tal eccesso non si considera dall'uomo saggio.
Ma necessario si è che ella sia all'operante manifestamente più verisimile con eccesso notorio; per cui venga giudicata vera con giudizio fermo e non titubante...
Noi vogliamo che la preminenza della probabilità sia certa e manifesta a chi opera; stanteché se ella sia tenue e dubbiosa, quantunque possa quella opinione assolutamente e in senso logicale chiamarsi più probabile, tale non può dirsi moralmente parlando, ma
piuttosto ugualmente probabile, e però incapace di determinare l'uomo prudente a seguirla...
Deve dunque l'eccesso della probabilità o verisimiglianza essere notorio e certo, affinché possa senza imprudenza e colpa seguirsi l'opinione men tuta; di maniera che per tale superiorità si giudichi vera
con fermezza di giudizio; non già con quella fermezza totale, che
è effetto della dimostrazione scientifica... ma con fermezza morale
la quale non rende nel genere morale vacillante e sospeso il giudizio dell'uomo saggio 130.
Rileggiamo ora una pagina di s. Alfonso nella quale nel 1768
spiegava al Blasucci la terminologia del suo probabilismo equiprobabilistico:
Quando la sentenza per la legge è certamente probabiliore, dico che
non può seguirsi la meno probabile; onde io sono il vero probabiliorista, tuziorista no; ma quando conosco che la rigida è probabiliore, quella dico doversi seguire. E qui sono contrario al sistema de'
Gesuiti...
E' vero che quando la rigida è certamente probabiliore, allora è an130 PATUZZI G.V., Trattato della Regola prossima delle aZ'lOnt umane nella
scelta delle opinioni..., Venezia 1758, t. I, p. I, c. 2. n. V, pp. 13-14.
142
cora con molta preponderanza più probabile; ma quando la preponderanza è poca, allora è dubbio se sia più o egualmente probabile;
ed allora corre la regola: parum pro nihilo reputatur.
E perciò li rigoristi moderni, che vogliono la morale certezza, dicono
non basta, a seguir la benigna, che sembri un poco più probabile,
quiaparum etc, ma vogliono che la rigida non apparisca probabile,
per poter seguire la benigna; e perciò vogliono la morale certezza,
non stretta (perché caderebbero nella proposizione dannata) ma larga.
E così all'incontro diciamo noi che quando si dubita se la rigida
sia egualmente o un poco più probabile, allora il dubbio è stretto e
fa che la legge sia veramente dubbia... e allora sicuramente può seguirsi la benigna. Altrimenti poi, come ho detto, quando la rigida è
certo probabiliore
131.
Dunque secondo Patuzzi e s. Alfonso la probabiliorità logica
non va confusa con quella morale. La «probabilior» morale è
sempre «certe probabilior», «con molta preponderanza probabilior »; è sempre tale che la contraria, dicono i probabilioristi,
«non apparisca probabile ». Se non si ha questa« certo probabilior », allora si sta in equiprobabilità morale, anche se logicamente
una delle due opinioni contrarie sia «probabilior» e l'altra meno
probabile.
In questa terminologia i due avversari convengono; si oppongono in quanto il probabiliorismo del Patuzzi esige che la
opinione benigna debba presentarsi con tale forte probabiliorità
se vuoI vincolare la opinione della legge; s. Alfonso «all'incontro» esige che l'opinione rigida debba presentarsi con tale forte
probabiliorità se vuoI vincolare l'opinione benigna. Probabiliorismo rigido quello del Patuzzi; probabiliorismo a rovescio assai
benigno quello di s. Alfonso 132.
Tutta questa dottrina, diventata sistema chiaro e preciso
Studia Moralia II (1964), pp. 151-152.
Il Coulon, da noi citato sopra alla nota 38, per provare l'evoluzione che
si sarebbe verificata in s. Alfonso dal probabilismo al probabiliorismo, cita i luoghi
in cui il santo dice di essere probabiliorista (cf. D.Th.C. 3, 707). Crediamo che da
tutto il nostro studio appaia con evidenza nel santo la negazione del principio fondamentale che definisce il vero probabiliorismo; «In dubiis pars tutior est sequenda »,
e la negazione dell'ontologia naturistica che è alla base del probabiliorismo autentico.
