rivista del consiglio - Ordine degli Avvocati di Lecce

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rivista del consiglio - Ordine degli Avvocati di Lecce
RIVISTA DEL CONSIGLIO
Bollettino dell’Ordine degli Avvocati presso la Corte d’Appello di Lecce
Anno XI
N. 1-2007
DIRETTORE RESPONSABILE: Antonio De Giorgi
COMITATO DI REDAZIONE: Luigi Rella - Raffaele Fatano - Antonio Sergi - Nicola
Stefanizzo - Lucio Caprioli - Sergio Limongelli
SOMMARIO
Editoriale
3
L’Avvocatura e le sfide della modernità
di ANTONIO DE GIORGI
8
Rivista, la Rivista
89 Les interdictions professionnels...
90
Congresso Giuridico Forense - Lecce 1979
91
La centralità del sistema ordinistico
e le Scuole Forensi
di SERGIO LIMONGELLI
di LUCIO CAPRIOLI
Politica Forense
10 Che cos’è la politica forense
di FRANCESCO GALLUCCIO MEZIO
14 Le Leggi son...
Sul decentramento amministrativo della
organizzazione della giurisdizione
di LUCIO CAPRIOLI
17 Relazione sull’attività del Consiglio
Nazionale Forense svolta nell’anno 2006
di GUIDO ALPA
66 Avvocatura e Decreto Bersani:
I chiarimenti del CNF
Formazione e aggiornamento
79 Regolamento per la Formazione
permanente
87 La Formazione del Praticante e
l’aggiornamento dell’avvocato
di LUPIENSIS CIVIS
Centro Studi Giuridici
Michele De Pietro
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Il Centro Studi “Michele De Pietro”
di ANTONIO SERGI
98
Rinnovato il Direttivo
100 Corso di Diritto Penale dell’economia
Interventi di saluto
(MARCELLO MARCUCCIO - MENOTTI GUGLIELMI)
Relazione introduttiva del Corso
(S. E. NICOLA MARVULLI,
Primo Presidente Corte di Cassazione)
Attività del Consiglio
111 Regolamento per l’Erogazione
di contributi di assistenza
115 Protocollo di udienza
Approvato dal Consiglio con delibera
del 15.5.2007
IN COPERTINA:
Lecce, Corte d’Assise, 5 dicembre 1934. L’avvocato Oronzo Massari, il Presidente
Comm. Enrico Colagrosso (schizzi, autore ignoto, collezione privata).
120 Assemblea Ordine Avvocati
del 9 marzo 2007 - deliberato
Deontologia e provvedimenti
disciplinari
Diritto Amministrativo
178 Limiti entro i quali possono assumersi
incarichi da ex clienti
123 Promemoria breve, in esergo
di RAFFAELE FATANO
di PIERLUIGI PORTALURI
125 “La lotta per il Diritto”
e la responsabilità dell’avvocato
di PIETRO QUINTO
130 Relazione finale
Nuove prospettive
del diritto amministrativo
Legislazione - Giurisprudenza
182 La normativa antiriciclaggio
per gli avvocati
a cura dell’Unione Triveneta
dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati
di ALDO BULGARELLI
ANDREA PASQUALIN
di GIUSEPPE ABBAMONTE
Opinioni e Saggi
Il Foro Salentino
171 Sulla Commissione
Tributaria Regionale
199 La gloria di Francesco Rubichi
nella parola di Alfredo De Marsico
di VALENTINO TORRICELLI
173 Deontologia e diritto positivo:
la testimonianza dell’avvocato
di AGNESE CAPRIOLI
a cura di CESARE TAURINO
221 Fotografie cerimonia Toghe d’Oro
del 15.12.2006
DIREZIONE - REDAZIONE
ORDINE DEGLI AVVOCATI
presso la Corte d’Appello di Lecce
Palazzo di Giustizia - V.le M. De Pietro - Lecce
Tel. Pres. 0832/241446
Segr. 0832/301907 - Fax 0832/331954
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PUBBLICITÀ
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Tutti gli iscritti all’Ordine possono collaborare alla rivista del Consiglio con articoli su problemi di interesse generale: la Direzione si riserva la facoltà di non pubblicare gli articoli che
pervengono. I dattiloscritti non vengono restituiti.
Tiratura n. 3.800 copie
EDITORIALE
EDITORIALE
L’Avvocatura e le sfide
della modernità
di ANTONIO DE GIORGI
Al recente Congresso Nazionale Forense di Roma, l’Avvocatura
ha approvato all’unanimità, tra gli altri, i seguenti principi:
- riaffermare la libertà e l’autonomia dell’avvocato, soggetto della
giurisdizione, per realizzare la conoscenza ed attuazione della legge
e per tutelare i diritti ed interessi dei cittadini;
- riaffermare la centralità degli Ordini e la loro natura pubblicistica,
unica garanzia per il rispetto delle norme deontologiche, attraverso
l’autonomia disciplinare;
- riformare l’ordinamento professionale, secondo canoni che garantiscano la libertà di accesso e la qualità della professione, attraverso
criteri selettivi rigorosi ed obiettivi;
- attivare meccanismi idonei a garantire una costante ed elevata
qualità della professione, anche attraverso la formazione permanente
obbligatoria.
Per riaffermare i principi ed avviare le riforme, però, occorre fare
i conti con le sfide, che la modernità ha sferrato all’Avvocatura.
Esse possono così sintetizzarsi:
1) la sfida dell’aggiornamento culturale;
2) la sfida della organizzazione della professione;
3) la sfida della collocazione dell’avvocato nell’ambito della società
moderna.
La prima sfida presenta molteplici problemi.
Essa è orientata su tutte le fasi, che caratterizzano la formazione
dell’avvocato in Italia.
Rivista del Consiglio
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L’Avvocatura e le sfide della modernità
di A. De Giorgi
Lo scollamento tra il bagaglio culturale a carattere nozionistico,
acquisito dallo studente nell’arco degli studi universitari, ed il tipo
di preparazione, necessario per superare l’esame di abilitazione
professionale, è assai notevole.
Per colmarlo non è sufficiente il biennio di tirocinio o il sussidio
offerto dalle Scuole; è necessario uno studio rigido ed una rigorosa
e costante verifica della relazione tra il richiamato bagaglio e la sua
pratica applicazione nella difesa tecnica e nella attività di consulenza; è necessario modificare la stessa attuale concezione della Facoltà
di Giurisprudenza per adattarla alla realtà; è necessario che i futuri
avvocati imparino ed approfondiscano, sui banchi di scuola, il diritto
vivente e la creazione della giurisprudenza, prima di tentare l’accesso
alla professione.
La seconda sfida riguarda il metodo organizzativo.
È luogo comune che, per assolvere compiutamente al compito
assegnato, l’avvocato moderno – che è ritenuto non solo un tecnico,
ma un operatore sociale – dovrebbe organizzare il suo lavoro in studi
di grandi dimensioni.
Molti ritengono che la frantumazione degli studi professionali
rappresenti una forma di debolezza della categoria ed un indice di
arretratezza.
Invece è esattamente il contrario.
Invero, per dare adeguata risposta alla concezione che si ha
dell’avvocato nella società moderna, attraverso un condivisibile
metodo organizzativo, è necessario: acquisire competenze sempre
più specifiche ed aggregare energie ed esperienze, anche attraverso
forme associative temporanee, allorché viene richiesta la soluzione
di casi, o categorie di vicende, che coinvolgono competenze multiple;
costituire società (eliminando qualsiasi ipotesi di ingresso di capitali,
estranei al ceto professionale) per meglio distribuire vantaggi e rischi
della professione.
La terza sfida, relativa alla collocazione sociale dell’Avvocatura,
è la più dura e la più complessa.
Essa, come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, prende
le mosse dalle recenti novità per deliberata decisione legislativa, che
tentano di assimilare gli avvocati a commercianti, che minacciano di
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Rivista del Consiglio
EDITORIALE
far degenerare la funzione difensiva, che intaccano i fondamenti della
sua indipendenza e sviliscono il significato del suo riconoscimento
costituzionale.
Si tratta della deformazione della funzione dell’Avvocatura che
scaturisce dalle “Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel
settore dei servizi professionali” e dal “Disegno di legge delega al Governo
a procedere al riordino dell’accesso alle professioni intellettuali, alla riorganizzazione degli Ordini, Albi e Collegi professionali, al riconoscimento delle
associazioni professionali, alla disciplina delle società professionali”.
Con tali “Disposizioni” governo e Parlamento italiani vorrebbero
adeguarsi ad un orientamento comunitario.
L’Avvocatura, in linea di principio, non contesta la opportunità
dell’adeguamento.
- Contesta l’omologazione della funzione dell’Avvocatura, della
natura delle sue prestazioni, del suo servizio, delle sue forme di esercizio a quelle di altre, pur nobili, ma assai diverse professioni.
- Contesta l’omologazione degli obiettivi perseguiti attraverso
l’attivazione della funzione dell’Avvocatura, agli obiettivi perseguiti
attraverso l’esercizio di altre professioni.
- Contesta il fatto che misure destinate allo sviluppo, alla crescita
e alla promozione della concorrenza e della competitività possano
snaturare il bene giuridico della certezza del diritto, alla cui tutela
l’Avvocatura concorre in modo decisivo, trasformandolo in un bene
commercializzabile.
- Contesta il fatto che autonomia, indipendenza e libertà dell’Avvocatura, caratteri esclusivi della funzione giudiziaria, possano essere
intaccati da comportamenti resi leciti, nonostante le loro perverse
modalità d’esercizio, in virtù della pretestuosa copertura che ad essi
viene concessa da una insensata rappresentazione della concorrenza
e della competizione.
- Contesta il fatto che l’applicazione delle regole comunitarie sulla
concorrenza alle professioni liberali abbia potuto essere realizzata dal
legislatore estendendo all’Avvocatura presupposti d’esercizio della
sua attività che minano la uguale protezione e le condizioni di parità
acquisite alla funzione giudiziaria nelle sue espressioni: difensiva,
accusatoria e giurisdizionale.
Rivista del Consiglio
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L’Avvocatura e le sfide della modernità
di A. De Giorgi
- Contesta il fatto che la tutela della salvaguardia dei diritti sia
equiparata, nei suoi requisiti, alla tutela dei beni di consumo e ritiene
assolutamente fallace l’idea che il cittadino, anche come consumatore,
sia tutelato da disposizioni urgenti, che rendono ancora più debole
la sua posizione di fronte a cartelli di prestazioni.
- Contesta che il Governo chieda una sostanziale delega in bianco
su materia che va affrontata, dibattuta, analizzata ed approvata dal
Parlamento.
Ed allora le sfide vano orientate nel senso auspicato dal ceto forense.
L’Avvocatura, senza sottrarsi ad un attento e penetrante esame
critico al suo interno, chiede una riforma del proprio ordinamento;
chiede una riflessione profonda sui percorsi formativi e selettivi che
regolano l’accesso alla professione; chiede percorsi che garantiscano
la specializzazione e l’acquisizione reale di competenze adeguate alla
complessità raggiunta dalle questioni giuridiche; chiede interventi
che rinnovino e adeguino le garanzie dell’esercizio della professione
alle aperture degli spazi comunitari e alla estensione degli spazi del
diritto, sempre più privi di barriere territoriali. Essa chiede il riconoscimento del risultato dell’attività giudiziaria come un bene sociale
che non può essere esposto alle aggressioni del mercato, ai rischi
del commercio, alla contaminazione pubblicitaria o al monopolio di
cartelli professionali.
Quel risultato, invece, vuole essere imposto come un bene economico; bisogna riuscire a commercializzarlo: gonfiando le aspettative
del destinatario; trasmettendo illusioni lecite, coperte da specializzazioni che nessuno può certificare perché non esistono; entrando
attivamente nella litigiosità come parte economicamente interessata,
ristabilendo così una reale, disdicevole disparità all’interno della funzione giudiziaria. Alle richieste dell’Avvocatura finora si è risposto
frantumando i fragili requisiti di decoro e dignità professionale che
avevano permesso di continuare ad operare nelle condizioni terribili
nelle quali versa l’amministrazione della giustizia in Italia.
Un legislatore affrettato, affannoso di illudere l’opinione pubblica,
ha offerto i presupposti della pirateria avvocatesca e li chiama concorrenza; ha aperto le porte al rischio di un cannibalismo professionale
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Rivista del Consiglio
EDITORIALE
e lo chiama competitività; ha snaturato l’aspettativa di diritto e lo
chiama raggiungimento degli obiettivi perseguiti.
L’avvocatura si ribella per questa deformazione, che è un attentato
alla sua libertà ed indipendenza; non può accettare questa minaccia di
imbarbarimento della natura della fiducia che ad essa viene attribuita
dai cittadini; così come non può accettare l’idea che l’insensibilità
politica verso le condizioni della giustizia in Italia possa essere sublimata degradando i requisiti dell’esercizio di una professione che
è essa stessa requisito fondamentale di uno stato di diritto.
Gli avvocati hanno manifestato il loro dissenso e continueranno a
manifestarlo, pur tornando ad offrire la massima collaborazione per
la soluzione dei complessi problemi, consapevoli, come sono, della
indifferibile necessità che si attivi un condiviso processo di profonda
modernizzazione.
* * *
Mentre la Rivista era in corso di impaginazione, è stato reso noto l’esito
delle elezioni, svoltesi il 18 giugno 2007, per il rinnovo del Consiglio Nazionale Forense, per il triennio 2007-2010. Tra gli eletti siederà il nostro
Presidente, Antonio De Giorgi, un incarico di grande responsabilità e di
prestigio per l’intera avvocatura leccese. La comunicazione ufficiale sarà
sul prossimo Bollettino del Ministero della Giustizia del 15.7.2007 nr. 13.
Questa la nuova composizione del Consiglio Nazionale Forense:
Giuseppe Bassu - Nicola Bianchi - Alessandro Bonzo - Luigi Cardone
- Corrado Lanzara - Carlo Allorio - Lucio Del Paggio - Raffaele Mauro
- Giovanni Vaccaro - Bruno Grimaldi - Fabio Florio - Giovanni D’Innella
- Alarico Mariani Marini - Alessandro Cassiani - Antonio Baffa - Antonio De Giorgi - Aldo Bulgarelli - Emilio Nicola Buccico - Ubaldo Perfetti
- Andrea Mascherin - Stefano Borsacchi - Silverio Sica - Marco Stefenelli
- Pierluigi Tirale - Carlo Vermiglio.
Ad Antonio De Giorgi va l’augurio di buon lavoro da parte della Redazione della Rivista, del Consiglio e di tutto il Foro Salentino.
Rivista del Consiglio
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Rivista, la Rivista
Rivista, la Rivista
di SERGIO LIMONGELLI
La Rivista del Consiglio ha da sempre costituito un punto di riferimento dell’Avvocatura leccese, sia per l’approfondimento scientifico,
con particolare attenzione per le questioni più spinose e di attualità
locale, sia per gli aspetti di politica forense, ed anche per la conoscenza
della vita forense salentina.
Siamo convinti che il momento storico che l’Avvocatura sta vivendo, le metamorfosi nello stesso modo di svolgere la professione,
la attenzione politica verso queste modifiche importanti, fino alle
ipotesi di stravolgimento di principi basilari che reggono la nostra
professione e le sue strutture istituzionali, impongano una riflessione
approfondita, in primo luogo, sulla politica forense, sull’accesso alla
professione, sul ruolo e sulle prospettive della avvocatura in genere,
e di quella salentina in particolare.
La composizione della Rivista risentirà di questa fase storica, e
dovrà necessariamente vivere dell’apporto consultivo e collaborativo di tutto il Foro leccese, al quale il Direttore della Rivista e tutto
lo staff rivolgono l’invito ad aprire, dalle pagine della Rivista ed, in
futuro, anche dal sito dell’Ordine, una finestra sui problemi della
professione e della pratica professionale, sulle difficoltà quotidiane
nello svolgimento del ruolo dell’Avvocato, sulle questioni disciplinari, sulla legislazione forense e su quella processuale, sulle carenze
delle strutture giudiziarie locali e sui rimedi possibili.
La Rivista dovrà rappresentare, con l’aiuto di tutti, il luogo,
ideale e fisico contemporaneamente, dove far confluire il pensiero
dell’avvocatura salentina, le nostre preoccupazioni e le aspirazioni
dei giovani laureati.
Per fare questo, è stato composto un gruppo di lavoro che, nelle
intenzioni della Redazione, dovrà garantire l’uscita di almeno quattro
numeri annui della Rivista, ed essere un riferimento costante per la
collaborazione esterna da parte di avvocati e praticanti.
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Rivista del Consiglio
RIVISTA, LA RIVISTA
Politica Forense
Scuola di Giustizia
Diritto e procedura civile
Diritto e procedura penale
Diritto Amministrativo
Eventi forensi
Attività del Consiglio
Responsabilità disciplinare
Direttore Responsabile
Francesco Galluccio Mezio
Lucio Caprioli
Sergio Limongelli
Angelo Pallara
Pierluigi Portaluri
Roberta Altavilla
Cosimo Murri Dello Diago
Luigi Rella
Giuseppe Bonsegna
Raffaele Fatano
Antonio De Giorgi
Rivista del Consiglio
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Che cos’è la politica forense di F. Galluccio Mezio
POLITICA FORENSE
Che cosa è la politica forense
o meglio, che cosa intendiamo per
politica forense e perché parlare
di politica forense
di FRANCESCO GALLUCCIO MEZIO
L’avv. Antonio De Giorgi, direttore responsabile della rivista
e Presidente del Consiglio dell’Ordine, nell’editoriale ha già illustrato le ragioni che hanno indotto la redazione a pensare ad una
rivista sostanzialmente divisa in sezioni che, certamente non sono
incomunicabili, ma sostanzialmente rispondono ad esigenze di tipo
diverso. Esigenze essenzialmente informative, ma che intendono
anche sollecitare un dibattito e commenti a fatti, notizie e iniziative
che, specie negli ultimi tempi, in materia si susseguono e, mi sembra,
rispetto alle quali noi avvocati, siamo a rimorchio. Sempre almeno
un attimo in ritardo e troppo spesso chiamati a combattere battaglie
di retroguardia e, a volte, già perdute in partenza, perché siamo stati
totalmente estranei e indifferenti, non solo ai processi decisionali, ma
anche al dibattito che detti processi ha generato. Vogliamo almeno
tentare di essere edotti di quel dibattito.
Politica forense è tutto quanto riguarda la nostra professione ed il
rapporto tra la professione, coloro che la esercitano, e gli altri soggetti
protagonisti della vita sociale, politica e giudiziaria del nostro paese,
ma oggi forse, sarebbe più giusto parlare dell’Unione Europea che
tanto spesso viene invocata (alcune volte anche in materia non certo
puntuale) a legittimare affermazioni, teorie o scelte anche discutibili.
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Politica forense, però, non è solamente quanto si agita “nei palazzi
della politica” è, anche e forse soprattutto, il dibattito tra di noi, tra
le varie associazioni forensi (che cosa pensiamo di farne del nostro
mestiere, se ancora può chiamarsi mestiere) e tra di noi le nostre
associazioni e gli altri soggetti attori che concorrono all’amministrazione della giustizia, anche in sede distrettuale, circoscrizionale e
qualche volta locale (penso anche al dibattito sulle sezioni staccate
e le forze politiche locali che sul tema certamente sono chiamate ad
esprimersi), oltre che ad eventuali posizioni di altri soggetti politicamente rilevanti rappresentanti sia di categoria che di associazione.
Perché parlare di politica forense. In parte l’ho già detto, perché
all’improvviso ciclicamente ci accorgiamo che altri assumono decisioni che ci riguardano direttamente e qualche volta sulla nostra
pelle, ma che riguardano anche tutti i cittadini, utenti del servizio
che concorriamo a dare, senza che noi, attori con parte rilevante, ci
si sia resi conto di quello che si stava per decidere. Tanto vale non
solo per quel che riguarda le tariffe professionali e il patto di quota
lite, argomenti che di recente hanno sorpreso all’improvviso tutti noi,
ma anche e soprattutto riforme sostanziali e processuali che hanno
inciso profondamente sul cittadino, sul nostro lavoro, sul modo di
esercitarlo e incideranno sempre di più (penso al processo telematico,
ma anche solo a innumerevoli nuovi provvedimenti regolamentari,
amministrativi, legislativi attinenti ad atti depositi, copie e quant’altro e tanto senza dimenticare temi più scottanti relativi alla riforma
dell’ordinamento giudiziario ed alla sua revisione, separazione delle
carriere dei magistrati compresa, senza dimenticare gli ennesimi
progetti di riforma sia del processo civile che del processo penale).
La rivista, quindi, si pone un obiettivo, anzitutto informativo,
vuole portare all’attenzione di tutti i temi di volta in volta più rilevanti sia a livello nazionale che locale (vorrei che, per esempio, “I
protocolli d’udienza” oggetto di intesa in altre circoscrizioni d’Italia
tra avvocati, magistrati e personale di cancelleria non arrivassero
all’improvviso sulla testa di tutti noi senza che neanche ne immaginassimo l’esistenza).
Rivista del Consiglio
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Che cos’è la politica forense di F. Galluccio Mezio
Troppo spesso, poi, mi rendo conto che sentiamo parlare di organismi ed associazioni senza neanche sapere bene in cosa consistono
e cosa fanno e come sono costituite ed organizzate. Ci siamo, quindi,
proposti di volta in volta di pubblicare delle brevi schede informative
riguardanti le varie associazioni esistenti e sul punto, come su tutto
il resto, chiedo espressamente l’ausilio di tutti i colleghi, ma anche
ovviamente dei responsabili delle stesse associazioni.
Mi preme sottolineare che rispetto a quello che ci si propone due
cose fondamentali:
a) anzitutto intendiamo fare politica, nel senso già detto, di dibattere in merito alle scelte che riguardano la professione nella maniera
assolutamente più aperta e democratica, senza alcuna pregiudiziale
ideologica e ben pronti a ricevere il contributo di tutti, che sollecitiamo. Contributo che, per essere incisivo, riteniamo debba essere
sintetico.
b) Lungi da noi qualsivoglia interesse meramente corporativo o
localistico. Non intendiamo fare battaglie di retroguardia. Vogliamo
partecipare consapevolmente alle scelte e magari poter esprimere a
riguardo la nostra opinione sia che essa sia poi seguita o avversata.
Fedeli a tale linea in questa prima sede ci limitiamo ad elencare i
temi più scottanti all’ordine del giorno:
a) i progetti di riforma della legge professionale, sia quello di
iniziativa governativa attinente, per vero, alla riforma di tutte le
professioni, sia quelli di iniziativa parlamentare. A riguardo, però,
mi preme sottolineare che è in essere una commissione nominata
dal C.N.F., di cui fa parte anche l’avv. Antonio De Giorgi, che ha
lo specifico compito di formulare un progetto che possa esprimere
l’iniziativa dell’avvocatura, sicché da soggetto passivo, finalmente si
proponga come propulsore di una riforma che necessariamente non
può non tenere conto di obiettive esigenze mutate, ma che salvaguardi
la specificità della nostra professione, garantendo, però, a tutela del
cittadino, trasparenza e professionalità.
b) I disegni di legge, già presentati al Parlamento, sulla ulteriore
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
riforma del processo civile e del processo penale. L’O.U.A. e le Camere
penali sugli stessi si sono già espressi, ma a riguardo vorrei sentire
la voce anche degli avvocati salentini e magari dei giovani, visto che
ad una lettura sommaria, perlomeno, delle riforme relative al processo civile, mi sembra che emerga una ulteriore compressione della
autonomia delle parti, un aggravio di responsabilità degli avvocati,
ed una fideistica speranza che la riduzione dei termini (ovviamente
a carico degli avvocati) possa finalmente portare ad un processo in
termini ragionevoli. Il tutto, ovviamente, come sempre senza aumento
di organico, ma ricorrendo all’aumento della competenza del Giudice
di Pace e, guarda caso, alle Sezioni Stralcio. Anche il tema dei giudici
onorari, credo, merita una riflessione tesa anche a capire sino in fondo se oggi siamo oramai, anche sul piano giuridico da considerare,
organicamente appartenenti al sistema giudiziario.
c) “I protocolli d’udienza” che stanno per arrivare. Non vi spaventate hanno l’ambizione e la pretesa di cercare di tenere le udienze civili
e penali in maniera civile, dignitosa per tutti (avvocati compresi), ma
essenzialmente e soprattutto, a mio parere, per le parti e testimoni,
e magari cercare anche di applicare le norme dei rispettivi codici di
rito. C’è qualcuno che si ricorda ancora che l’udienza civile istruttoria si tiene in camera di consiglio, dove accedono volta per volta le
parti della singola causa chiamata? Che le prove vengono assunte
dal giudice? Che il giudice, dopo aver letto e studiato la causa, definito il tema decidendum, definisce il thema probadum, decidendo
lui sull’ammissione dei mezzi istruttori? Potrei continuare ma tutti
conosciamo bene la realtà. E nessuno di noi può dimenticare lo stupore del cittadino che per la prima volta accede ad un’aula sia essa
civile o penale. Stupore che forse dovremmo concorrere a cancellare
e questa è l’ambizione che si propongono i protocolli d’udienza cui il
Consiglio dell’Ordine e l’Associazione Nazionale Magistrati stanno
lavorando. Materia questa ancor più impellente se solo si pensi che
le riforme in cantiere accentuano la centralità del giudice, giudice
che, nella mente del legislatore, conosce la causa e non mutua da
un’udienza all’altra.
Rivista del Consiglio
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Le Leggi son... di L. Caprioli
Le Leggi son...
Sul decentramento amministrativo
della Organizzazione della Giurisdizione:
dopo la Conferenza di Lecce e dopo il Congresso
di Palermo: la accidia delle cosiddette “Autonomie” locali
di LUCIO CAPRIOLI
Ci battemmo: Maurizio Fumarola Mauro portò avanti la rivendicazione della Avvocatura sulla partecipazione diretta del Popolo
alla Amministrazione della Giustizia proclamata dalla Carta Costituzionale, posto che, tra l’altro, la Giustizia viene amministrata nel
nome del popolo, il quale, perciò, non può avere rilasciato una sorta
di... delega dimissionaria incostituzionale, ed ha conservato, invece, la
responsabilità della funzione, del controllo su di essa e della sua
organizzazione. Insistemmo lucidamente sul fatto che quella partecipazione non si esercita solo nel ...fornire cittadini idonei per il
reclutamento della Magistratura onoraria (oggi l’...alibi di una giustizia inefficiente) ma abbraccia tutto il vasto campo della Organizzazione
della Giurisdizione sul Territorio, con il compito della verifica della efficienza della attività giudiziaria: è quel minimum che, in buona sostanza (con
riferimento alla sovranità ed alla partecipazione) postula la Carta Costituzionale, la quale, a scanso di equivoci, dopo avere riconosciuto che la
Magistratura è costituita in potere autonomo ed indipendente da ogni altro,
ha subito rinnovato l’avvertimento, secondo il quale la sovranità appartiene al popolo ANCHE in materia di Giustizia, nonostante la autonomia
del potere della Magistratura; la Giustizia, anzi, è proprio VIRTU’ DEL
POPOLO.
E chi scrive è, ahimé, convinto che se il Popolo, anzicché considerarsi suddito ed avesse cercato e trovato la opportunità di esercitare
quel suo karisma (e non vi è alcun dubbio che grandissima responsabilità è da ricercarsi nella ignavia, nella ignoranza, nella sottomis-
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
sione delle autonomie locali, cui compete di tutelare tutti gli interessi
del Cittadino) la Amministrazione della Giustizia non sarebbe certamente quella che oggi è, dispersa, nella organizzazione, nei mille uffici inefficienti sul territorio, in contraddizione assoluta con i principi
proclamati sulla unitarietà, sulla efficienza, per non dire di quello
sul... Giudice naturale, terzo ed imparziale assunto per concorso.
Organizzammo qui a Lecce quella Conferenza Nazionale “Avvocatura Magistratura” (maggio-giugno 2003), la quale, non a caso
definita “Conferenza” registrò la partecipazione e la collaborazione
tra Avvocatura (Giunta Centrale OUA, C.N.F., Unione Ordini Forensi di Puglia, Ordini di Lecce, Brindisi, Taranto) e Magistratura
(Giunta Centrale e Sezione Distrettuale A.N.M.), registrò la persistente assenza delle Autonomie locali, ma registrò, anche tuttavia,
infine, conclusioni unanimi sulla esigenza che alla Organizzazione
della Giurisdizione venissero chiamate a collaborare le Autonomie
locali (il riferimento alla Autonomia locale era, tuttavia, generico ed
astratto); la Conferenza di Lecce ebbe una appendice operativa nel
successivo Congresso Nazionale Forense di Palermo (ottobre 2003),
che individuò in maniera meno generica gli enti locali cui attribuire
responsabilità di organizzazione della giurisdizione, con particolare riferimento, sia alla organizzazione amministrativa (che si sottrae
alla esclusiva attribuita allo Stato dall’art. 117 Cost.) sia alla edilizia
giudiziaria: in tal senso il Congresso di Palermo individuò ed indicò
nella Regione, l’ente autonomo privilegiato per quel genere di partecipazione operativa e le assegnò compiti soprattutto in materia di
edilizia giudiziaria; per altro è intuibile che da tali compiti non si
possono dissociare quelli più pregnanti di geografia giudiziaria.
Il Legislatore non è rimasto insensibile; e, pur attento a non sconfinare in una devolution incostituzionale ha tentato di sperimentare
il decentramento amministrativo: la L. 25 luglio 2005 n. 150; poi il
d.lgvo 25 luglio 2006 n. 240, cui ha fatto seguito, almeno per ora,
la Circolare 31 ottobre 2006 del Ministero della Giustizia – Dipartimento della Organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi:
molte cose nuove e buone si sarebbero dovute verificare entro il 15
febbraio 2007, sempre in funzione della realizzazione nel concreto
dei principi della unitarietà dell’ufficio giudiziario e della efficienza
Rivista del Consiglio
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Le Leggi son... di L. Caprioli
della attività giudiziaria. Però, come da sempre, le apsettative sono
rimaste deluse: permangono la frantumazione degli uffici, come
schegge sul territorio, la inefficienza della loro attività, la autonomia
incontrollata di tali uffici (quaranta anni addietro si parlò di... Sceiccati e di... rami secchi da recidere), e la autonomia incontrollata della
attività giudiziaria; la maggior parte degli uffici anzidetti è abbandonata nelle mani dei Magistrati onorari, questi a loro volta – per
loro stessi, oltrecché per il cittadino – sprovvisti di qualsiasi garanzia e protezione; ed è incredibile che in siffatto disastro, poi, debbano rendersi grazie proprio a quella schiera sempre più numerosa
di Magistrati onorari cui si attribuisce il merito di ...fornire comunque una Giustizia qualechesia; senza di loro non ci sarebbe neanche
questa Giustizia, la quale, pur destinata, in gran parte, secondo le
intenzioni del Legislatore, a... smaltire l’arretrato (sic: le controversie
che attendono giustizia da molti anni trattate come ...indigestione o
rifiuto!) ha avuto l‘effetto di aumentare le pendenze innanzi ai Giudici delle impugnazioni!
Ed il cittadino che, nella stagione dei diritti e delle sussidiarietà,
dovrebbe riscoprire la Giustizia come Virtù di Popolo, e sottrarla
alla esclusiva delle toghe, continua a subire inerte, nella inerzia (rectius: nella accidia) delle cosiddette “Autonomie” locali!
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Relazione sull’attività
del Consiglio Nazionale Forense
svolta nell’anno 2006
di GUIDO ALPA
(Presidente del Consiglio Nazionale Forense)
Roma, 14 marzo 2007
Autorità, care Colleghe e cari Colleghi,
questa relazione è particolarmente densa di dati e notizie, sia perché l’anno appena trascorso è stato un annus horribilis, se si deve
tener conto delle iniziative del Governo, del Parlamento e delle altre
Istituzioni che si sono abbattute sulla professione forense senza peraltro portare alcun apparente beneficio agli interessi che si intendevano
tutelare, sia perché è stato un anno affollato di avvenimenti, anche internazionali, in cui è stata coinvolta l’Avvocatura, sia perché, approssimandosi la scadenza della nostra Consiliatura, vien quasi naturale
fare un sintetico bilancio dell’attività svolta nel triennio e tracciare le
prospettive che attendono l’Avvocatura nell’immediato futuro.
Tuttavia, prima di procedere a questo esame, desidero comunicare che nel corso del 2006 l’attività giurisdizionale del CNF si è
svolta regolarmente, tenendo 23 udienze, esaminando 213 ricorsi,
rinviandone 56, decidendone 157; a fine anno erano pendenti 210
ricorsi. Quanto alle sanzioni, sono state comminate 8 radiazioni, 10
cancellazioni dagli albi, 59 sospensioni, 32 censure e 26 avvertimenti. Le tavole accluse alla relazione indicano le materie di volta in volta coinvolte e il prospetto dei procedimenti trasmessi dagli Ordini
territoriali. Si sono tenute regolarmente le sedute amministrative, e
si sono visitati ogni settimana uno o più Ordini, mantenendo uno
stretto contatto con la “base”. In più, secondo l’indirizzo inaugurato
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
da questa Consiliatura, si sono tenuti numerosi incontri con i Presidenti degli Ordini territoriali, con le Associazioni forensi, con i Consigli nazionali di diversi Paesi d’Europa. Segnalo in particolare il
Convegno organizzato con il CCBE sul diritto contrattuale europeo
che si inserisce nel progetto comunitario di realizzare un common
frame of reference in materia di obbligazioni e contratti, gli incontri
per la definizione di programmi comuni concernenti l’Avvocatura
nei Paesi del Mediterraneo, nonché i seminari tenuti con le Associazioni dei Magistrati per discutere le riforme dell’ordinamento giudiziario, ma in particolare le modalità di soluzione della crisi della
giustizia, civile, penale, amministrativa e tributaria.
L’incontro più commovente è avvenuto qualche giorno fa con gli
esponenti della Comunità israelitica di Roma, nel corso della presentazione di uno dei volumi della collana di Storia dell’Avvocatura
in Italia, nel quale è stato ricostruito il ruolo dell’Avvocatura e della
Magistratura a seguito della applicazione delle leggi razziali persecutorie degli Avvocati Ebrei1.
La realizzazione del programma
In verità, se si dovesse confrontare il programma che questa Consiliatura si è data nel maggio del 2004 e i risultati ottenuti fino ad
oggi, credo che sia possibile documentare come, mediante il lungo,
delicato e paziente lavoro svolto all’unisono dai Consiglieri e con
l’ausilio degli Uffici, tutti gli obiettivi che ci eravamo originariamente prefissati sono stati raggiunti, anzi, in alcuni settori, siamo riusciti
ad andare al di là di essi, e tutt’oggi stiamo definendo programmi e
iniziative che potranno essere sviluppate nel prossimo triennio.
A tutti i Consiglieri, agli Avvocati che hanno collaborato con noi
nei lavori delle commissioni, agli Avvocati che hanno partecipato
come relatori ai congressi e ai seminari, ai Collaboratori e al personale vanno i sensi della mia più profonda gratitudine.
1
MENICONI, La “maschia avvocatura”. Istituzioni e professione forense in epoca fascista
(1922-1943), Bologna, 2006.
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Per menzionare solo alcuni dei risultati raggiunti:
(i) quanto alla funzione disciplinare, si sono migliorate la procedura di confezione e preparazione dei fascicoli, la composizione
della banca dati della deontologia, lo smaltimento dell’arretrato;
(ii) si è raggiunta una maggiore coerenza nomofilattica nelle decisioni assunte;
(iii) si è proceduto alla revisione del codice deontologico e all’approvazione del regolamento per l’aggiornamento professionale;
(iv) quanto all’attività amministrativa, si sono seguite con particolare attenzione le modalità di iscrizione all’Albo dei Cassazionisti, la composizione della Commissione per l’esame degli Avvocati
che intendevano acquisire il titolo di Cassazionista; la composizione
delle Commissioni per gli esami di ammissione alla professione forense; la composizione della Commissione per l’esercizio della professione in Italia da parte degli avvocati stranieri;
(v) quanto all’attività di promozione della qualità della professione forense il Consiglio ha svolto direttamente o in collaborazione
con i numerosi centri di studio, con le Università e gli Istituti italiani, stranieri e internazionali, corsi, incontri, seminari volti all’approfondimento delle tematiche concernenti il diritto civile e penale sostanziale, il diritto processuale civile e penale, il diritto comunitario,
il diritto privato europeo, il diritto vivente, le tecniche di esercizio
della professione forense, la deontologia interna e internazionale;
(vi) il Consiglio ha altresì tenuto uno stretto collegamento con le
Scuole forensi per migliorare la preparazione dell’aspirante avvocato
non solo nelle materie di esame ma soprattutto per la formazione professionale, per la formazione culturale, per la formazione deontologica,
che sono poi le tre componenti essenziali di ogni professione intellettuale, come accennerà tra poco, connotati essenzialmente distintivi da
ogni altra attività economica, e, in particolare, dall’attività d’impresa;
(vii) in questa Consiliatura si è promossa ulteriormente l’attività
della Fondazione dell’Avvocatura, e si sono costituite la Fondazione per la Comunicazione forense, che consente di attivare processi
telematici, contatti e iniziative con tutti gli Avvocati iscritti, e la Fondazione per la Scuola superiore dell’Avvocatura, che consentirà di
organizzare master e corsi di specializzazione per gli Avvocati ita-
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
liani e pure per gli Avvocati stranieri che vorranno qualificarsi nel
nostro Paese; la Scuola superiore dell’Avvocatura è stata inaugurata
proprio questa mattina, con un seminario dedicato alla educazione
del giurista e alla formazione dell’Avvocato: la Scuola, in collaborazione con le altre Scuole forensi e con le Scuole di specializzazione, con le Associazioni forensi, con le Università italiane e straniere,
offrirà la possibilità a tutti gli Avvocati che volessero approfondire
tematiche di diritto sostanziale e processuale , tematiche concernenti
la consulenza stragiudiziale, il confronto tra ordinamenti giuridici, le
prospettive del diritto comunitario di avvalersi di tutti gli strumenti
utili per far sì che la preparazione universitaria, il tirocinio, le prime
attività professionali, 1’obbligo di aggiornamento permanente siano messi a frutto per la migliore tutela degli interessi del cliente e
per la promozione degli interessi morali ed economici del Paese;
(viii) si sono poi pubblicati i risultati degli incontri in libri, CD,
costituendo una vera e propria biblioteca del professionista alla
quale possono attingere gli Ordini e le Associazioni per effettuare a
loro volta le loro iniziative in questo settore; e si sono migliorate le
riviste del Consiglio;
(ix) il Consiglio ha poi rafforzato il suo ruolo all’interno del CCBE
e delle altre organizzazioni europee e internazionali, seguendo con i
propri componenti e con gli avvocati che dall’esterno hanno prestato la loro opera, le numerose iniziative, le ricerche e le riunioni – con
un lavoro assai impegnativo – che ormai si rendono necessari per
poter mantenere una posizione di prestigio dell’Avvocatura italiana nell’ambito dell’Avvocatura europea e nel contempo adeguare i
principi comportamentali e la pratica professionale alle esigenze di
un mercato sempre più competitivo e aggressivo;
(x) quanto alla cooperazione alla amministrazione della giustizia
– tema sul quale il Consiglio ha operato anche concretamente con
la promozione delle ADR, del processo telematico, dell’accesso alla
Banca dati della Corte di Cassazione, nonché con le valutazioni e i
contributi critici espressi in tante occasioni, istituzionali e congressuali – rinvio agli Atti del XXVIII Congresso nazionale forense, di
cui ho già accennato nella Relazione per il 2006 del 16 marzo scorso,
e poi alla relazione di apertura della sessione romana del medesimo
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Congresso, del settembre scorso, e alla relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario tenutasi presso la Corte di Cassazione il 27
gennaio scorso.
Il lavoro è stato effettuato nonostante i tempi procellosi che stiamo attraversando, che ci hanno comunque sottratto tempo prezioso,
energie ed attenzione, ma ci hanno spronato oltremodo a mantenere
saldi i principi della nostra tradizione, per conseguire gli obiettivi
prefissati, per contenere gli effetti negativi delle spinte disgregatrici
che ci hanno circondato, per conservare anche nel nostro Paese il
modello di professione forense – integrato a quello della professione intellettuale – che, a causa di malintese normative e per effetto di
spinte eversive, sta subendo non una graduale trasformazione ma
un’autentica azione disgregatrice.
La seconda fase del XXVIII Congresso forense
Unicum nella storia dell’Avvocatura italiana, il XXVIII Congresso
nazionale forense si è svolto in due sessioni e in due sedi diverse: la
prima a Milano (dal 10 al 13 novembre 2005) e la seconda a Roma
(dal 21 al 24 settembre 2006). I tempi difficili che avevano travagliato in quei mesi e scosso nei mesi successivi la nostra professione
si erano annunciati già alla fine del 2004: le forze politiche, i centri
economici forti, i mezzi di comunicazione avevano non solo aperto
il dibattito sulla riforma delle professioni e sulla loro “liberalizzazione”, ma avevano precostituito le presse ideologiche e pratiche
per promuovere una radicale riforma dell’organizzazione delle professioni e dei rapporti con i consumatori, con le Amministrazioni,
con le Istituzioni, in definitiva con lo Stato, che avrebbe preso corpo
di lì a poco.
Nel 2005 e fini ai primi mesi del 2006 l’Avvocatura aveva seguito e discusso questi problemi, e anche contribuito al dialogo con il
Governo e con il Parlamento che avevano precostituito le basi per
la riforma della disciplina delle professioni: in particolare aveva apprezzato i progetti predisposti dal sottosegretario alla Giustizia on.
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
avv. Michele Vietti (c.d. Vietti uno, Vietti bis); di poi aveva proposto
modifiche al maxi-emendamento redatto dal Ministro Guardasigilli
allora in carica, il sen. ing. Roberto Castelli. Nei mesi che hanno preceduto l’indizione del Congresso le diverse componenti dell’Avvocatura erano in fermento: sembrava avvicinarsi il momento fatidico
di una radicale riforma, e quindi occorreva pensare, da un lato, a
come profittare dell’occasione per rendere più moderna la disciplina
della professione forense, dall’altro lato a come conservare – dinanzi
a qualsiasi spinta iconoclasta – i principi fondamentali sui quali essa
si fonda. Di qui, rispetto alle due richieste di ospitare il Congresso,
pervenute da Milano e da Roma, la decisione del comitato organizzatore di seguire l’evoluzione della situazione in due fasi, in modo
da poter esprimere la voce dell’Avvocatura nei momenti salienti del
processo di transizione e di revisione della disciplina.
Alla sessione di Milano l’idea portante era quindi quella di “governare il cambiamento” dell’Avvocatura nell’epoca della globalizzazione dei mercati e dei rapporti, mantenendo salda la tradizione
ormai consolidata, vessillo dei valori dell’Avvocato italiano. Il dibattito si è soprattutto svolto intorno ai profili politici, per cercare di
capire come raggiungere il risultato di ridurre l’enorme schiera di
avvocati iscritti agli albi e di aspiranti, per far sì che la “legione” non
divenisse un ostacolo al suo stesso sviluppo e al suo stesso benessere. Si è dunque parlato dei filtri all’ingresso, dell’aggiornamento
professionale, della qualificazione professionale. E pure – essendo
quello uno dei temi fondamentali del Congresso – del contributo
dell’Avvocatura alla soluzione della crisi della giustizia.
Nel marzo 2006 si è celebrato il I Congresso nazionale di aggiornamento forense: il CNF ha voluto dare un segnale alle Istituzioni,
sottolineando come gli Avvocati non intendevano solo partecipare
alla vita politica, ma si preoccupavano, come era loro tradizione – lo
testimoniano gli Atti del I Congresso giuridico italiano (25 novembre-8 dicembre 1872) pubblicati per i tipi de Il Mulino – della loro
vita professionale, della disciplina dei processi e delle riforme del
diritto sostanziale.
Con la nuova legislatura (la XVI) e l’avvio della attività del nuovo Governo si è registrata una cesura nel processo di riforma delle
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
professioni che ormai si trascinava da anni. Una cesura traumatica:
intanto perché nel programma politico dell’Ulivo all’Avvocatura si
riservava un ruolo trainante nell’amministrazione della giustizia,
e si intitolava uno dei capitoli proprio con le parole “Dare dignità
all’Avvocatura” e si erano accese speranze di un rinnovamento accettabile; poi, perché nei seminari di studio e di dibattito sul miglioramento delle forme di amministrazione della giustizia, si riservava
all’Avvocatura uno spazio di rilievo; al contrario, senza alcuna consultazione, con il c.d. decreto-legge proposto dal Ministro dello Sviluppo economico (del 4.7.2006 n. 223) si sono anticipate le riforme
in modo del tutto inconsulto, senza preoccuparsi dei temi centrali
e invece (con il pretesto di uniformare la disciplina interna a quella
comunitaria e di introdurre misure di tutela degli interessi dei consumatori) si sono soppressi le tariffe minime, il divieto di pubblicità,
il divieto del patto di quota lite. Anziché procedere con un progetto
di riforma articolato, sistematico, graduale, e con l’apporto di tutte
le categorie interessate, il nuovo Governo assumeva una iniziativa
autoritaria al fine di “scrostare” i “privilegi delle professioni”2.
L’Avvocatura ha subito reagito manifestando il suo sconcerto, il
suo disappunto e la sua delusione. Non solo il programma dell’Ulivo era stato ribaltato integralmente, ma non era mai accaduto – in
un Paese che si riteneva democratico – di introdurre con decretolegge, cioè in via d’urgenza, una riforma così radicale, senza tener
conto dell’opinione degli destinatari delle norme e degli effetti che
le nuove regole avrebbero provocato. Il CNF ha dovuto elaborare
una circolare interpretativa – attesa l’oscurità del dettato normativo – per consentire agli Ordini di orientarsi nella fase interinale tra
l’entrata in vigore della legge di conversione (del 4.8.2006, n. 248) e
la data del 1 gennaio 2007, entro la quale i codici deontologici delle professioni ordinistiche avrebbero dovuto essere adeguati alla
nuova disciplina, pena la loro sostituzione d’autorità ad opera del
Governo e le sanzioni comminate dall’Autorità di Garanzia della
concorrenza e del mercato.
Per un commento critico v. SCHLESINGER, Liberalizzazione e avvocati, in Corr.
Giur., 2006, 1337.
2
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
La sessione congressuale di Roma registra questo momento di
sconcerto e di protesta.
I principi fondanti della professione forense
Al Congresso di Roma il CNF ha proposto l’approvazione di una
serie di principi, la cui approvazione è stata unanime:
1. riaffermazione della libertà e dell’autonomia dell’avvocato, professionista essenziale all’esercizio della giurisdizione, per la conoscenza e l’attuazione della legge, e per la tutela dei diritti e
degli interessi individuali e collettivi;
2. affermazione della centralità del sistema ordinistico e della sua
natura pubblicistica, a garanzia dell’autonomia regolamentare in
campo deontologico e della conseguente autonomia disciplinare,
a tutela esclusiva dell’interesse dei cittadini e della collettività,
nel contesto di una riforma della funzione disciplinare che garantisca la piena tutela del cittadino utente;
3. adozione di una nuova disciplina che assicuri, insieme alla libertà di accesso, la imprescindibile verifica della qualità della formazione dell’avvocato, con criteri di selezione rigorosi, efficaci e
obiettivi;
4. introduzione di meccanismi idonei ad assicurare una costante ed
elevata qualità professionale, anche mediante un sistema di formazione permanente obbligatoria, sotto il controllo degli organi
istituzionali dell’avvocatura;
5. armonizzazione dei criteri per il mantenimento dell’iscrizione
agli albi professionali con quelli dettati per l’iscrizione alla Cassa di previdenza, secondo i principi di effettività, continuità e
prevalenza dell’esercizio dell’attività professionale, ribadendo la
radicale incompatibilità con altre attività lavorative, ed in particolare con l’impiego pubblico anche a tempo parziale;
6. affermazione dell’esigenza di un sistema tariffario che, salvaguardando la dignità del lavoro e la qualità della prestazione,
escluda radicalmente ogni ipotesi di commistione tra gli interessi
dell’assistito e quelli dell’avvocato, a garanzia dell’integrità dei
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
diritti dei cittadini nonché della libertà e dell’indipendenza dell’avvocato;
7. riaffermazione dell’assoluta necessità che l’eventuale riconoscimento delle associazioni delle “nuove professioni” riguardi attività nuove, e non spezzoni di attività già proprie di professionisti iscritti in albi, senza sovrapposizioni che non potrebbero che
danneggiare la trasparenza del mercato.
Proprio perché vogliamo, anzi dobbiamo guardare al futuro, non
mi intratterrò sulle vicende che hanno contrassegnato l’ingresso
della nuova disciplina della pubblicità, la soppressione delle tariffe
minime, la parziale legittimazione dei patti di quota lite, temi sui
quali il CNF si è speso oltremodo, ricorrendo anche all’attenzione
del Presidente della Repubblica, e poi, nel mese di agosto, costretto
a colmare le lacune di una disciplina frettolosa e disagevole nell’interpretazione, a predisporre una lettura della nuova normativa
tale da consentirne l’applicazione senza che venissero meno i valori
fondanti e costituzionalmente garantiti della professione forense.
La specificità della professione forense e il suo riconoscimento
da parte del Parlamento europeo e della Corte di Giustizia
Dagli organi della Unione europea ci proviene quel riconoscimento che una malintesa concezione delle “liberalizzazioni del
mercato” e della concorrenza ci vorrebbero sottrarre. È il riconoscimento – alle professioni legali, ma in particolare all’Avvocatura – di
un connotato specifico, di una competenza irrinunciabile e non fungibile con quella di altre attività professionali, organizzate in ordini
o meno, rivolta alla difesa dei diritti, e quindi ai valori sui quali si
incardina la società odierna. Dico odierna per comodità, ma la storia
millenaria del ruolo del giurista nelle società occidentali sta a significare come questa professione costituisca una vera e propria dimensione culturale che è strutturale al pensiero occidentale e quindi
non solo insopprimibile ma neppure dissolubile in una gelatinosa e
indistinta acculturazione tecnica di supporto al mercato.
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
La Risoluzione del 23 marzo 2006 assunta dal Parlamento europeo riconosce “l’indipendenza, l’assenza di conflitti di interesse e il
segreto/confidenzialità professionale quali valori fondamentali della professione legale che rappresentano considerazioni di pubblico
interesse”; ed ancora “la necessità di regolamenti a protezione di
questi valori fondamentali per l’esercizio corretto della professione
legale, nonostante gli effetti restrittivi sulla concorrenza che ne potrebbero
risultare”.
Ancora il Parlamento europeo ritiene che “qualsiasi riforma delle professioni legali ha conseguenze importanti che vanno al di là
delle norme della concorrenza incidendo nel campo della libertà,
della sicurezza e della giustizia e in modo più ampio, sulla protezione dello stato di diritto nell’Unione europea”.
La professione legale è in questa prospettiva strettamente correlata con la difesa dei diritti umani e delle libertà fondamentali sì che
solo una professione legale indipendente – prosegue il Parlamento
europeo – può garantire ad ogni persona l’accesso ai servizi legali
per la difesa dei diritti e delle libertà. Valori che sono posti in pericolo se l’esercizio dell’attività forense fosse effettuato all’interno di
organizzazioni “che consentono a persone che non sono professionisti legali di esercitare o condividere il controllo dell’andamento
dell’organizzazione mediante investimenti di capitale o altro, oppure nel caso di partenariati multidisciplinari con professionisti che
non sono vincolati da obblighi professionali equivalenti”.
Il Parlamento europeo considera che “la concorrenza dei prezzi non regolamentata tra i professionisti legali, che conduce a una
riduzione della qualità del servizio prestato, va a detrimento dei
consumatori; (...) che l’importanza di una condotta etica, del mantenimento della confidenzialità con i clienti e di un alto livello di
conoscenza specialistica necessita l’organizzazione di sistemi di
autoregolamentazione, quali quelli oggi governati da organismi e
ordini della professione legale”.
Tutto ciò premesso il Parlamento europeo delinea il quadro di
regole entro le quali le professioni legali (e in particolare l’Avvocatura) debbono essere inserite:
26
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
- riconosce pienamente la funzione cruciale esercitata dalle professioni legali in una società democratica, al fine di garantire il
rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza
nell’applicazione della legge, sia quando gli avvocati rappresentano e difendono i clienti in tribunale che quando danno parere
legale ai loro clienti;
- ribadisce le dichiarazioni fatte nelle proprie risoluzioni del 18
gennaio 1994 e del 5 aprile 2001 e nella sua posizione del 16 dicembre 2003;
- evidenzia le alte qualificazioni richieste per accedere alla professione legale, il bisogno di proteggere tali qualificazioni che caratterizza le professioni legali, nell’interesse dei cittadini europei e
il bisogno di creare una relazione specifica basata sulla fiducia tra
i membri delle professioni legali e i loro clienti;
- ribadisce l’importanza delle norme necessarie ad assicurare l’indipendenza, la competenza, l’integrità e la responsabilità dei
membri delle professioni legali, con lo scopo di garantire la qualità dei loro servizi, a beneficio dei loro clienti e della società in
generale, e per salvaguardare l’interesse pubblico;
- ricorda alla Commissione che le finalità della regolamentazione
dei servizi legali sono la protezione dell’interesse pubblico, la garanzia del diritto di difesa e l’accesso alla giustizia, e la sicurezza
nell’applicazione della legge e che per queste ragioni non può
essere conforme ai desideri del cliente;
- incoraggia gli organismi professionali, le organizzazioni e le associazioni delle professioni legali a istituire un codice di condotta
a livello europeo, con norme relative all’organizzazione, alle qualificazioni, alle etiche professionali, al controllo, alla trasparenza
e alla comunicazione, per garantire che il consumatore finale dei
servizi legali disponga delle garanzie necessarie in relazione all’integrità e all’esperienza e per garantire la sana amministrazione della giustizia;
- invita la Commissione a tenere conto del ruolo specifico delle
professioni legali in una società governata dallo Stato di diritto
e ad effettuare un’analisi esaustiva del modo in cui operano i
mercati di servizi legali nel momento in cui la Commissione pro-
Rivista del Consiglio
27
Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
pone il principio “minore regolamentazione, regolamentazione
migliore”;
- invita la Commissione ad applicare le norme sulla concorrenza
– ove opportuno, nel rispetto della giurisprudenza della Corte di
giustizia;
- invita la Commissione a non applicare le norme sulla concorrenza dell’Unione europea in materie che, nel quadro costituzionale
dell’UE, sono lasciate alla competenza degli Stati membri, quali
l’accesso alla giustizia, che include questioni quali le tabelle degli
onorari che i tribunali applicano per pagare gli onorari agli avvocati;
- ritiene che le tabelle degli onorari o altre tariffe obbligatorie per
avvocati e professionisti legali, anche per prestazioni stragiudiziali, non violino gli articoli 10 e 81 del trattato, purché la loro
adozione sia giustificata dal perseguimento di un legittimo interesse pubblico e gli Stati membri controllino attivamente l’intervento di operatori privati nel processo decisionale”.
