impaginazione 3 - confartigianato

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impaginazione 3 - confartigianato
Spedizione Abbonamento Postale 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 filiale di Roma ANNO XV - Lire 3.000 - Supplemento al n. 73 di Impresa Artigiana del 2 luglio 2001
I QUADERNI DI
Rapporto sui distretti
industriali italiani
RAPPORTO SUI PRINCIPALI
DISTRETTI INDUSTRIALI ITALIANI
REDATTO PER CONFARTIGIANATO DAL CONSORZIO A.A.S.T.E.R.
28 giugno 2001
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Introduzione
Rapporto: nota metodologica
Piemonte
Lombardia - I nuovi distretti
Lombardia - Gli altri distretti
Liguria
Veneto
Friuli - Venezia Giulia
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Emilia Romagna
Toscana
Marche
Umbria
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
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Puglia
Basilicata
Sicilia
Sardegna
Allegato
I distretti riconosciuti dalle Regioni
Premessa
economia globale sta cambiando i
distretti industriali dall’interno. Per occupare
i nuovi spazi, e non rimanere spiazzato, ciascun distretto deve modificare i prodotti che
fa, e il modo con cui li fa, a partire dal nucleo su cui si regge il suo vantaggio competitivo: le competenze esclusive accumulate in
un certo campo di "saper fare". Prendiamo
il caso del distretto di Montebelluna: se multinazionali come Salomon, Rossignol-Lange,
Nike si attrezzano per essere presenti nel distretto veneto della scarpa sportiva e dello
scarpone da sci è perché capiscono che lì
possono entrare in contatto con competenze,
idee, varietà e flessibilità non disponibili altrove. Solo se queste capacità riusciranno a
riprodursi nel prossimo futuro, l’ingresso delle multinazionali non significherà colonizzazione del distretto, ma piuttosto espansione
globale della rete di fornitura e di mercato
su cui possono contare le imprese ivi localizzate. Per seguire questa evoluzione, tuttavia,
il distretto deve specializzare in modo sempre più fine le competenze possedute e diversificare il loro campo di applicazione. Seguendo questa strada, ad esempio, a Montebelluna si è passati nel tempo dallo scarpone classico, in cuoio, allo scarpone in plastica, dalla plastica agli stampi che servono
per darle forma, dagli stampi al CAD usato
per disegnarli, dal CAD alla prototipazione
rapida. E così via.
Non si sopravvive restando fermi, ma cambiando continuamente prodotti (ciò che si fa)
e processi (il modo di farlo). Ma, è difficile
realizzare i cambiamenti che servono quando riguardano non la singola impresa, ma
l’ambiente e le risorse collettive: come formare le nuove professionalità che servono? Come integrare in modo civile gli immigrati da
impiegare nella produzione? Come investire
in risorse immateriali? Come governare i
processi di delocalizzazione, sfuggendo al
pericolo di avvitare tutta la subfornitura in
una spirale di crisi (come accade oggi al tessile abbigliamento)? Insomma: la globalizzazione può anche essere un ottimo affare, ma
L’
INTRODUZIONE
DI
ALDO BONOMI(*)
E
ENZO RULLANI(**)
(*) Sociologo - Direttore del Consorzio
A.A. Ster di Milano
(**) Docente di Strategie di Impresa
all’Università Ca’ Foscari - Venezia
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solo se le sue valenze positive non vengono
bloccate da "colli di bottiglia" che possano
frenare la trasformazione dei distretti esistenti e rallentarne la velocità.
(+)Ora è proprio di questo che bisogna
preoccuparsi. I sistemi locali, anche quando
assumono forme altamente organizzate sotto
il profilo tecnico-produttivo, sono in realtà
formazioni acefale, prive di una "testa" che
possa progettare i cambiamento e organizzare il consenso e le risorse necessarie per
realizzarle. Ma per investire in formazione,
creare le infrastrutture, gestire l'immigrazione, avvicinare la pratica del fare ai saperi
della ricerca e dell'istruzione superiore, irrobustire finanziariamente le imprese occorrono decisioni collettive, prese da attori collettivi che abbiano la capacità di guardare al sistema nel suo insieme, progettandone le trasformazioni ed intervenendo sui problemi
che di volta in volta si aprono.
L'economia globale, mettendo in concorrenza i diversi sistemi locali che in essa coabitano, induce un drammatico bisogno di autogoverno in ciascuno di essi. Autogovernarsi
vuol dire, infatti, riuscire ad affrontare i problemi generati dal cambiamento competitivo, rispettando le specificità che sono proprie di ciascun luogo e agendo nei tempi e
nei modi richiesti dal confronto concorrenziale. Per competere bisogna che il potere
decisionale non sia altrove, e non sia distratto. E’ bene invece che sia direttamente a
contatto con chi avverte il bisogno di ricerca
e di professionalità, con le imprese che chiudono e quelle che arrivano dall'esterno, con
le carenze infrastrutturali e dei servizi che
emergono in ciascun luogo.
1. Il nuovo significato dell’internazionalizzazione
I distretti industriali vivono da tempo una fase di profondo cambiamento che li qualifica
come casi territoriali emblematici di trasformazioni che oltrepassano i confini dei territori locali ma anche i confini del modello di
economia che tradizionalmente i distretti
hanno rappresentato. Trasformazioni che at-
tengono tutte alla crescente interdipendenza
che caratterizza i sistemi locali nei processi
di globalizzazione.
