Lo spazio urbano-rurale nel contesto della nuova metropolizzazione

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Lo spazio urbano-rurale nel contesto della nuova metropolizzazione
Lo spazio urbano-rurale nel contesto della nuova metropolizzazione:
un caso nella periferia cagliaritana.
Cois Ester
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Cell. 3391160853
Dipartimento di Ricerche Economiche e Sociali DRES
Facoltà di Scienze Politiche
Università degli Studi di Cagliari
V.le S.Ignazio da Laconi 78
09123 Cagliari
Conferenza Annuale della Sezione Sociologia del Territorio
“Città-campagna: la sociologia di fronte alle trasformazioni del territorio”
Alessandria, 25 e 26 febbraio 2010
Sezione Tematica “Ricerca”
L’occasione cognitiva: il progetto Extramet
I temi del consumo del territorio, dello sviluppo sostenibile e dell'eco-compatibilità si sono strettamente
intrecciati, nel dibattito recente focalizzato sui percorsi strategici di sviluppo dei centri urbani, con le
istanze della pianificazione inclusiva, della co-progettazione e, più in generale della governance.
Cogliendo queste istanze, che qualificano nuove modalità di abitare lo spazio urbano fino alle sue
estreme periferie, la Regione Sardegna ha aderito al progetto comunitario Interreg III B MEDOCC
Extramet “Lo spazio urbano-rurale nel contesto della nuova metropolizzazione”. Obiettivo principale
del progetto è la cooperazione, tra regioni ed Enti con funzioni di pianificazione e programmazione,
volta a porre basi comuni per la sperimentazione di una metodologia innovativa rivolta allo spazio
extrametropolitano, al fine di dare vita ad azioni di sviluppo innovative in cui la “terra di mezzo”,
costituita dalla successione più o meno graduale di molte e diverse periferie, in parte ancora
pienamente metropolitane, articolate su cinture consecutive, in parte già inscritte in un ambito rurale,
possa essere pensata come un unico processo di trasformazione e di crescita territoriale.
In quest’ottica, la Regione Sardegna ha individuato un’area campione su cui impostare un progetto
pilota di sviluppo coeso dello spazio “altro” rispetto al fulcro urbano del capoluogo cagliaritano: il
territorio di Flumini, situato in prossimità della città di Quartu S.Elena, disteso per un buon tratto sulla
parte orientale del Golfo di Cagliari e tradizionalmente inteso come area satellite del centro urbano
principale, al punto da dare luogo ad una sorta di città lineare compresa tra la Strada Provinciale 17 e la
linea di costa. La diffusione urbana si espande poi verso l’interno nei territori pre-vallivi che appaiono
pervasi da fenomeni di pesanti annucleamenti alternati ad aree occupate da un’edificazione più sparsa
dove è ancora possibile riconoscere il disegno di un paesaggio agrario a tratti ancora produttivo.
Questa realtà, formalmente periferica, è apparsa particolarmente interessante non solo per l’ampiezza e
la consistenza del fenomeno di diffusione urbana, ma anche per le caratteristiche socio-economiche
eterogenee che lo hanno punteggiato, e che trovano oggi riscontro nelle specifiche e differenti modalità
di abitare lo spazio che vi coesistono. Nel territorio di Flumini di Quartu, infatti, sono presenti tutte le
casistiche urbanistiche che hanno originato la diffusione urbana in Sardegna:
1 una diffusione urbana molto estesa, che copre grandi porzioni di territorio agricolo e si sviluppa
in modo puntuale, quasi priva di grossi annucleamenti, dettata principalmente dall’esigenza di
abitazioni di tipo unifamiliare, lontano dal caos urbano, in modo da poter godere di ampie aree
verdi a costi contenuti (es. Sassari e comuni limitrofi);
2 una diffusione urbana di tipo turistico, lungo la fascia costiera e lontana dai principali
agglomerati urbani, costituita prevalentemente da seconde case che vengono affittate in periodo
estivo e che pertanto costituiscono un patrimonio edilizio vuoto per la maggior parte dell’anno
(es. Alghero, Budoni, Carloforte, etc.);
3 una diffusione urbana costituita sia da prime abitazioni (l’edificazione in questo caso è dettata
dall’esigenza di risiedere al di fuori della città alla ricerca di spazi verdi e dall’impossibilità
delle popolazioni meno abbienti di trovare disponibilità di aree edificabili a prezzi accessibili
all’interno della città), sia da seconde abitazioni che vengono occupate dagli stessi proprietari
principalmente durante il fine settimana o per periodi più lunghi in occasione delle vacanze
estive. Qui l’urbanizzazione dell’agro si presenta decisamente più pesante, con grossi
annucleamenti che, occupando grosse porzioni di territorio ne hanno cambiato in modo
irreversibile i connotati originari (es. gran parte delle aree di pertinenza del comune di Quartu
S.Elena) (Picasso R, Lallai S., 2007).
La cornice sociologica: tre livelli d’indagine.
Su questo territorio dell’hinterland cagliaritano, così frastagliato dal punto di vista delle modalità di
insediamento, risiede un mix di tipologie sociali che, in successione, hanno popolato il medesimo
spazio seguendo le dinamiche più diverse.
La ricostruzione della fisionomia sociale caleidoscopica che abita lo spazio periferico in oggetto, ha
trovato impulso nella cornice strategica della Governance, che ha indirizzato, sin dalle prime battute, il
processo di pianificazione territoriale orientato allo sviluppo sostenibile e coeso dell’intera area
extrametropolitana. Più specificamente, gli incontri con la popolazione locale hanno rappresentato uno
dei momenti chiave del progetto. Sono stati coinvolti, oltre ai residenti, anche i soggetti portatori di
interessi sia di tipo prettamente privatistico residenziale, che di più ampio respiro economico, sociale e
culturale.
Le dinamiche organizzative dello spazio abitato nel territorio di Flumini di Quartu possono essere
assunte quali lineamenti di un case-study utile ad intendere in senso reciprocamente adattivo il rapporto
tra il centro urbano e le sue molte periferie.