Non si deve confondere questa Risoluzione con quelle successive relative ai servizi, perché, come preciserò tra poco, anche se in
modo sintetico, una cosa è la disciplina delle professioni legali, altra
cosa la disciplina dei servizi nell’ambito dei quali possono essere
ricomprese alcune categorie di prestazioni legali.
Ed è da tenere presente che qualsiasi iniziativa che Governi e
Parlamenti di tutti Paesi membri fosse in contrasto con quanto sopra
enunciato si porrebbe automaticamente in contrasto con il diritto
comunitario. È errato dunque ragionare nel senso che ove Governi e
Parlamenti volessero andare oltre le limitazioni stabilite dagli organi comunitari, ciò sarebbe ben accetto in ambito comunitario, quasi
che le limitazioni richieste dalla specificità della professione forense
fossero ancora il residuo di antichi privilegi: tutt’altro, il Parlamento
europeo ha voluto sottolineare la stretta connessione tra professione forense e diritti e libertà fondamentali e quindi ha enunciato la
priorità di questi diritti e libertà rispetto agli interessi concorrenziali
di mercato. Se non si intende questo punto fondamentale del diritto
comunitario si finisce non solo per stravolgere la tavola dei valori
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
sulla quale riposa l’Unione europea, ma ci si colloca al di fuori di
quella tavola di valori.
Anche la Corte di Giustizia ha riproposto il modello interpretativo imposto dal Parlamento europeo, proprio nel decidere la questione pregiudiziale riguardante la legittimità comunitaria del sistema delle tariffe forensi che erano applicate in Italia prima del d.l. n.
2223 del 2006: si badi, questo è un angolo visuale più circoscritto,
rispetto al quadro complessivo tracciato dal Parlamento europeo,
e tuttavia assai significativo, perché rimette in gioco il rapporto tra
valori fondamentali difesi dall’Avvocatura e disciplina della concorrenza attraverso la fissazione del prezzo della prestazione professionale.
La sentenza resa il 5 dicembre 2006 dalla Corte di Giustizia nei
due casi Cipolla/Portolese in Fazari (C-94-04) e Macrino, Capodarte/Meloni (C-2002/04) non accerta un illecito (prima categoria di
procedimenti) né è diretta a controllare il rispetto del diritto comunitario da parte delle istituzioni (seconda categoria di procedimenti),
ma risolve la questione sollevata nell’ambito dei giudizi da cui è stata
promosso il ricorso alla Corte (terza categoria di procedimenti). “Funzione tipica di tale procedura – scriveva Francesco Capotorti qualche
anno fa nel corso di una relazione presentata ad un convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza della Università di Ferrara3
– è assicurare un’interpretazione uniforme delle norme comunitarie o un accentramento centralizzato della validità degli atti delle
istituzioni”. Con riguardo al caso in esame, che rientra nella terza
categoria di procedimenti, la motivazione, considerata la funzione
che in questo frangente la Corte è chiamata a svolgere, ha carattere
particolare. Ciò perché, proseguiva Capotorti, “l’obiettivo è quello di precisare il significato di una norma o di un certo gruppo di
norme comunitarie, con riferimento ad una situazione che, pur essendosi verificata in concreto, viene presentata alla Corte in termini
ipotetici: è noto infatti che spetta solo al giudice interno applicare
Le sentenze della Corte di giustizia delle Comunità Europee, ne La sentenza in Europa. Metodo, tecnica e stile, Atti del Convegno internazionale per l’inaugurazione
della nuova sede della Facoltà, 10-12 ottobre 1985, Cedam, Padova, 1988, p. 233.
3
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
quella norma, e che la Corte deve limitarsi a chiarirne il senso e
la portata”4. A queste pregnanti considerazioni Giacinto Bosco aggiungeva che la pronuncia della Corte, in questi casi, ha un “effetto
diretto sul giudizio pendente dinanzi al giudice nazionale, ma ha
pure un effetto importante, sebbene indiretto, sul comportamento
dei governi e in genere sull’amministrazione pubblica degli stati ai
quali si riferisce la normativa in contestazione”5.
Ancora. Per comprendere esattamente il testo delle sentenze della Corte occorre confrontare il testo delle questioni sollevate, le conclusioni dell’Avvocato Generale, la motivazione e il dispositivo.
Le questioni sollevate erano le seguenti: da parte della Corte
d’Appello di Torino, nel caso Cipolla: «1) Se il principio della concorrenza del diritto comunitario, di cui agli artt. 10 [CE], 81 [CE] e
82 (...) CE si applichi anche all’offerta dei servizi legali. 2) Se detto
principio comporti, o meno, la possibilità di convenire fra le parti la
remunerazione dell’avvocato, con effetto vincolante. 3) Se comunque detto principio impedisca, o meno, l’inderogabilità assoluta dei
compensi forensi. 4) Se il principio di libera circolazione dei servizi, di cui agli artt. 10 [CE] e 49 (...) CE si applichi anche all’offerta
dei servizi legali. 5) In caso positivo, se detto principio sia, o meno,
compatibile con la inderogabilità assoluta dei compensi forensi», da
parte del Tribunale di Roma, nel caso Capodarte: «Se gli artt. 5 e 85
del Trattato CE (divenuti artt. 10 [CE] e 81 CE) ostino all’adozione
da parte di uno Stato membro di una misura legislativa o regolamentare che approvi, sulla base di un progetto stabilito da un ordine
professionale forense, una tariffa che fissa dei minimi e dei massimi
per gli onorari dei membri dell’ordine con riferimento a prestazioni
aventi ad oggetto attività (c.d. stragiudiziali) non riservate agli appartenenti all’ordine professionale forense ma che possono essere
espletate da chiunque».
La sentenza è complessa, anche se più semplice nel dettato e
meno articolata nei diversi profili affrontati dall’Avvocato Generale
nelle sue conclusioni.
4
5
30
Op. cit., p. 240.
Intervento alla Tavola rotonda, op. cit., p. 331.
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Le conclusioni dell’Avvocato Generale, quanto alle questioni sollevate nel caso Cipolla, erano state nel senso di riaffermare il principio espresso dalla Corte nel caso Arduino e quindi di legittimare
il regime tariffario solo se sottoposto ad un effettivo controllo dello
Stato e la sua applicazione da parte del giudice conforme al diritto
della concorrenza (artt. 10,81).
La Corte, mantenendo ferma la propria giurisprudenza, cioè non
modificando né smentendo la propria posizione assunta nel caso
Arduino, ha confermato che il sistema tariffario proposto dal Consiglio Nazionale Forense e poi disposto con decreto da parte del Ministro Guardasigilli non è in contrasto con il diritto comunitario, sub
specie di diritto della concorrenza, né per le tariffe minime previste
per le attività riservate, cioè per l’attività giudiziale, né per le tariffe
previste per le attività libere, quali l’attività stragiudiziale.
Quanto alla questione sollevata nel caso Macrino, le conclusioni
dell’Avvocato Generale erano state nel senso che il tariffario contrasta con la libera prestazione di servizi stabilendo importi minimi
per gli avvocati (artt. 81,10,49).
La Corte ha seguito solo parzialmente il suggerimento dell’Avvocato Generale, perché non ha proclamato la contrarietà al diritto
comunitario del divieto assoluto di deroga e ha segnato alcune distinzioni nel senso che:
(i) il divieto assoluto di deroga convenzionale agli onorari minimi (per prestazioni giudiziali e stragiudiziali) costituisce una limitazione alla libera prestazione di servizi;
(ii) tuttavia, è affidata al giudice nazionale la verifica se la normativa (di divieto assoluto) nelle sue concrete modalità applicative,
risponda alla tutela del consumatore e alla buona amministrazione
della giustizia nonché al principio di proporzionalità nel conseguimento di tali obiettivi.
La verifica torna quindi al giudice nazionale, ed è questi dunque
che avrà l’ultima parola, premessi i principi sopra enunciati, sulla
contrarietà o meno del divieto assoluto di deroga convenzionale ai
minimi tariffari.
Ne discende dunque che:
(a) il sistema tariffario ha comunque retto alla nuova valutazione
Rivista del Consiglio
31
Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
di conformità al diritto comunitario: è una conclusione rilevante,
che i primi commentatori non hanno posto nel debito rilievo, forse
preoccupati di non esasperare o comunque di non sottolineare il
contrasto tra le motivazioni del “decreto Bersani” e della sua legge
di conversione e le conclusioni cui è pervenuta la Corte;
(b) il sistema tariffario è valutato dalla Corte nella sua interezza, senza distinzione tra tariffe giudiziali e tariffe stragiudiziali, dal
momento che non è in gioco l’attività forense al di fuori dei confini
della riserva. Anche per l’attività stragiudiziale (che la Corte UE e
il Parlamento europeo considerano prodromica, propedeutica, preparatoria, ma anche parallela all’attività svolta in giudizio) dunque
si conferma la legittimità delle tariffe, contrariamente a quanti ritenevano che, essendo questa attività libera nel nostro Paese, non la si
potesse assoggettare a canoni prefissati;
(c) il sistema tariffario può essere vincolante in via di principio;
(d) il sistema tariffario può essere inderogabile, cioè obbligatorio
se risponde ai requisiti sopra indicati; altrimenti è liberamente negoziabile;
(e) là dove non si siano negoziate, le tariffe possono essere applicate e vincolano direttamente le parti.
La libera negoziabilità è dunque un succedaneo della obbligatorietà, ed è ammessa solo a seguito della verifica che i giudizi nazionali dovranno fare sulla base di direttive che la stessa Corte UE
espone più dettagliatamente in motivazione. Si tratta di:
(i) tutela dei consumatori; evocando i consumatori, la Corte esclude che il problema possa investire i clienti “non consumatori”; non
sono dunque in gioco le tariffe relative ai rapporti tra avvocati e
“professionisti” (cioè tra avvocati e imprese o esercenti professioni),
che, come si può indurre agevolmente dal testo della motivazione,
sono rapporti in cui le parti non si trovano in una situazione di diseguaglianza; la Corte si preoccupa dei rapporti in cui le parti siano
in una situazione di asimmetria informativa; a questo punto, poiché
la Corte afferma il principio ma non in modo apodittico, perché lo
sottopone alla verifica del giudice nazionale, si deve ancora dimostrare che l’abolizione delle tariffe minime per tutti i clienti danneggi in ogni caso i clienti contrattualmente più deboli; si potrebbe poi
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
rimediare alla asimmetria informativa, là dove esistente, offrendo
tariffe più trasparenti e leggibili, obiettivo che lo stesso CNF proprio
ultimando di approntare in questi giorni;
(ii) buona amministrazione della giustizia; qui si scontrano le tesi
dell’Avvocatura, in base alle quali la fissazione di una tariffa minima impegna l’avvocato a non offrire una prestazione di qualità
inferiore alla diligenza professionale e ad equiparare nel trattamento
economico tutti i clienti, e le tesi dei “liberalizzatori”, che preferiscono
considerare tutto negoziabile, anche la qualità; la Corte esclude che vi
sia un nesso causale tra entità della tariffa e qualità della prestazione,
e si preoccupa degli avvocati stranieri stabilizzati in Italia, che potrebbero essere danneggiati dall’incorrere in un divieto di superamento
della tariffa minima per farsi un avviamento; ma anche escludendo
la prima argomentazione e includendo la seconda preoccupazione, la
Corte non dichiara di per sé illegittime le tariffe minime, ma le sottopone a verifica; i criteri di valutazione suggeriti dalla Corte UE ai giudici nazionali riguardano gli aspetti essenziali della disciplina forense già vigente, quali “norme di organizzazione, di qualificazione, di
deontologia, di controllo e responsabilità”; proprio per migliorare
ulteriormente la situazione esistente (che è critica soprattutto per il
numero degli avvocati, come la stessa Corte riconosce, e per l’esame
di accesso, che grazie alla provvisorietà del sistema varia le valutazioni in modo diseguale) il CNF e le altre componenti dell’Avvocatura hanno predisposto testi di riforma che prescindono da qualsiasi intervento globale di disciplina delle professioni intellettuali, e si
sono preoccupati di contribuire, attraverso la collaborazione prestata
spontaneamente e attraverso la proposizione di rimedi alternativi o
integrativi dello stato attuale della amministrazione della giustizia, a
migliorarne il sistema.
È interessante anche sottolineare che la Corte salva il codice
deontologico forense, a cui affida il compito di controllare la qualità
della prestazione offerta in considerazione del corrispettivo pattuito: la libera negoziazione delle parti non è dunque indice di correttezza deontologica. Considerazione tanto più rilevante ora che – nei
limiti consentiti dal codice civile – sembrerebbe abolito il patto di
quota lite, sì che in via deontologica gli Ordini sono legittimati a ve-
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
rificare se l’ammontare del compenso (che scenda sotto i minimi) sia
eticamente corretto, e se il superamento delle tariffe massime possa
essere eticamente corretto, a cui si aggiunge il controllo sui patti
tout court, là dove il cliente sia esposto ad un rischio imprevedibile sottoscrivendo il patto. A questa considerazione si aggiunge poi
quella concernente i patti collegati alla proposizione di class actions,
dove, accanto agli interessi dei consumatori occorre subito collocare il
controllo deontologico dei patti sul compenso, qui resi frequenti nella
prassi straniera e per così dire “connaturali” a questo tipo di azioni.
Senza dover arrivare alla conclusione un po’ semplicistica che
vorrebbe individuare vincitori e vinti all’esito della vicenda giudiziaria, si deve però riconoscere, senza infingimenti e “distinguo”, che la
Commissione ha avuto torto nel sostenere la violazione della normativa
comunitaria (sia in punto di libera concorrenza sia in punto di libera
prestazione dei servizi); che il Governo italiano che aveva sostenuto
le buone ragioni dell’Avvocatura ha avuto ragione; che la nuova normativa interna, introdotta in via d’urgenza e sotto il vincolo della
fiducia, senza attendere (si sarebbe trattato di sei mesi) l’esito dei
due procedimenti, ora appare di ancor più difficile interpretazione.
Certamente, la responsabilità è del legislatore attuale che ha voluto
mascherare con l’interesse del consumatore e con gli obblighi comunitari di natura concorrenziale l’introduzione di norme che ora
si rivelano ultronee.
Di più. La disciplina introdotta, nella misura in cui contrasta con
la Risoluzione del Parlamento europeo, è “anticomunitaria” ed entra in collisione con l’orientamento della Corte di Giustizia.
Le modifiche al codice deontologico e il regolamento per l’aggiornamento permanente
Il CNF, mediante la sua Commissione deontologica e mediante il
gruppo di studio dedicato alla redazione di un progetto di riforma
del procedimento disciplinare, già dall’inizio dei lavori della Consiliatura attuale aveva avviato un processo di riforma delle regole
che governano la professione. Coltivando la speranza, poi rivelatasi
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
purtroppo del tutto infondata, che i Governi e i Parlamenti che si
sono succeduti avrebbero approvato un provvedimento legislativo
che in via d’urgenza potesse migliorare il sistema di accesso alla
professione, integrare i poteri di vigilanza degli Ordini sugli avvocati iscritti che non esercitano la professione, introdurre norme
sull’aggiornamento permanente, migliorare le modalità di controllo
del comportamento degli iscritti, aveva consegnato agli interlocutori istituzionali relazioni, documenti programmatici, testi di base
attraverso i quali si sarebbe potuto operare un aggiornamento della
l. forense senza peraltro stravolgerne le fondamenta.
Intervenuta la nuova normativa, il CNF, nel suo ruolo istituzionale, non avrebbe potuto né disapplicarla perché incostituzionale e
contraria alla normativa comunitaria (alcuni autorevoli giuristi si
erano espressi in proposito6) né sottrarsi all’obbligo di modificare il
codice deontologico, anche se tale obbligo, introdotto in via autoritativa, si scontra con il principio di autonomia dell’Avvocatura e con
il principio di autodichìa, entrambi riconosciuti dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione7. Più volte negli ultimi anni il CNF ha sottolineato
come non sia possibile neppur concepire che il codice deontologico
forense, costituito da norme di rango primario, sia approvato con
atto amministrativo (!) e come sia giuridicamente inconcepibile decretarne la “nullità” (!), per di più differita nel tempo, in caso di sua
difformità da regole introdotte dal legislatore.
Comunque, in ottemperanza alla nuova disciplina legislativa, il
CNF, nella seduta del 14 dicembre scorso, ha approvato le modifiche necessarie, che riguardano la disciplina della pubblicità informativa, la conclusione di accordi relativi al compenso professionale
anche orientati al risultato ottenuto, la libertà delle tariffe minime.
Le modificazioni corrispondono al nuovo testo normativo, ai principi costituzionali e alla disciplina comunitaria che sopra si sono
richiamati.
V. i pareri di Luciani e Ridola in Rass. Forense, 2006.
Per i riferimenti v. ALPA, L’avvocato, Bologna, 2005; PERFETTI, Corso di deontologia
forense, Padova, 2007.
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Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
Non si può quindi ritenere che le regole deontologiche non debbano ingerirsi dei rapporti economici: ciò che preme al CNF, ma all’Avvocatura tutta, è che l’avvocato non profitti della sua posizione
di competenza e di forza contrattuale per imporre al cliente-consumatore sacrifici economici che si traducono in un abuso giuridico
ed etico deontologicamente sconveniente, né può, di fronte ai poteri
economici forti, oppure per esigenze economiche proprie, accettare condizioni avvilenti che svalutano la prestazione, ne svuotano il
contenuto e l’efficacia, e si ripercuotono negativamente sull’immagine e sul decoro dell’intera categoria.
Uso il termine decoro, peraltro risalente al secolo scorso (vi è una
continuità nella tradizione dei valori dell’Avvocatura di cui siamo orgogliosi) ed inserito nel Codice civile, perché questo è uno dei connotati fondanti della professione, che certo non si riscontra nell’attività delle
imprese, che non guardano al decoro, ma solo al profitto. Il decoro non
è lo schermo dietro il quale si vogliono coprire privilegi economici: la
violazione del decoro, al contrario, implica l’applicazione di sanzioni,
quando l’avvocato, con il suo comportamento, con l’approfittamento
del cliente, con la esecuzione di una prestazione di qualità inferiore
alla diligenza professionale, svilisce sé medesimo e danneggia l’intera categoria. E così per l’accaparramento di clientela: chi ritiene che il
divieto di accaparramento (effettuato tramite agenzie, procacciatori
o con modi non conformi alla correttezza e al decoro) contrasti con
la disciplina della concorrenza continua a ragionare come se l’attività
forense fosse una attività d’impresa, il che è escluso sia dal diritto
interno sia dal diritto comunitario. La disciplina della concorrenza
non si può sovrapporre – quasi fosse elevata al rango di norma costituzionale – ai principi fondanti della deontologia forense, avvalorati
dal Parlamento europeo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione8.
Anche le nuove regole deontologiche sull’aggiornamento permanente corrispondono all’esigenza – etica, prima ancora che giuri8
Da ultimo v. BERGAMINI, La Concorrenza tra i professionisti nel mercato interno
dell’Unione europea, Napoli, 2005.
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
dica – che l’avvocato sia e si mantenga competente, per poter assolvere degnamente il suo obbligo professionale. Il CNF non intende
privare le associazioni nazionali, gli enti e le società private della
loro libertà di organizzare corsi e seminari per l’aggiornamento.
E tuttavia, proprio ad evitare abusi, approfittamenti, elusioni, ha
predisposto un modello di aggiornamento che consenta agli Ordini
di verificare l’attendibilità dei progetti di acculturazione. Anche in
questo caso sarebbe fuorviante ritenere che tale vigilanza possa violare la concorrenza o implicare conflitti di interesse (nel caso in cui
siano gli stessi Ordini ad offrire attività di aggiornamento). Ciò che
rileva è che gli Avvocati riescano ad accumulare i crediti avendoli
conseguiti seriamente e quindi ad elevare la qualità della prestazione. Un mercato senza controlli si trasformerebbe in una prateria
– quale è attualmente Internet – in cui sciacalli e banditi potrebbero
scorazzare indisturbati grazie ad una malintesa nozione di libertà
concorrenziale, anzi, protetti da questa!
La differenza tra la professione forense, le professioni legali, i
servizi legali, i servizi tout court
Quanto sopra brevemente esposto serve non solo per offrire una
rappresentazione oggettiva dei principi e delle regole che governano la
professione forense in ambito comunitario, ma serve anche a precisare
alcuni concetti, categorie ordinanti e prospettive della professione forense nell’ambito delle professioni intellettuali e dei servizi professionali.
Non è un caso che le uniche due direttive in materia di libertà di
esercizio della professione e di stabilimento riguardino la professione forense, e che la sentenza resa nel caso Cipolla si affianchi alle
tre precedenti (relative anche all’esercizio multidisciplinare e alla
composizione delle commissioni esaminatrici), tutte concernenti
l’attività forense.
Che si tratti di una attività professionale speciale, dotata di propri requisiti, non è più dubitabile, e che quindi a questa professione
si debbano riservare regole speciali è una conseguenza dettata non
solo dal diritto e dalla logica ma anche dall’opportunità.
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
Dobbiamo perciò distinguere, senza correre il rischio di omologare nozioni, concetti e regole, la professione forense, alla quale queste
direttive riconoscono una particolare ruolo e, come sopra si è evidenziato, lo stesso Parlamento europeo riconosce il carattere fondante
dello Stato di diritto, le professioni legali, in cui accanto alla professione forense si colloca la professione notarile; i servizi legali, che sono
l’oggetto delle prestazioni eseguite da coloro che svolgono una professione legale. Non si possono rovesciare i termini e ritenere – come
quanti vogliono grossolanamente affermare l’ideologia del mercato e
la mistica della concorrenza – che la disciplina dei servizi prescinda
dal tipo di professione esercitata e deroghi alle regole e alle raccomandazioni sopra richiamate in materia di professione forense.
In questo contesto si debbono perciò leggere le disposizioni della
direttiva relativa ai servizi nel mercato interno del 12 dicembre 2006
(Dir. 2006/123/CE).
Pubblicata sulla G.U. del 27.12.2006 (L 376/36) la direttiva relativa ai servizi nel mercato interno 2006/123/CE del 12.12.2006 deve
essere recepita dagli Stati Membri entro il 28.12.2009. La versione
finale non si discosta molto dal testo approvato quale “posizione
comune” dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione europea. Essa
ha un ambito di applicazione residuale rispetto alla attività forense, in
virtù delle deroghe stabilite da alcune sue disposizioni. Ed infatti:
(i) l’art. 3 prevede che le regole introdotte da questa direttiva
confliggenti con quelle introdotte da altri atti comunitari in ordine
all’accesso o all’esercizio di specifiche attività professionali cedono
rispetto a questi ultimi; in materia di attività forense gli atti comunitari che prevalgono sulla direttiva in esame sono per l’appunto la
direttiva n. 77/249 sulla libera prestazione di servizi, la direttiva n.
48/89 sulla libertà di stabilimento con il titolo omologo del Paese
ospitante (previo esame di complemento), la direttiva n. 5/98 sullo
stabilimento permanente con il titolo di origine, la direttiva n. 36/05
(che deve essere attuata entro il 20.02.2007) sulle qualifiche professionali;
(ii) l’art. 5 c. 3 prevede l’esenzione esplicita dalle procedure di
rilascio di certificati;
(iii) l’art. 17 prevede l’esenzione esplicita della attività forense dal-
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
l’applicazione dell’art. 16 riguardante la libera prestazione di servizi.
Tra i considerando occorre porre in rilievo:
- il n. 88 che, in generale, precisa che il principio di libera prestazione di servizi non si applica alle attività riservate agli avvocati, ivi
compresa, negli ordinamenti nei quali la riserva è prevista, anche
la consulenza giuridica; nel nostro Paese la consulenza non è attività
riservata, ma la direttiva indirettamente conferma che tale riserva
non sarebbe in contrasto con la libera circolazione dei servizi;
- il n. 33 che precisa come per gli altri aspetti della disciplina prevista siano inclusi i servizi di consulenza legale a favore di imprese
e di consumatori (là dove la consulenza non sia riservata);
- il n. 73 il quale, al di là dei casi delle qualifiche professionali,
consente l’esonero dal divieto di tariffe minime e massime se imposte specificamente da autorità competenti per la prestazione di
determinati servizi compatibilmente con la libertà di stabilimento;
questo considerando può essere interpretato alla luce della sentenza
Cipolla della Corte di Giustizia depositata il 5.12.2006;
- il n. 95 il quale legittima sempre le tariffe se giustificate dalle
caratteristiche tecniche della professione;
- il n. 100 che esclude i divieti assoluti o totali di comunicazioni commerciali per le professioni regolamentate e rinvia a codici di
condotta di ambito comunitario;
- il n. 101 che ammette lo svolgimento di servizi multidisciplinari
ma anche le relative restrizioni purché necessarie ad assicurare l’indipendenza e l’integrità delle professioni regolamentate;
- il n. 114 che raccomanda l’adozione di codici di condotta da
parte delle professioni regolamentate intesi a garantirne l’indipendenza, l’imparzialità e il segreto professionale.
Tralasciando le regole sulla semplificazione amministrativa e
sulla libertà di stabilimento, e le aree già coperte dalle direttive pregresse o esplicitamente escluse dalla direttiva in esame, rimangono
alcune disposizioni che afferiscono anche all’attività forense. Sono
conservate per gli avvocati la doppia osservazione delle regole giuridiche inerenti la professione sia nel paese d’origine sia nel paese
ospitante e così pure la “doppia deontologia”.
Le novità riguardano essenzialmente la qualità dei servizi.
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
L’art. 22 prevede le informazioni che il professionista deve fornire
al destinatario, termine che non distingue tra consumatori e imprese
(note, status, forma giuridica, indirizzo e tutti gli altri dati identificativi, iscrizione all’albo e Ordine competente, dati di registrazione all’IVA, qualifica professionale e Stato membro nel quale è stata
acquisita, clausole contrattuali eventualmente praticate, prezzo del
servizio se precostituito, assicurazione, se esistente).
Le informazioni possono essere fornite spontaneamente, oppure essere rese accessibili nel luogo ove si svolge l’attività, oppure
inserite nel sito del professionista, oppure nei fogli illustrativi del
servizio.
Nel caso il “prezzo” della prestazione, cioè il compenso, non sia
predefinito – come accade normalmente nell’esercizio dell’attività
forense – la direttiva non si oppone alla introduzione di tariffe; è solo
necessario porre il cliente in condizione di poter conoscere i criteri con cui si calcola il compenso oppure consegnare un preventivo
sufficientemente dettagliato. Il sistema più semplice è la vacazione;
tuttavia, si possono impiegare le tariffe al momento della conclusione del contratto d’opera, ovvero farvi riferimento in via integrativa,
sempreché ogni informazione ed ogni criterio di calcolo siano chiari e comprensibili, e conosciuti in tempo anteriore all’assunzione
del mandato professionale. Occorre anche informare il destinatario
delle regole professionali vigenti: la normativa di legge, alla quale
si può fare rinvio con mezzi anche informatici, il codice deontologico, l’esistenza di organismi di conciliazione presso gli Ordini (e,
nel caso di tariffe o compensi, la procedura conciliativa già prevista
dalla disciplina forense).
È soppresso ogni divieto in materia di pubblicità: l’art. 24 c. 1 si
riferisce esplicitamente alle professioni regolamentate, ma vi è un
temperamento (all’art. 24 c. 2) che impone la conformità del messaggio alle regole professionali, tenendo conto della specificità della
professione, nonché della indipendenza, della integrità, della dignità e del segreto professionale. Ciò significa che, in via legislativa
(nel testo di attuazione) ovvero in via deontologica sono ammesse
limitazioni, purché non configgenti con il principio di non-discriminazione, con il principio di proporzionalità e siano giustificate
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
da motivi imperativi di interesse generale (secondo le definizioni di
tali termini indicate nell’art. 15).
Per quanto riguarda l’organizzazione dell’attività professionale
– ferma la libertà di scegliere le forme più opportune – si possono
svolgere attività multidisciplinari, ma è consentito apporre limitazioni per evitare i conflitti d’interesse, per garantire indipendenza e
imparzialità, regole deontologiche specifiche per rendere le attività
compatibili tra loro e per custodire il segreto professionale.
La qualità del servizio può essere certificata da un organismo
indipendente o accreditato (ma si tratta di iniziativa semplicemente
volontaria) o si può fare ricorso a carte di qualità o marchi predisposti da ordini professionali a livello comunitario.
La disciplina della professione forense si potrà dunque adattare alla disciplina generale dei servizi, ma non si potrà sovrapporre
questa disciplina alla specificità della professione forense. Questo è
un monito al legislatore che dovrà attuare la direttiva, perché non
si corra il rischio di introdurre, anche questa volta, nel nostro ordinamento disposizioni contrastanti con il diritto comunitario con il
falso pretesto di ammodernare il nostro ordinamento e adeguarlo
alle richieste degli organi comunitari.
I principi informatori della attività forense
Tra i molti equivoci sui quali si è costruita una vera e propria
aggressione alla professione forense – una sorta di mobbing istituzionale al quale il CNF non poteva rimanere indifferente e perciò
si è rivolto al Capo dello Stato perché fosse ripristinata la legalità
– occorre annoverare l’insistita equiparazione del professionista (inteso come esercente una attività professionale intellettuale) all’imprenditore. Qui non ci deve trarre in inganno la terminologia comunitaria
che equipara i due soggetti l’uno all’altro ai fini della concorrenza,
ma solo per realizzare determinati obiettivi specifici, come, ad esempio, la lotta alle clausole abusive, alle pratiche commerciali sleali, alla
pubblicità ingannevole, alla circolazione di prodotti difettosi e così
via. In materia di professioni una cosa è l’attività intellettuale altra
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
cosa l’attività d’impresa. D’altra parte, se le due figure fossero omologabili, o si dovrebbe introdurre per chi voglia intraprendere l’attività
d’impresa l’obbligo del titolo di studio, il tirocinio, l’esame di Stato,
il codice deontologico e le sanzioni disciplinari, l’indipendenza e
l’autonomia – tutte ipotesi fantascientifiche che porterebbero il mercato su di una dimensione kafkiana – oppure coloro che vogliono
identificare le due posizioni si debbono rassegnare a vederle distinte.
Una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (depositata il 5 gennaio 2007, n. 37) ha ribadito l’incompatibilità
dell’esercizio della professione forense con quella di imprenditore.
Vorrei sottolineare che la sentenza ha rigettato il ricorso avverso
analoga pronuncia del CNF ed ha osservato come la giurisprudenza
della Corte – nonché quella del CNF – sono “fermissime nel ritenere
che la situazione di incompatibilità con l’esercizio del commercio,
anche in nome altrui”, ex art. 3 del r.d.l. del 1933 n. 1578 ricorre nei
confronti del professionista che assuma la carica di amministratore
delegato di una società commerciale, ove tale carica implichi gestione e rappresentanza.
È questo un principio che assume un ruolo ordinante delle categorie giuridiche, perché sottolinea la peculiarità delle professioni
intellettuali rispetto a qualsiasi altra attività economica rivolta al
profitto, e pertanto dovrebbe essere osservato in qualsiasi fattispecie in cui la professione intellettuale – in particolare quella forense
– sia coinvolta.
Ne deriva che anche la disciplina della concorrenza, come già
aveva avvertito il Parlamento europeo, deve essere applicata con le
cautele e le limitazioni tali da non snaturare l’essenza dell’attività
professionale.
Autonomia e indipendenza sono ancora i cardini dell’attività
forense riconosciuti dalla Corte costituzionale in tante pronunce e
nell’ultima emessa in materia, il 21.11.2006, n. 360. Si trattava della
conformità a costituzione della L. 25.11.2003 n. 339 che esclude il libero esercizio della professione da parte dei dipendenti di enti pubblici
che abbiano scelto il part-time. La Corte ha sottolineato come caratteristica peculiare dell’attività forense sia la sua incompatibilità con
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
qualsiasi impiego retribuito, ex art. 3 della L. forense e che pertanto
tale disciplina non contrasta con l’art. 3 e neppure con l’art. 419.
La professione forense tra diritto privato e diritto pubblico
L’antiriciclaggio
L’attività professione forense, organizzata in forma di libera
professione, autonoma e indipendente, non è regolata soltanto da
norme di diritto privato. Trattandosi di un servizio pubblico, alla
professione forense fanno carico obblighi inerenti l’amministrazione della giustizia, il controllo dell’accesso alla professione, la deontologia, il decoro, che non si riscontrano di certo nell’esercizio dell’attività d’impresa.
Per incidens ricordo che la disciplina delle professioni è riservata
alla competenza legislativa dello Stato: ancora di recente la Corte
costituzionale si è pronunciata sulla illegittimità di una legge regionale che si voleva ingerire della materia riservata allo Stato10.
Accanto a questi obblighi di recente la seconda11 – ed ora la terza
– direttiva in materia di lotta al riciclaggio di danaro illecito hanno istituito altri obblighi, non solo inerenti alla registrazione delle
operazioni, non solo alle modalità di riscossione del compenso, ma
anche di segnalazione delle operazioni sospette. Il CNF ha vigilato
perché questi obblighi, che ben potrebbero essere assolti attraverso
il segreto professionale, non incidessero eccessivamente sugli Avvocati, e comunque non si estendessero oltre il limite, già gravoso,
imposto dalle direttive12.
Per un commento v. COLAVITTI, Il rapporto di impiego pubblico a tempo parziale tra
libertà di concorrenza e specialità della professione forense, in corso di pubbl. su Giur.
Cost., 2007.
10
Corte cost., sentenza n. 50 del 2007.
11
Per una analisi comparativa dei modelli nazionali di attuazione della seconda
direttiva v. Comparative Implementation of EU Directives (II) – Money Loundering, a cura
del British Institute of Intenational and Comparative Law, Londra, dicembre 2006.
12
V. le deliberazioni raccolte nella documentazione acclusa alla relazione; nonché COCUZZA e GIOFFRÉ, Antiriciclaggio e professione forense: i nuovi compiti e le responsabilità dell’avvocato, Milano, 2006.
9
Rivista del Consiglio
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
Il percorso di attuazione della terza direttiva, che si sta concludendo, ha presentato momenti di criticità che ci siamo premurati
di segnalare all’Autorità competente. Abbiamo perciò trasmesso
talune osservazioni allo schema di decreto legislativo recante il recepimento della terza direttiva antiriciclaggio, segnalando che in
materia è prossima al deposito la fondamentale pronunzia della
Corte di Giustizia nella causa C-305/05, che potrebbe rendere del
tutto inapplicabile la disciplina agli Avvocati, o fornire comunque
preziose indicazioni interpretative. Inoltre abbiamo osservato che
la protezione del segreto professionale – indicato nelle conclusioni
dell’Avvocato generale nella causa come diritto fondamentale della
persona (e non come privilegio dell’avvocato) – è oggetto di una
petizione inviata al Parlamento europeo da parte del CCBE, l’organismo di rappresentanza delle professioni forensi di tutta Europa;
la petizione assunta nella riunione di Vienna del 15 febbraio scorso
mira ad ottenere una risoluzione del Parlamento europeo affinché
gli avvocati siano esclusi dal campo di applicazione della disciplina,
al fine di evitare che essi siano costretti a venir meno al mandato
fiduciario con il cliente e a tradire il segreto professionale che è presidio del diritto di difesa.
Mi piace porre in evidenza il fatto che l’Avvocato generale, Poiares Maduro13, ha ragionato in termini di diritto comunitario, tenendo conto cioè dei principi dell’Unione, dei principi accolti nella
Convenzione europea dei Diritti umani, della giurisprudenza della
Corte di Giustizia e della Corte europea per la tutela dei diritti umani, nonché dei canoni deontologici del CCBE; nonostante che i diversi ordinamenti professionali dei Paesi Membri non siano uniformi, il segreto professionale dell’ Avvocato è principio consacrato in
ogni ordinamento occidentale. L’Avvocato generale ha sottolineato
che la Corte europea per la tutela dei diritti umani considera ogni
intrusione nel segreto professionale dell’Avvocato sia una lesione
della “corretta amministrazione della giustizia” e quindi lesione
dell’art. 6 della CEDU14, sia una lesione del diritto alla riservatez13
14
44
Conclusioni presentate il 14.12.2006.
Nimez c. Germania, 16.12.1992, n. 37.
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za15, ed è quindi lecito “considerare il diritto ad un equo processo e
quello al rispetto della vita privata quale duplice fondamento alla
tutela del segreto professionale dell’avvocato nell’ordinamento giuridico comunitario”. Il segreto professionale – ha ribadito l’Avvocato generale – integra l’oggetto della consulenza legale; “il segreto
deve estendersi ai compiti di rappresentanza, difesa, assistenza e
consulenza legale”.
In ogni caso, non ci siamo sottratti ad un esame del merito del testo
sottoposto al nostro informale vaglio, ed abbiamo sottolineato che:
- il CNF e gli ordini forensi locali non sono disponibili ad assumere il ruolo di destinatari delle segnalazioni dei professionisti,
né quello di controllori dei medesimi, sotto il profilo del rispetto
della normativa antiriciclaggio, o addirittura, come recita l’attuale
versione dell’art. 9, comma 6, il ruolo di guardiani dell’eventuale
omissione di segnalazione; non ne avrebbero comunque la possibilità, difettando di poteri ispettivi nei confronti degli iscritti. Tutt’al
più potrebbero informare l’UIF di fatti rilevati nell’esercizio della
funzione disciplinare, dove alle volte, può emergere una maggiore conoscenza del rapporto sostanziale tra cliente ed avvocato, ma
nulla di più;
- in merito alla “esimente” dell’esame della posizione giuridica
del cliente, riteniamo che la formulazione di cui al comma 3 dell’art. 12, sia
totalmente inaccettabile, perché di difficilissima interpretazione, e perché
mirante surrettiziamente a ridurre l’area delle attività dell’avvocato non
soggette all’obbligo di segnalazione;
- del pari inaccettabile appare la formulazione dell’art. 8, comma
4, laddove si prevede la facoltà di avvalersi dei dati dell’anagrafe
tributaria “...per i controlli di competenza nei confronti dei soggetti
sottoposti agli obblighi antiriciclaggio”: i controlli e le ispezioni dovrebbero essere condotti nei confronti dei soggetti segnalati, e non
già dei segnalanti! Ci auguriamo vivamente che si tratti di un difetto di stesura, e non di una precisa volontà politica;
- non può poi trovare accoglimento la generica e del tutto priva
di fondamento nozione di “professionisti legali” (art. 12), compren15
Foxley c. Regno Unito, 29.9.2000, n. 44; Kopp c. Svizzera, 25.3.1998.
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siva di tutte le categorie professionali destinatarie degli obblighi.
Ragionieri, dottori commercialisti e consulenti del lavoro non sono
affatto professionisti legali, come non lo sono a maggior ragione
soggetti non iscritti in albi che tuttavia svolgono attività di assistenza fiscale o tributaria, e che possono anche non avere alcun titolo di
studio, o alcuna specifica formazione legale;
- fortemente indebolito appare poi il principio della tutela della
riservatezza del segnalante, pure valorizzato dalla terza direttiva;
mentre ad oggi il nome del segnalante è svelato solo con decreto
motivato dell’autorità giudiziaria (cfr. vigenti istruzioni applicative
UIC), ora si pretende che sia reso noto da subito, in via amministrativa (artt. 44, comma 3, e 46, commi 2 e 3);
- all’art. 52, poi, si prevede addirittura che gli avvocati siano destinatari degli obblighi di segnalazione di tutte le violazioni della
normativa sui trasferimenti di liquidità, senza neanche prevedere
le esimenti della difesa in giudizio e della consulenza legale, che
pure valgono per l’antiriciclaggio. Il che integra una radicale ipotesi
di violazione del segreto professionale, e comporta la illegittimità
costituzionale della previsione.
La tutela del consumatore
Quanto alla disciplina vigente in materia di professioni e di compensi professionali, non appare conforme alle finalità enunciate dalla normativa vigente l’assunzione di un rischio dell’esito della lite
come potrebbe avvenire mediante patti di quota lite volti ad escludere qualsiasi compenso per l’avvocato in caso di esito sfavorevole al cliente. L’assunzione del rischio permea la causa del rapporto
contrattuale istituito con il cliente. Sia che esso debba essere qualificato in termini di mandato professionale oppure di opera intellettuale, la diligenza impiegata ha sì natura professionale, e quindi
è una diligenza qualificata, e tuttavia l’obbligazione assunta è una
obbligazione di mezzi e non di risultato. E ciò anche perché la decisione della causa non è il risultato immediato e diretto della difesa,
quanto piuttosto della sua valutazione da parte di un soggetto terzo
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quale è il giudice. Un patto di quota lite, così concepito, non solo minerebbe l’indipendenza dell’avvocato i cui interessi finirebbero per
coincidere con quelli del cliente, ma lo esporrebbe al rischio di una
decisione erronea o ingiusta (sempre peraltro appellabile, ma) non
dipendente dalla sua volontà. Il rischio, permeando di sé la causa
del contratto, snaturerebbe l’essenza della prestazione offerta, e la
trasformerebbe in un appalto di servizi, figura tipica dell’attività
d’impresa.
La nuova disciplina vorrebbe promettere (secondo i suoi fautori)
la «riduzione delle parcelle» e una «maggiore efficienza nelle prestazioni offerte». Anche qui c’è una equazione che non torna: se il
compenso è negoziato, e non si applicano le tariffe – che pure rendono paritetico e trasparente il rapporto economico dell’avvocato con
il cliente – il cliente sarà automaticamente in una posizione di forza
contrattuale tale da riuscire ad ottenere una riduzione del dovuto? E
la maggiore efficienza nelle prestazioni si dovrà alla negoziazione?
Per effetto della nuova normativa i liberi professionisti possono far conoscere agli utenti i servizi offerti attraverso la pubblicità informativa; sulle riviste informative di pubblica utilità si può
‘selezionare’ il professionista più adatto e conveniente alle proprie
esigenze; si abroga il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo
delle prestazioni.
Per quanto riguarda i servizi legali, già ora il codice deontologico
consente l’informazione sui titoli acquisiti effettivamente (e non su
quelli inventati dal professionista); si tratta dei soli titoli consentiti
dalla legge, cioè quelli rilasciati dalle Università; ma quali prezzi
potranno essere esibiti? Ogni questione ha una sua storia a sé, profili giuridici specifici da studiare e approfondire, ogni difesa ha la sua
logica e i suoi tempi, e l’avvocato non può predire il futuro perché
– a differenza degli altri professionisti – il risultato della sua attività
è mediato dal giudice. Allora si tutelano davvero i consumatori perché
ora essi si possano affidare a messaggi pubblicitari (di cui conoscono la dubbia affidabilità) per scegliere il proprio difensore?
La risposta che ci danno i fautori del decreto appare un pò ingenua, se non mistificante: «L’Utente avrà maggiori informazioni a sua
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
disposizione e quindi più possibilità di comparazione e di scelta»
(come se la soluzione di un problema giuridico potesse porsi sullo
stesso piano di un servizio informatico, di trasporto o di telefonia).
E si aggiunge: «Il consumatore avrà anche più capacità [sic] contrattuale». Il consumatore maggiorenne non interdetto ha certamente “capacità contrattuale”. Forse, qui si voleva dire “potere” contrattuale, inteso in senso economico-sociologico. Ma, come sopra si è
osservato, solo le grandi società, le banche, le assicurazioni, hanno
un potere contrattuale che può prevalere su quello del singolo avvocato. Proprio per questo il codice civile proibiva il patto di quota
lite, e il codice deontologico ancora oggi sanziona l’avvocato che
profitta dell’ignoranza del cliente.
Ma i vantaggi che si vorrebbero assicurare al consumatore, sul
lato delle professioni, non finiscono qui. Si dice ancora: «L’utente
potra rivolgersi a società multidisciplinari (formate da architetti,
avvocati, notai, commercialisti ecc...). Con una norma del decreto si
abroga il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che il medesimo professionista non può
partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve
essere resa da uno o più professionisti previamente indicati, sotto
la propria personale responsabilità». Ma non si dice che il divieto
aveva la funzione di prevenire i conflitti d’interesse, di assicurare
all’avvocato (e quindi al cliente) l’indipendenza da partners che
potrebbero preferire il perseguimento dell’interesse della società
rispetto a quello del cliente, la possibilità da parte dell’avvocato di
scegliere – nell’interesse del cliente – il professionista di altra materia che di volta in volta riteneva più appropriato. Ora, sollecitando i
professionisti ad associarsi anche in “società multidisciplinari” tutti
questi vantaggi andranno persi, certamente in danno del cliente. E
poi non è detto che la rimozione del divieto si traduca in una rincorsa alle associazioni...
Del tutto non consequenziale rispetto al significato oggettivo del
provvedimento è poi la considerazione secondo la quale «si apre la
possibilità di creare studi italiani più competitivi a livello internazionale», come se già oggi non vi fossero studi di questo livello o
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come se vi fossero divieti a costituirli, o come se non si sapesse che
gli studi internazionali che operano in Italia si avvalgono di avvocati
italiani. Gli avvocati italiani che volessero espandersi all’estero sono
ostacolati da fattori oggettivi: dalla lingua italiana, che gli stranieri
non conoscono, dal diritto italiano, che gli stranieri non apprezzano,
perché scritto in una lingua che non comprendono, dall’ambiente in
cui operano, perché il Paese, il sistema-giustizia, il sistema politico
che abbiamo sono a torto o a ragione del tutto screditati.
I progetti di riforma delle professioni intellettuali e della disciplina forense
Vi è una cesura tra i progetti presentati nella passata legislatura
e quelli che oggi sono in procinto di essere discussi in Parlamento,
quando saranno terminate le audizioni delle categorie interessate
e degli “stakeholders”: i progetti Vietti, Vietti bis, e il “maxiemendamento” Castelli fotografavano la situazione, apportavano quale
modifica migliorativa, ma non introducevano principi rivoluzionari. I nuovi progetti si differenziano dai precedenti perché riformulano integralmente la nozione di attività professionale intellettuale, organizzano il settore secondo una formula “triadica” (ordini,
associazioni tra professionisti appartenenti agli ordini, associazioni
equiparate agli ordini per le professioni non regolamentate) e “liberalizzano” il mercato riducendo al minimo il percorso formativo,
semplificando i requisiti per accedere alla professione, contenendo
il controllo deontologico sull’attività professionale, applicando ai
professionisti la disciplina societaria destinata alle imprese. Vi è una
sostanziale identità tra il professionista intellettuale e l’imprenditore, in nome di una malintesa nozione di concorrenza e di libertà del
mercato dei servizi.
Ancor peggiore – a mio parere (esprimo un’opinione personale
perché l’argomento è all’o.d.g. della prossima seduta amministrativa del Consiglio) – è il testo proposto dal Governo alla Camera dei
Deputati, il disegno di legge n. 2160.
Al di là delle perplessità che può destare la tecnica legislativa
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
– che si avvale di una delega al Governo per disciplinare la materia,
mentre già il Parlamento se ne era appropriato, com’è giusto che
fosse, trattandosi di materia che interessa circa quattro milioni di
italiani, e costituisce la voce più rilevante del PIL del nostro Paese
– l’obiezione fondamentale è che l’intervento investe tutte le professioni, quelle regolamentate e quelle non regolamentate, in un quadro
comune e unitario, senza fare riferimento alle specialità di ciascuna
di esse, ma rinviando ai decreti delegati, cioè ad una seconda fase,
che si lascia vaga nei contenuti, la regolamentazione dettagliata assegnata alle diverse categorie. Meglio sarebbe stato allora, come si è
fatto per il codice del consumo, per il codice delle assicurazioni, per
il codice della proprietà intellettuale, etc., predisporre innanzitutto
un codice di settore, in cui coordinare le regole e in cui preordinare
principi di carattere generale. Invece, il disegno di legge assomiglia
alla “Carta del Lavoro”, ma, a differenza di quella, non esprime una
ideologia coerente. Basti pensare che la disciplina della concorrenza, più volte richiamata, è pensata come se la concorrenza potesse
essere svolta senza riguardo alla correttezza professionale, perché
le regole deontologiche sono affidate non alla singola categoria ma
a codici il cui contenuto è genericamente prefissato in funzione della garanzia della concorrenza. Vi è poi una confusione concettuale,
oltre che ordinamentale, tra ordini professionali e associazioni: si
consente il passaggio degli iscritti agli albi tenuti dagli Ordini al registro degli associati delle nuove associazioni, si consente l’ingresso
nella professione di giovani con un percorso formativo breve, in un
quadro sovraffollato di espressioni generiche ed imprecise che suonano come altrettante “norme in bianco”16.
Ogni professione ha una sua propria storia, le sue proprie caratteristiche e le sue proprie esigenze: le regole che presiedono l’accesso alla giustizia e alla difesa dei diritti sono diverse da quelle
che presiedono l’accesso al sistema sanitario, e così per il notariato,
l’ingegneria, e gli altri settori scientifico-professionali.
In più, la nostra categoria attende da anni che siano riformati il
I giuristi sono usi a trattare le norme oscure e le norme ambigue: v. RAPOLLA,
De jurisconsulto [Napoli, 1726], a cura di I. Birocchi, Bologna, 2006, p. 289.
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percorso di formazione, il tirocinio, l’esame di abilitazione, la formazione permanente, il processo disciplinare, e molti altri aspetti
che ormai rendono urgente la riforma della legge professionale di
settant’anni fa. Di qui due alternative: o si procede, come si è fatto
per i notai, con leggine ad hoc, oppure si procede con un disegno organico, come quello prefigurato dai congressi forensi o come quelli
presentati al Senato o che potranno essere presentati alla Camera.
Le sfide della modernità
(a) L’aggiornamento culturale e professionale
Sono essenzialmente tre le sfide che la modernità ha sferrato all’Avvocatura: la sfida dell’aggiornamento culturale; la sfida della
organizzazione professionale; la sfida della collocazione sociale.
La sfida dell’aggiornamento culturale si articola in tutte le fasi in
cui si educa e si forma l’avvocato nel nostro Paese. Un avvocato che
ha frequentato l’Università e ha conseguito la laurea (ora quinquennale) in Giurisprudenza, che ha svolto due anni di tirocinio, sostituito solo in parte della Scuola (di specializzazione oppure forense),
che ha superato l’esame di Stato, che ha assunto, con il nuovo regolamento di aggiornamento professionale, l’obbligo di aggiornarsi
permanentemente sulle leggi, la giurisprudenza, sulle tecniche di
svolgimento della professione.
È questa la sfida più difficile da sostenere, perché lo iato tuttora
esistente tra il bagaglio culturale che si è depositato nella mente dell’aspirante avvocato nel corso degli anni universitari e il livello di
preparazione richiesto per superare l’esame è notevole, e per poter
essere colmato non sono certo sufficienti i sussidi offerti dai due tipi
di Scuola, essendo comunque necessaria la diuturna applicazione,
uno studio severo, un controllo della rispondenza tra le nozioni acquisite e la loro pratica utilizzazione nella difesa giudiziale e nella
attività di consulenza per poter essere sicuri che la formazione accademica non rimanga una astratta esercitazione dell’intelligenza
ma si trasformi in uno strumento duttile e funzionale per poter fare
fronte alle esigenze della professione.
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Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
In questo senso si è adoperato il CNF nella Commissione istituita
presso il MIUR per la riforma dei piani di studio delle Facoltà di
Giurisprudenza, richiedendo una maggiore attenzione dei corsi e
quindi dei docenti alle professioni legali. La richiesta è stata accolta
solo in parte, ma nella realtà delle cose, sarebbe occorso un intervento assai più radicale per poter consentire ai giovani laureati di
affrontare con maggior competenza e quindi con maggior serenità
le prove selettive richieste per l’accesso alla professione. In sintesi, è
la stessa concezione della Facoltà di Giurisprudenza che dovrebbe
essere completamente modificata per adattarla alla realtà attuale e
per predisporla agli adattamenti che si profilano come urgenti in
un prossimo futuro. La Facoltà di Giurisprudenza forma – se così
si può dire – laureati genericamente informati sulle materie giuridiche, ma certo non indirizzati in modo compiuto ad assolvere i
compiti dei “professionisti legali”, cioè dei tre naturali sbocchi che
portano all’Avvocatura, alla Magistratura e al Notariato. Perché la
laurea triennale è stata un’esperienza fallimentare, anche se avrebbe dovuto servire a smaltire le istanze di diplomi utili per l’accesso
alle carriere amministrative e agli impieghi privati di rango medio,
sarebbe stato utile riflettere sulla opportunità di convogliare queste
istanze in una laurea di tipo diverso, magari affiancata o inglobata
in quella di Economia e Commercio, per dare corpo, attraverso corsi
di “business administration” a quel giurista d’impresa (non avvocato ma addetto alle attività legali interne) che costituisce oggi un
sussidio utile per chi svolge le attività economiche.
In tal modo, la Facoltà di Giurisprudenza, orientata esclusivamente a formare avvocati, magistrati, notai, avrebbe potuto selezionare adeguatamente gli iscritti, forgiati secondo i metodi tradizionali
aggiornati secondo le nuove tecniche e le nuove realtà economiche,
e quindi avrebbe contribuito a ridurre considerevolmente la massa
d’urto dei giovani che si avviano all’Avvocatura come ad un percorso temporaneo, accidentale, tollerabile fin tanto che una occupazione più sicura e stabile non sopraggiunga a sostituirlo. Ma per formare i giuristi professionisti occorre anche riflettere sui programmi
educativi, di base e specialistici. Se è vero che il modello di cultura
giuridica italiana è uno tra i migliori d’Europa, è anche vero che non
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possiamo continuare a conservare – o almeno, soltanto a conservare
– la cultura giuridica tedesca, come ultimi depositari della dogmatica pandettistica. La dogmatica è utile per formare la costruzione
geometrica delle nozioni che stanno alla base dell’architettura del
diritto (civile, amministrativo, penale), ma quella dogmatica – ormai ripudiata dalle Università tedesche – deve essere affiancata allo
studio della casistica, che consente di affondare nella realtà quotidiana le categorie giuridiche rimpolpandole della esperienza della
vita vissuta. D’altra parte, una tradizione in questo senso già si era
avviata alla fine dell’Ottocento nella Napoli di Emanuele Granturco, che attraverso la sua Crestomazia chiamava i giovani aspiranti
avvocati e gli stessi giovani avvocati, per approfondire con loro –
alla luce delle vicende reali o ideali – la resa delle nozioni giuridiche
imparate nei corsi universitari. L’impiego della case law è diventata
una necessità, non è più un sussidio di insegnamento complementare di qualche docente anglofilo. Il diritto vivente, la creatività giurisprudenziale, il diritto innervato nel gangli della società è il diritto
che oggi si deve apprendere sui banchi di scuola e approfondire
prima di accedere alla professione17, recuperandone dunque l’umanità e la società.
