Relazione - Comune di Impruneta
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Relazione - Comune di Impruneta
SCHEDATURA DEL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE: CENTRI MINORI E TERRITORIO RURALE RELAZIONE 1 Indice: - PREMESSA - 1. LE DIMORE SIGNORILI: DALLE CASE-TORRI MEDIEVALI ALLE VILLE- FATTORIE TARDORINASCIMENTALI. - 2. LA CASA SUL PODERE: 2.1 IL TIPO DELL’”ALTA COLLINA 2.2. LA CASA COLONICA SETTECENTESCA 2.3. GLI INTERNI 2.4. I POZZI - BIBLIOGRAFIA 2 PREMESSA Nell’ambito della realizzazione del Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale, la schedatura del patrimonio edilizio esistente del territorio rurale e dei centri minori del Comune di Impruneta è stata condotta a partire dal mese di ottobre 2001. I centri abitati maggiori, costituiti dal capoluogo comunale e da Tavarnuzze, sono stati oggetto di operazioni simili di schedatura, condotte tuttavia da due diversi professionisti. Per dare garanzia di omogeneità al complesso del lavoro si è proceduto, in primo luogo, a realizzare una scheda informatica che fosse descrittiva di tutte le possibili tipologie insediative: quelle proprie dei centri abitati e quelle proprie del territorio rurale. La scheda prende in considerazione, con le numerose voci divise per gruppi (individuazione, catasti, descrizione dell’esterno, descrizione dell’interno) non soltanto gli aspetti architettonici e tipologici dell’edificato, ma anche quelli che servono a descrivere il contesto paesaggistico in cui questo è situato (posizione orografica, caratteri morfologici e paesaggistici, intorno agricolo e tipo di coltura, presenza di parco o di giardino storico, presenza di viale alberato, ecc.). Ciò vuole essere un tentativo di messa in luce e definizione, attraverso l’opportunità offerta dal rilevamento diretto, di quelli che sono gli elementi che determinano gli alti valori formali di un paesaggio fortemente storicizzato. La rilevazione della presenza di un numero elevatissimo di ville, fattorie, case padronali, case coloniche, chiese rurali, da sola non basterebbe a spiegare la natura complessa dell’ambiente in cui ci troviamo, poiché tali manufatti risultano intimamente legati a delle strutture agrarie, oggi in parte scomparse, espressione della “cultura”che li ha fatti sorgere. Le case coloniche di Impruneta sono state, per la maggior parte, trasformate in ville, qualche volta con interventi non filologicamente corretti e con impiego di materiali estranei all’uso tradizionale. Sempre più in maniera evidente la vecchia secolare unità del podere mezzadrile, con campo, in genere mediamente grande, casa e infrastrutture agricole, è stata stravolta e la casa appare ora circondata da un giardino recintato, al posto dell’uliveto o dell’orto originario. Oltre alla rilevazione diretta del patrimonio architettonico ci siamo avvalsi di alcune fonti, al fine di completare ed integrare le conoscenze relative a ciascuna unità edilizia: FONTI DOCUMENTARIE: - elenchi di cui all’art. 7 della L.R. 21.05.1980 n.59, degli “immobili, complessi edilizi, e zone edificate aventi carattere architettonico ed urbanistico significativo per testimonianza storica, per valore culturale ed ambientale, per connotazione tipologica o di aggregazione”; - elenco dei manufatti e dei siti di interesse culturale (esterni ai centri abitati), vincolati o ritenuti meritevoli di tutela, che sono stati censiti dal P.T.C.P. della Provincia di Firenze; 3 - elenco degli edifici vincolati ai sensi del D.Lgs. 490/99 (ex 1089/39), sostituito dal D.Lgs. 42/2004. FONTI CARTOGRAFICHE: - mappe del Catasto Generale Toscano: pur essendo stato oggetto di reiterati aggiornamenti, riguarda il periodo anteriore al 1834-35, data della sua attivazione; - mappe del Catasto all’Impianto, attivato nel 1939; - mappe del Nuovo Catasto Terreni, recentemente aggiornato. FONTI BIBLIOGRAFICHE: si veda la relativa bibliografia. Fase decisiva del lavoro è stata l’analisi e la comparazione dei catasti di riferimento (catasto generale toscano, catasto all’impianto, catasto attuale) al fine di individuare, per ciascuna unità edilizia, un periodo di riferimento per la sua costruzione. In particolare il Catasto Generale Toscano, chiamato anche Leopoldino, è stato assunto come riferimento per l’edificato anteriore al 1834-35 (tuttavia alcune delle mappe relative al territorio corrispondente all’attuale Comune di Impruneta risalgono al 1917). Il Catasto all’Impianto è stato assunto come riferimento per il periodo 18351939; infine il Catasto Attuale, attivato nel 1982 è stato utilizzato per l’individuazione catastale dei fabbricati attualmente esistenti. Si è giunti così a poter costruire graficamente una “tavola della periodizzazione” dell’edificato, tenendo presente che, per quanto riguarda i centri cosiddetti “minori”, le trasformazioni più rilevanti si sono avute nel periodo 1939-1982, mentre il territorio rurale era, alla metà del XIX secolo, caratterizzato da un sistema insediativo storico sostanzialmente non modificato. Si è tentata poi una comparazione tra i dati già acquisiti e l’osservazione delle Piante dei Capitani di Parte Guelfa, che fotografano la situazione del territorio così come si presentava alla fine del XVI secolo. Quale espressione conclusiva delle operazioni di schedatura, si è pervenuti a formulare una classificazione sintetica degli immobili sulla base di una scala di “valori” così composta: valore monumentale, valore architettonico, valore ambientale, valore ridotto, in contrasto con l’ambiente. La prima classe riguarda esclusivamente i monumenti vincolati ai sensi del testo unico dei Beni Culturali, sostituito dal D.Lgs. 42/2004; in genere si tratta di chiese, castelli o ville. I manufatti invece che hanno un particolare valore storico documentario, o perché costituiscono modelli tipologici rilevanti o perché contengono elementi architettonici o decorativi di pregio, ma che tuttavia non sono oggetto di vincolo, rientrano nella seconda classe. La classe relativa agli edifici di valore ambientale sottolinea la rilevanza prevalentemente paesaggistica e riferita al contesto degli stessi, ritenendo di secondaria importanza le loro caratteristiche architettoniche. La quarta categoria 4 contempla quegli