Anzitutto, la crescente proiezione internazionale. La nuova internazionalizzazione che
va affermandosi in numerosi sistemi produttivi locali tende a dare molto più spazio agli
scambi transnazionali di conoscenze, invece
di limitare i rapporti esterni alla commercializzazione dei prodotti, finiti o intermedi.
Non è questo un cambiamento di natura
particolare, che riguarderebbe soltanto l’economia di impresa. Si tratta invece di un
cambiamento dalle ricadute generali.
Le esportazioni non sono infatti l’unico modo
di sviluppare l’interscambio di conoscenze a
livello internazionale, tanto meno lo sono
quando si attestano esclusivamente sui prodotti finiti. Questo, in definitiva, è il terreno
sul quale i sistemi produttivi locali possono
evolvere verso assetti più competitivi, o, al
contrario, rifluire verso soluzioni che riproducono i precedenti rapporti di complementarietà interna: l’epicentro della rivoluzione in
corso è rappresentato dai costi e dai rischi
degli investimenti in conoscenza, e lo sviluppo di questa risorsa - la conoscenza - è da
perseguire a tutti i livelli della catena del valore. Non solo, ma anche quando la proiezione internazionale è di natura puramente
esportativa, le cose non restano quelle di prima: più che la quantità dell’esportato, ormai, conta di più la qualità.
Così, le esportazioni potranno essere considerate una forma conveniente di internazionalizzazione se si avvalgono di competenze
locali qualificate e distintive, se assicurano
margini di redditività soddisfacenti e se consentono di instaurare rapporti di mercato relativamente stabili nel tempo. La qualità dell’export risulterà invece bassa se si gioca
esclusivamente sui costi, se la conoscenza
implicata è solo quella standardizzata prevista dai codici della comunicazione formale,
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se le relazioni di mercato che si instaurano
sono precarie e episodiche. In definitiva, la
ricerca di una maggiore competitività internazionale coincide con:
a) il posizionamento su una gamma ampia
di livelli della divisione transnazionale del
lavoro,
b) l’affiancamento ai flussi di esportazione
di strategie di comunicazione e relazione
stabili con i mercati, in grado di produrre
altra conoscenza da incorporare in prodotti e processi.
In tutto questo, va considerato che nella costruzione delle reti transnazionali non vanno
persi gli elementi di specificità che hanno
sempre contraddistinto le produzioni locali.
Al contrario, questi rapporti complessi vengono ad instaurarsi solo quando vengono
valorizzate le caratteristiche peculiari di ciascun partecipante allo scambio, cioè solo allorché il contesto locale è in grado di far valere la propria originalità distintiva nel panorama affollato delle varietà territoriali che entrano in rapporto tra loro. La valorizzazione
delle risorse distintive del locale diventa la
condizione per sostenere e qualificare la
presenza nella dimensione transnazionale. E
d’altra parte, a partire da una proiezione
transnazionale di natura non esclusivamente
esportativa, il contesto locale non può più essere considerato solo come un insieme integrato di complementarietà interne.
Questo, in molti casi, costituisce un indirizzo
strategico ancora da perseguire, più che una
realtà già acquisita. Ebbene, tale indirizzo
strategico potrà avere effetti di tipo evolutivo
quanto più la sua finalità principale - cioè favorire il contatto diretto con i mercati esteri sarà supportata da servizi in grado di stabilizzare il contatto, di favorire gli scambi di
conoscenze, di sostenere il riallineamento
delle produzioni locali alle caratteristiche della domanda, di entrare in rapporto con tutti i
livelli in cui si articola la catena del valore
nella divisione transnazionale del lavoro.
In questo entrano in gioco gli aspetti peculiari ad un determinato territorio, la qualità delle interazioni locali, nonchè l’originalità e
l’attrattiva delle produzioni locali. Così, la
competitività delle imprese non può più fare
a meno di un “ambiente” denso di relazioni
tra attività produttive, formazione e ricerca,
organizzate in modo aperto e al contempo
integrato. E solo una “comunità” di attori locali è in grado di organizzare e mantenere
un tale ambiente, nelle sue dimensioni tecnologiche, sociali, culturali.
Proprio quello che caratterizza i distretti industriali italiani che hanno saputo assecondare le nuove dinamiche globali.
L'internazionalizzazione non è più un fenomeno elitario, che possa riguardare soltanto o
principalmente le imprese abbastanza grandi
da fuoriuscire dall'alveo del mercato nazionale. L'internazionalizzazione è oggi una necessità per tutte le imprese, per il fatto che la produzione del valore richiede sempre di più una
divisione del lavoro a scala globale.
Ci sono, infatti, vantaggi decisivi nell'estendere la divisione del lavoro cognitivo (specialismi)(1) a scala transnazionale, non solo
per ragioni di scala (l'ampiezza del mercato
europeo o globale), ma anche perché, entrando in contatto con una varietà di culture
e di stili di vita, ciascuna impresa può ampliare la gamma delle idee e delle risorse a
cui ha accesso e le possibilità di apprendimento su cui può contare.