Il CNF, direttamente, o tramite le attività della Commissione cultura, della Fondazione dell’Avvocatura, del Centro di formazione,
ha organizzato decine e decine di seminari e congressi, in sede e
nei distretti, in collaborazione con gli Ordini e con le Associazioni,
pubblicando i risultati delle riunioni e mettendoli a disposizione di
quanti volessero approfondire i temi discussi18.
Particolare attenzione si è data alle innovazioni processuali, ai
circa 26 riti che tuttora sono applicati, al ricorso per Cassazione, alle
GROSSI, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2003, p. 10 ss.
Tra le ultime pubblicazioni v. Codici deontologici e autonomia privata. Atti
del seminario di studi per il ventennale de “La nuova giurisprudenza civile commentata”, Milano, 2006; Il giudice e l’usp delle sentenze straniere. Atti del seminario organizzato per la celebrazione del Cinquantesimo anno dell’insediamento
della Corte costituzionale, Milano, 2006; Seminari di aggiornamento professionale:
1. Lex mercatoria; 2. I nuovi confini del diritto privato europeo; 3. Il diritto italiano
e il diritto latino – americano, Milano, 2006.
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soluzioni alternative alla giustizia ordinaria, quali le ADR e in particolare alla mediazione familiare e al conciliatore bancario.
In più. Il CNF ha sollecitato gli Ordini territoriali a costituire “organismi di conciliazione” per consentire agli Avvocati di avviare,
presso gli Ordini, quelle iniziative di prevenzione della lite o di soluzione amichevole della lite che consentirebbero di smaltire l’arretrato
e pure di beneficiare con l’accesso alla giustizia quanti siano inconsapevoli dei loro diritti o temano i costi eccessivi del processo.
Il CNF ha avviato la realizzazione di un congresso di aggiornamento con cadenza annuale: siamo alla seconda edizione, che inizierà domani; per tre giorni più di cento relatori, tra i massimi giuristi del nostro Paese, si alterneranno in tre canali didattici, dedicati
al diritto sostanziale e processuale. Le iscrizioni hanno superato il
migliaio; sono Avvocati che da tutti gli Ordini italiani hanno voluto
approfittare di questa opportunità, per apprendere, riflettere, discutere.
Discutere di diritto, perché questo è il nostro mestiere, accantonando le preoccupazioni odierne sulla sorte delle professioni e della
nostra professione, consapevoli del fatto che la miglior arma per
comprendere i nostri detrattori non è la protesta, ma la proposta,
non la contestazione ma la testimonianza della qualità morale e tecnica della prestazione.
Ancora. Per avvicinare gli Avvocati italiani al mondo anglosassone, alle prassi contrattuali, al commercio internazionale, al mercato finanziario, che sono i cardini della professione forense in Inghilterra, il CNF ha avviato la realizzazione di un corso estivo con
cadenza annuale a Londra, in collaborazione con la Law Society,
il General Bar Council e gli Istituti di Londra e Oxford. Anche in
questo caso la risposta degli Avvocati italiani è stata ammirevole:
l’anno scorso più di cento Colleghi hanno trascorso due settimane
di intenso lavoro, approfondendo la terminologia giuridica inglese,
le categorie del common law, e venendo a contatto con l’esperienza
di prestigiosi solicitors, barristers, giudici della House of Lords ed
eminenti accademici.
Ma l’impegno culturale non finisce qui: la formazione del giurista passa anche attraverso l’esaltazione dei diritti umani, quali ineli-
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minabile funzione del diritto19 in una società moderna, e attraverso
i segni della globalizzazione, che lo rende una trama senza confini20.
Di qui le iniziative del CNF riguardanti la cooperazione giudiziaria
in ambito comunitario21 e lo studio della procedura applicata dinanzi la Corte europea dei diritti umani.
(b) L’aggiornamento organizzativo professionale
Dalla formazione possiamo passare alla concezione dell’avvocato nella società attuale. Ecco, secondo l’orientamento maturato
nell’Europa continentale, soprattutto nell’Europa del Sud, forte di
radici comuni, l’avvocato non è solo un tecnico, ma è un operatore
sociale. La sua professione, diffusa su tutto il territorio, va ben al
di là della soluzione dei conflitti, perché l’avvocato è ormai il consulente di singoli e gruppi, di famiglie e di imprese, di società e organizzazioni non-profit, assolvendo dunque il compito che si frappone tra l’individuo e la società, aiutando il primo ad inserirsi e ad
operare proficuamente e legittimamente all’interno di essa, e questa
ad evolvere senza traumi verso i nuovi lidi aperti dalla globalizzazione. Non è necessario, per assolvere questo compito, organizzare
studi professionali di grandi dimensioni, mentre assai più utile è acquisire – oltre alla generale competenza – competenze specializzate,
aggregate le forze e le esperienze, predisporre associazioni temporanee per fare fronte alla domanda di competenze multiple, allestire
società (nei tipi consentiti) per distribuire meglio i vantaggi e i rischi
creati dalla diuturna attività.
È ormai diventato un luogo comune ritenere che la polverizzazione degli studi professionali costituisca uno dei fattori debolezza della categoria forense, una remora all’acquisizione di clientela
– anche straniera – e un segno dell’arretratezza degli avvocati italiani. Ma due argomentazioni sembrano sufficienti a smentire queBOECKENFOERDE, Diritto e secolarizzazione, a cura di G. Preterossi, Roma-Bari, 2007.
FERRARESE, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, RomaBari, 2006.
21
MICKLITZ, The Politics of Judicial Co-operation in the EU, Cambridge, 2005; LETTIERI, Prontuario della giurisprudenza europea, datt. pubblicato sul sito della Corte europea dei diritti umani.
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sti assunti. In primo luogo, il confronto con le esperienze straniere.
Non è vero che negli altri Paesi europei gli avvocati esercitino soltanto
in grandi strutture: è appena il caso di controllare l’Annual Report per
il 2005 della Law Society per accertarsi che la gran parte degli avvocati inglesi esercitano individualmente o in associazioni di poche unità
(sto facendo riferimento ai solicitors, ovviamente), mentre i barristers,
come è noto, non possono neppure associarsi, se non in casi assai limitati. In secondo luogo, i grandi studi stranieri organizzati in forma
aziendale che hanno acquisito fasce di mercato professionale italiano
hanno raggiunto eccellenti risultati, non dovuti però alla loro organizzazione aziendale, ma piuttosto al fatto che le operazioni tecniche che
sono stati richiesti di realizzare da parte dei clienti italiani erano o saltuarie (si pensi alle privatizzazioni e alle cartolarizzazioni) e destinate
perciò ad esaurirsi in breve tempo, oppure collegate con operazioni
finanziarie da compiersi sul mercato di Londra, ed era perciò naturale
che i clienti italiani si avvalessero di studi inglesi operanti in loco. Oggi
la gran parte di quegli studi mantiene la sigla straniera ma è composta prevalentemente da avvocati italiani, che coniugano, all’esperienza
straniera, l’esperienza e i contatti sociali maturati in Italia.
Nonostante pregevoli studi e progetti di disciplina della professione forense tendano a promuovere l’adozione di tutti i tipi sociali
per lo svolgimento dell’attività forense, mantenendo fermo ovviamente il principio della personalità della prestazione e della deontologia, il CNF ha assunto un atteggiamento di cautela al riguardo: ciò
perché i tipi relativi alle società di capitali sono connaturati alla realizzazione di profitti in forma d’impresa, dimensione che deve rimanere
estranea all’attività professionale forense, e perché una volta adottati
liberamente quei tipi appare più difficile allontanare il rischio della inclusione – si potrebbe meglio dire intrusione – nella compagine sociale
del socio di mero capitale, evenienza che finirebbe per rendere evanescente non solo la personalità della prestazione ma anche la libertà di
decisione dei soci e il governo autonomo della società. Senza dire poi
che la circolazione di azioni o quote correlate con un requisito soggettivo di azionisti e quotisti si contrapporrebbe alla libera circolazione dei
titoli di credito, all’ormai ridotta operatività della clausola di gradimento, e implicherebbe l’adozione di statuti societari speciali.
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POLITICA FORENSE
(c) La collocazione sociale
I sociologi e gli storici hanno segnalato come al tornante del nuovo millennio si siano notevolmente modificate le classi sociali: la
classe media, a cui, per loro formazione, natura e tradizione, erano
aggregati gli avvocati, si è notevolmente allargata e impoverita; alla
classe borghese si è sostituita una fascia intermedia che raccoglie
gran parte di quella che un tempo si definiva “aristocrazia operaia”
e il ceto impiegatizio; le libere professioni, che svolgevano il ruolo
delle èlites, vanno via via dissolvendosi in un magma uniforme, che
tende a superare la specificità di ciascuna di esse, a presentare caratteri indefiniti e comunque generalizzanti, a non costituire più la
comunità intermedia che difendeva l’individuo dallo Stato – ed ora
dalla globalizzazione22 massificante dei rapporti23.
L’Avvocatura subisce dunque la comprensione del sistema economico, che intende ridurre il costo delle prestazioni, assimilare gli
avvocati ad impiegati, e avvalersi di chi svolge attività ripetitive;
la compressione delle altre professioni, o delle associazioni di professionisti non regolamentati, che si intrudono nell’attività legale,
avvalendosi del principio della libertà della consulenza, principio
al quale si dovrebbe rispondere con una qualificato esercizio di attività riservata; la compressione dei poteri politici, che intravedono
nell’Avvocatura un ostacolo, essendo l’Avvocatura dedita – per sua
essenziale costituzione – alla difesa dei diritti. Questo gioco di forze
svilisce il ruolo sociale dell’Avvocatura. Ciò che non preoccupa chi
mette in gioco questi fattori è la considerazione dei loro effetti, nel
breve e nel lungo periodo.
STIGLITZ, La globalizzazione che funziona, Torino, 2006, ha trovato una formula
accettabile di globalizzazione che rispetta i valori della persona; ed ora v. FERRARESE,
Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, 2007.
23
In una letteratura pressoché sconfinata v. BECK, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Bologna, 2003; Le classi dirigenti nella storia d’Italia, a cura
di Dongiovanni e Tranfaglia, Roma-Bari, 2006. Per misurare la distanza tra la realtà
della categoria forense come si è venuta costruendo fino a qualche anno fa e quella
attuale v. STANCATI, La Toga Lametina, pubblicato a cura dell’Ordine degli Avvocati
di Lamezia Terme, 2004-2005; e per un tuffo nell’Ottocento, MORENO, Il galateo degli
avvocati (1843), ripubblicato a cura dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, 2006.
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Il recupero del rapporto con i consumatori e l’aggiornamento
della tariffa professionale
Nonostante le presupposizioni degli esponenti del Governo e del
Parlamento che imputano all’Avvocatura di ritardare i processi e di
vessare le imprese, al CNF non sono mai pervenuti, a mia memoria,
esposti di consumatori o di associazioni di consumatori che lamentassero l’eccessivo livello delle tariffe o segnalassero violazioni dell’etica professionale degli Avvocati. E tuttavia il CNF ha deliberato
di istituire un “tavolo di confronto” con le associazioni dei consumatori per verificare in che modo le prestazioni possono essere rese
più efficaci e più trasparenti.
Proprio per soddisfare l’esigenza di una ampia trasparenza ed una
più agevole leggibilità delle tariffe professionali la Commissione del
CNF che si occupa della materia ha elaborato un nuovo modello di
tariffa che sarà portato all’approvazione del CNF in una delle prossime sedute, e che sarà discusso ed elaborato definitivamente insieme
con il gruppo di lavoro istituito ad hoc dal Ministero della Giustizia. Il nuovo modello divide il procedimento in quattro fasi (studio
della controversia, introduzione del giudizio, istruttoria, decisione),
e fissa per ogni grado di giudizio e per ogni giudizio (civile, penale,
amministrativo o tributario) una tariffa unica, dalle indennità e dai
diritti, distinguendo la fase istruttoria semplice dalla fase istruttoria
complessa, e facendo sì che il valore della causa non sia, attraverso
la distinzione in scaglioni, oggetto di sperequazioni. Nel contempo,
la nuova tariffa non prende in considerazione la durata del processo, sicché non si potrà più imputare all’Avvocato di lucrare sulla sua
pendenza.
La tutela dei diritti delle donne
Il CNF ha organizzato nel 2006 un congresso nazionale con la
Commissione Pari opportunità e con la collaborazione degli Ordini,
delle Associazioni e dei Ministeri competenti, sui diritti della donna-avvocato; e quest’anno un congresso internazionale in collabora-
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
zione con l’Università di Enna Kore sui diritti delle donne nell’area
del Mediterraneo. Il tema, ampio, e complesso, riguardava le civiltà
a confronto su pari opportunità, identità e tutela delle differenze. Il
congresso è stato notevole non solo per la folta partecipazione degli
Avvocati ma soprattutto per l’elevatezza delle relazioni, affidate a
Colleghi e Colleghe provenienti dai diversi Paesi del Mediterraneo.
Valori in parte condivisi, in parte configgenti, ma tutti orientati a far
sì che la donna non sia ancora discriminata per il sesso e costretta
ancor oggi a vivere in soggezione nell’ambito della famiglia, in posizione subordinata quanto alle opportunità di lavoro, ai margini
della società politica e della società civile24.
La tutela dei diritti dei soggetti deboli
La donna, nell’Avvocatura e fuori di essa, è ancora soggetto debole. Si è già detto, sopra, di come si possa intendere in diversi modi la
strategia di difesa degli interessi dei consumatori, i quali – da soggetti
ignorati dalla legge – ora sono divenuti, grazie al diritto comunitario,
i protagonisti del mercato: le nuove strategie del capitalismo maturo
creano i bisogni per poter avere un pubblico idoneo ad assorbire la
produzione di beni e servizi25. Ma accanto ai soggetti deboli per ragioni
di mercato, occorre considerare i soggetti deboli per ragioni sociali: i
poveri e i nuovi poveri, resi tali dalla perdita di acquisto della moneta.
Gli avvocati non sono solo avvocati delle grandi imprese, avvocati delle piccole e medie imprese, e quindi il loro lavoro non può
essere valutato, né il loro ruolo apprezzato, solo dal punto di vista
del mercato e della dimensione economica della società26. Nell’attività giudiziale è di gran lunga prevalente l’assistenza alle famiglie
e alle necessità della vita quotidiana, come dimostrano, nell’ambiV. i saluti introduttivi di Grimaldi, Alpa e Vermiglio e la Relazione di apertura
di Andò, La questione femminile al centro dell’incontro tra le civiltà, datt.
25
BAUMAN, Homo consumens, (Ed. Erickosn), Trento, 2007.
26
In questo senso v. MALATESTA, Professionisti e gentiluomini. Storia delle professioni
nell’Europa contemporanea, Torino, 2006, p. 106.
24
Rivista del Consiglio
59
Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
to dei milioni di procedimenti civili pendenti, la percentuale delle
cause riguardanti i rapporti familiari, il condominio e le locazioni,
il lavoro, i sinistri stradali, la compravendita di immobili. Ancora.
Tutto il settore dell’immigrazione, delle discriminazioni, della violazione dei diritti umani implica un impegno cospicuo dell’Avvocatura, come peraltro lo implica l’assistenza alle organizzazioni senza
scopo di lucro27.
Le azioni di categoria e i patti di quota lite
Il disegno di legge (AC 1495) presentato dai Ministri dello Sviluppo economico, della Giustizia e dall’Economia e delle Finanze
introduce un nuovo strumento di natura processuale, intitolato
azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori.
L’art. 1 c. 1 non ha natura precettiva ma solo esplicativa, in quanto prevede la istituzione e disciplina di una azione collettiva risarcitoria quale nuovo strumento generale di tutela “nel quadro delle misure nazionali rivolte alla disciplina dei diritti dei consumatori e degli
utenti” e “conformemente ai principi stabiliti dalla normativa comunitaria volti ad innalzare i livelli di tutela”. In realtà, come sopra si è
sottolineato, fino ad oggi non si parlava di iniziative di associazioni
volte alla difesa di diritti, ma solo di interessi collettivi. D’altra parte,
se le associazioni intendono effettuare un intervento adesivo, è loro
concesso dal sistema processuale vigente. L’innalzamento dei livelli
di tutela è certamente una delle priorità dei programmi pluriennali di
protezione dei diritti e degli interessi dei consumatori promossi dagli
organi comunitari. Per la verità si pensa, dal punto di vista processuale, più agli organismi di conciliazione che non alle azioni collettive, dal momento che esse sono presenti solo in alcuni ordinamenti,
ma non in tutti.
L’art. 1 c. 2 (ad integrazione del Codice del consumo, a cui vorrebbe aggiungere un art. 140 bis, intitolato “azione collettiva risarcitoria”) legittima le associazioni dei consumatori, dei professionisti e le
27
60
V. per tutti FACCHI, I diritti nell’Europa multiculturale, Roma-Bari, 2001.
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Camere di commercio (tornando quindi al novero dei soggetti di cui
all’art. 37 in materia di inibitoria di clausole abusive) a richiedere la
condanna al risarcimento dei danni e alla restituzione delle somme
dovute direttamente ai singoli consumatori o utenti interessati. Il
provvedimento previsto non è dunque di accertamento preventivo,
ma di condanna, previo ovviamente l’accertamento della lesione di
diritti di una pluralità di consumatori o di utenti. Il risarcimento del
danno o la restituzione di somme debbono essere conseguenza di
atti illeciti commessi nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti oppure di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali
illecite o di comportamenti anticoncorrenziali.
Se si prescinde dalla approssimazione della terminologia giuridica, si riesce ad intendere che l’iniziativa non può essere svolta a
beneficio di un singolo interessato; che la tutela è rivolta alla protezione di diritti soggettivi; che tali diritti debbono essere stati violati:
(i) o nell’ambito di un rapporto contrattuale;
(ii) o nell’ambito di un illecito extracontrattuale;
(iii) o nell’ambito di pratiche commerciali illecite;
(iv) o nell’ambito di comportamenti anticoncorrenziali.
Mentre è comprensibile il significato di “risarcimento del danno”
nel senso che i soggetti di cui sopra sono legittimati con un ruolo di
sostituti processuali ad agire in giudizio, e non fanno quindi valere
né interessi propri né interessi diffusi, collettivi o di categoria, ma di
diritti di soggetti che siano stati pregiudicati nei settori di cui si dirà,
meno comprensibile è la “restituzione di somme”; la restituzione
dovrebbe derivare da un pagamento indebito; ma allora non si è più
nell’ambito di un illecito.
Per quanto riguarda le “pratiche commerciali illecite” occorre
intendersi: la direttiva ad essa relative è stata appena approvata,
ma non ancora attuata; e i comportamenti già ora considerati “commercialmente illeciti” sono per il momento repressi senza ricorrere
al risarcimento del danno o alla restituzione di somme: è il caso, ad
es., dei messaggi pubblicitari ingannevoli.
Per quanto riguarda i comportamenti anticoncorrenziali l’art. 33
della l. antitrust, oltre all’inibitoria, consente ai singoli consumato-
Rivista del Consiglio
61
Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
ri di chiedere il risarcimento del danno (Cass. SS.UU., 4.2.2005, n.
2207). Ma non è stato definito né il criterio di collegamento causale
tra l’intesa anticoncorrenziale e contratti “a valle”, né il suo ammontare.
L’ambito di applicazione si chiude qui e quindi i suoi confini
sono assai nebulosi: spetterà a dottrina e giurisprudenza, in caso
di approvazione sic et simpliciter del testo, di chiarire le incertezze
normative.
Il disegno di legge in esame prosegue, sempre nel testo dell’art.
140 bis, dettando regole di natura processuale.
Il c. 2 sub c. 2 prevede che l’atto con cui il soggetto abilitato promuove l’azione di gruppo (che si presume sia la medesima azione
collettiva di cui al comma precedente “produce gli effetti interruttivi della prescrizione (...) anche con riferimento ai diritti di tutti i
singoli consumatori o utenti conseguenti al medesimo fatto o violazione”. Un “diritto conseguente ad un fatto” è espressione sibillina;
si presume che si voglia fare riferimento alla lesione di un diritto
istituito nell’ambito dei rapporti afferenti i quattro settori in cui si ripartisce l’ambito di applicazione della normativa in esame. In ogni
caso, l’azione ha effetto interruttivo della prescrizione dei diritti di
cui sono titolari tutti i consumatori, cioè – si immagina – tutti i soggetti che si trovino nelle medesime situazioni previste dall’azione
promossa, cioè tutti gli appartenenti al gruppo e alla classe o alla
categoria. Ma il disegno di legge non indica i criteri con cui definire gli appartenenti al gruppo alla classe o alla categoria. L’azione
collettiva si sta trasformando in una class action, pur essendo i due
strumenti assai diversi tra loro. La class action è promossa da soggetti individui portatori dei diritti lesi, mentre l’azione collettiva è
promossa da associazioni esponenziali.
Il c. 2 sub c. 3 riguarda la sentenza di condanna. Nulla si dice a
proposito dei suoi effetti rispetto ai consumatori danneggiati: cioè
chi possa avvalersene, se si tratti di un sistema op-in oppure opt
out, e così via. Semplicemente la sentenza vale come titolo per ingiunzione di pagamento (c. 2 sub c. 8).
Le altre disposizioni riguardano gli accordi transattivi e la conciliazione.
62
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Gli studiosi di diritto processuale civile si sono diffusi nel distinguere le azioni collettive dalle class actions, hanno lasciato da parte
le azioni per la difesa di interessi diffusi, tema sul quale si erano
concentrati gli studi a metà degli anni Settanta, quando fu costruita
questa nuova categoria di interessi e si studiarono le tecniche processuali per la loro difesa (interessi collegati all’ambiente e al settore
dei consumi).
Ma si trattava già allora di studi corroborati dal diritto comparato. Si discuteva sulla possibilità di trapiantare le regole processuali
statunitensi nel nostro ordinamento, si parlava di standing di qualificazione dei caratteri dei soggetti appartenenti alla classe, di efficacia della res iudicata, di estensibilità della sentenza anche nel caso
avesse effetti negativi, di “stadi” del processo (accertamento delle
condizioni, domanda del singolo), e così via. Se si vuol rimanere in
un ambito più usuale, facendo ricorso alle azioni collettive, occorrerebbe normativamente aggiungere di più a ciò che già è praticabile
sulla base delle regole processuali attuali, e, soprattutto, chiarire i
dubbi interpretativi e colmare le lacune.
Non mi addentro negli argomenti di politica del diritto. Mi chiedo – dal punto di vista della legittimazione ad agire – se tra le associazioni professionali possano essere compresi gli Ordini forensi, e
il Consiglio Nazionale Forense come “associazione di associazioni”
(secondo l’accezione comunitaria degli Ordini professionali). Mi
chiedo il ruolo dell’avvocato che “costruisca” l’azione collettiva insieme con i soggetti legittimati, e se il collegamento, volto non alla
raccolta di adesioni e di mandati (perché siamo in un caso di azione
collettiva, non di class action) ma alla difesa dei diritti mediante
il sostituto processuale-associazione possa essere configurato come
accaparramento di clientela; come l’associazione possa individuare
i diritti soggettivi individuali da difendere collettivamente se non
attraverso avvisi pubblici; e come si debbano calcolare i compensi
sia nel caso di procedimento giunto al termine, sia nel caso di transazione, sia nel caso di conciliazione.
Dal punto di vista deontologico emergono molte questioni di cui
il CNF dovrà occuparsi.
Ma innanzitutto, ci si dovrà porre la questione dell’accaparra-
Rivista del Consiglio
63
Relazione sull’attività del Consiglio Nazionale... di G. Alpa
mento della clientela nel caso in cui il legislatore opinasse per la
scelta del modello americano delle class actions. Come potrà fare
l’avvocato a promuovere l’azione se non avvalendosi dei mezzi di
comunicazione, di Internet, di inviti ad aderire, rivolti alla generalità dei cittadini? E che cosa prometterà a chi volesse aderire? E come
regolerà la ripartizione dei profitti in caso di vittoria? L’esperienza
statunitense, da cui provengono i patti di quota lite e le azioni di
classe registra gli esiti nefasti che questi due fattori – singolarmente
considerati e uniti tra loro – abbiano finito per scatenare una torbida litigiosità28. D’altra parte, che cosa ci possiamo attendere, sotto
il profilo etico, da una società che, apparentemente dominata dalle
credenze religiose, consente la compravendita del sangue, la compravendita di organi vitali, il contratto di maternità surrogata, il rifiuto di prestazioni mediche d’urgenza in caso di insolvibilità del
paziente?
I pericoli di una divisione mercantile della professione
La visione mercantile della professione29 che vorrebbe trasformare tutti gli avvocati in famelici esecutori delle direttive dei poteri
economici forti, disumanizzati da una concorrenza senza confini,
e resi altrettanti numeri di studi di enormi dimensioni, nei quali
la personalizzazione della prestazione verrebbe ad essere confusa
con la meccanica applicazione alla catena di montaggio, può essere
un wishful thinking di quanti intendono svuotare, deprimere, avvilire la professione forense, ma non corrisponde ancora alla realtà
odierna e dobbiamo lottare perché questo disegno non sia portato
a compimento.
OLSON, The Rule of Lawyers. How the New Litigation Elite Threatens America’s
Rule of Law, New York, 2003.
29
DESALAY, I mercanti del diritto, Milano, 1997.
28
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
Inconcussa vigeat
Vengo alla conclusione. In una delle sale del Palazzo ducale di
Genova, adibito fino a qualche decennio fa a Palazzo di Giustizia,
sono riprodotte le immagini delle virtù cardinali, e tra esse la figura
della Giustizia. Il pittore – Giovanni Andrea De Ferrari, vissuto nel
Seicento – l’ha dipinta con le fattezze di una donna che indossa la
corazza, con la mano destra regge la bilancia, con la sinistra il gladio
dietro il quale occhieggia una cornucopia dell’abbondanza, a significare che la giustizia, se efficiente, dà buoni e copiosi frutti; sotto
il gladio la donna regge un librone, è il libro della legge, sul quale
è inciso a caratteri cubitali il motto: “INCONCUSSA VIGEAT”. La
Giustizia, se è vera giustizia, non può esser concussa; ma la Giustizia va di pari passo con l’Avvocatura: anche l’Avvocatura non può
essere delegittimata, avvilita, oppressa. Credo che il motto possa costituire un buon avvertimento ma anche uno scudo per questi tempi
procellosi.
Rivista del Consiglio
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Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
Avvocatura e Decreto Bersani:
i chiarimenti del CNF
Circolare CNF del 4.9.2006
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
Osservazioni sulla interpretazione e applicazione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (in G.U. n. 153 del 4 luglio 2006), coordinato con
la l. di conversione 4 agosto 2006, n. 248 (in G.U. n. 186 dell’11
agosto 2006 – Suppl. Ord. n. 183) recante: «Disposizioni urgenti
per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di
entrate e di contrasto all’evasione fiscale».
1. Premessa
La nuova disciplina – al di là delle sue connotazioni di politica
istituzionale e di politica del diritto, oltre che di carattere strutturale
che investono direttamente la nostra professione – involge aspetti
civilistici e aspetti deontologici riguardanti tra l’altro la determinazione del compenso professionale, il patto di quota lite, la pubblicità
informativa, le associazioni e le società professionali.
La nuova disciplina dovrebbe avere natura transitoria, tenendo
conto di tre fattori:
(i) le prossime pronunce della Corte di Giustizia riguardante la
legittimità delle tariffe obbligatorie quale compenso per l’attività
stragiudiziale forense e la legittimità del divieto della libera negoziazione del compenso professionale forense;
(ii) l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale, ove essa fosse
investita della questione di costituzionalità dell’art. 1 della l. di conversione e dell’art. 2 del decreto legge in epigrafe;
66
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
(iii) l’esito del processo di riforma della disciplina forense, che si
avvierà con la ripresa autunnale dinanzi alle Camere, con gli esponenti governativi, anche sulla base degli esiti del Congresso di Roma.
Poiché è lecito ritenere che i tempi delle vicende sub (i), (ii), (iii)
saranno tendenzialmente lunghi, occorre riflettere sulle questioni
interpretative e applicative della disciplina entrata in vigore nel testo convertito.
2. Norme legislative e norme deontologiche
La premessa dell’analisi muove da un presupposto fondamentale: la coesistenza di norme di legge e di norme deontologiche; le
norme di legge possono abrogare norme deontologiche (come quelle forensi) aventi natura di norme primarie, ma di origine consuetudinaria; in ogni caso, anche se si potesse sostenere la loro equiparazione totale, si dovrebbe applicare il principio della posteriorità della nuova disciplina rispetto alla normativa deontologica (che data,
nella sua ultima versione, dal 27 gennaio 2006). Le due categorie
di norme non sono però tra loro sovrapponibili, in quanto la legge
ordinaria, come quella in esame, ha effetti erga omnes, mentre le norme deontologiche riguardano soltanto i soggetti esercenti l’attività
professionale forense. In più, le norme deontologiche, per loro natura,
possono essere più restrittive delle norme ordinarie, in quanto riflettono
valori etici il cui ambito di applicazione può essere più ampio di quello della
norma ordinaria.
Tale distinzione – come si dirà tra poco – vale anche per gli effetti
civilistici degli accordi conclusi con il cliente e per gli effetti deontologici di tali accordi, che potrebbero essere divergenti.
3. Adeguamento dei codici deontologici alla nuova disciplina
Il rapporto tra i due ordini di norme è riflesso dall’art. 2 del d.l.,
come convertito, il quale dispone, al c. 3, che «Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le
Rivista del Consiglio
67
Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
prescrizioni di cui al comma 1 sono adeguate, anche con l’adozione
di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali,
entro il 1 gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto
dal comma 1 sono in ogni caso nulle».
Poiché nel comma si fa riferimento alle norme (dentologiche) in
contrasto con quanto previsto al c. 1 – di cui si dirà – e si prevede che
tali norme siano in ogni caso nulle a partire dal 1 gennaio 2007, fino a
tale data le regole contenute nel nostro codice si debbono ritenere
vigenti e idonee a produrre effetto (ovviamente, di natura deontologica). Gli studiosi di diritto costituzionale non hanno dubbi sul
fatto che la nullità di pattuizioni concluse a seguito di norme dichiarate abrogate non immediatamente, ma susseguentemente ad una
determinata data, sia rispondente ai canoni di corretta redazione
legislativa. Pertanto, sia che la nullità sia riferita:
- alle regole deontologiche considerate di natura pattizia (e non
quali norme consuetudinarie);
- alla loro vera e propria abrogazione, se si trattasse di norme
consuetudinarie;
- alle pattuizioni concluse tra i privati fondate sulle norme qualificate come nulle (a decorrere da una certa data), gli effetti dell’art.
2 del decreto come convertito non si produrranno sul codice dentologico se
non a decorrere dal 1 gennaio 2007.
In virtù del principio tempus regit actum gli accordi tra il professionista e il cliente sono validi e producono effetti ai fini civilistici,
ma dal punto di vista deontologico sono assoggettati al codice forense vigente fino al 1 gennaio 2007, e dopo tale data alla versione
del codice che (ove la legge in esame sia ancora vigente) risulterà
dal suo adeguamento ad essa.
Va da sé che, ove il codice deontologico forense fosse modificato
anteriormente a tale data, quanto sopra deve essere inteso come anticipato alla data di entrata in vigore del codice deotologico forense
emendato.
Più oltre si esamineranno le fattispecie più ricorrenti che riguardano concretamente la distinzione tra effetti civilistici ed effetti
deontologici della normativa in esame.
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
4. Disciplina delle tariffe professionali
Considerati i presupposti di cui sopra, ne deriva che gli accordi
relativi ai compensi professionali dal punto di vista civilistico possono essere svincolati dalle tariffe fisse o minime (art. 2 c. 1 lett. a),
mentre rimangono in vigore le tariffe massime.
Il fatto che le tariffe minime non siano più “obbligatorie” non
esclude che – sempre civilisticamente parlando – le parti contraenti possano concludere un accordo con riferimento alle tariffe come
previste dal D.M.
Tuttavia, nel caso in cui l’avvocato concluda patti che prevedano
un compenso inferiore al minimo tariffario, pur essendo il patto legittimo civilisticamente, esso può risultare in contrasto con gli artt.
5 e 43 c. II del codice deontologico in quanto il compenso irrisorio,
non adeguato, al di sotto della soglia ritenuta minima, lede la dignità dell’avvocato e si discosta dall’art. 36 Cost.
Poiché la nuova disciplina si occupa soltanto delle tariffe fisse o
minime, restano in vigore le disposizioni che riguardano le tariffe massime (con le ipotesi in cui esse possono essere derogate in aumento).
Anche in questo caso le deroghe debbono essere effettuate mediante
patto scritto e non possono implicare un compenso sproporzionato.
In ogni caso il D.M. è ancora in vigore per le tariffe ai fini della
liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali sia
in caso di liquidazione giudiziale sia in caso di gratuito patrocinio,
ai sensi dell’art. 2 c. 2 del decreto così come convertito. L’avvocato
dunque può chiedere che la controparte soccombente sia tenuta a
pagare secondo tariffa (ma non secondo gli accordi effettuati con il
cliente, di cui si dirà tra poco).
Ai sensi dell’art. 2 c.1 lett. a) del decreto convertito è possibile parametrare il compenso al «raggiungimento degli obiettivi perseguiti». La formula un po’ ellittica dovrebbe significare che all’avvocato
si può riconoscere da parte del cliente un premio, proporzionato
ai risultati conseguiti. L’art. 45 c. I consente un aumento del compenso, giustificato dal risultato conseguito e in limiti ragionevoli.
Pertanto la formula legislativa può considerarsi omologa a quella
del codice deontologico.
Rivista del Consiglio
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Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
Entro il 1 gennaio 2007 dovrà essere modificato il disposto dell’art.
43 c. V del codice dentologico, essendo già ora legittimo civilisticamente concordare onorari forfettari per le prestazioni continuative
in caso diverso dalla consulenza e dall’assistenza stragiudiziale.
In ogni caso, lo si ripete, anche dopo il 1 gennaio 2007, sarà possibile sindacare il comportamento deontologico, ai sensi degli artt. 5 e
43 c. II del codice, se il compenso sia sproporzionato all’impegno.
5. Patto sui compensi e patto di quota lite
La nuova disciplina aggiunge però un comma all’art. 2 cit. che
riguarda ancora i compensi. Il testo ora dispone che il terzo comma
dell’art. 2233 cod. civ. sia sostituito dal seguente: «Sono nulli, se non
redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti
abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».
Dal punto di vista civilistico, il patto è valido se rispetta l’onere
della forma scritta; esso può avere effetti solo tra le parti; non può
essere opposto ai terzi, neppure in giudizio, non quindi nei confronti della controparte del cliente, né può essere richiesto al giudice, in
caso di liquidazione del compenso e delle spese, che si attenga al patto.
Diverso è il discorso tra avvocato e cliente: l’avvocato può chiedere al
giudice di liquidare il proprio compenso secondo quanto stabilito nel
patto (che, civilisticamente parlando, è valido) ma come sopra si è detto il suo comportamento può essere segnalato all’Ordine di riferimento
perché ne controlli la correttezza deontologica con riguardo alla proporzionalità del compenso rispetto all’attività prestata.
La disposizione in esame è stata intesa anche come tale da legittimare il patto di quota lite, dal momento che essa ha sostituito il testo
dell’art. 2233 previgente del cod. civ. L’abrogazione non è effettuata
nel senso di sopprimere direttamente ed espressamente il divieto
del patto di quota lite; la disposizione si riferisce infatti in generale ai patti sui compensi. Tuttavia, la sostituzione implica che viene
meno il divieto esplicito e preciso concernente i patti «relativi a beni
che formano oggetto della controversia».
Pertanto, ove dovesse maturare una interpretazione permissiva,
70
Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
occorre segnalare che la nuova disciplina non ha abrogato un’altra
disposizione del codice civile, l’art. 1261 che fa divieto (tra gli altri
soggetti, anche) ad avvocati e patrocinatori di «rendersi cessionari
di diritti sui quali à sorta contestazione davanti all’autorità giudiziaria (…) nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto
pena di nullità e dei danni».
I patti con cui si cedono diritti dal cliente all’avvocato suo difensore sono dunque nulli e rimangono tali anche a seguito della
entrata in vigore della nuova disciplina. Per verificare – civilisticamente – la validità di un patto concluso tra avvocato e cliente il cui
oggetto sia il compenso professionale sotto forma di patto di quota
lite, occorre distinguere caso da caso.
Si possono infatti distinguere:
(i) il patto di quota lite nella configurazione frutto di una lettura
estensiva dell’art. 2233, 3° comma, c.c. e cioè come patto col quale
si stabilisce un compenso correlato al risultato pratico dell’attività
svolta e comunque in ragione di una percentuale sul valore dei beni
o degli interessi litigiosi; un patto di tal natura deve ritenersi ora
civilisticamente legittimo giusta la previsione del comma 1, lett. a)
dell’art. 2 della legge di conversione;
(ii) il patto di quota lite nella configurazione definibile come classica cioè quella anche semanticamente coerente con il divieto ex art.
2233, 3° comma, c.c., nel testo previgente: questo tipo di patto deve
ritenersi tuttora civilisticamente vietato e nullo ex art. 1418 c.c. nella
misura in cui il suo assetto concreto replica la previsione dell’art.
1261 c.c. e cioè quante volte esso realizzi, in via diretta o indiretta, la
cessione del credito o del bene litigioso;
Sul piano deontologico, tuttavia:
- per effetto di quanto si è detto sub (i) la norma dell’art. 45 del
codice deontologico forense va adeguata – ex art. 2, comma 3, legge
cit. – limitatamente a quella sua parte in cui si vieta la pattuizione di
un compenso in percentuale rapportata al valore della lite;
- per effetto di quanto detto sub (ii) la norma dell’art. 45 del codice deontologico forense non va adeguata non essendo in questo
caso la configurazione del patto di quota lite ricompresa nel novero
di quelle rese lecite dal comma 1 dell’art. 2 legge cit.; essa andrà
Rivista del Consiglio
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Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
semmai specificata nel senso che l’illiceità deontologica del patto
sussiste a misura che esso realizzi, direttamente o indirettamente, la
cessione di un credito o un bene litigioso.
6. Esecutività e parere di congruità
Se il patto tra avvocato e cliente è effettuato in forma scritta, si
applica comunque l’art. 633 c. 1 cod. proc. civ., secondo il quale «Su
domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di una
determinata quantità di cose fungibili, o di chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia ingiunzione di pagamento o di consegna: 1) se del diritto fatto
valere si dà prova scritta».
Il disposto del n. 2 («se il credito riguarda onorari per prestazioni
giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo»), in risposta a quanti
hanno sollevato dubbi sulla sua avvenuta abrogazione, rimane invariato: infatti non vi è alcun riferimento e tanto meno abrogazione
esplicita nel testo normativo in commento.
Il parere di congruità può essere sempre fatto dall’Ordine, tenendo conto quale parametro delle tariffe in vigore ai fini della liquidazione giudiziale.
La valutazione di congruità rimane dunque necessaria a fini esecutivi e posto che non vi sia accordo scritto. D’altra parte, il disposto
dell’art. 633 cod. proc. civ. prevede una particolare procedura esecutiva per le prestazioni effettuate in occasione di un processo e per gli
avvocati in quanto tali per l’esercizio professionale prestato. Non è
vietato l’uso delle tariffe quale parametro di riferimento. E quindi
l’Ordine richiesto del parere di congruità può fare riferimento alle
tariffe. Se la tariffa è al di sotto del minimo, l’Ordine distinguerà tra
la congruità agli effetti civilisitici, valutando il compenso alla luce
dell’attività prestata, ma valuterà anche il comportamento deontologico dell’avvocato, come sopra si è precisato.
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
7. Pubblicità informativa
La cornice entro la quale le altre disposizioni del decreto convertito che riguardano la disciplina della professione forense si debbono leggere dal punto di vista deontologico è sempre data dall’art. 5
del codice (probità, dignità e decoro), dall’art. 6 (lealtà e correttezza)
dall’art. 9 (segretezza e riservatezza), dall’art. 17 (informazioni sull’attività del professionista), dall’art. 17 bis (mezzi di informazione
consentiti), dall’art. 18 (rapporti con la stampa) dall’art. 19 (accaparramento di clientela) e dall’art. 20 (uso di espressioni sconvenienti
od offensive).
Ora, letto alla luce di queste disposizioni, il disposto dell’art. 2 c.
1 lett. b) del d.l. come convertito non introduce novità di particolare
momento.
Ed infatti, esso rimuove un divieto (anche parziale) i cui contenuti per molti aspetti già sono stati soppressi nel codice deontologico
vigente. Come si legge nel testo dell’art. 2 c,1 lett.b) «sono abrogate
le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono (…) il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli
e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è
verificato dall’ordine».
Innanzitutto preme sottolineare che le regole deontologiche in
contrasto con il d.l. rimangono in vigore almeno fino al 1 gennaio
2007, termine entro il quale dovranno essere adattate alle nuove
previsioni legislative, in quanto la rimozione immediata del divieto
riguarda regole legislative e regolamentari, ma non le norme deontologiche, qualunque natura esse abbiano.
In secondo luogo, delle disposizioni deontologiche sopra richiamate (artt. 5, 6, 9, 17-20) nessuna appare in contrasto con il disposto
indicato. Già gli artt. 17 e 17 bis consentono l’informazione (che nel
d.l. prende il nome di pubblicità informativa). Ora è appena il caso
di precisare che nel gergo del marketing la pubblicità informativa
riguarda due aspetti che possono investire l’esercizio dell’attività
forense: la pubblicità istituzionale, inerente al soggetto che la pro-
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Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
muove, e la pubblicità che ha lo scopo di informare il pubblico delle
caratteristiche del servizio prestato. E comunque usandosi l’espressione “pubblicità” ci si riferisce alla disciplina prevista dalla l. n. 287
del 1990, e succ. integrazioni, che sanziona il messaggio ingannevole.
Quanto alla pubblicità istituzionale, già ora è consentito esibire i
titoli che sono appropriati all’esercizio professionale, sempreché
non siano decettivi. Si possono esibire i diplomi di specializzazione
(in quanto le “specializzazioni” di cui parla il d.l. debbono essere riferite a qualificazioni professionali ottenute mediante regolare
procedura, là dove le singole professioni lo prevedano), mentre non
si può utilizzare l’espressione “specializzazione” per indicare i settori e le materie di attività prevalente; occorre indicare allora non
il termine “specializzazione”, ma altro termine non decettivo. Vi è
quindi perfetta coincidenza tra questo aspetto del d.l. e il codice
deontologico.
Quanto alle “caratteristiche del servizio offerto” è difficile pensare a messaggi informativi che non facciano riferimento alla diligenza professionale.
È lo stesso legislatore che sollecita gli Ordini a vigilare perché
il messaggio indichi con trasparenza e veridicità «il prezzo e i costi
complessivi delle prestazioni».
A questo proposito assumono rilievo deontologico le regole già
richiamate a proposito della appropriata retribuzione dell’avvocato. Saranno perciò perseguibili deontologicamente gli avvocati che
espliciteranno, per l’attività stragiudiziale, una misura del corrispettivo non adeguata alla dignità professionale e all’entità del lavoro
svolto, e, quanto alla attività giudiziale, se la valutazione è fatta à
forfait per una o più cause, oltre al controllo sulla adeguatezza, si
potrà effettuare il controllo sulla veridicità e trasparenza, qualora il
cliente non sia informato sui gradi della causa, sulle complicazioni
processuali, sulle fase istruttoria, e così via.
Il d.l. in esame non fa cenno né alla pubblicità comparativa (che
pure si era affacciata in precedenti progetti di riforma delle professioni) né ai mezzi pubblicitari. Pertanto, restano confermate le disposizioni del codice deontologico che vietano la pubblicità comparati-
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
va e quelle che prevedono restrizioni in materia di mezzi utilizzati.
Non è ammesso l’uso di mezzi disdicevoli, che contrastino con gli
artt. 5, 17, 17 bis, 18, 19, come gli organi di stampa, la radio e la televisione, l’affissione di cartelli negli esercizi commerciali, nei luoghi
pubblici, etc.
Particolare attenzione dovrà essere prestata dagli Ordini all’utilizzazione di Internet, dove già ora, come in una selvaggia prateria,
circolano messaggi di ogni tipo, altamente reprensibili, quali l’associazione di nomi di professionisti al server, oppure l’uso di informazioni sulla legislazione e sulla giurisprudenza per farsi pubblicità,
etc. Si tratta – per dirlo con le stesse parole del testo in esame – di
pubblicità non informativa, non trasparente e quindi non ammissibile.
Non è neppure ammessa la pubblicità che si ottiene mediante
insegne che non rispondano ai criteri di correttezza e dignità. Anche i luoghi ove si svolge la professione (nulla dicendo al riguardo
il decreto) possono essere sindacati deontologicamente: l’avvocato
non può esercitare in un supermercato, in un esercizio commerciale
aperto al pubblico sulla pubblica via, etc.
Resta in ogni caso in vigore il divieto di accaparramento della
clientela.
8. Forme associative dell’attività professionale
Anche il disposto dell’art. 2 c. 1 lett. c) può essere letto in bonam
partem.
Il legislatore ha rimosso «il divieto di fornire all’utenza servizi
professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone
o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la
specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità».
Il limite di esclusività stabilito dalla norma non può essere inteso
nel senso che la società o l’associazione possa esercitare solo nel-
Rivista del Consiglio
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Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
l’ambito di un singolo settore di attività professionale, ma piuttosto
nel senso che la società o l’associazione non possa esercitare un’attività diversa da quella, più generica, della prestazione di servizi
professionali. L’attività può ricomprendere l’intero ambito delle diverse discipline di elezione dei professionisti che partecipano alla
società.
Tale norma, peraltro, non ha reale portata innovativa riguardo alle
associazioni tra professionisti, poiché già l’art. 1 della legge 23.11.1939,
n. 1815, contempla la possibilità di associazioni professionali tra esercenti professioni diverse, con la sola precisazione che i soggetti partecipi della associazione devono usare nella denominazione del loro
ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di “studio
tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario”,
seguita dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati.
La novità introdotta dalla norma consisterebbe, quindi, nel solo
fatto di consentire l’esercizio di attività professionali multidisciplinari nella forma della società di persone.
Va, tuttavia, rilevato che il divieto di costituzione di società professionali multidisciplinari è già stato rimosso con l’art. 24 della legge 7 agosto 1997, n. 266 (c.d. legge Bersani), che, al primo comma, ha
abrogato l’art. 2 della legge 23.11.1939, n. 1815 e, al secondo comma,
ha tuttavia previsto che «Ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della
legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato
e, per quanto di competenza, con il Ministro della sanità, fissa con
proprio decreto, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i requisiti per l’esercizio delle attività di
cui all’articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1815».
L’art. 2 del testo in esame non innova in alcun modo rispetto all’art. 24 della precedente legge e non supera l’esigenza dell’emanazione di un regolamento di attuazione, che individui i requisiti e il
contenuto della disciplina delle c.d. società professionali multidisciplinari, posto che l’art. 24, comma 2, della precedente legge Bersani
è tuttora vigente. Anzi, la nuova normativa ha un’apparente portata
abrogativa che è più restrittiva della norma contenuta nell’art. 24,
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Rivista del Consiglio
POLITICA FORENSE
comma 2, in quanto ammette società professionali multidisciplinari
costituite soltanto nella forma delle società di persone.
Restano, tuttavia, attuali i problemi connessi alla mancata emanazione del regolamento governativo, sui quali si è, già in passato,
espressa la giurisprudenza di merito, che, per un verso ha escluso
che, in mancanza del regolamento di attuazione, possano essere costituite società professionali multidisciplinari nella forma della società di capitali, in presenza di un rinvio ad un istituto non introdotto da specifica fonte normativa e, quindi, indeterminato quanto a
contenuto e non valutabile come conforme al sistema (Tribunale di
Milano, decreto 27.05.1998 in Giur. It., 1999, 1012) e, per altro verso,
ha ritenuto legittima la costituzione di tali società nella forma delle
società di persone e, particolarmente, nella forma della società semplice (Tribunale di Milano, decreto 5 giugno 1999, in Società, 1999,
pag. 984).
Di conseguenza, anche gli avvocati possono partecipare a società
professionali multidisciplinari nella forma della società di persone,
disciplinate dal codice civile, non essendo di ostacolo il divieto, da
ritenersi tuttora vigente, di esercitare attività commerciali, stabilito
dall’art. 3 dell’ordinamento professionale, perché tali società eserciterebbero una “impresa civile”, che secondo parte della giurisprudenza e della dottrina, rappresenterebbe un tertium genus rispetto a
quella dell’impresa commerciale e di quella agricola.
Deve, comunque, escludersi che a tali società possano partecipare anche soggetti non esercenti attività professionale per il disposto
dell’art. 2232 c.c., che impone al prestatore d’opera di eseguire personalmente l’incarico (in tal senso, T.A.R. Lazio, sez. III, 19.05.2000,
n. 4107). Il principio della personalità della prestazione, posto a presidio del rapporto fiduciario tra cliente e professionista, esclude che,
in difetto di un’espressa e diversa previsione normativa l’incarico
professionale possa essere conferito direttamente alla società professionale, ma non esclude l’imputazione del compenso alla stessa.
Resta da chiedersi se il decreto Bersani recentemente convertito
in legge incida sulla disciplina delle STP, di cui al d. lgs.vo 2.02.2001,
n. 96, approvato in attuazione della direttiva 98/5/CE.
Ed invero, l’art. 16, comma 1, del richiamato decreto legislativo
Rivista del Consiglio
77
Avvocatura e Decreto Bersani: i chiarimenti del CNF
dispone che «l’attività professionale di rappresentanza, assistenza e
difesa in giudizio può essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della società tra professionisti, denominata nel
seguito società tra avvocati».
Pare, quindi, che la norma indicata si ponga come legge speciale,
rispetto alla disciplina generale, escludendo che l’attività di rappresentanza e difesa giudiziale, che è oggetto di tutela costituzionale,
possa essere esercitata in forma societaria diversa da quella delle
STP.
Se così fosse, l’art. 2 del decreto convertito, avendo portata generale, non potrebbe derogare la disciplina speciale e avrebbe il solo
effetto di consentire l’esercizio, in forma di società, multidisciplinare della sola attività di consulenza.
Quanto alle “associazioni”, sono ammesse anche associazioni
temporanee, ma esse debbono essere esclusive, perché il testo in
esame mantiene il divieto di partecipare a più associazioni o a più
società di professionisti.
In ogni caso, vi è ribadita la personale responsabilità del professionista per l’attività prestata.
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
FORMAZIONE
E
AGGIORNAMENTO
Consiglio Nazionale Forense
Seduta del 18 gennaio 2007
“Regolamento per la
formazione permanente”
CONSIDERATO
- che al Consiglio Nazionale Forense e ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati è affidato il compito di tutelare l’interesse pubblico al corretto esercizio della professione e quello di garantire la
competenza e la professionalità dei propri iscritti, nell’interesse
della collettività;
- che al Consiglio Nazionale Forense è attribuito dall’ordinamento
professionale il potere di determinare i principi della deontologia professionale e le sue deliberazioni costituiscono regolamenti
adottati in forza di un autonomo potere che ripete la sua disciplina da leggi speciali, in conformità dell’art. 3 delle disposizioni
sulla legge in generale;
- che è dovere dell’avvocato svolgere la propria attività professionale nel rispetto dei principi imposti dall’appartenenza alle
organizzazioni professionali comunitarie e di quelli stabiliti dall’ordinamento interno, nonché dei principi individuati dal codice deontologico forense;
- che, in particolare, il preambolo del codice deontologico forense affida all’avvocato il compito di tutelare i diritti e gli interessi della
persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo, in
Rivista del Consiglio
79
Regolamento per la formazione permanente
tal modo, all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia;
- che l’art. 12 del Codice deontologico forense impone all’avvocato
il dovere di competenza;
- che l’art. 13 del Codice deontologico forense dispone: “È dovere
dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività. I. L’avvocato
realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense. II. È dovere deontologico dell’avvocato quello
di rispettare i regolamenti del Consiglio nazionale forense e del
Consiglio dell’Ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e
i programmi formativi”;
- che l’esercizio della funzione di avvocato, stante la continua produzione normativa e il progressivo affinarsi dei canoni di interpretazione del diritto, impone la necessità di un costante aggiornamento, al fine di assicurare la più elevata qualità della prestazione professionale;
HA APPROVATO
IL SEGUENTE REGOLAMENTO
ARTICOLO 1
Formazione professionale continua
Tutti gli avvocati iscritti all’Albo hanno l’obbligo deontologico di
mantenere e migliorare la propria preparazione professionale, curandone l’aggiornamento.
A tal fine, essi hanno il dovere di partecipare alle attività di formazione professionale continua disciplinate dal presente regolamento, secondo le modalità ivi indicate.
Con l’espressione “formazione professionale continua” si intende ogni attività di aggiornamento, accrescimento e approfondimento delle conoscenze e delle competenze professionali, mediante la
partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico e forense.
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
ARTICOLO 2
Durata e contenuto dell’obbligo
L’obbligo di formazione decorre dalla data di iscrizione all’albo.
L’anno formativo coincide con quello solare.
Il periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale.
L’unità di misura della formazione continua è il “credito formativo”.
Ai fini dell’assolvimento degli obblighi di cui all’art. 1, ogni
iscritto deve conseguire nel triennio almeno n. 90 crediti formativi,
che sono attribuiti secondo i criteri indicati nei successivi artt. 3 e 4,
di cui almeno n. 20 crediti formativi debbono essere conseguiti in
ogni singolo anno formativo.
