Relazione - Comune di Impruneta

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Relazione - Comune di Impruneta
SCHEDATURA DEL PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE:
CENTRI MINORI E TERRITORIO RURALE
RELAZIONE
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Indice:
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PREMESSA
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1. LE DIMORE SIGNORILI: DALLE CASE-TORRI MEDIEVALI ALLE VILLE-
FATTORIE TARDORINASCIMENTALI.
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2. LA CASA SUL PODERE:
2.1 IL TIPO DELL’”ALTA COLLINA
2.2. LA CASA COLONICA SETTECENTESCA
2.3. GLI INTERNI
2.4. I POZZI
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BIBLIOGRAFIA
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PREMESSA
Nell’ambito della realizzazione del Quadro Conoscitivo del Piano Strutturale, la schedatura del
patrimonio edilizio esistente del territorio rurale e dei centri minori del Comune di Impruneta è
stata condotta a partire dal mese di ottobre 2001. I centri abitati maggiori, costituiti dal capoluogo
comunale e da Tavarnuzze, sono stati oggetto di operazioni simili di schedatura, condotte tuttavia
da due diversi professionisti. Per dare garanzia di omogeneità al complesso del lavoro si è
proceduto, in primo luogo, a realizzare una scheda informatica che fosse descrittiva di tutte le
possibili tipologie insediative: quelle proprie dei centri abitati e quelle proprie del territorio rurale.
La scheda prende in considerazione, con le numerose voci divise per gruppi (individuazione, catasti,
descrizione dell’esterno, descrizione dell’interno) non soltanto gli aspetti architettonici e tipologici
dell’edificato, ma anche quelli che servono a descrivere il contesto paesaggistico in cui questo è
situato (posizione orografica, caratteri morfologici e paesaggistici, intorno agricolo e tipo di coltura,
presenza di parco o di giardino storico, presenza di viale alberato, ecc.). Ciò vuole essere un
tentativo di messa in luce e definizione, attraverso l’opportunità offerta dal rilevamento diretto, di
quelli che sono gli elementi che determinano gli alti valori formali di un paesaggio fortemente
storicizzato.
La rilevazione della presenza di un numero elevatissimo di ville, fattorie, case padronali, case
coloniche, chiese rurali, da sola non basterebbe a spiegare la natura complessa dell’ambiente in cui
ci troviamo, poiché tali manufatti risultano intimamente legati a delle strutture agrarie, oggi in parte
scomparse, espressione della “cultura”che li ha fatti sorgere.
Le case coloniche di Impruneta sono state, per la maggior parte, trasformate in ville, qualche volta
con interventi non filologicamente corretti e con impiego di materiali estranei all’uso tradizionale.
Sempre più in maniera evidente la vecchia secolare unità del podere mezzadrile, con campo, in
genere mediamente grande, casa e infrastrutture agricole, è stata stravolta e la casa appare ora
circondata da un giardino recintato, al posto dell’uliveto o dell’orto originario.
Oltre alla rilevazione diretta del patrimonio architettonico ci siamo avvalsi di alcune fonti, al fine di
completare ed integrare le conoscenze relative a ciascuna unità edilizia:
FONTI DOCUMENTARIE:
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elenchi di cui all’art. 7 della L.R. 21.05.1980 n.59, degli “immobili, complessi edilizi, e
zone edificate aventi carattere architettonico ed urbanistico significativo per testimonianza
storica, per valore culturale ed ambientale, per connotazione tipologica o di aggregazione”;
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elenco dei manufatti e dei siti di interesse culturale (esterni ai centri abitati), vincolati o
ritenuti meritevoli di tutela, che sono stati censiti dal P.T.C.P. della Provincia di Firenze;
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elenco degli edifici vincolati ai sensi del D.Lgs. 490/99 (ex 1089/39), sostituito dal D.Lgs.
42/2004.
FONTI CARTOGRAFICHE:
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mappe del Catasto Generale Toscano: pur essendo stato oggetto di reiterati aggiornamenti,
riguarda il periodo anteriore al 1834-35, data della sua attivazione;
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mappe del Catasto all’Impianto, attivato nel 1939;
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mappe del Nuovo Catasto Terreni, recentemente aggiornato.
FONTI BIBLIOGRAFICHE: si veda la relativa bibliografia.
Fase decisiva del lavoro è stata l’analisi e la comparazione dei catasti di riferimento (catasto
generale toscano, catasto all’impianto, catasto attuale) al fine di individuare, per ciascuna unità
edilizia, un periodo di riferimento per la sua costruzione. In particolare il Catasto Generale Toscano,
chiamato anche Leopoldino, è stato assunto come riferimento per l’edificato anteriore al 1834-35
(tuttavia alcune delle mappe relative al territorio corrispondente all’attuale Comune di Impruneta
risalgono al 1917). Il Catasto all’Impianto è stato assunto come riferimento per il periodo 18351939; infine il Catasto Attuale, attivato nel 1982 è stato utilizzato per l’individuazione catastale dei
fabbricati attualmente esistenti. Si è giunti così a poter costruire graficamente una “tavola della
periodizzazione” dell’edificato, tenendo presente che, per quanto riguarda i centri cosiddetti
“minori”, le trasformazioni più rilevanti si sono avute nel periodo 1939-1982, mentre il territorio
rurale era, alla metà del XIX secolo, caratterizzato da un sistema insediativo storico sostanzialmente
non modificato. Si è tentata poi una comparazione tra i dati già acquisiti e l’osservazione delle
Piante dei Capitani di Parte Guelfa, che fotografano la situazione del territorio così come si
presentava alla fine del XVI secolo.
Quale espressione conclusiva delle operazioni di schedatura, si è pervenuti a formulare una
classificazione sintetica degli immobili sulla base di una scala di “valori” così composta: valore
monumentale, valore architettonico, valore ambientale, valore ridotto, in contrasto con l’ambiente.
La prima classe riguarda esclusivamente i monumenti vincolati ai sensi del testo unico dei Beni
Culturali, sostituito dal D.Lgs. 42/2004; in genere si tratta di chiese, castelli o ville. I manufatti
invece che hanno un particolare valore storico documentario, o perché costituiscono modelli
tipologici rilevanti o perché contengono elementi architettonici o decorativi di pregio, ma che
tuttavia non sono oggetto di vincolo, rientrano nella seconda classe. La classe relativa agli edifici di
valore ambientale sottolinea la rilevanza prevalentemente paesaggistica e riferita al contesto degli
stessi, ritenendo di secondaria importanza le loro caratteristiche architettoniche. La quarta categoria
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contempla quegli edifici che pur non presentando particolari elementi di pregio, sono comunque
compatibili con il contesto insediativo al quale appartengono. La quinta ed ultima classe, infine,
riguarda quegli edifici che risultano incongruenti rispetto all’ambiente nel quale sono inseriti.