(1) Per divisione del lavoro cognitivo intendiamo la divisione del
lavoro tra chi produce conoscenze e chi le utilizza. Rispetto all'apprendimento fai-da-te, la divisione del lavoro di apprendimento
consente al produttore di specializzarsi in un problema e in una
competenza, potendo vendere le sue capacità intellettuali e operative a molti potenziali utilizzatori che sono interessati allo stesso
problema e alla stessa competenza. E consente all'utilizzatore di
ricorrere all'outsourcing per la maggior parte delle risorse e dei
saperi utili alla sua produzione, conservando in proprio solo il
segmento di attività in cui ha specifiche competenze e in cui intende fare investimenti per diventare "eccellente". Va da sè che la
divisione del lavoro tra produttori e utilizzatori di conoscenze richiede dei media di collegamento che rendano le conoscenze
specialistiche trasferibili e affidabili per i potenziali acquirenti in
outsourcing: di qui lo sviluppo di reti di comunicazione e cooperazione tra imprese di diversi paesi, che - in ragione degli scambi
cognitivi negoziati tra l'una e l'altra - costruiscono una cornice stabile di rapporto tra loro, in modo da rendere governabile la reciproca interdipendenza (cfr. Grandinetti R., Rullani E., Impresa
transnazionale ed economia globale, NIS, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1996, cap. 1).
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Del resto, anche sul piano dei costi, l'internazionalizzazione costituisce sempre più spesso la carta vincente, perché dà accesso a
differenziali nazionali di costo che possono
essere decisivi nel confronto competitivo: per
avere accesso a lavoro a basso costo è necessario attingere alla enorme "riserva" di
lavoro del Terzo Mondo, resa accessibile da
processi di internazionalizzazione (anche
parziali) del ciclo produttivo o dall'immigrazione nel nostro paese. Per avere accesso
ad agevolazioni pubbliche occorre guardare
alle politiche di incentivazione operanti nel
Sud italiano o in altri paesi, anche in Europa. Per entrare in contatto immediato col sapere tecnologico occorre invece avvicinarsi
ai luoghi dove sono concentrate attività di
carattere scientifico e tecnologico (gli Stati
Uniti prima di tutto). E così via.
In che modo le imprese possono entrare nel
circuito virtuoso dell'internazionalizzazione
che allarga la divisione del lavoro cognitivo
e abbatte i costi delle risorse critiche?
Le grandi, ovviamente, possono farlo sviluppando la rete delle loro filiali, ossia diventando imprese multinazionali. Ma non è questa la sola via: anzi, la novità dell'attuale internazionalizzazione consiste proprio nel superamento dello stereotipo della grande impresa multinazionale, e nell'apertura di una
pluralità di vie che utilizzano intensamente le
reti, ossia rapporti stabili di vendita, approvvigionamento, licensing, franchising o altro.
In tutti i casi richiamati, al di là della forma
giuridica assunta dal rapporto di scambio instaurato, la relazione allaccia imprese indipendenti, collocate in diversi paesi, e viene
alimentata e garantita da risorse di comunicazione e di cooperazione predisposte allo
scopo dalle imprese interessate e riprodotte
dalla pratica del business. Lo scambio, in altre parole, non avviene nel mercato "libero"
e tra parti anonime, ma all'interno di un rapporto a rete che va costruito e confermato
dalle operazioni di volta in volta attuate.
Sono le reti, più che le singole imprese, a
transnazionalizzarsi: e questo rende molto
più "democratica" e pervasiva l'internazio-
nalizzazione di oggi, rispetto al modello elitario e "pesante" di ieri. Anche le imprese
piccole e medie possono in questo modo far
parte di una catena transnazionale del valore, talvolta a seguito di un leader, talaltra in
base a rapporti stabili di scambio costruiti
tra uguali o pari grado.
Insomma, si può ormai dire che la produzione di valore è un concetto pertinente non più
alla singola impresa ma alla catena transnazionale del valore a cui le singole imprese
partecipano.
Ciò significa che non è sufficiente guardare
alle variabili tradizionali (esportazioni, investimenti diretti, "nuove forme"), ma occorre
considerare:
a) il processo di internazionalizzazione delle
conoscenze presenti ai vari livelli della catena nelle reti di appartenenza, sia a monte (produttori di macchine, di materiali, di
componenti, di servizi alla produzione),
sia a valle (distributori, servizi al consumo);
b) la posizione, più o meno autonoma, più o
meno esclusiva, che la singola impresa
occupa all'interno di questa catena.
2. Oltre le esportazioni
Le imprese italiane, e in particolare le imprese collocate nei distretti industriali, hanno
avuto significativi successi nella penetrazione dei mercati esteri. La crescita delle esportazioni italiane nei settori "leggeri" o "tradizionali", caratterizzati dalla piccola dimensione di impresa testimonia insieme la vitalità competitiva delle imprese e la loro capacità di muoversi sui mercati internazionali.
Tuttavia, oggi internazionalizzazione ed
esportazioni non sono più sinonimi. Il modo
con cui l'impresa si mantiene "internazionale" nella generazione dei vantaggi competitivi non coincide coll'esportare. Da un lato
esportare non basta: l'impresa deve impegnarsi all'estero in forme più complesse della semplice commercializzazione del prodot-
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to finito. Dall'altro lato, esportare può essere
non significativo o non essenziale per acquisire uno status internazionale, world class,
nella competizione transnazionale, in tutti
quei casi in cui le esportazioni non bastano
ad intercettare i vantaggi competitivi che si
generano nelle diverse aree mondiali. Imprese che esportano poco possono cioè avere
uno standard competitivo internazionale,
mentre, al contrario, imprese che esportano
molto possono non averlo.