Ogni iscritto sceglie liberamente gli eventi e le attività formative
da svolgere, in relazione ai settori di attività professionale esercitata, nell’ambito di quelle indicate ai successivi articoli 3 e 4, ma
almeno n. 5 crediti formativi annuali devono derivare da attività ed
eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la
deontologia.
La verifica dell’adempimento del dovere di formazione continua
è esercitata dai Consigli dell’Ordine con le modalità previste dal
successivo art. 8.
L’adempimento dell’obbligo formativo costituisce presupposto
per l’indicazione del settore di attività prevalente ai sensi dell’art.
17 bis del codice deontologico.
ARTICOLO 3
Eventi formativi
Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale
continua la partecipazione effettiva agli aventi di seguito indicati,
promossi, organizzati, o accreditati anche stabilmente dal Consiglio
Nazionale Forense e dai Consigli dell’Ordine e dalla Cassa Nazionale di previdenza forense:
a) corsi di aggiornamento e masters, anche eseguiti con modalità
telematiche nei limiti in cui sia possibile il controllo della partecipazione;
b) seminari, convegni, giornate di studio e tavole rotonde;
Rivista del Consiglio
81
Regolamento per la formazione permanente
c) commissioni di studio, gruppi di lavoro istituiti dagli organismi sopra elencati o da organismi nazionali ed internazionali della
categoria professionale;
d) gli altri eventi individuati dal Consiglio Nazionale Forense e
dai Consigli dell’Ordine.
La partecipazione agli eventi formativi sopra indicati attribuisce
n. 3 crediti formativi per ogni metà giornata di partecipazione, con
il limite massimo di n. 9 crediti per la partecipazione ad ogni singolo evento formativo.
La partecipazione agli eventi di cui alle lettere a) e b) promossi
od organizzati da altri enti, istituzioni, associazioni forensi od organismi pubblici o privati dà luogo al conseguimento dei medesimi
crediti formativi, ove gli eventi stessi siano stati preventivamente
accreditati dal Consiglio nazionale forense o dai Consigli dell’Ordine.
L’accreditamento viene concesso valutando la tipologia e la qualità dell’evento formativo, nonché gli argomenti trattati.
ARTICOLO 4
Attività formative
Integra assolvimento degli obblighi di formazione professionale
continua lo svolgimento delle attività di seguito indicate:
a) relazioni o lezioni negli eventi formativi di cui alle lettere a) e
b) dell’art. 3, ovvero nelle scuole forensi o nelle scuole di specializzazione per le professioni legali;
b) pubblicazioni in materia giuridica su riviste specializzate a
diffusione nazionale, ovvero pubblicazioni di libri, saggi, monografie o trattati, anche come opere collettanee, su argomenti giuridici;
c) docenze in materie giuridiche in Università, in istituti universitari ed enti equiparati;
d) partecipazione alle commissioni per gli esami di Stato di avvocato.
Il Consiglio dell’Ordine attribuisce i crediti formativi per le attività sopra indicate, tenuto conto della natura della attività svolta
e dell’impegno dalla stessa richiesto, con il limite massimo di n. 6
82
Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
crediti per le attività di cui alla lettera a), di n. 6 crediti per le attività
di cui alla lettera b), di n. 15 crediti per le attività di cui alla lettera c)
e di n. 12 crediti per le attività di cui alla lettera d).
ARTICOLO 5
Esoneri
Sono esonerati dagli obblighi formativi, relativamente alle materie
di insegnamento, i docenti universitari di ruolo, di prima e seconda
fascia, nonché i ricercatori con incarico di insegnamento.
Il Consiglio dell’Ordine, su domanda dell’interessato, può esonerare, anche parzialmente, per gravi motivi, l’iscritto dallo svolgimento
dell’attività formativa.
Nei casi di:
- maternità
- grave malattia o infortunio
- interruzione per un periodo non inferiore a sei mesi dell’attività
professionale
- altre ipotesi indicate dal Consiglio Nazionale Forense
l’esonero può essere accordato limitatamente al periodo in cui
l’impedimento si verifica.
All’esonero consegue la riduzione dei crediti formativi da acquisire
nel corso del triennio, proporzionalmente alla durata dell’esonero.
ARTICOLO 6
Adempimenti degli iscritti e inosservanza
dell’obbligo formativo
Ciascun iscritto deve depositare, a richiesta del Consiglio dell’Ordine al quale è iscritto, una sintetica relazione che certifica il percorso
formativo seguito nell’anno precedente, indicando gli eventi formativi seguiti e documentando le attività formative svolte.
Costituisce illecito disciplinare il mancato adempimento dell’obbligo formativo e la mancata o infedele certificazione del percorso
formativo seguito.
La sanzione è commisurata alla gravità della violazione.
Rivista del Consiglio
83
Regolamento per la formazione permanente
ARTICOLO 7
Attività del Consiglio dell’Ordine
Ciascun Consiglio dell’Ordine dà attuazione alle attività di formazione professionale e vigila sull’effettivo adempimento dell’obbligo
formativo da parte degli iscritti nei modi e con i mezzi ritenuti più
opportuni, regolando le modalità del rilascio degli attestati di partecipazione agli eventi formativi organizzati dallo stesso Consiglio.
In particolare, i Consigli dell’Ordine, entro il 30 novembre di ogni
anno, predispongono, anche di concerto tra loro, un programma degli
eventi formativi che intendono organizzare nel corso dell’anno solare
successivo, indicando i crediti formativi per la partecipazione a ciascun
evento. Nel programma annuale devono essere previsti eventi formativi aventi ad oggetto l’ordinamento professionale e la deontologia.
I Consigli dell’Ordine realizzano il programma, anche di concerto con gli altri Consigli dell’Ordine e favoriscono, ove possibile, la
formazione gratuita, utilizzando risorse proprie o quelle ottenibili
da sovvenzioni o contribuzioni erogate da enti finanziatori pubblici
o privati per la partecipazione agli eventi formativi.
Entro il 30 novembre di ogni anno, i Consigli dell’Ordine sono
tenuti a comunicare al Consiglio Nazionale Forense una relazione che
illustri il programma formativo dell’anno solare successivo e indichi
i criteri e le finalità cui il Consiglio si è attenuto nella predisposizione
del programma stesso.
ARTICOLO 8
Controlli del Consiglio dell’Ordine
Il Consiglio dell’Ordine verifica l’effettivo adempimento dell’obbligo formativo da parte degli iscritti, secondo le modalità che dovranno essere contenute nella relazione illustrativa del programma
formativo, di cui al precedente art. 7, attribuendo agli eventi e alle
attività formative documentate i crediti formativi secondo i criteri
indicati dagli artt. 3 e 4.
Ai fini della verifica, il Consiglio dell’Ordine può chiedere all’iscritto e ai soggetti che hanno organizzato gli eventi formativi chiarimenti
e documentazione integrativa.
84
Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
Ove i chiarimenti non siano forniti e la documentazione integrativa richiesta non sia depositata entro il termine di giorni 20 dalla
richiesta, il Consiglio non attribuisce crediti formativi per gli eventi
e le attività che non risultino documentate.
Per lo svolgimento di tali attività, il Consiglio dell’Ordine può avvalersi di apposita commissione, costituita anche da avvocati esterni
al Consiglio. Ove il Consiglio si sia avvalso di tale facoltà, il parere
espresso dalla commissione è obbligatorio, ma può essere disatteso
dal Consiglio con deliberazione motivata.
ARTICOLO 9
Attribuzioni del Consiglio Nazionale Forense
Il Consiglio Nazionale Forense promuove ed indirizza lo svolgimento
della formazione professionale continua, individuandone i nuovi settori
di sviluppo e favorisce l’ampliamento dell’offerta formativa, anche organizzando direttamente, o per il tramite della Fondazione dell’Avvocatura
Italiana e del Centro per la Formazione, eventi formativi.
Il consiglio Nazionale Forense, anche avvalendosi della Fondazione dell’Avvocatura Italiana e del Centro per la Formazione, assiste
i Consigli dell’Ordine nella predisposizione e nell’attuazione dei
programmi formativi e vigila sull’adempimento da parte dei Consigli
delle incombenze ad essi affidate.
Il Consiglio Nazionale Forense valuta le relazioni trasmesse dai
Consigli dell’Ordine a norma del precedente art. 7, esprimendo
il proprio parere sull’adeguatezza dei programmi formativi dai
Consigli dell’Ordine, eventualmente indicando le modifiche che vi
debbano essere apportate, con l’obiettivo di assicurare l’effettività e
l’uniformità delle formazione continua.
Il parere del Consiglio Nazionale Forense deve essere espresso
entro il termine di quaranta giorni dalla presentazione delle relazioni;
diversamente il programma formativo di intende approvato.
In caso di parere negativo, il Consiglio dell’Ordine è tenuto nei
trenta giorni successivi a trasmettere un nuovo programma formativo,
che tenga conto delle indicazioni e dei rilievi formulati dal Consiglio
Nazionale Forense.
Rivista del Consiglio
85
Regolamento per la formazione permanente
ARTICOLO 10
Norme di attuazione
Il Consiglio Nazionale Forense emana le norme di attuazione e
coordinameznto che si rendessero necessarie in sede di applicazione
del presente regolamento.
ARTICOLO 11
Entrata in vigore
Il presente regolamento entra in vigore dal 6 luglio 2007.
Il primo periodo di valutazione della formazione continua decorre
dal 1 gennaio 2008.
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
La formazione del praticante
e l’aggiornamento dell’Avvocato
alla attenzione del Consiglio Nazionale
di LUPIENSIS CIVIS
All’impegno per la formazione del praticante che appartiene al
novero dei compiti ministeriali tradizionali dell’Ordine forense,
oggi, anche sulla base di precise direttive europee, si aggiunge l’impegno per l’aggiornamento permanente anche del professionista
abilitato: la rilevanza costituzionale (di diritto umano) del diritto ad
una difesa effettiva, competente, vera, non consente all’Ordine Forense (Ente ausiliare dello Stato, cui è devoluto, appunto, il compito
di assicurare al Cittadino, alla Collettività “quella” difesa) di limitarsi a sancire, con norme regolamentari, il dovere dell’aggiornamento
permanente, avverte la esigenza di apprestare strumenti con i quali
si offrono occasioni di aggiornamento agli iscritti (non sempre inclini
ad accettare financo il solo principio della necessità di un aggiornamento
“sistematico ed organico”, e per di più “permanente”.
Mosso da tali esigenze, il Consiglio Nazionale va promuovendo
presso i Consigli degli Ordini Circondariali (e distrettuali) la attività
idonea all’assolvimento di quell’impegno ed alle verifiche relative.
Tramite la Fondazione istituita dallo stesso Consiglio e che ha tra
i suoi scopi appunto la Formazione e l’aggiornamento, ha chiamato
i Consigli degli Ordini e le Scuole Forensi ad incontri seminariali di
studio e di approfondimento (Roma, 19 maggio 2007; Roma 20-21
giugno 2007): è emersa la lodevole attività delle numerose scuole
forensi presenti sul territorio, al servizio, dei praticanti e degli avvocati ed è emersa la esigenza di un coordinamento tra le attività
svolte dai singoli Ordini e dalle singole Scuole in funzione del raggiungimento degli scopi cui tendono i principi espressi nelle norme
Rivista del Consiglio
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La formazione del praticante e l’aggiornamento dell’Avvocato...
costituzionali di cui agli artt. 24, 33, 111, non senza riferimento ai
principi sulla devoluzione espressi anche nell’art. 2229 C.C.
L’Ordine di Lecce non ha mancato di aderire all’invito, di partecipare, di apportare il contributo della esperienza e delle esigenze
del Foro Salentino con il Presidente De Giorgi e con il Direttore della
Scuola Caprioli.
In effetti, gli incontri “Romani” sono caratterizzati dalla presenza
responsabile ed attenta, sia dei Presidenti dei Consigli dell’Ordine,
sia dei responsabili delle Scuole Forensi (le quali potranno essere
chiamate a nuovi compiti – non ultimo quello della verifica “delegata” del compimento della pratica da parte del tirocinante, in funzione del rilascio certificato di compiuta pratica); sono presenti, anche,
numerosi Consiglieri degli Ordini, a conferma della enorme importanza che, questo della Formazione, ha tra le novità riformistiche
dell’Ordinamento Forense (ammesse da gesti della Autonomia Ordinistica ed associativa, nonostante la inerzia del Legislatore).
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
VII Congresso Internazionale
Lecce 1966
Societe Internationale de defense sociale, VIIe Congres International, Lecce, 19-24
septembre 1966, organisé per Centro Nazionale di Prevenzione e difesa Sociale,
Milano - Centro Studi Giuridici, Lecce - Ces Actes sont publiés avec le concours du
Centre d’Etudes de Defense Sociale de l’Institut de droit compare de Paris.
Rivista del Consiglio
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Congresso Giuridico Forense - Lecce 1979
“La ‘cartolina’ del 15° Congresso Giuridico Forense, tenutosi a Lecce dal 29 settembre al 4 ottobre 1979. Ideazione: Fumarola Mauro - Guarino Zilli; creazione in ferro
decorato: prof. Ferruccio Zilli - Cavallino (Lecce); composizione fotografica: Vittorio
Caprioli, Congedo Editore, Galatina (Lecce).
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
La centralità del sistema ordinistico
e le Scuole Forensi
La Direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005
La sentenza della Corte Cost. 24 ottobre 2005 n. 405
La riforma dell’art. 13 del Codice deontologico
sul Dovere di aggiornamento professionale
di LUCIO CAPRIOLI
Quasi ...a mo’ di aggiornamento (anche ...professionale), sulla
soprascritta nota che si riferisce ai “Corsi di Formazione”, ascritti
doverosamente a merito della impegnativa attività del Centro De
Pietro – [tuttavia, merito, del pari, è da riconoscersi ad altre iniziative omologhe, quali, ad es., il Corso di aggiornamento teorico pratico in
Diritto Amministrativo, curato dalla Camera amministrativa e dal
T.A.R., con la ulteriore considerazione che tali corsi, siano definiti essi
di formazione oppure di aggiornamento, si realizzano sempre con la
collaborazione degli Ordini Forensi] – è dovuta la annotazione, senza commento, di alcuni eventi – plurali per la diversità delle fonti
– che testimoniano, per un verso la dinamica magmatica della regolamentazione (che è giuridica, ancorché talvolta promani dall’Ordinamento professionale e non dal Legislatore tradizionale) sugli
Ordini, sui loro compiti, sulle aspettative, per altro verso proprio la
concretezza della esigenza dell’aggiornamento ...quotidiano, istituito che, coefficiente essenziale della cultura universale della Educazione permanente, ed è strumentale, in particolare, alla “effettività”
della difesa, consente, ad un tempo, all’aspirante-praticante di formarsi, ed al professionista anziano di non invecchiare.
a) innanzi tutto, la riforma significativa dell’art. 13 del Codice
deontologico forense, secondo il quale È dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività:
Rivista del Consiglio
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La centralità del sistema ordinistico e le Scuole Forensi di L. Caprioli
I) L’avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio
individuale e la partecipazione ad iniziative culturali in campo giuridico
e forense;
II) È dovere deontologico dell’avvocato quello di rispettare i regolamenti del C.N.F. e del C.d’O. di appartenenza concernenti gli obblighi ed i
programmi formativi [e qui, per incidens, è da sottolinearsi l’indirizzo, sempre più “incalzante”, del Giudice della legittimità, secondo
il quale le regole deontologiche sono da considerarsi, anche nei
rapporti esterni, norme di diritto integrative di quelle di cui agli
artt. 2236 e 1176 cod. civ. (un esempio assai significativo in Cass. 30
luglio 2004 n. 14597, che si inserisce, tra l’altro, nel filone tracciato
dalle Sezioni Unite – tra tante: 6 giugno 2002 n. 8225, 12 marzo 2004
n. 5164); si fa strada, accanto all’antico principio di devoluzione e di
sussidiarietà associativa presente nell’Ordinamento professionale
in genere (sin dai tempi della Presidenza Zanardelli e della Legge 8
giugno 1874 n. 1938 istitutiva degli Ordini), nella Legge sull’Ordinamento professionale n. 1578 del 1933 (artt. 12 e 38 in particolare) e
nel Codice Civile del 1942 (art. 2229 in particolare) il principio della
c.d. dislocazione policentrica del sistema normativo)].
b) segue, ed anzi consegue, la deliberazione del C.N.F. con la quale è stato reso obbligatorio nell’iscritto esercente la professione la...
frequenza di veri e propri corsi di aggiornamento (una sorta di ritorno
tra i banchi di scuola), questi, a loro volta, compito istituzionale, atto
dovuto, non più facoltativo, dell’Ordine forense, cui è assegnato
l’ulteriore compito della verifica dell’aggiornamento nell’iscritto, la
quale, rappresentata come “verifica del permanere nel tempo dei presupposti di formazione professionale”, ha già destato perplessità ed anzi
opposizioni in ordine alla esistenza nel C.N.F. di siffatto potere, che
implica una sorta di potere... permanente, assegnato all’Ordine, di
esame di abilitazione anche a carico del già iscritto, il quale ha già
sostenuto l’Esame di Stato ex art. 33 Cost. Il rilievo non è di poco
conto quando si pensi che fino ad oggi il C.N.F. non ha mancato di
riconoscere il diritto alla “nuova iscrizione”, ex art. 37, comma 6,
della Legge Professionale, benché la cancellazione per incompatibilità c.d. temporanea si sia verificata decine e decine di anni prima
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Rivista del Consiglio
FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO
ed ha stabilito che per la reiscrizione non si debba richiedere alcuna
verifica sulla permanenza della abilitazione professionale (si perdoni il confronto: l’automobilista che subisca una sospensione temporanea breve della patente, per riottenere la patente, deve sostenere
ex novo l’esame di abilitazione!).
c) c’è, poi, una rilevante decisione della Corte Costituzionale (3
novembre 2005 n. 405 – Pres. Capotosti, Rel. Contri) nella quale è
stata ribadita la centralità del sistema ordinistico: l’Ordinamento, con
la organizzazione degli Ordini e dei Collegi, risponde alla esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede
che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso e ad istituire appositi enti pubblici ad appartenenza necessaria, cui affidare il compito di
curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirano ad
iscriversi... è finalizzato a garantire il corretto esercizio della professione a
tutela dell’affidamento della collettività. Dalla dimensione nazionale – e
non locale – dell’interesse sotteso alla sua infrazionabilità deriva che sia
implicata la materia “Ordinamento e organizzazione amministrativa
dello Stato e degli Enti pubblici nazionali che l’art. 117 2° comma
lett. g) della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello
Stato, piuttosto che alla materia “professioni” di cui al 3° comma del
medesimo art. 117.
d) C’è, infine, una Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005, n. 2005/36/CE, nella quale si prevede
(e si consente) che, in materia di organizzazione delle professioni,
di norme professionali e deontologiche, di disciplina dell’accesso,
della formazione, e dell’apprendimento continuo, di controllo sull’esercizio delle professioni e di responsabilità relativa, ciascuno Stato
membro, oltre il minimum delle regole comunitarie, adotti regole
speciali, con distinzione tra professione e professione, giustificate
dall’interesse pubblico generale (e non vi è dubbio che qui si inserisca la esigenza, già sottolineata nell’arcinoto D.lgs. lgt. 23 novembre 1944 n. 382, sulla restaurazione democratica dei Consigli degli
Ordini e dei Collegi professionali, il quale al capo III prevedeva ed
Rivista del Consiglio
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La centralità del sistema ordinistico e le Scuole Forensi di L. Caprioli
annunciava “Disposizioni speciali per la professione di avvocato”, con
riferimento alla speciale funzione sociale, di rango costituzionale,
di questa professione (artt. 24, 111 Cost.), e non senza collegamento
ideale e culturale al pensiero di Zanardelli, Avvocato e Ministro, il
quale, centoventi anni addietro scrive, nella sua magistrale relazione al progetto di codice penale: ...giustamente le leggi circondano di
decoro e di guarentigie la professione degli avvocati... siccome quelli che
con il ministero nobilissimo intendono a proteggere i diritti dei cittadini, ed
efficacemente cooperano con l’ingegno e con la dottrina alla buona amministrazione della Giustizia; e non vi è dubbio che questi stessi valori
vengono attinti ad un’unica inesauribile fonte universale di diritto
umano cui si ispira il preambolo del Codice Deontologico.
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
CENTRO STUDI GIURIDICI
MICHELE DE PIETRO
Il Centro Studi “Michele De Pietro”
di ANTONIO SERGI
Il Centro Studi “Michele De Pietro” fu fondato nel II dopoguerra
dall’Avv. Primo Tondo che ne è stato il Presidente fino alla sua morte. Il nome che originariamente gli fu attribuito era “Centro Studi
Giuridici”.
Nell’ottobre del 1967 morì Michele De Pietro, già Ministro della
Giustizia e V. Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura
e sua moglie, N.D. Clementina Fumarola De Pietro, donò l’abitazione di proprietà dei coniugi DE Pietro, sita alla via Umberto I angolo
vicolo dei Fieschi, a mezzo atto pubblico per Notar Buonerba del
5 dicembre 1972, rep. 58093 all’Ordine forense di Lecce. Tale donazione fu effettuata con la specifica condizione che l’immobile e
segnatamente il primo piano di esso, venisse utilizzato quale sede
del Centro Studi “Michele De Pietro”.
Dopo la morte dell’Avv. Primo Tondo avvenuta nel 1972, presidente fu nominato l’Avv. Francesco Salvi. L’attuale presidente è
l’Avv. Vittorio Aymone. Il Centro Studi conta circa 200 iscritti. La
sua sede è ancora alla via Umberto I n. 32 angolo vicolo dei Fieschi,
nella parte più significativa del centro storico.
L’impegno costante del Centro Studi si concretizza anche nei numerosi convegni e seminari che da esso vengono organizzati. È opportuno segnalare fra gli altri il XXIV Convegno tenutosi sul tema
“Per una giusta penale più sollecita: ostacoli e rimedi ragionevoli”, organizzato con il patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce e con
la collaborazione della Facoltà di Giurisprudenza – Dipartimento di
Studi Giuridici dell’Università degli Studi di Lecce. Il più recente e
Rivista del Consiglio
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Il Centro Studi “Michele De Pietro” di A. Sergi
senz’altro impegnativo è stato il Corso di formazione in Diritto Penale dell’Economia, con durata dal settembre 2007 a gennaio 2007
che si è articolato in ben 19 incontri in tutto detto periodo.
Nel 1992 venne istituita la sezione giovanile che ha assunto la
qualifica di “Centro Studi giuridico-sociale”. Si caratterizza per l’approfondimento di tematiche giuridiche e sociali estendendo quelli
che erano gli interessi del vecchio centro che erano esclusivamente
giuridici, costituendo, in tal modo, uno stabile punto di riferimento non
solo per l’Avvocatura, ma anche per la cultura dell’intero Salento. Tanto
è vero che di lì a poco, alla sezione giovanile aderirono oltre ad avvocati anche magistrati, notai, dottori commercialisti e laureati in Scienze
politiche ed in altre discipline. La sezione giovanile iniziò la sua attività
proprio nel 1992 con un convegno sull’immunità parlamentare che vide
protagonisti il prof. Giovanni Conso, il prof. Pietro Di Muccio, gli Avvocati Vittorio Aymone e Giovanni Pellegrino. La sezione giovanile
oggi conta oltre un centinaio di iscritti. L’attuale presidente è l’Avv.
Marcello Fedele, segretario l’Avv. Giandomenico Daniele.
La sezione giovanile del Centro Studi “Michele De Pietro” si è
sempre dimostrata sin dal momento della sua nascita estremamente
vivace e dinamica nell’organizzazione di convegni e tavole rotonde.
Quest’anno, tanto per citarne i più interessanti, ha organizzato degli
incontri di studio a cura dei professori Giulio De Simone, Francesco Centonze e Vittorio Manes dell’Università degli Studi di Lecce
Facoltà di Giurisprudenza – Dipartimento di Studi Giuridici. Fra i
temi oggetto degli incontri si sono susseguiti: il 2 marzo “Il Diritto
Penale nel contesto della globalizzazione”, il 30 marzo “Le indagini in
materia di criminalità economica. Una prospettiva comparata Italia-Stati
Uniti”, il 13 aprile “Multiculturalismo, laicità e diritto penale” ed infine
il 20 aprile “I reati associativi e il terrorismo internazionale”. L’ultimo
in ordine di tempo è stato quello relativo ad un tema attualissimo in
materia di “giusto processo e trasparenza nello sport”. Si è trattato
di una tavola rotonda tenutasi il 26 aprile nella sala conferenze del
Rettorato in collaborazione con l’AIGA e l’Università del Salento.
Tutti questi convegni organizzati hanno riscosso grande interesse nei partecipanti, giovani e non, per l’attualità dei problemi presi
in esame.
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
Concludendo, l’adesione al Centro Studi “Michele De Pietro”
sarà opportuno che divenga sempre più numerosa, poiché consentirà di partecipare a dibattiti ed incontri con avvocati, magistrati e
docenti universitari di notevole spessore. Un luogo di riflessione
per i giovani e di incontri di uomini di varie culture.
Rivista del Consiglio
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Rinnovato il Direttivo
Rinnovato il Direttivo
In una assemblea formale svoltasi nell’Aula “Primo Tondo”, del
Palazzo De Pietro, è stato, su proposta del Presidente Onorario Avv.
Menotti Guglielmi, confermato nel Direttivo “uscente” (per scadenza
temporale di mandato) presieduto dall’Avv. Vittorio Ajmone, cui la
assemblea ha tributato un caloroso plauso per la attività svolta, che
ha confermato il prestigio culturale del “Centro”, il quale ha avviato
la procedura per il riconoscimento.
Alla Assemblea sono stati presentati gli eletti del Direttivo della
Sezione Giovanile, nelle persone di Marcello Fedele, Giandomenico
Daniele, Giuseppe Corleto, Enrico Chirivì, Angela Valloni, Giuseppe
De Pascalis, Agnese Caprioli, Michele Bonsegna, Roberto Rella.
Infine la Assemblea ha approvato una proposta di “restaurare”
la epigrafe da affigersi in una targa (previa autorizzazione delle
Autorità locali) del seguente tenore:
IN QUESTA CASA
OPERÒ, E CONCLUSE LA SUA ESISTENZA TERRENA
MICHELE DE PIETRO,
DI QUESTA TERRA FIGLIO ELETTO
E DELLE SUE TRADIZIONI GIURIDICHE E FORENSI
TESTIMONE E PROTAGONISTA ESEMPLARE.
SERVÌ SEMPRE LA COMUNITÀ
NEI MOLTEPLICI IMPEGNI DI RESPONSABILITÀ IN CUI VENNE CHIAMATO.
AVVOCATO PRINCIPE ED ORATORE INSIGNE,
PRESIEDETTE IL CONSIGLIO DELL’ORDINE FORENSE
CON ESEMPLARI EQUILIBRIO E DIGNITÀ.
I CARISMI DI GIURISTA PROFONDO, ATTENTO ALLA TRADIZIONE,
MA APERTO ALLA RICERCA,
SPESE NEL MUNUS IL MINISTRO GUARDASIGILLI,
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
RIFORMATORE PER UN PROCESSO A MISURA D’UOMO,
SEGNO E STRUMENTO DI CIVILTÀ.
TALI CARISMI, IN UNO CON QUELLI DI UOMO POLITICO,
ATTENTO EQUILIBRATO E PRUDENTE,
SPESE NEI MUNERA
VICE PRESIDENTE DEL SENATO,
E DI VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA.
NEL NOME DI LUI,
NELLA CONDIVISIONE DEI SENTIMENTI DI LUI,
GENEROSO ED ATTENTO VERSO LE PROSPETTIVE E LE ESIGENZE DEI GIOVANI,
LA SUA DILETTA CONSORTE, NOBILDONNA CLEMENTINA FUMAROLA,
DONÒ QUESTA CASA.
DI
Rivista del Consiglio
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Corso di Diritto Penale dell’economia
Corso di Diritto Penale dell’economia
Sintesi degli interventi di saluto
Colleghi, signori, autorità, innanzitutto vi ringrazio di essere venuti, di avere accolto l’invito ad essere presenti in questa giornata
di inaugurazione del corso che il Centro Studi Giuridici “Michele
De Pietro”, con la collaborazione dell’Università, dell’Ordine degli
Avvocati di Lecce e della Fondazione Semeraro, ha organizzato. Un
ringraziamento personale mi sia consentito a sua eccellenza dottor
Marvulli, per avere accettato immediatamente, senza condizioni e
senza alcuna perplessità, l’invito ad inaugurare questo corso che
andiamo a svolgere. Un ringraziamento mi sia consentito pure a sua
eccellenza il dottore Toriello, perché senza la sua collaborazione per
questo corso non avrei avuto la possibilità di ospitare o di invitare
le persone che verranno anche negli incontri prossimi.
Dopo questi doverosi ringraziamenti, voglio ricordare che questo
è il quarto corso che il Centro Studi Giuridici “Michele De Pietro”
ha organizzato, però è il primo corso di Diritto Penale. Le ragioni
che hanno spinto il Centro Studi ad organizzare un corso di aggiornamento, di perfezionamento in Diritto Penale sono duplici: la più
importante, principale ritengo, è quella che il proliferarsi della legislazione in materia di Diritto Penale, complementare rispetto a ciò
che è il Codice, ha reso difficile il compito dell’operatore del diritto,
a causa dell’applicazione quotidiana di tali norme. Potremmo dire
addirittura che il proliferarsi di queste norme abbia in un certo senso messo un po’ da parte il Codice Penale, al di là di quelli che sono
i reati previsti dalla normativa penale speciale.
Il diritto penale dell’economia comprende diversi ambiti, in quanto
tali norme complementari trattano del Diritto Penale dell’Ambiente,
del Diritto Penale Societario, del Diritto Penale del Lavoro, del Diritto
Penale Tributario, del Diritto Penale Societario. Sono pertanto norme
che addirittura potrebbero costituire il fulcro di quelli che sono i beni
giuridici o gli interessi della società attuale, della società moderna.
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
Non sfuggirà certamente alla vostra attenzione, che c’è stato un
proliferare di leggi penali finanziarie, forse dovute anche al problema della privatizzazione affrontato dallo Stato italiano, che pongono in difficoltà l’interprete, l’operatore del diritto. Secondo il mio
parere, il Diritto Penale dell’Economia dovrebbe trovare collocazione nel Codice Penale, cioè si dovrebbe parlare di codificazione più
che di frammentarietà di norme, in quanto la codificazione rafforzerebbe il principio della certezza del Diritto. La presenza di norme
sparse, e di natura comunitaria e statuale, crea difficoltà e induce
a commettere anche degli errori nel momento in cui si tutelano gli
interessi del collettività e del privato cittadino insieme. Questo è
stato il primo motivo per cui il Centro Studi Giuridici Michele De
Pietro ha inteso organizzare un corso di Diritto Penale dell’Economia. L’importanza di questa branca del diritto ci ha portato ad organizzare il corso nella prospettiva di attuare quelli che sono i fini
istituzionali del Centro, e cioè l’aggiornamento dell’Avvocatura Salentina; aggiornamento professionale che peraltro certamente è stato recepito nel Codice Deontologico. Il nostro Codice di Autoregolamentazione prevede un aggiornamento culturale dell’Avvocato; dal
momento che esiste l’aggiornamento culturale della Magistratura,
ci deve essere anche un aggiornamento culturale dell’Avvocatura,
perché come disse in un convegno il professore Galgano, Avvocatura e Magistratura sono come due vasi comunicanti e pertanto non
possiamo avere una Avvocatura preparata ed una Magistratura
meno preparata o viceversa: devono andare di pari passo, e quindi
anche l’Avvocatura Leccese, l’Avvocatura Salentina deve aggiornarsi periodicamente sui fenomeni sociali, sulla legislazione.
Il secondo motivo ha carattere affettivo: questo corso è stato organizzato in ricordo di un nostro illustre collega scomparso, che
tanto lustro ha dato all’Avvocatura Leccese: l’Avvocato Enzo Vernaleone, scomparso da qualche anno. La sua commemorazione sarà
tenuta alla conclusione del corso, in sede di rilascio degli attestati di
frequenza a coloro i quali sosteranno un colloquio sulle tesine che
compileranno sui vari argomenti trattati durante il corso.
MARCELLO MARCUCCIO
Rivista del Consiglio
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Corso di Diritto Penale dell’economia
Eccellenze, signori Magistrati, egregi colleghi, signori ospiti,
prendo la parola su designazione dell’Avvocato Vittorio Aymone,
Presidente del Centro Studi Giuridici denominato Michele De Pietro, che è lievemente infermo e quindi dolente di non poter rivolgere personalmente un ringraziamento innanzitutto a sua eccellenza il
dottor Nicola Marvulli, primo Presidente della Corte di Cassazione,
nonché un ringraziamento ai 19 egregi relatori del corso negli appuntamenti dal 30 settembre 2006 al 26 gennaio 2007. Analoghi e
grati ringraziamenti anche ai componenti del comitato organizzatore, sul quale è pesato l’onere dello svolgimento dell’ iniziativa.
Peraltro non posso fare a meno, quale decano dei componenti
del nostro Centro, di richiamare, sia pure brevemente, la vita dello
stesso Centro, il quale è stato costituito il 21 dicembre 1974, e sta
quindi per compiere 32 anni, su proposta del valoroso e rimpianto
primo Presidente, Avvocato Primo Tondo. Tale proposta venne poi
convalidata dall’assemblea dell’Ordine degli Avvocati di Lecce, con
l’Avvocato Giuseppe De Simone in qualità di Presidente, il quale
ebbe la intuizione di creare un ente “...che attraverso lo studio e
la ricerca scientifica rinnovasse la sua tradizionale attenzione della
cultura salentina, dei problemi del Diritto e della Giustizia, privilegiando le iniziative tese alla formazione ed all’aggiornamento dei
giovani aspiranti all’Avvocatura ed alla Magistratura”.
Nacque così il Centro che, grazie alla sua attività, oggi è collocato per unanime riconoscimento fra le analoghe e più prestigiose
istituzioni a livello nazionale sotto la presidenza dell’Avvocato Tondo prima, del defunto Avvocato Francesco Salvi poi e attualmente
dell’Avvocato Vittorio Aymone, il quale ha sempre dedicato ogni
sua forza e qualità per perfezionare il Centro ed aprire nuovi campi
di attività. Costui ha voluto svolgere questo corso di formazione di
Diritto Penale dell’Economia ed ha benevolmente ottenuto la inaugurazione da parte di sua eccellenza Marvulli. Il campo scelto, cioè
quello del Diritto Penale dell’Economia, solo parzialmente è stato
coltivato e merita maggiore considerazione. L’augurio che rivolgiamo agli operatori è: buon lavoro e pieno successo.
MENOTTI GUGLIELMI
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
Relazione introduttiva del corso
Se io dovessi ringraziare adeguatamente coloro che mi hanno
preceduto, se dovessi manifestare adeguatamente la mia gratitudine di fronte all’ospitalità ed all’interesse che essi hanno dimostrato
verso di me, e soprattutto verso le funzioni che io attualmente esercito, dovrei ulteriormente forse tediare la vostra attenzione, e non
avrei parole degne di esprimere i miei sentimenti.
…………………
Io ho accettato di venire a Lecce, una città a me cara nei ricordi,
ricordi della mia giovinezza. Questo antico Municipio romano che
era stato disputato da tutte le civiltà che si sono succedute, ma che
di queste civiltà conserva tracce ineliminabili; Municipio fatto forte
dai Normanni, ma che conobbe anche lo splendore dei Bizantini.
Ora ho accettato perché rincontravo te, rincontravo conoscenze pregresse che hanno anche illuminato il mio percorso professionale:
il Foro Leccese con il quale ho avuto sempre rapporti di stima e di
collaborazione. E poi ho accettato perché venivo a parlare qui a dei
giovani, potendo incontrare anche vecchie conoscenze. Noi vecchi
– diceva Cicerone – portiamo con noi due peccati: quello di credere che dopo di noi c’è il diluvio, che i giovani non saranno capaci
di fare quello che abbiamo fatto noi; e abbiamo un altro peccato:
quello di indulgere nel ricordo del passato. Io che da giovane poco
credevo a questa professione di fede di Cicerone oggi debbo ravvedermi perché in effetti noi vecchi che stiamo per appendere – come
dico sempre – i guantoni al chiodo, pensiamo che dopo di noi non
ci saranno campioni. Viceversa ci saranno! Ecco perché a me piace
parlare ai giovani, perché so che dopo di noi ci sarà qualcuno che
porterà avanti la nostra bandiera.
Poi il tema che avete scelto è un tema di grande interesse scientifico, di grandissima attualità. Un tema che sta impegnando non
soltanto la dottrina, ma la giurisprudenza in una faticosa opera di
coordinamento e di sistemazione. Badate, se qualcuno della mia
generazione avesse pensato negli anni scorsi che si sarebbe parlato oggi del Diritto Penale dell’Economia ci avrebbe creduto poco,
Rivista del Consiglio
103
Corso di Diritto Penale dell’economia
avrebbe detto: “Ma quello cosa dice, cosa pensa? Il Diritto Penale è
Diritto Penale, non ha altre etichette”. Se voi prendete tutta la manualistica che si è sviluppata fino ad un decennio fa troverete in
appendice qualche breve cenno al diritto penale dell’economia, lo
stesso Antolisei nelle varie riedizioni del suo celebre – noi lo chiamavamo il Manuale, oggi si chiama il trattato – trattato di Diritto
Penale riservava un’appendice – una parte speciale la chiamava lui
– la parte speciale del Diritto Penale, perché? Perché il Diritto dell’Economia è sempre stata una parte speciale di qualche cosa: del
Diritto Civile e del Diritto Penale.
Oggi il Diritto Penale dell’Economia ha acquisito un’autonomia
normativa, un’autonomia dottrinale, un’autonomia scientifica. E
che cosa è accaduto allora c’è da chiedersi? In pochi anni da un rapporto di specialità siamo passati ad un rapporto di assoluta autonomia. Ma noi siamo rimasti vittime un po’ per troppo tempo della
sistematica organicità del Diritto Penale, non abbiamo colto questa
autonomia che in altri paesi già c’era: tutto il diritto anglosassone
costituisce un esempio lungimirante di questa realtà. Noi siamo rimasti ancorati a quel principio tramandatoci dal Diritto Classico e
vissuto in tutta la legislazione poi continentale “Societas delinquere
non potest”, abbiamo creduto, fortemente creduto nella responsabilità penale individuale, tant’è che ancora i nostri padri costituenti
ritennero di dover consacrare questo principio come uno dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale nell’Art. 27 della
Costituzione.
Ma allora, vedete, sorge impetuoso quell’interrogativo al quale
ho fatto cenno prima. Cosa è successo, abbiamo buttato a mare questo nobile principio che comporta la responsabilità individuale dell’uomo: l’uomo con il fardello della sua storia personale, della sua
imputabilità, della sua capacità a delinquere? No, non lo abbiamo
buttato alle ortiche, è successo quello che succede da secoli: l’economia traccia i confini del diritto, l’economia trascina il diritto.
Se qualcuno ascoltasse queste mie parole potrebbe dire: ma questa è la lezione che ci veniva tramandata da coloro che credevano
che tutta la società regge sull’economia. No, io la dottrina marxista
non l’ho mai condivisa, però che l’economia sia la locomotiva del-
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
la società, che l’economia trascini – come diceva Hegel – il Diritto,
questo è altrettanto vero; e l’economia oggi non è l’economia di ieri,
e l’economia di domani non sarà l’economia di oggi. Oggi noi ci
confrontiamo già con l’economia mondiale; oggi difendiamo il marchio europeo, domani difenderemo il marchio mondiale.
Ed allora abbiamo dovuto attendere una spinta da parte del Consiglio d’Europa per svegliarci nel campo del Diritto; abbiamo dovuto attendere una risoluzione del Consiglio d’Europa che risale al
non tanto lontano anno del 1988: la risoluzione numero 18. Una risoluzione che doveva obbligare tutti gli Stati membri a puntualizzare come potesse esistere ed essere codificata una responsabilità collettiva degli enti, delle società alle quali appartengono i soggetti che
delinquono nell’interesse della società. E badate, la stessa Francia,
la cui cultura europeista non può certo essere messa in discussione,
ha atteso degli anni per recepire questo principio, perché anche l’ordinamento francese ha fatto resistenza all’accettazione della responsabilità penale collettiva: era una bestemmia anche nell’anno 1988,
e ha dovuto attendere che cosa? Ha dovuto attendere la formazione
del nuovo Codice Penale francese, otto anni dopo la risoluzione europea, 1994, per non fare più menzione della responsabilità penale
individuale e per ammettere la responsabilità penale delle società.
In Europa gli altri Stati sono stati a guardare quasi sbigottiti; la
dottrina si è più volte interrogata sulla legittimità della richiesta europea. Alla Francia seguì timidamente due anni dopo la Spagna, ancora due anni dopo il Belgio, e siamo al ‘98, noi stavamo ancora alla
finestra. Questa graduale accettazione nell’ambito europeo, una recepita paura di sanzioni da parte dell’Europa ha indotto finalmente
il nostro legislatore nel 2000 a saltare il fosso ed abbiamo avuto la
prima legge delega del 29 settembre del 2000 per avere alcune linee
guida nella disciplina della responsabilità degli enti collettivi. La
dottrina si è fatta subito carico di definire questo tipo di responsabilità, perché ha colto il disagio di tutta la nostra più nobile tradizione penalistica che invocava la conservazione ed il radicamento di
quel principio “Societas delinquere non potest”. Il legislatore molto frettolosamente a mio giudizio ha risolto il problema definendo
questa responsabilità una responsabilità di carattere amministrati-
Rivista del Consiglio
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Corso di Diritto Penale dell’economia
vo, ma com’era inevitabile illustri docenti (Musco, Padovani, Pagliero, soprattutto Pagliero) sono insorti, hanno detto: ma questa è
una bestemmia perché di amministrativo questa responsabilità non
ha nulla se non il nome. È una farsa scrive Pagliero, perché pensiamo così attraverso questa definizione di sottrarci alla responsabilità
della mancata compatibilità di queste norme con l’Art. 27 della Costituzione.
Ma se questa è la paura, avete dimenticato che la gerarchia è delle fonti. A noi insegnavano che le fonti sono la Costituzione, le Leggi, i regolamenti, i decreti e via via. Oggi la Costituzione non è più la
fonte primaria, oggi dobbiamo fare i conti col Diritto Comunitario,
ed il Diritto Comunitario impone la responsabilità penale degli enti,
si è dimenticato questo particolare. Poi la stessa relazione introduttiva alla legge contraddice la definizione di carattere amministrativo
contenuta nella legge, perché nella relazione poi si parla di un tertium genus di responsabilità che è un misto – si dice nella relazione
– tra la responsabilità amministrativa e la responsabilità penale, e
forse coglie nel segno. Noi dobbiamo un po’ abbandonare, o se non
proprio abbandonare certe volte anche dimenticare la nostra fedeltà
all’organicità del nostro sistema, al culto – forse un culto esagerato
– di alcuni principi fondamentali ai quali il nostro ordinamento si è
sempre ispirato, e dobbiamo cogliere questi aspetti di novità attraverso anche un’apertura mentale che ci consente di non tradire quei
principi ma di renderli elastici, aderenti alle realtà economiche.
Badate, recentemente si è parlato di un’aggressione dei mercati
da parte di economie straniere e quindi la necessità di introdurre
sistemi di tutela della produzione nazionale, della produzione europea. Giusto, giustissimo, ma nel momento in cui si riconosce che
non esiste soltanto un’economia nazionale ma che esiste un’economia europea dobbiamo misurarci con le legislazioni europee che
sono a protezione dei nostri marchi, dei nostri brevetti, perché – badate – quando gli economisti dicono che la concorrenza non si sviluppa soltanto, non si esaurisce soltanto sul piano economico, ma
che deve fare i conti con la tutela giuridica del mercato nel quale la
concorrenza si svolge, dicono una grande verità. Perché se io devo
costruire una fabbrica che deve operare in Norvegia io devo sapere
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Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
prima qual è il sistema protettivo del quale potrò fruire, e sceglierò
quel paese se quel sistema protettivo è migliore degli altri, o perlomeno terrò conto dei limiti della protezione giuridica che potrà
assistere quello che io produco e il modo con il quale produco.
Bene, la legge del 2000 – e mi scuserò con qualche teorico del
Diritto che ha valutato iperbolicamente il contenuto di quella legge – introduce sì la responsabilità degli enti, ma ha ridimensionato
molto il terreno applicativo, ma perché? Perché ha escluso settori
interi nei quali in tutti i paesi europei oggi esiste un ampio riconoscimento della responsabilità degli enti economici collettivi. Basti
pensare a tutti i delitti contro l’incolumità pubblica: sono esclusi
dalla legge delega. Basti pensare per esempio ad omicidi, lesioni
derivanti da infortuni sul lavoro: sono esclusi dalla responsabilità.
Basti pensare a tutta la materia ambientale, la tutela dell’ambiente:
è esclusa la responsabilità degli enti; la tutela del territorio: è esclusa
la responsabilità degli enti.
Ed abbiamo avuto un paradosso, badate, che io ho vissuto marginalmente perché data l’urgenza dell’intervento che ci veniva richiesto dall’Europa ho dovuto dare un certo contributo nella redazione
del testo normativo. Quando è stata introdotta in Italia la moneta
unica europea, l’euro, l’Europa prima di dare l’okay all’introduzione in Italia ha pretesto la responsabilità oggettiva degli enti qualora si incorresse nella falsificazione dell’euro e noi non l’avevamo.
Si è dovuto fare un decreto legge perché altrimenti in Italia l’euro
non poteva essere introdotto come moneta. Per dirvi come la visione riduttiva del nostro legislatore, direi quasi miope, ha portato a
questo enorme ridimensionamento. Ma, come vi dicevo, alla legge
delega è seguito poi il decreto numero 231 del 2001, ma ancora di
più la limitazione io la vedo nel fatto che intanto si può parlare di
responsabilità degli enti in quanto il reato impegna la società perché
la condotta delittuosa è stata compiuta nell’interesse o a vantaggio
della società. Se manca questo presupposto di responsabilità della
società non si può parlare.
Ora c’è una disarmonia nella nostra legislazione, perché nella
legge delega si parla non solo di un rapporto di immedesimazione
del soggetto rispetto alla società, ma si parla anche dell’obbligo del-
Rivista del Consiglio
107
Corso di Diritto Penale dell’economia
la vigilanza; fuori dell’obbligo della vigilanza io non posso essere
chiamato a rispondere per la società. Ma l’Art. 5 del Decreto non si
armonizza, io non vorrei anticipare valutazioni che possono essere
ancora al vaglio della Corte di Cassazione, perché l’Art. 5 del Decreto si limita a parlare della immedesimazione organica, non parla
più della vigilanza. Ed allora questa norma è compatibile o non è
compatibile con la legge delega? Grosso punto interrogativo.
La seconda disarmonia: l’Art. 5 comprende tra i responsabili i
liquidatori della società, ma la legge delega di liquidatori non parla.
E gli amministratori di fatto? Ce ne siamo dimenticati? Ci siamo
ricordati troppo tardi dei liquidatori, e degli amministratori di fatto
che sono quelli che normalmente – per chi ha esperienza di questa
materia – portano al dissesto le società fuori dal regime della legalità? Non se ne parla. Caro Franco, dovete voi nelle sedi di merito
risolvere questi problemi. Ecco perché cari giovani – io forse mi sto
dilungando e sto approfittando troppo della vostra pazienza – questa materia offre numerosissimi spunti di riflessione.
Non ci sono norme transitorie. La Cassazione si è fatta carico di
questo, non ci sono norme transitorie: il passaggio dal passato al
presente. Si è modificata la bancarotta societaria; si è modificato il
2621, il 2622 del Codice Civile, ma che succede? Abrogate le vecchie
norme chi è stato condannato gli va riconosciuto che quel reato non
esiste più, non c’è più nella nostra legge o c’è una successione di leggi nel tempo? Terribile problema: abbiamo avuto sentenze difformi
da parte della Quinta Sezione Penale, siamo dovuti intervenire con
le Sezioni Unite ed abbiamo come al solito messo una toppa al vestito da Arlecchino, come è un po’ nelle tradizioni della nostra giurisprudenza: quando si crea un vuoto dobbiamo correre ai ripari. E
forse sul piano tecnico delle decisioni potranno non essere condivisibili, ma a noi Giudici ripugnava dire che l’infedeltà patrimoniale
nelle società fino ad un certo punto era lecita.
La falsa comunicazione sociale comunque raggiungesse i soci
creditori costituiva illecito. Oggi soltanto le comunicazioni tipiche
sono indenni da responsabilità, cosicché se io faccio un’intervista e
dico che la mia società sta benissimo, viceversa è sull’orlo del dissesto, mi faccio intervistare dalla stampa, magari appaio in televisio-
108
Rivista del Consiglio
CENTRO STUDI GIURIDICI MICHELE DE PIETRO
ne, inganno investitori, risparmiatori, soci, creditori e tutto quanto,
sono indenne da responsabilità.
Mi si dice: l’infedeltà deve riguardare soltanto i fatti materiali.
Benissimo: le previsioni, ma nei bilanci non ci sono le previsioni, o
no? O ci hanno insegnato male ai nostri giorni? Cosicché se io dico
che ho nei fondi di magazzino 100 macchine e ne ho 99 commetto
il reato; ma se io dico che ho 100 macchine che valgono 200 milioni
di euro e dichiaro il falso non commetto il reato perché quella è una
valutazione. Le stesse soglie di punibilità che possono apparire giuste, nel senso che si guarda all’entità del danno arrecato alla società
si traducono in una manifesta ingiustizia, perché il 5 per cento del
consuntivo di una grossa azienda – a meno che io non sto dicendo
delle eresie in aritmetica, nemmeno in matematica – il 5 per cento
di un grosso consuntivo è diverso dal 5 per cento di un piccolo consuntivo, o no? 5 su 100 se ho un consuntivo di 100 è un discorso; ma
se io ho consuntivo di 10 mila o di 100 mila è un altro discorso, e chi
danneggio? Danneggio chi ha 100, non chi ha 100 mila.
Come vedete questi sono dei flash che io ho voluto lanciare questa
mattina qui a voi; ma noi adesso ci imbattiamo con un altro terribile
problema di carattere pratico, perché si dice: la bancarotta societaria
esiste solo se c’è la prova che io ho provocato il dissesto della società, ma il dissesto è un evento che - come dicevano gli economisti
- ha più ricadute: si ha un piccolo margine di dissesto un anno; bisogna attendere del tempo perché quel piccolo margine di dissesto
cominci ad assumere le rilevanze di una entità apprezzabile, per poi
diventare il dissesto che travolge la società, che travolge l’impresa,
che travolge l’azienda. Provocare il dissesto non è come provocare
la morte di un soggetto; è un evento che si realizza nel tempo e progressivamente, attraverso una atomizzazione di comportamenti e
di fasi di comportamenti, di scelte operative. Poi la prova: non basta
aggravare il dissesto, occorre provocare il dissesto, badate.
Ecco quindi lo scenario di queste problematiche, uno scenario
vasto, terribile. La prova del danno: ho arrecato danno alla società?
Cerchiamo di provare il nesso di causalità tra la mia condotta e il
danno alla società. Si è dimenticata tutta la fase costitutiva della società: oggi i soci fondatori, i soci promotori sono coloro che godono
Rivista del Consiglio
109
Corso di Diritto Penale dell’economia
della più ampia immunità. Si è dimenticato però che molte società
sorgono con un programma delinquenziale, e che sono proprio i
soci promotori e fondatori gli artefici della condotta illecita.
Ora tutto questo vastissimo panorama, nel quale io ho indugiato
cogliendo soprattutto gli aspetti negativi... perché ho fatto questo?
Non perché è mio costume criticare sempre comunque le riforme,
tutt’altro. Io ritengo che una riforma del Diritto Societario vada fatta, vada colto quello che c’è di buono perché un certo ordine andava
fatto, ma forse siamo stati troppo ad attendere nella trincea del non
fare e poco siamo stati attenti nel momento in cui abbiamo deciso di
abbandonare il vecchio e di incamminarci sulla nuova strada. Ecco
perché la materia che avete scelto per questo corso è una materia di
notevole interesse, di notevolissima attualità, nella quale il confronto del passato deve essere un confronto costruttivo e deve cogliere
nel nuovo tutti quegli aspetti che pur problematici debbono però
condurci ad una valutazione complessiva organica, perché alcuni
principi non possiamo dimenticarli. Perché, badate, la sanzione penale della società sarà sempre e soltanto una sanzione di carattere
pecuniario, ed allora dobbiamo andare avanti: guardare non con la
nostalgia del passato al principio “Societas delinquere non potest”
perché quel principio deve necessariamente conservare il suo vigore, la sua saggezza, la sua civiltà; ma dobbiamo riconoscere che allorquando si agisce nell’interesse di un ente, l’ente viene trascinato
con noi in una responsabilità di carattere patrimoniale.
A voi giovani io consegno questo armamentario, sicuro che la vostra saggezza, il vostro cervello saprà funzionare per dare certezza
a questi rapporti che sono rapporti importantissimi, perché come vi
dicevo non è vero che il mondo ruoti soltanto sull’economia, guai se
fosse così, però l’economica è una parte importante, essenziale della
nostra società. A voi io auspico di trarre il massimo profitto dall’insegnamento che vi sarà posto da questi illustri docenti.
Auguro a voi soprattutto successo professionale che la vostra
preparazione ed il vostro impegno potrà meritare, grazie.
NICOLA MARVULLI
Primo Presidente Corte di Cassazione
110
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
ATTIVITÀ
DEL
CONSIGLIO
Con delibera del 4.4.2007 il Consiglio
dell’Ordine di Lecce ha approvato il nuovo
Regolamento per l’erogazione
di contributi di assistenza
ARTICOLO 1
Il Consiglio dell’Ordine delibera l’erogazione dei contributi di
assistenza sui fondi propri all’uopo stanziati in bilancio secondo le
norme di cui al presente regolamento.
ARTICOLO 2
I contributi sono destinati ad avvocati, praticanti avvocati, familiari di avvocati e praticanti avvocati defunti dipendenti o ex dipendenti del Consiglio dell’Ordine.