Per comodità di organizzazione del lavoro di schedatura, oltre che per far fronte alle esigenze di
creazione di database più facilmente gestibili, il territorio è stato suddiviso in nove zone di
rilevazione e in nove centri abitati, cosiddetti “minori”. Il criterio adottato è stato quello di
individuare per ciascuna zona un asse viario o un sistema di percorsi riconosciuti come unificanti e
determinanti nella genesi degli insediamenti, siano questi nuclei o case sparse. In conseguenza di
questa suddivisione territoriale, ciascuna scheda è contraddistinta da una sigla di due lettere che si
riferisce alla ubicazione in territorio aperto o in uno dei centri minori; un numero che rappresenta il
codice anagrafico della strada; infine il numero progressivo della scheda. Così, a titolo di esempio,
la scheda TA.24.01, si riferisce all’edificio n. 1 situato in territorio aperto nella strada che ha codice
24, cioè la S.R. n.2 Cassia; le due tavole allegate alla schedatura, rispettivamente riferite al territorio
rurale ed ai centri minori, servono ad effettuare l’individuazione su base cartografica degli edifici
schedati.
Le nove zone di rilevazione sono state numerate a partire dal confine settentrionale del Comune,
seguendo l’ordine adottato per i rilevamenti; esse sono:
Zona 1: Colleramole. Situata a nord-ovest di Tavarnuzze e della Greve, nel Catasto Generale
Toscano, l’area viene denominata di Giogoli, San Cristofano, Colleramole, toponimi che si
ritrovano anche nelle Piante dei Capitani di Parte.
Zona 2: Quintale per Le Rose. L’area, interamente collinare, ha come riferimento gli antichissimi
percorsi di crinale costituiti da Via Quintole per Le Rose e Via di Brancolano, lungo i quali sono
sorti nel tempo numerosi complessi nobiliari, religiosi e colonici.
Zona 3: Riboia. Altri percorsi di crinale con andamento sostanzialmente parallelo a via di Quintole
sono via Riboia, via di Castello e via S.Isidoro. L’area, pur essendo stata bruscamente interrotta dal
passaggio dell’autostrada, conserva intatte le sue caratteristiche di paesaggio “storico”
indissolubilmente legato alla presenza della città, comprendendo oltre agli insediamenti puntuali
unificati da detti percorsi, il lembo settentrionale del territorio comunale, fino a via Luigiana e a
Pozzolatico situato a nord-est.
Zona 4: Mezzomonte. L’area comprende gli insediamenti sorti lungo la strada provinciale
Imprunetana che da Pozzolatico conduce al capoluogo comunale, includendo anche il nucleo di
Mezzomonte.
Zona 5: Colline. La zona comprende le colline di San Gersolè e di Montauto, con l’importante
percorso storico di Via Ponte a Jozzi . La vasta area collinare che potremmo denominare, seguendo
il C.G.T., “di Colline”, è situata tra il torrente Grassina, ad est, il Borro dei Tre Fossati, a sud e
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l’Imprunetana per Pozzolatico ad ovest. Vi sono presenti importanti complessi nobiliari, tra cui
Villa Corsini e Villa Il Moro.
Zona 6: Montebuoni. La via Imprunetana per Tavarnuzze seguendo il crinale di Montebuoni
collega i centri maggiori di Impruneta e Tavarnuzze: lungo questo asse sono sorti numerosi
aggregati a carattere per lo più colonico.
Zona 7: Val di Greve. La Val di Greve costituisce per le sue intrinseche caratteristiche vegetazionali
ed insediative, un’area a sé stante, a partire dal centro maggiore di Tavarnuzze fino ad arrivare al
nucleo del Ferrone. Si tratta infatti di un’area di fondovalle con la strada regionale Cassia che corre
costeggiando il fiume Greve, per poi lasciare il territorio comunale piegando decisamente verso
sud-est in corrispondenza dei Falciani. Qui la Greve viene fiancheggiata da un’altra strada a traffico
pesante, la Chiantigiana. La struttura insediativa è caratterizzata dalla presenza dei due centri
minori, i Falciani ed il Ferrone, con rilevante presenza di imprese artigianali o industriali legate alla
produzione del cotto, che si contrappongono al radicale diradamento delle coloniche e soprattutto
delle ville nobiliari concentrate prevalentemente sui crinali che si diramano dal Poggio alle Carraie.
Zona 8: Le Sodera. L’area sud-est del territorio situata tra le Terre Bianche e la Greve ha
caratteristiche insediative simili alle zone collinari (di crinale) del nord del comune. Il primo tratto
di via delle Sodera, nonché via Tafani e via Pian di Pancole, si differenzia per un edificato di
carattere ottocentesco, a fronte dell’ultimo tratto, inagibile in più punti, dove sorgono complessi di
una certa antichità.
Zona 9: Dei torrenti Grassina ed Ema. Zona di contatto tra il nord ed il sud del territorio e per
questo simile per certune caratteristiche ad entrambi, si caratterizza per la presenza di due percorsi
collinari con andamento parallelo sud-ovest nord-est, Via Fabbiolle e Via Terre Bianche.
Quest’ultima si svolge per lo più lungo il crinale che dall’altura dove sorge la pieve dell’Impruneta
conduce al Torrente Grassina. Si tratta di una zona interessante sotto molti punti di vista, non ultimo
la natura geolitologica del terreno, costituito da rocce ofiolitiche.
Infine un accenno al significato della voce “aggregato” contenuta nella scheda: con tale termine
infatti si è scelto di indicare la compresenza in un determinato luogo di più strutture edilizie, in
genere aventi un ordinamento “gerarchico” ben definito. E’ il caso del complesso villa-fattoria, in
cui alla “casa da signore” si affianca, in continuità volumetrica o meno, la cappella privata, una o
più coloniche con altrettanti annessi. Poniamo il caso invece che un edificio colonico sia
caratterizzato da più unità, sorte per aggregazione nel tempo o frutto di suddivisioni successive; in
questo caso ciascuna unità edilizia, ancorché individuata da precise caratteristiche, sarà descritta da
una scheda a parte, ma anche da un numero comune di aggregato.