Sullo sfondo del progetto Extramet, la prospettiva sociologica ha teso a declinarsi su tre distinti livelli
cognitivi, entro uno schema di riferimento interdisciplinare coerente con l’attuale “mainstreaming” in
tema di progettazione e pianificazione territoriale. Infatti, lungo lo svolgimento dell’indagine sul
territorio scelto nell’area del comune di Quartu S.Elena compresa tra i due fiumi Rio Su Pau e Rio
Foxi, l’interazione tra sguardi cognitivi differenti, di natura geografica, paesaggistica, agronomica,
storico-archeologica, antropica o, appunto, psico-sociologica, si è rivelato adeguato a dare conto di uno
spazio di ricerca per molti versi “liminale”, in quanto la sua qualità “rurale-urbana” è risultata, tanto
sotto il profilo materiale quanto su quello dell’uso e delle rappresentazioni sociali del luogo, piuttosto
sfumata.
La prima funzione strettamente inerente la prospettiva sociologica di ricerca sul territorio Extramet si è
situata ad una scala prevalentemente macroanalitica, e ha avuto come obiettivo la raccolta di evidenze
documentarie ed empiriche utili per formulare ipotesi esplicative sulle dinamiche di mutamento rilevate
entro l’area territoriale di studio, a partire dalla carenze e dalle potenzialità che questa ha manifestato.
Più specificamente, il primo obiettivo cognitivo è stato quello di individuare e descrivere porzioni
socio-territoriali in linea di massima omogenee entro i confini dell’area Extramet, selezionando tra una
molteplicità di fenomeni contemporaneamente presenti solo gli aspetti salienti e ricorsivi che potessero
essere interpretati come caratterizzanti ciascuna sotto-area identificata. Mettendo in gioco quella che
Wright Mills (1959) ha chiamato “immaginazione sociologica”, l’ intento iniziale è stato di natura
descrittiva del contesto macro-sociale, per rilevare, attraverso l’interpretazione del materiale
documentario ed empirico raccolto, quante e quali “formazioni socio-territoriali” coesistano, talvolta
conflittualmente, entro il territorio Extramet.
Il concetto di formazione socio-territoriale rinvia alla nozione di “fatti sociali formati nello spazio”
formulata da A. Bagnasco (1999), per definire come le società locali tendano a formarsi, riformarsi e
modificarsi costantemente nella cornice spaziale di riferimento, che costituisce la condizione di
possibilità dell’essere insieme dei suoi abitanti, i quali, con le proprietà dello spazio devono,
comunque, fare i conti. L’accento cade, in altri termini, sulle strutture originarie che hanno
caratterizzato determinati sistemi territoriali fino al recente passato, mettendo in relazione, ad esempio,
vecchi rapporti di produzione e organizzazione familiare con gli attuali rapporti sociali di produzione e
organizzazione delle modalità di insediamento. Infatti, le strutture originarie costituiscono risorse o
ostacoli perché un territorio percorra determinati processi evolutivi, e danno luogo a particolari
combinazioni tra elementi di contesto (di natura economica, sociale, connessa alle scelte pregresse di
pianificazione) e strategie micro-sociali poste in atto da chi in quel territorio abita, lavora, transita. Tali
dinamiche definiscono le forme concrete dello sviluppo possibile, nell’accezione di evoluzione
“sostenibile” e non sterilmente imposta dall’alto.
Il secondo livello dell’analisi sociologica è consistito nel tentativo di interpretare le dinamiche microsociali messe in atto, in ciascuna delle formazioni macro-sociali precedentemente individuate, dai
soggetti che vi insistono, perché vi abitano (per scelta o necessità), perché vi lavorano, perché vi
transitano secondo modalità occasionali o regolari. Si tratta della prospettiva adottata dalla sociologia
analitica (Barbera, 2005), in base alla quale ogni spiegazione di fenomeni macro-sociali (in questo caso
i processi causali per cui l’area Extramet è andata incontro ad un processo di frammentazione socioterritoriale riconducibile ad almeno tre grandi formazioni distinte e con tendenze evolutive divergenti)
non può che essere micro-fondata, cioè deve passare per l’analisi dei corsi d’azione strategici messi in
atto dagli attori individuali (abitanti, lavoratori, etc.) e collettivi (attori istituzionali, comune, regione,
etc.) per perseguire determinati obiettivi a medio o lungo termine, in funzione dei vincoli esperiti e
delle opportunità attese.
L’obiettivo cognitivo della ricerca, in quest’ottica, è stato di natura rappresentativa, cioè vocata a
tracciare una tipologia di diverse interazioni sociali tra individuo e territorio di riferimento, che dia
conto del diverso grado di “qualità sociale” esperito dai soggetti in ciascuna delle formazioni socioterritoriali evidenziate. Il paradigma della qualità sociale si rivela particolarmente efficace per dare
conto delle interazioni socio-territoriali in termini di vincoli e opportunità, e per sondare quindi le varie
opzioni di sviluppo potenziale di un’area secondo criteri di sostenibilità e plausibilità. Il concetto di
qualità sociale rinvia alla formulazione datane in prima istanza da W. Beck e A. Walzer (2003), e si
riferisce alla misura in cui i cittadini sono messi in condizione di partecipare alla vita sociale ed
economica delle comunità territoriali locali alle quali appartengono, in condizioni che rafforzino il loro
benessere e le loro opportunità potenziali di sviluppo, su base individuale e collettiva. Esso si specifica
in quattro dimensioni, misurabili tramite un efficace apparato di indicatori:
1) La Sicurezza Socio-Economica, che indica il livello minimo di servizi, infrastrutture e benefit di
cittadinanza offerti ai cittadini per proteggerli dai rischi di disagio materiale e sociale;
2) L’Inclusione Sociale, che indica le misure accessibili e disponibili sul territorio per consentire un
adeguato tenore di vita ai suoi abitanti e forme appropriate di accesso ai beni collettivi (dal mercato del
lavoro, al sistema di comunicazioni, alla diffusione delle informazioni atte a rendere attiva la
partecipazione sociale in termini di cittadinanza) che li garantiscano dal rischio di isolamento o
segregazione rispetto alla comunità di riferimento;
3) La Coesione Sociale, che indica il senso di appartenenza condivisa a un territorio e a una comunità
locale, declinato empiricamente in azioni di richiesta collettiva di riconoscimento di beni collettivi, o
nella rivendicazione di un’identità specifica, sul piano culturale, simbolico, o di gestione vera e propria
delle risorse. In un certo senso, costituisce la base di espressione unitaria dei diritti di cittadinanza.
