conquiste - CISL Scuola Ravenna

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conquiste - CISL Scuola Ravenna
conquiste dellavoro
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Anno 66 - N. 273/274
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
Quotidiano della Cisl fondato nel 1948 da Giulio Pastore ---------- ISSN 0010-6348
www.conquistedellavoro.it
VIA PO
CULTURA
Conquiste da Star
Un questionario usato
ai tempi di Proust
nel corso di
intrattenimenti sociali.
Dopo oltre un secolo,
’Conquiste’ ne fa uso
rivisitato, rivolgendo
una serie di domande
a personaggi celebri.
Tessa Gelisio
si racconta
al nostro giornale
L’estetica
del cattivo gusto:
perché il frivolo,
il futile, il pacchiano,
il superficiale,
e lo strappalacrime
hanno tanta presa
nella nostra società?
nell’inserto centrale
Saracino a pagina 13
Disoccupazionemaicosìalta
NumeridiPaeseinrecessione
D
isoccupazione record
in Italia. Ed è il risultato peggiore in Eurozona. Gli ultimi dati Istat
sul lavoro sono pesanti e, sottolinea il segretario confederale
Cisl Gianluigi Petteni, “mostrano un Paese ancora in recessione: Jobs Act e legge di Stabilità
devono dare risposte adeguate”.
L’Istat dunque registra un tasso
di disoccupazione ad ottobre
del 13,2%, il massimo dall’inizio
delle serie storiche nel 1977.
In un anno il numero di persone
senza lavoro è aumentato di
286 mila unità, e ha toccato
quota 3 milioni 410 mila. Tra i
giovani il tasso di disoccupazione è pari al 43,3%, in aumento
di 0,6 punti percentuali sul me-
se precedente e di 1,9 punti su
base annua. I giovani under25
in cerca di lavoro raggiungono
così quota 708 mila.
Dati più ottimisti arrivano dal
ministero del Lavoro che nelle
comunicazioni obbligatorie re-
Manovra, l’Europa
ci rimanda a marzo
I
continua a pagina 4
progressi non bastano. L’Italia resta a rischio di
non conformità con il Patto di stabilità. Bruxelles si riserva di riesaminare la legge di bilancio e
lo stato delle riforme strutturali a marzo.
Giampiero Guadagni
Arzilla a pagina 2
Lavoro,
bene
pubblico
La copertina del video “Congelati da sei anni”
Lunedì sciopero delle categorie Cisl
Edamartedìla mobilitazioneCisl:
Ricorso contro il blocco contratti
tre giorni “per il lavoro e per il sociale”
S
cendono in piazza lunedì 1 dicembre i lavoratori di scuola
e pubblico impiego per lo sciopero nazionale proclamato dalla
Cisl. Chiedono il rinnovo del contratto nazionale scaduto da ormai
6 anni, alla luce anche dell’infruttuoso incontro col Governo del 17
novembre scorso.
Intanto le federazioni della Cisl Lavoro pubblico hanno depositato il
ricorso sul blocco dei contratti nel
pubblico impiego. Spiega il coordinatore Francesco Scrima: “La procedura è stata avviata presso il Tribunale di Roma affinché sollevi di
a pagina 16
fronte alla Corte Costituzionale la
questione di legittimità in merito
al decreto legge n.78/2010 convertito in legge n.122/2010. Una
norma prorogata per il sesto anno dalla legge di Stabilità”.
Aggiunge Scrima: “La discriminazione e le penalizzazioni cui il Governo Renzi sta continuando a
sottoporre il lavoro pubblico lo
connota come un pessimo datore di lavoro. Con lo sciopero di lunedì e con iniziative come questa
mandiamo al Governo un segnale chiaro”.
“P
er il lavoro, per il sociale”:
è questo lo slogan delle
tre manifestazioni nazionali che la Cisl terrà martedì 2 dicembre, per le regioni del centro, a
Firenze alla stazione Leopolda; mercoledì 3, per le regioni del sud e delle isole, a Napoli al Teatro Palapartenope; e giovedì 4, per le regioni
del nord, a Milano al Carroponte di
Sesto San Giovanni.
Le tre iniziative - a cui parteciperanno migliaia di delegati, pensionati,
giovani e immigrati - avranno inizio
a partire dalle ore 10.30 e saranno
concluse alle 13 dal segretario gene-
rale Annamaria Furlan.
Tre giornate di mobilitazione e di
dialogo con i lavoratori annunciate
con un tam tam su tutti i social
network, articolate su nuove politiche per il lavoro, lotta alla
precarietà dei giovani, tutela dei
redditi dei lavoratori e dei pensionati, sblocco dei contratti del pubblico impiego, estensione del bonus
di 80 euro anche ai pensionati.
Obiettivo: l’apertura di un confronto serio e costruttivo con il Governo, le istituzioni locali e le altre parti sociali.
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SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
fa più vicino l’accordo sull’Ast di TerAst Terni, Sdoini.forma
Un tassello dopo l’altro sta prendenuna soluzione che potrebbe
già martedì alla firma. Ieri al miniprogressi portare
stero dello Sviluppo Economico Ast ha coche il contratto con Ilserv, la
su esuberi municato
principale ditta d’appalto con 200 lavorain cassa integrazione, verrà allungato
e Ilserv. tori
di un anno. Viene così rimosso uno dei
ostacoli all’accordo. Passi avanMartedì maggiori
ti anche sugli esuberi. ”Si sono ridotti a
il segretario generale delgiorno 39la Fim- commenta
Marco Bentivogli - Ci sono 251 lavohanno già firmato uscita volontaria
decisivo ratori
incentivata. Questo trend potrebbe por-
tare l’azienda a retrocedere dai licenziamenti”.
Anche il governo parla di ”elementi di novità” e, in una nota diffusa dallo Sviluppo
Economico, auspica che “nei contatti che
proseguiranno nelle prossime ore si possano creare le condizioni per arrivare alla
conclusione dell'accordo definitivo”.
Da parte sua Ast chiede che venga ”ripristinata la piena operatività del sito”, dopo che le Rsu di Terni hanno deciso di prolungare lo sciopero fino a giovedì, pur
mantenendo la rimodulazione della protesta che prevede il graduale rientro dei
lavoratori in fabbrica.
Roma, prima vittoria
su salario accessorio
B
uone notizie per i 24 mila dipèendenti del comune di
Roma: prima fumata bianca in Campidoglio sul salario
accessorio. Dopo una due giorni di trattative no-stop i sindacati incassano una vittoria: il “congelamento” dell’atto
unilaterale dell'amministrazione sul nuovo contratto dei
dipendenti capitolini e lo slittamento della sua entrata in
vigore dal 1 dicembre al 1 gennaio 2015.
Per Cgil, Cisl e Uil è “finalmente possibile l’avvio di una
negoziazione su una nuova disciplina decentrata che sia
effettiva certezza dell’erogazione del salario accessorio”.
La Commissione promuove con riserva la manovra: entro marzo altre misure per garantire bilancio conforme al Patto
Bruxelleslascial’Italiasullagraticola
attualità
w
fBruxelles (nostro servizio).
I
progressi
non bastano.
L’Italia resta uno Stato
membro a rischio di non
conformità con i requisiti del Patto di stabilità e
crescita. Dunque, “occorre ancora un piccolo sforzo in più”, rileva il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici. La Commissione europea resta in attesa che
da Roma arrivino le giuste garanzie per non rischiare procedure d’infrazione: “Il tempo che
resta non può essere perso - avverte Moscovici occorre che le cose avanzino entro marzo altrimenti la Commissione
non avrà esitazioni a
prendersi le sue responsabilità”. Nelle sue valutazioni sulle Leggi di stabilità 2015 di 16 Paesi euro (Grecia e Cipro sono
ancora sotto le cure della troika), Palazzo Berlaymont tiene i riflettori accessi sui compiti a casa
di 7 Paesi. Oltre all’Italia,
ci sono Francia, Belgio,
Spagna, Austria, Malta e
Portogallo, a cui l’Europa chiede “di adottare le
misure necessarie per
garantire che il bilancio
2015 sia conforme al Patto di stabilità”. Secondo
Bruxelles, l’Italia “ha
compiuto progressi per
quanto riguarda la parte
strutturale delle raccomandazioni fiscali” emanate del Consiglio. “Politiche a favore della crescita, mantenendo la
spesa primaria corrente
sotto stretto controllo e
aumentando l'efficienza
complessiva della spesa
pubblica, così come le
privatizzazioni previste,
dovrebbero contribuire
a riportare nei prossimi
anni il rapporto debito-Pil su un percorso di
discesa coerente con le
norme Ue sul debito”. In
alcuni casi, spiega la
Commissione, il rischio
di non conformità incide
sulle possibili misure nell’ambito della procedura per i disavanzi eccessivi. Ecco perché, per il
dossier Italia, ma anche
per Francia e Belgio,
l’esecutivo Ue ha deciso
di riesaminare la situazione “a inizio marzo
2015”, in seguito “all’approvazione delle leggi di
bilancio e delle previste
specifiche dei programmi di riforme strutturali
annunciati dalle autorità
nazionali nelle loro lettere del 21 novembre”. Roma, Bruxelles e Parigi, infatti, “si sono impegnate
ai più alti livelli di governo ad adottare e attuare
entro i primi mesi del
2015 riforme strutturali
favorevoli alla crescita
trova in circostanze eccezionali, con una crescita
negativa e un output
gap (la differenza tra il
prodotto interno loro effettivo e quello potenziale ndr) negativo pari al 4
per cento del Pil”. La decisione di “rimandare”
Francia e Italia, non significa necessariamente
che i problemi siano gli
L’Europa sottolinea i progressi
italiani sulla riduzione
del deficit strutturale.
Ma la situazione sarà riesaminata
in seguito “all’approvazione
delle leggi di bilancio
e delle riforme strutturali”
che dovrebbero avere
un
impatto
sulla
sostenibilità delle finanze pubbliche nel medio
termine”. Un impegno
che l’Ue ha voluto riconoscere, evitando “di
non precipitare decisioni che potevano essere
contestate”. Ancora 3
mesi di tempo, per evitare nuove tensioni all’interno
dell’eurozona,
una scelta che per l’Ue
“ha un senso politico ed
economico”. L’Italia, riconosce Moscovici, “si
stessi, precisa il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovski,
perché se a Matignon
hanno problemi a far
scendere il deficit, a Palazzo Chigi i grattacapi arrivano dal debito. “Per la
Francia il problema è la
non attuazione delle regole sul deficit per cui è
tuttora in procedura per
deficit eccessivo, mentre l'Italia, così come il
Belgio, soffre della
sostenibilità dell'alto livello di debito: e su que-
sto tutte le opzioni di
sanzioni previste dal Patto e dal Two Pack e dal
Six Pack sono sul tavolo
per la prossima primavera”. Nello specifico per
la Francia, la Commissione sostiene che “la regolazione del saldo strutturale dovrebbe essere dello 0,3% del Pil, rispetto
allo 0,8 raccomandato
dal Consiglio nel 2013”,
parlando di “progressi limitati per quanto riguarda la parte strutturale
delle raccomandazioni fiscali emanate dal Consiglio nel quadro del semestre europeo 2014 e invita quindi le autorità ad
accelerare l'attuazione”. E la Germania che
fa? Con Irlanda, Lussemburgo, Olanda e Slovacchia, è tra i 5 Stati membri in linea con il Patto di
stabilità. “Tuttavia, il
considerevole spazio fiscale, le esigenze di investimento, i tassi di interesse molto bassi, il che
implica che i rendimenti
sociali hanno molto più
peso dei costi di finanziamento, lasciano spazio
per incoraggiare gli investimenti pubblici”. Berlino, in sostanza, “ha com-
piuto progressi limitati
per quanto riguarda la
parte strutturale delle
raccomandazioni fiscali”. La Legge di stabilità
spagnola “non è conforme agli obiettivi di bilancio fissati nella raccomandazione per la Procedura di deficit eccessivo”. Nel 2014, rileva la
Commissione, “il risanamento di bilancio in questi sedici Paesi ha subito
una battuta d’arresto”,
e le previsioni indicano
per il 2015 “orientamenti di bilancio sostanzialmente neutri, né di inasprimento né di allentamento”. In merito all’assetto delle finanze pubbliche, anche se gli interventi politici per la riduzione degli oneri fiscali
sul lavoro “vanno nella
giusta direzione”, la
Commissione fa notare
che la composizione della spesa, “mostra progressi piuttosto marginali, se non nulli, verso un
assetto più favorevole alla crescita”.
Pierpaolo Arzilla
conquiste del lavoro
F
ortuna e stupore sono gli
argini entro i quali si dipana la storia di Jack Woodward, un giovane inglese diventato apprendista quasi per
caso, ma che ha raggiunto presto il successo. Jack stava navigando in cerca di qualche
offerta che facesse al caso
suo tra anonimi annunci per
sviluppatori web e si è imbattuto, nell’Apprenticeship National Service, il sito istituzionale inglese dedicato all’apprendistato (una piattaforma
online che, purtroppo, l’Italia
ancora non ha). Ed è qui che
ha letto un annuncio di Google. Jack, che oggi è un’analista di Google+, grazie a questa esperienza è cresciuto professionalmente, fino a risultare il vincitore del premio
Advanced
Apprentice
Award 2014. La proposta che
ha ricevuto Jack è ben retribuita e dimostra grandi possibilità di crescita fin da subito.
Si tratta di diventare apprendista in Google nell’area
marketing digitale. L’entusiasmo iniziale di Jack è subito
confermato dalle responsabilità sul lavoro: Woodward, infatti, si ritrova ben presto a
svolgere diverse attività e a realizzare il suo primo progetto
professionale ovvero, script
Filo diretto con il Centro
Marco Biagi / 299
Quando l’apprendistato conduce a Google
meteorologici che permettono agli inserzionisti di pubblicare gli annunci in base alle
previsioni del tempo. Jack è
perfettamente consapevole
che ci sono opportunità uniche: occorre essere motivati,
determinati, appassionati e lavorare duro.
La storia di questo giovane
apprendista inglese ci insegna che non sempre l’università è la scelta migliore; e al
tempo stesso ci dimostra che
l’apprendistato, se applicato
bene, può rappresentare un
trampolino di cui un Paese come il nostro ha disperato bisogno. Perché un mestiere si impara soprattutto sviluppando
competenze professionali direttamente nel contesto aziendale e non studiandole sui libri. In università si insegna la
teoria, in azienda si impara a
lavorare. Un maggiore dialogo tra i due mondi sarebbe opportuno ed utile.
Ciò che testimonia il successo lavorativo di Jack è che gli
obiettivi si raggiungono nel
tempo, cercando di migliorarsi continuamente e mettendosi sempre in gioco. In questo
senso, l’apprendistato può essere una soluzione privilegiata al problema della disoccupazione giovanile. Anche se,
purtroppo, in Italia è troppo
spesso ritenuto uno strumento vecchio, burocratico e lontano dalle esigenze del mercato del lavoro. Ma non è affatto così. Nonostante l’apprendistato sia da sempre considerato un canale d’ingresso dei
giovani nel mondo del lavoro, non è mai riuscito a decollare.
L’emanazione del Testo Unico dell’apprendistato, abrogando tutta la normativa precedente, aveva razionalizzato e ridefinito la materia, riscrivendola in soli sette arti-
coli. Gli annunciati interventi che si sono susseguiti, con
l’obiettivo di semplificare
l’istituto e rilanciarlo, sono
apparsi marginali e non hanno di fatto prodotto gli effetti
sperati. Il nobile ruolo che le
Regioni devono svolgere per
lo sviluppo, non può prescindere da meccanismi centrali
che definiscano modelli standard di qualità della formazione, certificazione delle competenze, per agevolare l’incontro tra domanda e offerta.
Il Testo Unico italiano sull’apprendistato non ha dunque nulla da invidiare agli altri stati europei. Rappresenta
una grande opportunità per i
giovani, che accedono ad un
impiego relativamente lungo
e nello stesso tempo acquisiscono competenze da poter
spendere nel mercato qualora
il loro contratto non si trasformasse a tempo indetermina-
to. Le aziende dall’alto lato,
accedono ad una serie di sgravi che gli altri contratti non offrono, e permettono di formare un profilo professionale secondo le esigenze del mercato. Il fallimento del contratto
dell’apprendistato non è dovuto alle norme che lo regolano, alla burocrazia o alla sua
onerosità ma alla sua
ineffettività, dovuta alle resistenze culturali e alla tanto temuta formazione legata al lavoro. L’apprendistato non va
cambiato ma va valorizzato,
perché è una risorsa strategica. Mondo della scuola e del
lavoro devono iniziare a dialogare. Le scuole devono fare
più spazio alla pratica e le
aziende devo mettere a disposizione dei giovani dei Maestri, che possano trasferire le
loro competenze per creare
una collaborazione intergenerazionale.
Aprire la porta della propria
bottega e dare il benvenuto a
un giovane apprendista non
significa solo insegnargli un
mestiere di qualità, trasmettergli l’umiltà di imparare e il
valore del lavoro, ma anche
formare persone capaci di
mettere il proprio patrimonio
di conoscenze al servizio degli altri.