Contesto scientifico e contesto storico documenta.no che Alfonso è stato sempre probabilista moderato; l'evoluzione si è avuta nella progressiva, sempre più perfetta
espressione di questo suo probabilismo. Questa evoluzione siè avuta anche nell'ultimo suo lavoro del 1777, il «Morale systema », come' abbiamo sottolineato.
131
132
143
dal 1760 in s. Alfonso, è espressa nell'ultima frase che chiude il
«Morale Systema»: «deinde concluditur: quod, nisi opinio quae
stat pro lege sit certa, aut saltem certe probabilior, prout ab initio diximus, ·eam sequi non tenemur ».
Ha dunque ragione il Tannoia quando scrive: «Monsignore
non ritrattò giammai il suo sistema morale, né mai alterò i suoi
principi» .
Nel 1824 il redentorista Biagio Panzuti, con l'approvazione
del suo Superiore Generale, pubblicava per uso degli studenti della sua Congregazione un manuale di «Theologia Moralis B. AIphonsi M. De Ligorio». Egli era professore di teologia morale
ed era compagno di Redentoristi che avevan conosciuto a lungo
s. Alfonso; aveva infatti professato i voti nel 1793 a 20 anni;
sicché era in grado di documentarsi bene sul vero pensiero alfonsiano.
Nel suo manuale di teologia dopo aver ricordato che secondo il santo l'opinione «certe probabilior » è quella che si presenta « sine ulla haesitatione probabilior » ed è perciò sempre «notabiliter probabilior »133, afferma:
Sicut licet sequi opinionem probabilissimam faventem libertati...
ita non licere dicendum est recedere ab opinione probabilissima quae
legi faveto Opinio autem notabiliter probabilior est probabilissima 134.
Dunque, passata la bufera antigesuitica, i Redentoristi avevan composto un manuale di Teologia Morale. In essa si insegnava che non la semplice probabiliorità di un grado, ma la notevole probabiliorità tale da confondersi quasi con la probabilissima rendeva vincolante l'opinione che si presentava come legge.
Era quello che S. Alfonso aveva sempre insegnato, con parole chiare quando lo aveva potuto, con parole quasi a monosillabi, quando l'antigesuitismo e l'ambiente esterno ed anche interno lo costrinsero a distillare le sue ultime parole di teologo moralista.
133
ll.
PANZUTI
B., Theologia Moralis B. Alphonsi De Ligorio, Neapoli 1824, I
26, p. 22.
134 PANZUTI
B., op. cit.,
ll.
27, p. 25.
144
CONCLUSIONE
Nel 1765 Alfonso scrisse nella dedica della sua Opera: «Dell'Uso moderato dell'opinione probabile» a Clemente XIII:
lo mi protesto che in tutto quello che ho scritto in questa materia
altro non ho preteso, né pretendo, se non che si scopra la verità
di questa gran controversia, dalla quale dipende la buona amala
direzione delle coscienze di tutti i fedeli 135.
La sua sensibilità di uomo e di santo, resa più acuta da lunga esperienza di missionario e di vescovo zelante, gli faceva considerare come pericolosi non il solo tuziorismo, assoluto o mitigato, né il solo lassismo; ma anche il vero probabiliorismo ed un
certo facile ed indifferenziato probabilismo. Formato nel probabiliorismo, preso per via cerebrale dai libri durante lo studio di
preparazione al sacerdozio; passato poi al probabilismo indifferenziato, non fu sicuro se non quando espresse il suo probabilismo moderato in termini di equiprobabilismo qualitativo e prudenziale.
Ed allora insegnò che quando non vediamo con evidenza assoluta il da fare in situazione, ma ci troviamo tra due opinioni
opposte, in tal caso o una di esse si pone in noi come convinzione
da seguire per la sua decisa probabiliorità ed allora dobbiamo
uniformare ad essa il, nostro giudizio di coscienza sul da fare hic
et nunc; oppure tale convinzione non si pone ed allora le due
opinioni sono equiprobabili e determinano in noi uno stato di
dubbio positivo stretto.