4) L’Empowerment, che definisce la dimensione più propositiva della qualità sociale, quella su cui
emergono i maggiori margini d’azione per una programmazione territoriale che voglia essere davvero
sostenibile, partecipata e condivisa. Definisce l’incontro tra la progettualità dei soggetti, espressa da
aspettative di miglioramento della situazione individuale e collettiva della comunità di riferimento
(dall’incentivazione alla messa in atto delle capabilities riconosciute (Sen, 1997) al sostegno a percorsi
di sviluppo locali non eterodiretti), e i progetti formulati nell’ambito della consueta attività di
pianificazione istituzionale.
L’intento specificamente rappresentativo della ricerca si è avvalso di tecniche qualitative, volte a
ricostruire le strategie di pratica del territorio da parte degli abitanti e degli utenti delle tre formazioni
macro-sociali precedentemente delineate, al fine di definirne i vincoli e le opportunità, espresse come
dimensioni della qualità sociale percepita (dai soggetti e dall’osservatore).
L’ultimo apporto della prospettiva sociologica nell’ambito della ricerca Extramet si è differenziato
nettamente dai precedenti, l’uno descrittivo, l’altro rappresentativo, attinenti alle funzioni più classiche
della Sociologia. Infatti, esso ha declinato una delle vocazioni di più recente riconoscimento della
disciplina: quella di non limitarsi a formulare ipotesi esplicative dei fenomeni sociali sulla base di
schemi interpretativi consolidati, ma anche di tratteggiare scenari evolutivi e individuare linee di
tendenza potenziali nei processi in atto in ambito locale territoriale.
L’ obiettivo cognitivo finale della ricerca ha riguardato, dunque, la definizione di una serie di proposte
di riqualificazione delle aree comprese nel territorio rurale-urbano Extramet, che vadano o nella
direzione della restituzione di un’identità originaria, sia ambientale sia socio-economica, perduta per
cause contingenti, o in quella della riconversione a obiettivi di sviluppo sostenibile (di tipo turistico,
residenziale – in forma di attivazione di cittadinanza effettiva – o ancora agricolo ma in forma
pianificata e opportunamente incentivata). Il coinvolgimento della popolazione in oggetto nella
definizione e nell’attuazione delle direttrici dello sviluppo, a partire dai bisogni espressi e dalle
potenzialità ravvisabili, costituisce l’innesco della programmazione partecipata, che vede nei processi
bottom-up, di incontro tra governance e government uno dei luoghi più proficui di collaborazione della
sociologia con altre discipline.
L’intento di costruzione sociale delle proposte di riqualificazione dell’area e, in generale, di
programmazione partecipata, sono state avanzate in forma di scelta tra opzioni possibili, facendo leva
sulle aspettative manifeste e sulle preferenze dei residenti e dei testimoni privilegiati contattati, nonché
sulle indicazioni pianificatorie derivanti dall’analisi delle direttive del Piano Paesaggistico Regionale e
del PUC del Comune di Quartu vigenti, per quanto attiene all’area di interesse.
Tre formazioni socio-economiche territoriali, tra carenze e potenzialità.
La ricognizione del materiale documentario esaminato (in particolare PPR, PUC del Comune di
Quartu, rilevazioni anagrafiche fornite dal Comune sulla base della distribuzione circoscrizionale delle
famiglie e delle abitazioni, materiale fotografico e video) e l’elaborazione dei dati empirici raccolti
nell’ambito della ricerca sociologica entro il Progetto Extramet (provenienti da interviste semistrutturate e questionari sottoposti a interlocutori privilegiati e a residenti nella zona d’interesse, anche
nella forma del focus group e dell’atelier, da ricognizioni ripetute sul posto, e da osservazione
etnografica), ha consentito di individuare in linea di massima tre formazioni socio-territoriali principali,
che coesistono – talvolta in termini di totale estraneità se non conflitto – nella più vasta area delimitata
come setting della ricerca.
FORMAZIONE SOCIO-TERRITORIALE A: L’AREA COSTIERA TRA SINTOMI DI RESIDENZIALITA’
“ATTIVA” E PERSISTENTI TRACCE DI LUOGO DI TRANSITO
La prima formazione socio-territoriale, individuabile sulla base di caratteristiche relativamente
omogenee in relazione alle pratiche sociali del territorio, è costituita dalla fascia costiera compresa tra
le foci dei due fiumi “Foxi” e “Rio Su Pau”, limitata nella sua parte settentrionale dalla strada
provinciale Viale Leonardo da Vinci, che anche sul piano simbolico distingue e separa (e per certi
aspetti segrega) la zona di “mare” da quella di “campagna”. Si tratta di un territorio nel quale si
confrontano due “anime” specifiche, che consentono di distinguere tra i meccanismi della
“residenzialità attiva” e quelli della persistenza di un’identità transitoria, di luogo di passaggio sia nel
senso spaziale quanto temporale del termine.
La zona costiera, denominata “Margine Rosso”, è esemplificativa della prima forma di pratica del
territorio: la successione senza soluzione di continuità di edifici residenziali riconducibili alla forma
architettonica della villetta o della vera e propria villa, trova un ordine sufficientemente riconoscibile
entro lottizzazioni relativamente recenti, o inscritte entro progetti di “riordinamento” di spazi
residenziali avviatisi dai primi anni ’80 in poi, oggi quasi integralmente ristrutturati. Le aree verdi
private appaiono piuttosto curate, molto di frequente nella forma dell’orto domestico a coltura
intensiva, mentre qualche segno di incuria emerge nei frequenti “vuoti” verdi che scandiscono la
sequenza delle residenze. Non è infrequente, ad es., trovare spazi pubblici nei quali sono rimasti,
abbandonati da anni, resti di macchinari e ponteggi utilizzati per la costruzione o la ristrutturazione
delle stesse villette che perseguono obiettivi di decoro, sul piano tuttavia prevalentemente privatistico.