Ci sono almeno due campi di internazionalizzazione molto promettenti, che devono essere esplorati al di là dell'export:
- la distribuzione transnazionale delle diverse attività che compongono l'attuale
catena del valore (varie fasi del ciclo, servizi), in modo da poter sfruttare a proprio
vantaggio i differenziali nazionali specifici dei diversi paesi;
- la partecipazione attiva a reti internazionali di divisione del lavoro nel campo della produzione e utilizzazione della conoscenza.
Nel primo caso le imprese hanno un vantaggio decisivo se selezionano gli ambienti nazionali in funzione delle differenti caratteristiche di costo e di produttività. Date le differenze tra paesi, considerando anche i paesi
newcomers a basso costo del lavoro, il massimo valore di ciascun catena di produzione
sarà ottenuto distribuendo le attività in modo
da sfruttare i vantaggi relativi di ciascun
paese in specifiche fasi della catena. L'ottimizzazione della catena transnazionale delle produzioni veniva una volta fatta dalle
grandi aziende multinazionali attraverso la
distribuzioni di filiali direttamente controllate.
Oggi può essere fatta da tutte le imprese,
anche piccole, attraverso lo sviluppo di reti
di collaborazione internazionale o di servizi, con un limitato uso di filiali direttamente
controllate. Di conseguenza, tutte le imprese,
anche le piccole, sono tenute a sfruttare i differenziali internazionali almeno quanto lo
fanno - o minacciano di fare - i principali
concorrenti, attrezzandosi per superare le
barriere che rendono loro difficile investire e
agire in condizioni e ambienti lontani, poco
conosciuti e spesso discretamente ostili.
Nel secondo caso, le imprese acquisiscono
un vantaggio decisivo perché si mettono in
grado di utilizzare le conoscenze e specialismi accessibili a scala mondiale, invece che
produrle in proprio - o in un ambiente "vicino" - ad alto costo e rischio. La possibilità di
entrare a far parte di una rete del genere
permette all'impresa di specializzarsi in un
sapere specifico, valorizzabile a scala mondiale, e di contare per tutto il resto sulla fornitura di macchine, servizi, tecnologie, competenze e anche lavorazioni di altre imprese, con cui si ha un rapporto di fiducia e di
comunicazione collaudato.
3. Diversi tipi di sapere
In definitiva, il dinamismo dei distretti industriali si alimenta di iniziative che tendono a
ricostruire un ambiente a partire dalle peculiarità e dalle ricchezze di ciascun territorio.
Esse combinano le dimensioni economiche
con quelle sociali, la cura della crescita con
quella della coesione, la sfera pubblica con
quella privata, le tecnologie di comunicazione sofisticata con i saperi contestuali. La loro
ricchezza risiede precisamente in questa mistura che si adatta in ogni paese a formule
diverse.
Questo implica da un lato, l’impegno a fertilizzare l’ambiente locale valorizzando il sistema di relazioni dell’area, dall’altro, a fare
di questo sistema la piattaforma dalla quale
ricercare maggiori aperture verso la dimensione sovralocale. Per questo è necessario attivare fin dall’inizio quelle competenze relazionali che si presume possano favorire questo processo, senza “bloccarlo” sulle comuni
appartenenze degli attori locali, ma anche
senza sovraordinare il percorso di questi ultimi con l’adozione di modelli precostituiti e
lontani dal loro orizzonte esperienziale.
Competenze che possono venire da autorità
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e agenzie nazionali e sovranazionali costituiscono, se collocate in questa logica, delle imprescindibili risorse a sostegno dell’iniziativa
dei soggetti locali. Sia perché, formalizzando i comportamenti locali in base a norme e
procedure, sollecitano gli attori locali ad intessere relazioni su comuni basi comunicazionali. Sia perché trasferiscono in ambito locale linguaggi e saperi in forma sistematica,
cioè in maniera più elaborata e diffusiva di
quanto i singoli attori non siano in grado di
fare ciascuno partendo dalla propria attività.
In questo continuo rimando tra dimensione locale e dimensione globale è in gioco uno dei
nodi cruciali dell’evoluzione di un sistema distrettuale, quello rappresentato dal rapporto
tra sapere tacito, che viene dall’esperienza
diretta di imprenditori e lavoratori e sapere
codificato, quello che consente di accedere
alle reti globali e di utilizzarne i linguaggi.
Naturalmente i due saperi non coincidono e
soprattutto possono entrare in contrasto tra loro quanto a contenuti ed esperienze professionali/formative. Il punto, invece, è che devono imparare a convivere, perché, da un lato il sapere tacito dell’esperienza non è semplicemente una sopravvivenza del passato e
dall’altro il sapere codificato non è semplicemente qualcosa che si limita a standardizzare i linguaggi e la comunicazione.