Nello stato di dubbio positivo stretto i probabilioristi insegnano che l'opinione rigida è una notizia sufficiente a non farci
esporre al pericolo di violare la legge che tale opinione enunzia:
in dubiis pars tutior est sequenda. La sua violazione sarebbe dovuta ad ignoranza vincibile e perciò sarebbe peccaminosa. I probabilisti larghi e giuridisti non solo dilatano lo stato di dubbio
fino ad includervi anche la opinione decisamente e fortemente
meno probabile, ma danno alle opinioni benigna e rigida valore
135 s. ALFONSO, Dell'uso moderato dell'opinione probabile, Napoli 1765, Dedica
al beatissimo e santissimo Padre Clemente XIII.
145
oggettivo, disincarnato, apersonale. Sicché chi deve operare può
assumere una delle opinioni, anche se egli personalmente è di
opinione contraria. Come si fa dall'avvocato in tribunale, che adduce ragioni anche opposte per neutralizzare la posizione dell'avversario. La probabilità assume valore a sé, distaccato dal soggetto, e la stessa prudenza, virtù eminentemente personale, viene
identificata con la dialettica giuridistica delle probabilità: qui
probabiliter agit, prudenter agito
S. Alfonso naviga in ben altro mare. La equiprobabilità genera il dubbio sulla legge; la legge dubbia non è legge promulgata, non è legge morale, cioè legge che si pone nel dinamismo
teleologico ed oggettivissimo della persona. Di conseguenza l'opinione rigida cade e la persona è sicura di poter seguire la sua
libera scelta; se vorrà, sceglierà quello che propone l'opinione benigna, dal momento che essa per lui certamente non è violazione
neppure materiale di qualche legge particolare.
Si suoI dire che questa certezza finale è opera di principi
riflessi: certezza riflessa. Lo è se si considera come verità morale solo quella che vien dedotta dalla quiddità delle cose particolari; ma se la verità si fonda sull'essere più che sulle quiddità delle cose particolari, specialmente nell'ordine morale; e se
l'essere emerge e si manifesta nella persona, allora il principio della promulgazione secondo che lo concepisce S. Alfonso, il principio
della legge dubbia non obbligante, il principio della persona, signora libera dei suoi atti da porre sempre in conformità della sua
opzione teleologica fondamentale, tutti questi principi non possono dirsi principi riflessi, esterni alla verità morale; ne sono i
principi formali: saranno magari estrinseci per la scienza quidditativa, ma sono intrinseci alla virtù della prudenza, la grande
virtù della persona che viva in carità di Dio. Di conseguenza sono intrinseci alla verità della prudenza, che è la vera verità morale.
Ma possiamo dire che con la dottrina del probabilismo equiprobabilistico S. Alfonso ha creduto e voluto dare la norma integrale del giudizio di coscienza? ha creduto di dare la motivazione, il valore dell'atto morale in situazione?
Riflettiamo sulla sua posizione. Se fosse stato vero probabilO.
146
liorista, avrebbe potuto assegnare un valore all'atto singolo: la
conformità con l'ordine oggettivo delle cose. Sotto questo aspetto
la dottrina probabilioristica è perfetta: tale conformità ha valore
ontologico ed anche religiosO-lTIOrale; il probabiliorista infatti
identifica l'ordine oggettivo espresso dalle leggi e la gloria di Dio
formale. Resta certamente il problema del valore della libertà,
non la «libertas exercitii» che questa è religiosa essendo chiamata a dire sì all'ordine delle leggi; ma la «libertas specificationis ». Con essa, secondo il probabiliorista vero, si entrerebbe nel
campo degli atti che non essendo determinati dalla legge, possono,
per proprio peso, facilmente slittare nel vuoto ontologico e quindi nella negazione della verità morale. Per questo il probabiliorismo è sempre diffidente della libertà, e non senza ragione s. Alfonso fu accusato di difendere. il libertinaggio, mentre egli difendeva la libertà. Per la stessa ragione il probabiliorismo deprime i valori di coscienza, di persona, ed esalta solo la scienza quidditativa, la natura, la legge. Comunque all'atto singolo esso può
dare un valore ontologico e religioso come motivazione e questo
fa che lo spirito abbia certezza di redimere la labilità dell'atto che
passa, con un valore assoluto oggettivo.
