La mia Transumanza

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La mia Transumanza
La mia Transumanza
Tin tin, tin tin, tin tin...stranamente
anche se non sono abituato ad alzarmi a
quest'ora riesco a saltare giù dal letto
senza problemi, anche se devo dire che
le cinque e trenta sono davvero un ora
inclemente. In pochi istanti sono già
pronto con la tuta ed una sciarpa, cavoli
quest’anno l’inverno proprio non vuol cedere il passo! Fatte le scale sono fuori , è ancora buio,
inizia la mia nuova avventura. Nel parco del Pianello regna un silenzio che unito alla leggera
foschia ne fanno un luogo sinistro e anche un po’ magico. Che fatica correre dopo tanto tempo, lo
scorrere del fiume rende quasi poetico quello che di poetico ha veramente poco! Clap clap clap clap
l’aria è umida e fredda, ma riesco a percepire gli odori, niente cinghiali per ora. Ma non si può certo
stare tranquilli, un fruscio, un movimento tra le frasche il cuore batte. Sono consapevole che gli
animali hanno ancora più paura di me, ma anche la mia non è trascurabile, sono abbastanza vicino
allo scivolo per bambini. Caro mia chiunque tu sia lì non credo proprio che ci monteresti. Con un
occhio allo scivolo ed uno alle piante sbuca impaurita, un balzo e poi un altro, non faccio nemmeno
in tempo ad apprezzare la sua splendida coda che è già sparita. Pericolo scampato! Forse lo avrà
pensato più lei che io. Il primo giro è completo, possibile che sono già così stanco, devo proprio
impegnarmi, o l’impresa sarà davvero impossibile. Che fatica, sono quasi arrivato all’ottavo giro,
l’aria nei polmoni entra sempre fredda e pungente nonostante la sciarpa, però le tenebre ormai mi
hanno del tutto abbandonato, è ora di rientrare. Non mi guardate come se fossi un marziano e per di
più stupido, lo capisco, non fate altro che miagolare e fare due coccole alla vostra padrona per
l’immeritato cibo, come comprendere le mie fatiche mattiniere.
Che bella sensazione, acqua bollente sulla mia pelle, li sudore che sparisce pian piano nello scarico,
la freschezza si riappropria
di me, sono prontissimo per
andare a lavoro.
“Ciao Mauro allora?
Questa transumanza?” con
una tazzina di caffè
fumante,
il
consueto
appuntamento
acquista
tutta un’altra valenza. “Ho
guardato bene la cartina,
segnato il percorso, da qui
andremo fino a quota
dueeotto, ci dobbiamo
arrivare intorno alle dieci,
aspettiamo le pecore e poi
gli andiamo dietro…”
Così ogni giorno a quella stessa ora una tessera in più viene posizionata nel gran puzzle della nostra
impresa.
Finalmente a casa. Con questo lavoro a Siena mi rimane sempre pochissimo tempo a disposizione,
mi devo sbrigare, ho anche da provare le nuove lampadine a led acquistate su ebay direttamente
dalla Germania. Mi conviene provare con quelle sopra il tavolo, così evito di prendere la scala:
minuti risparmiati. La sedia è un ottimo scalino, forse è meglio stare lateralmente, la pelle centrale
si rovina, mi piacciono davvero tanto queste sedie antiche, lo scambio non è stato molto favorevole
per mamma, ma si sa, per i figli questo ed altro. Attento però, se scivola la sedia sai che tonfo,
metto prima il sinistro, sposto il peso e oops, la sedia si alza di lato, no buono! Con un balzo riesco
a stabilizzarla con il destro, adesso ci sono sopra in equilibrio perfetto, è andata. Con un balzo sono
sul tavolo, però questi faretti sono davvero eccezionali, luce bianchissima, e poi quanta ne fanno!
Costano ancora tanto, ma per quello che consumano, se davvero hanno una vita lunga come
dichiarato li recupero abbondantemente. Via con il secondo, funziona, non funziona, si , no,un po’...
Accidenti il trasformatore che presi a suo tempo non riesce a reggere questi faretti. E’ davvero il
colmo! Consumano così poco che sente passaggio di corrente sufficiente per cui stacca
automaticamente. Accidenti, tolgo questo, rimetto quello, scendo, salgo, sedia, tavolo, sedia, piede
sinistro la sedia si alza, troppo! Il destro non trova appoggio vola, la sedia mi sta abbandonando, ohi
ohi, mi ha abbandonato le braccia: il vuoto, l’altra sedia: le costole, “tira tutti i muscoli che hai”,
tonf! …crick! “ ahhh! Accidenti… la costola…”. Trattengo il fiato, respiro: punge. “E’ andata: la
costola” .