Gli avvocati ed i praticanti avvocati hanno diritto ad ottenere il
contributo, concorrendo ogni altro requisito, se ed in quanto non
iscritti alla Cassa Previdenza Avvocati ovvero, seppur iscritti, non
abbiano diritto ai contributi a carico della Cassa.
ARTICOLO 3
Il contributo è erogato in favore di coloro che abbiano la qualità
di cui all’art. 2 e si trovino in condizioni di difficoltà economica contingente o momentanea con particolare riguardo ai casi di malattia,
infortunio, propri e/o dei familiari conviventi.
Il contributo non potrà essere concesso nel caso in cui le evenienze straordinarie, pur determinando una redistribuzione delle risorse disponibili, non riducano il tenore di vita al di sotto della soglia
di dignitosa sopravvivenza.
Rivista del Consiglio
111
Regolamento per l’erogazione di contributi di assistenza
Si trova al di sotto della soglia di dignitosa sopravvivenza il soggetto che abbia un reddito netto inferiore ad Euro 18.000,00 annui,
commisurato sulla media delle dichiarazioni dei redditi degli ultimi
tre anni e non possegga beni immobili oltre la casa di abitazione. Per
ogni familiare convivente detto importo viene aumentato di Euro
2.000,00 e, ai fini della determinazione della soglia di bisogno, si
tiene conto della somma del reddito netto percepito da ciascun familiare. L’importo del reddito da considerare ai fini dell’erogazione
del contributo verrà determinato di anno in anno con delibera del
Consiglio dell’Ordine che deve essere adottata entro il 31 dicembre
dell’anno precedente.
Pur in presenza di un reddito medio annuo inferiore a quello indicato nei precedenti commi il Consiglio potrà rigettare la richiesta
di contributo in presenza di elementi indiziari che facciano presumere l’assenza della dedotte difficoltà economiche.
ARTICOLO 4
Il contributo potrà essere erogato, di regola, a richiesta dell’interessato, il quale dovrà depositare apposita domanda, debitamente
motivata e corredata di tutti i documenti necessari alla verifica della richiesta. Nella domanda l’interessato dovrà dichiarare, in ogni
caso, se sia iscritto alla Cassa Previdenza, se abbia diritto al contributo a carico della Cassa e se sia titolare di polizze assicurative che
diano diritto ad indennizzo e/o se abbia percepito altri contributi e
la loro entità.
In ogni caso alla domanda dovrà essere allegata la seguente documentazione:
a) dichiarazioni fiscali attestanti il reddito percepito negli ultimi
tre anni dal richiedente e dai familiari con esso conviventi;
b) stato di famiglia;
c) eventuali polizze assicurative che coprano il rischio derivante
dalla malattia o infortunio.
In casi di eccezionale necessità e/o urgenza il contributo potrà
essere erogato anche su segnalazione di iscritti e/o componenti del
Consiglio dell’Ordine, prescindendo dalla allegazione della documentazione di cui al precedente comma.
112
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
In tale ultimo caso, tuttavia, si potrà procedere alla erogazione,
sussistendo tutti i requisiti, a condizione che la segnalazione sia corredata dalla dichiarazione di uno o più componenti del Consiglio
che attestino la veridicità, per conoscenza diretta e personale, della
condizioni economiche del destinatario del contributo.
Responsabile del procedimento è il Consigliere Tesoriere ed i
componenti dell’Ufficio di Tesoreria, all’uopo delegati dal Consigliere Tesoriere. Compiuta l’istruttoria della pratica, il Consigliere
Tesoriere esprimerà in Consiglio la proposta di concessione o diniego. Stante la delicatezza della materia il procedimento è segretato.
ARTICOLO 5
Le pratiche di assistenza saranno trattate in Consiglio con cadenza bimestrale, fatti salvi casi di assoluta necessità ed urgenza opportunamente documentati.
Il Consiglio, al fine di consentire un equilibrato impiego delle
risorse disponibili, non potrà deliberare, alle dette scadenze bimestrali, contributi superiori ai 2/12 dell’intero fondo disponibile. Nel
caso in cui nel bimestre precedente non fosse stata impiegata, per
intero, la quota erogabile il residuo potrà essere impiegato, in aggiunta, nel bimestre successivo.
Nel concorso di più domande di contributo, alle quali non sia
possibile far fronte cumulativamente, sono preferiti i soggetti bisognosi di terapie urgenti, gli ultrasettantenni, coloro che vivano soli
e non abbiano stretti congiunti obbligati agli alimenti.
Per ogni avente diritto non possono essere erogate, fatti salvi casi
eccezionali, somme superiori ad euro 5.000,00 annui e, comunque,
ad euro 2.500,00 per delibera.
ARTICOLO 6
Il contributo in favore di un componente del Consiglio dell’Ordine in carica è concesso previo parere motivato di tre Avvocati nominati di volta dal Presidente del Consiglio dell’Ordine da scegliersi,
preferibilmente, tra ex componenti del Consiglio di età non inferiore a sessantacinque anni.
Rivista del Consiglio
113
Regolamento per l’erogazione di contributi di assistenza
ARTICOLO 7
A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, per ogni richiesta di assistenza verrà formato un fascicolo,
al quale verrà attribuito un numero progressivo con l’indicazione
della materia (ASSISTENZA) e dell’anno.
Verrà redatta, inoltre, una scheda individuale contenente i dati
del richiedente e le notizie sui contributi richiesti (numero del fascicolo, data, importo, causale, data del provvedimento, importo
concesso, diniego e motivazione). Tali schede, che dovranno essere
aggiornate ad ogni richiesta di contributo, verranno annotate in un
registro alfabetico.
Per ogni seduta del Consiglio in cui vengano trattate le domande
di assistenza verrà redatta una scheda, contenente i dati essenziali
di tutte le richieste pervenute e che sarà completata con i dati della
corrispondente delibera.
Le schede di seduta saranno raccolte progressivamente e la raccolta costituirà il registro cronologico dei provvedimenti di assistenza.
ARTICOLO 8
È compito del Consigliere Tesoriere pubblicizzare, in forma idonea, il presente regolamento.
In ogni caso dovrà essere pubblicizzato, subito dopo l’approvazione del bilancio preventivo, l’entità del Fondo di Assistenza ed i
contributi via via erogati omettendo, rigorosamente, ogni elemento
che possa consentire d’individuare il destinatario del contributo.
ARTICOLO 9
Il presente regolamento potrà essere modificato e/o derogato
con deliberazione che venga adottata con un numero di voti non
inferiore a due terzi dei componenti del Consiglio.
114
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
Approvazione protocollo di udienza
per la gestione degli affari giudiziari
presso la Corte d’Appello di Lecce
In data 15.5.2007,
il Consiglio approva la seguente proposta di protocollo di udienza da sottoporre alla Commissione allargata per regolamentare i
problemi relativi alle disfunzioni della giustizia nel circondario e
dispone che copia dello stesso sia trasmesso al Presidente della Corte di Appello.
Il Consiglio dell’Ordine facendosi interprete delle esigenze variamente espresse dall’Avvocatura leccese, al fine di migliorare
il servizio giustizia, propone a giudici e funzionari di cancelleria
l’adozione di una serie di regole volte a conseguire il suindicato
obiettivo.
Udienze Civili
Il ruolo delle udienze civili, di lavoro, previdenziali e di esecuzione viene pubblicato tre giorni prima, con l’indicazione del solo
numero di ruolo delle cause e degli avvocati interessati a ciascuna
di esse.
L’indicazione del Magistrato e dell’aula di udienza, per tutte le
udienze, non solo quelle che si svolgono al piano terra, sarà portata
a conoscenza, al piano terra, nella sala d’ingresso, in apposita bacheca. Ogni notizia afferente lo svolgimento delle attività di udienza, in
specie quelle riguardanti i preventivi rinvii delle cause, sarà portata
a conoscenza anche attraverso la rete telematica, tempestivamente
ed in tempo reale.
L’udienza è divisa in tre fasce orarie: 9,30/10,30, 10,30/12,00 e
dalle 12,00 in poi.
Rivista del Consiglio
115
Approvazione protocollo di udienza per la gestione degli affari giudiziari...
All’interno di ciascuna fascia oraria si svolgono adempimenti
omogenei, stabilendo per ogni causa, al momento del rinvio, orari
precisi interni alla fascia oraria e concordata tra giudici ed avvocati.
La prima fascia oraria è destinata agli adempimenti di durata
prevedibilmente breve (es. precisazione conclusioni, nomina e giuramento C.T.U., 184 c.p.c vecchio rito).
La seconda fascia è destinata all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
con un massimo di trenta processi per udienza.
La terza fascia è destinata all’espletamento delle prove orali, alla
discussione ex art. 281 sexties c.p.c., ai chiarimenti del C.T.U., ad
altre attività di durata difficilmente prevedibile.
Al momento del rinvio di una causa ad altra udienza deve essere
prevista una verosimile durata dei programmati adempimenti, in
modo da fissare ogni volta, all’interno di ciascuna fascia, un numero
di cause che potrà essere compiutamente trattato senza superare i
limiti di tempo prefissati.
Deve essere garantita a chi ne faccia segnalazione la reale applicazione della disposizione dell’art. 84 disp. att. c.p.c. (le udienze del
G.I. non sono pubbliche).
Il giudice svolge in modo effettivo il ruolo, attribuitogli dalla legge, di guida e direzione del processo. Nell’assunzione delle prove si
avvarrà dell’ausilio di registrazione e/o stenotipia.
L’avvocato costituito, nel caso in cui non possa essere presente in
udienza, si deve adoperare per farsi sostituire da un collega che sia
a conoscenza degli atti di causa e degli adempimenti da compiersi
nel corso dell’udienza.
Il giudice, in caso di impossibilità a tenere l’udienza, si deve impegnare ad organizzare la propria sostituzione con un collega che
sia in grado di conoscere gli atti di causa e di adottare, quindi, i necessari provvedimenti sulle istanze formulate dalle parti.
Qualora, per imprevedibilità dell’assenza o per l’opportunità,
concordemente ravvisata dalle parti, che l’attività istruttoria sia svolta dal giudice titolare, l’udienza dovrà essere comunque rinviata e
il rinvio deve essere contenuto, e, possibilmente non superiore a tre
mesi. Nell’ipotesi in cui la materia oggetto del giudizio, sia sottratta
116
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
per legge alla competenza del sostituto, questi, qualora non sia stato
possibile preventivamente disporre il rinvio d’ufficio, deve rinviare la
causa alla prima udienza utile successiva del Magistrato titolare.
Gli avvocati si impegnano a fornire agli uffici di cancelleria tutti
i dati utili per consentire un’agevole comunicazione reciproca con
l’ufficio e tra le parti (numero di fax, di telefono, indirizzi di posta
elettronica).
In sede di convocazione del C.T.U., questi deve essere invitato a
comunicare senza ritardo alle parti e al giudice il proprio impedimento a comparire in udienza nonché a fornire ogni utile comunicazione in vista della successiva udienza.
Gli avvocati devono congiuntamente avvisare il C.T.U. della sopravvenuta definizione stragiudiziale della lite.
Tutte le udienze collegiali hanno inizio alle ore 9,30 e vanno chiamate secondo l’ordine di ruolo preventivamente affisso. In caso di
assenza di tutte le parti, verranno richiamate. Gli affari da trattare
in Camera di Consiglio sono chiamati al termine dell’udienza collegiale.
Udienze in cui sono presenti i minori
Ogni qualvolta un minore partecipi a qualsiasi titolo ad una
udienza civile o penale il giudice, tenendo conto delle esigenze del
minorenne e dell’età di quest’ultimo fissa un orario ed un luogo, anche diverso dall’aula di udienza dedicati al singolo processo. Dette
udienze auspicabilmente anche nei casi in cui ciò non sia espressamente previsto dalla legge, si svolgeranno con ascolto protetto.
Udienza Penale
Le udienze hanno inizio alle ore 9,30 e termine, al massimo, alle
ore 17,00, salvo sopravvenute imprevedibili necessità.
All’inizio di ogni udienza il Giudice dovrà comunicare le cause
da trattare nelle varie fasce orarie.
Rivista del Consiglio
117
Approvazione protocollo di udienza per la gestione degli affari giudiziari...
Tra le ore 13,00 e le ore 14,00, il Giudice dovrà fare il punto della
situazione provvedendo a rinviare ad altra udienza i processi che, a
quell’ora, sarà ragionevole prevedere non possano essere chiamati
prima delle ore 17,00.
I processi, verranno richiamati in caso di assenza del difensore o
di uno dei difensori.
Sezione feriale
I Magistrati che compongono la sezione feriale sono divisi in due
gruppi: il primo gruppo svolge le funzioni dal 20.7 al 18.8 ed il secondo gruppo dal 18.8 al 15.9.
La sezione feriale è presieduta da un presidente di sezione.
Udienze di esecuzione immobiliare
Per le vendite con ausiliario, ai sensi dell’art. 591 bis c.p.c. e 179
ter disp. att., è necessario comunicare per affissione un avviso che
indichi il nominativo dell’ausiliario, il nome del Giudice dell’esecuzione, il numero di ruolo delle procedure esecutive dal medesimo
trattate, l’orario e l’aula dove si terranno le operazioni di vendita.
Ove possibile, tali avvisi devono essere comunicati, a cura dell’ausiliario delegato, anche per posta elettronica ai difensori di tutte
le parti.
Udienze di previdenza e lavoro
Le udienze di previdenza vanno separate da quelle di lavoro e
chiamate in giorni diversi.
Le udienze di lavoro si svolgono in due fasce orarie: la prima fino
alle ore 11,00 e la seconda in prosieguo. Nella prima fascia, si procederà alla discussione ed agli incombenti di breve durata (es: nomina
e giuramento C.T.U.). Nella successiva, vanno assunte le prove orali
con l’ausilio di registrazione e/o stenotipia.
118
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
Orari di apertura al pubblico e agli Avvocati degli uffici giudiziari
L’orario di apertura al pubblico degli uffici è dalle ore 8,30 alle
13,30 dal lunedì al venerdì e nei giorni di martedì e giovedì anche
dalle ore 15,30 alle ore 17,30. Il sabato è dalle ore 8,30 alle ore 12,30.
Detto orario dovrà essere rispettato anche nelle sezioni distaccate del Tribunale e negli uffici del Giudice di Pace.
Gli ufficiali giudiziari preposti alle diverse sedi distaccate del
Tribunale dovranno rispettare l’orario di ufficio e, precisamente,
dalle ore 9,00 alle ore 13,00. Per comprovate esigenze la richiesta di
notifica in giornata e/o urgente può essere effettuata nell’orario di
ufficio (dalle ore 9,00 alle ore 13,00).
Rivista del Consiglio
119
L’Assemblea degli Avvocati dell’Ordine di Lecce
L’Assemblea degli Avvocati
dell’Ordine di Lecce
Convocata per il giorno 9 marzo 2007 per discutere sul seguente
ordine del giorno:
1) relazione morale del Presidente;
2) approvazione bilancio preventivo;
3) approvazione bilancio consuntivo;
4) vari;
ha approvato, deliberando all’unanimità, il seguente documento
L’Assemblea degli Avvocati di Lecce:
- rilevato che persiste lo stato di gravissimo disagio nel quale versa la amministrazione della giustizia e la sua organizzazione,
anche logistica, negli edifici che nella città di Lecce sono ad essa
destinati – viale M. De Pietro e via Brenta – ;
- considerato che sono risultate vane (nonostante gli sforzi profusi
negli incontri tenuti tra le varie categorie professionali interessate) le proteste sollevate circa le modalità nelle quali si celebrano le udienze, niente affatto conformi alla importanza civica e
politica della funzione giudiziaria, dando una immagine poco
dignitosa non solo della stessa funzione, ma anche calpestando il
rispetto dovuto alla dignità della persona;
- ritenuto che l’Avvocatura ha, tra i suoi compiti, principalmente quello di tutelare i diritti e gli interessi della persona, ...contribuire all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia, ...vigilare
sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, ...assicurare
la regolarità del giudizio e del contraddittorio (Preambolo al Codice
Deontologico Forense, approvato dal CNF);
- preso atto che le udienze – segnatamente quelle civili – conti-
120
Rivista del Consiglio
ATTIVITÀ DEL CONSIGLIO
nuano a svolgersi in condizioni intollerabili, con affollamento
di difensori, parti, consulenti, pubblico, anche antigienico; senza
distinzione tra udienza pubblica e privata con grave violazione
del principio della riservatezza; con notevole approssimazione
circa l’orario di inizio; in forma massiccia nei sotterranei, ossia
con modalità fortemente discutibili sul piano della sicurezza;
- rilevato, ancora, che ormai quotidianamente si fa ricorso ad
una ingiustificata ed indiscriminata sostituzione del magistrato
d’udienza con magistrati onorari, in aperta violazione dell’art. 25
della Costituzione e dell’art. 174 c.p.c.;
- considerato che, tra l’altro, tali sostituzioni si realizzano, con
frequenza sempre più preoccupante, lo stesso giorno fissato per
l’udienza, con la conseguenza che il “sostituto” non può assolvere neanche il minimum del servizio assegnatogli, per la evidente
mancata conoscenza dei processi, con ulteriori gravissimi disagi
relazionali tra avvocati e magistrati d’udienza, che creano ulteriore disordine ed ingiuste incomprensioni;
- tenuto conto che il Consiglio dell’Ordine si è sempre attenuto
a principi di estrema paziente prudenza e tolleranza, all’unico
scopo di contenere il pregiudizio che, già di per sé, incide negativamente sull’interesse e sui diritti dei cittadini;
- ritenuto che il perpetuarsi delle denunciate disfunzioni offende i
diritti fondamentali della Costituzione ed attenua, anzi alle volte
annulla le garanzie essenziali del processo, per cui tollerare siffatta prestazione del servizio risulta deteriore, rispetto alla mancanza del servizio stesso che dipenda dalla proclamata astensione, senza preavviso, proprio nel momento in cui la disfunzione
emerge;
- poiché ricorrono i presupposti di cui all’art. 2, comma 3, del Regolamento della astensione, l’Assemblea, richiamando l’attenzione del Consiglio dell’Ordine, ed in particolare del Presidente,
sul dovere di difendere l’Ordinamento Costituzionale ed il cittadino da gravi pericoli per la salvaguardia dei diritti fondamentali e delle garanzie del processo, anche attraverso la richiamata
disposizione
Rivista del Consiglio
121
L’Assemblea degli Avvocati dell’Ordine di Lecce
DELIBERA
- di invitare, anzi sollecitare il Consiglio dell’Ordine, e per esso
il sig. Presidente, affinché, in applicazione della chiara norma
appena indicata, proclami, senza rispetto dell’obbligo del preavviso – verificandosi la esenzione prevista – la astensione dalla
attività in quelle udienze ed in tutte le situazioni in cui si persista
nelle disfunzioni sopra indicate, avvertendo gli iscritti, i quali
senza giustificazione violino tale precetto di astensione, che siffatto comportamento integra violazione di norme deontologiche,
in quanto certamente esso contraddice alla dignità ed al decoro
della funzione forense.
122
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
DIRITTO AMMINISTRATIVO
Promemoria breve, in esergo
di PIERLUIGI PORTALURI
Ho accettato con molto piacere l’invito degli amici Consiglieri
per coordinare la sezione che si occupa del Diritto amministrativo.
Un onore, per me; e l’occasione per tentare di raggiungere un duplice obbiettivo di certo non facile, ma che mi è particolarmente caro.
Un primo aspetto è inutile nascondercelo: gli amministrativisti
son guardati con occhi – diciamo così… – «particolari» dai colleghi
che si occupano dei settori classici del Diritto.
C’è per esempio chi guarda con un certo disappunto la notevole
disponibilità di luoghi e risorse materiali per l’esercizio dell’attività giurisdizionale di settore, o chi addirittura non esita a negare la
stessa giuridicità del nostro ambito di azione (e ne viene remunerato di egual moneta).
Un secondo profilo è più generale, ma mi sembra acuirsi se riferito al Diritto della pubblica Amministrazione.
Ed è la distanza che spesso separa il mondo dell’Avvocatura da
quello dell’Università.
Lecce – non mi stanco di dirlo in ogni possibile occasione – ha una
Facoltà di Giurisprudenza giovane, come tanti suoi docenti: unisce
allora la problematicità degli inizi con l’energia che ogni esperienza
sorgiva racchiude.
Ambisce ad essere centro di effettiva eccellenza; punto d’incontro di saperi altri, anche non giuridici ma comunque contigui: e gli
insegnamenti di Diritto amministrativo costituiscono lì un momento assolutamente centrale della formazione del futuro giurista, quale che sia il suo orizzonte professionale.
Rivista del Consiglio
123
Promemoria breve, in esergo di P. Portaluri
Con questi pensieri mi accingo a presentare i primi contributi
della sezione: le puntuali considerazioni di Pietro Quinto (a chiusura del corso di formazione da lui organizzato) sulla celebre opera di
Jhering riletta nella contemporaneità; e il discorso del Decano degli
amministrativisti, Giuseppe Abbamonte, che quel corso ha concluso con una lezione magistrale.
Se, quindi, son consentite enunciazioni d’intenti programmatici
(dunque ambiziose per definizione), l’auspicio – l’impegno preciso, in
realtà – è aprire questa sezione al dialogo (gli immancabili ironici,
non poco scettici, ci aggiungono l’aggettivo «interreligioso»…).
Fra formazioni e sensibilità professionali necessariamente distinte, ma non per questo prive di possibili raccordi, anzitutto.
Ma anche, fra due realtà che a ben vedere sono emisferi di un
unico mondo: ai tempi degli studi in Cattolica, Lombardi Vallauri ci
diceva sempre di prepararci a non esser giuristi a metà, né persi fra
le nuvole dell’astrazione più feroce, né ripiegati nella quotidianità
applicativa.
Volare con i piedi per terra, insomma.
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
In margine al Corso sul processo Amministrativo organizzato
dalla Camera Distrettuale Amministrativa
«La lotta per il Diritto»
e la responsabilità dell’Avvocato
di PIETRO QUINTO
(Presidente Camera Amministrativa)
Si è concluso a Lecce nell’Aula delle udienze del TAR il Corso sul
processo amministrativo organizzato dalla Camera Amministrativa
Distrettuale di Lecce, Brindisi e Taranto in collaborazione con gli
Ordini degli Avvocati di Lecce e Brindisi.
Il Corso si è articolato in 12 sessioni e ha registrato la partecipazione di 350 uditori tra avvocati, funzionari pubblici e praticanti, ai
quali è stato rilasciato un attestato di frequenza valutabile ai fini del
credito formativo.
Le lezioni, svolte da Magistrati, Avvocati e docenti universitari,
sono state finalizzate ad un aggiornamento sulle più recenti acquisizioni giurisprudenziali e su temi di particolare attualità della giustizia amministrativa: la pregiudiziale amministrativa, la reiterazione
dei vincoli espropriativi, l’edilizia e l’urbanistica nella legislazione
della Regione Puglia, gli appalti pubblici, i conflitti giurisdizionali
tra Cassazione e Consiglio di Stato in materia espropriativa, i procedimenti accelerati, le impugnazioni ecc.
Il Corso, inaugurato il 9 marzo con la prolusione del Consigliere
di Stato Avv. Luigi Maruotti, che ha riscosso un diffuso consenso
per l’autorevolezza dell’oratore ed il contributo di conoscenza sui
più delicati temi della giustizia amministrativa, si è concluso con
la lectio magistralis su «L’avvocato amministrativista oggi» del Prof.
Avv. Giuseppe Abbamonte, decano degli avvocati amministrativisti
italiani.
Rivista del Consiglio
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In margine al Corso sul processo Amministrativo... di P. Quinto
Nella circostanza la Camera Amministrativa ha curato la ristampa e la consegna a tutti i partecipanti al corso ed ai propri iscritti
della edizione numerata di un testo, da decenni fuori commercio,
«La lotta per il diritto» di Rudolf Von Jhering.
*** *** ***
Nella prefazione, l’autore di questa nota ha illustrato le motivazioni della ristampa dell’opera del giurista tedesco di fine ottocento,
pubblicata nel 1872, edita in Italia nel 1934 con una presentazione
di Benedetto Croce e non più in commercio: per la straordinaria rilevanza scientifica de «La lotta per il diritto», che non è solo il titolo
dello scritto di Jhering, ma rappresenta un manifesto di permanente
attualità per il cittadino, e, occorre aggiungere, anche per chi opera
nell’avvocatura ed è chiamato ad assistere il cittadino per la affermazione del diritto violato.
Questo il tema svolto dal grande Giurista: il senso del diritto non
come frutto di interesse individuale, ma obbligo della persona come
tale. «L’affermazione del diritto violato è atto di conservazione della
persona e perciò un dovere di colui che ne è investito verso sè stesso
e verso la comunità». La lotta dell’uomo per il diritto va combattuta
costi quel che costi, perché, qualunque ne sia il prezzo in termini
strettamente utilitaristici, la difesa del diritto offeso ha un valore
inestimabile, che è il valore stesso dell’individualità che si difende.
Jhering esamina particolarmente la difesa del diritto nella cerchia
del diritto privato, ma l’evoluzione del suo discorso e le conclusioni
cui perviene dimostrano la sostanziale identità delle sue argomentazioni con ogni altra difesa dei diritti, così nella cerchia pubblica
come nei rapporti tra gli Stati.
Il dovere della lotta giuridica vale per l’uomo rispetto a sé medesimo come rispetto alla comunità cui appartiene. «Combatte per
il diritto colui che combatte per un suo diritto»: ciò è valido per un
individuo come per un popolo: tanto è vero che avviati a sicura decadenza sono gli individui e i popoli che «con diserzione poltrona e
vigliacca» rinunciano a resistere ad una ingiustizia e, sopportandola, quasi finiscono col giustificarla.
126
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
Il Diritto – afferma Jhering – non può esimersi dal lottare. «Per
questo la giustizia, mentre con una mano tiene la bilancia con la
quale pesa il Diritto, porta con l’altra la spada, necessaria ad affermarlo. La spada senza la bilancia è violenza, forza nuda e cruda; ma
questo senza quella sarebbe l’impotenza del Diritto».
Conseguenza di ciò è che ogni singolo, che si trova costretto ad
affermare il diritto suo, partecipa alla costruzione del Diritto, «porta
anch’egli il suo piccolo tributo per l’attuazione dell’idea del Diritto
sulla faccia della Terra».
Il Capitolo più significativo – ma anche il più attuale – dell’opera
di Jhering è quello della lotta per il Diritto in concreto, cioè del sacrificio personale che il cittadino è chiamato a sopportare per questa
lotta, in confronto al “beneficio” materiale che dovrebbe conseguire.
Tema di grande attualità in relazione ai tempi, ma, soprattutto,
ai costi della giustizia e non solo di quella civile ma anche di quella
amministrativa. Con una ulteriore specificazione che scaturisce dalla complessità della moderna società. Nel diritto privato l’oggetto
del giudizio è sicuramente la difesa di un diritto soggettivo. Innanzi al giudice amministrativo la controversia non riguarda sempre
e comunque l’accrescimento o la tutela di una posizione giuridica
individuale, ma, in definitiva, il rispetto dell’agire pubblico. Ancora
maggiore quindi la responsabilità del cittadino singolo o associato
ai fini del ripristino della legalità violata. In quest’ottica particolarmente importante è quindi il ruolo dell’avvocato.
Scriveva Jhering nel 1872: «Quanto non è frequente il caso in cui
l’avvocato, che rappresenta al cliente il lato azzardoso della causa
di lui e lo sconsiglia dalla lite, si sentirà rispondere: costi quel che
vuol costare, ma la lite s’ha a fare». Oggi, in un difficile momento in
cui si avverte l’urgenza di recuperare una nuova cultura della legalità, si deve amaramente riconoscere che, nonostante le conquiste di
una società democraticamente più matura, di fronte alle impervie
strade per avere giustizia, il cittadino si sente più debole sicché la
domanda che più frequentemente rivolge all’avvocato è: «Avvocato, ne vale la pena?».
La risposta di Jhering che vale per ieri, ma soprattutto per oggi è:
Rivista del Consiglio
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In margine al Corso sul processo Amministrativo... di P. Quinto
«la lotta per il Diritto è un dovere della persona verso sé stesso. Se
il calcolo dell’interesse materiale prevale sul sentimento di affermazione del diritto si verifica quel codardo abbandono del Diritto” che
finisce col travolgere la civile sopravvivenza di una comunità.
*** *** ***
Per cogliere la straordinaria attualità del testo di Jhering, che, –
ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere diffuso come testo obbligatorio nelle scuole –, valga una considerazione conclusiva. In questi
mesi riscuote un particolare successo editoriale (9 edizioni – 400.000
copie) il libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella «La Casta»: una
denunzia dei privilegi di una oligarchia abbastanza diffusa, dell’immoralità di una intera classe dirigente, dei costi e degli sprechi di
un apparato amministrativo e politico a tutti i livelli; in una parola,
l’amara constatazione del venir meno del principio di responsabilità, ma altresì di una mancanza del senso dello Stato e delle Istituzioni. Ciò che colpisce di più nella denunzia de «La Casta» – ad avviso
di chi scrive – è che i fatti ivi narrati sono abbastanza noti da tempo,
sono ampiamente diffusi sul territorio e nelle varie espressioni della
nostra classe dirigente e di essi si ha piena consapevolezza a tutti i
livelli. E, tuttavia, la valutazione critica che la conoscenza di siffatte
patologie istituzionali suscita (o dovrebbe suscitare) si traduce nel
nulla, in una sorta di acquiescenza, di frustrazione o, peggio, di un
generale accomodamento.
Ebbene, anche per questo la Camera Amministrativa ha curato
la ristampa e la diffusione de «La lotta per il diritto», che, scritto nel
1872, può rappresentare un efficace rimedio alla denunzia de «La
Casta», riferita a fatti del terzo millennio.
Rammenta a tutti noi, Jhering, «Il diritto non è un concetto logico,
ma energico e fattivo, sicché la responsabilità per le prevaricazioni,
le ingiustizie, i privilegi, non ricade su coloro che trasgrediscono la
legge, «ma su coloro che non hanno il coraggio di farla rimanere
inviolata e rispettata. Non bisogna lamentarsi dell’ingiustizia, che
tenta usurpare il posto del Diritto; ma sì del Diritto, che se n’acqueta
e contenta. E fra le due massime: non fare alcun torto, e: non soffrire
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
alcun torto, se dovessi scegliere per dare a ciascuna il grado che le
spetta secondo la sua importanza pratica, direi, che quella di non
sopportare alcun torto è la prima; e l’altra di non farne, la seconda».
Se questo insegnamento fosse ben presente non solo nel nostro
impegno professionale di Avvocati ma in quello civile di membri attivi della società, forse, non si verificherebbe il «codardo abbandono
del diritto».
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
Nuove prospettive
del diritto amministrativo
di GIUSEPPE ABBAMONTE
(Avvocato - Professore di diritto Amministrativo
presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli)
1. Individui, comunità ed apparati - Privatizzazione e trasparenza
La crescita civile di individui e comunità che il potenziamento dei
mezzi di comunicazione sociale favorisce, evidenzia le carenze degli attuali apparati e dell’azione che riescono ad esprimere mentre,
specialmente per effetto della diffusione dell’informazione e dell’articolazione della società in gruppi intermedi, emergono richieste specifiche che conformano e colorano le spinte verso il rinnovamento,
illuminandone e condizionandone le iniziative, locali e centrali.
È nota la convinzione della base sulla scarsa efficienza delle istituzioni e degli apparati che amministrano i vari settori di interessi
di comunità più o meno ampie; la risposta che da tempo va prendendo corpo, anche in sede di legislazione, è la privatizzazione dell’attività pubblica sia con la partecipazione dei soggetti privati ai
servizi pubblici anche attraverso le società miste (con i limiti ex art.
112 T.U. 267/2000 e dell’art. 13 L. 248/2006, detta Bersani) sia con
la riforma del procedimento amministrativo, oggetto della legge n.
15 del 2005 in cui si prevede l’applicazione delle norme di diritto
privato ai rapporti con la pubblica amministrazione (artt. 1 e ss. L.
15/2005): rapporti questi ultimi caratterizzati da differenze sostanziali quali la dimensione degli interessi implicati (cfr. art. 4 co. 3
lett. a) L. 59/1997) che va ben oltre la relazione tra due determinati
individui per il regolamento dei loro interessi personali o patrimoniali, coinvolgendo comunità più o meno ampie.
Tendenza alla privatizzazione che per le sue motivazioni – peso
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
e scarsa efficienza degli apparati – riesce ad esprimersi sia sul piano
dei soggetti sia dei procedimenti, ma che richiede attenzione perché
nei rapporti socio-economici, e tali sono quelli tra cittadino ed istituzioni, come e più di quanto non lo siano i rapporti tra individui, è
lo stato delle cose che suggerisce le forme adatte e non esistono moduli da soli idonei a realizzare le forme nuove, dovendosi piuttosto
procedere per sperimentazioni e correzioni.
Neppure mancano le complicazioni essendo sufficiente ricordare
che, accanto agli interessi delle comunità gestite esistono gli interessi degli apparati gestori, in precedenza regolati da inderogabili
norme di diritto pubblico, garantite da controlli che, attualmente,
non esistono più, mentre permane il dualismo apparati-comunità
nella realtà di milioni di funzionari ed agenti, aggregati dalla secolare appartenenza alle rispettive categorie, ben distinte dalle comunità amministrate. D’altronde, tanto per esemplificare, le procedure per l’azione delle società miste tra soggetti pubblici e privati,
se si eccettuano i momenti in cui si delibera la partecipazione degli
enti pubblici, salvo alcune integrazioni, sono quelle societarie che si
applicano, conseguentemente, anche per la gestione degli apparati
dei soggetti pubblici. Segue che la gestione privatizzata del denaro
pubblico diviene una realtà molto concreta e le deviazioni, in difetto
di controlli preventivi rispetto al momento della spesa, debordano nell’area delle responsabilità per danni, a cominciare dalle superflue moltiplicazioni delle istituzioni, anche attraverso il docile
strumento delle società miste, anche se ora valgono le limitazioni
poste dall’art. 113 T.U. 267/2000 e dall’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006 n.
223 conv. in L. 248/06 (già ricordata).
Per non dire poi della definizione più o meno elastica dell’oggetto dell’attività di dette società, tutt’altro che scevra di pericoli per
la finanza pubblica.
Pericolo reale perché mentre nel precedente assetto l’istituzione
di nuovi enti era affidata alla responsabilità del legislatore statale,
attualmente la funzione amministrativa decide sulla istituzione di
enti e società miste (artt. 113 ss. d. leg. 267/2000); sicché la prossimità agli interessi può incidere addirittura sui momenti della istituzionalizzazione e finanziamento di gestioni particolari.
Rivista del Consiglio
131
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
Si è perciò in un momento in cui è la stessa ripartizione di funzioni e servizi che è stata interessata da sensibili modificazioni attraverso il decentramento istituzionale, specie per i servizi pubblici
locali in varie forme, incluse le società miste (artt. 113 ss. T.U. 267
cit.).
Si tratta di un processo da seguire con attenzione perché il nostro Paese non è nuovo a questi fenomeni; e la moltiplicazione dei
soggetti che possono istituire nuovi enti accresce gli inconvenienti
verificatisi nel XX secolo con l’istituzione degli enti pubblici, incentivata dal fatto che essi erano esenti dai controlli dell’amministrazione statale.
Attualmente l’incentivo è più forte perché la partecipazione degli enti pubblici comporta prima o poi il versamento della quota di
partecipazione e la competenza dei comuni non incontra particolari
limiti di materia (art. 3 T.U. 267/2000 e 118 t.m. Cost.).
Momento questo ancor più da seguire perché le nuove istituzioni
possono essere ricollegate alla privatizzazione ed all’esigenza di alleggerimento delle procedure, che è di notevole seduzione per un
popolo che secolarmente ha avvertito il peso della burocrazia ma
che deve fare attenzione alla difesa delle risorse pubbliche.
Pertanto, il rinnovamento va seguito nei suoi modi di concretarsi, richiedendo assoluta trasparenza come modo di essere della
privatizzazione e dell’alleggerimento delle procedure, avendo ben
presente che alla riservatezza dell’azione dell’imprenditore corrisponde il suo personale rischio.
In sintesi, apposite garanzie sono necessarie per l’esercizio delle
funzioni che impegnano comunque danaro pubblico e le procedure che regolano la gestione dell’impresa non bastano perché manca, per l’impegno del denaro pubblico, il rischio personale di chi
agisce: rischio che rende accorte le scelte dell’imprenditore; sicché
le procedure pubbliche vanno sì migliorate ma non modellate sull’impresa privata dove è l’imprenditore che paga, mentre per l’attività svolta con danaro pubblico è il deficit pubblico che cresce. E se
questa è una concreta prospettiva del diritto amministrativo in quali direzioni si dovrà operare da parte di chi studia e di chi legifera?
Saranno sufficienti gli attuali canali o bisognerà trovare efficienti
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
sedi di confronto, visto che si tratta di proporre e sperimentare garanzie idonee, dicendo chiaramente che il modello imprenditoriale
non basta perché è fondato sul rischio di chi intraprende l’attività?
2. Segue: alcune indicazioni sull’organizzazione e sulla funzione pubblica e sul rilievo della dimensione ultraindividuale degli
interessi; cenni sul consenso
Le cose sin qui dette dimostrano, almeno, la difficoltà di trattare
in prospettiva la materia dell’amministrazione pubblica anche perché i pochi richiami alla legislazione innanzi espressi evidenziano
incertezze di fondo che riguardano, secondo gli ultimi interventi
legislativi (cfr. L. 15/2005), la natura stessa della normativa applicabile, essendosi aperto alle leggi di diritto privato, seguendo l’onda
dell’affermazione del consenso come fonte primigenia per la regolamentazione dei rapporti socio-economici, nonché essendosi affermato il principio di sussidiarietà.
E si è già ricordato che vengono in essere forme istituzionali come
le società miste ed altre, che trovano nella volontà degli associati
la fonte degli atti con cui vengono formate e disciplinate, nonché
accordi fra enti pubblici che ne programmano gli interventi, intese
con privati in forme contrattuali laddove la legge attribuisce poteri
discrezionali alla P.A. (art. 11 L. 241/90, artt. 113 ss. T.U. 267/2000
ecc.) quasi che gli apparati confessino in qualche modo di non farcela più da soli, cercando collaborazione: del resto tale sembra essere
la motivazione già accennata della sussidiarietà (artt. 4, co. 3 lett. a)
L. 15/3/1997 n. 59 e 118 t.m. Cost.).
Sono fatti che invitano alla riflessione ed inducono a riconoscere
la forza espansiva della negoziazione, certamente più adatta a fornire regole aderenti agli interessi rispetto all’esercizio dell’autorità,
talora sovrapposta talaltro disinformata, ma che, in ogni caso impersona il soggetto cui vengono imputati gli interessi ultraindividuali;
e già questa constatazione conferma la necessità di andare oltre l’individuo, sia sul piano organizzativo che funzionale, sempre che si
debba rispondere ad istanze delle comunità; ferma la trasparenza
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
e la specificità dei compiti e dell’impiego dei mezzi a tutela della
finanza pubblica.
Con le cautele ora dette, consenso ed istituzionalizzazione si
presentano attualmente in una relazione di complementarietà da
precisare avendo riguardo alla dimensione socio-economica degli
interessi regolati (arg. ex art. 4 L. 59 cit.), specialmente dalle norme
di diritto amministrativo, che attingono la sfera comunitaria, con
le aperture necessarie per la tutela delle situazioni individuali, rilevanti secondo l’ordinamento giuridico.
Si evidenzia così un problema di carattere organizzativo, occorrendo rendere gestibili gli interessi ultraindividuali, a cominciare
dalla necessità di ipotizzarne gli elementi oggettivi per soggettivarli e possibilmente regolarli in modo adeguato alle coesistenti situazioni individuali.
Interessi ultraindividuali che, pertanto, richiedono una regolamentazione complessa, organizzativa, delimitativa e funzionale, al
di fuori della quale, allo stato delle esperienze, non si conoscono
altre possibilità di gestione storicamente valide, a meno che non ci si
riferisca a comunità di dimensioni minime che si reggono attraverso
la partecipazione di tutti i componenti alla gestione degli interessi
comuni che, essendo di dimensioni individualmente percepibili e
modesta entità, comportano, per i singoli, compiti comunitari compatibili con le rispettive capacità, secondo una plausibile e proporzionata ripartizione di oneri.
Ma si tratta di casi limite di piccole comunità dove i cittadini
si contano a decine mentre le realtà attuali, specie nelle civiltà c.d.
avanzate, hanno ben altre dimensioni e, proprio per effetto delle
grandi dimensioni, i problemi si moltiplicano, quando si tratta di
individuare, anzitutto, coloro che devono agire nei vari settori di
bisogni e di stabilire come devono agire.
Con l’aggravante della crescita esponenziale dei bisogni e conseguenti complicazioni, cui non corrisponde un miglioramento qualitativo degli elementi disponibili e, neppure, l’affermazione e, tanto
meno, la diffusione di una istanza di coordinamento di regole e di
azione.
Si assiste, anzi, a comportamenti, sia individuali che istituzio-
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
nali, tendenti ad acquisire ed esercitare potere, anche a spese della trasparenza, come talvolta accade in occasione della formazione
delle leggi e provvedimenti, specie se pluricomprensivi, siano essi
periodici che dettati dall’emergenza.
Deviazioni che si riscontrano sia in sede di atti autoritativi che
di ricerca del consenso. I metodi di azione sono perciò da migliorare, studiando forme idonee ad assicurare la retta applicazione delle
regole e degli indirizzi nel momento dell’esercizio della funzione,
dovendosi francamente ammettere, quanto al consenso, che in tanto
vale la pena di porre il problema, in quanto si tratti di consenso responsabilmente raggiunto tra le categorie che ne risentono gli effetti
per la dimensione e la natura degli interessi gestiti.
Avvertendosi che nel corso dell’indagine devono realisticamente
considerarsi le differenti spinte che sono alla base delle scelte di
chi decide per se e, rispettivamente, di chi decide per i gruppi interessati.
Tematiche organizzative, procedimentali e programmatori, in
funzione di gestione e di coordinamento che interrogano chi si accinga a delineare principi e regole per gestire la cura degli interessi
ultraindividuali o, come sinteticamente si dice, per amministrarli,
operando, cioè, nella materia oggetto del sistema di regole che formano il diritto amministrativo: ramo del diritto che non esprime
sic et simpliciter un ordinamento coercitivo ma parte dalla delimitazione, specialmente per materia, dei singoli tipi di interessi ultraindividuali, ripartisce i compiti della relativa gestione, detta le
regole per operare e le regole di garanzia contro le deviazioni. Regole i cui contenuti sostanziali dipendono, o dovrebbero dipendere,
anche dall’evoluzione delle tecniche, dovendo rendere possibile e
produttivo l’esercizio della funzione.
Ferme restando le motivazioni socio-economiche e più immediatamente politiche nella scelta delle materie di intervento e nella regolamentazione delle procedure cui lo studioso deve prestare particolare attenzione, perché proprio le procedure sono significativi
indicatori degli indirizzi politici e, per quanto riguarda gli interessi
dei singoli, possono comportare, secondo gli orientamenti, vantaggi, svantaggi e necessità di iniziative.
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
3. Alcune indicazioni sulle funzioni della legge e del regolamento. Le norme tecniche e l’eccesso di potere
Per delimitare l’area del diritto amministrativo si è fatto riferimento agli interessi di dimensione ultraindividuale e, tanto per
intendersi, interessi relativi alla sicurezza, all’igiene pubblica, alle
comunicazioni, ecc., ma occorre altresì riferirsi agli interessi comuni ai singoli individui come la salute e l’istruzione che riguardano
le singole persone condizionandone vita e benessere, interessi che
ogni individuo non è in grado di soddisfare da solo per i mezzi che
il relativo appagamento richiede e che, perciò, assumono, anch’essi
dimensione ultraindividuale proprio sul piano di mezzi che, poi, è
quello che particolarmente interessa la funzione pubblica, oggetto
del diritto amministrativo.
A parte vanno considerate l’organizzazione e le funzioni costituzionali dello Stato spettanti a Parlamento, Governo e organismi
sussidiari; senza dimenticare, tuttavia, che il diritto amministrativo
– che regola la pubblica amministrazione come istituzioni e funzioni – è una biforcazione del diritto costituzionale (Orlando V.E.).
Fermo restando che gli interessi individuali entrano in conflitto
con gli interessi ultraindividuali: conflitti da risolvere con le garanzie di procedimento e le regole di principio e di dettaglio reperibili
nell’ordinamento costituzionale e amministrativo.
È con dette precisazioni che l’interesse ultraindividuale si presenta come l’elemento caratterizzante della materia regolata dal diritto amministrativo ed è sulla cura degli interessi ultraindividuali
che si costruisce il fondamentale concetto della funzione pubblica
come attività che viene svolta da soggetti legittimati per legge ad
operare in determinati settori di interessi appartenenti indivisibilmente alle comunità amministrate o comuni ai singoli componenti
ed a ciascuno di essi distintamente riferibili.
In queste condizioni emerge anzitutto la funzione della legge
che è quella di delimitare, specificare e regolare gli interessi delle
comunità nella varietà dei contenuti e forme in cui si enucleano e
via via assumono concretezza e crescono nel divenire delle vicende socio-economiche di varie dimensioni della civile convivenza,
vigilando nel senso di intervenire senza isterilire le possibilità di
autogestione ma, piuttosto, apprestando poteri e mezzi, in funzio136
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
ne di soddisfacimento e di composizione di conflitti che individui
e comunità non riescono da soli a metabolizzare, magari per l’alto
tasso di personalizzazione delle contrapposizioni.
Indagine sui conflitti tanto più se assistita dalle cognizioni tecniche proprie di ciascun settore, in modo da pervenire alle regole
appropriate, secondo l’evoluzione delle conoscenze, eliminando il
superfluo dell’organizzazione pubblica e dagli ordinamenti normativi, agevolando chi davvero vuol sapere come operare in modo ordinato e produttivo.
Produttività da avere come obiettivo per tutti i tipi di compiti
spettanti alle istituzioni, dalla pace al benessere, dall’autorità alla
formazione del consenso, dalla presenza alla operatività nel servizio, rispondendo adeguatamente alle domande della base, sempre
meglio informate e motivate, sicché l’equilibrio può essere raggiunto e mantenuto solo a prezzo di soluzioni, se non proprie vere, almeno plausibili.
Senza trascurare il rilievo che vanno assumendo le regole tecniche, sia per l’esercizio della funzione che come elementi di riferimento per il controllo dell’eccesso di potere (Ad. Plen. Cons. Stato
16/89 e IV sez. Cons. Stato 601/99), secondo una pregressa intuizione di Ugo Forti, di cui rimane memoria nelle sue lezioni dei decorsi
anni ’30.
Senza dire che l’ammissione della consulenza tecnica di ufficio
nell’ambito dei mezzi istruttori consentiti nel processo amministrativo (artt. 1 e 16 L. 205 del 2000) è più che significativa nel senso
della rilevanza funzionale della discrezionalità tecnica e della
possibilità del relativo sindacato giurisdizionale, arricchito anche
dai mezzi istruttori del processo civile sia pure entro certi limiti (art.
7 L. 205/2000).
Nell’attualità ed, augurabilmente, in prospettiva, nella misura
in cui l’informazione e le conoscenze progrediscono nei vari rami
del sapere e dei rapporti socio-economici, si restringe, sia pure a
grande fatica, l’area degli apprezzamenti ad arbitrio di chi decide
e dovrebbero altresì accuratamente elaborarsi i contenuti stessi delle norme regolamentari che, sebbene promananti dalle istituzioni
amministrative che disciplinano, offrono la garanzia, non solo della
Rivista del Consiglio
137
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
precostituzione delle regole ma anche di favorire l’ingresso della
tecnica e, con essa, dell’economicità nell’esercizio della funzione
pubblica, favorendo il miglioramento dei mezzi nonché dell’informazione delle autorità titolari di potestà amministrativa, per le
acquisizioni possibili sia in sede di formazione delle regole sia nel
provvedere alla concreta gestione degli interessi.
4. L’adempimento del dovere di esercitare la funzione pubblica
e la discrezionalità come implementazione delle regole generali
da parte dell’operatore
In prospettiva, nelle cose dette, si può leggere l’invito alla ricostruzione del concetto stesso di amministrazione, la quale è certamente vincolata alle scelte di fondo del legislatore ma illuminata,
nell’esercizio della funzione da un complesso di fonti secondarie, di
usi e di quotidiane esperienze, che consentono di cogliere concretamente la realtà sulla quale operare, al punto che, opportunamente,
si parla di implementazione per il contributo che alle concrete soluzioni apporta chi assume operativamente la decisione.
Operatore che, nello stesso tempo, è guidato nelle sue decisioni
da elementi fattuali, acquisiti essi stessi liberamente nonché secondo regole giuridiche e tecniche che insieme indirizzano l’esercizio
della funzione.
Da rivedere quindi i termini tradizionali del concetto di discrezionalità, non solo tecnica, ma della stessa discrezionalità amministrativa, che dovrà via via leggersi più che come esercizio di potere come strumento di adempimento del dovere di esercitare la
funzione pubblica.
5. Personalizzazione del potere e funzionalizzazione delle istituzioni agli interessi comunitari
La funzione come potere-dovere non è concezione nuova e c’è
piuttosto da domandarsi quale sia la motivazione di una ipertrofia
138
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
dell’aspetto del potere ai vari livelli di amministrazione, interna e
soprastatale.
In realtà la funzione è attività che, secondo le esperienze disponibili, non viene – o, almeno, non dovrebbe essere – svolta nell’interesse di chi agisce e si differenzia dall’autoregolamentazione dei
propri interessi perché cura interessi riferibili alle comunità più o
meno organizzate, anche se di volta in volta puntualizzati in determinati individui, come avviene per le prestazioni sanitarie al singolo
che, nello stesso tempo, concorrono alla salute pubblica assicurando
un insieme vivibile.
Le funzioni sono disciplinate in via generale da regole provenienti da organi rappresentativi delle comunità cui è diretto l’esercizio delle funzioni; funzioni che però, nello svolgimento concreto
delle relative attività, risentono dell’apporto personale di chi agisce, come innanzi si è detto.
Le funzioni, allo stato delle esperienze, sono comunque strumento di convivenza civile, dirette, sinteticamente, ad assicurare
pace e benessere e richiedono un coordinamento di mezzi, umani
e materiali, per potere manifestarsi operativamente: mezzi che non
possono che derivarsi dalle comunità beneficiarie, di varia dimensione che, in mancanza, non potrebbero convivere.
Predisposizione di mezzi espressa in apparati pubblici che, quanto più si consolidano, tanto più si appropriano della funzione e la
personalizzano, specie a livello locale, oscurandone il significato
di servizio alle comunità e soggettivandone i momenti decisionali
come espressione del potere di chi opera e che, invece, dovrebbe
prestare un servizio, dato che agisce per altri e con mezzi provenienti dai soggetti per i quali agisce.
Personalizzazione del potere che, ovviamente, causa deviazione per le motivazioni naturalmente egoistiche, che ispirano l’agire
dell’individuo, preoccupato dalla sua conservazione, prima, e affermazione, poi. E non è senza significato che Alexis Carrel pensava
alle società umane come comunità organismiche, che, da giuristi,
potremmo tentare di definire come istituzioni dimensionate e procedimentalizzate in modi e forme da potersi autogestire, eliminando l’intermediazione degli apparati tra gli interessi comunitari ed
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
il relativo appagamento. Si può ricordare per qualche riferimento
la confluenza delle strade disposte a stella in una sola piazza dove
tutti gli abitanti di una città ideale potrebbero incontrarsi (Le Corbusier).
Ma come in tutte le analisi, le esperienze dell’amministrazione
pubblica, concepita come istituzione, creata per la cura di interessi
comunitari, hanno il loro peso, specie per chi, potendo soltanto indagare, è condizionato dalla sovrastante realtà di una pluralità di
istituzioni che nel nostro sistema si esprimono in comuni, province,
regioni, repubblica ed apparati sovranazionali; per non dire di una
miriade di enti specializzati a livello locale, statale e sovrastatale.
Cosicché, tutto quello che nell’attualità rimane allo studioso è la ricerca diretta ad identificare limiti, organizzazioni, procedure e fini,
nel tentativo di evitare deviazioni in danno di comunità ed individui e configurare i possibili rimedi.
6. Ci si interroga sui limiti della risposta degli ordinamenti
giuridici alle istanze dei singoli e delle comunità
È diffusa l’insoddisfazione per i risultati della gestione pubblica degli interessi comunitari; insoddisfazione che, però, appartiene
alla realtà mondiale e la lenta evoluzione affiorata dopo la formazione dei regimi rappresentativi è nel senso della partecipazione a
determinati momenti decisionali; partecipazione che deve essere attentamente studiata nelle sue procedure e risultati per valutarne il
nesso reale con le decisioni che vengono assunte.
E non può tacersi che all’atto della decisione si arriva attraverso
organismi via via più ristretti, esistendo in tal senso una tendenza
nelle varie istituzioni.
Ora c’è da precisare che se gli apparati, dalle basi inizialmente allargate e poi ristrette, sono una necessità per arrivare ai momenti di
sintesi, se l’ordinamento giuridico come organizzazione è una realtà condizionante la convivenza civile degli aggregati umani di varie
dimensioni, una istanza di razionalizzazione della asserita omnicomprensività dell’ordinamento stesso si impone, nel senso che se
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
è vero che la coattività dell’ordinamento è condizione di pace, non
è detto che possa comporre tutti i conflitti di interessi, che, non poche volte, richiedono l’ausilio di particolari discipline e relative istituzioni per poter essere compresi e composti, pervenendo, così, a
conclusioni che l’ordinamento giuridico, al più, può far proprie, con
scarse, o talvolta nulle, possibilità di controllo.
Chiarendosi che la recezione testuale della regola tecnica nella norma giuridica, spesso si rivela una veste troppo stretta per il
progressivo miglioramento della stessa regola tecnica, secondo la
velocità di evoluzione nel ramo di conoscenze implicato, cui si dovrebbe, il più delle volte, soltanto rinviare, come anche appresso si
dirà.