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1. LE DIMORE SIGNORILI: DALLE CASE-TORRI ALLE VILLE-FATTORIE
Se esaminiamo le Piante dei Capitani di parte Guelfa, documento cartografico della fine del XVI
secolo, relativo ai “popoli” intorno alla Pieve, notiamo che la maggior parte degli edifici
rappresentati possono a buon diritto essere interpretati come dimore di una certa importanza:
soltanto in minima parte compaiono infatti le modeste “case dei lavoratori”. Ciascuna dimora è
infatti individuata dal nome del proprietario e da elementi architettonici “aulici” come torre,
merlature, altane e portici.
Nel corso della nostra campagna di rilevamenti non si è rivelato raro il caso di elementi
architettonici o tecnico-decorativi appartenenti al linguaggio dell’architettura signorile inseriti in
una struttura chiaramente utilizzata per lungo tempo come colonica. Dobbiamo dunque concludere
che il fenomeno della diffusione di residenze padronali doveva aver assunto una consistenza ben
maggiore, rispetto a quella che ci aspetteremmo osservando la realtà attuale prodotto, come è
naturale, di sovrapposizioni successive.
Inizialmente la crisi del sistema curtense, basato sulla suddivisione delle terre nelle grandi proprietà
ecclesiastiche o delle famiglie nobiliari di antica origine, in mansi, dette luogo ad un cospicuo
aumento dei piccoli possessi cittadini, testimoniato dalle numerosissime concessioni livellarie che
costituiscono la maggior parte dei documenti dei secoli XI e XII.
CASA PADRONALE CINQUECENTESCA DECLASSATA A COLONICA: SI NOTINO I
PREGEVOLI
RIFERIMENTI
ARCHITETTONICI
TARDORINASCIMENTALE.
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AL
LINGUAGGIO
Dell’antica struttura curtense o feudale non rimangono che poche tracce sul territorio: gli unici
castelli feudali che dominavano già prima del Mille il territorio imprunetino furono il Castello di
Montebuoni che, come è noto, fu roccaforte dei Buondelmonti, ma venne distrutto dai fiorentini nel
1135, il castello di Montauto di fondazione più tarda; a questi dobbiamo aggiungere il castello di
Brancolano, appartenente alla consorteria dei Rossi che aveva possedimenti a San Lorenzo alle
Rose e sulla collina di Viciano. E’ opportuno osservare che tali fortilizi si trovano in punti strategici
delle più importanti vie di comunicazione a orizzonte sovraregionale: il castello di Montebuoni e
quello di Brancolano controllavano la valle della Greve in prossimità del passaggio della via Cassia;
in particolare il secondo si trovava proprio nel punto di congiunzione tra questa e la “scorciatoia”
per la Pieve rappresentata da via di Quintole. Montauto dominava invece la valle del torrente
Grassina dove passava la Chiantigiana.
Nei secoli XI e XII nel mondo urbano si andarono ponendo le basi per la rinascita economica
dell’età comunale: in questo quadro, che vede la città crescere nelle sue potenzialità produttive e
divenire sede di quelle attività economiche ad essa più congeniali (manifatture, commercio,
credito), si colloca il fenomeno della propensione dei ceti urbani ad investire i capitali accumulati
con la mercatura nell’acquisto di terre. «Il mercante arricchito non importava se originario o meno
del contado, ricavava prestigio sociale dalla proprietà fondiaria la quale, oltretutto, gli garantiva
quella “tranquillità alimentare” sempre ricercata dall’uomo del medioevo, a causa della cronica
insufficienza della produzione agraria che portava alle ricorrenti carestie»1.
Grazie ai prestiti non assolti fatti ai piccoli proprietari di terre del contado i capitali cittadini
penetrarono lentamente nel contado, ponendo le basi per la successiva formazione del sistema
mezzadrile. Nel catasto fiorentino del 1427 i piccoli proprietari che risiedevano prevalentemente nei
piccoli villaggi rurali si riducono numericamente in maniera sostanziale, a tutto vantaggio dei ricchi
esponenti dei ceti urbani
Il sistema di conduzione a mezzadria, con la costituzione dell’unità poderale derivata
dall’accorpamento di più appezzamenti, si rivelò quello più vantaggioso per i proprietari, che
avevano così assicurata una parte della produzione e potevano contare sulla presenza fissa del
contadino che lavorava la sua terra.
Spesso, già a partire dai primi anni del Duecento, sul podere, assieme alle costruzioni necessarie per
il funzionamento dell’attività produttiva, tra cui in primo luogo la modestissima casa da lavoratore,
troviamo la cosiddetta “casa da padrone”, cioè l’abitazione che il proprietario cittadino teneva a sua
disposizione per quando si recava in campagna a controllare l’attività del suo mezzadro, o
semplicemente per “villeggiare”. Questa usanza, ancorché di antica origine, venne mantenuta
1
R. Stopani, Dal villaggio rurale alla casa colonica, in A.A. V.V., La cultura contadina in Toscana, Bonechi, Firenze,
1989, p. 11.
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fintanto che la mezzadria sopravvisse nelle nostre campagne, determinando quindi la nascita di un
tipo edilizio particolarissimo, che possiamo denominare “casa padronale” e che ebbe diverse
evoluzioni al pari della casa colonica.
Tra la seconda metà del Duecento e la prima metà del secolo successivo le nostre campagne,
soprattutto nelle zone più prossime alla città, si costellarono di dimore signorili isolate o poste
accanto alle case da lavoratore. Se esaminiamo i toponimi che si sono conservati nel nostro
territorio, notiamo che molti di essi si riferiscono a manufatti di carattere difensivo di cui spesso
non vi è più traccia: si tratta delle numerose La Torre, Torricella, Torre dei Velluti e simili. Secondo
Italo Moretti la presenza di una torre, quindi casa-torre, indicava l’esistenza di una dimora
padronale, spesso compresente insieme alla casa da lavoratore sullo stesso appezzamento di terra2.
Siamo già alla metà del XIII secolo, quando la crescita urbana di Firenze, conseguente alla ripresa
dell’economia degli scambi e dei commerci, determina il ridestarsi dell’interesse verso i più sicuri
investimenti terrieri da parte dei cittadini più facoltosi, desiderosi di acquistare prestigio sociale
anche attraverso la costruzione di dimore sontuose. E’ chiaro dunque che per le “case da signore” si
utilizzavano gli schemi propri dell’architettura aulica civile dell’epoca immediatamente anteriore e
cioè il fortilizio. La presenza accertata di un numero piuttosto elevato di torri lungo la già citata via
di Quintole è forse da mettere in relazione al moltiplicarsi, nel corso del ‘300, delle dimore signorili
lungo l’importante tracciato viario, un tempo territorio di un’unica potente consorteria: i Rossi
d’Oltrarno.