Monica Zanotto
3
Ue. Mentre Blair lascia l’Italia, su Londra si abbatte il verdetto contrairio ai superbonus per i banchieri
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
Retribuzionid’oro,
unoschiaffoallaCity
global
B
ruxelles (nostro servizio) – Mentre Blair, a Roma, pasteggiava amabilmente con il nostro premier, Matteo Renzi, la Corte europea del Lussemburgo, assestava una sonora bacchettata
alla Gran Bretagna, schierata
contro i limiti ai maxibonus per
i supermanager. Ma l’Europa
ha detto no. Anzi, lo ha ribadito, difendendo la direttiva sui
requisiti patrimoniali di un anno e mezzo fa, che Londra ha
provato a ricusare. Uno smacco
per la City, che sulle “stecche”
extra stipendio di base non vuole intromissioni, e che invece
deve ingoiare il boccone che arriva direttamente da Lussemburgo. L’avvocato generale Niilo Jaaskinen ha suggerito alla
Corte di giustizia di respingere
il ricorso presentato dal Regno
Unito alla stessa Cje, a cui aveva chiesto di annullare il cosiddetto Pacchetto Crd IV del 26
giugno 2013 adottato da Consiglio e Parlamento Ue, in cui è
compresa una disposizione che
obbliga a stabilire un rapporto
tra lo stipendio di base e i bonus per quei “soggetti che svolgono attività professionali che
hanno un impatto sul profilo di
rischio degli enti creditizi”. In
base alla direttiva europea, i supermanager “non possono ricevere bonus superiori al 100 per
cento del loro stipendio di base, o al 200 per cento se lo Stato
membro decide di conferire tale potere agli azionisti, ai titolari o ai membri di tali enti creditizi”. All’Autorità bancaria europea (Abe) viene assegnato il potere di elaborare progetti di norme tecniche di regolamentazione per specificare i criteri utilizzati per individuare i soggetti
cui si applica la direttiva. Il Pac-
conquiste del lavoro
B
ruxelles (nostro servizio) - “Un buon
passo verso la giusta direzione”. La sentenza della Corte di giustizia
Ue mettele ali al premier
inglese David Cameron e
alla sua voglia matta di restringere la libertà di circolazione nel suo Paese
agli stranieri, compresi i
cittadini Ue. Secondo la
Corte di Lussemburgo, “i
cittadini dell’Unione economicamente inattivi che
si recano in un altro Stato
membro con l’unico fine
di beneficiare di un aiuto
sociale possono essere
esclusi da talune prestazioni sociali”. La logica di
questa sentenza, affermano alcuni think tank euroscettici, vicini a Downing
Street, “conferma che i
governi nazionali hanno il
diritto di chiedere alla
gente di andarsene se
non hanno i soldi per finanziare se stessi, un posto di lavoro o una vera e
propria possibilità di trovare un lavoro”. Il caso nasce davanti al Tribunale
sociale di Lipsia, a cui è
stata sottoposta una controversia tra due cittadini
rumeni,(una madre e suo
figlio) da una parte, e il
Jobcenter Leipzig, dall’al-
chetto Crd obbliga gli enti creditizi a pubblicare il rapporto definito nella direttiva e il numero
di persone che sono retribuite
oltre una certa soglia. Esso impone poi che gli enti pubblichino informazioni sulla retribuzione complessiva di ciascun membro del loro organo di amministrazione o dell’alta dirigenza
qualora ciò sia richiesto dallo
Stato membro o dall’autorità
competente. La Gran Bretagna
ha provato a fermare tutto questo, e a far saltare il tetto ai bonus che la Commissione aveva
faticosamente costruito. La Corte di giustizia ricorda, infatti,
che “uno dei principali fattori
scatenanti della crisi” è stata
“la struttura dei sistemi retributivi vigenti” nelle banche, e “il
pagamento di bonus ragguardevoli rispetto agli stipendi”, che
“hanno incentivato i dipendenti ad assumere rischi eccessivi
per poter partecipare ai profitti
a breve termine delle banche,
ma non ai costi dei loro fallimenti che, nei casi più gravi, sono
stati sopportati dai contribuenti”. Secondo il Regno Unito, invece, le misure che stabiliscono
il rapporto tra la remunerazione fissa e quella variabile non
possono essere adottate sulla
base delle disposizioni del Trattato sulla libertà di stabilimento e alla libertà di prestazione
dei servizi (articolo 53, paragra-
fo 1, Tfue), ma rientrano nella
politica sociale e, in quanto tali,
nella competenza degli Stati
membri. Il Pacchetto Crd, ha
provato a spiegare Londra alla
Corte di Lussemburgo, “viola i
principi di proporzionalità e di
sussidiarietà”, ritenendo poi
“che la direttiva contravviene
al principio della certezza del diritto, che il conferimento di poteri all’Abe è illegittimo e che i
provvedimenti di regolamentazione che richiedono la pubblicazione della remunerazione
sono in contrasto con il diritto
alla vita privata e con le norme
in materia di tutela dei dati”.
L’avvocato generale ha smontato le tesi britanniche spiegando
che, premesso che “la Corte ha
già dichiarato che provvedimenti volti a promuovere lo sviluppo armonioso delle attività
degli enti creditizi nell’insieme
dell’Unione, eliminando qualsiasi restrizione alla libertà di stabilimento e di prestazione dei
servizi, rafforzando nel contempo la stabilità del sistema bancario e la tutela dei risparmiatori,
possono basarsi sull’articolo
53, paragrafo 1, del Tfue 3”, la
parte variabile della remunerazione ha “un impatto diretto
sul profilo di rischio degli enti finanziari”, e dunque può “colpire la stabilità degli enti finanziari che possono liberamente
operare nell’Unione e di conseguenza quella dei mercati finanziari dell’Unione”. Jaaskinen riconosce “che la determinazione del livello della retribuzione
è incontestabilmente una questione di competenza degli Stati membri”, precisando però,
che “fissare il rapporto tra la remunerazione variabile e lo stipendio di base non equivale a
imporre un tetto massimo ai bonus dei banchieri o a fissare il
livello di retribuzione, poiché
non è fissato alcun limite allo stipendio di base, al quale i bonus
sono indicizzati”. Sulla violazione del principio della certezza
del diritto, che secondo la Gran
Bretagna nasce dal fatto che “le
disposizioni si applicano a contratti di lavoro stipulati prima
dell’entrata in vigore della direttiva”, l’avvocato generale risponde “che gli enti creditizi sono stati avvisati della nuova normativa in materia di remunerazione con largo anticipo rispetto ai termini di trasposizione
contenuti nella direttiva”. E sull’illegittimità dell’attribuzione
dei poteri all’Autorità bancaria
europea, Jaaskinen afferma
che la delega è valida perché
quei poteri riguardano “unicamente elementi tecnici non essenziali, laddove le scelte strategiche e politiche sono state
adottate nell’atto legislativo di
base”. L’Abe “è autorizzata
semplicemente a elaborare progetti di provvedimenti che non
diventeranno legge se non dopo essere stati adottati dalla
Commissione”. Le sue proposte “sono prive di effetti giuridici” e quindi “non sono idonee a
incidere sui diritti e sugli obblighi dei soggetti interessati”.
Sentenza della Corte di giustizia europea sui requisiti per l’accesso alle prestazioni sociali
Stopaimigrantidelsussidio
tra, che ha negato loro le
prestazioni dell’assicurazione di base. La mamma,
fa sapere la Corte di giustizia Ue, non si è recata in
Germania per cercare un
impiego, anche se ha chiesto le prestazioni dell’assicurazione di base riservate ai richiedenti lavoro. Ella “non possiede una qualifica professionale e sinora non ha esercitato alcuna attività lavorativa né
in Germania né in Romania. Vive in Germania insieme al figlio almeno dal
novembre 2010 e abita
presso la sorella, che
provvede al sostentamento suo e del figlio”. La donna percepisce, per suo figlio, “prestazioni per figli
a carico pari a 184 euro
mensili, più un anticipo
su pensione alimentare
pari a 133 euro mensili”,
che “non sono oggetto
del presente procedimento”. Secondo la Corte Ue
“per poter accedere a talune prestazioni sociali
(quali le prestazioni tedesche dell’assicurazione di
base), i cittadini di altri
Stati membri possono rivendicare la parità di trattamento con i cittadini
dello Stato membro ospitante solo se il loro soggiorno soddisfa i requisiti
di cui alla direttiva ‘cittadino dell’Unione’. La Corte
ricorda che, secondo la direttiva, “lo Stato membro
ospitante non è tenuto a
erogare una prestazione
sociale durante i primi tre
mesi di soggiorno”. Quando la durata del soggiorno “è superiore a tre mesi
ma inferiore a cinque anni (come nel caso in questione) la direttiva subordina il diritto di soggiorno
alla condizione che le persone economicamente
inattive dispongano di risorse proprie sufficienti”.
In questo modo, si vuole
“impedire che cittadini
dell’Unione economicamente inattivi utilizzino il
sistema di protezione so-
ciale dello Stato membro
ospitante per finanziare il
proprio sostentamento.
Uno Stato membro deve
pertanto avere la possibilità di negare le prestazioni sociali ai cittadini dell’Unione economicamente inattivi che esercitino
la loro libertà di circolazione con l’unico fine di ottenere il beneficio dell’aiuto sociale di un altro Stato membro, pur non disponendo delle risorse
sufficienti per poter rivendicare il beneficio del diritto di soggiorno; al riguardo, deve essere esaminato ogni caso individuale, senza tener conto
delle prestazioni sociali richieste”. La Corte di Lussemburgo osserva “che la
direttiva ‘cittadino dell’Unione’ e il regolamento
sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale
ammettono una normativa nazionale che esclude i
cittadini di altri Stati membri dal beneficio di presta-
zioni speciali in denaro di
carattere non contributivo (le quali invece sono
garantite ai cittadini dello
Stato membro ospitante
che si trovanonella medesima situazione), in quanto tali cittadini di altri Stati membri non godano di
un diritto di soggiorno in
forza della direttiva nello
Stato membro ospitante”. Si ricorda, inoltre,
“che il regolamento sul
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale
non disciplina le condizioni di concessione delle
prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo”, competenza
quest’ultima, che spetta
al legislatore nazionale, e
che è inoltre “competente per definire la portata
della copertura sociale assicurata da tale tipo di
prestazioni”. Conseguentemente, “nel fissare le
condizioni e la portata della concessione delle prestazioni speciali in denaro
P.Ar.
di carattere non contributivo, gli Stati membri non
attuano il diritto dell’Unione”, e dunque “la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea non è applicabile”. La
Corte ha stabilito che la
donna romena e suo figlio “non dispongono di risorse sufficienti e non
possono pertanto rivendicare il diritto di soggiorno
in Germania in forza della
direttiva ‘cittadino dell’Unione’, e di conseguenza,
“non possono avvalersi
del principio di non discriminazione sancito dalla
direttiva e dal regolamento sul coordinamento dei
sistemi di sicurezza sociale”. Tra gli Stati membri
più attivi nell’applicazione delle norme Ue c’è il
Belgio, che ha già chiesto
a molti cittadini comunitari senza lavoro o senza
mezzi propri di auto sostentamento di lasciare il
Paese. Il vice presidente
della Commissione, Timmermans, parla di sentenza “importante” che chiarisce che “libera circolazione non significa automaticamente accesso al
sistema di previdenza degli Stati membri”.
P.Ar.
4
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
Agricoltura, Sbarra (Fai Cisl): Pubblico impiego, alle elezioni Rsu 2015
rafforzare quadro diritti-tutele lavoratori voto e candidatura per lavoratori precari
“C
ondividiamo la soddisfazione del
Ministro Martina per i segnali positivi dell’andamento dell’occupazione in agricoltura e il suo impegno a favore dello sviluppo dell’imprenditoria
agricola, ma gli ricordiamo anche i problemi ancora irrisolti”. Così il commissario della Fai-Cisl Sbarra commenta le
dichiarazioni di Martina sui dati Istat.
“In questo momento storico - aggiunge Sbarra - è necessario rafforzare il
quadro dei diritti e delle tutele dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo
agricolo per perseguire concretamente il bene comune dell’intero settore”.
In questi giorni, ricorda Sbarra, la Fai
ha lanciato una vertenza per ottenere
dal Governo, tra l’altro, un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio; e la realizzazione delle misure tese a superare la precarietà e vincere il
lavoro nero.
P
ieni diritti anche ai precari alle prossime elezioni Rsu nei comparti del lavoro pubblico, che si svolgeranno dal 3 al 5
marzo 2015. Grazie all’accordo quadro siglato ieri all’Aran, tutti i lavoratori precari di Sanità, Enti Locali, ministeri, Enti
Pubblici non Economici, Agenzie Fiscali,
Scuola, Università e Ricerca, potranno
votare alle elezioni Rsu 2015 e presentarsi come candidati. E’ un altro passo avan-
ti, sottolineano in un comunicato congiunto Maurizio Bernava, segretario confederale della Cisl, e Francesco Scrima,
coordinatore della Cisl Lavoro Pubblico,
“verso il diritto di rappresentanza di questi lavoratori che da anni lavorano nel
pubblico”. Ora, aggiungono, “chiediamo
al governo un percorso di stabilizzazione
e, nel frattempo, di proroga dei contratti
di lavoro”.
Ragazzini: il sindacato di Walesa ha cambiato il corso della storia non solo in Polonia ma nell’intera Europa
dibattito
Solidarnosc,una
lezioneancoraattuale
S
ono passati 25 anni dalle prime elezioni semilibere
della Polonia. Un
risultato ottenuto soprattutto grazie all’operato del sindacato Solidarnosc, guidato da Lech Walesa e sostenuto
fortemente dalla Cisl. Le
elezioni del 1989 in Polonia rappresentano un
evento epocale: la nascita del primo governo
non comunista di Tadeusz Mazowiecki, scomparso l’anno scorso, è consi-
derato un contributo
fondamentale alla caduta della cortina di ferro.
E’ per ricordare quegli
uomini e quegli eventi, e
il ruolo del sindacato nei
grandi cambiamenti politici della nostra epoca,
che si è tenuto a Roma il
convegno “Solidali con
Solidarnosc”, organizzato dall’ambasciata della
Repubblica di Polonia e
dalla Cisl. L’evento è stato moderato da Beppe
Iuliano, del dipartimento internazionale della
Cisl, che ha rilevato la
lungimiranza dell’organizzazione sindacale italiana nel costruire un
“gemellaggio” con Solidarnosc. Un legame straordinario, ha sottolineato ancora Iuliano, che
dura ancora oggi e che
vede le due organizzazioni sindacali impegnate
per un’Europa più forte.
La lezione di Solidarnosc
è, d’altra parte, ancora
attuale. I valori del dialogo, della non violenza e
la rivendicazione dei di-
ritti portarono a cambiamenti storici: “Solidarnosc - ha ricordato il segretario confederale della Cisl, Piero Ragazzini non ha cambiato solo la
Polonia ma il mondo intero; il regime ha finito
per rispettare la solidarietà fra la gente e l’unità, tanto che oggi possiamo affermare che senza
Solidarnosc non ci sarebbe stata la Perestroika”.
In un momento di profonda crisi economica e
sociale, l’ispirazione di
Solidarnosc torna dunque di prepotente attualità: “Oggi in molti mettono in discussione l’importanza dei corpi intermedi - ha sostenuto Ragazzini - ma la lezione di
Solidarnosc, con la sua
profonda umanità e il
suo coraggio di agire, dimostra l’esatto contrario; l’esperienza polacca
ci insegna che laddove ci
sono sindacati liberi e indipendenti si possono
migliorare le condizioni
dei lavoratori, un mes-
saggio ancora oggi attuale per riaprire il dialogo
sociale in Europa e fermare quelle politiche di
austerità che hanno prodotto 25 milioni di disoccupati; Solidarnosc – ha
concluso il segretario
confederale della Cisl –
ci ricorda inoltre l’importanza della collaborazione fra i sindacati che devono crescere anche all’estero per prevenire le
delocalizzazioni ed evitare il dumping sociale”.
Anche per Emilio Gabaglio, già segretario generale della Ces, la celebrazione dei successi del sindacato polacco è importante non solo per non
disperdere la memoria
ma anche perché quell’esperienza fondativa
continua ad avere una
sua influenza e un suo
peso anche oggi nei confronti di “un sindacato libero ma alle prese con
la necessità di recuperare forza, consenso e capacità d’iniziativa di
fronte alla profondità
delle trasformazioni economiche dettate dalla
crisi e dall’incapacità delle istituzioni europee di
porvi rimedio”.
Fra gli episodi ricordati
nell’ambito del convegno, lo storico incontro
avvenuto a Roma fra Lech Walesa e Lula, futuro
presidente del Brasile.
Un incontro promosso e
mediato da Luigi Cal, attuale direttore dell’Ufficio dell’Ilo di Roma: “La
Cisl – ha detto Cal ricordando quel famoso episodio – ha saputo entrare nello spirito della storia negli ultimi 40 anni
contribuendo ai cambiamenti; l’incontro tra Walesa e Lula è stato precursore di tempi futuri e sono particolarmente lieto che la Cisl sia stata
dentro il meccanismo
che l’ha promosso”. Al
termine del convegno è
stata presentata la mostra “Solidarnosc nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli” che racconta la storia del sindacato, dalla
sua nascita fino alle elezioni del 1989.
Manlio Masucci
conquiste del lavoro
SEGUE
DA PAGINA 1 - DISOCCUPAZIONE MAI COSI’ ALTA. NUMERI DI PAESE IN RECESSIONE lative al terzo trimestre 2014 parla di andamento positivo dei rapporti di lavoro a
tempo indeterminato, pari ad oltre 400
mila nuovi contratti, con un aumento tendenziale del 7,1% rispetto ad un anno prima. I rapporti di lavoro a tempo determinato rappresentano circa il 70% dei nuovi
contratti, con un incremento dell’1,8% rispetto al terzo trimestre 2013.
“Ancora una volta siamo inondati da una
serie di dati sul lavoro, apparentemente
contraddittori, perché riferiti a periodi diversi e a fonti diverse”, osserva Petteni.
Tuttavia, aggiunge, “leggendo in detta-
glio si scopre che a crescere sono solo i
contratti a termine e le collaborazioni: anche laddove l’occupazione cresce, sono i
posti di lavoro non standard a salire. Ma
soprattutto aumentano i disoccupati, portando il tasso di disoccupazione alla cifra
record del 13,2%, e nel mese di ottobre è
tornata a crescere in maniera significativa la cassa integrazione”. Infatti l’aumento è di quasi il 20% tra ottobre 2013 e ottobre 2014 e del 22% su base congiunturale, rispetto allo scorso settembre, “e l’aumento sarebbe anche maggiore tenendo
conto delle moltissime domande di cassa
integrazione in deroga giacenti, in tutte le
Regioni, a causa della mancata assegnazione delle risorse da parte del Governo”.
Conclude allora il segretario confederale
Cisl: “A legge delega approvata ci attendiamo di essere convocati dal ministro
del Lavoro sul primo decreto di attuazione, che riguarderà l’introduzione del contratto a tutele crescenti, ma auspichiamo
la contemporanea emanazione dei decreti sullo sfoltimento delle tipologie contrattuali e sull'estensione dell’Aspi”. Nel frattempo “stiamo chiedendo al Governo e ai
gruppi parlamentari un’attenzione molto
forte sullo stanziamento di risorse per gli
ammortizzatori sociali: i 2 miliardi attualmente previsti in legge di stabilità, più le
risorse previste dalla riforma Fornero sono insufficienti per dare risposte sia sul
fronte dell’estensione dell’Aspi, prevista
dal Jobs act, sia sul fronte della cig in deroga che va adeguatamente rifinanziata finché il Governo non procederà alla copertura dei settori oggi scoperti, sia sul fronte delle politiche attive che dovranno avere un ruolo centrale nel nuovo assetto delle politiche del lavoro”.
Giampiero Guadagni
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
L’arte di produrre Arte,
una ricerca
sull’industria culturale
e creativa in Italia
condotta dal Centro Studi
Gianfranco Imperatori
con il contributo della Fondazione
Roma Arte-Musei
S
VIA PO CULTURA
In mostra
al Complesso
del Vittoriano
a Roma
le opere
di Mario
Sironi
VIA PO CULTURA - DORSO SETTIMANALE DI CONQUISTE DEL LAVORO - 876
a pagina 6
conquiste del lavoro
Il Liberty:
Viola Muscinelli
racconta la prima
rivoluzione culturale
che fu anche globale,
un ventennio
fiammeggiante
d’espressioni...
(nelle pagine centrali)
pesso crediamo di
sapere cos’è il
cattivo gusto e
sorridiamo
indulgenti alla vista dei
nanetti da giardino che
impreziosiscono l’ingresso
di villette e seconde case.
Ma a farci riflettere sui
nostri sbrigativi giudizi
estetici è un libro di Andrea
Mecacci intitolato “Il kitsch”
(il Mulino, 2014, 162 pagg.,
12,50 euro). L’obiettivo del
testo è sostanzialmente
didattico ed è
perfettamente centrato sia
per la grande competenza
dell’autore che per la sua
chiarezza espositiva. In
poche parole, Mecacci ha
scritto un’introduzione al
kitsch utile a chiunque
voglia iniziare a
comprendere perché il
frivolo, il futile, il facile, il
pacchiano, il superficiale, lo
sciropposo, il vistoso e lo
strappalacrime abbiano così
tanta presa nella nostra
società. Per uscire
dall’astratto tutti questi
termini si concretizzano in
innumerevoli prodotti: dalla
gondola in miniatura al
comportamento di certi
politici, da molte versioni
cine-televisive della grande
letteratura alle statuette di
Padre Pio, da Shakespeare
usato per commedie
musicali alle arie di Mozart
ridotte a jingle, dai mobili
finto antico a romanzi come
Il vecchio e il mare, dalla
villa di Elvis Presley a
Memphis al modo in cui
tanti turisti guardano
monumenti e paesaggi.