“Noooo! La transumanza! Manca
solo un mese poco più”. “ Non è
rotta” “ma fa male” “è rotta” pur
avendo la certezza cerco di
convincere me stesso, ma il risultato
è penoso come la situazione in cui
mi trovo. Rimetto tutto a posto,
macchina, pronto soccorso, raggi.
“costola rotta, c’è anche un bel
versamento pleurico, dovrai stare
immobile per almeno un mese, non
ci possiamo fare nulla, le costole non
si ingessano” mi sembrava di sentire
il mio meccanico che mi spiega che
devo fare attenzione e controllare se
perde ancora liquido, non ci possiamo fare nulla, non sappiamo se era solo una perdita o problema
al motore, devi aspettare e vedere. “Ma io non ho tempo, io ho da fare una cosa importantissima
…”.
“Ciao Antonio, sei pronto? Manca ormai
meno di un mese!”
“Ciao Mauro, ahimè , non troppo”.
Come ci sono rimasti male Mauro e
Claudio quando gli ho raccontato tutto,
ma impavido gli ho assicurato che non li
avrei abbandonati, a costo di dover
tornare indietro a metà percorso.
Ore 14 casello di Arezzo il telefono
squilla “Ciao Antonio, sono Claudio
sono arrivati? Io sono già pronto, ci
vediamo tra un’ora all’uscita Barberino”
“Perfetto, a minuti partiamo”. Non sono passati cinque minuti che arriva la mitica Nissan Primera
grigio Tokio. “Ciao lui è Beppe e lui Claudio” “Ciao a tutti, bene l’altro Claudio ci aspetta per le
tre, partiamo!”.
“Signori, benvenuti a Vernago, le vostre camere sono pronte, la sala per la cena è questa, vi
attendiamo”. Euforia emozioni, impazienza, cartina aperta sul tavolo, tra un piatto e l’altro,
discussioni sul panorama del lago, qualche nuvola all’orizzonte, sarà bel tempo? Facciamo due
passi?
Si passeggia lungo il lago, io però non voglio stancarmi, non riesco a godermi nemmeno la
passeggiata, sono talmente preoccupato. Che strano, sono le dieci e ancora non è completamente
sera, ma che panorami. Si rientra, io con Claudio, che bella persona.
Le sei, sono già sveglio, la sveglia suona,
accendo la luce, è giunta l’ora, si inizia: che
paura! Colazione, infilo gli scarponi nuovi,
stringo,ma duri! Speriamo bene! In
macchina, qualche curva, verso maso Corto,
poche centinaia di metri, forse un paio di
chilometri. Ecco il sentiero. Zaino,
macchina fotografica, i bastoni, “grazie
Mauro, se non mi avessi dato uno dei tuoi ci
farei poco con uno solo”. Tick tick tick
l’avventura è ufficialmente iniziata. Questo
è il sentiero, ma è ripidissimo. Mauro e
Claudio e Beppe partono in quarta, il mio
compagno di stanza invece piano piano inizia a salire, mi aspetta, mi incita, mi rassicura. Fatica,
nausea, ci si mette anche la colite, che fitte di dolore. Il mio corpo non sta rispondendo affatto bene,
sento subito la fatica, la nausea aumenta. Mi fermo, riparto, mi fermo, povero Claudio, sempre li ad
aspettarmi, ma la salita non diminuisce, non abbiamo che iniziato: non ce la farò mai!
“millenovecento metri” con il suo orologio Beppe ci tiene aggiornati, ma sono ben più in alto di noi.
“Claudio io non ce la faccio più, e poi la colite, mi sta pungendo al fianco da morire” la tensione
accumulata sta adesso dando i suoi effetti. E poi non sono nemmeno riuscito ad andare in bagno ed
ora… “Se vuoi ho dei fazzoletti?” che brava persona Claudio. “Adesso va meglio”: mento. Tra una
pausa e l’altra siamo alla prima malga, e qui dal sentiero 13 dobbiamo prendere il 5. Ci fermiamo
qualche minuto, due foto, approfitto per recuperare. Troppo poco. Ecco inizia la neve, quanto
salgono questi qui, sono già diventati piccoli piccoli. “Aspetta Antonio, non venire abbiamo
sbagliato strada” menomale, almeno recupero qualcosina: eccoli. Di qua: neve. Il sentiero ancora
non si vede, in compenso Mauro è diventato ancora più piccolo. “E’ qui venite pure” quanto è
lontano! “Claudio voi andate, qui è facile io provo un po’, ma credo proprio di non farcela, vi seguo
fino a che posso e poi al limite torno indietro” con le indicazione di Mauro, ufficialmente la guida
del viaggio, potrei tornare fino al sentiero 13, proseguire fino a che non ritrovo il sentiero 4…non lo
farò mai! “Andate, andate tranquilli”:mento. Sono solo, il sentiero lo ho trovato. Certo che per
essere la prima volta che vado in montagna e seguo un sentiero speravo fosse più facile. Pennellata
bianca e rossa. Si vedono bene. Mi auto convinco. Salgo, ecco la pietra con i segni, proseguo.