2
I. Moretti, L’architettura della casa colonica, in A.A. V.V., La cultura contadina in Toscana, vol. II, Bonechi,
Firenze, 1989, p. 19.
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In non pochi casi le antiche strutture medievali vennero inglobate nelle nuove ville-fattorie
cinquecentesche, ma in molti altri esse sopravvissero come nuclei di coloniche subendo dunque una
sorta di “declassamento”. Numerosi sono infatti gli esempi di questo secondo caso, che permise
anzi alle vecchie strutture, spesso utilizzate come piccionaie, di conservarsi fino ai nostri giorni.
Infatti il più delle volte questo si risolse semplicemente nell’aggregazione al corpo della casa-torre ,
spesso scapezzata, di un nuovo corpo di fabbrica più basso, funzionale alle attività agricole.
Ma il periodo storico maggiormente documentato almeno per quanto riguarda l’architettura
signorile è quello dei secoli XVI e XVII. Conseguenza di un rinnovato interesse dei più ricchi ceti
cittadini rivolto verso la campagna, il nuovo fervore edilizio che caratterizza il Cinquecento ebbe la
sua più importante manifestazione nella costruzione delle grandi ville-fattorie. Alcune di esse
riutilizzarono i siti degli antichi borghi rurali di epoca precomunale, semiabbandonati, come dovette
avvenire a Riboia, o a San Lorenzo alle Rose, altre furono realizzate ex-novo in posizione per lo più
baricentrica rispetto alla proprietà terriera.
Il Carocci3 documenta una serie di ville che, edificate in epoca anteriore, subirono sostanziali
modifiche, consistenti talvolta in rifondazioni, talvolta in accrescimenti o abbellimenti, risalenti al
tardo-rinascimento.
Il Palagio dei Bettoni ingloba in un palazzo cinquecentesco con loggia di sapore michelangiolesco,
una struttura turrita trecentesca. La stessa villa Antinori conserva l’aspetto grandioso delle ville
quattrocentesche, mentre sono di epoca settecentesca i suggestivi affreschi che ne decorano i saloni.
Un altro esempio di riconversione di precedenti strutture è rappresentato da Villa Le Rose, detta
anche ‘La Torre’, in loc. San Lorenzo alle Rose che, secondo lo storico fiorentino deriva il proprio
nome da «una torre che doveva esistere in questo luogo, ma della quale non si hanno oggi più
tracce» e che fu trasformata in villa con giardino all’italiana alla fine del ‘600 dalla famiglia
Grifoni. Anche il castello di Brancolano, roccaforte dei Rossi d’Oltrarno, fu riedificato come
‘palazzetto’ dalla famiglia Borghi alla metà del ‘400. La residenza signorile di un ramo della
famiglia Bardi denominata ‘Il Pratello’ ha i caratteri architettonici di una villa del ‘500 ma ingloba
una torre di epoca sicuramente più antica.
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G. Carocci, I dintorni di Firenze, vol. II, Firenze, 1906-1907.
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LA
TORRE DELLA DIMORA SIGNORILE DEL
VIA
QUINTOLE
PER LE
ROSE. SI
PRATELLO,
IN
NOTINO I MERLI DI
CORONAMENTO TAMPONATI E LA SCALA ESTERNA IN
PIETRA AGGIUNTA NEL ‘500.
2. LA CASA SUL PODERE
La casa colonica isolata, espressione antica della cultura mezzadrile, rappresenta il tipo edilizio
maggiormente diffuso nel territorio di Impruneta. G. Salvagnini l’ha definita “un complesso
articolato di spazi organizzati, attrezzature ed ambienti nel quale la famiglia rurale concentra le
proprie funzioni abitative e parte delle attività lavorative”. Qualcosa di più dunque di una semplice
abitazione. Oggi la maggior parte delle coloniche di Impruneta sono state ristrutturate per
trasformarle in residenze di prestigio, per cui non sempre è possibile cogliere lo stretto legame che
doveva unire la casa, il campo, le infrastrutture agricole, essendo venuta meno la “funzione” per cui
esso sussisteva. Tuttavia dove la ristrutturazione non ha completamente stravolto l’originale
“genuinità”, la ricorrenza di numerosi elementi architettonici, soluzioni tecnologiche, persino
caratteri decorativi, (seppure nella loro generale semplicità), rendono plausibile una lettura
tipologica delle dimore rurali.
E’ opportuno innanzi tutto operare una distinzione: alcune, che potremmo definire “architetture
spontanee”, sono il prodotto di un processo diacronico di adattamento alle sempre nuove esigenze
lavorative, non mancano di organicità, ma si caratterizzano in genere per una volumetria molto
articolata, cui le preesistenze medievali hanno fatto talvolta da nucleo di base.
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Altre, pure notevolmente diffuse ad Impruneta, sono le coloniche in cui è chiaramente leggibile una
unitarietà e coerenza progettuali, tali che si può parlare di una vera e propria “coscienza
architettonica”, che si diffuse a partire dalla seconda metà del XVIII secolo nella Toscana
leopoldina. Questa rigida distinzione non rende merito della complessità e varietà di forme propria
del mondo rurale che ci troviamo davanti: in molti casi, infatti, diventa difficile, se non impossibile,
la scelta dell’appartenenza di un manufatto all’una o all’altra categoria!
2.1 IL TIPO DELL’”ALTA COLLINA”
Osservando le fonti iconografiche (Piante dei Capitani di Parte) relative alla fine del XVI secolo,
possiamo ipotizzare che nelle campagne a sud di Firenze, specialmente quelle più prossime alla
città, due erano i tipi edilizi rurali maggiormente diffusi: le modestissime “case da lavoratore” e le
dimore da signore due-trecentesche, alcune delle quali “declassate” e utilizzate come coloniche in
seguito al fenomeno che abbiamo visto nel capitolo precedente. Accanto ad abitazioni caratterizzate
da una volumetria molto semplice, che dovevano essere del tutto simili alle case contadine dei
centri rurali, sono rappresentati infatti edifici dalla più complessa impostazione plano-volumetrica,
con presenza di torri, logge, porticati, recinzioni. E’ proprio la persistenza degli elementi tipologici
di quest’ultima “categoria” di manufatti, ad aver contribuito in misura determinante alla formazione
di un nuovo tipo di abitazione per i mezzadri che sembra diffondersi proprio in questo secolo.