Come si può arguire da
questi esempi il kitsch è un
fenomeno socio-estetico
ampio, trasversale e che
riflette una precisa
antropologia. Infatti, sin
dalla prima pagina del suo
lavoro, Mecacci
problematizza il tema: il
kitsch è “un interrogativo
culturale che ha investito
l’identità del soggetto
novecentesco (i suoi gusti,
le sue scelte, i suoi
comportamenti) e degli
oggetti su cui questa
identità elaborava se
stessa”. A ben vedere
dunque il nocciolo della
questione non sta tanto nel
prodotto kitsch quanto nel
fare del kitsch l’unica
dimensione estetica. Per
qualcuno forse
quest’approccio potrebbe
apparire come la
sopravvalutazione di un
fenomeno tutto sommato
marginale rispetto
all’esistenza di tante, troppe
persone oggi alla ricerca di
un lavoro e di un futuro. In
realtà non è così.
Innanzitutto, perché il kitsch
è un’iniezione di felicità
visiva a buon mercato e fa
ormai parte delle nostra vita
quotidiana. Tant’è che lo
ritroviamo dappertutto:
negli oggetti, nelle
immagini, nei testi narrativi.
In secondo luogo, perché è
una dimensione della
a pagina 7
diretto da Mauro Fabi
L’estetica del cattivo gusto
Un libro di Andrea Mecacci sul Kitsch spiega perché il frivolo, il futile, il facile, il pacchiano, il
superficiale, lo sciropposo, il vistoso e lo strappalacrime abbiano così tanta presa nella nostra società
di PATRIZIO PAOLINELLI
modernità che cambia nel
tempo e dunque siamo
dinanzi a un fenomeno
culturale tanto sfuggente
quanto complesso. Infine,
perché rappresenta il gusto,
o il cattivo gusto se si
preferisce, di una sensibilità
estetica che materializza il
risultato di numerose
trasformazioni sociali
intervenute nella sfera della
produzione e del consumo.
Il libro si articola in rapidi ed
efficaci capitoli finalizzati a
presentare i tratti distintivi e
i mutamenti interni al
kitsch, dalla sua comparsa in
Germania, tra il 1860 e il
1870, alle sue incursioni
nella cultura pop e alle sue
proiezioni nel citazionismo
postmoderno. Lo scopo è
quello di tracciare le linee
evolutive di una categoria
storica che muta se stessa
col mutare dei processi
sociali. Mecacci individua la
genesi del kitsch nel
dibattito settecentesco sul
gusto. Dibattito che si
iscrive sia nel campo
dell’estetica che in quello
politico col passaggio di
potere dall’aristocrazia alla
borghesia. Gli illuministi
separano nettamente il
gusto dal cattivo gusto. Da
una parte riposa la
semplicità, l’equilibrio e la
misura del classicismo,
dall’altra strilla l’eccesso, il
superfluo, l’artificio.
Voltaire: “Come il cattivo
gusto consiste nell’essere
attirati solo da condimenti
piccanti e ricercati, così,
nelle arti, il cattivo gusto
consiste solo
nell’apprezzare ornamenti
manierati e nel non capire la
bella natura”.
Nell’800 il kitsch si intreccia
col Romanticismo da cui
mutua il primato del
sentimento trasformandolo
però in sentimentalismo. In
altre parole, il kitsch
fagocita le istanze
romantiche
metabilizzandole all’interno
della propria sensibilità:
“Tutti gli oggetti del
sentimento romantico (la
natura, l’amore, la patria)
nel kitsch si sono rovesciati
nel proprio contrario: non
più dimensioni inquietanti
dell’interiorità, ma pratiche
consolatorie”. Insomma, il
sentimento non
rappresenta la premessa
dell’esperienza estetica ma
costituisce il suo fine; non è
apertura del sé alla pluralità
dell’esistenza ma si
trasforma in un’aspettativa
interiore già codificata: è il
mondo di Emma Bovary.
Nel Novecento il kitsch è
interpretato come un
effetto delle crisi che hanno
segnato quel secolo.
Norbert Elias lo definisce
come il “sogno di evasione
di una società che lavora”. Si
tratta di un bisogno di
compensazione imposto
dalla coercizione esercitata
dal capitalismo industriale
sul corpo e lo spirito degli
individui. Hermann Broch
osserva invece il kitsch da
un punto di vista etico
arrivando a concludere che
è il modo in cui il male si dà
esteticamente.
Inevitabilmente il kitsch
finisce per entrare nel
dibattito sulla cultura di
massa proprio perché si è
incardinato nella coscienza
della piccola e media
borghesia fissando i suoi
principi estetici: azione,
immedesimazione,
godimento, emozione.
Brecht e la Scuola di
Francoforte tenteranno
inutilmente di rovesciare
questo modello culturale
denunciandolo come una
forza che cela le
disuguaglianze sociali. Oggi
il kitsch è un fenomeno
connotativo della nostra
contemporaneità. Secondo
Abraham Moles si è diffuso
a macchia d’olio grazie a tre
macrofattori: “il feticismo
(l’esclusiva centralità
dell’oggetto nella civiltà
industriale), l’estetismo
(l’affermazione della
bellezza come fine in sé) e il
consumo (la struttura di
fondo del capitalismo)”.
Questa analisi suggerisce
che kitsch non è solo la
miniatura della torre di Pisa
in alabastro, ma anche il
soggetto che si riconosce in
quell’oggetto. Ed è tramite
questo riconoscimento che
l’inautentico, il surrogato e
la volgarizzazione diventano
dimensioni tipiche del
nostro tempo. Per di più il
raggio d’azione del kitsch si
è parecchio allargato: dal
suo territorio tradizionale
fatto di ninnoli, souvenir e
gadget è arrivato a investire
intere aree urbane
precipitandole
nell’iperrealtà: la copia di
Venezia che si può vedere in
un casinò di Las Vegas è più
reale, più autentica
dell’originale. Siamo così
giunti al neokitsch e alla sua
capacità di nidificare in
sensibilità limitrofe come il
camp e il trash. Ubiquo,
camaleontico,
imprevedibile il kitsch fa
ormai parte del nostro
ordine visivo e delle nostre
abitudini socio-estetiche.
Possiamo sorridere dei suoi
prodotti ma non possiamo
fare a meno di interrogarli.
VIA PO arte e immagini
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
6
L’industriacreativaeculturale
L’arte di produrre Arte. Imprese italiane del design a lavoro, un volume curato da Pietro Antonio Valentino
S
eppur tardivamente
anche in Italia la
cultura - intesa come
volano per la produzione
di ricchezza - sta destando
sempre più attenzione tra
gli economisti e
nell'opinione pubblica.
Ben vengano pertanto
libri come quello curato
da Pietro Antonio
Valentino: "L'arte di
produrre Arte. Imprese
italiane del design a
lavoro" (Marsilio Editori,
2014, 270 pagg., 27 euro).
Il volume consiste in un
corposo rapporto di
ricerca realizzato dal
Centro Studi “Gianfranco
Imperatori”
dell’Associazione Civita
con il contributo e la
collaborazione della
Fondazione Roma
Arte-Musei. La ricerca si
divide in due parti: la
prima è di tipo
quantitativo e analizza
l’Industria Creativa e
Culturale (ICC) nel suo
complesso; la seconda è
maggiormente qualitativa
e indaga il rapporto tra
design e mondo
produttivo. L’indagine si
focalizza sul settore
privato dell’ICC e prende
in esame quattro
comparti:˘Editoria, TV e
cinema; Design, web,
Pubblicità e Pubbliche
Relazioni; Arti visive;˘Beni
culturali.
Tra gli obiettivi principali
del rapporto c’è quello di
fornire informazioni,
interpretazioni e
proposte ai decisori
politici in modo da aiutarli
ad assumere iniziative per
lo sviluppo delle attività
culturali e delle economie
locali. Possiamo solo fare
gli auguri all’Associazione
e al prof. Valentino visto
che questo loro obiettivo
si trova davanti uno degli
ostacoli maggiori alla
crescita delle ICC: la
sordità della classe
politica italiana nei
confronti della cultura e
della creatività (le cui
imprese sono considerate
di serie B nonostante i
successi del Made in
Italy).
Far cambiar opinione ai
politici italiani sarà
un’impresa ardua. Ma la
forza delle cose potrà
forse convincerli a
intervenire date anche le
scarse prospettive del
manifatturiero e del
mattone. E la forza delle
cose si presenta, come
ormai capita da molti anni
a questa parte, nel segno
della crisi e nella necessità
di un rilancio del
comparto viste le
opportunità di mercato
che ancora presenta. Dai
dati dell’indagine curata
da Valentino emerge un
fenomeno preoccupante:
la perdita di addetti e
imprese è più accentuata
nei settori che
dovrebbero essere
maggiormente innovativi,
l’Informatica e l’ICC. Il che
la dice lunga sulla
capacità del nostro Paese
di tenere il passo con i
concorrenti europei. Ma
le cattive notizie non
finiscono qui. Tra il 2011 e
il 2012 il numero delle
imprese dell’ICC si è
ridotto del 6,1%, mentre il
numero degli occupati è
passato dalle 355.231
unità del 2010 alle
326.493 del 2011 (-8,1%).
Due sono i fattori che
hanno colpito
negativamente tutti i
comparti dell’ICC: la
riduzione della domanda
e la riduzione del
sostegno pubblico al
settore. Il che ha
condotto a una terza
riduzione: la
microimpresa si è fatta
ancora più micro
attestandosi nel 2011 a
1,9 addetti per azienda
(-0,1 rispetto all’anno
precedente).
Se cinema, editoria,
pubblicità e arti visive
navigano in cattive acque,
qualche segnale di
speranza giunge dal
settore del design.
Settore che si caratterizza
per due motivi: investe in
ricerca e sviluppo ed è
virtuosamente integrato
col manifatturiero, in
particolare con le
produzioni del Made in
Italy. D’altra parte, il
miglioramento della
qualità e l’ampliamento
della gamma dei prodotti
rappresentano le
principali strategie che le
imprese mettono in atto
per competere sui
mercati. Dall’indagine
risulta infatti che nel 2011
le aziende italiane hanno
investito circa 4 miliardi di
euro nelle attività del
design, contro i 3,5
miliardi circa di Germania
e Regno Unito e 1,5 e 1,1
miliardi di Francia e
Spagna. Ciò significa che
tramite il design i nostri
prodotti hanno un valore
aggiunto in termini di
gusto e bellezza che ci
permette di essere
competitivi sul mercato
mondiale. Le ricerche sul
campo - effettuate nelle
aree dove sono
maggiormente
concentrate le eccellenze
del Made in Italy (Lazio,
Lombardia, Marche e
Veneto) - mostrano che le
forme con cui si
concretizzano i rapporti
tra Industria e Design
dipendono dai settori
merceologici e dalla
dimensione dell’azienda.
Tuttavia, in genere si
passa dalla consulenza
esterna più o meno
stabile all’integrazione
dei designer nell’organico
aziendale tramite
l’istituzione dell’ufficio
stile o dell’aerea ricerca e
sviluppo. A proposito di
designer la
quantificazione della
Pat. Pao.
L’origine e la natura dell’arte
Un saggio di Roberto Gramiccia ricco di teorie e di riflessioni
di MARIA LUCIA SARACENI
conquiste del lavoro
P
uò l’atto artistico creativo
prescindere da
condizionamenti storici,
ambientali, politici ed economici?
Germinata naturalmente come
autonoma e libera
manifestazione, l’arte è stata
veramente se stessa quando la
sua forza primordiale offriva
all’uomo l’unica possibilità di
reagire e sopravvivere al tempo e
alla morte. Quando, ancora in
assenza di subordinazioni
attribuibili al potere, l’arte si
esprimeva in modo autonomo
attraverso la creazione di forme
elementari legate alla realtà,
contestualmente tese verso l’
eternità. Questa lettura
sull’origine e natura dell’arte è il
presupposto di una attenta e
colta interpretazione sui suoi
sviluppi proposta da Roberto
categoria è controversa:
dipende dalle figure che si
fanno rientrare nella
classificazione. Il
Censimento dell’industria
del 2011 parla di circa
43mila addetti, mentre
Valentino arriva a 149mila
unità inglobando anche i
dipendenti delle imprese
che operano nei settori
del “bello e ben fatto”
(calzature,
abbigliamento, mobili) e
gli architetti.
Nei quattro ambiti
regionali oggetto di
indagine la ricerca
evidenzia come il
processo di rinnovamento
dei distretti produttivi
locali proceda in modo
differenziato
configurando scenari e
opportunità di sviluppo
nettamente diversi. In
Lombardia la forte
competitività e la
concentrazione della
domanda tendono a
isolare le realtà aziendali
più periferiche e meno
equipaggiate. In Veneto,
dopo anni di crescita, il
sistema produttivo
regionale deve
raccordarsi
maggiormente con i
servizi avanzati di
knowledge management
per quanto concerne
ricerca, assistenza,
comunicazione e
promozione. Nel Lazio
l’integrazione tra design e
imprese è ancora in fase
iniziale. E’ quindi
necessario sostenere le
professioni emergenti per
facilitare contatti e
scambi con i sistemi
produttivi locali. Nelle
Marche le imprese più
lungimiranti hanno
attirato nel tempo
designer da tutto il
mondo. Oggi si pone
l’esigenza di replicare su
scala regionale queste
esperienze. Come si vede
il panorama è molto
complesso e peraltro
investe pure il tema della
formazione. La speranza è
che il mondo politico apra
gli occhi e si accorga
finalmente che anche con
la cultura si mangia.
Gramiccia nella sua ultima
pubblicazione, “Arte e potere”. Il
pensiero dell’autore - medico,
giornalista e critico d’arte - è
supportato da studi e conoscenze
approfondite in campo filosofico,
storico artistico e sociologico.
L’excursus storico che propone
suddivide orientativamente la
storia dell’arte in quattro grandi
periodi successivi alla preistoria:
un’età antica, una moderna, una
contemporanea fino a giungere
alla postcontemporanea, che
rappresenterebbe l’ “arte di
oggi”. In ognuna di tali epoche
l’espressione artistica si è
misurata in modo dialettico con i
regimi e le dinamiche del potere
e dell’economia, subendone le
influenze e accogliendone le
sfide, riuscendo a conservare la
propria essenza creativa non
avulsa dal contatto con la realtà.
Almeno fino ai nostri giorni.
Quando la teoria della morte
dell’arte prefigurata dal pensiero
filosofico di Hegel sembra
tragicamente vicina alla sua
manifestazione. Gramiccia
considera l’attuale periodo un
vero momento di declino del
mondo occidentale, governato da
un sistema economico capitalista
globalizzato. Ogni creatività
appare soffocata dal dominio
della mercificazione dell’arte,
motivo di confusione tra la vera
espressione artistica e
l’opportunistica mistificazione
generatrice di un nuovo
conformismo. L’ “idea” di
Duchamp, inconsapevolmente,
ha “sdoganato una serie
sconfinata di artisti che, sostenuti
dalle lobbies che controllano il
sistema dell’arte, producono
qualsiasi cosa a fini commerciali”.
Gli strumenti tecnologici di cui la
società attuale diffusamente
dispone tendono poi ad
assumere, in modo crescente,
ruoli sostitutivi alle tecniche
pittoriche, invadendo la sfera
artistica e creativa con risultati
sconfortanti. “I prodotti culturali
di oggi si bruciano in un secondo.
Il loro orizzonte è il tempo del
successo, non quello
dell’immortalità”. La crisi
dell’arte denunciata da Roberto
Gramiccia specchia una
regressione che, dagli ultimi
decenni, permea in modo
desolante tutti gli ambiti umani: e
questo è il vero problema che egli
lucidamente individua.
Di grande interesse, ricco di
teorie e riflessioni (anche se
talvolta opinabili), il libro offre
l’opportunità di un
approfondimento sull’arte e sulla
attuale società, spinta sulla soglia
di un pericoloso baratro, poiché
“se l’arte muore anche l’uomo
muore”.
Roberto Gramiccia, Arte e potere,
Ediesse 2014, pp. 220, euro 13,00.
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
7
Unasommessa
esilenziosa
rassegnazione
Al Complesso del Vittoriano a Roma
una retrospettiva su Mario Sironi
di ROBERTA LOMBARDI
conquiste del lavoro
VIA PO arte e immagini
C
L’estetica
dellapolvere
Le statue svanite di Alberto Giacometti
di MAURO FABI
C
'è stato un
momento nella
sofferta, dolorosa
ricerca plastica di
Alberto Giacometti, in
cui egli si rese
finalmente conto che
la realtà era destinata
a scomparire tra le sue
mani. Quella febbre
incessante che lo
spingeva a graffiare
creta, come a fumare
ottanta sigarette al
giorno, pian piano si
trasformò nell'unica
verità possibile, quella
di essere sempre
meno, polvere.
Accadde quando la
figura femminile che
stava modellando,
inizialmente concepita
alta una ottantina di
centimetri, giorno
dopo giorno, unghiata
dopo unghiata,
diventò così minuscola
da non poter più
rendere possibile la
rappresentazione di un
solo particolare: la
scultura stava
semplicemente
dileguando tra le sue
dita impazzite; un
colpo di pollice e la
statua di colpo spariva!
E cosa rimaneva
all'artista incredulo?
Polvere.
Se mai c'è stato un
uomo che ha vissuto
sulla propria pelle il
senso della sconfitta
senza forse rendersi
conto che quella
sconfitta era la carne e
il sangue di ogni
esistenza, ebbene
quest'uomo è stato
Alberto Giacometti. Il
suo spasmodico
lavorio nel togliere,
scarnificare non
rappresenta forse il
senso dell'arte stessa?
Non è forse il silenzio il
luogo a cui tende ogni
parola che vuole
nominare il mondo,
non è forse questo il
vero traguardo della
poesia? La poesia di
Giacometti era l'argilla
immodellabile che
sgretola ogni
rappresentazione del
mondo, ogni volontà
che sottende
all'esistenza delle cose.
Se l'esistenza è
transeunte, se - come
scrive Carlo Bordini in
un mirabile poemetto “saremo sempre
meno”, allora anche la
raffigurazione artistica
segue questo percorso
ineluttabile, sino a
dileguare, come
dilegua ogni cosa.
Naturalmente, tutto
ciò che scompare
prima è stato qualcosa,
in ciò risiede il
significato della Storia.
Ora, dove va a finire
quel qualcosa che
prima di diventare
polvere (nulla) pure
rimarcava una sua
presenza, dove è
possibile indovinarne
una traccia? C'e un
luogo nascosto dove si
accumula quello che a
un certo punto ci e
tolto? Si accumula
strato su strato, si
confonde, si amalgama
o permane distinto,
feroce e inumano
come la storia che lo
tramanda?