edifici che pur non presentando particolari elementi di pregio, sono comunque compatibili con il contesto insediativo al quale appartengono. La quinta ed ultima classe, infine, riguarda quegli edifici che risultano incongruenti rispetto all’ambiente nel quale sono inseriti. Per comodità di organizzazione del lavoro di schedatura, oltre che per far fronte alle esigenze di creazione di database più facilmente gestibili, il territorio è stato suddiviso in nove zone di rilevazione e in nove centri abitati, cosiddetti “minori”. Il criterio adottato è stato quello di individuare per ciascuna zona un asse viario o un sistema di percorsi riconosciuti come unificanti e determinanti nella genesi degli insediamenti, siano questi nuclei o case sparse. In conseguenza di questa suddivisione territoriale, ciascuna scheda è contraddistinta da una sigla di due lettere che si riferisce alla ubicazione in territorio aperto o in uno dei centri minori; un numero che rappresenta il codice anagrafico della strada; infine il numero progressivo della scheda. Così, a titolo di esempio, la scheda TA.24.01, si riferisce all’edificio n. 1 situato in territorio aperto nella strada che ha codice 24, cioè la S.R. n.2 Cassia; le due tavole allegate alla schedatura, rispettivamente riferite al territorio rurale ed ai centri minori, servono ad effettuare l’individuazione su base cartografica degli edifici schedati. Le nove zone di rilevazione sono state numerate a partire dal confine settentrionale del Comune, seguendo l’ordine adottato per i rilevamenti; esse sono: Zona 1: Colleramole. Situata a nord-ovest di Tavarnuzze e della Greve, nel Catasto Generale Toscano, l’area viene denominata di Giogoli, San Cristofano, Colleramole, toponimi che si ritrovano anche nelle Piante dei Capitani di Parte. Zona 2: Quintale per Le Rose. L’area, interamente collinare, ha come riferimento gli antichissimi percorsi di crinale costituiti da Via Quintole per Le Rose e Via di Brancolano, lungo i quali sono sorti nel tempo numerosi complessi nobiliari, religiosi e colonici. Zona 3: Riboia. Altri percorsi di crinale con andamento sostanzialmente parallelo a via di Quintole sono via Riboia, via di Castello e via S.Isidoro. L’area, pur essendo stata bruscamente interrotta dal passaggio dell’autostrada, conserva intatte le sue caratteristiche di paesaggio “storico” indissolubilmente legato alla presenza della città, comprendendo oltre agli insediamenti puntuali unificati da detti percorsi, il lembo settentrionale del territorio comunale, fino a via Luigiana e a Pozzolatico situato a nord-est. Zona 4: Mezzomonte. L’area comprende gli insediamenti sorti lungo la strada provinciale Imprunetana che da Pozzolatico conduce al capoluogo comunale, includendo anche il nucleo di Mezzomonte. Zona 5: Colline. La zona comprende le colline di San Gersolè e di Montauto, con l’importante percorso storico di Via Ponte a Jozzi . La vasta area collinare che potremmo denominare, seguendo il C.G.T., “di Colline”, è situata tra il torrente Grassina, ad est, il Borro dei Tre Fossati, a sud e 5 l’Imprunetana per Pozzolatico ad ovest. Vi sono presenti importanti complessi nobiliari, tra cui Villa Corsini e Villa Il Moro. Zona 6: Montebuoni. La via Imprunetana per Tavarnuzze seguendo il crinale di Montebuoni collega i centri maggiori di Impruneta e Tavarnuzze: lungo questo asse sono sorti numerosi aggregati a carattere per lo più colonico. Zona 7: Val di Greve. La Val di Greve costituisce per le sue intrinseche caratteristiche vegetazionali ed insediative, un’area a sé stante, a partire dal centro maggiore di Tavarnuzze fino ad arrivare al nucleo del Ferrone. Si tratta infatti di un’area di fondovalle con la strada regionale Cassia che corre costeggiando il fiume Greve, per poi lasciare il territorio comunale piegando decisamente verso sud-est in corrispondenza dei Falciani. Qui la Greve viene fiancheggiata da un’altra strada a traffico pesante, la Chiantigiana. La struttura insediativa è caratterizzata dalla presenza dei due centri minori, i Falciani ed il Ferrone, con rilevante presenza di imprese artigianali o industriali legate alla produzione del cotto, che si contrappongono al radicale diradamento delle coloniche e soprattutto delle ville nobiliari concentrate prevalentemente sui crinali che si diramano dal Poggio alle Carraie. Zona 8: Le Sodera. L’area sud-est del territorio situata tra le Terre Bianche e la Greve ha caratteristiche insediative simili alle zone collinari (di crinale) del nord del comune. Il primo tratto di via delle Sodera, nonché via Tafani e via Pian di Pancole, si differenzia per un edificato di carattere ottocentesco, a fronte dell’ultimo tratto, inagibile in più punti, dove sorgono complessi di una certa antichità. Zona 9: Dei torrenti Grassina ed Ema. Zona di contatto tra il nord ed il sud del territorio e per questo simile per certune caratteristiche ad entrambi, si caratterizza per la presenza di due percorsi collinari con andamento parallelo sud-ovest nord-est, Via Fabbiolle e Via Terre Bianche. Quest’ultima si svolge per lo più lungo il crinale che dall’altura dove sorge la pieve dell’Impruneta conduce al Torrente Grassina. Si tratta di una zona interessante sotto molti punti di vista, non ultimo la natura geolitologica del terreno, costituito da rocce ofiolitiche. Infine un accenno al significato della voce “aggregato” contenuta nella scheda: con tale termine infatti si è scelto di indicare la compresenza in un determinato luogo di più strutture edilizie, in genere aventi un ordinamento “gerarchico” ben definito. E’ il caso del complesso villa-fattoria, in cui alla “casa da signore” si affianca, in continuità volumetrica o meno, la cappella privata, una o più coloniche con altrettanti annessi. Poniamo il caso invece che un edificio colonico sia caratterizzato da più unità, sorte per aggregazione nel tempo o frutto di suddivisioni successive; in questo caso ciascuna unità edilizia, ancorché individuata da precise caratteristiche, sarà descritta da una scheda a parte, ma anche da un numero comune di aggregato. 