Facciamo un passo indietro: a partire dalla seconda metà del XIII secolo e per tutto il corso del
XIV, si assiste alla diffusione del sistema di conduzione mezzadrile che interessa tutta l’area
toscana. Non è qui la sede per descrivere quali furono i meccanismi che portarono alla formazione
del contratto mezzadrile, ma è bene ricordare che la sua massiccia diffusione modificò
notevolmente le caratteristiche degli insediamenti presenti sul territorio. “[…]. Di pari passo con lo
sviluppo della proprietà cittadina si accentuò la diffusione dell’appoderamento e della mezzadria.
All’inizio del XVI secolo, nel piviere di Impruneta interi popoli, come quelli di Colline, San
Gersolè, Quintole, Bagnolo, Luiano, Mezzano, erano costituiti quasi interamente da unità poderali;
altrove, intorno alla pieve, a Strada, a Pitigliolo, a Pancole, a Montebuoni rimanevano ancora
numerose terre sparse, che tenderanno a ridursi nei primi secoli dell’età moderna” (G. Pinto,
Toscana medievale, p.160).
La tipologia di insediamento che caratterizza la struttura poderale è la casa colonica che viene
edificata al centro del podere – a sua volta derivato dall’accorpamento di piccoli appezzamenti di
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terreno - accompagnata da una serie di infrastrutture agricole (stalla, porcile, aia, capanna, forno,
pozzo, ecc.) in continuità volumetrica o meno con l’edificio principale4.
Renato Biasutti nel famoso saggio intitolato “La casa rurale nella Toscana”, edito nel 1939,
affermava riferendosi alla zona collinare a sud dell’Arno: “La popolazione rurale è, in grandissima
maggioranza, sparsa e le case isolate sui fondi. Ma si hanno anche alcuni aggruppamenti di case
coloniche che si possono considerare quali piccoli nuclei rurali e si possono comprendere in essi
anche quei nuclei di edifici e di popolazione che a volte si sono formati intorno alle fattorie o alle
ville padronali, molto numerose in tutto il territorio e specialmente nelle vicinanze di Firenze” (R.
Biasutti, Op. Cit. , p.71).
Dove residui architettonici medievali funsero da polo di aggregazione di successive aggiunte di
volumi, l’edificio colonico è naturalmente caratterizzato da un’accentuata articolazione
planivolumetrica. Talvolta la presenza di una torre, in genere “scapezzata” o di brandi di muratura
medievali (caratterizzati da una regolarità evidente di forma, dimensione dei conci e tessitura)
denunciano chiaramente la preesistenza di una dimora signorile del XIII o XIV secolo; in altri casi,
per la verità non molto frequenti, il nucleo più antico era costituito da una “villa”, documentata
nelle fonti tardo-medievali come sito abitato da più famiglie contadine, ridotta nei secoli successivi
a poco più di un casolare con annessi5.
Essendo originati da preesistenti insediamenti, le case poderali sfruttavano le posizioni orografiche
più comode: spesso le troviamo lungo la linea del crinale, dove passa una direttrice viaria, oppure
alla sommità di poggi isolati, raggiungibili mediante un viottolo campestre. La necessità di
approvvigionarsi costantemente di acqua, per gli usi sia della casa che dell’orto, che infine del
resede rurale, rendeva preferibile un sito non lontano da una sorgente o dove vi fosse la possibilità
di captazione di una falda acquifera.
In ogni caso la necessità di adattarsi all’orografia del luogo, che sia questo di crinale, in forte
pendenza, o di pianura, divenne naturalmente uno dei fattori determinanti della costruzione o
dell’accrescimento di tutti gli edifici rurali. La forte pendenza veniva, ad esempio, “superata”
adottando una volumetria frazionata, come illustra l’esempio di Casanova nella zona di S. Lorenzo
a Colline.
Pur nell’estrema diversificazione dei casi, possiamo tentare di individuare alcune caratteristiche
tipologiche costanti che ricorrono nel territorio imprunetino, tenendo presente gli importanti studi
4
Nei registri notarili della prima metà del Trecento compaiono numerose descrizioni di poderi così fatti: a San Martino
a Bagnolo un podere “cum domo, portico, curia, columbaria, furno, porcile, fornace”; a San Michele a Nizzano un
podere “cum domibus magnis et parvis et columbaria”; a Candegli un altro podere “cum domo, area, capanna”; a
Fabbiolle e a Monte un “macinatorium ad macinandas olivas”, indicato anche come “hedificium ad faciendum oleum”.
Da G.PINTO, Toscana medievale, Le Lettere, Firenze, 1993, p.160.
5
Si tratta dei casi già citati per la zona di Quintole, di Tesserata e l’Olmo.
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PI
CCOLO AGGREGATO COLONICO CON CORTILE INTERNO E
POZZO, ACCESSIBILE DA UN PORTALE SULLA STRADA
(LOCALITÀ BARUFFI).
che sono stati compiuti in passato sull’edilizia rurale toscana in generale. Lo studio del Biasutti
prende le mosse dalla constatazione che le varianti sub-regionali traggono origine da un tipo
semplice, unitario, avente tutti i vani essenziali raccolti sotto lo stesso tetto, con le stalle al piano
terreno, i vani d’abitazione al primo piano. Questa osservazione è valida anche per il patrimonio
edilizio rurale di Impruneta.
La posizione della cucina, che è il nucleo centrale della colonica e della stalla, cellula base del
“rustico”, hanno determinato infatti differenze importanti delle strutture. E’ chiaro che, con la
trasformazione della grande maggioranza degli edifici in ville, avvenuta nel corso degli ultimi
decenni, tale lettura tipologica è resa ancora più difficile: in generale sono gli ambienti al pian
terreno, quelli che un tempo erano adibiti a stalle, ad aver subito i cambiamenti più macroscopici,
mentre minori sono quelli che hanno riguardato gli ambienti residenziali.
A seconda della posizione dei due elementi base possiamo avere due soluzioni possibili: cucina e
rustico entrambi al piano terreno, con il piano superiore occupato, rispettivamente, da camere da
letto e fienile; oppure rustico al piano terreno e cucina (con camere) al primo piano. Entrambe le
soluzioni sono presenti ad Impruneta, ciascuna differenziata a sua volta in numerose varianti, ma
predomina sicuramente la seconda, ritenuta più tarda.