Anche il probabilismo indifferenziato e giuridistico dà una
motivazione all'atto singolo, quando è posto in conformità dell'opinione benigna: la motivazione immediata è il valore oggettivo di probabilità che ha tale opinione; la motivazione in fondo
è il valore umanistico dell'atto quando si afferma in piena libertà, senza violare i diritti di Dio legislatore. Fondazione metafisica e teologica quella del probabiliorismo; fondazione umanistica
ed un po' nominalistica quella del probabilismo, che non nega la
legge ma la vede come onerosa limitazione della libertà dell'uomo.
Il probabilismo moderato alfonsiano sembrerebbe non poter
dare all'atto singolo una motivazione di valore oggettivo, perché da una parte nega il valore sacramentale delle leggi e dall'altra rifiuta il principio: qui probabiliter agit, prudenter agit:
la· probabilità da sé non può dare all'atto singolo la certezza di
essere nella verità morale.
D'altra. parte il principio della promulgazione ed il principio
della non obbligazione della legge dubbia, non enunziano dei valori: dichiarano non necessaria la motivazione dell'opinione rigi-
147
da equiprobabile e lasciano libera la via all'autodeterminazione.
Ma poiché l'opinione benigna con la sua equiprobabilità non può
da sé aver forza di motivazione, l'autodeterminazione resterebbe
senza valore che la fondi. Se la dottrina di s. Alfonso sulla probabilità in sede di coscienza si fermasse qui, ci sembra che verrebbe meno nel punto forse più fondamentale; mentre il probabiliorismo ed il probabilismo giuridistico lo affrontano e risolvono, ognuno a suo modo.
Costantemente s. Alfonso, almeno nelle più importanti dissertazioni sulla probabilità in sede di coscienza, dopo aver enunziato e provato il suo equiprobabilismo sul piano teoretico, insegna che quando si viene alla vita pratica per dare il giudizio di
coscienza, bisogna assumere un altro principio; quello che noi
abbiamo chiamato «principio di flessibilità» 136. In realtà è un
principio di valore ontologico, e poiché questo valore modifica le
probabilità stabilite sul piano teoretico, enunzia anche la flessibilità di tali probabilità.
Questo principio, che nella sua enunziazione è complesso, conclude e dà il vero significato a tutto la dottrina del «Morale
Systema ». Eccolo:
Hoc pro theorica. Sed quantum ad praxim spectat deligendi opiniones, quaeri solet, an expediat rigidas aut benignas praeferre?
Respondeo: ubi agitur de removendo poenitente a periculo peccati
formalis, confessarius debet, generatim loquendo et in quantum
christiana prudentia suggerit, benignis opinionibus uti. Ubi vero
opiniones benignae proximius reddunt periculum formalis· peccati,
prout sunt nonnullae auctorum opiniones; v.gr. quoad vitandas occasiones proximas, et aliae id genus; tunc semper expedit ut confessarius utatur, imo dico quod ipse, ut medicus animarum, tenetur
uti opinionibus tutioribus, quae poenitentes ad se servandos in statu
gratiae conducunt 137.
Dunque quando ci si trova di fronte a due opinioni: una rigida ed una benigna, possiamo pure decidere la loro verità teoretica secondo i principi riflessi, e dire per es. che stante il dubbio, la opinione rigida non obbliga. Ma mentre il probabiliorista
136
Studia Moralia I (1963), p. 282.
137
S.
ALFONSO,
Theologia Moralis
8
I, Bassani 1779, 1. I, tr. I, c. 3, p. p. 19b.