Ciascuno è invece necessario all’altro perché:
• il sapere che viene dall’esperienza utilizza risorse disponibili “gratuitamente”
in loco come le tradizioni, la cultura locale, le relazioni basate sulla conoscenza personale e la fiducia reciproca, e questo è anche quello che rende
specifica, distinta, riconoscibile una
produzione locale;
• il sapere codificato è quello che consente di uscire dallo spazio angusto
del sistema locale e di interloquire con
clienti e fornitori lontani. Proprio perché standardizza la comunicazione in
codici conosciuti indipendentemente
dai contesti.
La combinazione delle caratteristiche dei
due saperi è ciò che permette di generare
valore economico. Per i sistemi distrettuali la
sfida è quella di radicare le reti di lungo raggio dell’economia globale senza far venir
meno i vantaggi che derivano da un’esperienza condivisa localmente e sulla quale la
convergenza è spontanea. Soprattutto, le reti
globali, proprio perché non si appoggiano
sulla condivisione di un’esperienza e sulla
comunicazione interpersonale, devono essere create “artificialmente”. E questo richiede
il contributo di tutte le componenti di un sistema territoriale: dalle istituzioni al sistema del
credito, dalla scuola fino alle rappresentanze economiche. Quello che serve infatti è:
• un forte investimento nell’apprendimento di linguaggi formali: la ricerca, la
qualità, il management,…: anche l’impresa minore deve organizzarsi in forma manageriale, pur senza perdere i
caratteri di personalizzazione che la
contraddistinguono,
• favorire l’accesso ai centri di produzione e diffusione della conoscenza; non
è necessaria la creazione di laboratori
in ogni città: la conoscenza può anche
essere trasferita, intermediata, non solo
creata ex novo; più importanti dei luoghi della conoscenza in sé sono le relazioni che si riesce ad instaurare con
e tra loro,
• rispondere ai fabbisogni di accreditamento e garanzia che non possono più
essere coperti dalle relazioni di conoscenza diretta; per potersi rivolgere a
tutti i potenziali clienti e fornitori della
rete globale servono intermediari appropriati: centri che organizzino/partecipino a fiere ed esposizioni internazionali, associazioni che predispongano cataloghi, banche che facciano da
tramite e da garanti verso potenziali interlocutori,…,
• organizzare una rete logistica capace
di spostare merci, persone e informa-
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zioni a grande velocità nei luoghi in
cui le diverse attività della catena, localizzandosi, configurano la divisione
del lavoro nella rete globale.
4. E i distretti?
Questa evoluzione del modo di produrre e di
vendere è una sfida per i distretti industriali
italiani. Nella loro accezione tradizionale, infatti, i distretti si configuravano come catene
di fornitura locali, chiuse ad apporti esterni
nelle fasi a monte, e fortemente "internazionalizzate" invece nelle fasi terminali, di vendita e assistenza al cliente. Finora, sono stati
i prodotti finiti ad andare, attraverso le imprese dotate di reti commerciali internazionali,
sui mercati esterni: le lavorazioni a monte e
le competenze relative sono rimaste invece
sedimentate localmente, alimentando la competitività dei produttori a valle. Si trattava, in
definitiva, di un modello chiaramente exportoriented: un modello, dunque, che, per quanto detto, rischia oggi di trovarsi nell'occhio
del ciclone, se non si adegua alle nuove forme di produzione transnazionale del valore.
Se si vogliono conseguire i vantaggi relativi
ai differenziali nazionali e alla divisione internazionale del lavoro cognitivo occorre, infatti, che le imprese distrettuali di subfornitura - che operano a monte - comincino a
guardare a mercati più estesi di quelli loro
garantiti dai committenti locali; e che i committenti, che operano anche a valle, superino l'orizzonte delle esportazioni per articolare la loro presenza internazionale in modo
più pregnante. In altri termini, occorre che i
distretti in quanto sistemi collettivi di azione
agiscano essi stessi come attori dell'economia internazionale in formazione, seguendo
o anticipando le imprese in questa nuova dimensione del loro agire. Da ciò dipende, in
gran parte, la possibilità dei modelli di successo italiani di sopravvivere alle nuove regole della concorrenza internazionale.
Proprio di fronte al caso dell'impresa distrettuale, il nuovo modo di vedere l'internazionalizzazione chiarisce che il discorso va
condotto a due livelli: da un lato occorre ve-
dere la dinamica complessiva del distretto
(la sua internazionalizzazione come sistema,
attraverso i diversi anelli della catena del valore che lo compongono); dall'altro occorre
vedere la posizione delle singole imprese.
Tradizionalmente le imprese distrettuali agiscono su un mercato captive (il mercato interno distrettuale) e lasciano a poche imprese
specializzate la commercializzazione del
prodotto e le decisioni di marketing (design
e progettazione del prodotto, segmentazione del mercato, fascia di prezzo-qualità). Il
distretto come catena complessiva può dunque essere internazionalizzato dal punto di
vista dell'export e può riversare il valore generato dall'espansione del mercato finale sui
subfornitori e fornitori interni. Ma il grado di
internazionalizzazione delle imprese che
operano sul mercato captive interno è piuttosto limitato e ciò costituisce una delle ragioni
di fondo della debolezza della catena.