Molto diffusa ad Impruneta, la variante con cucina al piano superiore, in posizione centrale e con
scala interna, si trova isolata, come edificio monofamiliare, oppure come “cellula base” di piccoli
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aggregati per più famiglie, con cortile interno, attorno a cui sono riuniti i diversi edifici. Renato
Biasutti la individua genericamente come tipo dell’alta collina, diffuso del resto, in tutta la zona
collinare a sud di Firenze; numerosi ne sono gli esempi rilevati, caratterizzati dall’irregolarità
planimetrica e dalle altezze differenti dei fronti, poiché i volumi sono frutto di aggregazioni
“spontanee”, risalenti ad epoche diverse.
Nel tipo dell’alta collina è abbastanza frequente un portico inferiore tagliato nella facciata, inserito
nel centro o in un angolo di questa. Le aperture del portico possono variare da un minimo di una ad
un massimo di tre e la forma di gran lunga prevalente è l’arco a sesto ribassato, detta anche “ad ansa
di paniere”; meno frequentemente si trova invece l’arco a tutto sesto. La ghiera dell’arco, qualche
volta lasciata a vista, è in ogni caso, in elementi laterizi, così come i pilastri di sostegno.
L’adattamento della casa colonica ad uso residenziale ha comportato, nella quasi totalità dei casi, la
chiusura del porticato con infissi, al fine di riuscire ad utilizzare l’ambiente così ricavato come
ingresso o come soggiorno.
Il portico ad archi può essere considerato un elemento mutuato dall’architettura signorile tardorinascimentale e sembra che sia stato introdotto nell’edilizia rurale di nuovo impianto solo a partire
dal XVIII secolo, in seguito al fenomeno di grande rinnovamento edilizio nelle campagne proprio di
quest’epoca6. Gli esempi di architettura rurale più modesti, non derivati quindi da case signorili
medievali o tardo-medievali declassate, mostrano invece la più semplice struttura della tettoia
architravata, anteposta alla facciata, che assolveva alle medesime funzioni di luogo di lavoro aperto
ma riparato dalle intemperie. La tettoia architravata la ritroviamo anche come copertura delle
loggette “caposcala” quando la scala di accesso all’abitazione è esterna.
6
Se osserviamo le Piante dei Capitani di Parte Guelfa notiamo che le “case da lavoratore” sono rappresentate come
strutture molto semplici, a pianta rettangolare, con copertura a capanna, piccole e scarse aperture per ogni fronte, porta
di accesso ad arco. Nessuna traccia dunque del portico; che invece è quasi una costante delle “case da signore”.
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TIPO “A
SCALA ESTERNA” CON LOGGETTA A COPERTURA DEL
PIANEROTTOLO D’INGRESSO AL PIANO SUPERIORE.
(PODERE
DEL
LASTRONE, VIA COLLERAMOLE)
I fronti sono caratterizzati da aperture di piccola luce, per difendersi sia dal freddo invernale che
dalla calura estiva, e furono dotate almeno fino all’Ottocento solo di scuri, quando cominciarono ad
essere sostituite da persiane e vetri.
Nonostante che il tipo dominante di colonica sia caratterizzato dalla scala interna, che parte
generalmente da un angolo del portico al piano terreno, sono documentati esempi di case con scala
esterna, spesso riparata dalla loggia con copertura a falda ed archivolto al piano terreno. Quando si
tratta di abitazioni raccolte attorno ad un cortile, in genere la scala si sviluppa sul lato della casa
rivolto verso il cortile7.
In alcune zone il tipo dell’alta collina sembra caratterizzato da una
maggiore “regolarità” dell’impianto planivolumetrico, senza tuttavia dare l’impressione che ciò sia
dovuto ad una cosciente ricerca formale.
La pianta è in questo caso rettangolare ed accentuatamente allungata, talvolta con portico al piano
terreno, tagliato nella facciata, mentre la copertura è a padiglione. Gli annessi rurali (fienile) si
possono trovare aggregati al corpo della colonica oppure separati, disposti ad esempio intorno
all’aia. Nel podere del Nespolo, sulla Volterrana, l’edificio, compatto, di forma regolare
parallelepipeda, presenta un’apertura ad arco in conci di pietra forte sul fronte verso la strada,
7
“Il tipo a scala esterna sembra essere stato un tempo molto diffuso, ma è ora allo stato sporadico e residuale e soltanto
in qualche plaga ristretta lo troveremo come forma dominane o importante” (R.Biasutti, Op.Cit., p.73).
16
elemento sicuramente pre-settecentesco8. Qualche volta infine la casa colonica con pianta a forma
di rettangolo allungato ospitava due o anche tre famiglie, ciascuna con i suoi ambienti di abitazione
separati e con scala indipendente9.
Abbiamo accennato al fatto che il tipo edilizio dell’alta collina si ritrova sia come casa colonica
isolata unitaria o articolata in più volumi aggregati oppure come cellula “base” di aggregati per più
famiglie, con cortile interno. Ne sono stati documentati numerosi e notevoli esempi di quest’ultima
variante, che potremmo chiamare “con corte chiusa”, in tutto il territorio d’Impruneta. Nella casa
denominata nel Catasto Leopoldino “Il Ridotto” in via S.Lorenzo a Colline, l’aia è recintata da un
alto muro impenetrabile e gli edifici sono disposti simmetricamente rispetto al grande portale in
pietra che reca iscritta la data 1610. Tale regolarità planimetrica che rimanda già ad un influsso
dell’architettura “aulica”, non si ritrova in altri casi di edifici a corte, probabilmente di costruzione
anteriore, come nel podere Il Poggiarello, in via Torricella, nella colonica in via Brancolano, in
quella in prossimità della chiesa di Bagnolo sull’Imprunetana per Tavarnuzze, nella casa in via
Ponte a Jozzi in località Cascine del Riccio ed infine, esempio forse più calzante, nell’aggregato più
antico di Baruffi.
CASA COLONICA SEICENTESCA “A CORTE” RECINTATA (VIA S.LORENZO A COLLINE).
8
Riferendoci ancora una volta alle Piante dei Capitani, osserviamo che la raffigurazione delle case da lavoratore mostra
come unica porta d’accesso dell’abitazione un’apertura ad arco.
9
La casa colonica chiamata Frassineto è tuttora abitata da due famiglie contadine, ma in questo caso la scala d’accesso
è unica e serve due appartamenti disimpegnati da un pianerottolo.