Questo è ciò che deve
aver vissuto
Giacometti, il senso di
un fallimento
ontologico e
irredimibile,
profondamente
immanente,
nient'affatto
metafisico. Qui la
metafisica non c'entra
nulla. Come il poeta, il
vero poeta, procede
verso l'ultima
cancellatura, procede
nella direzione
dell'ultimo verso
cancellato (che è
esattamente il
contrario dell'impasse
creativo, della pagina
bianca), così lo
scultore svizzero
procede nella
direzione della nuvola
di gesso, il processo
creativo ha
dolorosamente
attraversato tutte le
sue fasi, dalla
progettazione
(dall'illusione della
progettazione), sino
alla impossibilità
stessa della
realizzazione, ovvero
alla realizzazione
estrema.
Gli uomini filiformi col
loro passo appena
accennato erano gli
uomini vuoti di Eliot,
gli uomini impagliati
senza meta e senza
scopo, figure isolate
che procedono verso il
non-incontro.
L'esistenzialismo di
Giacometti cantato da
Sartre si trasforma a un
certo punto nella
non-esistenza, o
meglio in qualcosa di
tangibile che svanisce,
come la corolla di
gesso del
fiore-in-pericolo, che è
lì, una macchia bianca
su un fondo nero in
procinto di essere
spazzata via.
i sono artisti che per gran parte della
loro carriera non fanno che dipingere
una sola opera con le sue infinite
variazioni. È il caso più eclatante di
Morandi, che ha dipinto per tutta la sua
vita una serie di bottiglie, ma anche di
Rothko, Pollock e molti altri. E poi ci sono
altri artisti, di solito una minoranza, che
invece non si stancano mai di sperimentare
tecniche e forme diverse, come, per
esempio, Pablo Picasso. Anche se è per lo
più noto per i suoi quadri di periferie
urbane, Mario Sironi appartiene a
quest’ultima cerchia. Ce lo dimostra la
retrospettiva al Complesso del Vittoriano
di Roma, a cura di Elena Pontiggia, che ci
accompagna nelle varie fasi della sua
carriera artistica svelandoci aspetti meno
conosciuti della sua personalità e
produzione.
Nato nel 1885 a Sassari, ma cresciuto a
Roma, affetto già giovanissimo da crisi
depressive, Sironi è stato come una
spugna, capace di catturare con incredibile
versatilità e sensibilità le varie correnti che
hanno attraversato la prima metà del
Novecento in Italia. Da quelle più intimiste
e simboliste a quelle più rivoluzionarie del
futurismo, fino al monumentalismo
dettato dalla megalomania di un regime, il
Fascismo, alla ricerca di una consacrazione.
Ma in tutte queste opere, l’artista ha
cercato la sua voce e la sua verità, al di là
della tecnica di moda in quel momento,
indossata come un abito più che come un
manifesto di qualcosa. Un abito attraverso
cui svelare ancora meglio quello che si
nasconde al di sotto. Il suo è un disegno
veloce, poco dettagliato, a volte quasi
infantile, venato di ironia, riempito di un
colore denso e pastoso, che non osa mai
tonalità troppo accese o pure. Più che con
la melodia, l’artista comunica con il timbro
del suo strumento, con una ritmica jazz,
che non ha paura di sporcarsi ed è sempre
pronta all’improvvisazione. Il suo è un
astrattismo mascherato da un realismo
malinconico.
Gli edifici silenziosi raccontati dai suoi
quadri più famosi vanno al pari passo con i
corpi mastodontici,
etruschi, dei suoi
dipinti murali.
Entrambi sono
involucri vuoti che
ospitano un mito
mancato, un’assenza
misteriosa che, come il
Godot di Beckett,
stiamo tutti
aspettando. L’uomo è
ormai rassegnato a una
condizione di macchina
o di marionetta, e tanto
i manichini di De
Chirico si trastullano
beati nel loro paradiso
metafisico, protetti
ancora dal lusso della
sofisticazione, tanto
quelli sironiani sono
costretti, senza difese,
nei piccoli interni
squallidi della vita
moderna. È il caso di un
dipinto come “La
Lampada” (1919),
realizzato due anni
dopo il dechirichiano
“Le Muse Inquietanti”.
Siamo agli albori del
fascismo, e Sironi è
ormai a pieno titolo nel
gruppo dei Futuristi,
grazie anche
all’incontro con
Boccioni, avvenuto
anni prima alla Scuola
Libera del Nudo di via
Ripetta. Una sua
grande ammiratrice e
sostenitrice è la
scrittrice Margherita Sarfatti, promotrice di
un circolo letterario e artistico a Milano, di
cui vediamo in mostra un ritratto a firma
dell’artista.
Ma possiamo ammirare anche le molte
copertine per le riviste e le pubblicità,
come quelle per la Fiat, in cui Sironi mette a
frutto tutto il suo senso ironico e il suo
gusto moderno. Al contrario dei futuristi,
non è mai un “rottamatore”, ma cerca
sempre nel presente una continuità con il
passato, e con quei valori che sono senza
tempo.
Così, rimane affascinato dalle possibilità
artistiche che sembra promettere il
periodo fascista, visto come un’occasione
di riportare l’arte alla grandezza e allo
splendore della classicità. L’Italia è una
nazione ancora giovane, affamata di
nuovo, ma anche di una sua identità ideale.
Per gli artisti significa liberarsi dall’eredità
del Rinascimento, per superarlo. E di
mettersi finalmente al servizio del proprio
popolo, dell’Italia tutta.
Negli Anni Trenta, Sironi realizza grandi
commissioni pubbliche, come quelle per
l’Aula Magna dell’Università di Roma o per
la Triennale di Milano. Ma, ancora una
volta, più che la grandiosità maestosa di
queste immagini, più che i corpi forti e
muscolosi dei suoi protagonisti, sembra
che sia la fragilità che nascondono, una
sommessa e silenziosa rassegnazione, il
vero collante di queste figure, unite eppure
solitarie, grandiose eppure lontane dalla
disincantata serenità delle divinità
classiche. I piccoli dei del presente sono i
lavoratori, i soldati, le madri, costretti in un
mondo che forse già non appartiene più
loro.
Uscito indenne dalla guerra e dall’arresto
dei partigiani grazie a una fortunata
coincidenza, perché tra di loro vi era lo
scrittore Gianni Rodari che lo aveva
riconosciuto, Sironi tornerà nel dopoguerra
a una pittura più intimista, presaga della
morte che si avvicina. Ma anche
testimonianza della fine definitiva di valori
che, forse, in fondo, si erano spenti da soli,
senza bisogno di rottamazione.
8
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
Si chiamava Liberty
Una rivoluzione culturale che fu anche globale: viaggio alla scoperta dell’Art Nouveau (prima puntata)
di VIOLA MUSCINELLI
conquiste del lavoro
VIA PO arte e immagini
L
Il recupero incondizionato
della funzione dell’oggetto
I
n un momento storico in cui
ogni audacia pareva non avere
sponda che
nell’immaginazione, il grande
boom professionale fu quello
degli elettricisti, che
cominciarono a vendere
”doppietti” gommati dapprima
nei salotti buoni e via via fin negli
ambienti più modesti. La vera
idea luminosa del secolo fu la
lampadina, che, grazie al suo
inventore Thomas Alva Edison,
spense d’un tratto milioni di lumi
a petrolio fumiganti e di pericolosi
dispositivi ad acetilene.
Paragonabile per successo a
quello degli odierni telefonini,
l’eletricità fu un fenomeno che
accese numerose altre micce alla
turbolenta rivoluzione culturale
fin del siècle.
Come per i telefonini, si dibatteva
allora sugli eventuali danni alla
salute che tanta innovazione
avrebbe provocato, considerando
che chi aveva provato ad infilare
due dita nella presa, ne era uscito
sempre un po’ ”scosso”, salvo
danni maggiori.
Ma stante la mancanza di dati,
non possiamo che immaginare
quale fosse la magnitudo e la
frequenza delle esplosioni dovute
all’acetilene del carburo di calcio,
e degli incendi prodotti dalle
lampade a petrolio.
La lampadina dunque vinse alla
grande, ed oltre ad accendere se
stessa con intensità costante
prima ignota, ampliò i confini
immaginativi di chi aveva a che
fare con l’illuminazione, costretto
fino allora a causa delle basse
intensità, a vetri rigorosamente
trasparenti od opalini.
Le lampade ”Liberty” come le
definiamo oggi, furono dei veri e
propri monumenti alla
lampadina, create per
sottolineare il possesso del nuovo
status symbol con rutilanza
adeguata, e spesso con il
plusvalore dell’opera d’arte. In
America Louis Confort Tiffany,
connazionale di Edison e figlio
d’arte essendosi formato alla
paterna scuola di gioielleria, creò
un vetro iridescente fatto a mano
(favrile) per i suoi lumi da tavolo,
a piantana o a plafoniera. Le basi
erano generalmente fuse in
bronzo dorato, brunito, o in
argento. Il diffusore, realizzato
con la tecnica del vetro piombato,
si ispirava nella decorazione al
gusto corrente con
rappresentazioni fitomorfe, di
ispirazione esoticheggiante.
L’effetto dell’accenzione era
mozzafiato, favorito largamente
dalla tipologia ambientale
dell’epoca costituita da
penombre e serie di drappeggi. I
capolavori di Tiffany, in un’ansia
di rivisitazioni a buon mercato,
vengono imitati ancora oggi,
prodotti in serie con materiali
plastici o vetri stampati. L’Artista,
sul quale un capitalista stanco
delle palpitazioni di borsa investì
molto, oltre a produrre questi
originalissimi oggetti, fu designer
di interni di gran successo: ebbe
svariati incarichi anche pubblici,
come ad esempio, l’arredamento
della Casa Bianca, e alla guida di
artisti e artigiani svolse nei
”Tiffany Studios” molteplici
applicazioni della sua abilità
creativa e produttiva, cogliendo
successi e fama anche in
gioielleria.
Nel frattempo in Europa, più
precisamente in Francia a Nancy,
un personaggio riconosciuto
come il più grande maestro
vetraio dell’epoca, Emile Gallè,
sperimentava una serie di
applicazioni nuove nel campo
vetriero; i ”vetri-cammeo”
consistenti nella sovrapposizione
di più strati a diverso colore della
pasta di vetro, che formata a
caldo nelle fogge volute veniva
poi sottoposta a molatura o
corrosione da acido fluoridico,
ottenendo le forme desiderate in
bassorilievi con effetti di
luminescenza e di cromatismo
estremamente suggestivi.
La ”Marqueterie de verre”
consentiva invece una notevole
produzione di serie con rifiniture
a mano, conseguendo un
abbattimento dei costi pur
conservando caratteristiche di
qualità più accettabili.
Gallè traeva ispirazione
soprattutto dalla fauna e dalla
flora lussureggiante della nativa
Lorena, ed essendo persona di
vasta cultura umanistica e
scientifica, e socialmente
impegnato nella difesa dei diritti
dei popoli, amava inserire nei
lavori le citazioni poetiche di
autori a lui cari, quali Baudelaire e
Mallarmè, in alcune sue opere
chiamate ”le verres parlantes”.
Uomno eclettico e di ampie
vedute, contribuì in maniera
determinante alla diffusione
dell’Art Nouveau in Francia
promuovendo la Scuola di Art
Nouveau di Nancy. Questa
iniziativa di cui si celebra il
centenario proprio in questo
periodo con manifestazioni e
conferenze su un arco previsto di
3 anni, era in realtà un sodalizio
tra genialità articolate e diverse,
che creavano e operavano in
èquipe pur nel rispetto assoluto
delle singole individualità.
Tra i nomi più noti degli artisti
formatisi con Gallè spiccavano
Daum, proprietari delle vetrerie di
Nancy e preziosi collaboratori in
esperimenti e invenzioni, nonché
creatori a loro volta di opere in
vetro famose in tutto il mondo. La
ditta era stata acquistata dal
padre, il notaio Jean Daum de
Bitche, in occasione del
trasferimento dovuto alla
riannessione dell’Alsazia e di
parte della Lorena alla Germania.
La ditta è tuttora attiva sotto
l’insegna ”Cristallerie Daum”.
(Continua nel prossimo numero)
a comprensione d’un
fenomeno
socio-culturale e
politico-economico
complesso come quello
comunemente denominato
Liberty, Art Nouveau,
Jugendstil, Modern Style,
Secession etc, e che d’ora in
poi per brevità chiameremo
come più usuale in Italia,
Liberty appunto, non sarebbe
possibile per vastità
d’implicazioni, senza un
esame del contesto in cui si
produsse e si sviluppò nel
ventennio tra fine Ottocento
e primi del Novecento.
La vita del fenomeno fu
breve ma intensa e
fiammeggiante
d’espressioni, tanto da
coinvolgere
simultaneamente tutto il
mondo occidentale,
sopraffacendo da subito
costumi e canoni estetici
radicati fin nelle pieghe buie
della storia.
Il Liberty portò contraccolpi,
merito delle solite
retroguardie, ben oltre i
tempi del primo conflitto
mondiale, dando a qualcuno
l’illusione di una saldatura
con L’Art Deco che
cominciava ad imporsi come
nuovo riferimento estetico.
In realtà dai fatti di Sarajevo
nel ’14 all’armistizio di
Compiègne del ’18,
l’occupazione preminente fu
distruggere anziché
costruire, ed una ”suspensio”
di quattro anni appare
sufficiente come vallo tra due
epoche culturali, per
constatare quasi fiscalmente
la fine dell’una e la nascita
dell’altra. Ma il momento
inerziale del Liberty fu
enorme, ben oltre la sua
parte più manifesta ed
intelligibile che come in un
iceberg, emergeva da una
immane quantità di
fenomeni sociali, scientifici,
politici, economici e culturali,
mai primi verificatisi con
energia tanto dirompente e
con tanta accelerata
frequenza.
Presumere quindi la
comprensione del Liberty dal
riconoscimento di una
lampada dei fratelli Daum o
dalle volute in mogano di un
mobile di Majorelle,
equivarrebbe a consultare un
testo guardando solo le
figure.
Lo stile Liberty fu di più,
perchè fu adottato come
denominatore espressivo
comune da gente
contemporanea soggetta a
bombardamenti innovativi di
non poco conto, gente che,
sottoposta a critica vele e
remi, certezze marinare
dall’alba delle civiltà, di
punto in bianco fu in grado di
attraversare l’Atlantico in un
terzo del tempo ed in una
frazione dei costi usuali
d’armamento.
Gente che inventava la
dinamo, le locomotive e
quindi le reti ferroviarie, i
motori esotermici ed
endotermici, dovendo
coniare nuove misure per
energie incommensurabili
con gli antichi sistemi.
Quanto vasto ed ignoto fosse
il nuovo orizzonte della
misurazione delle potenze è
espresso dall’adozione in
misura del patetico
callo/vapore, connubio tra
quanto di più potente allora
potesse immaginarsi ed il
nuovo ”miracolo generatore”
dell’acqua bollita.
La seconda rivoluzione
industriale era insieme
madre e figlia di tanto
fervore creativo, che
produceva macchine
agricole e fertilizzanti
alimentandosi di
maggiori possibilità
distributive.
La gente del
Liberty
comunicava
via
telefono
su
distanze
intercontinen-
tali,
poichè
oceani
e
continenti
erano
appena stati
cablati. Certo
l’abate Caselli,
visto che il telefono
c’era già, inventò il
”pantelegrafo”, ossia
un
pantografo-telegrafico
per inviare immagini e
messaggi in fac-simile, oggi
fax.
E la gente Liberty rendeva
praticabile la fotografia e ne
cominciò ad usare ed
abusare, ritenendola da
principio un succedaneo
sbrigativo di pennello e tela.
Ma le attrezzature fecero un
gran progresso, così i
fotografi i fratelli Lumière
proiettavano il primo
cortometraggio e già
s’ipotizzava un cinema
parlato e con movimento di
immagini più reali e di più
lunga durata.
La gente del Liberty parlava
tecnicamente, quindi con
realismo, di scavi sotto la
Manica o sotto lo stretto di
Messina, chimica e
meccanizzazione
producevano dieci volte più
frumento per ettaro di
quanto non fosse stato
possibile fino a pochi anni
prima.
Probabilmente suo
malgrado, il piccione tornò
più presente sulle mense
piuttosto che in funzione
postale.
La gente del Liberty
usava la
Linoty
pe,
madrina
indiscussa della
larga informazione, e la
stampa fece un balzo in
avanti perché non solo
bisognava far prima e di più,
ma la neonata scienza della
comunicazione imponeva i
suoi imperativi congeniti:
fare meglio e sorprendere.
Chèret stampò i suoi disegni
in litografia e nacque il
manifesto-rèclame per
stupire e attrarre pubblici
sempre più vasti di curiori ed
estimatori. Anche Toulouse
Lautrec espresse la sua
genialità con tocco arguto tra
l’ironico e il realista, facendo
arte anche in questa inedita
forma che si svilupperà e
diventerà in breve
irreversibile. Alla croce del
Sud, alla croce runica e a
quella cristiana si aggiungeva
la croce della pubblicità.
Intanto si scoprivano
nuovi elementi
e nuove
radiazioni, mentre l’igiene
assurgeva a imperativo
sociale; e mentre si studiava
il bacillo della turbecolosi e si
sperimentava
l’ummuno-vaccinazione,
qualcuno meno complessato
e modesto degli altri
cominciò a girare lo sguardo
in su, verso il cielo. ”In fondo”
deve aver pensato Otto
Lilienthal lanciandosi dalla
sommità della collina, ”è un
fatto tecnico”. Si passava
quindi dallo studio
dell’aerostatica
all’aerodinamica, che
sarebbe culminato poco
dopo nel salto epocale dei
fratelli Wright a Kitty Hawk,
con macchina volante e
motore a scoppio
autoco-
struiti.
Frattanto l’ingegner
Lesseps, davanti ad una carta
d’Egitto a grande scala,
valutava se un piccolo taglio
a Suez avrebbe potuto
abbreviare i traffici da e per
le indie di qualche mese.
Questa era la gente del
Liberty; ma il Liberty
dov’era? Tutto il costume era
paludato e ”rispettabile”
come le gambe dei tavoli a
Buckingam Palace.
L’architettura non rifletteva
l’aria dei tempi. L’industria
continuava a produrre
mobilie riproducenti stili
neo-barocchi o neo-rococò e
neo-classici e le abitazioni
borghesi sfoggiavano sempre
ed esclusivamente oggetti
”in stile”, punto espressione
dei profondi cambiamenti
occorsi nel secolo. Semmai
l’industrializzazione
cominciava a manifestare
fatture troppo
distanti dagli
standards
artigia-
nali
soliti (le
regole
dell’arte), ed
anche i materiali
dichiaravano una
qualità in discesa.
Moda e abbigliamento non
indicavano cambiamenti
sensibili. Gli abiti
rigorosametne scuri con
camicie inamidate per
l’uomo non apparivano
meno austeri nelle donne,
con qualche frivolezza in più,
ma sempre ridondanti in
tessuti e mano d’opera.
Non rivelavano ne favorivano
quindi, per foggia e volume,
la nuova etica improntata al
dinamismo.
In tale compostezza formale
la fabbrica procedeva a ritmi
esasperati, complice il nuovo
mito del ”libero scambio”,
contribuendo al primo
manifestarsi del processo di
globalizzazione e alla
contestuale definizione del
pericolo pubblico ”numero
uno” d’ogni ambito
industralizzato: la crisi
recessiva. Nota fino allora più
come eventualità
sperimentale che come fatto
reale, quando avvenne fu
all’altezza dei tempi, quindi
gloable per l’effetto
”domino” e senza scampo. La
decimazione delle imprese, il
licenziamento degli operai, la
contemporanea crisi dei
tempi e una conversione
produttiva istantanea
verso dimensioni
regionali o
nazionali.