Di fronte alle pressioni concorrenziali, anche
se è buona - in alcuni casi - la tenuta del
mercato finale, elementi di forte evoluzione
investono le fasi a monte della catena e i
mercati captive che hanno finora assicurato
la coesione sistemica del distretto. La posizione dell'impresa distrettuale, rispetto al sistema-distretto, è particolarmente importante
nel momento in cui cambia la divisione interna del lavoro nel distretto perché alcune imprese aprono alle relazioni esterne e al mercato internazionale, scavalcando i precedenti rapporti di complementarità interna. L'organizzazione precedente rischia così di essere scompaginata, sotto la pressione di diversi fattori evolutivi, tra cui l'internazionalizzazione più accelerata di alcuni "anelli" della catena distrettuale.
Viene in questo modo al pettine la questione
irrisolta di quel peculiare tipo di divisione
del lavoro su basi locali che si è realizzata
in Italia nel distretto, in competizione con la
grande impresa fordista ma anche, per alcu-
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ni aspetti ad imitazione dei modelli prevalenti di produzione fordista (integrazione verticale delle attività). Nei distretti, l'integrazione verticale non è proprietaria, ma si realizza attraverso una fitta rete di divisione del
lavoro, sul mercato locale, promossa e regolata da meccanismi di coesione e scambio
sociale invece che da meccanismi autoritativi. Il distretto ha così conseguito la maggior
parte dei vantaggi ritraibili dall'integrazione
verticale (in loco) delle attività, sia pure con
qualche inconveniente dovuto alla difficoltà
di programmare la catena della fornitura locale, insieme ai vantaggi della flessibilità,
della varietà, della molteplicità delle intelligenze imprenditoriali messe al lavoro.
Ma ha conservato anche gli inconvenienti
del modello integrato, che ricerca il mercato
più esteso possibile per i prodotti finiti, mentre "internalizza" (in loco) le fasi e i servizi a
monte.
Queste fasi e servizi che nascono dalla domanda locale non possono tuttavia essere a
lungo confinati in questo ruolo captive rispetto alle esigenze dei committenti locali e divengono invece, ad un certo punto, anelli
"deboli" della catena, man mano che le strategie dei committenti a valle puntano su altre
localizzazioni e, probabilmente, su altre fonti di fornitura (proprie filiali che autoproducono componenti e macchine all'estero o nuovi
fornitori, spesso "allevati" nei paesi di delocalizzazione).
5. Nuove strategie per terzisti e committenti
I terzisti si trovano in questo modo a dover
indirettamente competere con concorrenti
esterni spesso dotati di vantaggi nei confronti
dei loro sbocchi tradizionali (i vecchi committenti locali): possono "resistere" riducendo i
prezzi, tagliando i costi all'osso o investendo
in nuove macchine, ma alla fine c'è il rischio
che strategie soltanto difensive non riescano
a raggiungere il traguardo di consolidare un
rapporto che si va comunque sfilacciando.
Tre sono le strategie di risposta che sono all'altezza della sfida:
- condividere la strategia del committente,
o comunque del leader, che sta costruendo la propria catena transnazionale del
valore e che ha bisogno di alleati, proprio per superare lo startup iniziale;
- trovare nuovi committenti diversi dai tradizionali e dunque esterni al distretto o addirittura internazionali;
- integrarsi a valle, magari avvalendosi per
le forniture degli altri terzisti locali, e diventare concorrente dei propri ex committenti.
In questo modo le esigenze delle imprese a
valle e di quelle a monte entrano in conflitto
in un modo che solo una strategia di anticipazione, che consolidi le ragioni di partnership all'estero riesce a prevenire. La coesione "naturale" di interessi su cui si reggeva la
catena distrettuale del valore, tra le diverse
squadre, si rompe nel momento in cui i loro
interessi e atteggiamenti divergono rispetto
alla sfida internazionale.
I committenti, a valle, cominciano, infatti, a
subire la concorrenza di produttori esterni
che possono essere alimentati dalle tecnologie, dalle competenze, dai servizi che sono
stati accumulati nel distretto e che possono
diventare disponibili sul mercato internazionale grazie alle vendite e alle cooperazioni
produttive innescate dai produttori di macchine, di componenti, di servizi. I fornitori, a
monte, non possono più fidarsi di essere il
punto fisso di riferimento per i loro clienti locali, e sentono il peso della concorrenza di
altri possibili fornitori, diventati accessibili ai
loro clienti grazie alle nuove localizzazioni
internazionali, o, qualche volta, messi in
azione dai clienti stessi che cercano di ricreare altrove l'"atmosfera del distretto".
E' vero che il fallimento di molti sforzi in questa direzione testimonia quando sia difficile
trapiantare in altri luoghi e culture quanto la
storia ha involontariamente prodotto nei distretti italiani. Ma non ci si faccia illusioni:
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l'estensione dell'internazionalizzazione costituisce un cuneo strategico destinato a scompaginare le attuali catene di integrazione locali, creando motivi strutturali di divergenza
e di conflitto tra terzisti e committenti.
6. L'evoluzione possibile
La rottura della catena internazionale basata
sulle relazioni interne al distretto determina
una situazione squilibrata per le diverse categorie di imprese presenti: le imprese che
hanno acquisito un'autonoma capacità di relazione con l'esterno possono approfittare
della situazione per impostare una diversa
divisione del lavoro, che utilizza risorse e
competenze esterne poste in concorrenza
con i tradizionali fornitori o acquirenti distrettuali; le imprese che invece non hanno
acquisito un'autonoma capacità di relazione
con l'esterno si trovano a perdere fornitori e
sbocchi tradizionali, oppure si trovano a
competere con concorrenti esterni più forti,
che non possono essere più esclusi dal mercato grazie alla specificità delle competenze
e forniture accessibili all'interno del distretto.