6 1. LE DIMORE SIGNORILI: DALLE CASE-TORRI ALLE VILLE-FATTORIE Se esaminiamo le Piante dei Capitani di parte Guelfa, documento cartografico della fine del XVI secolo, relativo ai “popoli” intorno alla Pieve, notiamo che la maggior parte degli edifici rappresentati possono a buon diritto essere interpretati come dimore di una certa importanza: soltanto in minima parte compaiono infatti le modeste “case dei lavoratori”. Ciascuna dimora è infatti individuata dal nome del proprietario e da elementi architettonici “aulici” come torre, merlature, altane e portici. Nel corso della nostra campagna di rilevamenti non si è rivelato raro il caso di elementi architettonici o tecnico-decorativi appartenenti al linguaggio dell’architettura signorile inseriti in una struttura chiaramente utilizzata per lungo tempo come colonica. Dobbiamo dunque concludere che il fenomeno della diffusione di residenze padronali doveva aver assunto una consistenza ben maggiore, rispetto a quella che ci aspetteremmo osservando la realtà attuale prodotto, come è naturale, di sovrapposizioni successive. Inizialmente la crisi del sistema curtense, basato sulla suddivisione delle terre nelle grandi proprietà ecclesiastiche o delle famiglie nobiliari di antica origine, in mansi, dette luogo ad un cospicuo aumento dei piccoli possessi cittadini, testimoniato dalle numerosissime concessioni livellarie che costituiscono la maggior parte dei documenti dei secoli XI e XII. CASA PADRONALE CINQUECENTESCA DECLASSATA A COLONICA: SI NOTINO I PREGEVOLI RIFERIMENTI ARCHITETTONICI TARDORINASCIMENTALE. 7 AL LINGUAGGIO Dell’antica struttura curtense o feudale non rimangono che poche tracce sul territorio: gli unici castelli feudali che dominavano già prima del Mille il territorio imprunetino furono il Castello di Montebuoni che, come è noto, fu roccaforte dei Buondelmonti, ma venne distrutto dai fiorentini nel 1135, il castello di Montauto di fondazione più tarda; a questi dobbiamo aggiungere il castello di Brancolano, appartenente alla consorteria dei Rossi che aveva possedimenti a San Lorenzo alle Rose e sulla collina di Viciano. E’ opportuno osservare che tali fortilizi si trovano in punti strategici delle più importanti vie di comunicazione a orizzonte sovraregionale: il castello di Montebuoni e quello di Brancolano controllavano la valle della Greve in prossimità del passaggio della via Cassia; in particolare il secondo si trovava proprio nel punto di congiunzione tra questa e la “scorciatoia” per la Pieve rappresentata da via di Quintole. Montauto dominava invece la valle del torrente Grassina dove passava la Chiantigiana. Nei secoli XI e XII nel mondo urbano si andarono ponendo le basi per la rinascita economica dell’età comunale: in questo quadro, che vede la città crescere nelle sue potenzialità produttive e divenire sede di quelle attività economiche ad essa più congeniali (manifatture, commercio, credito), si colloca il fenomeno della propensione dei ceti urbani ad investire i capitali accumulati con la mercatura nell’acquisto di terre. «Il mercante arricchito non importava se originario o meno del contado, ricavava prestigio sociale dalla proprietà fondiaria la quale, oltretutto, gli garantiva quella “tranquillità alimentare” sempre ricercata dall’uomo del medioevo, a causa della cronica insufficienza della produzione agraria che portava alle ricorrenti carestie»1. Grazie ai prestiti non assolti fatti ai piccoli proprietari di terre del contado i capitali cittadini penetrarono lentamente nel contado, ponendo le basi per la successiva formazione del sistema mezzadrile. Nel catasto fiorentino del 1427 i piccoli proprietari che risiedevano prevalentemente nei piccoli villaggi rurali si riducono numericamente in maniera sostanziale, a tutto vantaggio dei ricchi esponenti dei ceti urbani Il sistema di conduzione a mezzadria, con la costituzione dell’unità poderale derivata dall’accorpamento di più appezzamenti, si rivelò quello più vantaggioso per i proprietari, che avevano così assicurata una parte della produzione e potevano contare sulla presenza fissa del contadino che lavorava la sua terra. Spesso, già a partire dai primi anni del Duecento, sul podere, assieme alle costruzioni necessarie per il funzionamento dell’attività produttiva, tra cui in primo luogo la modestissima casa da lavoratore, troviamo la cosiddetta “casa da padrone”, cioè l’abitazione che il proprietario cittadino teneva a sua disposizione per quando si recava in campagna a controllare l’attività del suo mezzadro, o semplicemente per “villeggiare”. Questa usanza, ancorché di antica origine, venne mantenuta 1 R. Stopani, Dal villaggio rurale alla casa colonica, in A.A. V.V., La cultura contadina in Toscana, Bonechi, Firenze, 1989, p. 11. 8 fintanto che la mezzadria sopravvisse nelle nostre campagne, determinando quindi la nascita di un tipo edilizio particolarissimo, che possiamo denominare “casa padronale” e che ebbe diverse evoluzioni al pari della casa colonica. Tra la seconda metà del Duecento e la prima metà del secolo successivo le nostre campagne, soprattutto nelle zone più prossime alla città, si costellarono di dimore signorili isolate o poste accanto alle case da lavoratore. Se esaminiamo i toponimi che si sono conservati nel nostro territorio, notiamo che molti di essi si riferiscono a manufatti di carattere difensivo di cui spesso non vi è più traccia: si tratta delle numerose La Torre, Torricella, Torre dei Velluti e simili. Secondo Italo Moretti la presenza di una torre, quindi casa-torre, indicava l’esistenza di una dimora padronale, spesso compresente insieme alla casa da lavoratore sullo stesso appezzamento di terra2. Siamo già alla metà del XIII secolo, quando la crescita urbana di Firenze, conseguente alla ripresa dell’economia degli scambi e dei commerci, determina il ridestarsi dell’interesse verso i più sicuri investimenti terrieri da parte dei cittadini più facoltosi, desiderosi di acquistare prestigio sociale anche attraverso la costruzione di dimore sontuose. E’ chiaro dunque che per le “case da signore” si utilizzavano gli schemi propri dell’architettura aulica civile dell’epoca immediatamente anteriore e cioè il fortilizio. La presenza accertata di un numero piuttosto elevato di torri lungo la già citata via di Quintole è forse da mettere in relazione al moltiplicarsi, nel corso del ‘300, delle dimore signorili lungo l’importante tracciato viario, un tempo territorio di un’unica potente consorteria: i Rossi d’Oltrarno. 