Dalla prima
Internazionale
e dalla
Comune di
Parigi (fatti
di portata
tanto
vasta da
non
poter
esser
trat-
tati
che
in
maniera
tangenziale in
questa
modesta
riflessione),
fu chiaro che
l’arena
socio-politico-economica avrebbe
dovuto fare i conti
con un nuovo e
determinante interlocutore,
una classe operaia
consapevole e in grado di far
valere i suoi diritti in quanto
organizzata. Il capitalismo
aveva ormai avviato il suo
processo di revisione
conoscendo le conseguenze
che avrebbero provocato la
resistenza alle istanze
sindacali, e in questo clima di
consapevolezza si ricominciò
una ansimante risalita.
Nell’ultimo decennio del
secolo, certe ”intemperanze”
femministe in America
evidenziavano che se i
sovvertimenti
tecnico-economici potevano
essere gestibili, i
cambiamenti conseguenti ad
un adeguamento del
pensiero e delle coscienze
sarebbero stati ben altra
cosa.
Nel clima fiducioso delle
innovazioni e preoccupato
per le controindicazioni,
alcune proposte
identificative, vennero
offerte dalle espressività
artistiche, sempre in
avanscoperta rispetto alla
contemporaneità ”normale”.
Il primo strattone ai
riferimenti accademici in
pittura, venne dalla Francia
con il movimento
Impressionista. Dopo aver
dato un primo colpo alle
tradizioni centenarie
dell’espressione pittorica
stravolgendone canoni
rassicuranti e consolidati,
resistendo alle aspre critiche
iniziali, venne accettato e via
via imitato da tutti i paesi
dell’area occidentale e
riconosciuto quindi come
espressione legittima ed
omologata degli artisti che vi
si identificano.
I Simbolisti Decadentisti
rappresentanti dai francesi
Verlaine e Mallarmè avevano
avviato dopo il fallimento
della poetica naturalista
ispirata al romanzo verista
zoliano, il loro processo
rivoluzionario degli schemi
classici, accendendo gli animi
di giovani artisti verso una
poetica ”moderna” e libera di
esprimersi attraverso
individualità e sensibilità
personali.
La fruizione pubblica dei
Manifesti-rèclame, sorta di
divulgazione popolare delle
arti figurative, aveva aperto a
persone d’ogni ceto sociale la
strada prima elitaria al
godimento del ”bello” e una
nuova ”democrazia estetica”
alitava sull’educazione.
Si cominciava a intravedere
nell’arte applicata in ogni sua
espressione, dall’architettura
all’arredamento e alla
decorazione come
all’oggetto d’uso comune, la
possibilità di rendere
disponibile un disegno
riproducibile industrialmente
(industrial design) o
artigianalmente (arts and
crafts letterale), che
consentisse a bassi costi,
produzioni non più elitarie,
ma orientate verso una
scelta di fruibilità allargata,
quindi sociale, del nuovo e
del bello.
Si veniva delineando con
chiarezza sempre maggiore
la prospettiva di una nuova
filosofia di vita. Nella gente
del Liberty si avviava a
maturazione il concetto di
”moderno” e di ”originale” e
la necessità di caratterizzare
come appartenenti al proprio
periodo culturale quei
processi espressivi che
andavano ormai
incruentemente
omologandosi.
Queste espressioni in pittura,
in musica, in letteratura,
nella tecnica e
nell’architettura, in oggetti
d’uso come nei
comportamenti, erano la
parte emergente di
quell’iceberg gigantesco che
staccatosi dalla banchisa
della storia, aveva impiegato
decenni per caratterizzarsi in
una silente e buia profondità,
mostrandosi quindi
all’improvviso nello
splendore esplosivo del
secolo contrassegnato dalle
più profonde innovazioni di
tutti i tempi della storia.
Appunto il Liberty.
8
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
Si chiamava Liberty
Una rivoluzione culturale che fu anche globale: viaggio alla scoperta dell’Art Nouveau (prima puntata)
di VIOLA MUSCINELLI
conquiste del lavoro
VIA PO arte e immagini
L
Il recupero incondizionato
della funzione dell’oggetto
I
n un momento storico in cui
ogni audacia pareva non avere
sponda che
nell’immaginazione, il grande
boom professionale fu quello
degli elettricisti, che
cominciarono a vendere
”doppietti” gommati dapprima
nei salotti buoni e via via fin negli
ambienti più modesti. La vera
idea luminosa del secolo fu la
lampadina, che, grazie al suo
inventore Thomas Alva Edison,
spense d’un tratto milioni di lumi
a petrolio fumiganti e di pericolosi
dispositivi ad acetilene.
Paragonabile per successo a
quello degli odierni telefonini,
l’eletricità fu un fenomeno che
accese numerose altre micce alla
turbolenta rivoluzione culturale
fin del siècle.
Come per i telefonini, si dibatteva
allora sugli eventuali danni alla
salute che tanta innovazione
avrebbe provocato, considerando
che chi aveva provato ad infilare
due dita nella presa, ne era uscito
sempre un po’ ”scosso”, salvo
danni maggiori.
Ma stante la mancanza di dati,
non possiamo che immaginare
quale fosse la magnitudo e la
frequenza delle esplosioni dovute
all’acetilene del carburo di calcio,
e degli incendi prodotti dalle
lampade a petrolio.
La lampadina dunque vinse alla
grande, ed oltre ad accendere se
stessa con intensità costante
prima ignota, ampliò i confini
immaginativi di chi aveva a che
fare con l’illuminazione, costretto
fino allora a causa delle basse
intensità, a vetri rigorosamente
trasparenti od opalini.
Le lampade ”Liberty” come le
definiamo oggi, furono dei veri e
propri monumenti alla
lampadina, create per
sottolineare il possesso del nuovo
status symbol con rutilanza
adeguata, e spesso con il
plusvalore dell’opera d’arte. In
America Louis Confort Tiffany,
connazionale di Edison e figlio
d’arte essendosi formato alla
paterna scuola di gioielleria, creò
un vetro iridescente fatto a mano
(favrile) per i suoi lumi da tavolo,
a piantana o a plafoniera. Le basi
erano generalmente fuse in
bronzo dorato, brunito, o in
argento. Il diffusore, realizzato
con la tecnica del vetro piombato,
si ispirava nella decorazione al
gusto corrente con
rappresentazioni fitomorfe, di
ispirazione esoticheggiante.
L’effetto dell’accenzione era
mozzafiato, favorito largamente
dalla tipologia ambientale
dell’epoca costituita da
penombre e serie di drappeggi. I
capolavori di Tiffany, in un’ansia
di rivisitazioni a buon mercato,
vengono imitati ancora oggi,
prodotti in serie con materiali
plastici o vetri stampati. L’Artista,
sul quale un capitalista stanco
delle palpitazioni di borsa investì
molto, oltre a produrre questi
originalissimi oggetti, fu designer
di interni di gran successo: ebbe
svariati incarichi anche pubblici,
come ad esempio, l’arredamento
della Casa Bianca, e alla guida di
artisti e artigiani svolse nei
”Tiffany Studios” molteplici
applicazioni della sua abilità
creativa e produttiva, cogliendo
successi e fama anche in
gioielleria.
Nel frattempo in Europa, più
precisamente in Francia a Nancy,
un personaggio riconosciuto
come il più grande maestro
vetraio dell’epoca, Emile Gallè,
sperimentava una serie di
applicazioni nuove nel campo
vetriero; i ”vetri-cammeo”
consistenti nella sovrapposizione
di più strati a diverso colore della
pasta di vetro, che formata a
caldo nelle fogge volute veniva
poi sottoposta a molatura o
corrosione da acido fluoridico,
ottenendo le forme desiderate in
bassorilievi con effetti di
luminescenza e di cromatismo
estremamente suggestivi.
La ”Marqueterie de verre”
consentiva invece una notevole
produzione di serie con rifiniture
a mano, conseguendo un
abbattimento dei costi pur
conservando caratteristiche di
qualità più accettabili.
Gallè traeva ispirazione
soprattutto dalla fauna e dalla
flora lussureggiante della nativa
Lorena, ed essendo persona di
vasta cultura umanistica e
scientifica, e socialmente
impegnato nella difesa dei diritti
dei popoli, amava inserire nei
lavori le citazioni poetiche di
autori a lui cari, quali Baudelaire e
Mallarmè, in alcune sue opere
chiamate ”le verres parlantes”.
Uomno eclettico e di ampie
vedute, contribuì in maniera
determinante alla diffusione
dell’Art Nouveau in Francia
promuovendo la Scuola di Art
Nouveau di Nancy. Questa
iniziativa di cui si celebra il
centenario proprio in questo
periodo con manifestazioni e
conferenze su un arco previsto di
3 anni, era in realtà un sodalizio
tra genialità articolate e diverse,
che creavano e operavano in
èquipe pur nel rispetto assoluto
delle singole individualità.
Tra i nomi più noti degli artisti
formatisi con Gallè spiccavano
Daum, proprietari delle vetrerie di
Nancy e preziosi collaboratori in
esperimenti e invenzioni, nonché
creatori a loro volta di opere in
vetro famose in tutto il mondo. La
ditta era stata acquistata dal
padre, il notaio Jean Daum de
Bitche, in occasione del
trasferimento dovuto alla
riannessione dell’Alsazia e di
parte della Lorena alla Germania.
La ditta è tuttora attiva sotto
l’insegna ”Cristallerie Daum”.
(Continua nel prossimo numero)
a comprensione d’un
fenomeno
socio-culturale e
politico-economico
complesso come quello
comunemente denominato
Liberty, Art Nouveau,
Jugendstil, Modern Style,
Secession etc, e che d’ora in
poi per brevità chiameremo
come più usuale in Italia,
Liberty appunto, non sarebbe
possibile per vastità
d’implicazioni, senza un
esame del contesto in cui si
produsse e si sviluppò nel
ventennio tra fine Ottocento
e primi del Novecento.
La vita del fenomeno fu
breve ma intensa e
fiammeggiante
d’espressioni, tanto da
coinvolgere
simultaneamente tutto il
mondo occidentale,
sopraffacendo da subito
costumi e canoni estetici
radicati fin nelle pieghe buie
della storia.
Il Liberty portò contraccolpi,
merito delle solite
retroguardie, ben oltre i
tempi del primo conflitto
mondiale, dando a qualcuno
l’illusione di una saldatura
con L’Art Deco che
cominciava ad imporsi come
nuovo riferimento estetico.
In realtà dai fatti di Sarajevo
nel ’14 all’armistizio di
Compiègne del ’18,
l’occupazione preminente fu
distruggere anziché
costruire, ed una ”suspensio”
di quattro anni appare
sufficiente come vallo tra due
epoche culturali, per
constatare quasi fiscalmente
la fine dell’una e la nascita
dell’altra. Ma il momento
inerziale del Liberty fu
enorme, ben oltre la sua
parte più manifesta ed
intelligibile che come in un
iceberg, emergeva da una
immane quantità di
fenomeni sociali, scientifici,
politici, economici e culturali,
mai primi verificatisi con
energia tanto dirompente e
con tanta accelerata
frequenza.
Presumere quindi la
comprensione del Liberty dal
riconoscimento di una
lampada dei fratelli Daum o
dalle volute in mogano di un
mobile di Majorelle,
equivarrebbe a consultare un
testo guardando solo le
figure.
Lo stile Liberty fu di più,
perchè fu adottato come
denominatore espressivo
comune da gente
contemporanea soggetta a
bombardamenti innovativi di
non poco conto, gente che,
sottoposta a critica vele e
remi, certezze marinare
dall’alba delle civiltà, di
punto in bianco fu in grado di
attraversare l’Atlantico in un
terzo del tempo ed in una
frazione dei costi usuali
d’armamento.
Gente che inventava la
dinamo, le locomotive e
quindi le reti ferroviarie, i
motori esotermici ed
endotermici, dovendo
coniare nuove misure per
energie incommensurabili
con gli antichi sistemi.
Quanto vasto ed ignoto fosse
il nuovo orizzonte della
misurazione delle potenze è
espresso dall’adozione in
misura del patetico
callo/vapore, connubio tra
quanto di più potente allora
potesse immaginarsi ed il
nuovo ”miracolo generatore”
dell’acqua bollita.
La seconda rivoluzione
industriale era insieme
madre e figlia di tanto
fervore creativo, che
produceva macchine
agricole e fertilizzanti
alimentandosi di
maggiori possibilità
distributive.
La gente del
Liberty
comunicava
via
telefono
su
distanze
intercontinen-
tali,
poichè
oceani
e
continenti
erano
appena stati
cablati. Certo
l’abate Caselli,
visto che il telefono
c’era già, inventò il
”pantelegrafo”, ossia
un
pantografo-telegrafico
per inviare immagini e
messaggi in fac-simile, oggi
fax.
E la gente Liberty rendeva
praticabile la fotografia e ne
cominciò ad usare ed
abusare, ritenendola da
principio un succedaneo
sbrigativo di pennello e tela.
Ma le attrezzature fecero un
gran progresso, così i
fotografi i fratelli Lumière
proiettavano il primo
cortometraggio e già
s’ipotizzava un cinema
parlato e con movimento di
immagini più reali e di più
lunga durata.
La gente del Liberty parlava
tecnicamente, quindi con
realismo, di scavi sotto la
Manica o sotto lo stretto di
Messina, chimica e
meccanizzazione
producevano dieci volte più
frumento per ettaro di
quanto non fosse stato
possibile fino a pochi anni
prima.
Probabilmente suo
malgrado, il piccione tornò
più presente sulle mense
piuttosto che in funzione
postale.
La gente del Liberty
usava la
Linoty
pe,
madrina
indiscussa della
larga informazione, e la
stampa fece un balzo in
avanti perché non solo
bisognava far prima e di più,
ma la neonata scienza della
comunicazione imponeva i
suoi imperativi congeniti:
fare meglio e sorprendere.
Chèret stampò i suoi disegni
in litografia e nacque il
manifesto-rèclame per
stupire e attrarre pubblici
sempre più vasti di curiori ed
estimatori. Anche Toulouse
Lautrec espresse la sua
genialità con tocco arguto tra
l’ironico e il realista, facendo
arte anche in questa inedita
forma che si svilupperà e
diventerà in breve
irreversibile. Alla croce del
Sud, alla croce runica e a
quella cristiana si aggiungeva
la croce della pubblicità.
Intanto si scoprivano
nuovi elementi
e nuove
radiazioni, mentre l’igiene
assurgeva a imperativo
sociale; e mentre si studiava
il bacillo della turbecolosi e si
sperimentava
l’ummuno-vaccinazione,
qualcuno meno complessato
e modesto degli altri
cominciò a girare lo sguardo
in su, verso il cielo. ”In fondo”
deve aver pensato Otto
Lilienthal lanciandosi dalla
sommità della collina, ”è un
fatto tecnico”. Si passava
quindi dallo studio
dell’aerostatica
all’aerodinamica, che
sarebbe culminato poco
dopo nel salto epocale dei
fratelli Wright a Kitty Hawk,
con macchina volante e
motore a scoppio
autoco-
struiti.
Frattanto l’ingegner
Lesseps, davanti ad una carta
d’Egitto a grande scala,
valutava se un piccolo taglio
a Suez avrebbe potuto
abbreviare i traffici da e per
le indie di qualche mese.
Questa era la gente del
Liberty; ma il Liberty
dov’era? Tutto il costume era
paludato e ”rispettabile”
come le gambe dei tavoli a
Buckingam Palace.
L’architettura non rifletteva
l’aria dei tempi. L’industria
continuava a produrre
mobilie riproducenti stili
neo-barocchi o neo-rococò e
neo-classici e le abitazioni
borghesi sfoggiavano sempre
ed esclusivamente oggetti
”in stile”, punto espressione
dei profondi cambiamenti
occorsi nel secolo. Semmai
l’industrializzazione
cominciava a manifestare
fatture troppo
distanti dagli
standards
artigia-
nali
soliti (le
regole
dell’arte), ed
anche i materiali
dichiaravano una
qualità in discesa.
Moda e abbigliamento non
indicavano cambiamenti
sensibili. Gli abiti
rigorosametne scuri con
camicie inamidate per
l’uomo non apparivano
meno austeri nelle donne,
con qualche frivolezza in più,
ma sempre ridondanti in
tessuti e mano d’opera.
Non rivelavano ne favorivano
quindi, per foggia e volume,
la nuova etica improntata al
dinamismo.
In tale compostezza formale
la fabbrica procedeva a ritmi
esasperati, complice il nuovo
mito del ”libero scambio”,
contribuendo al primo
manifestarsi del processo di
globalizzazione e alla
contestuale definizione del
pericolo pubblico ”numero
uno” d’ogni ambito
industralizzato: la crisi
recessiva. Nota fino allora più
come eventualità
sperimentale che come fatto
reale, quando avvenne fu
all’altezza dei tempi, quindi
gloable per l’effetto
”domino” e senza scampo. La
decimazione delle imprese, il
licenziamento degli operai, la
contemporanea crisi dei
tempi e una conversione
produttiva istantanea
verso dimensioni
regionali o
nazionali.
Dalla prima
Internazionale
e dalla
Comune di
Parigi (fatti
di portata
tanto
vasta da
non
poter
esser
trat-
tati
che
in
maniera
tangenziale in
questa
modesta
riflessione),
fu chiaro che
l’arena
socio-politico-economica avrebbe
dovuto fare i conti
con un nuovo e
determinante interlocutore,
una classe operaia
consapevole e in grado di far
valere i suoi diritti in quanto
organizzata. Il capitalismo
aveva ormai avviato il suo
processo di revisione
conoscendo le conseguenze
che avrebbero provocato la
resistenza alle istanze
sindacali, e in questo clima di
consapevolezza si ricominciò
una ansimante risalita.
Nell’ultimo decennio del
secolo, certe ”intemperanze”
femministe in America
evidenziavano che se i
sovvertimenti
tecnico-economici potevano
essere gestibili, i
cambiamenti conseguenti ad
un adeguamento del
pensiero e delle coscienze
sarebbero stati ben altra
cosa.
Nel clima fiducioso delle
innovazioni e preoccupato
per le controindicazioni,
alcune proposte
identificative, vennero
offerte dalle espressività
artistiche, sempre in
avanscoperta rispetto alla
contemporaneità ”normale”.
Il primo strattone ai
riferimenti accademici in
pittura, venne dalla Francia
con il movimento
Impressionista. Dopo aver
dato un primo colpo alle
tradizioni centenarie
dell’espressione pittorica
stravolgendone canoni
rassicuranti e consolidati,
resistendo alle aspre critiche
iniziali, venne accettato e via
via imitato da tutti i paesi
dell’area occidentale e
riconosciuto quindi come
espressione legittima ed
omologata degli artisti che vi
si identificano.
I Simbolisti Decadentisti
rappresentanti dai francesi
Verlaine e Mallarmè avevano
avviato dopo il fallimento
della poetica naturalista
ispirata al romanzo verista
zoliano, il loro processo
rivoluzionario degli schemi
classici, accendendo gli animi
di giovani artisti verso una
poetica ”moderna” e libera di
esprimersi attraverso
individualità e sensibilità
personali.
La fruizione pubblica dei
Manifesti-rèclame, sorta di
divulgazione popolare delle
arti figurative, aveva aperto a
persone d’ogni ceto sociale la
strada prima elitaria al
godimento del ”bello” e una
nuova ”democrazia estetica”
alitava sull’educazione.