Ci si trova dunque di fronte, in questo momento, ad una divaricazione tra imprese e
ad un conflitto di interesse che può seriamente minare la base di cooperazione che ha
retto finora.
Si tratta tuttavia di un normale percorso evolutivo, contrassegnato da crisi che possono
essere foriere di nuove forme organizzative.
Il distretto, come formazione complessa, deve in parte decomporsi per poter ricostruire
le sue catene del valore e i suoi schemi di divisione del lavoro.
Ci sono diverse possibilità di uscire evolutivamente da una situazione di scollamento
della sincronia e coerenza interna:
- lo sviluppo di funzioni di leadership da
parte di imprese capofila che "traghettino" anche imprese associate verso schemi
che, nel mentre stringono i legami interni
tra un gruppo selezionato di partners,
prevedano una dilatazione delle relazioni
di distretto verso l'esterno e verso nuove
imprese di origine esterna;
- la crescita di autonomia relazionale da parte di imprese finora attestate sul mercato
captive, magari avvalendosi di reti o rapporti di cooperazione con altre imprese;
- la ricerca di vocazioni e competenze specialistiche che siano utili non solo nella rete interna al distretto ma in una logica di
divisione del lavoro più estesa.
- la formazione di istituzioni locali che diano una "testa" al distretto, in modo da
mantenere elevato, in questo momento di
ridefinizione delle strategie, il livello di
condivisione e di comunicazione, chiarificando le alternative strategiche aperte(2).
Queste e altre possono essere le strade per
modificare il reticolo relazionale delle singole imprese in modo da essere partecipi di
una ridefinizione del distretto in senso territorialmente più esteso.
Tuttavia, quello che deve mutare, è il modo
di lavorare, l'atteggiamento culturale che le
imprese adottano all'interno del sistema distretto. Allo stesso modo con cui il grande sistema gerarchizzato della tradizione fordista
si rompe in molte business units autonome,
ciascuna delle quali cerca un proprio rapporto col mercato e con partners esterni, sviluppando una missione specifica e competenze più esclusive e focalizzate, nel distretto
le diverse unità (imprese) devono accrescere
il proprio patrimonio di conoscenza e di relazioni, senza demandarlo più al sistema
complessivo (ossia ad altre imprese del mercato captive). Questo comporta notevoli
cambiamenti nella logica che presiede allo
sviluppo di ciascun impresa:
- accrescimento dell'intelligenza "in linea";
- reversibilità delle relazioni;
- formalizzazione dei linguaggi e delle procedure operative, per aderire a comunicazioni e relazioni a distanza;
(2) Cfr. Corò G, Rullani E., Percorsi locali di internazionalizzazione. Competenze e auto-organizzazione nei distretti industriali del
Nord-Est, Angeli, Milano
15
- professionalizzazione del lavoro, ai vari
livelli, per governare relazioni e competenze maggiormente formali;
- investimenti e rischi crescenti in risorse immateriali;
- dipendenza da servizi specializzati localizzati anche fuori del distretto.
Questa trasformazione è il passaggio necessario per avere anche una diversa internazionalizzazione delle imprese, che potrà essere
maggiormente articolata rispetto al modello
della pura esportazione del prodotto finito o
della vendita di macchine e componenti. La
questione da porre è quella di non "svendere" le competenze e i vantaggi del distretto,
ma di espandere il tessuto relazionale interno
facendogli perdere i suoi caratteri captive e
la sua ristrettezza geografica. Si tratta di innescare reti globali su un nucleo portante ancora valido di competenze e di cicli localizzati nel distretto, che può divenire il punto focale di relazioni estese verso l'esterno.
In questo senso la variabile strategica non è
più nè l'esportazione di merci (che non favorisce le alleanze con partners esteri), nè l'esportazione di macchine o componenti (che
trasferisce le conoscenze senza radicamento
delle relazioni); ma è la formazione di canali di scambio regolato delle conoscenze e di
accumulazione congiunta di nuove conoscenze. L'ingresso in rete di nuovi partners
(anche esteri) deve essere visto anche come
un'occasione di apprendimento: ci sono nuovi mercati e nuove competenze che, scambiandosi con quelle tradizionali del distretto,
possono aprire nuovi business, esplorare
nuovi bisogni, suggerire nuovi prodotti e
nuove utilizzazioni dei prodotti tradizionali.
Solo in questo modo l'evoluzione verso l'esterno, che è inevitabile, potrà non essere un
momento di impoverimento del distretto, ma
innescarne un'evoluzione verso varietà e
competenze non ancora esplorate.
7. Ambiente e attori
Nessun attore - istituzioni pubbliche, rappresentanze economiche, imprese – può operare da solo per migliorare le capacità compe-
titive del proprio distretto. Del resto, a meno
di non concepire quest’ultimo come mera
piattaforma logistica su cui sono insediate le
attività, è necessario dare alla nozione di
territorio un significato molto impegnativo,
che lo veda precisamente come risultato della costruzione sociale di attori che vi abitano
e vi operano, prodotto delle loro attività e
delle relazioni che instaurano fra loro.