2 I. Moretti, L’architettura della casa colonica, in A.A. V.V., La cultura contadina in Toscana, vol. II, Bonechi, Firenze, 1989, p. 19. 9 In non pochi casi le antiche strutture medievali vennero inglobate nelle nuove ville-fattorie cinquecentesche, ma in molti altri esse sopravvissero come nuclei di coloniche subendo dunque una sorta di “declassamento”. Numerosi sono infatti gli esempi di questo secondo caso, che permise anzi alle vecchie strutture, spesso utilizzate come piccionaie, di conservarsi fino ai nostri giorni. Infatti il più delle volte questo si risolse semplicemente nell’aggregazione al corpo della casa-torre , spesso scapezzata, di un nuovo corpo di fabbrica più basso, funzionale alle attività agricole. Ma il periodo storico maggiormente documentato almeno per quanto riguarda l’architettura signorile è quello dei secoli XVI e XVII. Conseguenza di un rinnovato interesse dei più ricchi ceti cittadini rivolto verso la campagna, il nuovo fervore edilizio che caratterizza il Cinquecento ebbe la sua più importante manifestazione nella costruzione delle grandi ville-fattorie. Alcune di esse riutilizzarono i siti degli antichi borghi rurali di epoca precomunale, semiabbandonati, come dovette avvenire a Riboia, o a San Lorenzo alle Rose, altre furono realizzate ex-novo in posizione per lo più baricentrica rispetto alla proprietà terriera. Il Carocci3 documenta una serie di ville che, edificate in epoca anteriore, subirono sostanziali modifiche, consistenti talvolta in rifondazioni, talvolta in accrescimenti o abbellimenti, risalenti al tardo-rinascimento. Il Palagio dei Bettoni ingloba in un palazzo cinquecentesco con loggia di sapore michelangiolesco, una struttura turrita trecentesca. La stessa villa Antinori conserva l’aspetto grandioso delle ville quattrocentesche, mentre sono di epoca settecentesca i suggestivi affreschi che ne decorano i saloni. Un altro esempio di riconversione di precedenti strutture è rappresentato da Villa Le Rose, detta anche ‘La Torre’, in loc. San Lorenzo alle Rose che, secondo lo storico fiorentino deriva il proprio nome da «una torre che doveva esistere in questo luogo, ma della quale non si hanno oggi più tracce» e che fu trasformata in villa con giardino all’italiana alla fine del ‘600 dalla famiglia Grifoni. Anche il castello di Brancolano, roccaforte dei Rossi d’Oltrarno, fu riedificato come ‘palazzetto’ dalla famiglia Borghi alla metà del ‘400. La residenza signorile di un ramo della famiglia Bardi denominata ‘Il Pratello’ ha i caratteri architettonici di una villa del ‘500 ma ingloba una torre di epoca sicuramente più antica. 3 G. Carocci, I dintorni di Firenze, vol. II, Firenze, 1906-1907. 10 LA TORRE DELLA DIMORA SIGNORILE DEL VIA QUINTOLE PER LE ROSE. SI PRATELLO, IN NOTINO I MERLI DI CORONAMENTO TAMPONATI E LA SCALA ESTERNA IN PIETRA AGGIUNTA NEL ‘500. 2. LA CASA SUL PODERE La casa colonica isolata, espressione antica della cultura mezzadrile, rappresenta il tipo edilizio maggiormente diffuso nel territorio di Impruneta. G. Salvagnini l’ha definita “un complesso articolato di spazi organizzati, attrezzature ed ambienti nel quale la famiglia rurale concentra le proprie funzioni abitative e parte delle attività lavorative”. Qualcosa di più dunque di una semplice abitazione. Oggi la maggior parte delle coloniche di Impruneta sono state ristrutturate per trasformarle in residenze di prestigio, per cui non sempre è possibile cogliere lo stretto legame che doveva unire la casa, il campo, le infrastrutture agricole, essendo venuta meno la “funzione” per cui esso sussisteva. Tuttavia dove la ristrutturazione non ha completamente stravolto l’originale “genuinità”, la ricorrenza di numerosi elementi architettonici, soluzioni tecnologiche, persino caratteri decorativi, (seppure nella loro generale semplicità), rendono plausibile una lettura tipologica delle dimore rurali. E’ opportuno innanzi tutto operare una distinzione: alcune, che potremmo definire “architetture spontanee”, sono il prodotto di un processo diacronico di adattamento alle sempre nuove esigenze lavorative, non mancano di organicità, ma si caratterizzano in genere per una volumetria molto articolata, cui le preesistenze medievali hanno fatto talvolta da nucleo di base. 11 Altre, pure notevolmente diffuse ad Impruneta, sono le coloniche in cui è chiaramente leggibile una unitarietà e coerenza progettuali, tali che si può parlare di una vera e propria “coscienza architettonica”, che si diffuse a partire dalla seconda metà del XVIII secolo nella Toscana leopoldina. Questa rigida distinzione non rende merito della complessità e varietà di forme propria del mondo rurale che ci troviamo davanti: in molti casi, infatti, diventa difficile, se non impossibile, la scelta dell’appartenenza di un manufatto all’una o all’altra categoria! 2.1 IL TIPO DELL’”ALTA COLLINA” Osservando le fonti iconografiche (Piante dei Capitani di Parte) relative alla fine del XVI secolo, possiamo ipotizzare che nelle campagne a sud di Firenze, specialmente quelle più prossime alla città, due erano i tipi edilizi rurali maggiormente diffusi: le modestissime “case da lavoratore” e le dimore da signore due-trecentesche, alcune delle quali “declassate” e utilizzate come coloniche in seguito al fenomeno che abbiamo visto nel capitolo precedente. Accanto ad abitazioni caratterizzate da una volumetria molto semplice, che dovevano essere del tutto simili alle case contadine dei centri rurali, sono rappresentati infatti edifici dalla più complessa impostazione plano-volumetrica, con presenza di torri, logge, porticati, recinzioni. E’ proprio la persistenza degli elementi tipologici di quest’ultima “categoria” di manufatti, ad aver contribuito in misura determinante alla formazione di un nuovo tipo di abitazione per i mezzadri che sembra diffondersi proprio in questo secolo. Facciamo un passo indietro: a partire dalla seconda metà del XIII secolo e per tutto il corso del XIV, si assiste alla diffusione del sistema di conduzione mezzadrile che interessa tutta l’area toscana. Non è qui la sede per descrivere quali furono i meccanismi che portarono