Nevaio. Non posso passare da qui, lo devo aggirare, salgo fino a quella cima e ricerco il sentiero
oltre. Che fatica, ma almeno con i miei ritmi riesco a proseguire. Sassi grandi, neve, insomma non
facilissimo, diciamo mediamente difficile. Chissà a che quota siamo. Facciamo qualche foto,
mi riposo un po’. Sono in cima, dietro scarpata, “no buono”, come faccio a ritrovare il percorso?
Da qui non c’è chance. Devo riscendere, tornare indietro “uffa, non ce la farò mai a ritrovare il
percorso, ma indietro non ci torno di sicuro!”. Scendo scivolo, i bastoni: che bella invenzione, mi
riprendo, proseguo. Neve, neve, neve, quanta neve! Ecco il sentiero mai ho gradito tanto vedere i
colori danesi dipinti su una roccia. Lo raggiungo, salgo, in tutta la camminata possibile che non ci
sia mai stato un pezzetto di piano, si sale, si sale, si sale, non esiste altro, e io salgo, mi fermo, salgo
e così continuo. Sono ormai le dieci,
l’incontro con le pecore per è saltato,
chissà quanto manca ancora alla
vetta. Mi devo allontanare di nuovo
dal sentiero, lo perdo, lo ritroverò?
Passano i minuti, il sentiero non lo
vedo, ho sbagliato, mi sono perso.
Continuo. Sono ormai più di dieci
minuti che cammino senza alcun
segno del sentiero. “Le pecore!” che
emozione, una corda che segna in
due il monte solcando nella neve.
Non sono lontanissime, ma stanno
già scendendo dalla cima e quante
sono! Saranno a migliaia. Le vedo,
le sento: campanacci, pastori che gridano, grida secche, eleganti, precise, le pecore sanno bene cosa
significano, tutte in fila, scendono il crinale, ripido, neve, tante, belati, dagli acuti agnelli ai
baritonali adulti. I cani corrono saltano sulla neve: è un gioco. Il primo pastore fa strada, scia,
cammina, il bastone il suo timone. Sensazione di pace, ansia, le devo raggiungere, le forze
risalgono. Faccio delle foto, sono troppo lontane, ma che spettacolo, lo devo catturare. Zoom,
scatto, le fermo, ma i suoni, quelli no, non li posso catturare, gli odori, la sensazione sulla pelle, la
brezza, il sole, la neve sotto i piedi, perché sono solo un misero fotografo?
Ricaricato da queste splendide immagini riaggancio la fotocamera al petto e parto con tutte le mie
energie, desiderio di tagliare il monte e arrivare subito al luogo: troppo pericoloso, attraversare uno
spazio di neve immenso senza sapere cosa può esserci sotto: impossibile. Proseguo, un cumulo di
pietre, il segno, lo raggiungo:nessun segno. Proseguo, non c’è alternativa, in basso la neve, adesso
non posso evitarla: impronte un bastone un piede: ci sono! Finalmente un segno di vita, sono
fresche, sono passati da qui, l’ansia si riduce, trovato, continuo. Mi giro: i segni. Stanno lì come due
occhi beffardi mi guardano e mi sorridono: “come potevi vederci se non ti sei mai girato, non
segniamo l’andata, ma solo il ritorno, guarda meglio e ci troverai”. Biancorosso, la mia strada, li
vedo li seguo, sono di nuovo in gioco. La fatica passa in secondo piano, i bastoni, sincronizzo,
ripenso a Mauro: “devi sincronizzare, dividi i pesi, braccia e gambe li devi sentire uguali; spingi
dietro; piede bastone, bastone piede” bicipiti in fiamme, funziona le gambe reggono, mi riposo,
riparto, vado come un treno salgo, salgo, non mi fermo. Neve. Non la posso evitare. Due impronte
fresche dritto o sinistra? Davanti è più veloce, più ripida, ma corta. Provo, un passo, neve alta.:
fatica. I bastoni inutili, vanno giù, non servono a nulla solo un peso da trasportare. Il piede
sprofonda, caviglia, polpaccio, ginocchio, questa sì che è fatica. Procedo lentissimo, ogni passo una
fatica immane. Piede vacilla scende, ginocchio coscia: così no, non va più bene. Faccio forza, ne
esco ma è dura. Uso le vecchie impronte, ma sono fragili, con il peso sprofondo, tanto, troppo.