Si cominciava a intravedere
nell’arte applicata in ogni sua
espressione, dall’architettura
all’arredamento e alla
decorazione come
all’oggetto d’uso comune, la
possibilità di rendere
disponibile un disegno
riproducibile industrialmente
(industrial design) o
artigianalmente (arts and
crafts letterale), che
consentisse a bassi costi,
produzioni non più elitarie,
ma orientate verso una
scelta di fruibilità allargata,
quindi sociale, del nuovo e
del bello.
Si veniva delineando con
chiarezza sempre maggiore
la prospettiva di una nuova
filosofia di vita. Nella gente
del Liberty si avviava a
maturazione il concetto di
”moderno” e di ”originale” e
la necessità di caratterizzare
come appartenenti al proprio
periodo culturale quei
processi espressivi che
andavano ormai
incruentemente
omologandosi.
Queste espressioni in pittura,
in musica, in letteratura,
nella tecnica e
nell’architettura, in oggetti
d’uso come nei
comportamenti, erano la
parte emergente di
quell’iceberg gigantesco che
staccatosi dalla banchisa
della storia, aveva impiegato
decenni per caratterizzarsi in
una silente e buia profondità,
mostrandosi quindi
all’improvviso nello
splendore esplosivo del
secolo contrassegnato dalle
più profonde innovazioni di
tutti i tempi della storia.
Appunto il Liberty.
10
conquiste del lavoro
VIA PO cultura e società
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
L’artedelfare con le mani
ViaPo ha incontrato il maestro Vincenzo Grenci, le sue pipe sono piccoli gioielli di perfezione
di MARIA TERESA GALATI
L
a bellezza salverà il
mondo, scriveva
Dostoevskij. La
bellezza può salvare le
nostre vite da una
quotidianità distratta, può
farci sentire vivi, davanti
allo schermo di un
computer e nella vita di
ogni giorno. La puoi
ritrovare in ogni piccola
cosa, anche in una
giornata uggiosa trascorsa
in piacevole compagnia
tra i boschi di una terra
genuina, ricca di valori, e
fatta di tanta passione,
dove ogni radice di erica
arborea può diventare
un'ottima pipa. In un
paese arroccato nel cuore
delle serre calabre,
Brognaturo, ancora oggi si
trova il laboratorio
artigianale della famiglia
Grenci. Qui la bellezza è
arte. Fino al 1998 il
maestro Domenico ha
lavorato per anni la
famosa e tanto apprezzata
"erica arborea", che è un
legno, molto speciale e un
po’ misterioso. Lo fornisce
il ciocco, una specie di
palla o di grossa patata
che si sviluppa sotto terra.
È un ingrossamento,
un’escrescenza che si
forma nell’apparato
radicale di un arbusto
appunto l’Erica Arborea.
La radica di Calabria, che il
maestro utilizza per creare
le sue pregiate pipe tutte
naturali a finitura liscia,
senza essere tinte ma solo
rifinite a cera, apprezzate
nel mondo dai veri
intenditori. Il maestro
intagliatore, è emigrato
negli Stati Uniti per
necessità e si è fatto
conoscere per l'abilità. Il
figlio racconta come il suo
datore di lavoro avesse
creato una vetrina dove il
maestro creava le pipe
scolpendo i volti dei
passanti. Una volta
ritornato in Calabria,
produceva pochi ed unici
esemplari, veri capolavori,
spesso personalizzati,
curati in ogni particolare
per soddisfare ogni
differente esigenza con
l’impegno di chi pensa al
fumatore che le gusterà.
Come il Presidente Pertini
che ne era un grande
ammiratore e che nel
1997 lo insignì del titolo di
Cavaliere della
Repubblica. Oggi continua
la sua passione il figlio
Vincenzo. Ti accoglie con
gli occhiali sulla fronte, in
camicia scozzese, nel “suo
mondo” con il suo
inseparabile amico,
Enrico, il pappagallo. Un’
ora di storia e di storie, da
cui emerge una figura
alternativa, poliedrica, con
le sue convinzioni molto
radicate che difficilmente
può cambiare. Vincenzo è
un Maestro artigiano ed
un maestro di vita. Come
stare in un luogo dove il
tempo scorre lento, la
produzione è lenta,
piacevole, e per un po’ hai
l’impressione di scrollarti
di dosso tutte le
incombenze del
quotidiano. La storia della
pipa italiana è una storia
lunghissima e si modifica e
si trasforma e, continua a
dar vita ad oggetti unici e
riconosciuti sul mercato
mondiale quali prodotti di
alta qualità. La pipa ha una
sua forza che, tramandata
di padre in figlio, resiste
alla corsa convulsa dei
nostri giorni dando vita ad
un oggetto con origini
antichissime. Non si fuma
la pipa perché dipendenti
dalla nicotina, ma perché
si vuole celebrare un rito.
Classiche, libere, dritte,
curve, medie, grandi. Ogni
fumatore sceglie la forma
che più lo rappresenta La
pipa in origine non veniva
usata per il tabacco ma
solo come attrezzo per il
fumo, come testimoniano
gli scritti pervenutici˘da
Erodoto, Plinio il Vecchio e
Plutarco fino ad arrivare ai
Greci e ai romani. Alla
metà del 1800 risale la
pipa in radica che presto
rimpiazzò ogni altro tipo di
pipa per la sua resistenza,
economicità e per la bontà
che conferiva al gusto
della fumata. E' difficile
affermare dove nacque la
pipa in radica perché molti
artigiani in tutta Europa ne
rivendicarono la paternità.
L'industria italiana si
affermò nell'ultimo
dopoguerra mentre la
produzione inglese si
distinse per la ricerca di
una qualità elevata dal
punto di vista della
materia prima, e in Francia
dell'estetica. La pipa è un
oggetto sempre più
ricercato, ma non come
prodotto di alto consumo
quanto come oggetto da
collezione, dalle qualità
sempre più elevate e
dispendiose. Fumo e
letteratura hanno sempre
avuto un legame stretto,
un legame che viene
raccontato tra le righe dei
romanzi, ma è anche
consuetudine privata degli
scrittori, per alcuni dei
quali il fumo è intimo
confidente che aiuta alla
riflessione. In libreria non
è insolito imbattersi in
titoli, più o meno
fantasiosi, che
introducono a descrizioni
di sigari e sigarette che
nulla hanno a che fare con
saggi o manuali più o
meno avvincenti che
dettano le regole per il
mantenimento della
buona salute, ma che si
soffermano sugli aspetti
più estrosi di questo puro
piacere. Un giro tra le
miriadi di libri ci farà
scoprire i nomi di autori
noti e meno noti che, pur
se con motivazioni
diverse, hanno fatto del
fumo della pipa la loro
fonte ispiratrice. Di
Georges Simenon è “La
pipa di Maigret”, una
raccolta di quattro
racconti in cui proprio la
pipa del commissario
francese gioca un ruolo
fondamentale nella
soluzione di altrettanti
casi risolti da uno dei più
celebri investigatori della
letteratura. Lo stesso
Svevo non si limitò al
piacere di fumare di Zeno,
ma nella raccolta “Del
piacere e del vizio di
fumare” riunì vari brani di
diario e rari articoli di
giornale, tutti incentrati,
per l’appunto, sul vizio e
sul piacere del fumo.
Fumare la pipa è più che
un piacere, ci dona del
tempo, attenzione e
passione. E' l'oggetto di
coloro che sono alla
ricerca di un gusto
particolare o di un
differente modo di essere.
Da paziente artigiano il
maestro Grenci sceglie
con accuratezza la radice
di erica, riservando ad
ogni taglio la sua sagoma,
la lunga stagionatura, con
il metodo e la pazienza di
sempre, il procedimento
di bollitura. La radice
quindi dopo essere stata
tagliata, sezionata, bollita
e stagionata, almeno dieci
anni, viene lavorata.
Quando il maestro lavora
le placchette di radica,
mantenendo intatta la
fiamma (venatura del
legno) entra in uno stato
di beatitudine. È bello
incontrare uno che ci
crede. Che crede nel
proprio lavoro, nelle cose
che fa, nella materia che
tratta. Senti che l’ama
questa materia, la sfiora
ed è una carezza, la guarda
ed è una carezza. Grenci
crea il modello a seconda
del suo estro creativo, poi
con la carta abrasiva passa
alla finitura, la cera
carnauba per levigare ed
infine la marchiatura. E
l’occhio di pernice? Solo le
pipe Grenci riescono ad
avere l‘occhio di pernice a
quattro quarti. Chi crea
pipe medita. Così come chi
le fuma. Le nuove
generazioni, dal suo
appassionato racconto,
trarrebbero sicuramente
ispirazione, con la pipa si
eleva il piacere e si
celebrano tutti i sensi: il
gusto, l’olfatto, il tatto e la
vista. Nella piccola
bottega, dove spuntano
pianoforti a coda da
restaurare, una lira che
piano piano prende forma,
due zampogne attaccate
al muro pronte per essere
suonate alla novena di
Natale, ed il maestro con
passione da un assaggio di
questa dolce melodia, tre
ciaramelle finite o quasi,
racconta il suo lavoro e la
sua filosofia di vita.
Racconta, con occhi pieni
di gioia di chi ha una
grande passione, perché le
sue pipe sono famose per
la sua ottima fattura,
riuscendo a non deludere
mai l'esperto intenditore,
restituendo sempre un
dolce sapore fatto di arte
e originalità. Grenci,
sinonimo di qualità,
artigianalità ed esperienza
maturata nel tempo che
tutt'ora continua a
diffondere il suo
messaggio di lavoro e
passione. L’oro d’Italia è
fatto di artigiani: cappellai,
enologi, liutai, produttori
di vetro, di pipe i cui
mestieri affondano le
radici nella tradizione,
nella passione e nel
tramandare questi
mestieri. E' l'arte del fare
con le mani.
11
VIA PO cultura e società
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
conquiste del lavoro
S
i rischia sempre
il campanilismo,
ognuno di noi
sogna la sua piccola
fetta di unicità. I
messinesi
accampano la scusa
del terremoto, i
beneventani i
domini longobardi,
io c'ero prima, io di
più, e via cantando.
Vale anche per i
quartieri. E se ne
avvantaggiano le
periferie. Mica per
niente. A Roma c'era
l'essenziale, ma le
meglio battaglie si
sono giocate un po'
più in là. Fidene è
Fidene. Il Parco delle
Sabine può valere
quanto il Colosseo.
Che poi è un
doppione. Ai tempi
di Nerone c'era uno
specchio d'acqua, ci
nuotavano animali
pescati in giro per
l'impero, un
boschetto
d'importazione con
bestie anche lì
raccattate di qua e di
là. Nerone si dice. E
dov'è morto
Nerone? Che
domande! Al Tufello.
Senza fare battute.
Pure Nerone. Non in
uno scontro a fuoco,
e non dopo esser
stato gambizzato.
Nell'abitazione del
liberto Faonte. Oggi
ci sorge un gruppo
residenziale. Come si
chiama? I giardini di
Faonte,
appartamenti con
rifiniture di pregio
immersi nel verde,
recita lo slogan.
Fuori da noi ci
metterebbero su
Stonehenge, noi ci
abbiamo messo
garage, una Pam –
mancavano. Il resto
è da venire.
Quando Galba entra
a Roma, il senato
spicca la condanna a
morte. Dovendo
uccidersi Nerone
sceglie come ultimo
teatro la dimora del
caro Faonte. Ha con
sé la quarta sposa –
il giovane greco
Sporo – è titubante
sul gesto finale.
Implora i suoi di
finirlo, ne viene fuori
una bariffa, chi ha
affondato la lama a
chi. Nerone cade, gli
occhi fissano gli
astanti in uno
sguardo pieno di
sgomento e paura.
Al Tufello.
Il complesso
residenziale
ovviamente non è
immerso nel verde,
c'era prima del
complesso, la
dimora di Faonte del
resto era accampata
nelle Vigne Nuove
suburra romana
acchittata a
coltivazioni e vigneti.
Terra fertile, cave di
tufo, tutto
l'occorrente. Anche
oggi non a caso nel
quartiere si parla il
romanesco migliore.
Non è per vanteria di
residenti. Le borgate
si sa si sono portate
con sé il meglio. Si
chiamano borgatari,
ma ci si dimentica
che il borgo era
quello di via della
Conciliazione.
Nelventredi Roma
Seconda puntata: il Tufello, una delle borgate storiche della capitale
di MARCO MAUGERI
Mussolini voleva la
vista su San Pietro,
sfollò circa diecimila
quattromila
famiglie, per la
somma di qualche
decina di migliaia di
persone. Residenti
del centro vivevano
nella Roma
Rinascimentale, le
case accerchiavano
la costruzione della
basilica al punto che
il colonnato del
Bernini fungeva più
come sfollagente,la
cupola appariva
altissima agli occhi
dei visitatori che
uscivano pelo pelo
da un groviglio di
stradine. Li
mandarono tutti
nella suburra. Vigne,
tufo. Tutti romanisti
perché del duce si
diceva la lazialità –
Piola, i mondiali –
tutti comunisti per
ovvio risentimento
contro Lui. Un
romanesco
meraviglioso come
potevano parlarlo
sotto i calcagni del
papa.
E' il Tufello quello di
ladri di biciclette. Al
povero Ricci
l'ispettore del lavoro
chiede i requisiti, “ce
l'hai una bicicletta”,
una folla di sfollati fa
“ce l'ho io!”. “Ricci,
ce l'hai sta bicicletta
si o no?”
Non ce l'ha
ovviamente, e male
gliene incoglierà. E
anche quello è il
Tufello.
Mi spiego, l'Eur è un
sogno, un'idea
futuristica e
realizzata di futuro.
Un futuro di
cartongesso, senza
profondità, ma
molto ben collocato.
Ma comunque
limitato. E'
inevitabile. Come nei
film di fantascienza.
Invecchiano alla
velocità della luce.
L'Odissea di Kubrick
appare oggicome un
ferrovecchio, la
parte più
avvenieristica è
quella finale piena di
vecchi quadri e
mobilio d'epoca. Le
scimmie dei primi
venti minuti
sembrano proiettate
in un tempo
successivo alla
patetica astronave di
latta. Il Tufello
attraversa la storia
tutta di questa città.
Nel bene e nel male.
Ci sono le Sabine, c'è
Nerone, ci sono gli
abitanti del borgo
cacciati da
Mussolini, c'è la
meglio malavita
degli anni settanta.
Antonio Mancini,
detto l'Accattone
per la somiglianza
con Franco Citti è
tutt'oggi uno dei
pochi sopravvissuti
della Magliana, ed è
del Tufello. Al
Tufello, c'è la lastra
dedicata al giudice
Amato, al Tufello
abitava Valerio
Verbano. C'è una
palestra in una
strada ampia del
quartiere che ne
ricorda il nome. E
non è una palestra
tanto per fare, è un
posto pulito,
importante, un
luogo di riscatto, e di
rigore. Ignoti
suonarono al
citofono
spacciandosi per
amici di Valerio,
legarono i genitori e
rimasero in attesa
del ragazzo. Quando
Valerio tornò su, lo
uccisero
lentamente, la
stanza accanto, i
genitori assistettero
– ascoltarono –
impotenti gli ultimi
guaiti del figlio. Una
dinamica totalmente
unica nel panorama
dell'epoca.
Impossibile da
assimilare al
terrorismo, perfino a
quello nero. Il nome
di Valerio ovunque.
Sulle pareti delle
costruzioni dei
ferrovieri, in quelle
del barocchetto
romano, nelle
lunghissime città
giardino un tempo
punteggiate di rose.
Un quartiere che è
un corpo, un
organismo vivente.
Si contano i caduti,
negli anni ottanta. Al
Tufello manca
un'intera
generazione, fra i
quaranta e i
cinquantacinque
anni. Morti, caduti in
guerra. Le case
abitate dalle loro
madri, invecchiate,
aperte a occupanti e
nuovi poveri.
Occupanti
regolarizzati, da
regolarizzare, gli
scrittori cincischiano
con l'idea del tufo
come pietra porosa,
assorbente, il Tufello
ha assorbito tutto. Il
meglio, il peggio.
Tutto insieme. Ci
sono le case più
belle, le città
giardino più
sontuose. E' sparita
la meglio gioventù
fra droga e malavita.
Adesso è arrivata
pure la metro. E' il
quartiere più vicino
al più grande centro
commerciale di
Roma – abusivo e
sanato – gli
immobiliaristi
c'hanno da un pezzo
messo gli occhi. Ci
abita pure
Buoncompagni li
vicino. I nuovi ricchi
ci possono fare un
pensierino, e a
qualcuno potrebbe
venire in mente di
sfollare quelli più
poveri. C'è una
nuova Garbatella su
cui speculare, c'è un
Trieste Salario da
mettere su tutto
nuovo fra Val
Melaina e via della
Bufalotta, le strade
sono ampie, è pieno
di alberi, ci sono
scuole e palestre a
gogò. Sta arrivando
la metro, c'è solo da
cercare una nuova
suburra, Corcolle,
tivoli, spingere più a
est, ci sono nuovi
ricchi da collocare, il
Tufello potrebbe
fare al caso loro: le
case sono basse, si
posteggia anche sui
marciapiedi, non
siamo mica a Talenti,
vedi il sole sorgere e
tramontare – non è il
Casilino – le città
giardino sono
sfiorite, ma il primo
giardiniere che ci
mette le mani. C'è
morto pure Nerone,
prima o poi
qualcuno se lo
ricorderà, Mitterand
quando venne a
Roma chiese subito
di poter visitare il
luogo dove fosse
morto Pasolini. I
delegati lo volevano
dirottare altrove.
Non avevano il
coraggio di confidare
al primo ministro
francese che
all'Idroscalo nessuno
si era preso la briga
di metterci una
targa, una pietra,
chessò. Lo
portarono in silenzio
nell'evidente
imbarazzo di
Mitterand, incredulo
di trovarsi davanti a
un pugno di terra e
erbacce. Succederà
qualcosa. E'
succederà al Tufello.
E' tutto sempre
successo al Tufello.
12
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
Tralepieghe dellacittà
Ripubblicato il libro di Silvio Negro, Roma non basta una vita
di COSIMO ARGENTINA
VIA PO letture
I
l punto di osservazione ideale
per descrivere un paesaggio,
una città o una comunità
probabilmente non esiste o è
frutto di una serie di ingredienti
come il talento, l’occhio
assoluto, la capacità di sintesi e
altro che raramente si
mescolano nello stesso
individuo. È però altrettanto
vero che per raggiungere il
nitore letterario a volte si renda
necessario il viaggio. Lo
spostamento. La modifica delle
coordinate date. Due pare
possano essere le direttrici di
movimento legate alla capacità
di descrivere i luoghi. O esserci
nati e poi allontanarsene e
riuscire a osservare ciò che si è
vissuto in una maniera del tutto
nuova e ripulita dei detriti del
quotidiano, come ad esempio la
Sicilia per il romano d’adozione
Camilleri. Il Caribe e
Barranquilla descritti da un
Gabriel Garcia Màrquez
adottato prima dalla Spagna e
poi definitivamente dalla
megalopoli di Città del Messico.
Il Marocco dell’ormai francese a
tutti gli effetti Tahar Ben
conquiste del lavoro
L
Jelloun. O il caso di James Joyce
che cantò Dublino da
cosmopolita quale era
diventato.