Con la conseguenza che c’è da constatare che la decisione condizionata immediatamente da regole e principi di scienze particolari,
dipende dagli esperti del ramo e viene in caso di controversia recepita nel giudicato, perché la parola fine viene detta in funzione dell’esigenza imprescindibile della certezza dei rapporti che dovrebbe
anche apportare pace. Salvo a domandarsi come possano poi incidere evoluzioni, magari macroscopiche, della tecnica sul caso deciso con giudicato: interrogativo che potrebbe trovare adattamenti in
sede esecutiva come adombrato da qualche norma procedurale (es.
art. 612 c.p.c.).
7. Si dubita sull’omnicompresività dell’ordinamento giuridico,
da concepire, piuttosto, specie per le funzioni rette anche da regole tecniche, come ordinamento aperto
In sintesi, l’esperienza giuridica non può essere e non è omnicomprensiva dei rapporti socio-economici e l’esigenza della c.d.
norma di chiusura può in qualche modo trovare una risposta nel
sistema penale, che configura i reati e predispone le pene e, cioè,
il mezzo estremo di reazione dell’ordinamento giuridico avverso
comportamenti pregiudizievoli per la conservazione delle condizioni essenziali di convivenza. Ma anche nell’ambito del sistema
penale possono sorgere interrogativi domandandosi, ad esempio,
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
a chi spetti di identificare l’accanimento terapeutico e che cosa di
concreto possa, comunque, oltre la legge sul relativo giudizio, che è
tecnico e che si fonda sulle emergenze del caso singolo.
E, per converso, a chi può spettare se non all’interessato in grado
di ragionare il rifiuto di un determinato trattamento sanitario con
l’ausilio del medico di fiducia che lo aiuti a conoscerne gli effetti? E
cosa dice di diverso l’art. 32 Cost.?
In realtà esiste un notevole problema, poco e male affrontato
nel nostro Paese, che non disdegna il rifugio nel formalismo, ed è
quello della identificazione degli elementi fattuali e tecnici idonei
a far conoscere correttamente la fattispecie da regolare.
Può darsi che la ricerca, se adeguatamente condotta, porti a ravvisare perfino l’esaustività degli aspetti tecnici, sia nella ricostruzione della fattispecie che nella identificazione del tipo di regole e
delle regole stesse idonee a disciplinarla e, con esse, dei limiti entro
i quali la disciplina può ricondursi all’ordinamento giuridico. Ordinamento che, come già detto innanzi, il più delle volte non potrà
andare oltre l’indicazione del soggetto competente ad esprimere la
soluzione definitiva ed a fornire regole di procedura, un po’ come
accade nelle situazioni di necessità superabili, se possibile, soltanto
adattando il provvedimento alle circostanze che ricorrono nell’attualità anziché a regole precostituite, limitate ad indicare competenza e procedimento.
Risultato che può avere sapore di forte agrume per il giurista che
tenda a rivestire dell’ordinamento coercitivo o, almeno, coercibile,
l’intero fenomeno socio-economico: fenomeno, in realtà sempre più
complesso, via via che le scienze progrediscono e la precisione delle
cognizioni acquisite riduce gli spazi per gli apprezzamenti di chi
deve dire l’ultima parola.
Probabilmente la necessità dei singoli e delle comunità di sentire
una parola conclusiva sui problemi che si pongono nelle vita sociale, ha portato a configurare l’ordinamento come, almeno tendenzialmente, omnicomprensivo ed idoneo ad esprimere soluzioni non
più discutibili attraverso l’esercizio della funzione giurisdizionale;
ma, affinando l’indagine ci si trova in presenza di realtà sostanzialmente definibili secondo regole tecniche, intendendosi con questo
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
termine gli apporti delle scienze particolari riferibili alle varie fattispecie da regolare, con scarsi vuoti, quando non addirittura nulli,
sicché la regola giuridica più idonea si rivela quella già accennata,
del rinvio alla regola tecnica da specificare ad opera dell’esperto,
con predeterminazione di precetti limitati alla competenza e al procedimento.
Con la conseguenza che l’ordinamento coercitivo nel suo complesso ha il carattere di un ordinamento non incompleto proprio
perché aperto a tutte le scienze che studiano i fenomeni naturali,
socio-economici e le tecniche implicate: ordinamento che, tanto meglio opererà, quanto più riuscirà a recepire ed attuare le conoscenze
acquisite, in una prospettiva non solo di apertura ma di elasticità e
di adattamento dei provvedimenti, in modo da pervenire a soluzioni adeguate alle istanze ed alle circostanti e sottostanti realtà.
Problematiche che tanto più si avvertono nella gestione degli interessi ultraindividuali, che sono regolati dal diritto amministrativo dove è ben ridotta l’autogestione degli interessi perché non
ascrivibili, di regola, al singolo individuo.
8. Carenze nell’acquisizione dei fatti nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Il decentramento non produce sensibili miglioramenti se manca il colloquio con la base. Il fatto nel processo
amministrativo e gli artt. 1, 7 e 16 L. 205/2000
Ci si può domandare se la configurazione e l’incidenza della funzione pubblica risponda, allo stato attuale dell’evoluzione scientifica e tecnica, alla realtà delle esigenze ed alla presa di coscienza di se
stessi e dei propri bisogni raggiunta da individui e comunità.
Un miglioramento si è creduto di ottenere localizzando il potere
a minori dimensioni rispetto ai precedenti assetti delle competenze
(cfr. ad es. art. 118 t.m. Cost.). E così all’interno degli stati si sono
potenziate e moltiplicate le istituzioni locali, nuovi stati sono stati
formati, specialmente in Europa ed in Asia, per scissione di grandi
e piccoli stati preesistenti: ma non si è assistito ad una adeguata
considerazione degli interessi da gestire, specie sotto il profilo del-
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
le dimensioni e delle relative interferenze, con incidenza negativa
sulla effettiva presenza delle istituzioni e sui risultati della relativa
azione.
In breve si rimane perplessi sulla corrispondenza tra la dimensione assunta dagli interessi ultraindividuali, stando alle cose ed ai
gruppi gestiti e la dimensione delle istituzioni, disegnate piuttosto
secondo le pregresse delimitazioni geografiche di regioni, province
e comuni, più che erose dalle varie vicende succedutesi nel tempo,
a cominciare dall’espansione degli abitati che ha determinato poco
definibili conurbazioni.
Neppure si sono avute provvide correzioni con frazionamenti e/
o unificazioni, seguendosi invece spinte localistiche di minoranze
attive, che si è cercato di assorbire articolando il potere, screditando l’autorevolezza di uomini ed istituzioni e creando un opprimente reticolo di poteri personali che danno luogo a deviazioni di ogni
tipo, favorite anche dall’abolizione dei controlli e dal crescente indebolimento della repressione dell’eccesso di potere e dell’acquisizione dei fatti ai processi ed alle procedure di ogni tipo.
È vero che sul piano delle procedure la partecipazione della base
è cresciuta (cfr. artt. 1 ss. L. 241 e s.m.i.), ma è dubbio che la crescita
abbia prodotto sensibili effetti anche perché manca una tradizione
di colloquio tra apparato e comunità, come si può constatare scorrendo, ad es., le delibere dei consigli comunali che si pronunciano
sulle osservazioni di singoli ed enti sui piani territoriali adottati.
Delibere in cui si decide piuttosto secondo un principio di contrapposizione che di integrazione e, cioè, in direzione opposta a quella
che potrebbe condurre alla cooperazione, prima, ed alla composizione poi, Cooperazione che pur sarebbe indispensabile per il buon
funzionamento degli apparati ed il corretto svolgimento dei rapporti sociali di ogni tipo specialmente attraverso il costume del colloquio, utile anche quando non produce l’intesa, perché, comunque,
avvicina apparati ed individui: risultato questo che è da vedersi in
prospettiva.
Si deve constatare invece, che allo stato delle cose, la stessa regolamentazione della conferenza dei servizi e dell’accordo programma, già nella L. 241/90 e succ. mod. (artt. 14 ss. nonché nel T.U.
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
267/2000 art. 34), è costruita nel senso di semplificare la partecipazione delle varie istituzioni pubbliche, senza troppo preoccuparsi di
migliorare i rapporti tra base e vertice. Con la conseguente e frequente
mancanza di materiali di prima mano che potrebbero fornire soprattutto i soggetti sui quali i provvedimenti da adottare, prima e poi, finiranno con l’incidere.
Difetto che non solo impoverisce la funzione amministrativa ma
anche la funzione giudiziaria e la funzione legislativa, evidenziando
così i difetti comuni della funzione pubblica nel suo complesso.
Qualche esempio può chiarire la situazione.
Ai processi innanzi al Consiglio di Stato partecipava una volta il direttore generale del competente ramo dell’amministrazione
convenuta ed aveva il suo posto a lato dell’emiciclo dove siedono i
giudici.
Ora in quel posto vi è il rappresentante dell’Avvocatura Generale
dello Stato: ma altro è la rappresentazione dei fatti da parte dell’amministrazione convenuta ed altro la difesa tecnica dell’Avvocatura
dello Stato, sì necessaria per bilanciare la difesa tecnica dei ricorrenti, ma non si intende perché il dirigente o l’amministrazione dell’ente o chi per loro e, più in genere, l’autore dell’atto impugnato, non
possono essere interrogati o dire la propria al giudice amministrativo al momento della discussione della causa.
In tal modo i fatti rivivrebbero davanti al giudice competente
per materia e per funzione, se è vero che giustizia e amministrazione si integrano nell’organo che assicura la giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.). Eppure la legge 205 del 2000 ha ammesso
la consulenza di ufficio (art. 1 e 16) ed entro certi limiti le prove del
processo civile (art. 7).
Inutile poi trattenersi sulla lontananza dagli interessi reali, nel
momento in cui si delibera la legge finanziaria, deviando dalla effettiva votazione della legge articolo per articolo, con la compilazione di pochi o unici articoli di centinaia o migliaia di commi, dove
solo Pico della Mirandola o Mitridate potrebbero avere effettivamente presenti le norme che vengono votate.
In sintesi, la funzione pubblica nasce, non di rado, per sovrapposizione anzicché per germinazione dagli interessi bisognosi
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
di regolamentazione: eppure la funzione amministrativa viene
rappresentata come attività concreta degli apparati pubblici. Tale
concretezza non dovrebbe ravvisarsi solo nell’incidenza dei provvedimenti, bensì, soprattutto, nel momento dell’effettiva determinazione dei relativi contenuti, che dovrebbero emergere dalle cose
gestite, assicurando anzitutto reali contatti tra tecnici e politici ed,
ove possibile, presenza di gruppi intermedi debitamente rappresentati e collaboranti.
Ma, pur essendo in atto una maggiore presa di coscienza della
base, la risposta non è nel senso di un conseguente arricchimento
di contenuti per le procedure in cui si concreta la funzione pubblica,
che piuttosto si esprime nel senso di assorbire le spinte più forti,
sicché, in definitiva, manca un’azione adeguatamente programmata verso la quale, invece, bisogna tendere e che potrebbe trovare un
avvio solo se si cercassero effettivamente le forme e procedure di
cooperazione tra le basi opportunamente articolate e gli apparati,
conformati secondo le materie da gestire e la varia e qualificante
dimensione degli interessi.
Ma, purtroppo, la cultura del colloquio e dell’acquisizione dei
termini reali dei problemi, per poterne programmare l’avvio a soluzione, è tutt’altro che diffusa e per formarla occorrerebbero, in
partenza, attente analisi, condotte su materiali di prima mano e riferite
sia al recente passato sia al presente, in modo da poterne trarre serie
indicazioni per le scelte di breve e medio termine che, allo stato delle
esperienze, possono formare oggetto di programmi attendibili: sempre rimanendo aperti ad altre possibili acquisizioni (programmi c.d.
scorrevoli).
9. Alcune notazioni sulla competenza generale dei comuni e
sulla necessità di affidare le decisioni sui programmi agli organi
elettivi, fermo l’ausilio dei tecnici
La programmazione, secondo l’art. 41 Cost., è riservata alla legge, cui spetta di esprimere programmi e predisporre controlli, ma,
sul piano dell’effettivo esercizio delle competenze e delle proce-
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
dure di coordinamento, va collegata al rafforzamento del regime
delle autonomie, specialmente dopo la L. cost. 3/2001 ed il T.U.
267/2000. Riforme che non delimitano le competenze dei comuni
perché l’art. 118 t.m. Cost. afferma che ai Comuni spettano tutte le
competenze amministrative, tranne quelle di interesse provinciale,
regionale nonché statale; il t.u. 267/2000, a sua volta, afferma soltanto che i comuni devono curare il benessere ed il progresso delle
comunità (art. 3); per le Province lo stesso T.U. all’art. 19 contiene,
invece, l’elenco delle materie di competenza; le competenze delle
regioni sono delineate negli artt. 117 e 118 Cost. anche se alle Regioni si attribuiscono anche le altre materie non elencate.
L’art. 117 è tuttavia riferito espressamente alle competenze legislative che non appartengono ai Comuni e non può intendersi nel
senso di limitare le funzioni amministrative, che sono le sole regolate nell’art. 118 Cost. ed immediatamente attribuite ai Comuni, con
la sola eccezione delle funzioni che per l’esigenza di assicurarne
l’esercizio unitario siano conferite a province, città metropolitane,
regioni e Stato “sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Formula quest’ultima che indirizza e limita
i poteri del legislatore nel ripartire le competenze.
Segue che la funzione di indirizzo politico-amministrativo delle
amministrazioni locali spetta specialmente ai comuni che, nei rispettivi territori, possono – utilizzando le risorse disponibili secondo le leggi dello Stato, le quali, peraltro, lasciano agli stessi comuni
margini sul quantum delle tassazioni (artt. 119 e 23 Cost.) – scegliere e dimensionare i settori di intervento, in funzione di progresso
e benessere.
Né bisogna dimenticare che la distinzione tra spese obbligatorie
e facoltative appartiene al passato e già quando essa era in vigore, le
spese facoltative erano indeterminate.
Indirizzi comunali che si esplicitano anzitutto in sede di preparazione ed approvazione dei bilanci e dei piani territoriali di competenza delle assemblee elettive (art. 42 T.U. 267/000).
Ai dirigenti amministrativi degli enti locali il T.U. 267/2000, all’art. 107, attribuisce, poi, importanti competenze per adottare provvedimenti in varie materie: dirigenti verso i quali dovrà sussistere
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
un rapporto di fiducia con gli amministratori elettivi, in funzione
di omogeneità e continuità di azione (v. artt. 107, 1° co. e 109, 1° co.
T.U. 267 cit.).
In sostanza, ci si trova in presenza di amministrazioni locali, specie i comuni – che da noi sono 8000 ed oltre e sono delimitati dalle
regioni nelle relative circoscrizioni (art. 133 Cost.) – notevolmente rafforzate nei rispettivi poteri e non tutte le funzioni sono riconducibili
alla responsabilità politica degli organi elettivi, sicché sarà giocoforza
potenziare gli atti di programmazione che dovrebbero dipendere nei
loro contenuti dal mandato ricevuto dalle popolazioni.
10. Programmazione ed amministrazione nel quadro normativo tracciato negli artt. 41 e 97 Cost. Rimozione di diseguaglianze
ed eccesso di potere
Il tema dell’art. 41 Cost. è la libertà di iniziativa economica ed i
suoi limiti, cui segue la previsione dei programmi e dei controlli riservati alla legge e preordinati ad indirizzare e coordinare l’attività
economica pubblica e privata a fini sociali (art. 41 cit., 3° comma).
Socialità che è materia di indirizzo, oltre che di coordinamento
e che si pone come finalità coerentemente unitaria, sia per l’attività
economica che privata.
Più specificatamente l’art. 97 Cost. stabilisce che l’amministrazione pubblica è organizzata secondo disposizioni di legge in modo
che ne siano assicurati imparzialità e buon andamento.
Proseguendo, anche gli artt. 41 e 97 vanno visti in prospettiva
del discorso sin qui condotto per rivisitare la nostra amministrazione secondo i principi che ne delineano organizzazioni e funzioni:
principi in cui può leggersi l’accoglimento di istanze di efficienza,
riequilibrio, rifacimenti interni, preordinati, tout court, alla credibilità degli apparati.
E non è tutto perché gli artt. 41 e 97 non esprimono solo un messaggio di rinnovamento di organizzazione e modalità di azione, ma
vanno visti anche in funzione della realizzazione dell’eguaglianza
effettiva di trattamento per i singoli componenti le varie comunità; egua-
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
glianza voluta come attualità e finalità della funzione pubblica nell’art.
3 Cost. da raggiungere programmando ed amministrando secondo il
testo costituzionale e le leggi che ad esso danno attuazione.
In questa prospettiva, eguaglianza ed imparzialità sono principi che si integrano nell’azione amministrativa, che può qualificarsi imparziale soprattutto se realizza l’eguale trattamento delle
situazioni che in punto di fatto possano ritenersi eguali o che non
abbiano tratti differenziali di rilievo che comportino un trattamento
diseguale.
Il che significa che l’analisi dei fatti sui quali il funzionario deve
operare è il suo primo dovere, come del resto dimostra la storia
secolare dell’eccesso di potere, da riprendere in tutta l’ampiezza
dell’esperienza sin qui acquisita, perché nessun allentamento si è
avuto nella legislazione e la Costituzione si inizia imponendo il riferimento ai fatti così come si presentano nonché la rimozione delle
situazioni che generano diseguaglianze (art. 3), proseguendo nell’art. 97 con la garanzia dell’imparzialità e del buon andamento, fin
dal momento della predisposizione dell’organizzazione, secondo
legge, degli uffici amministrativi.
Senza dire che il compito assegnato espressamente al Consiglio
di Stato è la garanzia della giustizia nell’amministrazione, ai sensi dell’art. 100 Cost., che inserisce, così, quest’organo, direttamente
nell’ordinamento dello Stato (Schinaia M.E.) e quindi in posizione
distinta dagli apparati dell’amministrazione.
In prospettiva e guardando al passato, le deviazioni così come
conformate dall’esperienza dell’eccesso di potere, vanno attentamente denunciate nei ricorsi avverso i provvedimenti illegittimi e
represse con sentenze di annullamento motivate nei fatti, valutati
secondo le regole in modo che costituiscono esperienze indicative
per l’azione da svolgere.
Quanto poi alla riconduzione a fini sociali dell’attività economica pubblica e privata, questa finalità, bene specificata dall’art. 41,
3° co., al punto da potervi riconoscere un precetto, deve rendere
particolarmente attenti nella verifica dell’effettivo perseguimento
di questi fini quando si discuta della legittimità di detta, multiforme attività economica, non solo, ma dell’attività pubblica in genere
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
e specialmente della pianificazione territoriale che è pianificazione
socio-economica.
11. Segue. L’organizzazione degli uffici secondo il principio
del buon andamento. Aggregazione di competenze per settori organici. Riflessi sulla giustizia amministrativa e sulla posizione di
chi chiede giustizia
La L. 241/90, con le modificazioni successive e specialmente con
la L. 15/2005, ha disposto, da un lato, nel senso della semplificazione e, dall’altro, dell’articolazione delle procedure in modo da allargare la partecipazione agli interessati all’esercizio della funzione
amministrativa.
Discorso da approfondire nel senso che la partecipazione è produttiva se ed in quanto ognuno dei partecipanti esprima uno, o anche più, ma ben definiti interessi e ne possa seguire la rispettiva
vicenda, almeno proponendo soluzioni che, positivamente o negativamente, ineriscano all’affare in discussione, concorrendo alla relativa definizione.
In sostanza, il procedimento partecipato, per essere davvero tale,
richiede che ognuno dei partecipanti sia portatore di precisi interessi da contemperare o sovrapporre o sottoporre ad altri; ognuno dei
partecipanti deve saper quello che vuole, deve poter esprimere l’interesse che impersona e deve saper proporre la propria soluzione,
secondo l’interesse del settore che rappresenta: settore da formare
con aggregazioni di interessi tali da risultare idonee ad una produttiva gestione: settore che espressivamente gli artt. 1 e ss. della
L. 22 luglio 1975 n. 382 denominano “organico” e cioè formato in
modo tale da consentire a chi lo impersona di esprimere la funzione
diretta a regolare produttivamente gli interessi in esso aggregati.
In questo senso funzionalità del settore e del procedimento si
condizionano vicendevolmente e, se entrambi correttamente costruiti, realizzano quella organizzazione di uffici idonea ad assicurare il buon andamento dell’amministrazione, come richiesto nell’art. 97 Cost.
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
Organizzazione e procedimento che hanno richiamato più volte
l’attenzione del legislatore, ma le spinte concrete e particolari hanno
determinato, a tutti i livelli, frantumazioni più che aggregazioni e
la funzione pubblica non ha ancora espresso il coordinamento di
interessi indispensabile per il buon andamento delle istituzioni e
delle procedure e, con esse, della produttività dell’azienda Paese.
Ma qualche cosa gli avvocati potrebbero fare, dovendosi ricordare la funzione di mediazione sociale del ceto forense, che nel
settore della pubblica funzione è interposto tra cittadini e apparati
con possibilità di formazione di indirizzi attraverso accorte sollecitazioni della funzione giurisdizionale, ricordando ancora che, per
la giustizia amministrativa, l’iniziativa nella prospettazione delle
questioni che i giudici debbono risolvere spetta tuttora ai ricorrenti, debitamente rappresentati e responsabilizzati dai loro patroni
(art. 6 R.D. 642/1907).
Iniziativa degli avvocati che in determinate situazioni può valere
grande rilevanza socio-economica, ma esige, nello stesso tempo, notevole impegno, perché si tratta di ricostruire, prospettare e convincere; ed i risultati positivi tanto più saranno possibili quanto più si
riuscirà a comporre su adeguate basi gli interessi rappresentati con
un andamento almeno accettabile della cosa pubblica.
Ma allora quale deve essere il contenuto degli atti di iniziativa?
È proprio vero che il concetto di interesse ad agire in giudizio può
essere trapiantato senza gli opportuni adattamenti nell’area della
giustizia amministrativa cui spetta di assicurare la giustizia nell’amministrazione (art. 100 Cost.)?
La realtà è che chi denuncia una illegittimità si propone di conseguire comunque, un vantaggio dalla eliminazione dell’atto illegittimo ma, nello stesso tempo, denuncia una disfunzione amministrativa e la domanda è proposta al giudice cui spetta di assicurare la
giustizia nell’amministrazione, sicché l’interesse implicato non è
riferibile esclusivamente al singolo ricorrente.
Tutto ciò ha notevoli conseguenze già in sede di impostazione
del ricorso, delle prospettazioni in esso contenute, dei fatti implicati
e delle prove relative.
Poiché si denunciano vizi di legittimità della funzione pubblica,
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
così come esercitata, la prospettazione deve rappresentare la sfera di
interessi in cui la funzione ha inciso, nei presupposti e negli effetti,
le modificazioni prodotte rispetto al regime anteriore all’intervento
svolto, valutandole secondo le norme delimitatrici del potere esercitato nei modi e secondo le finalità previste dalle norme stesse.
Ed il riferimento ai fatti e, nello stesso tempo, al principio del
buon andamento dell’amministrazione, indurrà interessati e giudice amministrativo a domandarsi, attraverso l’esame dei fatti e delle
norme applicabili, se l’amministrazione ha bene o male funzionato.
Il che significa che la prospettazione del ricorrente deve essere
analitica, da un lato, ma, dall’altro, deve avere sempre presente l’elemento sintetico del modo del funzionamento dell’amministrazione,
considerando che la disfunzione si coglie partendo dalle premesse,
passando per i modi di esercizio e valutando i risultati, dato che si
giudica di attività concrete dirette a regolare interessi.
In questo senso ritorna l’esigenza di rinverdire l’eccesso di potere, che, andando dalle premesse alle conseguenze della funzione
esercitata, valutate secondo le finalità legittimamente perseguibili,
consente di cogliere le disfunzioni, tanto più percepibili se si valuta
l’azione degli apparati rilevando o rappresentandosi settori organicamente aggregati e condizionanti il buon andamento della funzione amministrativa.
In questa prospettiva la redazione di un ricorso che denunci l’illegittimità di un provvedimento deve anzitutto rappresentare la
situazione di fatto, precisando le modificazioni prodotte dall’atto
che si ritiene illegittimo ed il relativo impatto e, nella redazione dei
motivi non fermarsi ad illustrare il contrasto con le norme scritte, ma
andare oltre, verso il vizio della funzione dell’organo che ha agito
(Benvenuti F.), configurando la disfunzione che la violazione di
legge da sola non sempre e evidenzia, occorrendo riferirsi ai fatti,
dato che norma e fatto si illuminano vicendevolmente (Betti).
Disfunzione che è la prova migliore a fondamento dell’istanza di
giustizia nell’amministrazione e che può essere ulteriormente fondata ricercando duplicazioni e disorganicità nell’ordinamento degli
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
uffici, perché negli apparati amministrativi gli elementi esistenziali
e funzionali si condizionano vicendevolmente: tout se tient, come
hanno avvertito saggiamente i Costituenti nell’art. 97 e confermato
nel successivo art. 100.
È proprio detto art. 100 che induce a domandarsi se la realizzazione della giustizia nell’amministrazione comporti specialmente
non solo la ricerca dell’eccesso di potere, ma anche l’approfondimento della giurisdizione come ricerca del punto in cui la lite possa
ritenersi giustamente composta. Alcune forme dell’eccesso di potere
come la disparità di trattamento e la manifesta ingiustizia sembrano
dare indicazioni in tal senso.
Ed a proposito dell’eccesso di potere si è insistito sulla necessità
di rinverdirne il controllo che è nato nei suoi svolgimenti dall’esperienza del Consiglio di Stato ma che attualmente non si fa sentire
come dovrebbe pur in presenza di deviazioni che si moltiplicano
già in sede di formazione di nuove istituzioni e di trasformazioni di
soggetti esistenti.
In realtà discutendo della presenza dell’eccesso di potere nell’esercizio della giurisdizione amministrativa vengono in rilievo i
problemi di fondo della funzione giurisdizionale ed in particolare
della giurisdizione di legittimità che il felice riferimento di Silvio
Spatent allo spirito della legge estendeva alle premesse ed alle conseguenze dei provvedimenti.
Ne segue un interrogativo di ampia dimensione perché, in realtà,
il riferimento ai fatti evidenzia la vera funzione della giurisdizione
di fare emergere la realtà delle controversie attraverso il processo
ed adattare le regole disponibili in modo che ne possa risultare una
decisione, se non proprio coerente, almeno, inseribile nel sistema in
modo accettabile.
In questa prospettiva l’eccesso di potere si pone in primo piano
nel panorama della giustizia amministrativa e ciò tanto più ora che
si sono ampliati i mezzi di prova ammissibili nel relativo processo
ed il procedimento di formazione dei provvedimenti comprende la
partecipazione degli interessati (artt. 1, 7 e 16 L. 205/2000, 4, 7 ss. L.
241/90 e s.m.i.).
Caratterizzazione della funzione giurisdizionale che la pone dav-
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
vero in posizione intermedia tra legislazione ed amministrazione e
non solo nel senso che esegue la legge e controlla l’amministrazione, bensì nel molto più produttivo significato che, facendo emergere attraverso il processo la realtà dei dissensi, fornisce materiali ed
indirizzi per l’esercizio delle altre funzioni pubbliche in modi aderenti agli interessi umani; ed è in questo senso che qui si insiste per
rinverdire l’eccesso di potere che, andando al fondo delle cose, non
solo caratterizza la giurisdizione amministrativa come quella che
garantisce la giustizia nel farsi dell’amministrazione ma aiuta non
poco ad approfondire l’essenza della giurisdizione e la funzione del
processo che rivela la realtà delle controversie.
12. Indicazione di alcuni problemi che possono essere guardati
nell’attualità ed in prospettiva: A) la delimitazione delle giurisdizioni
A) L’incertezza nella ripartizione della giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo è propria nel nostro ordinamento
bipartito data la scarsa definizione delle situazioni soggettive di
diritto soggettivo e, rispettivamente, di interesse legittimo; dicotomia dalla quale si fa dipendere la delimitazione dell’area della
giurisdizione ordinaria e, rispettivamente, della giurisdizione amministrativa.
Problema che si è aggravato dopo che la Corte costituzionale ha
confermato la dipendenza da dette situazioni soggettive della delimitazione delle giurisdizioni con le note sentenze 204 e 281 del 2004
e 191/2006, precisando, quanto al risarcimento del danno, che esso
rientra nella giurisdizione amministrativa non come una “materia”
a sé stante, bensì rappresenterebbe un ulteriore strumento di tutela dell’interesse indebitamente sacrificato dall’esercizio del potere e non reintegrato con la sola eliminazione dell’atto illegittimo.
In tal modo non ha sortito effetti positivi il criterio di ripartire
la giurisdizione per “blocchi di materie” che pur era assimilabile al criterio della ripartizione dell’organizzazione amministrativa
154
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
per settori organici di materie, ai sensi della già ricordata legge 22
luglio 1975 n. 382 (retro n. 11): criterio che pur avrebbe potuto aiutare nel definire i blocchi di materie, dando certezza a chi deve
assumere una iniziativa giudiziaria circa il giudice cui rivolgersi.
Certezza che ora non c’è, data la scarsa definizione della situazione
di interesse legittimo, e non di rado, anche dello stesso diritto soggettivo.
Dissento dalla soluzione adottata dalla Corte costituzionale che,
tra l’altro, ha determinato differenti orientamenti dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Cassazione, specialmente quanto al problema della pregiudiziale, tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo generatore del danno,
per la proponibilità della domanda al risarcimento. Pregiudizialità
affermata dal giudice amministrativo (cfr. tra le molte Ad. Plen. 9
febbraio 2006 n. 2) e negata dalla Cassazione (Ordd. 23 gennaio 2006
n. 1207).
È venuta meno così anche la certezza circa la configurazione del
risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi come diritto
autonomo del danneggiato, riconosciuto nella nota sentenza delle
Sezioni Unite n. 500 del 1999.
Si tratta di posizioni differenziate che, si spera, le giurisdizioni
competenti possano via via avvicinare, approfondendo il discorso
sui criteri che risulteranno validi per delimitare le giurisdizioni nell’interesse del cittadino che, secondo la Costituzione e la Carta europea dei diritti dell’uomo, ha diritto ad un’effettiva e tempestiva
tutela giudiziaria dei suoi interessi riconosciuti come tutelabili
dagli ordinamenti giuridici nazionali e sovranazionali, che li conformano e li rendono azionabili.
In proposito, alcune precisazioni sono possibili.
In primo luogo l’art. 24 Cost. non regola, né cristallizza la delimitazione delle situazioni soggettive, perché il compito del Costituente non è né ricostruttivo né definitorio di situazioni, bensì di
delimitare l’area del potere pubblico e, rispettivamente, le garanzie del singolo contro gli abusi, nonché di indirizzare l’azione delle
istituzioni nel senso della sicurezza e del benessere della comunità.
Rivista del Consiglio
155
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
L’art. 24 Cost. afferma soltanto il diritto a richiedere la tutela
giudiziaria per qualsiasi interesse giuridicamente garantito, mediante un processo accessibile per tutti ed in cui sia possibile sia
agire che difendersi, ottenendo giustizia entro tempi ragionevoli
come precisato nella carta europea dei diritti dell’uomo e nella nota
legge Pinto.
La norma afferma che tutti hanno diritto di agire in giudizio
per la tutela dei propri diritti soggettivi o interessi legittimi, ma non
dice né quale deve essere il giudice né se e come debbono aversi
forme di processo e competenze distinte per i diritti soggettivi e
gli interessi legittimi che la norma stessa richiama congiuntamente per affermare un regime generale di tutela per tutti gli interessi
giuridicamente rilevanti, noti sia come diritti soggettivi che come
interessi legittimi.
La chiamata congiunta dell’uno e dell’altro tipo di situazioni
vuole coprire con la tutela giudiziaria tutti gli interessi giuridicamente rilevanti, tanto che nei commi successivi, la tutela giudiziaria viene specificata nei suoi svolgimenti processuali, affermandosi
la portata generale del diritto di accedere alla giurisdizione e del diritto di difendersi in giudizio e la riparazione degli errori giudiziari;
nessun criterio di distinzione si riscontra, invece, tra diritto soggettivo ed interesse legittimo che vengono parificati con la chiamata
congiunta nella garanzia della tutela giudiziaria.
Né si distingue nel successivo art. 111, 1° e 2° comma, premessi
dall’art. 1 L. cost. 23/11/1999 n. 2 quanto alle garanzie del giusto
processo e del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo ed imparziale, né quanto alla ragionevole
durata del processo.
Le due situazioni vengono altresì richiamate nell’art. 113 Cost.
dove si afferma che tutti possono chiedere la tutela giudiziaria dei
diritti soggettivi e degli interessi legittimi impugnando gli atti della pubblica amministrazione innanzi agli organi della giurisdizione
ordinaria o amministrativa, ma neppure l’art. 113 fissa nel suo testo i criteri di ripartizione delle due giurisdizioni, perché nel terzo
comma si conclude con un saggio rinvio al legislatore ordinario, essendo stato ben consapevole il Costituente delle problematiche in
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
materia e della mutevolezza delle vicende degli interessi umani e,
conseguentemente, degli strumenti di tutela.
Dispone infatti l’art. 113 che “Contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli
interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.
Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.
La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare
gli atti della Pubblica Amministrazione nei casi e con gli effetti previsti
dalla legge stessa”.
Ora il primo comma dell’art. 113 non prevede affatto che la tutela
giudiziaria dei diritti soggettivi e degli interessi spetti, per i primi,
al giudice ordinario e, per i secondi, al giudice amministrativo, ma
mentre conferma il diritto alla tutela giudiziaria e l’impossibilità di
limitarla, riaffermata anche nel secondo comma, pone, quanto alla
giurisdizione che può essere adita, una regola alternativa, nel senso
che sia per i diritti soggettivi che per gli interessi legittimi può ricorrersi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa.
Regola alternativa confermata nel terzo comma con il rinvio alla
legge per le relative specificazioni, disponendo il terzo comma che
spetta al legislatore stabilire “quali organi di giurisdizione possono
annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli
effetti previsti dalla legge stessa”.
Dunque, con una norma elastica – ed elastiche devono essere
le norme di rango costituzionale per poter durare (v. Luigi Rossi e
Giuseppe Chiarelli) – e cioè attraverso il rinvio alla legge ordinaria,
la Costituzione ha avviato a soluzione il problema, già allora grave,
della delimitazione delle giurisdizioni e non lo ha affatto risolto
direttamente con il riferimento alle due incerte situazioni del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo, ma deve essere la legge
a determinare i casi e gli effetti di annullamento giurisdizionale per
lesione dell’una o dell’altra situazione.
Questa conclusione non è smentita dall’art. 103 laddove afferma
la giurisdizione dei giudici amministrativi sugli interessi legittimi
ed in particolari materie indicate dalla legge anche sui diritti sog-
Rivista del Consiglio
157
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
gettivi, perché l’art. 113 u.co. ha aperto una strada per delimitare
con precisione l’annullamento che caratterizza la giurisdizione di
legittimità dei Tar e del CdS e la regola delle particolari materie
di giurisdizione anche sui diritti soggettivi, riguarda le materie di
giurisdizione esclusiva che, da sempre, sono specificatamente e diffusamente elencate nelle nostre leggi. Segue che l’art. 103 si concilia
perfettamente con il principio di specificità affermato a chiare lettere nell’art. 113 u. co. laddove invita il legislatore a precisare casi ed
effetti della giurisdizione di annullamento.
Diverso discorso è quello della legittimità costituzionale dell’art.
7 L. 205/2000 per quanto non elencherebbe specificamente le materie rientranti secondo detta norma nella giurisdizione esclusiva.
Infatti, anche ammesso che possano esservi state delle imprecisioni
data la scarsa definizione della categoria dei servizi pubblici cui fa
riferimento detta norma, non è questa imprecisione una ragione per
negare il criterio del riferimento alle materie, che appartiene al diritto processuale generale ed al quale si riferisce la citata L. 382/75 per
il riordino dell’organizzazione amministrativa; e proprio l’amministrazione è richiamata nell’art. 100 Cost. per esprimere l’esigenza di
garanzia di giustizia nell’esercizio della funzione amministrativa.
Né preoccupa il fatto che riferendosi alle materie si creerebbe un
giudice dell’amministrazione perché non solo i giudici amministrativi hanno rivendicato anche molto recentemente la loro appartenenza all’ordinamento nel suo complesso e non agli appalti, ma
soprattutto perché si tratterebbe di un problema da risolvere, ove
esistesse, con garanzie relative alla composizione dei collegi giudicanti senza rendere incerta la delimitazione delle giurisdizioni.
D’altronde, le interminabili controversie che derivano dall’assunzione della dicotomia diritto soggettivo-interesse legittimo
come criterio spartiacque tra le due giurisdizioni viola chiaramente
il principio della ragionevole durata dei processi ora costituzionalizzato nell’art. 111, 2° co. Cost., che rinvia anch’esso alla legge
per assicurare detta ragionevole durata e – qui si aggiunge – che la
legge deve attuare il disposto dell’art. 113 u. co. Cost., evitando che
per la delimitazione delle giurisdizioni debba arrivarsi al conflitto
ex art. 362 cpc come pure prospettato dalla Cassazione in caso di
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
diniego del risarcimento del danno (Cass. 13 giugno 2006 n. 13659 e
13660). Dovrà essere la corretta delimitazione dei settori di amministrazione e l’approfondimento della natura del contenzioso che ne
deriva, a suggerire in sede legislativa, ma anche in sede giudiziaria,
la via per delimitare le sfere delle due giurisdizioni, le condizioni
di legittimità da riaffermare ed il ripristino dei patrimoni indebitamente incisi.
Ribadendosi che non vale opporre che il riferimento ai settori
organici di materie previsti dalla L. 382/1975 crei un giudice dell’amministrazione perché l’esperienza dell’interesse legittimo come
criterio di delimitazione di competenza ci ha messi di regola di
fronte alla incertezza, inammissibile in sede di assunzione di iniziative giudiziarie, che costituiscono esercizio dell’incondizionato
diritto soggettivo di agire in giudizio (art. 24 Cost.) e, d’altronde,
l’art. 100 delimita la funzione dei giudici amministrativi nel senso
di assicurare la giustizia nell’amministrazione e cioè di pronunciarsi sulla legittimità della funzione amministrativa: funzione che consiste nell’emettere pronunzie giudiziarie secondo il chiaro dettato
dell’art. 113 Cost. che ne delinea gli strumenti definendo organi di
giurisdizione i giudici amministrativi, che devono, perciò, tutelare
i cittadini assicurando giustizia nell’amministrazione.
Fermo restando che il riferimento alle materie è comune all’esperienza codicistica nel delimitare le competenze giudiziarie e che il
riferimento ai settori organici di materie nonché, può aggiungersi, ai testi unici esistenti o da formare per la regolamentazione dei
settori di amministrazione, potrà essere di non lieve ausilio per la
soluzione del problema della delimitazione delle giurisdizioni.
B) Il risarcimento del danno da esercizio di attività pubbliche e
le cause di giustificazione.
Il problema della lesione dei patrimoni individuali a seguito di
esercizio di attività pubbliche suggerisce altre considerazioni.
L’azione per il risarcimento del danno ingiusto si fonda sulla
norma generale dell’art. 2043 c.c. che non contiene una delimitazione di tipi di situazioni lese, ma solo il riferimento all’azione dolosa
Rivista del Consiglio
159
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
o colposa che abbia causato una diminuzione patrimoniale – danno
– ed all’ingiustizia della diminuzione stessa nel senso che manca
una causa che la giustifichi, mancanza che ne evidenzia l’illiceità.
Anche nel diritto Giustiniano l’azione di risarcimento del danno
viene configurato come actio generalis in factum ob indemnitatem tendente, cioè, a tenere indenne, senza danno, il titolare del patrimonio che ha subito la diminuzione.
Nel moderno diritto pubblico è stato evidenziato (Alessi R.) il
fondamento della pretesa risarcitoria nella violazione del principio
di intangibilità dei patrimoni e può ribadirsi che si ha violazione
di detto principio quando manchi una causa che giustifichi la diminuzione patrimoniale, mentre l’elemento psicologico del dolo e della colpa riguardano l’imputazione del danno all’autore dell’azione
che il danno ha prodotto.
Impostazione che qui sembra chiarificatrice e per la quale i supporti non mancano, specie se si considera l’istituto dell’espropriazione e non meno, quello dell’imposizione tributaria che entrambi
comportano una diminuzione patrimoniale legittimata però già nella Costituzione /artt. 42 e 23 e 53).
La legittimità dell’espropriazione presuppone infatti l’accertamento della pubblica utilità dell’opera da eseguire: utilità che comporta la necessità del trasferimento coattivo dell’area. Accertamento di utilità da esprimere nell’atto formale che dichiara la pubblica
utilità dell’opera e che costituisce appunto la causa giustificatrice
del sacrificio del diritto del proprietario secondo il fondamentale
art. 42 della Costituzione che mentre riconosce la proprietà privata
ne consente il trasferimento coattivo per pubblico interesse.
Per l’imposizione tributaria il sacrificio è giustificato dal dovere
costituzionalmente imposto di contribuire alle spese pubbliche in
proporzione della propria capacità contributiva (art. 53 Cost.) e nei
limiti stabiliti dalla legge (art. 23 Cost.).
Sono queste le più note e frequenti diminuzioni patrimoniali che
non costituiscono danno ingiusto appunto perché supportate da
cause di giustificazione.
Se l’atto che impone il sacrificio va oltre i limiti della norma che
lo giustifica – risultando ad es. illegittima o decaduta la dichiara-
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
zione di p.u. alla base dell’esproprio – segue la responsabilità per
danno ingiusto e quindi l’obbligo di risarcimento del quale ai sensi
dell’art. 7, 4° comma L. 205/2000 conosce il giudice amministrativo
senza che la norma stessa imponga particolari condizioni.
Segue che affermare la pregiudiziale amministrativa del previo
annullamento dell’atto lesivo, anzicchè il solo accertamento del
danno ingiusto, come fondamento della domanda di risarcimento,
significa complicare senza base legale le condizioni del risarcimento che comportano soltanto l’accertamento del danno, la riferibilità
dell’evento dannoso allo svolgimento delle funzioni pubbliche e
l’assenza di cause di giustificazione.
Con la precisazione che deve trattarsi di danno prodotto, almeno, in
occasione dell’esercizio di pubbliche funzioni, dovendo sussistere un
nesso di causalità tra attività pubblica e danno.
Responsabilità che allo stato della legislazione e della giurisprudenza va affermata sia per lesione di diritti soggettivi che di interessi legittimi e va fatta valere innanzi al giudice amministrativo ai
sensi dell’art. 7 pen. Comma L. 205/2000.
Ed è anzi inadeguato domandarsi se sia stato leso un diritto
soggettivo o un interesse legittimo nei rapporti tra cittadino e p.a.
proprio perché l’atto della P.A. che abbia causato una diminuzione
patrimoniale al singolo può trovare una causa di giustificazione nell’ordinamento giuridico mediante previsione di poteri e fini comportanti sacrifici per il singolo; in mancanza si pone come elemento
che produce il danno ingiusto derivandone l’obbligo di risarcimento.
Segue che in relazione al danno derivante da azione della P.A.
l’interrogativo non concerne la legittimità o meno di un determinato provvedimento perché in primo piano, proprio stando al testo
dell’art. 2043 c.c. – norma generale – sta la ricerca sulla verificazione e sull’ingiustizia del danno da condurre secondo le norme che
tutelano il patrimonio del danneggiato e le norme che ne possono
legittimare il sacrificio, poco o nulla interessando se la violazione di
queste norme abbia anche delegittimato il provvedimento perché
quello che interessa stabilire e se secondo l’ordinamento vigente il
danno debba ritenersi o meno ingiusto per poter fondare o no la
Rivista del Consiglio
161
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
domanda di risarcimento; sicché la situazione va addirittura capovolta nel senso che l’annullamento dell’atto illegittimo può essere
una conseguenza dell’ingiustizia del danno allo stesso modo che la
distruzione dell’atto falso è una conseguenza per l’accertata responsabilità per il delitto di falso.
Se è vero, infatti, che i patrimoni sono in via di principio intangibili, per potersi pronunciare sull’ingiustizia del danno è pregiudiziale la ricerca sulla esistenza o meno di cause di giustificazione del
danno prodotto cui poi segue logicamente la pronuncia sul risarcimento, in positivo o negativo, secondo che si siano escluse o ravvisate cause di giustificazione previste dall’ordinamento giuridico.
C) Ulteriori considerazioni sulla delimitazione dell’area della
giurisdizione amministrativa
L’art. 113 attribuisce al legislatore il compito di fissare quale è
l’area della giurisdizione amministrativa e, rispettivamente, della
giurisdizione ordinaria nella cognizione delle controversie insorte
per effetto dell’esercizio della funzione amministrativa che meglio si
direbbe funzione pubblica, per il poliformismo che assume l’azione
diretta o indiretta degli apparati pubblici anche con la produzione di
norme secondarie. Senza dimenticare l’indefinizione delle funzioni
attualmente affidate ai Comuni e ad altri enti locali (art. 118 Cost. e
art. 3 D.Leg. 267/2000), nonché la situazione dello Stato, specie per le
competenze residuali (art. 117 Cost.) che poi divengono essenziali in
sede di coordinamento dell’imposizione tributaria (art. 119 Cost.)
e di legge finanziaria annuale, perché il contribuente è uno.
Varietà di interessi oggetto della funzione pubblica cui non può
non corrispondere l’azione regolatrice del legislatore ordinario
quanto alla regolamentazione dei modi e delle forme delle competenze e dei procedimenti giudiziari.
Comunque è vano illudersi in ordine a sollecite e chiarificatrici
revisioni, sicché tutto quello che può farsi in sede di esame prospettico è andare alla ricerca di possibili criteri idonei ad agevolare
almeno la conoscenza il più possibile ampia dei problemi verso una
augurabile soluzione. Soluzione che noi avvocati, interposti come
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
siamo nella nostra funzione di assunzione di iniziative giudiziarie
tra apparati, persone e comunità, abbiano il diritto-dovere di ricercare, proporre e riproporre, sia in sede giudiziaria che rivolgendoci
nelle forme consentite ai rappresentanti delle comunità.
Osservando lo stato delle cose sembra che nella delimitazione
dei problemi di giurisdizione si è indagato prevalentemente sulle
situazioni azionate da chi domanda giustizia – se di diritto soggettivo, interesse legittimo, diffuso, occasionalmente protetto, semplice,
strumentale e via dicendo – ma poco si sia indagato in ordine alla
posizione dell’amministrazione contro la quale ha agito il singolo
ed alla quale invece pur rivolge la sua attenzione l’art. 113 Cost. u.c.
rinviando alla legge per stabilire chi e con quali effetti debba esserne
il giudice, nonché l’art. 1000 stabilendo che i giudici amministrativi
debbono rendere giustizia nell’amministrazione, facendo rivivere
innanzi a se stessi la funzione amministrativa così come esercitata,
tanto che l’art. 44 T.U. 1054/1924 abilita il giudice all’istruttoria di
ufficio, chiedendo schiarimenti, verifiche ecc. e gli artt. 1 e 16 L.
205/2000 hanno aggiunto la consulenza tecnica di ufficio aprendo
legislativamente il sindacato sulla discrezionalità tecnica, già ammesso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (adunanza plenaria n. 16/1989 e successive sentenze).
Ciò significa che l’oggetto delle giurisdizioni amministrative, secondo le norme costituzionali fondamentali, in particolare gli artt.
100 e 113, è il concreto esercizio del potere pubblico, sindacabile dal
giudice amministrativo per quanto abbia inciso su interessi protetti
dall’ordinamento giuridico: con la conseguenza che per delimitare
l’area della giurisdizione amministrativa il primo elemento da identificare è l’esercizio della potestà di amministrazione che, ai sensi
degli artt. 97 e 100 Cost., deve avvenire imparzialmente e secondo
giustizia: giustizia che i giudici amministrativi devono garantire.
Segue che norme sulla competenza sul procedimento, sull’oggetto e sui fini dell’azione amministrativa vengono certamente in
rilievo per identificare il concreto esercizio della funzione amministrativa mentre l’incidenza sulle situazioni individuali deve essere
studiata in stretta connessione con dette norme che possono legittimare il sacrificio.
Rivista del Consiglio
163
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
In più semplici termini l’identificazione del soggetto che ha agito
e dei modi ed effetti dell’azione è elemento non meno essenziale
della situazione incisa dall’azione amministrativa per individuare
il giudice competente sulle controversie tra singolo e pubblica amministrazione.
Non a caso il fondamentale art. 26 T.U. 1054/1924 afferma la giurisdizione del Consiglio di Stato in s.g. su “atti e provvedimenti di
una autorità amministrativa e di un corpo amministrativo deliberante”.
Si vuol dire cioè che il profilo soggettivo della provenienza dell’atto, provvedimento e degli stessi comportamenti come ad es. il
silenzio da parte di autorità e più in genere di apparati amministrativi, è positivo elemento nell’indagine sulla giurisdizione e sui
poteri del giudice e può ben servire, specialmente alla luce dell’art.
113 u. co., sia ad individuare il giudice competente che a delimitarne secondo legge i poteri.
E se spetta alla legge delimitare giurisdizione e competenza (art.
113 u. co. Cost.) e pur vero che l’organizzazione della pubblica amministrazione è costruita secondo legge (art. 97 Cost.) e che secondo
gli artt. 1 e ss. L. 22 luglio 1975 n. 382 le competenze devono essere
raggruppate in modo tale da assicurare il produttivo esercizio della
funzione pubblica: in questa prospettiva la legge parla di competenze degli uffici raggruppate per settori organici di materie che, a
ben guardare, rispondono al principio affermato nell’art. 97 Cost. in
cui si prevede che l’organizzazione degli uffici sia fatta in modo da
assicurare il buon andamento dell’amministrazione.
Ora non può secondo logica pensarsi che mentre l’organizzazione amministrativa deve essere fatta in modo da garantire il buon
andamento, non altrettanto debba farsi per l’organizzazione della
funzione giurisdizionale, specialmente per quanto riguarda la risoluzione delle controversie tra cittadino e P.A. che, oltretutto, incidono nelle stesse materie per le quali si prevede l’organizzazione in
funzione del buon andamento.
E se un criterio adottato dal legislatore (L. 382/1975) in funzione
del buon andamento è stato quello della ripartizione delle competenze per settori organici di materie di amministrazione pubblica
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Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
– cioè di materie aggregate in modo da gestire produttivamente –
non si vede perché, una volta, delimitati i settori di amministrazione, non possa farsi riferimento ad essi per delimitare le competenze
giurisdizionali almeno laddove risultino incerte le aree appartenenti alle singole giurisdizioni.
Ed a questo punto va ribadita la funzione pregnante del rinvio
alla legge per la delimitazione delle giurisdizioni secondo l’art. 113
u. co. Cost.: comma che conclude un articolo che si inizia con l’affermazione della tutela giudiziaria contro tutti gli atti della pubblica
amministrazione innanzi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa; il secondo comma esclude ogni limitazione alla tutela
giudiziaria ed il terzo comma, più volte citato, conclude rinviando
alla legge per la determinazione del giudice competente e degli effetti delle pronunce giudiziarie.
Segue che il rinvio alla legge del terzo comma è lo strumento per
regolare l’esercizio della tutela giudiziaria prevista in modo omnicomprensivo nel primo e nel secondo comma; e ben può vedersi un
coerente riferimento del Costituente all’area della legge sia per la
formazione dell’organizzazione amministrativa sia per la prestazione della tutela giudiziaria assicurata al Cittadino innanzi agli organi
della giustizia ordinaria o amministrativa.
Ovviamente rimane il problema di delimitare i settori aggregando le competenze secondo funzionalità di organi e procedure,
avvalendosi di dati di riferimento oggettivi e soprattutto dell’omogeneità delle materie e può aiutare l’unificazione dei testi legislativi secondo le materie che possono essere raggruppate, come di
recente accaduto con il codice degli appalti: unificazione di testi che
possono essere anche l’occasione per determinare il giudice avente
giurisdizione nelle materie regolate dal testo unico o codice che dir
si voglia.
E si potrebbe continuare ma si andrebbe oltre i limiti consentiti per una relazione ad un congresso di colleghi che si riuniscono
per cogliere problemi e indicare soluzioni; seguono pertanto alcune
conclusioni.
Rivista del Consiglio
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Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
13. Alcune conclusioni
1) Si è in presenza di una istanza di ammodernamento delle istituzioni per il quale si va alla ricerca di modelli derivandoli anche
dalle strutture dell’impresa in un momento in cui si sono depotenziati i controlli, sicché la garanzia del buon impiego delle risorse
pubbliche esige assoluta trasparenza da realizzare non solo attraverso la partecipazione ma ancor più attraverso la diffusione di
dati leggibili sui risultati delle gestioni di danaro pubblico.
2) Come nella sfera dell’autonomia privata le puntualizzazioni
degli interessi nel diritto soggettivo e nel negozio giuridico sono
entrambe a servizio della libertà, secondo la profonda intuizione,
tecnica e lirica, di Emilio Betti, così gli interessi ultraindividuali
sono puntualizzati nelle norme di diritto amministrativo e soggettivati nelle istituzioni e relativi organi, titolari di funzioni pubbliche da esercitare secondo il principio costituzionale del buon
andamento, dell’imparzialità e, quindi, della pertinenza ai fini delle comunità, con tecniche idonee: elementi tutti che fondano consenso delle comunità amministrative, che va considerato non solo
come espresso nel momento delle elezioni, ma nelle varie forme di
successive partecipazioni.
3) Consenso che se ricercato ed interpretato con continuità, sembra essere l’optimum degli strumenti per avvicinare motivazioni e
scelte agli interessi reali, almeno attenuando gli effetti delle lotte
di potere che oscurano la trasparenza e minimizzano i risultati
mentre si tratterebbe di cogliere riferimenti alla base e provvedere
di conseguenza.
4) Legge e regolamento si integrano nella complessità delle funzioni dettandone le regole secondo l’evoluzione dei rapporti sociali
e delle cognizioni tecniche, riducendo via via l’area dell’arbitrio,
in una simbiosi che sarebbe insufficiente restringere alla funzione
di garanzia, migliorando, invece, via via che si sperimentano modalità e risultati, l’esercizio della funzione, che va indirizzata verso il rafforzamento dei motivi di coesione sociale; in questo senso
la bipartizione della funzione amministrativa in compiti di pace e
compiti di benessere, esprime, in realtà, un sinergismo e non poco
166
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
si progredirebbe includendo pianificazione, generale e particolare,
nei compiti di benessere (art. 41, 3° co. Cost.).