L’attributo “attivo” ascrivibile a questa forma di residenzialità rinvia a un campo semantico nel quale si
riconoscono i caratteri della permanenza dei residenti (non più ascrivibili alla popolazione urbana delle
“seconde case” come accadeva fino agli inizi degli anni ’90), della pratica quotidiana del territorio,
della trasparenza delle modalità insediative, a fronte di fenomeni di abusivismo nella conquista dello
spazio che sono invece riconoscibili nei terreni recintati, strappati alla spiaggia, che connota le
abitazioni più vicine al mare.
Questa seconda tipologia di insediamento costiero è caratterizzata, per converso, dalla palese vocazione
alla chiusura rispetto al contesto più generale: chiusura segnata fisicamente dai doppi, talvolta tripli
sistemi di confinamento delle abitazioni, per lo più noncuranti dell’effetto estetico complessivo (come
nel caso dei muri a cemento, ormai erosi dagli agenti atmosferici), e dal mancato rispetto dei limiti di
edificazione, talmente manifesto da impedire in molti casi l’agevole passaggio a piedi lungo il
bagnasciuga. Si tratta di edifici che hanno perduto in molti casi il connotato di abitazione, transeunti sul
piano temporale perché residuo di costruzioni edificate almeno 25 anni fa come seconde case, in uno
spazio ibrido costiero-rurale, quando le difficoltà di comunicazione e trasporto rendevano quest’area
difficilmente ascrivibile allo spazio del vicino “fuori-porta” o della zona periurbana, ed anzi ne
definivano l’identità come zona “distante”, per gli stessi abitanti stabili di Quartu, soggetta ad una
crescita sregolata e quasi puramente volontaristica. La zona più estrema di questa formazione socioterritoriale, accanto alla foce del “Rio Su Pau”, conserva elementi di prevalenza rurale, con tracce di
vigneti e colture estensive, sul quale si inscrivono sporadici esempi di edificato disperso, di tipo
decisamente rurale e in parte pastorale, anche in questo caso con ben pochi confini tra l’avanzare
dell’elemento antropizzato e i margini di rispetto dell’area naturale lungo le sponde del fiume,
addirittura a ridosso del suo stesso letto.
La connotazione transitoria di una parte dell’area costiera si declina anche sul piano spaziale, poiché si
tratta di un’area piuttosto frequentata da “local users”, cittadini delle zone limitrofe, gravitanti su
Quartu o anche Cagliari, che cercano durante la bassa stagione e approfittando del divieto di
balneazione ancora vigente, “non-luoghi” nei quali praticare incontri occasionali o sfuggire ai controlli
(sociali e istituzionali) più stringenti che le aree più limitrofe alla città tendono ad assicurare.
FORMAZIONE SOCIO-TERRITORIALE B: UN’AREA RURALE SPORADICAMENTE ABITATA IN ATTESA DI
UN’IDENTITA’ DI DESTINAZIONE
La seconda formazione socio-territoriale, dislocata lungo il versante opposto della strada provinciale
Viale Leonardo Da Vinci, nella fascia intermedia interna alle campagne più lontane del comune di
Quartu S.Elena, è punteggiata da un edificato disperso, per la grande maggioranza di tipo rurale o
residenziale molto povero, cresciuto su se stesso in condizioni di abusivismo e per sequenziali
“aspettative” di sanatorie. Un processo che non pare essersi interrotto, a giudicare dalle casupole in
evidente stato di avanzamento edilizio, nonostante l’area venga tuttora definita dal PUC del comune di
Quartu come area a destinazione agraria. Le aree collinari sovrastanti il confine occidentale del Riu
Foxi mostrano la persistenza di una vocazione di fatto agricola, espressa dai vigneti e dai seminativi
ancora intensivamente coltivati, dalle serre di legumi e fiori ancora in attività, e per lo più, la
consistenza ridotta dei fondi denota una frammentazione che lascia supporre la presenza di piccoli
coltivatori part-time, probabilmente cittadini quartesi che conservano appezzamenti di famiglia da
curare nel tempo libero. La presenza ricorrente di ampie aree agricole ormai abbandonate, con
particolare riferimento ai mandorleti – un tempo base dell’economia agraria quartese, nota per la sua
produzione artigianale dolciaria in tutta la Sardegna – e ai vigneti – anch’essi retaggio delle colture
intensive che fino a meno di un decennio fa facevano della cantina sociale di Quartu, ora scomparsa,
una delle attività più fiorenti di questa zona – apre il campo a diverse ipotesi, alcune parzialmente
suffragate da testimonianze empiriche: in parte si tratta infatti di terre ereditate dalla seconda o terza
generazione di quartesi, ormai poco vocata a dedicarsi all’attività agricola anche in termini residuali, e
in attesa di riconvertire le terre in proficui investimenti, nel caso in cui parte dell’area sia dichiarata a
breve zona edificabile o di riempimento, moltiplicandone il valore. La percezione generale che se ne
trae è quella di un’area in attesa di una nuova destinazione, sempre più sfumata nei suoi tratti rurali
antropizzati e sempre più compromessa dall’incuria dei proprietari nominali.
I collegamenti interni all’area risultano poco agevoli, raramente asfaltati e privi di indicazioni che
rendano effettivamente percorribile la zona, peraltro assai suggestiva come campagna potenzialmente
fruibile a scopi paesaggistici per un certo tipo di turismo occasionale e non a medio raggio.
Gli edifici non palesemente adibiti ad uso agrario, anche in questo caso svincolati da qualunque
normativa pianificatoria, si affiancano entro ampi spazi apparentemente “vuoti” ad abitazioni
unifamiliari in gran parte abusive, ben occultate da successioni di recinzioni che ne esplicitano il
tentativo di opporre una sorta di sub-cultura del controllo privato, familistico, isolato, del territorio e
della casa all’assenza di un controllo istituzionale, declinata in “positivo” (in quest’ottica anomica o di
norme sociali rovesciate) nella mancanza di sanzioni stringenti contro la costruzione sregolata ad uso
abitativo in quest’area, e in “negativo” nella quasi totale assenza di servizi e infrastrutture pubbliche
che rendano la zona, nella sostanza, effettivamente abitabile (dagli allacci idrici alla manutenzione
delle strade, alla predisposizione di linee di collegamento extra-urbano, etc.).