148
nega il princIpIO della legge dubbia e quindi impone l'opinione
rigida; mentre il probabilista giuridista dà via libera all'opinione benigna, s. Alfonso esige il riesame del dilemma, rigida o
benigna, alla luce del seguente principio di valore: l'ultima verità
dell'atto singolo è data dall'esigenza ontologica e teologica della
persona di vivere stabilmente nell'essere come partecipazione dell'Essere di Dio. Cioè, come dice l'uomo della strada che sa il catechismo: il principio di valore dell'atto è l'esigenza della persona
di vivere nello stato di grazia.
Sicché s. Alfonso fa una Morale della persona cristiana, mentre altri fanno una Morale della legge, ed altri fanno una Morale dell'atto libero,come entità e valore a sé.
Una verificazione di quanto diciamo si ha per es. nella solu·zione della questione delle occasioni prossime di peccato. Il probabilista giuridista che si preoccupa dell'atto singolo in disputa
con la onerosa limitazione della legge, si regola col principio:
qui probabiliter agit prudenter agit e facilmente segue in pratica l'opinione benigna che dice esser lecito porsi in questa o quella
occasione di peccato. Il probabiliorista che si preoccupa della
legge, interdice con facilità ogni occasione. S. Alfonso che si preoccupa della persona distingue bene tra pericolo di peccato formale dove la persona muore alla grazia, e pericolo di violazione
soltanto materiale di una legge. Nel primo caso da medico si mostra severo ed impone l'opinione rigida, senza però esagerare;
nel secondo caso, anche da medico lascia che si seguano le opinioni benigne, perché il rigore non lancia ma schiaccia la persona.
Dichiarare in sede di coscienza la flessibilità di tutte le probabilità stabilite in sede di scienza, e porre come criterio di flessibilità il principio della personalità cristiana come esigenza che
gli atti siano funzione del suo essere, cioè del vivere stabilmente
nel Cristo (tutta la dottrina morale-ascetica alfonsiana è cristocentrica e cristodinamica), significa ordinare tutta la vita morale nella luce e forza del principio di finalità e cioè nella luce e
nella forza delle due grandi virtù cristiane: la carità e la prudenza.
L'enunziazione alfonsiana così come è data, è chiara enunziazione di prudenza. L'accenno alla vita di grazia è principio ed
149
esigenza della vita di carità. Ma taluno potrebbe pensare che il
concetto di vita di grazia s. Alfonso abbia contenuto piuttosto
individualistico, quasi dicesse: la prudenza deve dirigere la coscienza nell'uso delle opinioni in modo che ognuno, evitando i peccati, possa salvare l'anima propria.
Ebbene in un altro punto fondamentale della «Theologia
Moralis », quando cioè parla degli atti umani, dissentendo da autorevoli dottori probabilisti, afferma decisamente che l'uomo è obbligato a finalizzare ogni singolo atto con l'intenzione della gloria di
Dio. Egli ricorda le parole di s. Paolo I Coro X, 13: «Sive... manducatis, sive bibitis, sive aliud facitis: omnia in gloriam Dei facite ». Esplicitamente afferma che si tratta non di semplice consiglio, ma di precetto 138.
Se poi si pensa che la teologia morale di s. Alfonso non si
può limitare alle sue opere ex professo casistiche intorno al Decalogo, ma comprende tutta la sua vasta produzione ascetico-mistica; se si pensa che egli concepiva il confessore non come semplice giudice di leggi violate o come dottore di leggi da osservare «sub peccato», ma soprattutto come medico della persona e
come padre e maestro spirituale che introduce nella virtù fino
alla santificazione; allora il suo equiprobabilismo ci si rivela non
come termine nella deliberazione di coscienza, ma come apertura
alla sintesi superiore della persona, che nel Cristo si pone quale
gloria di Dio sulla terra, usando spiritualmente delle piccole cose di ogni ora.
Roma, Accademia Alfonsiana.
138 S. ALFONSO, Theologia Moralis ed. Gaudé II, Romae 1907, 1. V, tr. praeambulus, a. V, n. XLIV, p. 703.