5) Il potere-dovere di esercitare secondo legge la funzione pubblica richiede l’adattamento delle regole giuridiche e l’applicazione
delle regole tecniche secondo le circostanze percepite da chi decide,
con un apporto oggi detto di implementazione che, studiato nei suoi
condizionamenti fattuali, tecnici e giuridici, rafforza la concezione
della funzione pubblica come adempimento del dovere, mentre il
potere dovrebbe esprimersi nell’apporto psicologico consistente nel
coordinare gli elementi necessari per pervenire alla disposizione,
secondo le istanze e gli elementi condizionanti acquisiti attraverso
il procedimento: affermazione da rafforzare ricordando le deviazioni della personalizzazione del potere, specie in sede locale.
6) Realisticamente considerando l’apporto delle regole tecniche,
non di rado esaustive per certi tipi di attività – cure mediche, progettazioni, ecc. – c’è da interrogarsi sui limiti dell’ordinamento giuridico che per l’applicazione delle regole tecniche non va oltre la determinazione di competenze ed, entro certi limiti, di procedimenti,
sicché la veste giuridica alla soluzione finale può risolvere solo problemi di efficacia, che sarebbe formalistico svincolare da successive
evoluzioni della tecnica, da recepire con convenienti adattamenti di
procedure, avviandosi verso la concezione dell’ordinamento giuridico aperto all’evoluzione della tecnica mentre spetta al legislatore
dettar regole adeguate all’evoluzione socio-economica.
7) La mancanza della cultura del colloquio tra base ed apparati riduce fortemente la possibilità di acquisire materiali di prima mano
e, quindi, contenuti reali agli atti in cui si esprime la funzione pubblica, sicchè le soluzioni adottate ai vari livelli sono frutto, più che
di germinazione, di sovrapposizione; tutto ciò pur non mancando
luoghi e procedure per incontri che occorrerà in tutti i modi possibili favorire per far nascere l’abitudine al colloquio e far intendere
il significato della partecipazione alla gestione degli interessi delle
comunità, fatte come esse sono di singoli tra loro conviventi in contiguità di spazi ed integrazione di apporti.
8) Le funzioni di indirizzo attribuite ai comuni nei rispettivi territori – per potervi esercitare tutte le funzioni amministrative e cu-
Rivista del Consiglio
167
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
rare benessere e progresso delle comunità (art. 3 T.U. 267/2000 e
art. 118 t.m. Cost.), funzioni assistite da facoltà impositive, anche
se limitate al quantum delle imposizioni – debbono rendere attenti nella regolamentazione delle procedure, specialmente a garanzia
della trasparenza – specie quanto all’istituzione di enti e società
– e della cultura del colloquio, potenziando audizioni e apporti di
base, attraverso osservazioni sulle quali debbono pronunciarsi motivamente gli organi elettivi.
9) La ricostruzione dei fatti deve essere attenta ed approfondita
fino a dimostrare la giustificazione dei provvedimenti e deve essere assicurata attraverso l’oculato controllo sull’eccesso di polvere,
essendo dovere costituzionale della Repubblica assicurare nei fatti
eguaglianza ed imparzialità nell’esercizio della funzione pubblica
in tutte le sue forme (artt. 3, 2° co. e 97 Cost.) nonché indirizzare
verso la socialità che è anzitutto giustizia l’attività economica pubblica e privata, ai sensi degli artt. 3 e 41 Cost.; il tutto in trasparenza,
dovendo l’indirizzo ed il coordinamento avvenire attraverso programmi che per la loro proiezione verso l’avvenire e la loro funzione di indirizzo devomo essere diffusamente conoscibili ed assistiti
da controllo in ordine all’effettiva realizzazione.
10) È noto che organizzazione e procedimento si condizionano
vicendevolmente nell’esercizio della funzione come ben si legge
nell’art. 97 Cost. in cui sono collocati, in significativa prossimità e
connessione, organizzazione, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione. Segue che i criteri stabiliti negli artt. 1 e ss. della
L. 22 luglio 1975 n. 382 – che partano dall’aggregazione delle competenze per settori organici di materie in modo da rendere produttivo l’esercizio della funzione pubblica, eliminando duplicazioni,
conflitti e ritardi – rappresentano un conveniente punto di partenza
per la riorganizzazione degli apparati pubblici, tuttora incompiuta.
11) Sul piano del rendimento di giustizia, organicità e buon andamento esprimono un significativo richiamo del legislatore alla
concretezza delle motivazioni che danno luogo alle controversie,
alla necessità di acquisire compiutamente i fatti cui adattare le norme che l’ordinamento offre, confermando soluzioni che accreditino
la presunzione di verità del giudicato.
168
Rivista del Consiglio
DIRITTO AMMINISTRATIVO
12) La delimitazione delle giurisdizioni è compito del legislatore ordinario secondo le indicazioni dell’art. 113, 1° e 3° comma Cost. e non
può attribuirsi valore definitorio all’art. 24 Cost. che si limita a stabilire
un principio generale di tutela giudiziaria per tutti gli interessi giuridicamente tutelati, attribuendo a tutti il diritto di agire in giudizio.
13) Il criterio del raggruppamento delle funzioni amministrative per settori organici di materie può fornire adeguato supporto
per delimitare l’area della giurisdizione amministrativa riferendosi
alle aree dei rispettivi settori organici ed ai testi legislativi unificati
– esistenti o da formare – che regolano le funzioni dei singoli settori
delimitando corrispondentemente le competenze giudiziarie.
14) Il risarcimento del danno viene accordato per l’eliminazione delle diminuzioni patrimoniali, derivanti dal fatto antigiuridico
del danno, non altrimenti riconducibili a tipo legale se non considerando la diminuzione patrimoniale, l’assenza di cause di giustificazione ed il nesso di causalità con l’esercizio di attività pubbliche.
Chiarendo che lo stato soggettivo di dolo o di colpa del funzionario
che ha posto in essere l’atto dannoso non condiziona la richiesta
di risarcimento verso l’ente pubblico cui il funzionario appartiene:
ente al quale si estende la responsabilità ai sensi dell’art. 28 Cost.
sia per lesione di diritti soggettivi sia, allo stato della giurisprudenza (Cass. S.U. n. 500/99) per lesioni di interessi legittimi: salva la
responsabilità del funzionario verso il danneggiato e verso l’ente
secondo le leggi in vigore.
15) Giurisdizioni e procedure devono essere regolate dalla legge
in modo da rispondere congruamente e tempestivamente all’istanza
di giustizia che viene proposta nell’esercizio del diritto fondamentale del singolo a vedersi tutelato dalla comunità in cui vive attraverso l’azione di qualificati giudici che devono realizzare il diritto
nei casi concreti secondo l’arte del giusto.
16a) È noto il dissenso tra la Cassazione ed il Consiglio di Stato
in merito alla necessità o meno della previa impugnazione dell’atto amministrativo che abbia causato danni, con tempestiva impugnazione innanzi al giudice amministrativo per poter chiedere poi
il risarcimento del danno allo stesso giudice, competente, a norma
dell’art. 7, penultimo comma L. 205/00.
Rivista del Consiglio
169
Nuove prospettive del diritto amministrativo di G. Abbamonte
Un dissenso tuttora esistente, ma per il quale esistono sintomi di
avvicinamento che consistono, ad avviso di chi scrive, specialmente
nel riconoscimento della traslatio iudici e cioè della riproposizione
davanti al giudice competente del giudizio proposto davanti ad u
giudice che si sia dichiarato incompetente, ai sensi delle sentenze
della Corte costituzionale n. 77/2007 e Cass. 4109/2007.
16b) è questo della traslatio iudici un chiaro sintomo di potenziamento dell’istanza di tutela, integrando l’attività delle due giurisdizioni in cui è tradizionalmente suddiviso il nostro sistema giudiziario; integrazione che prima o poi assorbirà anche gli altri dissensi,
ricordando che alla base del buon funzionamento del sistema vi è la
cooperazione tra cittadini e giudici dei vari ordini, tutti essendo obbligati all’uso dell’ordinaria diligenza ex art. 1227, 2° co., c.c., sicché
la mancata tempestiva impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto può essere sanzionata solo quando possa configurarsi come un difetto di cooperazione.
170
Rivista del Consiglio
OPINIONI E SAGGI
OPINIONI
E
SAGGI
Sulla Commissione
Tributaria Regionale
di VALENTINO TORRICELLI
(Giudice Tributario C.T.R. Puglia)
È da tempo ormai che la Sezione staccata di Lecce della Commissione Tributaria Regionale per la Puglia lavora in condizioni di difficoltà a causa del limitato numero di giudici assegnati alla sezione
rapportati al carico di lavoro esistente.
La commissione composta da giudici togati e giudici laici opera, nell’ambito delle ristrettezze dei mezzi assegnati, con solerzia e
professionalità tanto da avere, negli anni dal 1996 in poi, e cioè dall’entrata in vigore dei D.Lvi 545/92 e 546/92 che hanno modificato
il funzionamento delle Commissioni, risolto molto del contenzioso
arretrato.
È evidente che ove le sezioni che compongono la Commissione
non funzionino regolarmente si possa giungere a sentenze definitive dopo molti anni.
Invero è interesse della P.A. giungere quanto prima all’accertamento definitivo dei tributi, perché in tale modo gli uffici riescono
poi a recuperare quanto dovuto dal contribuente, così come è interesse dell’utente che venga definito in tempi certi il suo contenzioso
nei confronti della P.A. senza rischiare che lo stesso si trascini per
decenni.
Molti contribuenti stanno già promuovendo azioni risarcitorie ex
legge Pinto nei confronti della P.A. per i lunghi tempi dei processi
tributari.
Ferma restando la necessità di una sempre migliore professiona-
Rivista del Consiglio
171
Sulla Commissione Tributaria Regionale di V. Torricelli
lità dei giudici tributari è necessario, per avere una tempestiva ed
effettiva giustizia tributaria, una distribuzione razionale dei giudici
tributari sul territorio.
Per venire alla situazione Pugliese è da dire che in Puglia la Commissione Tributaria Regionale, che ha sede a Bari, è composta da 29
sezioni. Tali sezioni sono in parte distaccate a Lecce, Taranto e Foggia.
Al fine di un razionale carico di lavoro delle sezioni sarebbe necessario che le stesse fossero collocate sul territorio secondo il carico di
lavoro pendente e sopravveniente.
Bene in Puglia vi sono tre sezioni staccate a Foggia, con un arretrato al 30.6.2006 di 3.230 ricorsi; due sezioni a Taranto, con un arretrato
di 1.674 ricorsi, e tre sezioni a Lecce, con un arretrato di 7.053 ricorsi.
Il solo arretrato a Lecce rappresenta quasi il 50% di tutto il contenzioso pendente dinanzi alla Commissione Regionale Pugliese che è pari,
sempre al 30.6.2006, a 13.911 ricorsi. A Bari invece sono presenti 21
sezioni, con un carico di processi arretrati di soli 1.954.
La conseguenza di tale irrazionale distribuzione delle sezioni sul
territorio è che le sezioni di Bari pronunziano mediamente 30-40
sentenze l’anno, mentre le sezioni distaccate a Lecce pronunziano
mediamente ciascuna 300 sentenze l’anno.
Conseguenzialmente se ne deduce che le tre Sezioni Regionali
ubicate a Lecce, per esaurire l’arretrato oggi esistente, lavorando
alacremente, dovrebbero impiegare circa 8-9 anni.
Alla luce di tali circostanze appare assolutamente necessario, e
non più procrastinabile, al fine di rendere effettivo un giusto processo, il distacco di almeno altre due sezioni della Commissione Regionale a Lecce, fatto questo già sollecitato da diverso tempo, ma che
ancora ad oggi non è stato concretizzato.
È evidente che da una più celere giustizia non potrà non essere
avvantaggiato il cittadino che vedrà definita in tempi certi la sua
posizione nei confronti del fisco.
Il Consiglio dell’Ordine Avvocati è chiamato anche su tale tema ad
intervenire al fine di contribuire alla soluzione dei problemi della giustizia tributaria, che alla luce delle recenti novelle legislative che le hanno attribuito a competenze su tutti i tributi, a ragione può ritenersi la
quarta giurisdizione dopo quella civile, amministrativa e contabile.
172
Rivista del Consiglio
OPINIONI E SAGGI
Deontologia e diritto positivo
la testimonianza dell’avvocato:
dalla “facoltà di astenersi” all’obbligo
imperativo di conservare il segreto
Incapacità a testimoniare - Divieto
di AGNESE CAPRIOLI
Il Caso: Tizio, che assume di essere creditore di Caio in dipendenza
di un determinato rapporto, dà mandato all’Avvocato cicerone di
realizzare il suo credito. Cicerone invita Caio all’adempimento.
Caio si reca nello studio dell’avvocato Cicerone ed ha con lui la
conversazione riferita al rapporto ed all’invito. Non vi è dubbio che
Caio, in quel contesto fiduciario, sprovvisto di difensore, conversa
con Cicerone, senza riserve.
Il rapporto degenera in lite giudiziaria; e Cicerone si propone
come testimone: intende testimoniare sull’oggetto delle confidenze
riservate fattegli da Caio. Il Difensore di Caio, in giudizio, si oppone
decisamente alla ammissione della testimonianza dell’Avv. Cicerone:
sostiene che il divieto di testimoniare, nella evoluzione dell’istituto
con riferimento alla funzione di Ordine Pubblico della “privata”
professione forense, è divenuto obbligo giuridico; imperativo, non
derogabile neanche su “autorizzazione” della parte titolare della
notizia riservata.
Le ragioni
Dunque: è lo stesso Avvocato che domanda di essere ascoltato
come testimone per vicende di cui egli è a conoscenza in virtù della su
attività professionale. Si tratta allora di verificare se tale “desiderio”
Rivista del Consiglio
173
Deontologia e diritto positivo: la testimonianza... di A. Caprioli
dell’avvocato e del suo cliente è rispettoso e conforme degli obblighi
e dei divieti contenuti nei principi (art. 12, 1c dell’Ordinamento
professionale, art. 24 Cost, art. 6 Convenzione Europea sulla
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, Carta internazionale dei
Diritti della Difesa – art. 14 sulla protezione assoluta del carattere
confidenziale tra l’avvocato e l’utente –) che, avuto riguardo alla
evoluzione della funzione forense, non sono mai più da considerarsi
principi semplicemente “deontologici”, ma hanno, ormai, il carattere
di norme imperative che riguardano l’Ordine Pubblico.
Le circostanze allegate e dedotte a prova dall’avvocato riguardano
considerazioni e circostanze che Caio avrebbe confidato all’Avvocato
nella sua qualità di difensore di tizio, cioè dell’altra parte.
Egli cioè dovrebbe riferire su circostanze che potrebbero essere
state fiduciariamente e riservatamente confidate, in occasione dello
svolgimento della sua attività professionale, dalla stessa parte
contro cui oggi è chiamato a rendere testimonianza. Si tratterebbe
comunque di circostanze ed argomenti che egli trarrebbe dalla
conversazione confidenziale e riservata svoltasi (con l’avversario)
nell’esercizio delle sue alte funzioni e che certamente lo stesso
avversario non avrebbe neanche esternato se non vi fosse stato quel
particolare affidamento alla relazione fiduciaria.
È perciò evidente che le norme cui si è fatto cenno debbano essere
contestualizzate ed applicate di conseguenza.
E dunque: l’art. 13 dell’ordinamento stabilisce che gli avvocati
non possono essere obbligati a deporre su ciò di cui hanno avuto
conoscenza per ragioni inerenti il proprio ufficio. Dunque, ancora e
soltanto “facoltà” di astensione da parte dell’Avvocato, che, così, si
“esonera” dall’obbligo giuridico della testimonianza: artt. 372, 384
c.p.
La norma dell’Ordinamento, dunque, non poteva porre un divieto
di testimonianza proprio perché rendere la propria testimonianza è
un obbligo per chi sia chiamato nella qualità di teste e un divieto
mal si concilierebbe con tale impostazione dell’Ordinamento.
È ovvio però che nel rapporto fiduciario che si crea tra parti ed
avvocati proprio in ragione della funzione dell’Ufficio del Difensore
(e nessuna importanza discriminante può avere l’essere Difensore
174
Rivista del Consiglio
OPINIONI E SAGGI
di Tizio o Difensore di Caio: il ruolo istituzionale e funzionale è
comunque quello) vige l’obbligo di riservatezza di cui all’art. 9 del
codice deontologico che è imperativo e perentorio e trova la sua
ragion d’essere non nel rapporto clientelare che si instaura tra chi
si rivolga ad un avvocato e l’avvocato stesso, ma proprio e solo
nel rapporto fiduciario, di confidenza senza remore che chiunque
ha con l’avvocato. Il segreto professionale dell’avvocato è istitutovalore riconosciuto nell’interesse pubblico ed è di ordine pubblico;
esso condiziona la fiducia generale nei confronti della professione,
è generale ed assoluto. Non può quindi essere superato dal dovere
di rendere la testimonianza la possibilità che l’avvocato renda
testimonianza (?????).
Non può condurre a diversa conclusione il IV° comma dell’art.
9, secondo il quale:
“Costituiscono eccezione alla regola generale i casi in cui la divulgazione
di alcune informazioni relative alla parte assistita sia necessaria:
a) per lo svolgimento della attività di difesa;
b) al fine di impedire la commissione da parte dello stesso assistito di un
reato di particolare gravità;
c) al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato
e assistito;
d) in un procedimento concernente le modalità della difesa degli interessi
dell’assistito.
In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente
necessario per il fine tutelato”.
Si tratta di ipotesi ontologicamente diverse: quest’ultima norma,
che contiene la eccezione, prevede la ipotesi in cui l’avvocato faccia
uso (e, forse debba fare uso) delle confidenze per la difesa tecnica ed
esse quindi perdono la qualità di “confidenze” e assumono il ruolo
di informazioni tecniche. Il dovere di segretezza e riservatezza
può essere derogato, quindi, solo nel caso in cui le informazioni
confidenzialmente ricevute siano necessarie per approntare la difesa
tecnica della stessa parte in giudizio.
Il dovere di segretezza e riservatezza di cui all’art. 9 del codice
deontologico italiano è espressione di principi e norme generali e
cogenti che prevedono solo le eccezioni tassativamente elencate e
Rivista del Consiglio
175
Deontologia e diritto positivo: la testimonianza... di A. Caprioli
sempre nel limite del fine tutelato e tra queste non può farsi rientrare
la testimonianza in un giudizio civile, su circostanze fiduciariamente
confidate.
Di particolare chiarezza sono i principi esplicati nel Codice di
Deontologia degli Avvocati Europei che al punto 2.3 appunto
dei principi generali testualmente recita: è nella natura stessa della
missione dell’avvocato che egli sia depositario a) dei segreti del suo cliente
e b) destinatario di comunicazioni confidenziali. Senza la garanzia della
riservatezza non vi può essere fiducia. Il segreto professionale è dunque
riconosciuto come un diritto e un dovere fondamentale e primordiale
dell’avvocato. L’obbligo del segreto per l’avvocato serve l’interesse
dell’amministrazione della giustizia così come l’interesse del cliente. È per
questo che esso riceve una speciale protezione dallo Stato. In queste parole
vi è tutta la ratio del segreto professionale e la giustificazione di una
tutela della riservatezza che non deve essere solo formale.
Il solenne principio europeo, inderogabile, anche in Italia, è
espressamente esplicato anche nell’art. 58 del codice deontologico
italiano, il quale esclude che l’avvocato possa essere sentito come
testimone. Questa norma, infatti, tratta in maniera particolare della
testimonianza dell’avvocato: essa stabilisce che l’avvocato (salve
eccezioni derivanti da esigenze maggiori) debba astenersi dal
deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della
propria attività professionale e, quindi, sia che le circostanze siano
state apprese nel rapporto con il cliente e, quindi si riferiscono al
mandato ricevuto ed accettato, sia che si riferiscano al rapporto con
la Controparte; quando Caio, chiamato dall’Avvocato di Tizio, si
reca dal professionista ed intrattiene con lui una conversazione sulla
vicenda controversa, egli non ha certamente l’animus confitendi
e comunque viene “attratto” dal ruolo e dalla funzione del
professionista forense e non è da escludersi che tra i due si instauri
un rapporto dinamico di “trattativa” mirati anche alla definizione
extragiudiziale della controversia.
In un sistema etico-giuridico quale è questo nostro, può mai essere
legittima la penalizzazione dell’affidarsi di Caio a Cicerone, che
svolge ed esercita un’altissima funzione che non può consistere
nell’attesa dell’avversario “sprovveduto”: e come se in quella
176
Rivista del Consiglio
OPINIONI E SAGGI
conversazione, nascosto, si fosse tenuto da una parte o dall’altra
un dispositivo di registrazione (vedasi, similmente, l’art. 22 comma
III del codice). Non solo scorrettezza deontologica, dunque, ma
sicura violazione di un obbligo. È nota la basilare importanza dei
divieti contenuti nell’art. 28 (divieto di produrre corrispondenza
riservata scambiata con il difensore dell’altra parte). Dunque: nel
rapporto tra Colleghi, questi non possono utilizzare le confidenze
e le informazioni scambiatesi nell’ambito delle consultazioni
su una vicenda che li vede “adversarii”; non può penalizzarsi il
gesto dell’interessato che, anziché rivolgersi al “suo” Avvocato,
intrattenga dirette consultazioni con l’Avvocato difensore dell’altra
parte: il contenuto di quelle consultazioni (tra Avvocati e, del pari,
tra un Avvocato e una “controparte”) non può mai divenire oggetto
di testimonianza da rendersi da parte dell’Avvocato, depositario,
per professione, di confidenze e di segreti1.
1
Consulta: Zanardelli – L’Avvocatura – nn. 125 e 126 (L’Avvocato e le parti
contrarie); Danovi: Ordinamento forense e Deontologia, Milano 1995, par. 78, pagg.
287 e segg. Sul segreto professionale, sul rapporto con il ruolo dell’Avvocatura,
sulla difesa, consulta inoltre, Atti dell’XI Congresso Nazionale Giuridico Forense
(Cagliari, 1971), relazione a cura dell’Avv. Prof. Luigi Concas e Mozione finale,
secondo la quale: a) “la conservazione del segreto professionale è l’elemento
essenziale della difesa e costituisce conseguentemente un diritto ed un dovere
dell’Avvocato“; b) “l’esonero può essere consentito solo eccezionalmente previa
dispensa dell’interessato e sempre nei limiti dell’ordinamento vigente”. In: “Atti
del Congresso”, Cagliari 1975, pagg. 300 e segg. e 611. Vedasi, pure, con profitto,
Martina Barcaroli: La normativa francese in materia di antiriciclaggio, in Rassegna
Forense, nn. 3 e 4 – 2004, luglio – dicembre, pagg. 865 e segg.; in particolare il par. 7
a pag. 883. Da ultimo, e con riferimento alle fonti e alla natura (giuridica, oltrechè
etica) della deontologia ed ai rapporti e confronti tra regole italiane e regole degli
altri paesi della Comunità Europea: GUIDO ALPA, Norme deontologiche e Cassazione, in
“La Previdenza Forense”, n. 2/2005 (aprile – giugno) pagg. 120 e segg..
Rivista del Consiglio
177
Limiti entro i quali possono essere assunti incarichi ... di R. Fatano
DEONTOLOGIA
E
PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
Limiti entro i quali possono essere
assunti incarichi nei confronti
di ex clienti
di RAFFAELE FATANO
«L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando
la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia. Nell’esercizio della sua funzione,
l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione,
nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e
l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la
tutela di questi valori».
È questo il “Preambolo” con il quale si apre il Codice Deontologico Forense che, approvato in data 27 aprile 1997 e a distanza di
meno di un anno dalle ultime modifiche apportate dal Consiglio
Nazionale Forense in data 27 gennaio 2006, è stato nuovamente modificato per essere adeguato alle disposizioni contenute nella legge
248/2006 (cd. Legge Bersani).
Nonostante il rapido cambiamento della società e del contesto
in cui l’avvocato è chiamato ad operare non può essere messa in
dubbio la necessità di un corpo di norme che disciplinino il comportamento che deve essere tenuto nel quotidiano svolgimento del-
178
Rivista del Consiglio
DEONTOLOGIA E PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
l’attività professionale se s’intenda salvaguardare, nel tempo, l’autonomia
e l’indipendenza dell’avvocato.
Nonostante, tuttavia, che quest’anno ricorra il decimo anniversario dell’approvazione del Codice Deontologico Forense ancora oggi
molti ne ignorano il contenuto o ne hanno una conoscenza soltanto
superficiale.
Il Consiglio dell’Ordine ha avviato, da tempo, un’opera di sensibilizzazione, rivolta soprattutto ai giovani colleghi che si affacciano
alla professione richiamando la loro attenzione, nel momento in cui
iniziano la pratica, sull’importanza delle norme deontologiche, pur
dovendo constatare che l’approccio al problema continua ad essere
occasionale e, comunque, superficiale. Sempre più spesso si constata la violazione di precetti, si pensi a quelli dettati per regolare
il rapporto con la parte assistita, con la controparte, con i colleghi,
che il più delle volte sembrano derivare da ignoranza piuttosto che
dalla consapevole violazione di una norma comportamentale.
In questo contesto s’inquadra l’iniziativa di dedicare una sezione
della Rivista alla materia deontologica nella quale proporre la lettura del codice alla luce dell’interpretazione proposta dal Consiglio
dell’Ordine locale, del Consiglio Nazionale Forense, degli altri Consigli e della, per vero scarsa, Dottrina.
L’ambizione è quella di approfondire la conoscenza della norma
deontologica con il contributo di tutti, sicché nel proporre le decisioni più significative con breve commento ci attendiamo l’apertura di un dibattito da alimentare con sollecitazioni, dubbi, opinioni,
perché la correttezza del comportamento è una ricerca quotidiana
che non sempre riesce a trovare una risposta esaustiva nella norma
codicistica che, anzi, il più delle volte si rivela assolutamente insufficiente a risolvere il caso concreto.
Nella trattazione della materia non seguiremo l’ordine del codice
ma affronteremo, di volta in volta, casi che si sono affrontati e che
abbiano un interesse generale prescindendo da tutte quelle violazioni
che per le loro caratteristiche bisogna presumere che appartengano al
patrimonio conoscitivo di tutti come ad esempio il caso dell’avvocato che si appropri di somme di proprietà del cliente e simili.
Rivista del Consiglio
179
Limiti entro i quali possono essere assunti incarichi ... di R. Fatano
CASO
“Caio esponeva di aver affidato all’avvocato Tizio l’incarico di intimare
sfratto nei confronti di Sempronio. Successivamente, trascorsi circa otto
mesi dalla data in cui aveva termine l’attività professionale, Caio lamentava di essere stato convenuto in giudizio da Sempronio che, nell’occasione
era difeso dall’avv. Tizio”.
A seguito dell’esposto veniva deliberata, nei confronti del professionista, l’apertura di procedimento disciplinare.
Il Consiglio dell’Ordine, con decisione in data 5/12/2001, ritenuto che incorra in responsabilità disciplinare l’avvocato il quale assuma incarico professionale contro un suo ex cliente senza lasciare
previamente intercorrere, tra i due mandati, un ragionevole lasso di
tempo irrogava al professionista la sanzione della censura senza attribuire rilievo alla circostanza che lo stesso, dopo la prima udienza,
avesse rinunciato all’incarico.
Il principio, che è costantemente affermato dal Consiglio Nazionale Forense (CNF 13/7/2001 n. 158 in Rassegna Forense, 2002, 120;
CNF 23/10/1999, n. 169, in Rassegna Forense, 2000, 133), ha trovato
in passato interpretazioni non sempre unitarie in relazione al lasso
di tempo da lasciar passare tra la cessazione del rapporto e l’incarico nei confronti dell’ex cliente e, soprattutto, se poteva essere esclusa la responsabilità quando non vi era la possibilità di utilizzazione
di notizie precedentemente acquisite.
Oggi i dubbi, che pure si erano posti, hanno trovato positiva soluzione nell’art. 51 c.d. che, nel testo attualmente vigente, dispone:
«l’assunzione di un incarico professionale contro un ex cliente è ammessa
quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello
espletato in precedenza. In ogni caso è fatto divieto all’avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito».
Conseguentemente deve escludersi che l’avvocato possa prestare la propria attività nei confronti dell’ex cliente quando il nuovo
incarico non sia estraneo a quello prestato in precedenza ricorrendo, in quest’ipotesi, un divieto assoluto. Questo principio per cui è
sanzionabile disciplinarmente «nella storia di una controversia giudiziaria – che necessariamente passa da una fase precontenziosa ad una di
180
Rivista del Consiglio
DEONTOLOGIA E PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI
cognizione ed, infine, ad una esecutiva – il professionista che abbia assistito
prima una parte, poi – non ha importanza quanto tempo dopo ed in quale
fase o grado – quella che con essa confliggeva» era stato affermato, prima
di essere positivamente stabilito nel Codice, in un’importante decisione del Consiglio dell’Ordine di Lecce (dec. 26/6/1993), che ha
trovato conferma nella successiva decisione del C.N.F. n. 105/1994.
La norma risolve, poi, un altro caso molto frequente nella pratica
che si verifica quando l’avvocato assista, in un giudizio di separazione consensuale, entrambi i coniugi e, successivamente, intenda
assumere la difesa di uno di essi in controversie successive aventi ad
oggetto, per esempio, la modifica dell’assegno di mantenimento.
Al riguardo sempre l’art. 51 dispone: «L’avvocato che abbia assistito
congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi».
Anche in questo caso la norma sembra porre un divieto assoluto
nel senso che l’avvocato non possa difendere uno dei coniugi nei
confronti dell’altro anche quando sia trascorso un periodo di tempo superiore al biennio. Al riguardo, tuttavia, pur non constando
precedenti il principio espresso trova giustificazione nella particolarità del rapporto familiare e, a mio avviso, deve essere circoscritto
al caso in cui la nuova controversia abbia ad oggetto «controversie
familiari». Nel caso, invece, in cui la richiesta di assistenza abbia
ad oggetto altre controversie di natura non familiare il divieto deve
considerarsi limitato al biennio.
Rivista del Consiglio
181
La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
LEGISLAZIONE
GIURISPRUDENZA
La normativa antiriciclaggio
per gli Avvocati
Prime osservazioni di carattere operativo
a cura di ALDO BULGARELLI
e ANDREA PASQUALIN
Con la cortese autorizzazione dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine degli avvocati, pubblichiamo una utilissima guida operativa alla
normativa antiriciclaggio, redatta a cura degli avv.ti Aldo Bulgarelli ed
Andrea Pasqualin. Anche a loro va il ringraziamento della Rivista.
1. Premessa
La presente nota ha lo scopo di descrivere sinteticamente gli
obblighi posti a carico degli avvocati dalla normativa in materia di
antiriciclaggio, intendendo rappresentare un primo supporto di carattere operativo, senza avere la pretesa di una trattazione esauriente
della materia.
2. Le fonti normative
Le principali fonti normative di riferimento sono rappresentate:
1) dalla direttiva del Consiglio delle comunità europee n. 91/308/
Cee del 10 giugno 1991, modificata dalla direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio dell’Unione europea n. 2001/97/Ce del 4
dicembre 2001;
2) dal decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con modi182
Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
ficazioni, nella legge 5 luglio 1991, n. 197, e successive modificazioni
e integrazioni (d’ora in avanti legge antiriciclaggio);
3) dal decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56 (d’ora in avanti
decreto);
4) dal decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 3
febbraio 2006, n. 141 (d’ora in avanti regolamento);
5) dal provvedimento dell’Ufficio Italiano Cambi (d’ora in avanti
Uic) del 24.2.2006 (d’ora in avanti provvedimento).
Tali testi – unitamente agli altri ulteriori testi principali di riferimento – sono disponibili, unitamente alla presente nota nel sito www.
avvocatitriveneto.it (sezione antiriciclaggio).
3. Gli obblighi
Gli obblighi a carico degli avvocati sono così riassunti nel punto
3. della parte I del provvedimento:
1) obbligo di identificazione dei clienti;
2) obbligo di istituzione dell’archivio unico e di registrazione e di
conservazione in esso dei dati identificativi dei clienti e delle altre
informazioni relative alle prestazioni professionali eseguite;
3) obbligo di segnalazione delle operazioni sospette di cui all’art.
3 della legge antiriciclaggio;
4) obbligo di segnalazione al Ministero dell’Economia e delle
finanze delle violazioni dell’art. 1 della legge antiriciclaggio;
5) obbligo di istituire misure di controllo interno e di assicurare
un’adeguata formazione dei dipendenti e dei collaboratori al fine di
prevenire e impedire la realizzazione di operazioni di riciclaggio.
L’obbligo di cui al punto 4) è entrato in vigore anteriormente
al 22.4.2006, pertanto non se ne tratta nella presente nota. Anche
l’obbligo di cui al punto 5) – di cui infra, al paragrafo 8. –, così come
definito dall’art. 8, primo comma, del decreto, è entrato in vigore
anteriormente al 22.4.2006.
Rivista del Consiglio
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
4. Ambito di applicazione
L’ambito di applicazione è definito dall’art. 2, primo comma, lettera t) del decreto, norma secondo la quale gli obblighi si applicano
agli avvocati quando: 1) in nome o per conto di clienti compiono
qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare; 2) assistono i clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni
concernenti: i) il trasferimento a qualsiasi titolo di beni immobili o
attività economiche; ii) la gestione di denaro, strumenti finanziari
o altri beni; iii) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di
deposito e conti di titoli; iv) l’organizzazione degli apporti necessari
alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società; v) la
costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o
strutture analoghe.
Trattando (infra) degli obblighi di segnalazione si vedrà che essi non si
applicano (art. 2, terzo comma, del decreto) per le informazioni ricevute
dal cliente o ottenute riguardo ad esso nel corso: i) dell’esame della posizione giuridica dello stesso cliente e ii) dello svolgimento della difesa o
della rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in
relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di
promuovere o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano state
ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.
Gli obblighi si applicano anche nel caso di attività svolta in forma
associata o societaria, all’avvocato che esegue l’incarico, il quale ne risponde anche in relazione all’attività svolta con l’ausilio di collaboratori o
di dipendenti (provvedimento, parte I, punto 3, penultimo paragrafo).
Nel regolamento (art. 13, primo comma) e nel provvedimento
(parte I, punto 2, ultimi due paragrafi, e punto 2.1, primo paragrafo)
viene altresì disposto che gli obblighi si applichino a tutti i professionisti abilitati ad operare in Italia e circa: i) le attività svolte nella qualità di organi di gestione, amministrazione, controllo e liquidazione
di società, enti, trust o altre strutture analoghe; ii) i componenti dei
collegi sindacali; iii) l’attività svolta all’estero che sia soggettivamente
o oggettivamente collegabile al territorio italiano; iv) i professionisti
stranieri operanti in Italia in regime di libera prestazione dei servizi
in conformità alla relativa disciplina comunitaria.
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Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
5. Obbligo di identificazione
5.1. L’identificazione è dovuta:
1) quando la prestazione professionale ha ad oggetto mezzi di
pagamento, beni o utilità di valore superiore a euro 12.500, anche
in presenza di operazioni frazionate (da intendersi quali operazioni
unitarie sotto il profilo economico, di valore superiore a euro 12.500,
poste in essere attraverso più operazioni, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo, singolarmente di valore
non superiore a 12.500 euro);
2) quando l’operazione è di valore non determinato o non determinabile.
Sono considerate di valore indeterminabile la costituzione, la
gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe.
Nel provvedimento (parte II, punto 1.) vengono dettate norme
relative: i) all’irrilevanza del compenso per la determinazione del
valore e delle prestazioni alle quali si applica l’obbligo di identificazione; ii) all’irrilevanza della compensazione agli stessi fini; iii) ai
criteri di identificazione delle operazioni frazionate.
5.2. L’identificazione va fatta al momento in cui inizia la prestazione, secondo il regolamento (art. 4, primo comma); al momento
dell’accettazione dell’incarico, secondo il provvedimento (parte II,
punto 1, ultimo paragrafo).
Si tratta, all’evidenza, di momenti che possono non coincidere.
Per prudenza (e per praticità) sarà opportuno provvedervial momento dell’accettazione dell’incarico.
5.3. L’identificazione avviene acquisendo i seguenti dati identificativi:
1) per le persone fisiche: nome, cognome, luogo e data di nascita,
indirizzo della residenza o del domicilio, codice fiscale [“ove disponibile”, precisa il regolamento – art. 5, comma primo, lett. a) –, ma non
il provvedimento – parte II, punto 2, primo paragrafo] e gli estremi
del documento di identificazione;
Rivista del Consiglio
185
La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
2) per i soggetti diversi: denominazione, sede legale e codice fiscale
(a tale ultimo riguardo vale la precisazione ora fatta).
Il cliente che si avvale della prestazione per conto di terzi deve
indicare per iscritto, sotto la propria personale responsabilità, i dati
identificativi dei soggetti per conto dei quali opera.
Qualora il cliente operi in nome o per conto di una società, di un
ente, trust o strutture analoghe, va verificata l’esistenza del potere di
rappresentanza. Le modalità di tale verifica sono indicate nell’ultimo
paragrafo del punto 2, parte II, del provvedimento.
5.4. Prima di passare alle modalità dell’identificazione mette conto
precisare che:
a) se più clienti conferiscono l’incarico congiuntamente, ciascuno
di essi va identificato;
b) se sono incaricati congiuntamente più professionisti, ciascuno
deve procedere all’identificazione (norma che risulta prevista dal
provvedimento: parte II, punto 3, primo paragrafo);
c) non sono utilizzabili le dichiarazioni sostitutive di cui agli artt.
46 e 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445;
d) l’acquisizione dei dati identificativi, ferma la responsabilità
dell’avvocato, può essere delegata ad un collaboratore o ad un dipendente, occasionalmente o stabilmente;
e) è necessario rinnovare l’identificazione qualora sopravvengano
elementi di incertezza sull’identità del cliente.
5.5. Il provvedimento (parte II, punti 3, 4, 5 e 6) distingue tra
identificazione diretta, indiretta e a distanza.
In realtà la seconda e la terza forma paiono riconducibili all’unica
categoria dell’identificazione non in presenza del cliente, ma per
praticità si segue l’indicazione del provvedimento, avvertendo che
in esso si precisa (punto 3, ultimo paragrafo) che è necessario procedere all’identificazione diretta qualora si abbia motivo di ritenere che
quella indiretta o quella a distanza non siano attendibili, presentino
dei rischi in termini di sicura individuazione dell’identità, ovvero
non consentano l’acquisizione delle informazioni necessarie.
186
Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
5.6. L’identificazione diretta avviene alla presenza fisica del cliente,
mediante un documento valido per l’identificazione non scaduto.
Sono validi per l’identificazione i documenti di cui agli artt. 1 e
35 del D.P.R. n. 445/2000 (l’art. 35 fa riferimento alla carta d’identità,
al passaporto, alla patente di guida, alla patente nautica, al libretto
di pensione, al patentino di abilitazione alla conduzione di impianti
termici, al porto d’armi, alle tessere di riconoscimento, purché munite
di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate
da un’amministrazione dello Stato).
All’identificazione dei soggetti non comunitari fa riferimento
l’ultimo paragrafo del punto 4 della parte II del provvedimento.
5.7. L’art. 4, secondo comma, del regolamento disciplina l’identificazione indiretta, stabilendo che la presenza fisica del cliente non è
necessaria qualora i dati identificativi e le ulteriori informazioni da
acquisire (delle quali si dirà trattando dell’obbligo di registrazione)
risultino:
1) da precedente identificazione effettuata [direttamente, soggiunge il provvedimento – parte II, punto 5, lettera a) –] dall’avvocato in
relazione ad altra attività professionale;
2) da atti pubblici, da scritture private autenticate, da documenti
recanti la firma digitale, da dichiarazioni dell’autorità consolare
italiana, secondo le norme indicate alle lettera b) e c) del secondo
comma dell’art. 4 del regolamento;
3) da attestazione di altro professionista residente in uno dei paesi
membri dell’Unione europea, che, in applicazione della normativa
di recepimento della direttiva 2001/97/Ce, abbia identificato di
persona e registrato i dati del cliente e dei soggetti terzi per conto
dei quali opera.
5.8. L’identificazione a distanza è infine disciplinata dal terzo e
dal quarto comma dell’art. 4 del regolamento, secondo i quali la presenza del cliente non è altresì necessaria quando viene fornita idonea
attestazione da parte dei uno dei soggetti indicati nel terzo comma,
presso il quale il cliente sia stato identificato di persona.
Tali soggetti sono gli intermediari abilitati ai sensi dell’art. 4 del
Rivista del Consiglio
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
decreto, gli enti creditizi o enti finanziari di stati membri dell’Unione
europea di cui alla lettera b) del terzo comma dell’art. 4 del regolamento, le banche aventi sede legale e amministrativa in paesi non
appartenenti all’Unione europea purché aderenti al gruppo di Azione
finanziaria internazionale (Gafi) e succursali in tali paesi di banche
italiane e di altri stati aderenti al Gafi.
Il quarto comma dell’art. 4 del regolamento indica quali sono i
soggetti dai quali non può essere rilasciata l’attestazione.
L’ultimo paragrafo del punto 6. del provvedimento contiene ulteriori precisazioni circa il contenuto dell’attestazione.
6. Obbligo di istituzione dell’archivio, di registrazione e di
conservazione dei dati
6.1. L’avvocato, negli stessi casi in cui deve assolvere all’obbligo di
identificazione, deve riportare, a propria cura, nell’archivio dedicato
alla raccolta e conservazione di informazioni a fini antiriciclaggio:
1) i dati identificativi di cui al punto 5.3 che precede;
2) l’attività lavorativa svolta dal cliente e dalla persona per conto
della quale agisce;
3) la data dell’avvenuta identificazione;
4) la descrizione sintetica della tipologia della prestazione professionale fornita [aggiunge – nella parte III, punto 1, lett. d) – il
provvedimento: secondo le specifiche indicate nell’allegato A allo
stesso provvedimento];
5) il valore dell’oggetto della prestazione professionale, se conosciuto.
Se più clienti conferiscono l’incarico congiuntamente, gli obblighi
di registrazione e di conservazione devono essere assolti nei confronti
di ciascuno di essi.
Se sono incaricati congiuntamente più professionisti, anche dello
stesso studio, ciascuno deve procedere alla registrazione nel proprio
archivio; qualora si sia optato per l’archivio unico per l’associazione
o società (del quale si dirà infra), verrà effettuata un’unica registrazione con l’indicazione di tutti i professionisti incaricati (norme che
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Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
risultano previste dal provvedimento: parte III, punto 2, secondo e
terzo paragrafo).
6.2. La registrazione va fatta tempestivamente e comunque non
oltre il trentesimo giorno dall’identificazione.
Per i dati di cui ai punti 4) e 5) del paragrafo 6.1 il termine decorre: secondo il regolamento (art. 6, secondo comma), dalla data di
avvenuta esecuzione della prestazione; secondo il provvedimento
(parte III, punto 2, quinto paragrafo) dal momento nel quale si ha
conoscenza di tali dati.
Anche in questo caso prudenza e praticità suggeriscono di integrare la registrazione non appena possibile.
Nel caso di nuova operazione o di conferimento di incarico da
parte di cliente già identificato è sufficiente la registrazione delle
informazioni relative al nuovo incarico (il provvedimento aggiunge
– parte III, punto 2, sesto paragrafo –: nel termine di trenta giorni
dall’accettazione dell’incarico).
Le eventuali modifiche dei dati e delle informazioni registrati vanno fatte entro trenta giorni dalla conoscenza delle modifiche stesse,
secondo le procedure di rettifica di cui all’allegato B al provvedimento
e conservando evidenza dell’informazione precedente.
I dati e le informazioni vanno conservati per dieci anni dalla conclusione della prestazione professionale, a cura dell’avvocato.
6.3. L’archivio, la cui omessa istituzione è sanzionata penalmente,
è unico per ogni avvocato.
Se l’attività è svolta in forma associata o societaria può essere
tenuto un unico archivio per tutto lo studio. In tale caso è necessaria
l’individuazione nell’archivio, per ogni cliente, dell’avvocato responsabile degli adempimenti relativi agli obblighi di identificazione e di
conservazione. È fatta salva la facoltà, per ogni componente dell’associazione o della società, di formare un proprio archivio.
6.4. L’art. 6 del regolamento ed (in particolare) i punti 4 e 5 della
parte III del provvedimento dettano i criteri per la tenuta di tale
archivio.
Rivista del Consiglio
189
La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
È previsto:
1) che l’archivio venga tenuto in maniera trasparente e ordinata,
così da facilitare consultazione, ricerca e trattamento dei dati, nonché garantire la storicità delle informazioni e la loro conservazione
secondo criteri uniformi;
2) che le registrazioni siano conservate nell’ordine cronologico di
inserimento in maniera da rendere possibile la ricostruzione storica
delle operazioni effettuate.
Nel provvedimento (parte III, punto 4, terzo e quarto paragrafo)
si soggiunge che le informazioni relative ai dati identificativi della
clientela e alle prestazioni professionali richieste conservate nell’archivio sono utilizzate anche per l’individuazione delle operazioni
sospette – di cui infra – e che tali informazioni possono essere richieste
dall’Uic per le necessità informative connesse alle proprie attività di
approfondimento e analisi nei casi e nei modi previsti dalla legge.
L’archivio è tenuto a mezzo di strumenti informatici; se l’avvocato
non dispone di una struttura informatizzata può tenere un registro
cartaceo, numerato progressivamente e siglato in ogni pagina a cura
dello stesso avvocato o di un collaboratore autorizzato per iscritto,
con l’indicazione, alla fine dell’ultimo foglio, del numero delle pagine
e l’apposizione della firma delle suddette persone.
Il registro cartaceo deve essere tenuto in maniera ordinata, senza
spazi bianchi e abrasioni.
L’allegato B al provvedimento contempla criteri, procedure e
standards tecnici per la tenuta dell’archivio.
Vi è la possibilità di valersi, per la tenuta e la gestione dell’archivio
informatico, di terzi, che comunque assicurino all’avvocato l’accesso
diretto ed immediato all’archivio stesso. Restano comunque ferme
le specifiche responsabilità previste dalla legge a carico dell’avvocato.
6.5. Della protezione dei dati e delle informazioni si occupano
l’art. 8 del regolamento, nonché il punto 6. della parte III ed il punto
3. della parte V del provvedimento.
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Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
7. L’obbligo di segnalazione
7.1. Estensione dell’obbligo di segnalazione
Tale obbligo non si applica agli avvocati per le informazioni ricevute da un cliente (o ottenute riguardo allo stesso):
a) nel corso dell’esame della sua posizione giuridica;
b) nel corso dell’espletamento dei compiti di difesa e di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità
di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano
richieste (o ottenute) prima, durante o dopo il procedimento stesso
(art. 2, comma 3, del Decreto).
L’esenzione sub. b) si applica anche per i giudizi arbitrali o per la risoluzione di controversie innanzi a organismi di conciliazione previsti
dalla legge (art. 10, comma 2, del Regolamento). Se è quindi chiaramente esente dall’obbligo di segnalazione l’intero campo del contenzioso,
anche arbitrale (ivi compresi l’arbitrato irrituale), non è chiarissima la
situazione circa l’attività di consulenza e assistenza stragiudiziale.
In tale ambito, è sicuramente esente l’attività di consulenza precontenziosa (e post-contenziosa) anche quando al giudizio poi non
si partecipa (o non si è partecipato).
Altrettanto sicura è poi l’esenzione dell’esame della posizione
giuridica, preliminare rispetto all’assunzione dell’incarico.
7.2. Sussistenza dell’obbligo di segnalazione
Al di fuori dell’area di esenzione, sussiste l’obbligo di segnalazione quando l’avvocato:
a) compie, in nome o per conto di propri clienti, qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare;
b) assiste un proprio cliente nella progettazione o realizzazione
di operazioni riguardanti:
1) il trasferimento a qualsiasi titolo di beni immobili o attività
economiche;
2) la gestione del denaro, strumenti finanziari o altri beni;
3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito,
conti di titoli;
Rivista del Consiglio
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, gestione o amministrazione della società;
5) la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società enti,
trust o strutture analoghe.
Come si è detto, nei casi sopra delineati, l’obbligo di segnalazione scatta solo in presenza di operazioni sospette.
7.3. L’operazione sospetta
Quando un’operazione può dirsi sospetta?
Ce lo dice l’art. 9 del Regolamento:
quando l’operazione:
a) per le sue caratteristiche;
b) per la sua entità;
c) per la sua natura;
d) per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione della
funzione esercitata dall’avvocato;
e1) tenuto conto anche della: e1) capacità economica;
e2) attività svolta;
dal soggetto cui è riferita induca l’avvocato a ritenere – in base
agli elementi a sua disposizione – che il denaro
- i beni
- le utilità che ne sono oggetto possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648 bis 648 ter del codice penale.
Se il denaro, il bene o altro utilità utilizzati sull’operazione si ha il
sospetto provengano da qualsiasi delitto non colposo, allora l’operazione è sospetta.
Si consideri che vi sono ricompresi anche i reati fiscali (che sono
esclusi invece, per esempio, in Francia).
L’art. 11 del regolamento individua alcuni criteri generali per
l’individuazione delle operazioni sospette.
Una prima regola (art. 11, comma 1) e parte IV n. 3 del provvedimento) prevede che l’avvocato debba utilizzare le informazioni
in proprio possesso (acquisite nell’ambito dell’attività professionale
prestata).
L’avvocato non è quindi tenuto a svolgere particolari indagini per
acquisire elementi ulteriori rispetto a quelli in proprio possesso.
192
Rivista del Consiglio
LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
Una seconda regola (art. 11, comma 2) richiede all’avvocato di
valutare complessivamente, nel tempo, il rapporto intrattenuto col
cliente, rilevando eventuali incongruenze rispetto alla capacità economica, alle attività svolte e al profilo di rischio di riciclaggio.
Sotto questo profilo, la parte IV, n. 3, parte 2a del provvedimento
chiede di aver riguardo alle operazioni compiute o richieste nello
svolgimento dell’incarico.
Una terza regola (art. 11, comma 4) impone all’avvocato di verificare, sempre sulla base delle informazioni disponibili, la reale
titolarità dell’operazione, quando il cliente agisca per conto di un
altro soggetto.
Una quarta regola (art. 11, comma 5) prevede che debba aversi
riguardo ai criteri contenuti nelle disposizioni applicative dell’UIC.
7.4. Le istruzioni applicative dell’UIC
Tali istruzioni applicative sono state emesse dall’UIC il 24 febbraio 2006.
Esse definiscono in primo luogo il concetto di “rischio di
riciclaggio”che è sotteso al concetto di “operazione sospetta”.
Per “rischio di riciclaggio” si intende l’esposizione a fenomeni di
riciclaggio.
La valutazione del profilo di rischio si basa sulla conoscenza del
cliente e tiene conto, in particolare, delle seguenti circostanze:
a) aspetti oggettivi concernenti, in particolare, le caratteristiche
delle attività svolte dai clienti, delle operazioni da essi compiute
e degli strumenti utilizzati (ad esempio: interposizione di soggetti
terzi; impiego di strumenti societari, associativi o fiduciari suscettibili di limitare la trasparenza della proprietà e della gestione; utilizzo di denaro contante o di strumenti al portatore);
b) aspetti soggettivi concernenti, in particolare, le caratteristiche
dei clienti (ad esempio: soggetti insediati in località caratterizzate
da regimi fiscali o antiriciclaggio privilegiati, quali quelli individuati dal GAFI come non cooperativi; soggetti dei quali è noto il coinvolgimento in attività illecite).
I criteri generali sono 8, e sono i seguenti:
Rivista del Consiglio
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
1) coinvolgimento di soggetti collegati in qualche misura a Paesi
ricompresi nelle liste dei c. d.”paradisi fiscali”;
2) operazioni a condizioni o valori palesemente diversi da quelli
di mercato;
3) operazioni incongrue rispetto alle finalità dichiarate;
4) ingiustificate incongruenze rispetto alle caratteristiche soggettive del Cliente e alla sua normale operatività (sia sotto il profilo
quantitativo, sia sotto quello degli atti giuridici utilizzati);
5) ingiustificato ricorso a tecniche di frazionamento delle operazioni;
6) ingiustificata interposizione di soggetti terzi;
7) ingiustificato impiego di denaro contante o mezzi di pagamento non appropriati (rispetto alla prassi e in considerazione della
natura dell’operazione);
8) comportamento tenuto dal cliente, anche riguardo tra l’altro
alla reticenza nel fornire informazioni complete circa l’identità personale, la sede legale o amministrativa, l’identità degli esponenti
aziendali, dei partecipanti al capitale o di altri soggetti interessati
(quali mandanti, fiducianti, disponesti di trust), la questione per la
quale si richiede l’intervento dell’avvocato e le finalità perseguite
ovvero l’indicazione di dati palesemente falsi.
In applicazione di tali criteri generali, nell’allegato C del provvedimento sono stati elencati alcuni “indicatori di anomalia” (non
esaustivi) ai quali comunque è necessario far riferimento nella rilevazione delle operazioni sospette.
La particolarità di tali “indicatori di anomalie” (numerosi, e raggruppati in 8 categorie, a seconda del comportamento del cliente,
del suo profilo economico patrimoniale, della dislocazione territoriale delle controparti, delle diverse categorie di operazioni) è che:
- non sono di per sé sufficienti a costituire operazione sospetta,
per cui bisogna valutare il caso concreto;
- non sono esaustivi, per cui, pur in assenza di tutti tali indici,
l’operazione può essere ugualmente sospetta.
7.5. Gli indicatori di anomalia
Come si è accennato, gli indicatori di anomalia sono raggruppati
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LEGISLAZIONE - GIURISPRUDENZA
in 8 categorie, e sono indicati nelle 5 pagine dell’allegato C del provvedimento UIC.
7.6. Procedura per la segnalazione
Divieto di “tipping off”.
Si deve premettere che, a differenza di quanto hanno fatto, per
esempio, la Germania, la Francia e il Belgio, l’Italia ha optato per il
divieto di “tipping off”(art. 12, comma 2, del Regolamento).
È infatti fatto divieto all’avvocato di comunicare al proprio cliente
di aver segnalato all’UIC un’operazione sospetta che lo riguarda.