alla formazione del contratto mezzadrile, ma è bene ricordare che la sua massiccia diffusione modificò notevolmente le caratteristiche degli insediamenti presenti sul territorio. “[…]. Di pari passo con lo sviluppo della proprietà cittadina si accentuò la diffusione dell’appoderamento e della mezzadria. All’inizio del XVI secolo, nel piviere di Impruneta interi popoli, come quelli di Colline, San Gersolè, Quintole, Bagnolo, Luiano, Mezzano, erano costituiti quasi interamente da unità poderali; altrove, intorno alla pieve, a Strada, a Pitigliolo, a Pancole, a Montebuoni rimanevano ancora numerose terre sparse, che tenderanno a ridursi nei primi secoli dell’età moderna” (G. Pinto, Toscana medievale, p.160). La tipologia di insediamento che caratterizza la struttura poderale è la casa colonica che viene edificata al centro del podere – a sua volta derivato dall’accorpamento di piccoli appezzamenti di 12 terreno - accompagnata da una serie di infrastrutture agricole (stalla, porcile, aia, capanna, forno, pozzo, ecc.) in continuità volumetrica o meno con l’edificio principale4. Renato Biasutti nel famoso saggio intitolato “La casa rurale nella Toscana”, edito nel 1939, affermava riferendosi alla zona collinare a sud dell’Arno: “La popolazione rurale è, in grandissima maggioranza, sparsa e le case isolate sui fondi. Ma si hanno anche alcuni aggruppamenti di case coloniche che si possono considerare quali piccoli nuclei rurali e si possono comprendere in essi anche quei nuclei di edifici e di popolazione che a volte si sono formati intorno alle fattorie o alle ville padronali, molto numerose in tutto il territorio e specialmente nelle vicinanze di Firenze” (R. Biasutti, Op. Cit. , p.71). Dove residui architettonici medievali funsero da polo di aggregazione di successive aggiunte di volumi, l’edificio colonico è naturalmente caratterizzato da un’accentuata articolazione planivolumetrica. Talvolta la presenza di una torre, in genere “scapezzata” o di brandi di muratura medievali (caratterizzati da una regolarità evidente di forma, dimensione dei conci e tessitura) denunciano chiaramente la preesistenza di una dimora signorile del XIII o XIV secolo; in altri casi, per la verità non molto frequenti, il nucleo più antico era costituito da una “villa”, documentata nelle fonti tardo-medievali come sito abitato da più famiglie contadine, ridotta nei secoli successivi a poco più di un casolare con annessi5. Essendo originati da preesistenti insediamenti, le case poderali sfruttavano le posizioni orografiche più comode: spesso le troviamo lungo la linea del crinale, dove passa una direttrice viaria, oppure alla sommità di poggi isolati, raggiungibili mediante un viottolo campestre. La necessità di approvvigionarsi costantemente di acqua, per gli usi sia della casa che dell’orto, che infine del resede rurale, rendeva preferibile un sito non lontano da una sorgente o dove vi fosse la possibilità di captazione di una falda acquifera. In ogni caso la necessità di adattarsi all’orografia del luogo, che sia questo di crinale, in forte pendenza, o di pianura, divenne naturalmente uno dei fattori determinanti della costruzione o dell’accrescimento di tutti gli edifici rurali. La forte pendenza veniva, ad esempio, “superata” adottando una volumetria frazionata, come illustra l’esempio di Casanova nella zona di S. Lorenzo a Colline. Pur nell’estrema diversificazione dei casi, possiamo tentare di individuare alcune caratteristiche tipologiche costanti che ricorrono nel territorio imprunetino, tenendo presente gli importanti studi 4 Nei registri notarili della prima metà del Trecento compaiono numerose descrizioni di poderi così fatti: a San Martino a Bagnolo un podere “cum domo, portico, curia, columbaria, furno, porcile, fornace”; a San Michele a Nizzano un podere “cum domibus magnis et parvis et columbaria”; a Candegli un altro podere “cum domo, area, capanna”; a Fabbiolle e a Monte un “macinatorium ad macinandas olivas”, indicato anche come “hedificium ad faciendum oleum”. Da G.PINTO, Toscana medievale, Le Lettere, Firenze, 1993, p.160. 5 Si tratta dei casi già citati per la zona di Quintole, di Tesserata e l’Olmo. 13 PI CCOLO AGGREGATO COLONICO CON CORTILE INTERNO E POZZO, ACCESSIBILE DA UN PORTALE SULLA STRADA (LOCALITÀ BARUFFI). che sono stati compiuti in passato sull’edilizia rurale toscana in generale. Lo studio del Biasutti prende le mosse dalla constatazione che le varianti sub-regionali traggono origine da un tipo semplice, unitario, avente tutti i vani essenziali raccolti sotto lo stesso tetto, con le stalle al piano terreno, i vani d’abitazione al primo piano. Questa osservazione è valida anche per il patrimonio edilizio rurale di Impruneta. La posizione della cucina, che è il nucleo centrale della colonica e della stalla, cellula base del “rustico”, hanno determinato infatti differenze importanti delle strutture. E’ chiaro che, con la trasformazione della grande maggioranza degli edifici in ville, avvenuta nel corso degli ultimi decenni, tale lettura tipologica è resa ancora più difficile: in generale sono gli ambienti al pian terreno, quelli che un tempo erano adibiti a stalle, ad aver subito i cambiamenti più macroscopici, mentre minori sono quelli che hanno riguardato gli ambienti residenziali. A seconda della posizione dei due elementi base possiamo avere due soluzioni possibili: cucina e rustico entrambi al piano terreno, con il piano superiore occupato, rispettivamente, da camere da letto e fienile; oppure rustico al piano terreno e cucina (con camere) al primo piano. Entrambe le soluzioni sono presenti ad Impruneta, ciascuna differenziata a sua volta in numerose varianti, ma predomina sicuramente la seconda, ritenuta più tarda. Molto diffusa ad Impruneta, la variante con cucina al piano superiore, in posizione centrale e con scala interna, si trova isolata, come edificio monofamiliare, oppure come “cellula base” di piccoli 14 aggregati per più famiglie, con cortile interno, attorno a cui sono riuniti i diversi edifici. Renato Biasutti la individua genericamente come tipo dell’alta collina, diffuso del resto, in tutta la zona collinare a sud di Firenze; numerosi ne sono gli esempi rilevati, caratterizzati dall’irregolarità