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In quest’ultimo caso le abitazioni si dispongono sui quattro lati di un cortiletto con pozzo a cui si
accede da un portale con sottopasso aperto sulla strada, mentre nella colonica in via Brancolano il
cortiletto si caratterizza per la presenza di una loggia che ripete la forma ad arco ribassato del
portico al piano terreno e la scala esterna riparata.
Le apparecchiature murarie sono generalmente realizzate con l’impiego di conci di pietra
provenienti dalle locali cave di arenaria, per lo più appena sbozzati e malta di calce aerea; l’altezza
o spessore dei corsi è molto variabile, dato che i conci sono di dimensioni estremamente varie e
spesso venivano utilizzati anche elementi laterizi. Non è raro infatti trovare in un apparecchio
murario un arco “di scarico” in mattoni, o ancora l’accorgimento di realizzare con il cotto una zona
di minore spessore murario al di sotto delle finestre del primo piano.
L’irregolarità delle murature, realizzate con la tecnologia “a sacco” per lo meno dove era richiesto
uno spessore considerevole (muri perimetrali), non rappresenta un elemento datante, poiché si trova
a caratterizzare tutte le costruzioni rurali dopo la metà del XIV secolo. La mancanza di mano
d’opera specializzata nella sbozzatura della pietra e nella scalpellinatura, fu una delle conseguenze
della crisi economica e demografica di quell’epoca ed ebbe come effetto immediato l’abbandono
della regolarità e dell’accuratezza dei rivestimenti murari, parzialmente compensata con il
massiccio impiego del laterizio. Nei manufatti in cui si rivela un più evidente intento formale,
probabilmente sorti nel XVI secolo come abitazioni di proprietari medio-piccoli, mentre le murature
perimetrali erano totalmente protette e regolarizzate dall’intonaco, maggiore cura e perizia esecutiva
era dedicata alla realizzazione delle aperture. Talvolta si tratta di semplici riquadrature in blocchi
rettangolari di arenaria, ma altre volte i portali ad arco che davano accesso all’abitazione o alle
corti, sono in conci di pietra forte o di pietra serena e rimandano chiaramente ai coevi esempi
dell’architettura “aulica”.
2.2. LA CASA COLONICA SETTECENTESCA
Abbiamo visto come nel corso del Cinquecento la nascita delle grandi ville-fattorie, fulcri
organizzativi dell’attività agricola, per tutto il secolo e per il successivo, esprima il rinnovato
interesse nella proprietà terriera da parte dei più ricchi ceti cittadini. Le fonti iconografiche che
risalgono a quell’epoca, come i disegni del Bachiacca, del Cantagallina, di Baccio del Bianco, di
Giulio Parigi, del Callot e del Sustermans, mostrano una varietà di dimore mezzadrili molto più
ampia di quanto fosse in passato e molto vicina del resto al panorama che abbiamo davanti. La casa
colonica, arricchita di elementi tipologici che erano propri delle dimore signorili, come portici,logge
e colombaie, appare in questi disegni molto articolata, caratterizzata da una volumetria più
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complessa, che non ha più niente a che fare con le modestissime “case da lavoratore” delle Piante
dei Capitani. Seppure a grandi linee si andava “spontaneamente” formando, esemplandosi sui
complessi delle medievali dimore signorili declassate, quello che diverrà poi il modello tipico della
casa colonica toscana e che culminò nella codificazione e teorizzazione settecentesca.
La codificazione dei “modelli” dell’architettura rurale da parte degli architetti granducali10, dalla
seconda metà del XVIII secolo, diventa infatti uno dei punti di forza della politica di
razionalizzazione e valorizzazione dell’agricoltura portata avanti da Leopoldo II, insieme alla
riduzione della grande proprietà ecclesiastica, alla formazione di poderi di medie e piccole
dimensioni, ai miglioramenti tecnologici ed agronomici11. Ma in cosa consisteva il modello di casa
colonica elaborato nel Settecento?12.
Dagli esempi documentati ad Impruneta possiamo dedurre che si trattava di un edificio dalle forme
regolari e volumetricamente definite, in genere cubico o parallelepipedo, un blocco insomma, a due
piani, coperto con un tetto a padiglione. Il più delle volte al volume di base si sovrappone un
torrino-picccionaia, alla sommità del quale si apre una monofora o bifora. Il torrino a pianta
quadrata o più raramente rettangolare, si può trovare al centro della costruzione, cioè al punto di
incontro delle falde del tetto, oppure sul piano della facciata13.
Le facciate sono concepite come facce “piene” del volume, con prevalenza dunque dei pieni sui
vuoti: le finestre, di luce ridotta come nelle architetture “spontanee”, sono distribuite secondo
allineamenti prevalentemente orizzontali. Elemento costante delle facciate è il porticato che si apre
al piano terreno con la funzione di zona “filtro” tra il campo e la casa. Pur essendo luogo prima di
tutto funzionale al lavoro contadino, il portico diventa oggetto nel Settecento di una accurata ricerca
formale, insieme ad altri elementi quali la loggia e la piccionaia, che affonda le sue origini nel
manierismo tardorinascimentale14.
10
Il più famoso dei teorici dell’architettura rurale in Toscana fu l’ingegnere colligiano Ferdinando Morozzi; egli scrisse
il trattato “Delle Case de’ Contadini”, stampato in Firenze nell’anno 1770.
11
“Sotto Pietro Leopoldo, l’Accademia [dei Georgofili, n.d.r.] divenne quasi un organo consultivo per le questioni
attinenti all’agricoltura; il suo campo d’intervento venne ampliato, fino a compèrendere anche tutte le questioni relative
all’economia pubblica e privata” (F.Pesendorfer, Ferdinando III e la Toscana in età napoleonica, Sansoni editore,
Firenze 1986, p.57).
12
la regolarità volumetrica era connessa con l’esigenza di razionalizzare il lavoro contadino:era questo il maggiore
obiettivo degli architetti leopoldini.
13
Secondo Biasutti, che riporta lo studio di Scarin, nel territorio di Impruneta, la colombaia è più spesso collocata sulla
villa padronale. Le aperture per i piccioni sono generalmente sostituite da una finestra, e pure scomparsa è la tipologia
della copertura a spiovente unico.con loggiato all’ultimo piano
14
E’ ormai accertato che i caratteri dell’architettura rurale sette-ottocentesca derivano dalle architetture di campagna del
Buontalenti; nelle quali il primo architetto di Cosimo I seppe esprimere in sommo grado quel “linguaggio di semplicità
adatto appunto ad esprimere la ruralità come distinta dall’urbanità” che era stato introdotto da Michelozzo nelle sue
ville (Gori-Montanelli, 1974). Alcuni di questi modelli tardorinascimentali sono rappresentati senz’altro dalla paggeria
e casa colonica presso la villa di Artimino, la villa di Poggio Francoli e la casa colonica, oggi scomparsa, presso la villa
di Pratolino, che compare nella famosa lunetta dell’Utens.