Solo l’espressa previsione legislativa (art. 9, comma 3, del Regolamento) evita di considerare la segnalazione all’UIC di operazioni sospette quale violazione del segreto professionale, ma rimane
il gravissimo e irreparabile “vulnus” al rapporto fiduciario con il
cliente.
Il Regolamento (art. 9, comma 3) prevede anche che l’avvocato
vada esente da qualsiasi responsabilità per la segnalazione di operazione sospetta, purché la segnalazione stessa sia fatta in buona
fede e per le finalità previste dalla legge.
Tempistica di segnalazione
La segnalazione dell’operazione sospetta deve essere effettuata
senza ritardo (art. 9, comma 2, del Regolamento).
Meglio sarebbe dire: immediatamente; giacché il comma 2 dell’art. 9 del Regolamento prosegue imponendo che, ove possibile,
la segnalazione vada compiuta addirittura prima del compimento
dell’operazione, appena l’avvocato sia venuto a conoscenza degli
elementi che fanno sospettare la provenienza del denaro, beni e utilità da un delitto non colposo (riciclaggio, proprio o improprio).
Procedura della segnalazione
Anche qui, a differenza di altri paesi europei (in Francia, l’avvocato trasmette la segnalazione al Bâtonnier, il quale la trasmette
– ove ritenga sussistente l’operazione sospetta – al Conseil National
des Barreaux, il quale a sua volta – sempre che convenga sulla sospettosità dell’operazione – ne informa l’autorità giudiziaria), l’avvocato deve provvedere personalmente e direttamente a segnalare
all’UIC l’operazione sospetta.
Rivista del Consiglio
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
La segnalazione deve contenere dati e notizie sull’operazione sospetta di riciclaggio in tutti i suoi aspetti, oggettivi e soggettivi.
La segnalazione deve essere prodotta secondo lo schema illustrato nell’allegato D del Provvedimento, e dev’essere redatta secondo
le istruzioni (estremamente dettagliate) dell’allegato E.
Si ricorda che l’avvocato dovrà indicare sia il codice indicato nella tabella 1 dell’allegato E (avvocato – cod.20), sia il proprio codice
identificativo, vale a dire il numero di iscrizione all’albo.
La segnalazione (contenente, oltre ai dati del segnalante e del segnalato, anche le informazioni sull’operazione sospetta ed i motivi
del sospetto) andrà trasmessa, per il momento, in forma cartacea all’Ufficio Italiano dei Cambi, Servizio Risorse Informatiche Approvvigionamenti e Servizi, Via delle Quattro Fontane n. 123 – 00184
Roma.
Accanto all’indirizzo va indicato il codice PR AR94.
7.7. Facoltà di sospensione da parte dell’UIC
L’UIC, anche su richiesta degli organi investigativi, può sospendere l’operazione segnalata come sospetta per un massimo di quarantotto ore, sempre che ciò non determini pregiudizi per l’adempimento degli obblighi di legge da parte dell’avvocato (art. 3, comma
6 della legge antiriciclaggio e art 12, comma 5 del Regolamento).
Non è previsto che cosa succede se l’UIC dispone la sospensione
al di fuori dei casi previsti (per esempio, in un caso in cui si pregiudichi l’adempimento di un obbligo di legge da parte dell’avvocato).
L’art. 7, comma 5, del Decreto sanziona peraltro il mancato rispetto del provvedimento di sospensione adottato dall’UIC con
una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 5.000,00 a Euro
200.000,00.
È quindi teoricamente possibile solo presentare immediato ricorso al Tar con richiesta di sospensiva (che è peraltro irrealistico venga
disposta in 48 ore).
7.8. Obbligo di collaborazione
L’UIC può chiedere agli avvocati ogni informazione necessaria
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per la propria attività di approfondimento e analisi, in relazione anche a segnalazioni sospette.
Gli avvocati devono trasmettere tempestivamente all’UIC le informazioni richieste.
La sanzione, in caso di mancata risposta, va da Euro 500,00 a
Euro 25.000,00 (art. 7, comma 4, del Decreto).
7.9. Riservatezza
Tutte le informazioni relative alle segnalazioni di operazioni sospette in ordine sia al contenuto sia alla stessa effettuazione, sono
soggette a un regime di rigorosa riservatezza, e non se ne può dare
comunicazione a nessuno (ivi compreso, come già detto, il soggetto
segnalato: divieto di “tipping off”).
8. Controlli interni e formazione
8.1. Controlli interni.
Gli avvocati devono svolgere attività di controllo interno ai loro
studi per la verifica del corretto adempimento degli obblighi antiriciclaggio.
Tale controllo interno deve avere particolare riguardo alle procedure d’identificazione, registrazione e conservazione delle informazioni,
nonché di rilevazione e segnalazione delle operazioni sospette.
I controlli devono essere svolti con continuità, anche su base periodica e/o con riguardo a casi specifici. L’estensione e la periodicità
dei controlli sono commisurate anche alle dimensioni e all’articolazione della struttura organizzativa e dell’attività svolta (parte V n. 1
del provvedimento).
8.2. Formazione
L’art. 11, comma 3, del Regolamento prevede che si adottino le
misure di formazione necessarie affinché anche i collaboratori siano
in grado di adoperare le informazioni in loro possesso per avere
un’adeguata conoscenza della Clientela ed evidenziare all’avvocato
la situazione di sospetto.
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La normativa antiriciclaggio per gli avvocati di A. Bulgarelli e A. Pasqualin
La formazione deve avere carattere di continuità e sistematicità,
nonché tenere conto dell’evoluzione della normativa in materia di
antiriciclaggio.
Un supporto all’azione di formazione del personale e di diffusione della complessiva disciplina può essere fornito dagli ordini
professionali, a livello sia nazionale che locale, attraverso iniziative
volte ad approfondire la normativa, a studiarne le modalità di applicazione e a diffonderne la conoscenza in modo chiaro ed efficace.
9. Entrata in vigore
A differenza degli obblighi di identificazione, di acquisizione,
registrazione e comunicazione, che si applicano solo ai nuovi incarichi, a partire dal 22 aprile 2006 e, per quelli in corso a tale data,
solo qualora siano ancora in essere il 22 aprile 2007, gli obblighi di
segnalazione delle operazioni sospette sono di immediata applicazione anche agli incarichi già in corso alla data del 22 aprile 2006.
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Rivista del Consiglio
IL FORO SALENTINO
IL FORO SALENTINO
La gloria di Francesco Rubichi
nella parola di Alfredo De Marsico
a cura di CESARE TAURINO
Dalla celebrazione fatta a Lecce dall’eminente giurista e avvocato prof.
Alfredo de Marsico, riprodotta, del sommo FRANCESCO RUBICHI, laureatosi in legge a Napoli il 13.8.19873, si intravedono le linee maestre che
strutturano l’arringa di Francesco Rubichi: aderenza al processo, contenuto
classico umanistico, penetrazione psicologica dei soggetti processuali, avvolte
da uno stile inconfondibile, attraversato da una inesauribile ironia che dava
luce e vigore alla discussione della causa penale. Di qui la conseguenza che
il modello di arringhe lasciato ai posteri dal Rubichi che le rendevano e le
rendono insuperabili, e che la costruzione dell’arringa, in forma asciutta e
non bolsa, doveva essere rivolta non soltanto alla penetrazione del pensiero,
ma anche a quella dei sentimenti di chi ascolta.
Sicchè, per il Nostro in ogni arringa il pensiero autentico doveva stringere, in un legame vitale, il lusso dei dettagli, legati in una forma speciale
di gioiello. Amava dire che “l’analisi è utile nello studio del processo, ma è
malfatto portarla nell’arringa, dove riesce, e non può non riuscire, lunga
e fastidiosa”. E’ qui che si coglie la virtù e l’opera d’arte che filtrava nelle
vene del grande Oratore, genio della parola.
Rimangono memorabili le sue splendide arringhe, in particolare la difesa
di Giovanni Anastasio e quella di Cosimo Zaccaria, in cui, come ha detto il
celebre avvocato Antonio Russo, già Direttore della Rivista “Eloquenza”,
Rubichi, “come sollevato sopra un tripode, sopra una cima d’anime non
era più un uomo; era una fiamma. La sua parola non più alitava: avvampava”.
Era, tra l’altro, un conferenziere illustre: vanno ricordate quelle conferenze su Ibsen e Tolstoi, su Giulio Cesare Vanini, su Giordano Bruno, su L.
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
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S. Catilina; nonché va ricordata la commemorazione, tenuta a Bari, che fu
l’apoteosi di Vito Nicola De Nicolò, giurista ed avvocato insigne.
Di fronte a così ricca e complessa personalità del Rubichi, non si può
non invocare il “DESTATI E TORNA” che Alfredo De Marsico, nella detta
celebrazione del Nostro, ha voluto marcare e nobilitare da par suo, soprattutto
per i giovani avvocati, ai quali, il Maestro di eloquenza e di virtù preclari
non poteva non rivolgersi.
CESARE TAURINO
* * *
Se, per parlare di un oratore, fosse necessario averne udito la
voce, osservato il gesto, studiato in una lunga consuetudine di incontri il giuoco delle energie fisiche e spirituali nella viva attualità
del discorso, io non potrei parlare di lui. Non lo ascoltai che una volta sola, negli anni già molto lontani della prima giovinezza, quando
rispose brevemente ad una arringa sontuosa di Gaetano Manfredi,
alla Corte di Appello di Napoli.
Egli vinse ma per virtù di elementi documentali della grave causa,
e il suo avversario si alzò dalla stessa sconfitta, per il prodigio dello
sforzo impegnato contro l’inevitabile, in una grandezza di gigante.
Studiandolo, negli anni successivi, con attrazione crescente, quasi dimenticai la sua figura, ed egli mi parve collocarsi tra coloro che
smentiscono il facile adagio dell’oratore che muore ogni volta nella
sua fatica verbale e sanno vincere invece un doppio cimento: creare
con la propria parola, già nell’atto in cui la impiegano a raggiungere
un fine, un mutamento non labile nell’ambiente che la accoglie – la
«forza materiale della parola» di cui scrisse Edgardo Poe – e farla
sopravvivere, se vi sia chi la trascriva, in una manifestazione non
peritura di arte, di passione, di dottrina.
Oratore è soprattutto colui che può affrontare fuori degli effettivi
immediati, emotivi o logici, che suscita in un uditorio, il giudizio
dello studioso che ne ricerca o ritrova il discorso, e ridestare in lui
quelle stesse reazioni o un interesse non minore, se pur diverso, alla
sua battaglia. Per costui, anzi, il tempo non consuma gradualmente
le vestigia dell’opera ma, ricacciando i mediocri nell’ombra, solle-
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
vando nella luce i sommi, chiarisce quanto di perenne non la sua
parola, ma la sua arte, che si stacca – se vera – dall’autore, imprime
alla precaria vicenda umana.
Se ciò non fosse, non si riuscirebbe a spiegare come ogni popolo
abbia non solo i suoi scrittori ma i suoi oratori.
Del resto, che cosa è l’arte se non un discorso che, su soggetti
immaginari o idealizzati, si tiene ad interlocutori invisibili? E che
cosa è l’oratoria se non la stessa arte che lavora, su eventi reali, in
presenza di interlocutori viventi? Perciò l’oratoria più alta è quella
che, figlia del suo tempo e di un ambiente determinato, ha in sé la
possibilità di vivere come arte oltre il tempo e l’ambiente suo.
* * *
Tra questi privilegiati dell’oratoria è Rubichi, che immise nelle
vene della sua arte il sangue e le linfe della sua epoca.
Nato durante l’epico dramma del Risorgimento, la sua giornata
si inserisce nel cinquantennio che ne fu lo svolgimento e la glorificazione. L’avvocatura era allora necessariamente espressione e difesa
dell’autentica libertà dell’individuo, non compressa né deformata
da concezioni egemoniche di Stato o di masse. Da tutti riconosciuta
la legge come regolatrice suprema dei rapporti fra gli uomini, a tutti
aperta la via per sospingere il perfezionamento o l’adeguamento
ai nuovi bisogni; le stesse rivendicazioni del popolo, collegate a un
principio di giustizia che non poteva non trovare il suo suggello
nella legge; il progresso, concepito come evoluzione che, se pur qua
e là, ad intervalli, punteggiata di violenza, non disconosceva in alcuno, e ad alcun gruppo, il diritto di vivere, non imponeva ad alcuno il dovere di morire. La legge a servigio della vita; la solidarietà
umana, base ed anima e limite della lotta. E la politica era l’essenza
inavvertita anche dell’ufficio forense, perché questa mirava in ogni
episodio giudiziario a riconsacrare la legge che ne era la conquista e
la testimonianza. Anche quando sul terreno della politica si criticava lo Stato per difendere l’individuo, era per comporre nella legge il
conflitto, non per accenderlo al di là della legge.
Fra il ’70 e il ‘918, fra l’unità del paese e la integrazione della sua
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frontiera ad Oriente, l’avvocatura fu il retaggio e l’orgoglio di quella generazione di italiani che – lo dimostrò Vittorio Scialoja – avevano concepito il Risorgimento come costruzione essenzialmente
giuridica e fu con la letteratura, la musica e la scienza la più nobile
espressione di una nostra maturità rigogliosa intenta a consolidare
l’edificio creato dai padri e a spargere nel mondo la buona semenza
del nostro pensiero.
S’intende che, collegata visibilmente a tali attività dello spirito,
essa rispecchiava e riproduceva le correnti che nel pensiero dell’epoca prevalevano fra noi e in Europa. L’indagine psicologica e
quella sociale, la visione filosofica e quella materialistica della vita,
la tecnica sempre più scaltrita dalla scienza giuridica e l’esasperazione della estetica letteraria, trovavano nella milizia togata maestri
e seguaci. Pessina girava lo sguardo negli ampi orizzonti della sapienza ellenica e dell’idealismo critico; Ferri, dopo non molto, fra i
laboratori e le statistiche, si sforzava di chiudere in assiomi, schemi,
diagrammi, i fenomeni della sociologia; Vecchini traeva dal tormento della forma gli stessi bagliori che l’artefice dalla faccettazione del
diamante; Marciano, dalla matrice della legge, la creatura viva e
muscolosa della tesi giuridica: mentre su tutti forse grandeggiava
Manfredi, che con lo sguardo d’aquila squarciava anime e passioni,
i problemi più oscuri della medicina della balistica del diritto, e tutto segnava di una perfezione che mostrava nel bello la vetta dove si
congiungono tutte le capacità umane.
I brevi divari di età fra l’uno e l’altro non contano: tutti son lì a
rappresentare la vitalità multiforme ed armoniosa dell’Ottocento,
da quando adulto irradia tanto vigore che potrà occupare di sé alcuni lustri del secolo nostro.
* * *
In questo cantiere che i tempi gli apprestarono, e nel quale propizi orientamenti dell’anima collettiva alimentavano il fuoco dell’arte,
quali doti, quali mezzi egli usò nella creazione della sua opera? Di
quali questa serba più vive le tracce?
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
Aderenza al processo
Anzi tutto, mi sembra, la rigorosa aderenza della ricerca e della
costruzione alle caratteristiche della singola causa, a quelle che di
ogni causa fanno una specie inconfondibile con le altre: aderenza
che non è utile ma fondamentale rilevare, poiché in alcuni l’io è così
povero di adattamenti e perciò quasi unilaterale e così prepotente
in alcuno dei suoi aspetti da piegare a sè la causa deformandola anziché piegar sè alla causa. Servire la causa, non servirsi della causa,
è la prima legge del patrocinio, ma quanto è difficile osservarla! In
fondo, nessuna differenza corre tra ciò che il critico fa, nella scuola
immortale, pur se quasi esauritasi con lui, di Francesco de Sanctis,
dell’opera che imprende a studiare ed interpretare, e ciò che il patrono deve fare della propria causa: calarsi nell’opera o nella causa
per trovarne lo spirito e riviverlo, come condizione imprescindibile
per l’uno a ripercorrere il processo creativo, per l’altro ad intendere
appieno il disgregamento interiore da cui il delitto si scatena. La
differenza fra i due è nell’oggetto: l’uno con questa immersione psicologica riesce ad adunare nei meandri dell’opera altrui la luce che
contiene e la diffonde; l’altro si addentra nelle tenebre del fatto per
estrarne quei guizzi che permettano di stabilire quanto nel ribelle
alla legge possa perdonarsi all’uomo.
Di qui, la forma diversa che l’arringa di Rubichi assumeva ogni
volta. Chi leggesse per prima quella in difesa di Grazia Bruno, che
comincia da una premessa strettamente giuridica sul concetto di
truffa e continua attraverso una analisi pazientissima di testimonianze, non disdegnando, credo, esaminarne una sola, non intuirebbe nell’oratore il patrono che, in altre occasioni, si svincola senza
indugi dal viluppo delle prove per farle appena avvertire nella impostazione di sintesi alate o di scorci robusti, come nella dichiarazione alle Assisi di Catanzaro per la vedova Saladino; ed è in ciò, a
me sembra, uno degl’indici più certi della sua grandezza di maestro. Si dice che un sapiente a chi gli domandava qual via tenere
per conquistare il sapere rispondesse: studiare gli uomini e i fatti.
E l’avvocato, più di tutti i libri, deve sentire la bellezza di studiare
profondamente, in ogni causa, i fatti e gli uomini. Qui egli trova
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Rivista del Consiglio
IL FORO SALENTINO
l’originalità della materia da chiarire e plasmare; qui, la freschezza e
la novità dell’ispirazione; qui la possibilità di sprigionare da sè ogni
volta una personalità nuova, anzicché indossare ogni volta l’abito
mentale provato e riprovato cento volte su una platea consueta,
cambiandone appena le gale o le falde; qui il segreto per avvincere il
magistrato alla rivelazione di un tipo o di un avvenimento che non
solo alcuno di quelli ch’egli ha fin allora giudicati anzicché consentirgli di riposare sul ricordo di vecchi colloqui e giudizi; qui la fatica
e, se volete, i pericoli ma anche la gioia e l’utilità del nuovo. Qui il
campo in cui l’avvocato non rischia di diventare frequente eco o
riflesso di sè stesso ma, dalla scoperta di ciò che si nasconde nelle
pieghe riposte del fatto, assurge ogni volta a creatore di un’opera in
cui la bellezza deriva dalla verità quasi inaspettatamente sorpresa.
Preparazione umanistica
Poi, la vasta cultura umanistica. Che non è la semplice cultura
letteraria ma anche una sensibilità che continuamente si aguzza
nel doppio laboratorio della esperienza propria e della più raffinata esperienza altrui, quella degli esploratori di anime; una cultura
che si trasforma da acquisizione di nozioni in altro vigile organo
di percezione i di intuizione. Superata l’età della prima formazione
intellettuale, ciascuno nel labirinto dello scibile si muove e si orienta
secondo un istinto selettivo che è di essa il dono più prezioso, per
il quale, nell’impossibilità di abbracciar tutto, cerca ed assorbe specialmente ciò che il suo intelletto e il suo animo possono, più del resto, assimilare e trasformare in lievito di idee ulteriori o di creazioni:
un istinto intuitivo che è come un sapere anticipato.
Meditando Rubichi, non è malagevole additarne gl’ispiratori e
le guide: in alcuni scrittori latini – io direi Sallustio e Tacito, i più
vigorosi nel rappresentare i movimenti dell’animo umano, nell’individuo e nelle folle –; negli apostoli e nei martiri della libera ricerca
nell’età di mezzo – quali Bruno e Vanini –; in alcuni scrittori moderni:
Hugo, l’oceanico; Balzac e Zola, insuperati fra tutti nel denudare e
diagnosticare le brutture e le piaghe di una società che tanto più si
chiama civile quanto più debba nascondere le sue bassezze; Ibsen
e Tolstoi, che aggredirono con maggiore violenza il convenzionaliRivista del Consiglio
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
smo, l’ipocrisia, le larvate crudeltà rodenti sotto l’involucro degli
equilibri legali il midollo dell’uomo contemporaneo. Ma, se egli non
avesse in qualche conferenza manifestato le sue predilezioni, solo
gli orecchi più scaltriti ne avrebbero colti i segni nelle sue arringhe,
nelle quali di solito l’elemento letterario non è intenzionalmente incastonato come gemma nell’oro della sua prosa, ma è l’atmosfera
stessa in cui esse si compongono e si librano, che le avvolge e le
penetra in ogni parte e non si annuncia in nessuna.
E sarebbe facile dimostrare che, le poche volte in cui egli citò un
verso o una frase altrui, cedette al bisogno della efficacia, non a vanità di retore o desiderio di ricercatezza.
Fu quando, avendo già con l’impeto e la progressione della sua
parola portato gli uditori quasi all’estremo della commozione, lo
volle raggiungere o superare, saldando alla sua frase quella di un
poeta, ma in una continuità ed in una fusione che dovevano farli
riconoscere percorsi da uno stesso estro, trascinati da un unico slancio.
La sua sensibilità letteraria, per altro, non reggeva soltanto le forme, il modo di apparire della sua costruzione: ne reggeva le strutture. La letteratura, quando non è superficiale rivestimento di pensiero, è nella sua essenza la meno arbitraria delle attività speculative.
L’effetto – suggestione o persuasione, rappresentazione od illusione
– non è conseguito che attraverso un calcolato equilibrio delle parti
in cui si distribuisca e si esprima un ancor più calcolato di azioni e
di reazioni, tra personaggi immaginari o reali. Dal senso acutissimo
di questa verità egli ricavava quella perfetta capacità e quel tormentoso studio di collocare nel tessuto di un’arringa i soggetti della causa secondo un disegno tale che il fatto nel suo e la difesa della sua
tesi apparivano il risultato insostituibile di relazioni matematiche.
L’accusa contro Adolfo Pezzuto ripete la sua statica perfetta dalla
scavo ch’egli fece nell’anima del protagonista e della vittima e nei
loro rapporti, riuscendo ad escludere dal delitto la ragion d’onore e
sostituirle la delusione per il mancato raggiungimento di uno stabile benessere. La difesa di Vito Simeone, il tubercolotico eccitabile
e impaurito, la ripete dell’impeccabile plastica raffigurazione dell’ucciso come violento uso trasmodare nella stessa violenza, dando
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carattere di verosimiglianza a ciò che, nella discontinuità degli episodi, sembrava non ne avesse, «costruendo» cioè l’antagonista, che
sembrava mancare, di colui che, divenuto infine preda di un turbine
emozionale, lo abbatté.
Qualunque avvocato avrebbe nelle due cause dovuto valutare
le stesse testimonianze; ma non a molti sarebbe riuscito dal pulviscolo dei loro detti, dai frammenti degli episodi, fissare come in un
bassorilievo le figure dei competitori e sollevarlo al palpito di una
flagrante competizione. Questa è senza dubbio letteratura, ma come
potenza che rimuove le pietre dei sepolcri e ridà vita ai cadaveri.
Penetrazione psicologica
Ad attuare il prodigio gli serviva docilmente, nella materia sempre originale del processo, il magico scandaglio dello psicologo,
che non è sempre compreso fra gli strumenti del letterato. La virtù
dello psicologo è vedere anche nelle tenebre, scoprire e ghermire
nel fitto reticolato delle azioni e dei gesti dell’uomo il motivo della
sua avventura e del suo slittamento, della sua deviazione e del suo
naufragio, impedire al perchè delle azioni di nascondersi, anche se
a rifugio scelga l’inconscio. Ciò che sfugge alla coscienza dell’autore di un fatto, non deve sfuggire all’occhio dello psicologo che il
debito professionale impegna nella più ardua delle investigazioni:
comprendere e far comprendere lo spirito di chi delinque, perché il
castigo colpisce la carne ma più ancora lo spirito.
Oggi, Sigmund Freud ha aperto alla nostra osservazione i domini
tenebrosi del subcosciente: allora, non esisteva che la divinazione,
dono di pochi; la divinazione, non come ipotesi arbitraria di spiegazioni, ma come soluzione di un problema avente il suo termine noto
del delitto, la sua incognita nell’autore. L’arringa per Vito Modugno, nella indagine sul suicidio, crollo che sfugge alle leggi comuni,
e che solo dopo che è avvenuto consente, in una prognosi postuma,
di scoprire gl’indizi precursori, esistenti pur tra le apparenze più ingannatrici della normalità; nella rivelazione dello smarrimento che
una serie di concomitanze determinò nell’animo della giovane mo-
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
glie: nella documentazione che il patrono ne estrasse da brani del
diario; nella conferma che ne chiese alla storia dei suicidi, è di una
sottigliezza che oltrepassa i poteri dello psicologo e già annuncia le
ardite e stupende possibilità della psicanalisi. Così come l’arringa
per Cosimo Zaccaria, il marito due volte infelice perché trascinato
con l’inganno a vendicare il disonore in colui ch’era il passato salvando colui ch’era il suo offensore di oggi, è la rappresentazione,
sottilmente bourgettiana, di una sofferenza che, prima come dubbio, poi come certezza, è stata devastazione di tutte le resistenze
morali, ha esaurito e sorpassato la massima atrocità delle pene e restituisce redento dal dolore l’uomo alla vita. E l’arringa per Giovanni Anastasio è il quadro dell’uomo che l’odio politico non colpisce
solo nella quiete e nel prestigio, con l’arma della persecuzione e del
sopruso, ma alle radici del sentimento, nel più elementare e sacro
dei diritti, in ciò che fa di lui non un atomo vivente e vagante negli
spazi del mondo ma un anello nella catena delle generazioni e dei
tempi: la casa!
Inesauribilità dell’ironia
A tali vertici egli saliva dopo aver livellato nella misura del buon
senso e ridotto al grado dell’attendibilità tutto ciò che i più vari sentimenti avessero amplificato o contorto, deformando il fatto. In quest’opera egli maneggiava con maestria insuperabile uno strumento
micidiale: l’ironia. Molti in Italia – Ruffa e Fiorante a Napoli, Pellegrino a Genova, Muratori a Firenze ed, alla Camera, Arcoleo – hanno
saputo impugnarla ed usarla; ma in Ruffa era talvolta, a quanto se
ne ricorda, giuoco di parole, in Fiorante agilità di contrapposizioni
e di valutazioni o maschera di dolorosa amarezza, in Pellegrino veemenza aggressiva dissimulata dal riso, in Muratori colpo improvviso di duellante che vinceva l’avversario senza battersi, in Arcoleo
freccia tagliente temprata nella familiarità con Swift e con Dickens:
in Rubichi era arte di collocare situazioni, ipotesi, ragionamenti in
una luce che istantaneamente li sfaldava o polverizzava, con un dominio del comico che ora tagliava come smeriglio, ora frantumava
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IL FORO SALENTINO
e schiacciava come martello. Nessuno più di Rubichi dà ragione
alla spiegazione freudiana della battuta di spirito e dell’umorismo,
poiché in nessuno, forse, quanto in lui l’aneddoto o l’interruzione
distruttiva sembrano erompere, indomabili forse dalla sua stessa
volontà, dalla istintiva percezione della disparità fra il poco che le
cose celano e l’enormità dell’ingombro che le drappeggia e sembra
ingrandirle, fra l’essenza pietosa di alcuni rapporti umani e la labile
fiammante vernice che le copre.
Nel momento in cui il comico lo possiede egli non può sottrarsi, e la
via per raggiungerlo spesso egli l’accetta, non la sceglie.
Alla Camera, discutendo di un progetto di legge che presumeva
dare ai commissari di pubblica sicurezza il potere di vietare le recitazioni o le declamazioni in pubblico se esse potessero produrre
pubblica commozione, seppelliva con fascinosa eleganza la proposta sotto il ricordo osservando che, per vedere se il pericolo vi fosse, costui non avrebbe avuto altro modo che leggere il lavoro per
domandare a se stesso se ne restava commosso, ovvero convocare
le sue guardie per sapere se si commovessero loro. Ma fu assai più
massiccio e men castigato alle Assisi di Perugia nell’immaginario
episodio del pittore fraudolento, del prete frodato e del pubblico dei
fedeli ingannato, che gli servì a smantellare spietatamente una argomentazione che l’accusatore fondava soltanto sul proprio convincimento. La potenza della sua ironia era tale che, bisturi o clava, egli,
egli stesso non poteva che subirla. E, guardando alla rapidità con
cui subito dopo si risollevava verso i cieli dell’arte, si ha l’impressione che le macerie lasciate con quel mezzo sul terreno della disputa
lo addolorassero tanto da imporgli il bisogno di farle sparire, quasi
dimenticare, in un acceso folgorio di sole. La sua ala ripiegatasi per
un momento sul fango o le meschinità della terra tornava istantaneamente ad allargarsi e guadagnare le altezze, non delle astrazioni
ma della causa, come di monti scintillanti nell’etere, congiunte saldamente alla terra.
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Stile inconfondibile
Dalla collaborazione di queste quattro preminenti attitudini
– l’aderenza al processo, la preparazione umanistica, la penetrazione psicologica, l’inesauribilità dell’ironia – nasceva oltre che la sua
arringa, lo stile inconfondibile della sua arringa, coi suoi caratteri di
semplicità, di chiarezza, di concatenazione, di progressione nell’efficacia. Uno stile che ne fece il più moderno degli oratori.
Intorno a lui continuavano a vibrare, pur tra sintomi di radicale
mutamento, le luci di un tempo in cui la prosa del discorso non si
concepiva senza solennità ed, anche, l’ordine delle argomentazioni
senza conformità a regole classiche. Marciano chiudeva superbamente questo ciclo dell’oratoria strappando alla classicità i paludamenti superflui ma serbandone l’austerità, il vigore corpulento,
le prospettive geometriche, e fu così l’ultimo, grandissimo, erede o
continuatore del passato. Rubichi superò le incertezze o le ambiguità dell’epoca di transizione accampandosi di un balzo, nettamente,
sulla soglia di un’epoca nuova, che non tollera esordi, ridondanze
decorative, ristagni del pensiero, e fu così l’iniziatore grandissimo
della modernità. Nè fu inizio soltanto, ma maturità ed apogeo, poiché in lui non si ebbe appena uno sbocco ma un modello difficilmente raggiungibile.
Egli non si apre pacatamente un varco nell’attenzione di chi lo
ascolta ma la investe e le abbranca di un colpo; non seduce coi colori
di un artificiale tavolozza ma abbaglia con la ricchezza raggiante
del pensiero emozioni con spunti abilmente distribuiti o squarci romantici ma pone i sentimenti in tumulto con la nota tematica o la
linea dorsale del suo argomentare, che di sentimento è pervaso tutto, anche nella premessa o nella conclusione apparentemente solo
giuridica.
Ecco insorgere contro l’abuso che si fa, ai fini dell’accusa, dell’interrogatorio degli imputati:
«Siamo sereni. Davvero pigliate sul serio l’argomento dell’interrogatorio? Ma coloro che ragionano così non hanno mai assistito
alla catastrofe di uno spirito umano, non solo non hanno assistito
ma non hanno detto. Anastasio, come noi abbiamo mostrato, si tro-
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IL FORO SALENTINO
va preso da un vortice tempestoso, diretto da una finalità che egli
non credeva giammai, diretto ad un’azione che non gli apparve mai
nemmeno nell’intimità delle sue notti. Esce di lì trascinato in un
mondo che non era suo, pel quale non era nato, ed esce tutto contuso, lacero, flagellato, sanguinante. Volete che quell’uomo possa dare
dei dettagli sull’avvenimento che si era svolto? Se vi era un solo
uomo che poteva non sapere come il fatto si era svolto, questo era
Giovanni Anastasio».
«Sono i momenti di emozione turbinosa, nei quali il mondo,
l’anima, Dio, passano innanzi agli occhi nostri come fantasmi di
una notte infernale: «che ho fatto? Non lo so! Quali furono i dettagli
dell’avvenimento? Non li domandate a me!».
«Signori, avete notato da voi stessi un fenomeno tante volte accaduto durante la notte: un sogno terribile si è accampato nello spirito
vostro e vi ha fatto piangere e gridare nel sonno. Al primo raggio
di luce vi siete destati, avete voluto rendervi conto del fantasma
che tanto vi straziò, e trovate che era svanito nella vostra mente. Lo
sentite che sta lì nel vostro spirito, lo volete afferrare e si discosta;
con tutta la coscienza e la memoria cominciate l’inseguimento e il
fantasma si dilegua attraverso un’acqua torbida.
«Domandate ad Anastasio i dettagli dell’avvenimento e non vi
meravigliate se egli non li sa, o se nell’interrogatorio sposta qualche
dettaglio o non ne dice qualche altro».
Eccolo toccare e approfondire – sono per lui una cosa sola – i rapporti tra passione e premeditazione, dando già al fattore ideologico
il peso decisivo, pur se non ancora gli sacrifica quello psicologico:
«Occorre, sì, l’elemento del tempo, ma qualunque possa essere
il tempo decorso, è necessario, perché siavi premeditazione, che
nell’animo del delinquente, allo stato di concitazione emozionale
prodotto dalla offesa sia succeduta la riflessione. Occorre che tutti
i venti che producono la tempesta nel cuore siano caduti: quell’ira,
quello del dolore, quello della passione; occorre che il lago del cuore
sia divenuto calmo, e sotto lo specchio tranquillo e sorridente sia rimasto in agguato e in aspettazione il mostro del disegno criminoso.
Occorre che questo sia divenuto genitura non più della passione, ma
della riflessione fredda e della volontà ostinata. Toccate quella fron-
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
te: essa non brucia più, come dianzi, per febbre; toccate quel polso,
i suoi battiti sono divenuti normali; ascoltate le voci di quell’anima:
sono mute di ogni gemito di dolore e spasimo di disperazione. Lo
stato di malattia dello spirito è cessato, ma è rimasto in moto, terribile, possente dominator della profonda mente il pensiero della
vendetta sanguinosa. Ecco la preditazione».
Ecco cogliere nella sua essenza il fondamento della legittima difesa putativa:
«Avete incussa una paura, la paura produce un’eclissi nella ragione e la ragione è divenuta cieca, bestiale, irragionevole, ma quale
doveva essere per colpa vostra: avete angosciata un’anima; il momento di angoscia, ha causato un fantasma contro il quale come
contro cosa vera si è precipitata una reazione fulminea ed omicida.
Nessuna colpa dell’omicida e nessuna vendetta sulla vittima».
Ecco fissare la morbosa impressionabilità dei tubercolotici, al
centro di un’arringa mirabile per la sua tessitura, che dall’anatomia
delle testimonianze sale a due vasti temi, la tubercolosi e la legittima
difesa, e da questi ad un terzo anche più alto, la difesa della madre:
«la preoccupazione non è mai proporzionata al pericolo; manca
la calma per esaminarlo, per valutarlo e in un solo momento diventa ossessione, incubo, paura sconsigliata e folle. Ed intonato così è
il gioco della loro intelligenza. Tutte le guide che la ragione offre
all’impulso sentimentale, quell’ingranaggi di ruote, di motori e di
treni merci cui questo impulso si attenua, si frena, si indirizza, in costoro sotto la scossa di un’emozione si arresta come il meccanismo
di un orologio a cui si comunichi un brusco movimento. La visione
giusta delle cose si altera; dal fondo delle cose sorge e si diffonde intorno ad esse come una nuvolaglia di vapori che offuscano la vista,
attraverso la quale il mondo della realtà perde i suoi contorni netti e
precisi, e vi si costituiscono dei fantasmi ossessionati e paurosi!».
Il rilievo, è evidente, viene alle cose non da sovrapposizioni ma
dal loro crescere dall’interno, per una forza vitale che non l’artificio ma la verità e la vita, unificandosi, vi suscitano. E il fenomeno
di assieme è quello che si sprigiona dalla sorgente, quando l’acqua
copiosa e compressa riesce finalmente a rompere la roccia e sprigionarsi verso l’alto: uno zampillo prima tenue, appena affiorante
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IL FORO SALENTINO
e tremulo sull’involucro calcareo che ancora resiste, poi sempre più
copioso, che s’innalzi si tende e sale fino ad essere una immensa
onda arborescente con il suo fusto e i suoi rami, e l’uno eleva sin
dove l’occhio può seguirlo, gli altri protende sin dove l’occhio può
abbracciarli finché precipita in una pioggia di stile e di luce che imperla e permea e feconda la terra, che – è l’eloquenza, signori! – permea e soggioga le anime, facendone i mille specchi in cui si riflette e
propaga il pensiero dell’artefice, i mille scudi omerici su cui risuona
e tra cui si diffonde il palpito dell’animo suo.
Avviene nell’oratoria come nel teatro, come nella musica. L’età
della commedia interpolata dai mottetti e dai couplets finisce, e il teatro riproduce l’uomo nella realtà della sua sofferenza, a questa interessando gli altri, non alle vernici poetiche di cui lo stilista meticoloso
la spalmava. Così, nella musica il cuore trova per le sue febbri e i suoi
deliri il linguaggio schietto e pieno, che in Verdi associerà al maestro
dei canoni grande quanto gli antichi l’interprete travolgente della
vita, colui che trasforma ed esalta con la misteriosa semplicità di un
creatore tutte le passioni, in un’arte che, per identificarsi con esse, si
sublima ad un tempo e si elide; e poi, come torrente che proietti dai
suoi fianchi luminosi, nel canto non meno schietto e vero di Alfredo
Catalano, di Giacomo Puccini, di Francesco Cilea.
Quante volte – tanto poco è vero che l’opera dell’oratore muore
con la sua voce – leggendo le pagine di Rubichi, sebbene talvolta
troppo ingenuamente raccolte, mi è parso progredire da una ispirazione di Catalano, da un grido d’amore o di dolore di Puccini, dall’abbandono e dall’angoscia di una creatura di Cilea alla immensità
mareggiante di Verdi nella quale l’anima accetta, con docilità bramosa, il proprio naufragio! Cercate: la fine di certe arringhe, che dopo
crescendo vertiginoso di concetti si smorza di un subito in una frase
semplice e piana, somiglia lo smorzarsi sommesso di certe veemenze
orchestrali in una frase che sincopa lo spasimo senza ucciderlo e par
mendicare il riposo dopo una fatica non più sostenibile del cuore.
Vecchini sognò forse talora la solennità sonora di Wagner, e Manfredi parve accostare a tratti Beethoven: nel Vostro, il secolo maturo
per i trionfi di un forte e sano romanticismo, disciplinato dal compiuto raggiungimento delle leggi della forma, trova nell’arte della
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
parola ciò che in quella dei suoi furono dei grandi, cui non cessa di
tornare la nostra ansia di rapimento se non si disgiunga da arsura
di verità.
Difficilmente paragonabile ad oratori italiani, egli adunava e fondeva in sé le qualità dei migliori oratori francesi del nostro tempo,
moderni, direi, per destinazione da razza, ché in nessun paese più
che in Francia il clima spirituale modella istantaneamente l’uomo
nel suo tempo.
Guardateli, nella stupenda galleria creata col magistero della
penna da Payen.
L’amore del concreto, l’abito di non guardare le cose dalla stella
Siro, e la sobrietà, ma luccicante, degli ornamenti, più gioielli che
fiori, ricorda Poincaré; l’ironia, Waldeek Rousseau, ma senza quella
impassibilità che lo ha fatto definire un vulcano coperto di ghiaccio,
o Chenu, senza fare la sottile disciplina che la raffinava e con la
stessa maestria nell’agitare, occorrendo, le emozioni; la capacità di
conquistare immediatamente l’attenzione, la forza stritolatrice dell’obbiezione avversaria e il calore avvincente della convenzione, Du
Buit; la conoscenza di Roma antica, Cartier; la spontaneità, l’ardore
passionale, la sicurezza nell’impadronirsi del pubblico, Labori. Uno
solo resta da parte, se non per la brevità consueta delle arringhe,
in questo agganciarsi dei nomi più insigni della toga francese ai
vari profili del suo prisma intellettuale: Henry Robert, ché questi
è concertazione di sforzi in uno o pochi temi, da compaginare in
un reticolato senza varchi, ed è improvvisamente torrenziale, nella
quale idea si stacca dalla parola appena pronunziate le prime sillabe
che la esprimono, per generare le idee successive, mentre in Rubichi
è trasparente la preparazione perfino tormentosa dello schema in
ogni linea e forse in ogni particolare, senza che ciò inenomi però la
spontaneità e la naturalezza.
Tale a me sembra delinearsi la figura di colui che nel vostro Salento adempì il nobile ufficio, e conseguì la nobile gloria di collocarsi fra
gli avvocati che, riassumendo le segrete e pure energie di una regione alimentano da questa le forze vive e feconde della nazione, e agli
storici di domani trasmise, credo, una fra le espressioni più chiare e
decise dei caratteri che distinse in quel tempo il contributo dato, più
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IL FORO SALENTINO
che dal Salento, dalla Puglia alla civiltà del pensiero nazionale. Non
come l’avvocatura e la letteratura si uniscono in una stessa radice come manifestazioni di arte, distinguendosi specialmente per lo
spiccare nell’una degli scopi pratici, nell’altra degli scopi estetici –
senza di che non si spiegherebbe come da Hugo a Tolstoi, da Balzac
a Bèrard, da Wassermann a Paton, vi siano scrittori che attingono di
continuo alla realtà incandescente e multiforme dei dibattiti giudiziari – così in quel periodo accanto a fulgide manifestazioni della letteratura, regionali nella ispirazione o nella inquadratura ambientale,
ma così compiute da illustrare la patria talvolta nel mondo – si ricordi
Verga, Deledda, Fogazzaro – o dove mancarono, al posto di esse, si
affermarono figure di oratori giudiziari – troppi nomi bisognerebbe
fare! – che non meno fedelmente rispecchiarono nella concezione e
nella parola l’anima e i giusti della loro terra, elevandosi a così grande prestigio da dominare l’orizzonte della patria. Non perché essi
affidino alla propria voce anziché al libro o al giornale la trasmissione
del proprio pensiero, questi uomini di toga meritano meno degli scrittori
di essere salutati testimoni e propagatori dell’unità spirituale del paese.
Come tutti loro, Rubichi non fu un grande salentino in Italia ma un grande italiano nel Salento. L’Italia fu la sua arena, Lecce la sua palestra.
Il conferenziere
Né questo privilegio di rivelare letterario del genio di una regione egli esplicò soltanto alla sbarra. Dall’unità della interiore sorgente nacquero le sue conferenze, che lasciano riflettere quali scrittori la
sottraga alle lettere, come tanti libri lasciano riflettere quali oratori
esse sottraggono all’arringo forense. La conferenza, che è forma più
insopportabile della mondanità oziosa e della mediocrità insofferente dell’ombra, diviene una delle prove più ardue dell’artista o
del critico quando si provi a gittare in una moltitudine necessariamente disuguale il seme di un concetto, interessarla ad una ivestigazione o ad una interpretazione inconsueta, scaldarla di una sola
febbre per la dissipazione di un errore o il riconoscimento di una verità misconosciuta: quando il conferenziere si prefigga insomma di
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
piegare una moltitudine – il soggetto meno adatto – a pensare con
lui. In questo caso egli deve in un’ora sapere stringere ciascuno dei
suoi componenti negli anelli di una dimostrazione o nelle branche
di una esposizione così ferrea da non consentire evasioni: contrapporre alla stanchezza che la fatica dell’ascoltare produce l’interesse
crescente del suo argomentare: in un’ora condensare le suggestioni
che potrebbe sprigionare dalle centinaia di pagine di un volume.
Fradeletto vi riusciva con quella sua compostezza attica del discorso, che era il nitido progressivo tracciare un disegno in cui ogni
linea prometteva un insieme che, per l’abilità del dicitore, si faceva desiderare febbrilmente; Rubichi, con una efficacia del concetto
centrale così intensa da apparire a volte violenza. Violenza velata
o addolcita da mille risorse e tonalità della frase, ma incatenata e
fremente nella novità geniale e abbacinante delle idee.
La interpretazione di Catillina – la difesa di un reprobo della storia – e quella di Tolstoi e Ibsen resteranno documenti difficimente
superabili di ciò che possono essere le conferenze: lampi che illuminano d’improvviso giogaie di monti e valli profonde fin allora
avviluppate e ricolme di tenebre. Il letterato avrebbe disteso in lente
analisi il profilo di chi al bene della patria dedicò la sua anima rivoluzionaria ma spezzò i nervi alla rivoluzione illanguidendola con
la sua umanità; il Vostro, nel rapido volgere di un discorso che è
veloce colata di lava, lo presenta in un risalto bronzeo che sembre
plasmato non dall’oratore ma dal protagonista tornante alla vita per
un postumo rovente colloquio con la storia.
Il letterato avrebbe indugiato per lunghi capitoli nel determinare
gli opposti significati della ribellione nel drammaturgo norvegese e
nel filosofo russo alle leggi fondamentali della società loro: il Vostro,
col grido imperioso di chi le ha tutte comprese e le ha così fatte docili
al suo cenno, chiama sullo scenario della parola le grandi figure da
essi create, e da loro fa indicare il bivio, partente da un medesimo bisogno di censura e di liberazione, che i due aprono agli uomini malati
e schiavi: l’azione o la negazione, lo sforzo della volontà umana o la
rinunzia nella speranza e nella fede, con l’inno finale ad Ibsen, autore
«del più potente cantico innalzato alla ribellione umana».
La celebrazione di Bruno e di Vanini; di Garibaldi, di Castrome-
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Rivista del Consiglio
IL FORO SALENTINO
diano e di Cavallotti; di Flascassovitti e De Nicolò furono epinici
sciolti con vena copiosa ai vindici della ragione, agli alfieri della
patria e del popolo, ai combattenti del diritto: nello scrutare l’animo
del cospiratore romano e dei due «apostoli» nordici egli è l’aquila
che, come disse per altri, discese «con ali aperte e ferme nella profondità della coscienza, nei mondi discoperti dal Galileo degli abissi: Gugliemo Shakespeare».
Il politico
Nessuno si aspetterebbe che uno spirito così dovizioso ed ardente fosse un trasfuga od un insensibile nel campo politico. Chi ama
l’Italia nei suoi valori, e li continua, non può non amarla nella sua
storia viva che, come per tutti i popoli eletti, è un patimento ininterrotto, un oscillare tra vette ed ipogei, e dividerlo. La politica fu per
lui «il mezzo col quale si attuano le cento rivoluzioni che tempestano
nella coscienza del popolo» e la rivoluzione «la forza arcana che affatica i popoli da molto in moto alla conquista dei propri ideali».
Sospinto da una così ampia visione, egli fu pertanto un soldato
non un professionale della politica. La Camera lo vide per una sola
legislatura, la politica tutta la vita. Ma la Camera è appena una trincea e la politica ne conta mille: la politica è un agone sconfinato, in
cui le assemblee legislative sono, se volete, due posti di comando,
esposti però alle vicende delle correnti che fuori di esse si cozzano
e tumultano.
La dignità con cui espletò il mandato conferitogli dagli elettori
è attestata dalla serietà dei suoi interventi, ai quali il formidabile
oratore non si decideva che per formulare una proposta o per combattere una insidia faziosa. Perciò – pochi lo sospetterebbero – egli
uscì dal silenzio per presentare ed illustrare un progetto di riforma
del codice di procedura civile; per esprimere il suo terrore su certi
giudizi per giurati; per invocare l’attenzione operosa del governo
sulla agricoltura e le opere d’arte. Ed è attestata dal senso acutissimo di responsabilità con cui, prima dello scadere del mandato, in
un’ora difficile per il paese, ne rese conto, in un discorso a Campi
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
Salentino, che è il programma completo di un uomo di stato più che
di un uomo politico.
Non scomodò una seconda volta gli elettori, né forse gli elettori
si sarebbero lasciati scomodare da lui, se già allora si era affermato
quell’abito gregario dei depositari della sovranità che segnò non di
rado la sconfitta dei migliori e il successo, come Bonghi li chiamò, di
altrettanti Pansoia. Sovrano della toga, egli dominava la più solenne
e la più efficace delle tribune. Sopra tutto, la più libera, perché permette alle grandi anime di non costringere la propria fede nell’angustia di un settore, ove necessariamente si mutila o si contamina di
parzialità. Non ambì altro e, fuori delle assemblee legislative, trovò
frequente occasione per proclamare il suo credo.
Fu contro Crispi e non sentì la impresa africana, ma al modo di
coloro che avrebbero preferito si risolvessero prima di tutti gli altri i vasti brucianti problemi interni. Fu, nel fondo, repubblicano e
mazziniano, ma diagniosticò con durezza il paradosso dell’Europa
d’allora, dove «accanto ad una monarchia come la nostra, la quale
mantiene saldo il principio di nazionalità, allarga il suffragio popolare, tutela la libertà di coscienza e si piega al soffio delle riforma, la
Storia mostra una repubblica che propugna la prepotenza all’estero
e l’oscurantismo all’interno: una repubblica nella quale si sono trovati non so quanti deputati che hanno avuto il coraggio di votare
contro le onoranze a Giuseppe Garibaldi».
E fu, come nell’eloquenza – non è tutta una inscindibile coerenza
lo spirito? – un uomo moderno. La sofferenza del popolo era per lui
una forza che già moveva la storia; né per lenirle sarebbero bastate
anguste provvidenze. Perno della politica sarebbe dovuta diventare
la questione sociale, sì che, adempiuti i doveri della giustizia verso
il popolo – «il misterioso gigante che si avvicina nell’ombra» – «le
norme lente e sicure dell’evoluzione prendessero il loro impero e
l’era delle rivoluzioni fosse finita per sempre».
Uomo contemporaneo nella concezione sociale, uomo del passato in questa generosa illusione; poiché, chi, se non nei discorsi
d’occasione, sogna più l’evoluzione?
«Forse verranno dei tristi momenti nei quali sembrerà impallidire l’astro delle nostre fortune; ma, o cittadini, se in quei momenti
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sentiremo nel fondo dei nostri cuori come il riaccendersi di antiche
fiamme, se pungerà la nostra mente la rimembranza di gloriose riscosse... se sentiremo intorno alle tempie aleggiare come un’aurea
pregna di acri effluvi delle battaglie... se l’orecchio intento sentirà
come un ritmo in cui, misto alle fanfare garibaldine, echeggerà il
vecchio squillo della Campana dei Vespri che “chiamò i beffardi angioini innanzi a Dio, sarà segno che il Generale salpando da Caprera
si avvia a combattere nuove battaglie in mezzo a noi».
«In questa fede è tutto il nostro avvenire! A questa fede sono raccomandati i destini d’Italia. Dio ce l’ha data: guai a chi la tocca!».
Egli è dunque, signori, in mezzo a noi, in mezzo al nostro dramma.
Giustizia al popolo: ma dalla Patria, nella Patria, per la Patria!
“Dèstati e torna!”
Maestro, i giorni che tu temevi sono forse venuti.
Dèstati e torna!
Dèstati e torna! Per vegliare sul destino della toga, simbolo della
libertà fondata sul diritto, del diritto che si rinnova perennemente
nel calore del combattimento civile, del diritto e della libertà che si
attuano e si coronano nella giustizia.
Dèstati e torna! Per vegliare sul destino della cultura italica, che
resterà splendore di ghiacciaio se non difenderà le sue polle vive
dall’irrompere delle malattie mediocri forme esotiche nel nostro costume, stanco forse del lungo sforzo creativo.
Dèstati e torna! Per vegliare sul nostro destino di popolo, ai cui occhi l’opportunismo vien da tanti glorificato come abilità, la codardia
come amore del paese, la servitù dell’animo come redenzione dalla
sventura o dalla soggezione sociale, l’annientamento degl’ideali come
affermazione di vigoria morale, la brutalità come violenza feconda, il
fraticidio come difesa della verità, la demolizione del passato, dei valori, dell’individuo come aspetto inevitabile ed avvento della pace.
Dèstati e torna! Per vegliare sul destino di questa tua terra, cui gli
eventi che si odono rombare nel grembo rabbioso della storia sem-
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La gloria di Francesco Rubichi nella parola di A. De Marsico a cura di C. Taurino
brano dare, per aggredire la nostra indipendenza, quella funzione
ch’ebbe Marsala per raggiungerla: vestibolo della Patria.
Dèstati e torna! Per vegliare sulla tempra pura e pugnace della tua
gente, per lanciare, di mezzo ad essa, concorde intorno al tuo comando
al tuo messaggio al tuo esempio, il grido della difesa e, se occorre, della
battaglia, nel nome di Roma, che tu conoscesti nel segreto delle sue passioni profonde e della sua anima invitta; di quanti tu celebrasti martiri
del vero ed eroi di ogni riscossa; di Mazzini cui guardasti come a faro
acceso verso l’avvenire, e che attende ancora la pienezza del suo giorno.
Dèstati e veglia! Troppo a lungo sono durati la solitudine e il
sogno anche del Duca Bianco; già il gallo canta sulle frontiere minacciate della nostra civiltà.
Dèstati! Nella veglia ansiosa, siam tutti intenti a riudire dalla tua
voce il comando dell’ora!
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Toghe d’Oro e Toghe d’Onore
Il 15 dicembre 2006 presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia
di Lecce si è svolta l’Assemblea degli Avvocati, per festeggiare, in
una solenne cerimonia, gli avvocati Raffaele Dell’Anna, Mario De
Robertis, Ugo Giuliani, Giuseppe Marcucci, Luciano Ruggeri,
Giuseppe Signore, Francesco Zaccaria, ai quali è stata conferita la
simbolica Toga d’Oro, per aver onorato, con la loro attività, durante
un cinquantennio, l’Ordine e la funzione difensiva.
Nella stessa cerimonia l’Assemblea ha manifestato l’ammirazione
e l’affetto ai giovani avvocati, entrati a far parte dell’Ordine dopo
aver superato gli esami nella sessione 2004/2005, con l’attribuzione
della Toga d’Onore e dei Premi “Pietro Lecciso”, “Carlo Fusaro”,
“Antonio Lisi” e Fondazione “Capone-Cartanì”.
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Cerimonia Toghe d’Oro
Intervento dell’Avv. Vittorio Aymone.
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Luciano Ruggeri, Francesco Zaccaria, Raffaele Dell’Anna, Giuseppe Marcucci, Pino Signore, Mario
De Roberti.
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Cerimonia Toghe d’Oro
“I giovani avvocati premiati, da sinistra Francesco Cezza, Premio Fondazione Capone-Cartanì per
la più alta votazione nelle prove di diritto amministrativo; Daniele Giannini, Premio Carlo Fusaro
per la più alta votazione nelle prove di diritto civile; Anna Laura Manno, Premio Antonio Lisi, per
la più alta votazione delle prove di diritto penale; Federico Pellegrino, Toga d’Onore e Premio Pietro
Lecciso, per la più alta votazione in assoluto agli esami di avvocato.”
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