FORMAZIONE SOCIO-TERRITORIALE C: DAL NUCLEO ORIGINARIO ALLO SPAZIO NASCOSTO
La terza formazione socio-territoriale è costituita dall’area delimitata a sud dalla provinciale Viale
Leonardo da Vinci, a Nord-Est dalla lussureggiante frazione di Sant’Isidoro e a Ovest dalla dorsale
verticale che si dipana verso Nord a partire dalla frazione Sant’Andrea. Gran parte del nucleo originario
di Flumini trova i suoi confini in quest’area, per quanto l’attuale unico centro riconoscibile in tutta la
zona graviti lungo la strada ad alta percorrenza, sbilanciando in gran parte verso il basso questa fascia
territoriale. E’ infatti in questo spazio di più recente definizione che si stanziano i servizi pubblici
presenti nell’area periurbana esaminata, dalla farmacia alle poste, ai supermercati principali. La zona
più interna, a partire dalla località Sant’Andrea e dal suo groviglio di stradine ancora incerte nella loro
identità residenziale o puramente rurale, è connotata da un edificato relativamente denso, contenuto in
lottizzazioni di nuova, vecchia o prossima (nelle aspettative diffuse) costituzione, soggette a ondate
successive di misure di risanamento edilizio, intervenute ex post piuttosto che con intenti pianificatori
regolati ex ante. Non si riconosce un tipo architettonico dominante, ma piuttosto una varietà di forme
insediative che appaiono direttamente connesse alle contingenze socio-economiche dei proprietari,
piuttosto che a specifici piani evolutivi: dalle villette unifamiliari con ampio giardino, spesso coltivato
a frutteto, che oppongono alla cura dell’abitato e del terreno privato la prossimità di strade non
asfaltate, scoscese, percorribili con difficoltà, e la manifesta carenza di infrastrutture comuni,
dall’illuminazione ai canali di scolo; alle ville padronali costruite intenzionalmente in condizioni di
“splendido” isolamento, dove l’assenza di servizi collettivi è intenzionalmente barattata con la
tranquillità di un’area ancora poco appetibile a finalità turistiche; alle piccole casupole dalla forma
approssimativa, evidente esempio dell’emergenza e dell’urgenza, in termini di bisogno abitativo, delle
famiglie che si sono dislocate in quest’area senza alcuna contropartita vantaggiosa da opporre alle
carenze dell’isolamento. Lungo le sponde del fiume si alterna una vegetazione incolta, per lo più a
prateria, e piccoli appezzamenti di terreno coltivati prevalentemente a legumi (fave, in particolare). La
percezione dominante per la fascia più interna è quella di una campagna in gran parte occultata nelle
sue risorse e potenzialità, forzatamente “usata” per scopi di urgenza (vedi abusivismo edilizio diffuso e
chiaramente il più possibile celato), soggetta negli spazi ancora “vuoti” ad evidenti segni di incuria
pubblica e privata, con intere fasce lungo le arterie interne abbandonate al degrado, e ai cumuli di rifiuti
di ogni genere.
Gli attori sociali, tra vincoli e opportunità: tipologie empiriche di qualità sociale
AREA A. GLI ABITANTI PER SCELTA E I LOCAL USERS
I soggetti sociali più rappresentativi della formazione socio-territoriale A, la fascia costiera di Margine
Rosso, possono essere ricondotti a due categorie principali, che saranno di seguito specificate secondo i
criteri costituiti dalle quattro dimensioni della qualità sociale. I cosiddetti “abitanti per scelta”
configurano quella fascia di residenti che ha acquistato una villetta nell’area costiera negli ultimi
quindici anni, o che appartiene alla generazione dei figli dei vecchi proprietari che acquistarono o
costruirono alcuni decenni fa l’edificio per destinarlo alla funzione di “seconda casa”. La scelta di
vivere in quest’area territoriale risulta ponderata, dato anche l’elevato costo delle abitazioni e delle
ristrutturazioni, e motivata prevalentemente da ragioni di ricerca di modalità abitative “ a misura
d’uomo” in termini di tranquillità e contatto ambientale, che le fasce urbane e le cinture perturbane non
possono garantire. A questa tipologia di residenti si affiancano i cosiddetti “local users”, che possono
ascriversi a due sotto-gruppi sociali: quello di coloro che si limitano a transitare nell’area costiera, ad
utilizzarla per scopi estemporanei o occasionali (dalle passeggiate, alla piccola pesca, alle gite notturne,
fino – almeno fino alla recente denuncia di gruppi di residenti – alla pratica di atti di micro-criminalità,
come spaccio e prostituzione); quello di coloro che appartengono alla generazione dei vecchi
proprietari delle ville della prima ora, costruite secondo modalità approssimative sul fondo di terreni
molto estesi, in gran parte abusivamente ampliatisi fino a comprendere, entro rozze recinzioni di
cemento e reti impenetrabili, gran parte del bagnasciuga, impedendo il normale transito pedonale lungo
la riva e l’accesso al mare. Questi ultimi difficilmente risiedono nella zona, e l’uso delle abitazioni, in
parte di fatto abbandonate, si limita alla sporadica frequentazione senza alcun investimento, neppure in
termini di coesione sociale, con il resto della comunità sociale residente “attiva” presente in loco. Una
terza categoria residuale di soggetti può essere rintracciata in prossimità delle fasce umide,
contrassegnate ancora dai canneti e dal terreno semi-paludoso, lungo le foci dei due fiumi Rio Foxi e
Rio Su Pau: si tratta prevalentemente di piccoli proprietari agricoli, spesso noncuranti dei limiti di
rispetto ambientale connessi ai percorsi fluviali, che hanno costruito nel tempo, in una sequenza
sregolata di edificazione abusiva o semi-abusiva, casupole malferme destinate per lo più a uso agricolo
o convertite in stazzi entro piccole attività legate al pascolo ovino. La presenza di turisti segue i ritmi
stagionali, ma non è soverchiante come in altre fasce della costa sarda, e assume piuttosto la veste del
pernottamento in uno dei complessi alberghieri che punteggiano la parte settentrionale di quest’area,
lungo l’arteria principale della strada Provinciale, o in uno dei numerosi bed & breakfast che sono sorti
di recente lungo tutta la fascia costiera, nonostante non sia ancora venuto meno il divieto di
balneazione. Anche in questo caso, si tratta di una popolazione turistica diretta a mete contigue, per lo
più nell’area di Villasimius che vi si connette tramite la stessa Strada Provinciale.