planimetrica e dalle altezze differenti dei fronti, poiché i volumi sono frutto di aggregazioni “spontanee”, risalenti ad epoche diverse. Nel tipo dell’alta collina è abbastanza frequente un portico inferiore tagliato nella facciata, inserito nel centro o in un angolo di questa. Le aperture del portico possono variare da un minimo di una ad un massimo di tre e la forma di gran lunga prevalente è l’arco a sesto ribassato, detta anche “ad ansa di paniere”; meno frequentemente si trova invece l’arco a tutto sesto. La ghiera dell’arco, qualche volta lasciata a vista, è in ogni caso, in elementi laterizi, così come i pilastri di sostegno. L’adattamento della casa colonica ad uso residenziale ha comportato, nella quasi totalità dei casi, la chiusura del porticato con infissi, al fine di riuscire ad utilizzare l’ambiente così ricavato come ingresso o come soggiorno. Il portico ad archi può essere considerato un elemento mutuato dall’architettura signorile tardorinascimentale e sembra che sia stato introdotto nell’edilizia rurale di nuovo impianto solo a partire dal XVIII secolo, in seguito al fenomeno di grande rinnovamento edilizio nelle campagne proprio di quest’epoca6. Gli esempi di architettura rurale più modesti, non derivati quindi da case signorili medievali o tardo-medievali declassate, mostrano invece la più semplice struttura della tettoia architravata, anteposta alla facciata, che assolveva alle medesime funzioni di luogo di lavoro aperto ma riparato dalle intemperie. La tettoia architravata la ritroviamo anche come copertura delle loggette “caposcala” quando la scala di accesso all’abitazione è esterna. 6 Se osserviamo le Piante dei Capitani di Parte Guelfa notiamo che le “case da lavoratore” sono rappresentate come strutture molto semplici, a pianta rettangolare, con copertura a capanna, piccole e scarse aperture per ogni fronte, porta di accesso ad arco. Nessuna traccia dunque del portico; che invece è quasi una costante delle “case da signore”. 15 TIPO “A SCALA ESTERNA” CON LOGGETTA A COPERTURA DEL PIANEROTTOLO D’INGRESSO AL PIANO SUPERIORE. (PODERE DEL LASTRONE, VIA COLLERAMOLE) I fronti sono caratterizzati da aperture di piccola luce, per difendersi sia dal freddo invernale che dalla calura estiva, e furono dotate almeno fino all’Ottocento solo di scuri, quando cominciarono ad essere sostituite da persiane e vetri. Nonostante che il tipo dominante di colonica sia caratterizzato dalla scala interna, che parte generalmente da un angolo del portico al piano terreno, sono documentati esempi di case con scala esterna, spesso riparata dalla loggia con copertura a falda ed archivolto al piano terreno. Quando si tratta di abitazioni raccolte attorno ad un cortile, in genere la scala si sviluppa sul lato della casa rivolto verso il cortile7. In alcune zone il tipo dell’alta collina sembra caratterizzato da una maggiore “regolarità” dell’impianto planivolumetrico, senza tuttavia dare l’impressione che ciò sia dovuto ad una cosciente ricerca formale. La pianta è in questo caso rettangolare ed accentuatamente allungata, talvolta con portico al piano terreno, tagliato nella facciata, mentre la copertura è a padiglione. Gli annessi rurali (fienile) si possono trovare aggregati al corpo della colonica oppure separati, disposti ad esempio intorno all’aia. Nel podere del Nespolo, sulla Volterrana, l’edificio, compatto, di forma regolare parallelepipeda, presenta un’apertura ad arco in conci di pietra forte sul fronte verso la strada, 7 “Il tipo a scala esterna sembra essere stato un tempo molto diffuso, ma è ora allo stato sporadico e residuale e soltanto in qualche plaga ristretta lo troveremo come forma dominane o importante” (R.Biasutti, Op.Cit., p.73). 16 elemento sicuramente pre-settecentesco8. Qualche volta infine la casa colonica con pianta a forma di rettangolo allungato ospitava due o anche tre famiglie, ciascuna con i suoi ambienti di abitazione separati e con scala indipendente9. Abbiamo accennato al fatto che il tipo edilizio dell’alta collina si ritrova sia come casa colonica isolata unitaria o articolata in più volumi aggregati oppure come cellula “base” di aggregati per più famiglie, con cortile interno. Ne sono stati documentati numerosi e notevoli esempi di quest’ultima variante, che potremmo chiamare “con corte chiusa”, in tutto il territorio d’Impruneta. Nella casa denominata nel Catasto Leopoldino “Il Ridotto” in via S.Lorenzo a Colline, l’aia è recintata da un alto muro impenetrabile e gli edifici sono disposti simmetricamente rispetto al grande portale in pietra che reca iscritta la data 1610. Tale regolarità planimetrica che rimanda già ad un influsso dell’architettura “aulica”, non si ritrova in altri casi di edifici a corte, probabilmente di costruzione anteriore, come nel podere Il Poggiarello, in via Torricella, nella colonica in via Brancolano, in quella in prossimità della chiesa di Bagnolo sull’Imprunetana per Tavarnuzze, nella casa in via Ponte a Jozzi in località Cascine del Riccio ed infine, esempio forse più calzante, nell’aggregato più antico di Baruffi. CASA COLONICA SEICENTESCA “A CORTE” RECINTATA (VIA S.LORENZO A COLLINE). 8 Riferendoci ancora una volta alle Piante dei Capitani, osserviamo che la raffigurazione delle case da lavoratore mostra come unica porta d’accesso dell’abitazione un’apertura ad arco. 9 La casa colonica chiamata Frassineto è tuttora abitata da due famiglie contadine, ma in questo caso la scala d’accesso è unica e serve due appartamenti disimpegnati da un pianerottolo. 