Oppure il movimento
diametralmente opposto:
arrivare in un paese o in una
città e farla talmente propria da
riuscire a scriverne
individuando quello che gli altri,
compresi gli indigeni, non sono
in grado di vedere. Anche in
questo caso ci sono esempi
illustri come quello di
Hemingway che descrisse la vita
in Spagna e il mondo popolare
cubano come fosse sempre
vissuto in quei luoghi. William
Burroughs e Paul Bowles,
nordamericani divenuti veri
cantori del Maghreb. Bruce
Chatwin che amò e descrisse
con fervore, lui britannico, la
Patagonia. Mario Rigoni Stern,
un italiano capace di mostrarci
gli anfratti e le schegge di legno
ghiacciato delle isbe e i solchi
della neve della Russia come
pochi al mondo e di contro
l’ucraino Scerbanenco che
seppe delineare il sottobosco
noir di Milano come nessuno è
inee di confine incerte. Quella
segnata dal mare, che separa l’Africa
dalla Calabria, oltrepassata da
imbarcazioni traboccanti di un’umanità
in transito. Un’altra linea di confine,
quella fatta dalle montagne, che
dividono l’Italia dalla Francia, percorse
prima dai partigiani e poi dai passeur.
Un’altra ancora, quella che separa la
fanciullezza dall’adolescenza, in cui i
sentimenti sono confusi, ma si fanno
sentire: “Ero curioso di lei: pensai che
quello che i grandi chiamano amore
fosse essere curiosi di una persona, e
metterci tutta una vita a conoscerla”.
Linee di confine. E’ questo il terreno
misterioso in cui nasce “Beltempo”, 144
pagine scritte da Saverio Pazzano e
pubblicate dalla casa editrice
Sabbiarossa, presentate in anteprima a
Reggio Calabria sabato 14 novembre.
Dentro c’è la Calabria in cui l’autore è
cresciuto, l’Africa che ha conosciuto
come volontario dell’associazione
Maestri di speranza, l’amicizia con Aldo
“Fieramosca” Chiantella, testimone
della vita coraggiosa dei partigiani di
Calabria. Una storia che prende spunto
dai fatti di cronaca all’ordine del giorno
ormai da anni, gli sbarchi dei migranti
sulle coste calabresi, per raccontarli da
un punto di vista diverso. Quello di un
ragazzino, Nino, che ha dalla sua la
curiosità vivace dei dodici anni, quello
di una giovane giornalista che non si
lascia distrarre dalla presenza delle
autorità e riserva un’attenzione
particolare ai dettagli che passano
inosservati, in cui si nasconde la verità
spesso invano rincorsa dalla cronaca, e
riuscito a fare dopo di lui.
Insomma gli esempi si sprecano
e pare che la tendenza a
portarsi dietro una certa
distanza dall’oggetto narrato,
analizzato, studiato, porti in
dote la capacità di smarcarsi da
una patina di indifferenza che
avvolge la stanzialità a oltranza.
E si deve al giornalista veneto
Silvio Negro uno dei libri più
peculiari e incisivi dedicati alla
città eterna, alla Roma degli
anni Trenta, Quaranta e
Cinquanta, alle sue pieghe, i
suoi reconditi risvolti umani e
paesaggistici senza tempo, ma
ricchi di una storia che nessuna
altra città può vantare.
La casa editrice Neri Pozza
riporta in scaffale un libro, una
raccolta di articoli, Roma, non
basta una vita, che ebbe già in
passato un suo indubbio
momento di gloria. L’autore era
arrivato nella capitale dalle
pianure vicentine negli anni
Venti chiamato dall’Osservatore
Romano. Per alcuni anni fu un
vaticanista di gran lustro per poi
approdare alla grande famiglia
del Corriere della sera,
redazione romana.
Collezionista di fotografie, di
Roma Negri poté apprezzare e
criticare tutto lo splendore e la
miseria di una città dalle grandi
vestigia che però visse come
molte altre grandi metropoli
italiane i decenni a cavallo delle
due guerre mondiali e il
dopoguerra degli anni
Cinquanta con un senso di
contraddizione determinata dai
contrasti sociali e urbani
dell’epoca.
L’occhio di Silvio Negro annota
tutto, scandaglia quartieri,
modi di dire e comportamenti
dei romani veraci e di quanti
arrivavano nell’urbe carichi di
speranza e prospettive a volte
appagate altre volte disilluse.
Negro passa al setaccio le
condizioni politiche, la
tradizione culinaria, i
movimenti sociali che
confluiscono in maniera
sistematica a Roma, il vero
ombelico del mondo
occidentale. Scrive anche dei
dintorni, di quel contorno
laziale che la città avrebbe
rosicchiato a partire dagli anni
Cinquanta, un pezzo alla volta,
trasformando le campagne in
quelle borgate che ispirarono
un altro uomo del nord
trapiantato a Roma: Pierpaolo
Pasolini.
Negro in sostanza si trasforma,
per il lettore, in una vera e
propria guida oltre che turistica
anche e soprattutto culturale
per chi volesse scoprire i segreti
e i percorsi alternativi della
città. Ci porta dentro i misteri
della colonna di Traiano,
davanti all’arco di Costantino,
lungo il Tevere. Annota
sfumature, circostanze, i risvegli
della città che fece tremare il
mondo, i suoi tramonti, le lotte
di potere, i templi trasformati in
rivendite, mercati, i negozi del
ghetto, i suoi ponti. Con lo
sguardo di un entomologo il
giornalista si ferma a studiare e
catturare i dettagli senza però
tralasciare la visione d’assieme
di una città – mondo
trasformata dalla sua abilità
nella miglior vetrina a
disposizione di un amante
dell’estetica e delle forme
architettoniche diluite nel
tempo. Negro rivolge la sua
attenzione sia al senso storico
sia a quello spirituale di un
luogo che la storia ha
consacrato e che
probabilmente resisterà tanto
quanto il pianeta in cui viviamo.
Silvio Negro, Roma, non basta
una vita, Neri Pozza, Vicenza,
Settembre 2014, pp. 395, euro
18,00
Lasaggezzadegliuominigiusti
Beltempo, un volume di Saverio Pazzano pubblicato dalle edizioni Sabbiarossa
di ELISA LATELLA
quello del “Vecchio”, che “…era stato
molte vite. E tutte libere”. Verrà fuori a
poco a poco, pagina dopo pagina, la sua
storia antica di rifugi e brigate
partigiane, di montagna e di Alpi, di
passaggi nascosti di clandestini in
Francia. La storia dei passeur, che
facevano arrivare clandestinamente in
Francia italiani in cerca di lavoro, è poco
nota. Ma molto, tanto, troppo simile a
quella delle migrazioni del
Mediterraneo. A guidare i barconi non
ci sono sempre e solo delinquenti senza
scrupoli. Ci sono anche disperati in fuga
da carcere e violenze, che hanno risalito
il deserto dell’Africa e a cui è stato
offerto, da criminali più furbi, il viaggio
in mare gratis: loro in cambio devono
tenere il timone di notte e, se non sono
bravi, risultare all’arrivo responsabili di
reati e tragedie. Per chi è dall’altra
parte gli scafisti sono loro. I cattivi sono
loro. Se aiuti queste persone in casi del
genere, rischi di essere incriminato per
favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina. Meglio far finta di non
vedere. Valla a raccontare la verità.
Salvo incontrare qualcuno che ha
tempo e voglia di ascoltarla.
Un barcone rantola come un
pachiderma che in acqua non ci
dovrebbe proprio stare e muore
davanti alla spiaggia, disperde vittime
migranti, per le quali il Mediterraneo
diventa una tomba. Per Nino la parola
nostalgia ha il significato di una mamma
lontana, che aspetta di partorire due
gemelli. Ma comprende che non è solo
questo. Nelle reliquie che risalgono dal
mare dopo l’ecatombe Nino intravede
fotografie, portafogli, ricordi. Se c’è un
uomo in mare, allora è la legge antica
dei pescatori, più solidale e umana di
tante leggi dello Stato italiano, che
prevale. E di uomini, donne e bambini
in mare ce ne sono tanti. Il Vecchio,
nonostante l’età, è il primo dei
soccorritori. Corpi denutriti e deboli: a
volte non ce la fanno a far bastare lo
sforzo di braccia sconosciute e amiche
che tentano di strapparli alla fine.
Braccia di quelli che non sono vincitori,
né vinti, di quelli che la Storia ha
chiamato più volte “uomini giusti”.
Nino osserva e impara a capire ciò che
vede. Impara a distinguere le recite e le
passarelle dei politici dagli occhi di
Prosper ( un immigrato? Uno scafista?
Un buono? Un cattivo?), occhi che
hanno dentro le strade del mondo e la
voglia di essere creduti. Impara a
distinguere il volo delle telecamere
verso le autorità dagli occhi attenti di
chi guarda dalla spiaggia ciò che gli altri
ignorano. Impara a fare domande che
pretendono solo risposte da adulti. “Ma
tu sei una giornalista?” “Sì, ma di quelle
che non volano”. Impara a volere
conoscere il passato, la storia del
Vecchio, per capire il presente. Per
capire da dove nasce quell’esperienza,
quella saggezza, quella capacità di
distinguere ciò che è giusto da ciò che
non lo è, anche se lo sembra.
E impara quel nome speciale che
diventerà il suo: Beltempo. Quello che
al Sud sembra non mancare mai, ma in
realtà non è ancora arrivato. Quello che
verrà, con un vento di cambiamento
atteso da chi ha l’incoscienza, o forse
solo il coraggio, di crederci.
Saverio Pazzano, Beltempo,
Sabbiarossa Edizioni, Reggio Calabria
2014, pp. 144, euro 13
13
A
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
lla fine del XIX secolo, quando Proust era
adolescente, la sua amica e coetanea
Antoinette Faure (figlia del futuro
presidente della Repubblica francese Félix
Faure) gli propose di rispondere, per iscritto,
a una serie di domande presenti su un album
in lingua inglese intitolato An Album to
Record Thoughts, Feelings, etc. (un album per
conservare pensieri, sentimenti, etc.).
Al tempo, infatti, presso le famiglie inglesi era
piuttosto diffusa l’abitudine di rispondere a
questionari simili, spesso nel corso di
intrattenimenti sociali. Anni dopo l'album fu
ritrovato da André Berge, uno dei figli della
Faure, che nel 1924 pubblicò per la prima
volta le risposte di Proust. Nel 2003 il
manoscritto originale è stato venduto all’asta
per la somma di 102.000 euro. In seguito
Proust rispose a un secondo questionario. In
cima al foglio scrisse di proprio pugno:
"Marcel Proust par lui-même" (Proust
raccontato da Proust). Tra l’una e l’altra
versione, le domande sono simili ma non
identiche e le risposte dello scrittore piuttosto
diverse. Alcuni programmi televisivi, in diversi
Paesi, hanno fatto uso del questionario,
rivolgendo le domande a personaggi celebri.
È il caso del francese Apostrophes condotto
da Bernard Pivot o dell'americano Inside the
Actor's Studio condotto da James Lipton.
Il questionario di Proust: Tessa Gelisio
Unesempiodivita
ricondottaallavoro
conquiste del lavoro
Conquiste da Star
P
orta da sempre in televisione e in libreria le
sue passioni: l’ecologia, il benessere, l’alimentazione corretta. Non fa
fatica, infatti, ad ammettere
che tra il lavoro e la
quotidianità privata non c’è
poi una così grande differenza, tant’è che quest’anno passerà anche più tempo sul piccolo schermo. Tessa Gelisio,
infatti, in onda tutti i giorni
con la sua rubrica Cotto e
Mangiato su Italia 1, ha inaugurato il sabato mattina, su
Canale 5, un nuovo programma, InForma – Dimensione
Benessere, dove si parla di alimentazione, stile di vita sano, wellness, medicina. Inoltre è da poco in libreria con
un volume sui suoi ultimi menu. Si intitola Le ricette per
star bene, buone ma non necessariamente light. “Non
sto a guardare tanto le calorie, perché un piatto può
averne poche ma non essere
sano - precisa la Gelisio -. Preferisco pensare al benessere
e quindi alla scelta degli ingredienti”. Biologici e di stagione, s’intende. “Così come nella rubrica televisiva, anche
per le ricette riportate nel libro c’è una maggiore attenzione alle cosiddette ’minoranze alimentari’ - spiega -. Ci
sono piatti vegetariani e vegani, ma anche adatti a diabetici, celiaci, intolleranti a latticini e per chi sta attento alla linea”. Consigli, insomma, ne
dispensa in quantità, anche
attraverso il suo blog www.
ecocentrica.tv. A noi ha rivelato da chi, invece, nella vita, li
ha sempre ricevuti.
Quale tratto del suo carattere considera prevalente
nei rapporti di lavoro?
L’empatia e la spontaneità.
Qual è invece il difetto che
tenta più spesso di nascondere?
Sono troppo diretta: non riesco a dire bugie. A volte è meglio che stia zitta
Qual è la qualità che apprezza maggiormente nelle
sue colleghe e nei suoi colleghi?
Nelle donne ammiro la praticità e lo stacanovismo. Normalmente le donne lavorano
di più e sono più organizzate
rispetto agli uomini. Loro invece sono più bravi nelle pubbliche relazioni e così fanno
carriera più facilmente e più
velocemente rispetto alle
donne.
Cosa invece non sopporta
del suo ambiente di lavoro?
I pettegolezzi. Ce ne sono tanti.
Ci sono debolezze o colpe
altrui che le ispirano indulgenza?
La timidezza e la poca esperienza, se si ammettono.
Sul posto di lavoro possono incontrarsi dei veri amici?
E come li riconosce?
Certo. Devo dire, innanzitutto, che questo ambiente di lavoro è migliore di come lo si
immagina. O almeno io sono
circondata e ho avuto la fortuna di lavorare con persone
meravigliose, molto affini a
me. Credo che gli amici si rico-
noscano perché sul lavoro ti
aiutano se sei in difficoltà.
Qual è stato il suo primo lavoro?
Vendevo dei braccialetti in
pelle con le borchie, fatti da
me. Era il periodo dei metallari.
Qual è stata la reazione al
suo primo stipendio? E all’ultimo?
Ero molto soddisfatta. Fin da
piccola ho avuto uno spirito
di autosufficienza e di indipendenza. Non volevo dipendere dai miei genitori e la libertà è sempre stata la mia
parola chiave. Quanto all’ultimo compenso, devo ammettere che, pur essendo una privilegiata, mi sono ritrovata,
da un po’ di tempo, a lavora-
re il doppio per guadagnare
la metà rispetto a qualche anno fa.
Qual è il suo rapporto col
sindacato? Perché?
Non c’è mai stato, perché sono una freelance. Inoltre, ho
sempre fatto vari lavori, da
giornalista a conduttrice ad
autrice. Fino a poco tempo fa
versavo i miei contributi in
casse diverse. Credo comunque che il sindacato debba
rappresentare e tutelare anche i liberi professionisti. Il futuro va in quella direzione:
partite iva, freelance e precari saranno la maggioranza rispetto ai lavoratori dipendenti.
Fare quello che fa è sempre stato un suo desiderio?
Devo dire di sì. Da piccolina
mi sarebbe piaciuto diventare direttrice di un parco nazionale, poi avrei voluto salvare
il mondo. Ho declinato, quindi, in maniera diversa, queste
mie aspirazioni.
Qual è stato il momento in
cui ha pensato di avercela
fatta?
Non c’è mai stato, perché
non credo riuscirò mai a raggiungere nella vita tutti gli
obiettivi che ho. E’ uno stimolo per fare sempre meglio.
Quali sono, secondo lei, i
segreti del successo nel lavoro?
Impegno e costanza.
Se non avesse fatto quello
che fa, chi sarebbe stata
ora?
Probabilmente lavorerei in
qualche associazione ambientalista, sul campo.
Chi si sente di ringraziare
per quello che è ora?
I miei genitori e mia nonna
che sono stati fonte di crescita, di miglioramento e anche
di libertà di essere quella che
sono. Ho avuto quattro nonni
meravigliosi, ma una in particolare, nonna Elena, quella
ancora viva e che ha 90 anni,
è sempre stata per me uno stimolo a fare qualcosa nella vita, a dimostrare qualcosa a
lei e a tutta la mia famiglia.
Lavoro e vita privata: vanno sempre d’accordo?
Direi di sì. Ho trasformato il
mio lavoro in vita privata.
Ha dei rimpianti?
Non aver completato l’università. Studiavo Scienze ambientali.
Il suo motto è?
Pensa positivo
Quando non lavora che
fa?
Faccio sport, cene con gli amici e leggo tantissimo.
Ha un sogno non ancora realizzato?
Tantissimi. Il principale è acquistare un enorme pezzo di
foresta tropicale con l’associazione di cui sono presidente, forPlanet, e preservare habitat a rischio. Vorrei insomma riuscire a far qualcosa di
pratico per salvare un pezzo
di foresta e cambiare le cose
concretamente.
Stefania Saracino
Dinuovoall’Opera,
nasceilmodelloRoma
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
14
Teatro. Il Costanzi era in bancarotta, ora la Fistel vuole esportare a tutta la lirica l’accordo che l’ha salvato
cronache
P
artitura nuova per
orchestra e coro.
Queste le note dell’accordo per il Teatro dell’Opera di Roma
che ha scongiurato 180 licenziamenti, offrendo nel
contempo un innovativo
modello per coniugare le
professionalità nel lavoro
artistico con necessari livelli di efficienza e produttività.
Dopo scioperi, proteste in
musica sulle note del Va
Pensiero, minacce di licenziamenti collettivi è finalmente arrivato l'accordo
tra i sindacati del Teatro
dell'Opera di Roma e il management della Fondazione. Sono salvi 180 musicisti di coro e orchestra. L'intesa è stata sottoscritta il
17 novembre scorso da Fistel Cisl, Slc Cgil, Uilcom
Uil e gli altri i sindacati rappresentanti i lavoratori
dell’Opera, approvato in
Consiglio di amministrazione della Fondazione, ratificato infine dai lavoratori con un voto plebiscitario – solo in 7 votano no,
contro i 400 favorevoli.
L’accordo prevede una razionalizzazione organizza-
tiva, un controllo dei costi
diretti e indiretti del lavoro, una rimodulazione generale in termini di produttività, con un risparmio di oltre 3 milioni di Euro in due anni, necessario
per far uscire il Teatro dell’Opera di Roma da una crisi irreversibile che ne minacciava la stessa sopravvivenza.
Un’assunzione di responsabilità da parte di sindacati e lavoratori, dopo
un’estate di fuoco che aveva visto schierati su fronti
contrapposti una parte
dei lavoratori e una parte
dei sindacati, con la Fistel
Cisl protagonista di un primo accordo, di certo favorevole ai lavoratori, che
per l’oltranzismo barricadero di una minoranza di
musicisti aveva provocato
la cancellazione di prime e
spettacoli con gravissime
ripercussioni anche a livello di immagine per gli orchestrali e il Teatro dell’Opera di Roma.
La Fondazione ha dato
prova di voler conciliare la
necessità di risanare i conti in rosso che gravano da
tempo con la salvaguardia
dei posti di lavoro, di personale di eccellenza per la
cultura italiana.