Ormai la neve è arrivata all’inguine, non riesco ad uscirne adesso, mi muovo, continuo a
sprofondare, non è neve sono sabbie mobili accidenti. Supera la vita, decisamente troppo, devo
trovare una soluzione. Solo, non c’è nessuno nel raggio di chilometri. Devo uscire e alla svelta,
mani ghiacce, sensibilità poca. Calma. Asciugo le mani alla maglia, le strofino, devono riprendersi
completamente. Come faccio ad
uscire? Idea: dispongo i bastoni
davanti a me stesi paralleli. Mani
piatte palmo piano forza braccia
gambe, ce la faccio, esce una
gamba, l’altra fuori. Impronta
vecchia, fermo, stabile. Sono fuori.
Rilassati, ce la hai fatta. Riprendo il
controllo, devo essere leggero, una
piuma e veloce, lo stallo è peso:
piuma. Le impronte virano a
sinistra, si ricongiungono alle altre,
quelle buone se solo le avessi prese
dall’inizio. Volo, fatico come non
mai, non mi fermo, devo camminare
sulle acque manca poco, massi, solida roccia, fermo pace: è fatta. Il peggio è passato. Credevo.
Riprendo le impronte, quelle buone, il sentiero ormai sempre meno visibile, la cima sì però. Arrivo,
un palo un’insegna. Foto commemorativa. Qualcuno ci ha lasciato le penne. Tristezza. Richiudo la
teca, quassù il vento si fa sentire. Temperatura ignota, con questa scalata potrebbero essere anche
meno venti e chi li sente. Il sentiero adesso è definitivamente sparito. Non c’è segno, una casetta di
legno, la raggiungo: chiusa. Neve alta, ginocchio coscia fatica. Mi hai fregato una volta non due.
Vado verso la cima, dirupo, strada impossibile. Torno alla casa, ci sono impronte leggerissime
scendo giù per il monte, ma è ripidissimo, dovrei vedere le impronte delle pecore, non ci sono. Ma
sono sulla cima, adesso si scende in un modo o nell’altro c’è solo da scendere. Il più è fatto. Lo
Credevo. Segnale buono “Claudio, sono in cima ma non trovo la strada”. Terrore nella voce, li ho
ingannati non sono tornato indietro, “Come hai fatto ad arrivare fino a lassù, sei matto, dovevi
tornare indietro. Adesso c’è una strada pericolosa, come fai da solo?”. Paura, rimorsi di non avermi
aspettato, ma vani, sono stato io a volerlo. Alla terza telefonata alla fine per disperazione gli
comunico che anche se non ho capito se è giusta prendo l’unica traccia che vedo, ma le impronte di
un migliaio di pecore davvero non ci sono. Forse un paio di persone e un cane, niente di più, ma se
ci sono passati da qualche parte andrà. “Claudio prendo questa, da qualche parte arrivo, a dopo”.
Inizio a scendere, è ripido, tanto ripido, pianto i bastoni davanti al piede, di lato, un passo, bastone
piantato un altro. Cavoli non pensavo potesse essere anche peggio la discesa. Lo è. Un passo,
scivolo, forza nelle braccia bastoni aiuto, non riprendo. Riprendo. A pelo, c’è mancato poco. Altri
passi altri rischi, scivolo, riprendo, zigzag, che fatica il piede destro, la colonna, inizia a farmi male.