17 In quest’ultimo caso le abitazioni si dispongono sui quattro lati di un cortiletto con pozzo a cui si accede da un portale con sottopasso aperto sulla strada, mentre nella colonica in via Brancolano il cortiletto si caratterizza per la presenza di una loggia che ripete la forma ad arco ribassato del portico al piano terreno e la scala esterna riparata. Le apparecchiature murarie sono generalmente realizzate con l’impiego di conci di pietra provenienti dalle locali cave di arenaria, per lo più appena sbozzati e malta di calce aerea; l’altezza o spessore dei corsi è molto variabile, dato che i conci sono di dimensioni estremamente varie e spesso venivano utilizzati anche elementi laterizi. Non è raro infatti trovare in un apparecchio murario un arco “di scarico” in mattoni, o ancora l’accorgimento di realizzare con il cotto una zona di minore spessore murario al di sotto delle finestre del primo piano. L’irregolarità delle murature, realizzate con la tecnologia “a sacco” per lo meno dove era richiesto uno spessore considerevole (muri perimetrali), non rappresenta un elemento datante, poiché si trova a caratterizzare tutte le costruzioni rurali dopo la metà del XIV secolo. La mancanza di mano d’opera specializzata nella sbozzatura della pietra e nella scalpellinatura, fu una delle conseguenze della crisi economica e demografica di quell’epoca ed ebbe come effetto immediato l’abbandono della regolarità e dell’accuratezza dei rivestimenti murari, parzialmente compensata con il massiccio impiego del laterizio. Nei manufatti in cui si rivela un più evidente intento formale, probabilmente sorti nel XVI secolo come abitazioni di proprietari medio-piccoli, mentre le murature perimetrali erano totalmente protette e regolarizzate dall’intonaco, maggiore cura e perizia esecutiva era dedicata alla realizzazione delle aperture. Talvolta si tratta di semplici riquadrature in blocchi rettangolari di arenaria, ma altre volte i portali ad arco che davano accesso all’abitazione o alle corti, sono in conci di pietra forte o di pietra serena e rimandano chiaramente ai coevi esempi dell’architettura “aulica”. 2.2. LA CASA COLONICA SETTECENTESCA Abbiamo visto come nel corso del Cinquecento la nascita delle grandi ville-fattorie, fulcri organizzativi dell’attività agricola, per tutto il secolo e per il successivo, esprima il rinnovato interesse nella proprietà terriera da parte dei più ricchi ceti cittadini. Le fonti iconografiche che risalgono a quell’epoca, come i disegni del Bachiacca, del Cantagallina, di Baccio del Bianco, di Giulio Parigi, del Callot e del Sustermans, mostrano una varietà di dimore mezzadrili molto più ampia di quanto fosse in passato e molto vicina del resto al panorama che abbiamo davanti. La casa colonica, arricchita di elementi tipologici che erano propri delle dimore signorili, come portici,logge e colombaie, appare in questi disegni molto articolata, caratterizzata da una volumetria più 18 complessa, che non ha più niente a che fare con le modestissime “case da lavoratore” delle Piante dei Capitani. Seppure a grandi linee si andava “spontaneamente” formando, esemplandosi sui complessi delle medievali dimore signorili declassate, quello che diverrà poi il modello tipico della casa colonica toscana e che culminò nella codificazione e teorizzazione settecentesca. La codificazione dei “modelli” dell’architettura rurale da parte degli architetti granducali10, dalla seconda metà del XVIII secolo, diventa infatti uno dei punti di forza della politica di razionalizzazione e valorizzazione dell’agricoltura portata avanti da Leopoldo II, insieme alla riduzione della grande proprietà ecclesiastica, alla formazione di poderi di medie e piccole dimensioni, ai miglioramenti tecnologici ed agronomici11. Ma in cosa consisteva il modello di casa colonica elaborato nel Settecento?12. Dagli esempi documentati ad Impruneta possiamo dedurre che si trattava di un edificio dalle forme regolari e volumetricamente definite, in genere cubico o parallelepipedo, un blocco insomma, a due piani, coperto con un tetto a padiglione. Il più delle volte al volume di base si sovrappone un torrino-picccionaia, alla sommità del quale si apre una monofora o bifora. Il torrino a pianta quadrata o più raramente rettangolare, si può trovare al centro della costruzione, cioè al punto di incontro delle falde del tetto, oppure sul piano della facciata13. Le facciate sono concepite come facce “piene” del volume, con prevalenza dunque dei pieni sui vuoti: le finestre, di luce ridotta come nelle architetture “spontanee”, sono distribuite secondo allineamenti prevalentemente orizzontali. Elemento costante delle facciate è il porticato che si apre al piano terreno con la funzione di zona “filtro” tra il campo e la casa. Pur essendo luogo prima di tutto funzionale al lavoro contadino, il portico diventa oggetto nel Settecento di una accurata ricerca formale, insieme ad altri elementi quali la loggia e la piccionaia, che affonda le sue origini nel manierismo tardorinascimentale14. 10 Il più famoso dei teorici dell’architettura rurale in Toscana fu l’ingegnere colligiano Ferdinando Morozzi; egli scrisse il trattato “Delle Case de’ Contadini”, stampato in Firenze nell’anno 1770. 11 “Sotto Pietro Leopoldo, l’Accademia [dei Georgofili, n.d.r.] divenne quasi un organo consultivo per le questioni attinenti all’agricoltura; il suo campo d’intervento venne ampliato, fino a compèrendere anche tutte le questioni relative all’economia pubblica e privata” (F.Pesendorfer, Ferdinando III e la Toscana in età napoleonica, Sansoni editore, Firenze 1986, p.57). 12 la regolarità volumetrica era connessa con l’esigenza di razionalizzare il lavoro contadino:era questo il maggiore obiettivo degli architetti leopoldini. 13 Secondo Biasutti, che riporta lo studio di Scarin, nel territorio di Impruneta, la colombaia è più spesso collocata sulla villa padronale. Le aperture per i piccioni sono generalmente sostituite da una finestra, e pure scomparsa è la tipologia della copertura a spiovente unico.con loggiato all’ultimo piano 14 E’ ormai accertato che i caratteri dell’architettura rurale sette-ottocentesca derivano dalle architetture di campagna del Buontalenti; nelle quali il primo architetto di Cosimo I seppe esprimere in sommo grado quel “linguaggio di semplicità adatto appunto ad esprimere la ruralità come distinta dall’urbanità” che era stato introdotto da Michelozzo nelle sue ville (Gori-Montanelli, 1974). Alcuni di questi modelli tardorinascimentali sono rappresentati senz’altro dalla paggeria e casa colonica presso la villa di Artimino, la villa di Poggio Francoli e la casa colonica, oggi scomparsa, presso la villa di Pratolino, che compare nella famosa lunetta dell’Utens. 