La separazione apparentemente insolubile tra i due tipi sociali che caratterizzano questa formazione
socio-territoriale, e l’ancor più netta segregazione che li distingue dai residenti delle zone interne, al di
là della Strada Provinciale, non rende immediatamente palesi potenziali percorsi di sviluppo locale che
possano essere sufficientemente condivisi Alcune indicazioni, tuttavia, paiono emergere soprattutto ad
opera dei cosiddetti “abitanti per scelta”, che tuttavia si fanno portavoce anche delle possibili esigenze
di una popolazione turistica locale e non interessata a fruire delle bellezze non valorizzate della zona di
riferimento. In particolare, quattro progetti di sviluppo sostenibile proposti meriterebbero di essere
sottoposti ad ulteriori strategie di “manifestazione d’interesse” bottom-up, entro efficaci meccanismi di
programmazione partecipata:
a) La preservazione dei percorsi lungomare tramite l’applicazione di sanzioni più rigide nei confronti
dei proprietari che hanno esteso le recinzioni delle proprie abitazioni fin quasi a picco sul mare, in
modo da rendere fruibili ai residenti e ai turisti l’accesso al mare senza soluzione di continuità. In modo
correlato, è auspicata una maggiore cura pubblica delle spiagge, la cui pulizia oggi è in gran parte
lasciata alla “buona volontà” dei residenti, ad esempio tramite il blocco dell’accesso al mare per le auto
di passaggio.
b) Il sostegno all’attività di piccola pesca, già praticata a titolo individuale in prossimità della zona di
Foxi, con l’obiettivo di dare vita ad attività di ristorazione in loco che attirino clienti dalle aree urbane
limitrofe
c) La valorizzazione dei percorsi di interesse storico-archeologico, a partire dalla Torre Foxi, che
potrebbe ad esempio essere adibita a manifestazioni culturali (spettacoli di musica classica, mostre,
etc.) e non lasciata ad un’attesa di destinazione ad libitum, salvo – forse – nell’unico giorno dedicato
alla manifestazione “Monumenti Aperti”; la ricca dotazione di reperti di interesse archeologico, come
la Villa Romana, oggi ridotta a ruderi fatiscenti sovrapposti in epoche successive, lascerebbe
presupporre la possibilità di rivitalizzare l’intera zona costiera sotto il profilo del turismo culturale.
d) La messa a disposizione dei “residenti attivi”, la categoria sociale potenzialmente più efficiente in
termini di sviluppo auto-diretto, delle possibilità tecniche (macchinari) ed economiche (incentivi per
iniziative collettive di solidarietà di quartiere e cittadinanza attiva) per mettere a frutto le proprie
capabilities, ad esempio fissando meccanismi di turnazione per la pulizia degli spazi verdi pubblici che
inframmezzano le abitazioni, ai lati delle strade, e che oggi sono abbandonati alla mercè delle esigenze
da free-riders dei singoli (depositi di ponteggi, parcheggi indebiti, etc.).
AREA B: GLI ABITANTI PER SCELTA, GLI AGRICOLTORI “RESIDUALI”, I COUNTRY USERS E GLI
ABITANTI NASCOSTI
La seconda formazione socio-territoriale, quella più interna assimilabile ad una sorta di “area celata” in
attesa di destinazione, è condivisa da almeno quattro categorie di soggetti sociali, che sovrappongono
sullo stesso territorio le funzioni dell’abitare, del lavorare, del transitare e del sussistere (Martinotti,
1993). I cosiddetti “abitanti per scelta” appartengono alla generazione più recente e, per certi versi, “di
ritorno” dei fenomeni di ruralizzazione e periurbanizzazione che sul finire degli anni ’80
caratterizzarono gran parte degli agglomerati urbani italiani. Il “ritorno alla campagna” come scelta di
vita, espone i soggetti che si avvalgono di questa parte del territorio come area residenziale ad un
delicato bilancio costi-benefici, che vede scontrarsi le ragioni del benessere fisico per la tranquillità e la
salubrità ambientale con l’assenza palese di servizi pubblici di base, dalla rete idrica – acquisita palmo
a palmo e spesso su base di rivendicazione individuale “informale” o, nel migliore dei casi, come
iniziativa di collettività locale in forma privatistica – alla manutenzione delle infrastrutture stradali,
all’illuminazione, ad un sistema anche minimo di trasporti pubblici. Ad essi si affiancano, talvolta in
termini conflittuali, i cosiddetti “agricoltori residuali”, in genere piccoli proprietari terrieri di lunga data
che trascorrono la settimana lavorativa in città e che dedicano il tempo libero del fine settimana alla
coltivazione dei piccoli appezzamenti di terreno non ancora venduti o destinati alla lottizzazione. Non
mancano fenomeni di “ampliamento” sregolato degli edifici ad uso agrario, tali da configurare vere e
proprie abitazioni costruite gradualmente in condizioni di anomia, talvolta destinate a divenire
residenza definitiva nella prospettiva del pensionamento e della cessione dell’abitazione cittadina ai
propri figli. La tipologia dei “country users” è costituita da coloro che non abitano, né lavorano la terra,
ma la utilizzano per finalità precise e in tempi e modalità specifiche: in particolare l’attività venatoria
ancora praticata dai cittadini delle aree limitrofe a questa formazione socio-territoriale mette in
evidenza il conflitto di percezione tra gli abitanti (per i quali la vocazione residenziale della zona è un
dato acquisito) e i semplici “utenti” rurali, che agiscono sull’assioma che quest’area sia ancora, come in
passato, a tutti gli effetti “pura campagna” destinata all’antico uso comune da parte del nucleo urbano
di riferimento. Gli abitanti nascosti definiscono un’altra tipologia caratterizzante quest’area, quella
delle persone che più che abitare e praticare il territorio si limitano a sussistervi, sia nella modalità
d’accesso (in genere per via abusiva, pressati da emergenze socio-economiche che rendono impossibili
altre opzioni abitative) sia nelle strategie di uso del territorio, in forma frammentata, scandita da singoli
casi di isolamento e segregazione entro le proprie case monofamiliari occultate da brutte recinzioni,
tese a confinare il resto della comunità locale fuori dalla “propria” terra e a negarsi così ogni possibilità
embrionale di farsene partecipi, come germe di cittadinanza attiva.