Le braccia in fiamme. Mi fermo, scivolo, cado, scivolo, non mi fermo, un metro due, dieci
venti,bastoni neve, giro in tondo, mi aggrappo, pianto i piedi, troppo ripido non c’è chance. Non mi
fermo, continuo, vabbè almeno arrivo prima, ma se continuo non certo intero. Devo fermarmi:
facile a dirsi. Ormai sono quasi cinquanta metri che arranco sulla neve, sforzo immane, bastoni,
scarponi, schiena chiave di volta, muscoli tesi, respiro sospeso. Un instante interminabilmente
lungo, posso sentire le vene del mio corpo che si gonfiano dallo sforzo. Il mondo si ferma, non
ruota più nulla, non scendo più, ce la ho fatta, sono fermo. La neve: ovunque. Sono fradicio, la
vescica nel tallone destro non mi da tregua. Il cellulare, fradicio, suona. “Si,sono nel primo nevaio,
le ho trovate le tracce, erano state cancellate dal vento nella parte alta, ora è tutto apposto”. Mi
aggiorna che entro l’una sarebbe arrivato il secondo gruppo, che sollievo, non mi sono perso tutto.
Adesso si che sono bello ricaricato. Con qualche caduta e tanta fatica arrivo alla fine del primo
nevaio. Sassi, grandi e belli solidi. E’dalle sette da quando abbiamo iniziato questa avventura che
non metto in bocca nulla. Soprattutto di liquidi ne devo aver persi una bella quantità. Bibita fresca,
buona, fresca, rigenerante. Schiacciatina di Mauro, che piacere, riprendere contatto con la realtà. Mi
tolgo gli scarponi, neve acqua ghiaccio, c’è di tutto dentro i calzini colano acqua, li strizzo li
appendo, il vento penserà al resto. Il vento. Inizia a far
freddino, mi rilasso e la temperatura scende. Venti
minuti fermi e sono sempre più infreddolito. Maglietta
a maniche lunghe. Dura poco il sollievo. Incerata: poco
o nulla. Fa freddo. “Antonioooo!”. “Maurooo! Sono
quassù”. Dopo poco mi vedo spuntare Mauro,
impavido, si è fatto una bella scarpinata e mi ha
raggiunto. Si beve insieme, due parole, due foto. Alla
fine riesce anche a convincermi a risalire un paio di
centinaia di metri in su per approdare su un punto di
vista strategico per osservare il passaggio del nuovo gruppo. Ormai ne ho fatte tante che posso fare
anche questo. Mi piazzo, macchina alla mano, grandangolo pronto. Attesa. I minuti passano, un
primo suono, le urla di un pastore. Troppo ripido, non si vede, ma non tarda molto a spuntare il
primo uomo. Cappello da cowboy, bastone alla mano, e di fianco il fido cane. La carovana si mette
in moto davanti ai miei occhi. Quante sensazioni, dlin dlong, beeee, beh, beeeheheh, suoni diversi,
ogni pecora ha la sua voce, e si lamentano, sanno di doverlo fare, ma è dura anche per loro, e si
lamentano. Carovana di voci, di passi nella neve, lana bianca, nera, crema e poi marrone, con i loro
colori di riconoscimento. Rossi, verdi, azzurri, quelle chiazze nella schiena che ne dichiarano la
proprietà e gli regalano un aspetto unico, macchie di colore nella limpida morbida lana. Qualcuna
vuole tornare indietro, ma poi viene dissuasa dalla folla, qualcuna esce dalle righe, i pastori le
richiamano, ordini ai cani, ringhi e abbai, qualche morso: tornano nelle righe. Agnelli saltellano, per
loro è un gioco, si attaccano al seno della madre, che li ignora, non se la prendono, continuano a
saltellare. I pastori: eleganza. Non ho visto nulla
del genere. Gambe unite, scarponi come sci,
scendono, bastone dietro: timone, freno. Ci sono
nati per loro è normalità, ma non tutta questa neve.
Così non la avevano vista nemmeno loro. Abbassa
il suo bastone, lo infila nella neve ai suoi piedi
scende. Un metro, un metro e mezzo, tutto dentro.
E’ davvero alta. Loro: sopra. Le pecore non
finiscono più, sono passati forse venti minuti e la
fila interminabile non si ferma, prosegue. Un
pastore ci nota, simpatico, esperto, con la sua
eleganza frena nella neve. Occhiali da aviatore,
cappello, camicia a scacchi, scarponi d’altri tempi,zaino in spalla, bastone da pastore, cane al
seguito. “Settant’anni ci sono nato qui, sempre avanti, mai tornare indietro”. Mezz’ora e l’ultima
pecora lascia il nevaio. Riprendo tutto, zaino in spalla, scendo con una leggerezza che prima mi
sarei sognato, seguo le pecore e tutto sembra più semplice. Arrivo di nuovo alle pietre. Rallento,
scendo con loro, gambe sempre più stanche, la tensione si stempera e con lei le mie energie. Stanco.