Per la prima volta vi è stata l’applicazione di logiche di razionalizzazione,
efficientamento e analisi
dei costi esattamente come avviene nei settori privati di ogni genere applicata in una realtà pubblica,
per di più specifica come
quella dell’arte e della cultura. Occorre individuare
un nuovo mix per sostenere le manifestazioni artistiche in un periodo di crisi
profonda, come quello
che stiamo vivendo, di abbattimento dei consumi,
in particolar modo quelli
legati al tempo libero. Per
rilanciare l’Opera di Roma
è necessario ridurre gli
sprechi e razionalizzare i
costi.
Le giornate di sciopero attuate nel cartellone estivo
di Caracalla e le dimissioni
del Maestro Muti dalla direzione artistica hanno
inasprito il conflitto, ricucito con l’impegno paziente
e convinto del sindacato,
che ha permesso di ricostruire il senso di responsabilità dei lavoratori da
un lato e della Fondazione
dall’altro, raggiungendo
così un risultato importante.
“È un successo per tutta la
città - commenta il segretario generale della Fistel
di Roma e del Lazio Paolo
Terrinoni - ora i lavoratori
del Teatro dell'Opera possono tornare al lavoro con
serenità e serietà. Il nostro obiettivo è sempre
stato assicurare la vita di
un’istituzione come l'Opera di Roma e il suo rilancio, garantendo i livelli occupazionali che rappresentano l’eccellenza per
l’Italia e il mondo. L’unico
vero rammarico sta nel
fatto che i contenuti dell'
accordo che ci hanno portato a salvare 180 posti di
lavoro sono peggiorativi rispetto all'accordo di luglio, quando i lavoratori
non perdevano nemmeno un euro. Oggi, per salvare i posti di lavoro i 3 milioni di euro di risparmio ricadono tutti sul salario accessorio”.
Flessibilità sull’organizzazione del lavoro, aumento
della produttività, internalizzazione di attività di produzione e saving, queste
le parole chiave di un accordo rivoluzionario per il
settore pubblico e della
cultura. Risultato di tutto
ciò saranno: l’aumento
delle numero di recite e
balletto a calendario nel
corso delle prossime stagioni, promozione delle attività sul territorio in modo da attrarre l’attenzione del pubblico e in particolar modo dei giovani,
con iniziative che coinvolgano le scuole, massimo rigore nella buona gestione
delle risorse economiche.
Finalmente verrà attuata
una sana amministrazione e il giusto rilancio delle
attività dell’Opera di Roma troppo spesso ignorata dal grande pubblico o
relegata a consumo elitario per i non più giovani.
“Siamo soddisfatti del risultato raggiunto - afferma il segretario generale
della Fistel Cisl Vito Antonio Vitale - non solo perché mette al riparo una
prestigiosa istituzione cul-
turale di Roma dagli effetti di una lunga crisi, ma soprattutto perché consente un approccio innovativo nell’organizzazione del
lavoro in un contesto peculiare come quello artistico, chiamato in ogni caso
a misurarsi con le esigenze di bilancio e di
sostenibilità delle Fondazioni liriche e artistiche in
genere. Abbiamo dato
prova, noi della Fistel ora
come già in passato, di
una visione lungimirante,
non appiattita sulla conservazione di istituti contrattuali ormai datati. La
nuova frontiera del lavoro
nella cultura è coniugare i
grandi valori di questo settore in una logica di mercato, attraverso la diffusione delle opere liriche e del
balletto non più solo per
un elitè ma per un più
grande e magari giovane
pubblico. Quella del teatro dell’Opera di Roma - dice Vitale - non è una questione isolata; siamo impegnati con altre Fondazioni
liriche che si trovano in difficoltà e intendiamo continuare a proporre un modello funzionale, capace
di risolvere i problemi di
lungo periodo e assicurare un rilancio stabile e duraturo per una parte fondamentale della tradizione culturale italiana come
quella della lirica e del teatro”.
Ubaldo Pacella
Così è cambiata la musica
I
punti dell’accordo tra sindacati e Fondazione che ha evitato 180 licenziamenti e aperto una nuova stagione per
il Teatro dell’Opera di Roma:
- congelamento della parte accessoria
della retribuzione quali il PdR e cancellazione delle indennità sinfonica;
- riduzione dei cachet previsti per ruoli
solistici del coro;
- compensazione prolungamenti orari
attraverso una banca ore per un limite
massimo di 8 giorni in due mesi per il
personale artistico;
- compensazione orario straordinario
per personale tecnico per un limite di 8
ore bimestrali;
- riduzione compensi fuori orario dei
Professori d’Orchestra;
- verifica del possibile riutilizzo di materiale scenografico e costumi stico giacente nei magazzini;
- massimo rigore amministrativo per
una buona gestione delle risorse economiche;
- aumento delle produzioni artistiche
nel Teatro Costanzi e a Caravalla;
- promozione e diffusione della produzione lirico sinfonica e del balletto per
attrarre l’interesse del pubblico;
- promozione di attività con Scuole e
territorio per incrementare l’interesse
del pubblico
BREVI Fnp
a cura di Ileana Rossi
conquiste del lavoro
Emilia Romagna: ’Il terremoto elettorale
si sana con la concertazione’
“Le elezioni regionali sono state un terremoto in Emilia Romagna, per cui la risposta è quella dato nella zona del
cratere:concertazione tratutti i soggetti della società civile, sindacato in primis, per
affrontare il disagio sociale”. Così Loris Cavalletti, responsabile Fnp ER. “Disertare
le urne - afferma Cavalletti - è
una realtà gravissima, perché
vienemenoundirittodoverecostituzionale, la partecipazione
dei cittadini, minando la democrazia del Paese”. L’astensione dal voto ha riguardato
tutti gli elettori: “Non è
condivisile il giudizio che
si riferisce all’azione del
governo come sostiene la
Fiom. Fnp, Spi e Uilp –precisa- si sono confrontate con i candidati, invitando a partecipare al voto”. Per
Cavalletti “la strada da intraprendere è svolgere un ruolo attivo di
confrontocostruttivosull’operato dell’amministrazione”. Se è
“positivo” che il neo presidente Bonaccini abbia
promesso di voler partiredalla concertazione erispondere ad alcune richieste
contenute nel documento unitario dei sindacati Pensionati. “Dovremo
controllare che si faccia real-
mente” incalza Cavalletti. Nel merito la Fnp sollecita a
“recuperaresituazioni di disagio sucui alcuneforze politiche fomentano lo scontro sociale, cominciando con affrontare disoccupazione e rinnovo del welfare, così da
garantirenuovi servizi alle nuove emergenze da crisi economica e modifica della composizione delle famiglie”. Infine, Cavalletti invita Bonaccini a “fare in fretta una giunta, che tenga conto dell’apporto delle forze sociali più responsabili, impegnate in regione ad avanzare nella strada della partecipazione e del coinvolgimento di tutta la
società civile”.
Lombardia: la gestione dei risparmi
per gli anziani
Risparmiare e gestire i propri risparmi in modo consapevole è una condizione ricercata specialmente in periodi
di crisi come quella che si sta attraversando. “La Fnp di
Mozzo (BG) –dice Eddy Locati, del consiglio direttivo della sezione- ha deciso di affrontare il tema di come tutelare i propri risparmi, soprattutto nella fase del passaggio
generazionale.I risparmidi tutta una vita sono importanti –osserva Locati- per questo è necessario capire con
chiarezza quali sono i rischi e le opportunità degli strumenti finanziari che utilizziamo per investire i nostri soldi. Occorre seguire con costanza l'andamento degli investimenti - consiglia l’esponente Fnp- evitando deleghe in
bianco”. Da qui un incontro organizzato dalla Fnp con un
espertonella gestione delrisparmio edapertoalla cittadinanza.
Perugia: liste d’attesa, il piano dell’ospedale
Appropriatezza,presa in caricodel paziente,orari prolungati, macchine sfruttate meglio, più personale. E’ questo
è il piano dell’Azienda Ospedaliera di Perugia per ridurre
le liste d’attesa per visite specialistiche ed esami di laboratorio. In base al piano, gli ambulatori resteranno aperti
sino alle ore 22ed anchenelle giornate di domenica mattina. Uno dei punti fondamentali è la ‘presa in carico’ dei
pazienti. Gli affetti da patologie croniche o che hanno su-
bito un intervento chirurgico, evitano di presentarsi allo
sportello senza “un filtro”, avendo già l’impegnativa con
risposta telefonica in 24-48 e/o la data immediata dell’appuntamento nel caso di esami di controllo dopo un
interventochirurgico.Su questo la Fnp esprime apprezzamento, ma anche forte preoccupazione, per cui assicura un forte impegno di puntuale vigilanza. I sindacati
Pensionatinonhanno per nulla gradito che alcuni dirigenti sanitari addebitino agli anziani, soprattutto over 65, le
lunghelistediattesa a causa dei
controlli di routine. “Occorre portare avanti un piano di
efficientamento delle
risorse sanitarie in essereedunincrementodirisorse umane ed economicheper dareuna rispostavalidaachisirivolgealla sanità pubblica al di là
dell’età anagrafica dell’utente - rimarcano con
forza-.I problemi delle listed’attesanonriguardano solo le persone anziane, ma si estendono a tutte le fasce di età, verificheremo quali percorsi
verranno intrapresi per risolverli”.
focus
SABATO 29 NOVEMBRE
DOMENICA 30 NOVEM. 2014
15
Insiemeperunarinascita
dellasolidarietàsociale
S
e qualcuno è
ancora convinto che le riforme o il rilancio
del Paese possa avvenire senza il contributo responsabile dei
corpi intermedi, commette un grave errore. Anzi proprio per le
condizioni di enormi
difficoltà che sta vivendo l’Italia e che richiedono riforme coraggiose ed urgenti, il
loro ruolo diventa ancora più importante,
sia per la capacità di
fare sintesi tra le diverse istanze in campo sia per attenuare i
colpi di una crisi che
continua imperterrita a distruggere il tessuto produttivo nazionale con forti ripercussioni sul piano
economico, occupazionale nonché sociale e di tenuta familiare. È indispensabile,
quindi, una rinascita
forte del sentimento
di solidarietà sociale
e della difesa delle
persone più vulnerabili come giovani,
donne e pensionati,
per arginare la tendenza verso il degrado della società a cui
stiamo assistendo impotenti giorno dopo
giorno. È questo l’impegno della Cisl, che
ribadisce la necessità
di un lavoro corale
tra Governo e parti
sociali, a partire dal lavoro, e che rilancia la
propria azione con
l’avvio di una nuova
stagione di mobilitazioni finalizzate nell’immediato a far conoscere le proprie
proposte su Jobs act
e Legge di Stabilità,
provvedimenti che
necessitano di opportune modifiche se si
vuole realmente riavviare il circuito virtuoso della crescita e
riannodare i fili della
coesione sociale.
Come donne della Cisl, dobbiamo non solo sostenere la nostra
organizzazione nelle
istanze avanzate ma
starci dentro anche
con la nostra ottica di
genere, sia nei provvedimenti citati che
più in generale nelle
norme che attengo-
no allo sviluppo del sistema Paese. Gli interventi contenuti,
ad esempio, nella Legge di Stabilità, destinati alla Famiglia, se
da un lato sembrano
raccogliere la richiesta forte che viene
dal Paese, cioè di tutelare questa istituzione, che soprattutto in tempo di crisi ha
dimostrato, anche se
impropriamente, di
essere l’unico ammortizzatore e collante sociale, dall’altro
non ci soddisfa il fatto che, nonostante le
nostre numerose sollecitazioni, si continui ad adottare la logica degli interventi
sporadici
anziché
quella degli interventi strutturali e di lungo respiro atti a favorire la conciliazione
dei tempi di vita e di
lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori. Co-
me Cisl pensiamo che
nell’elaborazione delle politiche di sostegno alla famiglia si
debba tenere debitamente conto delle difficoltà della donne di
tenere insieme compiti di cura e lavoro,
un bivio che spesso
porta le stesse a rinunciare alla carriera. Per questo le politiche della famiglia
devono caratterizzarsi come interventi
che, pur con l’obiettivo centrale di proteggere e valorizzare la
famiglia, non scoraggino l’occupabilità
delle donne che automaticamente può
comportare povertà
dei redditi familiari e
conseguente rischio
denatalità, in controtendenza con gli stessi obiettivi dichiarati
della Legge di Stabilità. Nel 2013, secondo Eurostat, i tassi di
occupazione femminile sono stati costantemente inferiori a
quelli dell'occupazione maschile in tutti
gli Stati membri dell'
UE-28, anche se con
notevoli differenze
da paese a paese. La
Grecia ha registrato il
tasso di occupazione
femminile più basso
(40,1 %) e tassi inferiori al 50 % si sono osservati anche in Croazia e in Italia. Noi pensiamo che il binomio
donne e lavoro debba avere piena cittadinanza all’interno del
Jobs act rispetto a cui
prendiamo atto delle
ultime novità introdotte e su cui auspichiamo si possa aprire un ampio confronto nel merito. Ci riferiamo in particolare
al riordino dei finanziamenti/organismi
destinati alla promozione delle pari op-
conquiste del lavoro
Il Comitato donne della Ces al termine della riunione del 30 e 31 ottobre a Bruxelles,
dal titolo ”La Ces e il suo futuro: realizzare
la rappresentanza delle donne è una realtà” ha adottato˘una Dichiarazione di cui
riportiamo di seguito un abstract.
ll Comitato Donne della Ces riconosce gli
sforzi intrapresi ed i progressi fatti fino ad
ora rispetto all'equilibrio di genere nella
composizione degli organi statutari Ces;
Liliana Ocmin
Cronache e approfondimenti
delle violenze sulle donne / 260
NAPOLI: APPROVATO
IL PIANO SOCIALE DI ZONA PER
PIANIFICAZIONE SERVIZI SOCIALI
E SOCIO-SANITARI.
INCREMENTATI STANZIAMENTI
PER DONNE VITTIME
DI VIOLENZA
La Giunta comunale del capoluogo partenopeo ha approvato il piano sociale di zona. In questo modo il Comune di Napoli
ha reso esecutiva la programmazione della seconda annualità del Piano Sociale Regionale 2013-2015, che prevede uno stanziamento complessivo di fondi statali, regionali e comunali pari a circa 81 milioni
di euro. Il Piano di Zona è uno strumento
di pianificazione dell'offerta dei servizi sociali e socio-sanitari elaborato per aree
prioritarie d'intervento tra cui vengono
contemplati anche i minori e le donne in
difficoltà. Con questa iniziativa il Comune, nonostante i tagli degli stanziamenti
statali e regionali, conferma non solo l'offerta dei servizi socio-sanitari essenziali,
di tipo residenziale, semi residenziale e
domiciliare a favore delle persone non autosufficienti ma potenzia altre aree d'intervento che richiedono analoga e puntuale attenzione. La programmazione avviata è stata ripensata rafforzando le azioni del welfare d'accesso finalizzate a migliorare la comunicazione, l'informazione, l'orientamento e la presa in carico degli utenti, va verso l'accompagnamento
dei soggetti con fragilità socio-economica e una progressiva autonomia e uscita
dai percorsi assistenziali. In particolare sono state rafforzate le azioni a favore dell'
area d'intervento per l'infanzia e l'adolescenza, con un'attenzione particolare all'
affido familiare e al sostegno genitoriale
per le situazioni particolarmente difficili.
In questo contesto di azioni sono state riviste complessivamente le modalità di gestione degli interventi ed è stato previsto
uno stanziamento da bilancio comunale
di 5.600.000 euro dedicato alle azioni di
supporto socio-educativo. Una rinnovata
attenzione è stata rivolta anche all'area
delle donne in difficoltà, in particolare a
quelle vittime di violenza, con uno stanziamento di risorse dedicate di circa 550mila
euro da utilizzare prevalentemente per il
potenziamento dell'offerta di servizi per
l'accoglienza residenziale delle donne in
strutture protette e dedicate. Uno stanziamento che, di fatto, incrementa le risorse già assegnate che ammontano a
650mila euro dedicate al Progetto E.R.A.,
finalizzato alla rete del Centro Antiviolenza. Nonostante il taglio al Fondo Nazionale Politiche Sociali e al Fondo Regionale si
è cercato di mantenere e rafforzare gli impegni assunti con l'approvazione di un Piano Sociale rivolto a tutte le famiglie e articolato in una molteplicità di servizi ed interventi che vanno dalla domiciliarità integrata tra il sociale ed il sanitario, ai servizi
socio-educativi per i minori, con particolare attenzione alla fascia pre-adolescenziale, al contrasto alle violenze sulle donne,
al sostegno per i senza fissa dimora con
un accoglienza lieve, nel preciso intento
di supportare processi di coesione per la
ricostruzione di un welfare di comunità,
finalizzato a migliorare la qualità complessiva della vita dei cittadini e la tenuta sociale della città.
(A cura di Floriana Isi)
conquiste delle donne
Dichiarazione del Comitato
donne della Ces per favorire
la rappresentanza femminile
portunità e all’introduzione di “congedi
dedicati” per le donne vittime di violenza. Su questi temi crediamo di poter dire e
dare un contributo
fattivo convinte come siamo dell’importanza dell’apporto di
ciascuno per fare di
questo Paese un luogo migliore. Ecco perché,
riprendendo
l’hashtag #cislnonrinunciomarilancio, il
Coordinamento donne invita tutte le attiviste, le lavoratrici e
le donne in generale
a far sentire forte la
propria voce partecipando numerose allo
sciopero del 1˚ dicembre del pubblico impiego e alle mobilitazioni in programma il
2, 3 e 4 dicembre, rispettivamente a Firenze, Napoli e Milano.
Osservatorio
accoglie con grande favore l'adozione della tabella di marcia per raggiungere l'equilibrio di genere negli organi statutari della Ces;
ritiene positiva la lettera inviata dal segretario generale della Ces Bernadette Segol
a tutti gli affiliati come seguito dell'Esecutivo di giugno 2014, così come l' adozione
della Road Map, che incoraggia i membri
a riconsiderare le candidature per l'Esecutivo e a cercare di raggiungere un migliore equilibrio prima del Congresso Ces di
settembre 2015;
desidera sottolineare, in considerazione
del Congresso Ces 2015 e in particolare
per quanto riguarda la futura composizione della segreteria della Ces, che gli avanzamenti realizzati finora rispetto a questo
organismo debbono essere sostenuti;
esorta la Ces ed i suoi affiliati ad agire in
conformità con l'articolo 22 dello Statuto
adottato nell'ultimo Congresso, per rendere la parità di genere una realtà e che,
come minimo, manterrà la differenza nel
numero dei membri della Segreteria di entrambi i generi, in misura non superiore a
uno;
anche se gli statuti non prevedono nulla
rispetto alle posizioni di leadership in seno alla Segreteria, la Ces ed i suoi affiliati
sarebbero in linea con l'appartenenza alla Ces (composta dal 43% di donne), designando una donna in una delle tre posizioni di leadership e potrebbero in tal modo
onorare il proprio impegno a favore della
parità di genere.
invita pertanto tutte le organizzazioni affiliate a riaffermare il proprio impegno per
la futura composizione della Segreteria
della Ces per quanto riguarda non solo il
raggiungimento di proporzionalità tra i
generi, ma anche per quanto riguarda la
distribuzione delle posizioni di leadership
nella Segreteria tra donne e uomini. Il testo integrale è consultabile al link: http://www.cisl.it/Sito-Donne.nsf/viste/
pubblicazioni?OpenDocument
A cura del Coordinamento Nazionale Donne Cisl - www.cisl.it - [email protected] - telefono 06 8473458/322