La carenza del senso e delle declinazioni sostanziali della cittadinanza appare il tratto dominante di
questa formazione socio-territoriale, che in ampi tratti si trova in bilico tra la definizione di “area di
nessuno” e quella, altrettanto poco attenta alle esigenze di sviluppo sostenibile di un territorio di “area
di tutti”, preda dell’anomia e dell’assenza istituzionale, espressa soprattutto in termini di mancanza di
pianificazione, tanto ex- ante quanto ex-post. Tra le opzioni potenziali che potrebbero restituire un
volto definito, praticabile e non più occultato al territorio in questione, si possono individuare due
strategie in nuce:
a) L’incentivazione dell’agriturismo biologico, come ambito di connessione tra le forme dell’abitare,
del transitare e del praticare la terra, e – in senso in qualche modo complementare – la definizione di
confini meno imprecisi e disordinati tra lo spazio edificato e le zone a coltura più intensiva, in modo da
creare percorsi ecologici fruibili per esempio come tragitti in bicicletta per forme sempre più diffuse di
turismo rurale.
b)
Il rafforzamento del controllo pubblico in sede di pianificazione, che non miri semplicemente a
risanare situazioni consolidate di abusivismo sregolato e tuttora crescente, ma che si faccia promotrice
di iniziative residenziali progettate secondo standard sostenibili, destinate alle fasce socio-economiche
medio-basse che popolano in via informale quest’area, ma in condizioni di ottimizzazione delle
dotazioni pubbliche in termini di servizi, infrastrutture, collegamenti viari, etc.
AREA C: GLI ABITANTI “RADICATI” (ORIGINARI) E GLI ABITANTI NASCOSTI.
La terza formazione socio-territoriale, quella prospiciente lo spazio di confine tra i comuni di Quartu e
Quartucciu, e composta da alcune frazioni dall’identità specificamente riconosciuta (S.Andrea,
Sant’Isidoro), risulta “vissuta”, in particolare, da due tipologie di residenti: i cosiddetti abitanti
“radicati”, che definiscono una sorta di nucleo di popolamento originario, relativamente denso, della
zona più interna di Flumini, e gli abitanti “nascosti”, ancora una volta celati alla comunità socioterritoriale manifesta, almeno nelle intenzioni, e spesso motivati dalle necessità di un tetto a qualsiasi
condizioni nelle loro strategie di rinuncia a benefit di cittadinanza in termini di servizi pubblici di base.
Se i primi configurano lottizzazioni sovrapposte a precedenti percorsi di insediamento, affiancate da
recenti fasce in via di completamento residenziale (zona di Sant’Andrea), i secondi sono sparsi entro
modalità di insediamento disperso, in alcune fasce più settentrionali inframmezzato da rade attività
pastorali e di piccola agricoltura, a vigneto o seminativo (Zona di San Forzorio, adiacente la frazione di
Sant’Isidoro).
L’originario radicamento di una parte consistente della popolazione residente in questa formazione
socio-territoriale costituisce una buona base di partenza sulla quale innestare processi di sviluppo e
valorizzazione del territorio. In particolare, tre progetti potrebbero essere sottoposti a iniziative di
programmazione strategica, con buoni margini di efficacia:
a) La creazione di “un centro” riconoscibile come spazio di aggregazione per le diverse fasce d’età
che gravitano nella zona, in particolare per quelle più giovani ed anziane. Tale definizione di un perno
fisicamente manifesto entro l’area di più denso popolamento dovrebbe essere accompagnato dalla
predisposizione di servizi ad hoc, di tipo ludico, commerciale, ricreativo, con particolare attenzione alle
attività volte a incrementare il sentimento d’identità territoriale della popolazione, facendo leva – per
esempio – sulle tradizioni condivise, che sono molteplici e in attesa semplicemente di un appropriato
“piano regolatore simbolico”.
b) L’incentivazione di attività di agriturismo e agricoltura biologica, che restituisca valore anche ad
alcuni presidi alimentari storici, come la patata fluminense, quale base per una riqualificazione
dell’attività agricola su basi più sostenibili, remunerative e poggianti su economie di scala, che la
minuziosa frammentazione del panorama attuale certamente non assicura.
c) Il miglioramento delle infrastrutture, in particolare dell’illuminazione stradale nei centri abitati, del
sistema dei trasporti pubblici, della rete viaria che connetta aree e lottizzazioni adiacenti in linea d’area
ma attualmente del tutto segregate per la mancanza di connessioni praticabili.
Il paradigma dell’identità come chiave di lettura del territorio
Nel complesso, è possibile rintracciare un filo conduttore nell’analisi delle tre formazioni socioterritoriali individuate. Si tratta dell’obiettivo progettuale che le accomuna, sebbene con declinazioni
diverse: la vocazione a una migliore definizione del senso di identità esperito da parte dei soggetti
sociali che abitano e insistono sulle tre partizioni del territorio Extramet. La questione dell’identità
appare, infatti, come una delle chiavi di lettura più pregnanti per cogliere i processi di frammentazione
del territorio già in atto e metterne in luce le potenzialità in termini di sviluppo, se si adotta il frame
cognitivo sviluppato da Bagnasco (2004) in base al quale la progettazione locale non può che fondarsi
sulla definizione dei territori quali “fatti sociali formati nello spazio”.