Tratti difficili, ormai non ne posso più. Ho passato tratti peggiori, ma adesso le energie mi
tradiscono e tutto sembra peggio. L’ultima difficoltà tagliare un tratto ripido tra fango e neve. Paura,
stanchezza questa volta mi arrendo. Mi siedo e scendo così tra il fango e i residui del passaggio
delle pecore struscio fino a terra ferma, stabile. E’ finita. Prato verde. Quante pecore. Non pensavo
fossero così stanche. Tutte distese a terra prive di energie, ventri che si alzano e si abbassano
ansimando. Riposo. Loro scendono a valle al Maso Corto, noi ci godiamo il panorama mozzafiato,
siamo a valle, fiumiciattolo ponti in legno, cime innevate. Tutto intorno il paradiso. Ma ci
rimettiamo in marcia. Ancora un’ora alla macchina. La vescica non mi da tregua ma arriviamo
all’albergo. Doccia relax torniamo umani. Quanto racconti a cena, che stanchezza nei volti, che
felicità nel cuore. Siamo proprio un bel gruppo. Gli unici cinque ad aver avuto interesse e forse
coraggio a seguire questa giornata di pecore e pastori.
Cinque e mezza siamo entrambi già svegli,
emozioni forti ieri. Questa giornata non credo
che li seguirò. Anzi, ne sono certo. Partiamo.
Maso Corto. Tardi, quelli delle sei sono già
nel monte. E come procedono. In poco si
vedono aggrap-parsi alla montagna e sparire.
Noi scegliamo il sentiero, più facile e meno
ripido. “Io vi abbandono, non me la sento. La
vescica non mi da tregua. Non posso starvi
dietro”. Claudio l’amico di Mauro mi segue,
anche io non me la sento, c’è un tratto che ci
hanno descritto come troppo difficile,
preferisco rimanere. Ci separiamo però, altro
gruppo, quello delle sette, lui le segue io non ce la faccio, ho fatto il giro troppo largo, non riesco a
raggiungerli, lui era già là. Aspetto le altre quelle delle otto. Mi rilasso e intanto salgo, mi arrampico
nella montagna per trovare un punto buono da dove fare le foto. Salgo, non faccio fatica, ce la
faccio bene. Salgo, aspetto. Partono, sono solo donne, tutte pastorelle, che cosa strana, non lo
immaginavo. Le aspetto faccio foto, me le faccio scorrere accanto, mi guardano, curiose,
proseguono. Finite, le seguo arrivo in cima al monte. Il più è fatto. Potrei proseguire, ce la farei
benissimo, che stupido a rinunciare in partenza. Non ho il cambio nello zaino, avevo già deciso. E
poi, se non vado posso andare a riprenderli in Austria, così non sono costretti a tornare indietro.
Rientro, ormai è deciso. Claudio le ha seguite è dagli altri. Sono solo, mi spiace stavo troppo bene
con loro. Domani ci riuniremo.
Sei del mattino sono già sveglio, mi preparo, sono
pronto parto, devo andare in Austria. Che giro. Il
passo del Rombo, aperto solo di giorno, non è un
buon segno. Curve tornanti, si sale, neve, nebbia.
Nebbia. Nebbia fitta. Nebbia troppo fitta. Freno mi
fermo. La strada è sparita. Non c’è più, solo una
nuvola bianco sporco che mi copre completamente.
Procedo a passo d’uomo, le strisce appena visibili
in terra. Galleria. Faretti in terra. Uno ogni metro,
ne vedo due. Mai guidato in queste condizioni. E
poi strapiombi. Arrivo in Austria. Valico. Mai visto
nulla del genere. Ai lati la neve tagliata con lame
supera di gran lunga i due metri io nel mezzo dei due muri. Sto attraversando forse un ghiacciaio?
Solo bianco, neve, che situazione strana. Vent, Austria. Ci sono. Sono loro, Claudio mi saluta
scendo, ci abbracciamo, non so, è tutto naturale, siamo commossi. Io di sicuro. Ci stringiamo con
affetto, ci siamo davvero mancati. Tanti racconti, tanti rimpianti di non averli seguiti. Mi sono perso
tanto. E’ finita bisogna rientrare.
Nulla potrà cancellare tutto questo dal mio cuore.
Soddisfazione, pace, certo di aver vissuto qualcosa che
non dimenticherò mai. Felice di averlo condiviso con
persone che dal nulla sono diventate il tutto. Amici. Lo
saranno per sempre.
Antonio. Giugno 2010