19 I portici ad un solo fornice, di limitata superficie, avevano l’unica funzione di servire da anticamera al forno o alla cucina, mentre quelli a più fornici accoglievano uno spazio di lavoro e contenevano l’avvio della scala. LA CASA COLONICA PER PIU’ FAMIGLIE NELLA FATTORIA DI TORRE ROSSE A S.GERSOLE’: L’ELEMENTO CARATTERIZZANTE E’ RAPPRESENTATO DAL LOGGIATO A DUE ORDINI SOVRAPPOSTI SULLA FACCIATA: AD ARCHI RIBASSATI AL PIANO TERRA E ARCHITRAVATO AL PRIMO PIANO (POI TAMPONATO). Negli esempi più compiuti che abbiamo documentato compare al primo piano la loggia che si può trovare nella soluzione sovrapposta al portico, o su un prospetto diverso rispetto a quello principale. Nel primo caso essa si trova davanti alla cucina e ne rappresenta un prolungamento verso l’esterno. La loggia al caposala, in comunicazione con la cucina, era infatti, come il portico al piano terra, un ambiente estremamente funzionale per il lavoro che si doveva svolgere in casa, poichè sempre luminoso e protetto dalle intemperie. Per ciò che concerne la forma delle aperture, se il modello buontalentiano prediligeva l’archeggiatura al piano terreno e l’architravatura a quello superiore, come è ad esempio nella villa rurale delle Montanine, nella maggior parte dei casi la forma ad arco ribassato, ad una o due luci, si ritrova anche nelle logge. 20 LOGGIA A LUCE UNICA IN VIA DI CAMPIANO). SOVRAPPOSTA AL PORTICO (PODERE LA TORRICELLA, 2.3. GLI INTERNI: Dalla documentazione relativa ai pochi esempi rimasti di case coloniche non ristrutturate in tempi recenti, si possono trarre alcune informazioni a nostro avviso interessanti. Abbiamo accennato al fatto che nella tipologia dell’alta collina la scala per mezzo della quale si raggiungeva l’abitazione della famiglia contadina si trovava generalmente all’interno, nel vano immediatamente accessibile dal portico. Nella maggior parte dei casi rilevati tale scala, con gradini in pietra serena e rampa piuttosto angusta (delle dimensioni di circa 70-80 cm ed illuminata solo dal portico) risulta perpendicolare alla facciata. Un caso molto interessante mostra invece l’interno al piano terreno con un ballatoio ligneo che distribuisce tutte le stanze e si affaccia sulla grande cucina al piano terreno. Si tratta dunque di uno dei pochi esempi rimasti in cui la cucina (e camere) era giustapposta al “rustico”. Dalla cucina, dove si trovava il focolare (non rarissimi sono degli esempi che siamo riusciti a fotografare) si accedeva direttamente alle camere, alcune delle quali erano di passaggio: questa caratteristica, che nel mondo contadino non era sentita come negativa, la ritroviamo molto raramente, in quei pochi esempi di case non “rimesse”. Un “ambiente” della casa colonica che sicuramente va scomparendo è il “logo comodo”, il gabinetto esterno che comparve nelle case sparse molto più tardi rispetto alle case dei centri abitati, 21 nel corso cioè del XX secolo. Vi sono rarissimi esempi di condotto di evacuazione in elementi di cotto e collegato ad un orcio interrato che fungeva da pozzetto delle acque nere. La tinaia e la vinsantiera sono al contrario tra i locali meglio conservati in ogni casa colonica, poichè sono tutt’ora legati alla produzione olivicola o vinicola: questi ambienti, generalmente al piano terra o interrato dell’edificio principale del podere, sono per sempre coperti da volte in pietra o in cotto e di dimensioni molto variabili. In genere la vinsantiera si distingue per le dimensioni molto ridotte del locale e per la presenza di uno “scalino” in pietra o in cotto per appoggiare le damigiane di vin santo. LA CUCINA DELLA CASA COLONICA, CARATTERIZZATA DALLA PRESENZA DI UN GRANDE FOCOLARE, ERA LO SPAZIO CENTRALE AL PRIMO PIANO; DA ESSA SI ACCEDEVA A TUTTI GLI AMBIENTI ADIBITI AD ABITAZIONE. 2.4. I POZZI: Uno degli elementi indispensabili della vita contadina era l’acqua, per fortuna abbondante ad Impruneta; per poterla utilizzare si trattava comunque di estrarla, convogliarla ed immagazzinarla. In tutte le zone del nostro territorio si moltiplicano infatti le cisterne, gli abbeveratoi, i lavatoi e soprattutto i pozzi, data anche l’abbondanza delle sorgenti. Ci sembra importante documentare le piccole strutture che sono sopravvissute alla mancanza di manutenzione dovuta al disuso e all’abbandono. Pur trattandosi ancora una volta di architettura spontanea in alcuni casi si può parlare di una certa ricerca formale o creatività. 22 Il pozzo sorgeva generalmente in prossimità della casa colonica, dove vi era la possibilità di captazione della falda acquifera, mentre la cisterna era evidentemente accanto all’abitazione. Numerosi sono i tipi di pozzi rilevati nel nostro territorio in cui la perizia del contadino-muratore si è espressa qualche volta accompagnata da fantasia creativa. Il materiale più usato per questi manufatti risulta il cotto, in elementi pieni, con cui veniva realizzata anche la copertura, piramidale o cupoliforme, ma non mancano casi di impiego di pietra locale o muratura mista. POZZO IN PIETRA CON COPERTURA CUPOLIFORME: RECENTEMENTE DEMOLITO (VIA TORRICELLA). Non mancano tuttavia casi rilevati di pozzi situati nei cortili interni dei piccoli aggregati colonici: si tratta in questo caso di tipi senza copertura, in mattone o in pietra, ma molto semplici, derivati da modelli propri dell’architettura signorile. 23 BIBLIOGRAFIA: - A.A. V.V., La cultura contadina in Toscana, vol. II, Bonechi, Firenze, 1989. - R. Biasutti, La casa rurale nella Toscana, Bologna, Forni, 1980. - C. Celso Calzolai, Pozzolatico, comunità in cammino nel tempo, B. Pochini, Firenze, 1982. - G. Carocci, I dintorni di Firenze, vol. II, Firenze, 1906-1907. - Gori-Montanelli, La tradizione architettonica toscana, Olschki, Firenze, 1971. - D. Herlihy, L'Impruneta : una pieve, un santuario, un comune rurale, F. Papafava, Impruneta, 1988. - Impruneta: una pieve, un paese: cultura, parrocchia e società nella campagna toscana; Salimbeni, Firenze, 1983. - G. Lensi Orlandi, Le ville di Firenze di là d’Arno, Vallecchi, Firenze, 1965. - V. Monastra e C. Vacca (a cura di), Impruneta : percorsi storici e turistici tra Firenze e il Chianti, Tosca, Firenze, 1992. - G. Pansini, Piante di popoli e strade, Capitani di parte guelfa (1580-1595), Olshki, Firenze, 1989. - F. Pesendorfer, Ferdinando III e la Toscana in età napoleonica, Sansoni editore, Firenze, 1986. - G. Pinto, Toscana medievale, Le Lettere, Firenze, 1993. 24