Così, nell’area storicamente originaria, corrispondente a Flumini, emerge con chiarezza l’aspirazione a
un recupero di un’identità comune già sedimentata, alla cui memoria sono dedicate sul piano simbolico
le feste tradizionali, ma che avrebbe bisogno di conferire maggiore sostanza al senso di appartenenza
della popolazione anche con la preservazione o la ricostruzione di luoghi fisici di incontro, di
condivisione della routine, di organizzazione del territorio fondata sulla partecipazione degli abitanti e
su meccanismi di reciprocità positiva. Ciò che appare in gioco, nelle riflessioni degli abitanti, non è
l’allestimento “top-down” di una sorta di “spazio folkloristico” che cristallizzi la zona come l’ennesimo
museo a cielo aperto, nell’ansia di ricordarne il passato e i caratteri fondativi prevalentemente agropastorali. Il rischio è di disegnare una sorta di “museo dei mestieri”, piuttosto che di restituire vitalità
ad un’area che ha tutte le potenzialità per praticare percorsi di sviluppo autonomo che, pur avvalendosi
dell’expertise accumulata nel tempo, ne sappiano intravedere i vantaggi competitivi su un mercato
sempre più globalizzato. Un esempio per tutti è costituito da alcune colture originarie della zona, prima
tra tutte una specie poco diffusa di patata, che potrebbero essere valorizzate opportunamente mediante i
canali messi a disposizione dall’Unione Europea per i cosiddetti “presidi alimentari”. La dicotomia tra
tradizione e modernità troverebbe la sua risoluzione nella cornice della “tradizione cognitiva” (Shils,
1981), laddove la qualità originaria dei luoghi reagisce positivamente alle tendenze del Mutamento
globale traducendosi in vantaggio territorialmente localizzato.
Il confronto, in ampia misura conflittuale, tra identità differenti caratterizza invece l’area interna del
territorio Extramet (area B). In questo caso, l’obiettivo progettuale non appare tanto quello del recupero
di una rappresentazione dello spazio sociale condivisa, quanto quello dell’”addomesticamento” del
territorio stesso da parte delle popolazioni eterogenee che vi insistono, in modo da stabilire tra esse
adeguati meccanismi di convivenza (Mandich, 2003). Le ragioni di chi attribuisce a questo spazio
un’interpretazione tradizionale di “campagna della città”, ossia di area rurale di immediata pertinenza
del comune di Quartu S.Elena, e le ragioni di chi, invece, ne propone una visione più recente, quella di
un ambito residenziale estremamente attraente in termini di qualità della vita, potrebbero trovare un
minimo comune denominatore in una pianificazione sottoposta a regole più lungimiranti quanto alla
destinazione d’uso delle aree, finora in gran parte lasciate al caotico sviluppo generato dall’incrocio tra
almeno tre fenomeni: l’abbandono di attività agricole un tempo caratterizzanti ma non più remunerative
(in primis le colture delle viti, dei mandorli, delle fave); la crescita esponenziale dell’abusivismo
edilizio, in genere nella forma del mancato rispetto dei regolamenti vigenti per la costruzione o
ristrutturazione di edifici accreditati come “ad uso rurale”; le ondate un po’ tardive del cosiddetto
processo di “neo-ruralizzazione” (Dematteis, 1997), che vide protagoniste le classi medie del nord e del
centro della penisola a partire dalla fine degli anni’80, in fuga dai centri cittadini alla ricerca del
comfort materiale e simbolico offerto dal carattere sufficientemente “rurale” delle prime e seconde
cinture.
Anche l’ultima partizione socio-territoriale dell’area Extramet, l’area A, può essere filtrata attraverso la
cifra dell’identità, sebbene in questo caso essa non corrisponda né alla ricerca di un senso di comune
appartenenza al luogo, né alla vocazione ad imprimere allo spazio una specifica rappresentazione
simbolica, che lo renda “addomesticato”. Piuttosto, la fascia costiera si caratterizza, più di recente che
nelle altre zone, per l’intenzione condivisa dagli abitanti a rintracciare “buone ragioni” (à la Boudon,
1997) per giustificarne un reale “radicamento”. Non si postula, cioè, il ritorno a un’identità condivisa
che non è mai esistita in questa zona tipicamente destinata, in passato, ad essere transeunte e rivolta
principalmente alle esigenze alterne e stagionali dei turisti e dei villeggianti delle seconde case. Quella
che appare attualmente la vera tendenza emergente nell’area è la definizione ex-novo di un rapporto
reciprocamente attivo tra popolazione e territorio, non più di carattere satellitare o dedicato agli “altri
da sé”, ma corrispondente alle esigenze quotidiane degli abitanti. In altri termini, l’obiettivo “politico”
di potenziamento del territorio deve compiere una rivoluzione pressoché copernicana, dalla ricerca
quasi esclusiva dell’attrazione turistica, all’impegno solidale per rendere attraente la zona in primo
luogo per i suoi abitanti. Questa “creazione di senso” del luogo passa attraverso le strategie della tutela
delle risorse fisiche della zona, cominciare dalle spiagge, e della responsabilizzazione dei cittadini, in
modo da renderne la partecipazione bottom-up alla cura e alla valorizzazione del territorio lo strumento
per attribuire a quest’ultimo una definizione stabile come spazio vissuto. Né ripreso dal passato, né
lasciato alle vicende intermittenti dei “local users”: un luogo reale (Augè, 2005), che su questa
condivisione di interessi – alla tutela e allo sviluppo – fondi anche la sua futura dimensione simbolica
di appartenenza.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Augè, M., Nonluoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 2005
Bagnasco, A., Fatti sociali formati nello spazio, Milano, Franco Angeli, 1994
Bagnasco, A., Tracce di comunità, Bologna, il Mulino, 1999
Barbera, F., Meccanismi Sociali. Elementi di Sociologia Analitica, Bologna, Il Mulino, 2005
Beck, W., Walzer, T., Social Quality: a vision for Europe, 2004
Boudon, R., Il posto del disordine. Critica delle teorie del mutamento sociale, Bologna, Il Mulino, 1997
Dematteis, G., Bonavero, P.
Mulino, 1997
(a cura), Il sistema urbano italiano nello spazio unificato europeo, Bologna, Il
Mandich, G., Abitare lo spazio sociale, Guerini e Associati, 2003
Martinotti, G., Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, Bologna, Il Mulino, 1993
Picasso R., Lallai S., Extramet, Lo spazio Rurale nel contesto della nuova metropolizzazione, Il caso di studio
dell’area metropolitana di Cagliari, Introduzione, Rapporto di Ricerca, 2007
Sen, A., La disuguaglianza: un riesame critico, Bologna, Il Mulino, 1997
Shils, E., Tradition, Chicago, The University Chicago Press, 1981
Wright Mills, C.W, L’immaginazione sociologica, Milano, Il Saggiatore, 1959