19
I portici ad un solo fornice, di limitata superficie, avevano l’unica funzione di servire da anticamera
al forno o alla cucina, mentre quelli a più fornici accoglievano uno spazio di lavoro e contenevano
l’avvio della scala.
LA CASA COLONICA PER PIU’ FAMIGLIE NELLA FATTORIA DI TORRE ROSSE A
S.GERSOLE’: L’ELEMENTO CARATTERIZZANTE E’ RAPPRESENTATO DAL LOGGIATO A
DUE ORDINI SOVRAPPOSTI SULLA FACCIATA: AD ARCHI RIBASSATI AL PIANO TERRA E
ARCHITRAVATO AL PRIMO PIANO (POI TAMPONATO).
Negli esempi più compiuti che abbiamo documentato compare al primo piano la loggia che si può
trovare nella soluzione sovrapposta al portico, o su un prospetto diverso rispetto a quello principale.
Nel primo caso essa si trova davanti alla cucina e ne rappresenta un prolungamento verso l’esterno.
La loggia al caposala, in comunicazione con la cucina, era infatti, come il portico al piano terra, un
ambiente estremamente funzionale per il lavoro che si doveva svolgere in casa, poichè sempre
luminoso e protetto dalle intemperie.
Per ciò che concerne la forma delle aperture, se il modello buontalentiano prediligeva
l’archeggiatura al piano terreno e l’architravatura a quello superiore, come è ad esempio nella villa
rurale delle Montanine, nella maggior parte dei casi la forma ad arco ribassato, ad una o due luci, si
ritrova anche nelle logge.
20
LOGGIA A LUCE UNICA
IN VIA DI CAMPIANO).
SOVRAPPOSTA AL PORTICO
(PODERE LA TORRICELLA,
2.3. GLI INTERNI:
Dalla documentazione relativa ai pochi esempi rimasti di case coloniche non ristrutturate in tempi
recenti, si possono trarre alcune informazioni a nostro avviso interessanti.
Abbiamo accennato al fatto che nella tipologia dell’alta collina la scala per mezzo della quale si
raggiungeva l’abitazione della famiglia contadina si trovava generalmente all’interno, nel vano
immediatamente accessibile dal portico. Nella maggior parte dei casi rilevati tale scala, con gradini
in pietra serena e rampa piuttosto angusta (delle dimensioni di circa 70-80 cm ed illuminata solo dal
portico) risulta perpendicolare alla facciata. Un caso molto interessante mostra invece l’interno al
piano terreno con un ballatoio ligneo che distribuisce tutte le stanze e si affaccia sulla grande cucina
al piano terreno. Si tratta dunque di uno dei pochi esempi rimasti in cui la cucina (e camere) era
giustapposta al “rustico”.
Dalla cucina, dove si trovava il focolare (non rarissimi sono degli esempi che siamo riusciti a
fotografare) si accedeva direttamente alle camere, alcune delle quali erano di passaggio: questa
caratteristica, che nel mondo contadino non era sentita come negativa, la ritroviamo molto
raramente, in quei pochi esempi di case non “rimesse”.
Un “ambiente” della casa colonica che sicuramente va scomparendo è il “logo comodo”, il
gabinetto esterno che comparve nelle case sparse molto più tardi rispetto alle case dei centri abitati,
21
nel corso cioè del XX secolo. Vi sono rarissimi esempi di condotto di evacuazione in elementi di
cotto e collegato ad un orcio interrato che fungeva da pozzetto delle acque nere.
La tinaia e la vinsantiera sono al contrario tra i locali meglio conservati in ogni casa colonica,
poichè sono tutt’ora legati alla produzione olivicola o vinicola: questi ambienti, generalmente al
piano terra o interrato dell’edificio principale del podere, sono per sempre coperti da volte in pietra
o in cotto e di dimensioni molto variabili. In genere la vinsantiera si distingue per le dimensioni
molto ridotte del locale e per la presenza di uno “scalino” in pietra o in cotto per appoggiare le
damigiane di vin santo.
LA
CUCINA DELLA CASA COLONICA, CARATTERIZZATA DALLA PRESENZA DI UN
GRANDE FOCOLARE, ERA LO SPAZIO CENTRALE AL PRIMO PIANO; DA ESSA SI
ACCEDEVA A TUTTI GLI AMBIENTI ADIBITI AD ABITAZIONE.
2.4. I POZZI:
Uno degli elementi indispensabili della vita contadina era l’acqua, per fortuna abbondante ad
Impruneta; per poterla utilizzare si trattava comunque di estrarla, convogliarla ed immagazzinarla.
In tutte le zone del nostro territorio si moltiplicano infatti le cisterne, gli abbeveratoi, i lavatoi e
soprattutto i pozzi, data anche l’abbondanza delle sorgenti. Ci sembra importante documentare le
piccole strutture che sono sopravvissute alla mancanza di manutenzione dovuta al disuso e
all’abbandono. Pur trattandosi ancora una volta di architettura spontanea in alcuni casi si può
parlare di una certa ricerca formale o creatività.
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Il pozzo sorgeva generalmente in prossimità della casa colonica, dove vi era la possibilità di
captazione della falda acquifera, mentre la cisterna era evidentemente accanto all’abitazione.
Numerosi sono i tipi di pozzi rilevati nel nostro territorio in cui la perizia del contadino-muratore si
è espressa qualche volta accompagnata da fantasia creativa. Il materiale più usato per questi
manufatti risulta il cotto, in elementi pieni, con cui veniva realizzata anche la copertura, piramidale
o cupoliforme, ma non mancano casi di impiego di pietra locale o muratura mista.
POZZO IN PIETRA CON COPERTURA CUPOLIFORME:
RECENTEMENTE DEMOLITO (VIA TORRICELLA).
Non mancano tuttavia casi rilevati di pozzi situati nei cortili interni dei piccoli aggregati colonici: si
tratta in questo caso di tipi senza copertura, in mattone o in pietra, ma molto semplici, derivati da
modelli propri dell’architettura signorile.
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