Ad esempio, il ruolo di un moderno associazionismo coerente con questa visione del territorio deve anzitutto considerare quel processo di disintegrazione della filiera che sostituisce la precedente integrazione sotto il
controllo del “potere forte” della grande impresa. Diventa così importante ricomporre i
frammenti in un sistema di interdipendenze
che stabilizzi le relazioni tra imprese in un
quadro di affidabilità e di cooperazione. In
altri termini, le reti che nascono dalla scomposizione della grande impresa o quelle nate spontaneamente (i distretti) hanno bisogno
di qualcosa di più dello spazio di mercato
che deriva dalle specializzazioni. Hanno bisogno di sistemi di comunicazione e garanzia che mettano in contatto imprese che non
si sono mai incontrate e che sanno fare cose
diverse l’una dall’altra.
La costruzione delle reti diventa così un imperativo. Le imprese non possono essere lasciate sole nella costruzione delle reti. Il compito di costruire reti richiede anche attitudini
e competenze di cui sono tipicamente depositarie le associazioni e la politica pubblica.
Le funzioni di sensori nell’intercettare i fabbisogni, di interpretazione ed elaborazione
della domanda, di intermediazione con le
politiche pubbliche, di canalizzazione delle
risorse, configurano attività che in certa misura richiedono la presa di distanza dall’interesse immediato, di breve periodo e individuale: proprio il mestiere dell’associazionismo di rappresentanza.
Allo stesso modo, diventa sempre più impor-
16
tante la funzione dell’associazionismo nell’assistenza alle imprese per la costruzione
dei legami con l’ambiente di riferimento; tanto più importante tale funzione quanto più
l’ambiente di riferimento si allarga oltre il
contesto territoriale locale. Si pensi solo all’importanza di un accompagnamento: sui sistemi di comunicazione in rete, sull’accreditamento presso clienti, banche,…sulle regole
della committenza/subfornitura, sulle relazioni industriali,…La costruzione delle reti, il
compito principale di un moderno associazionismo, passa anche per queste vie.
La stessa sfida, seppur con compiti differenti,
riguarda la pubblica amministrazione. Qui è
in gioco in primo luogo un problema di chiarezza circa il ruolo delle istituzioni nella promozione dello sviluppo. Limitando il discorso
alle istituzioni locali, è certamente vero che
in questi anni si è registrata la maturazione
di un ceto politico-amministrativo sul quale
puntare per la modernizzazione delle autonomie locali; ma non sempre a questo ha
corrisposto la consapevolezza del proprio
ruolo riguardo agli impegni sul versante dello sviluppo locale. In particolare nel rapporto
con le imprese questo deficit di consapevolezza lo si constata nella difficoltà ad operare in maniera differenziata secondo le diverse caratteristiche dei soggetti imprenditoriali.
Si consideri l’aspetto della mobilità territoriale di capitale e imprese. Il territorio dei distretti è popolato da aziende sempre più mobili, che cioè intrattengono rapporti con una
molteplicità di territori senza radicarvisi in
alcuno di essi. Semplicemente, utilizzando di
ciascuno le risorse specifiche che vi sono disponibili: agevolazioni fiscali, manodopera
qualificata, manodopera a basso costo, vicinanza ai clienti finali, incentivi pubblici, ecc.
Il rapporto che queste imprese intrattengono
con il territorio è di tipo contrattuale perché
basato sulla convenienza a permanere o insediarvisi: si tenderà a localizzarsi in quel
luogo solo se conviene e fino al momento in
cui conviene. Per questo anche i territori possono entrare in concorrenza tra loro: volendo essere attrattivi per gli investimenti delle
imprese dovranno valutare attentamente su
quali “beni” investire a loro volta per rendere appetibile agli occhi delle imprese il proprio ambiente. E dovranno altresì essere attenti a non offrire le stesse cose che altri territori possono fornire a costi più bassi o con
una qualità superiore.
Ma questo non vale per tutte le imprese. Specialmente le imprese piccole e artigiane,
quelle su cui è cresciuta l’economia dei distretti, sviluppano verso il territorio un altro tipo di rapporto, che tiene conto del fatto che
non sono nelle condizioni di valutare e accettare le condizioni che vengono loro da qualsiasi territorio. Sono imprese che non si possono permettere la mobilità delle altre e che
quindi con il proprio territorio hanno un rapporto di identificazione piuttosto che di negoziazione. Al territorio vi sono ancorate, le loro radici sono lì, e di conseguenza cercheranno di utilizzare i servizi e le opportunità
che vi sono, tante o poche che siano. Dal territorio dipendono e per questo sono anche le
imprese che alle istituzioni locali si rivolgono
avanzando richieste e facendo pressioni.
Nel medesimo territorio convivono quindi
differenti interessi di impresa, da quelli temporaneamente localizzati e che negoziano
la loro permanenza a quelli radicati nel territorio e che si identificano con esso nel bene
e nel male.
Ebbene, le istituzioni locali non sono oggi
preparate a gestire questa complessità perché non distinguono tra chi negozia nell’ambito di uno scambio territoriale e chi invece si
identifica con il territorio. Da un lato, non sono pronte ad esercitare quell’autorevolezza
che è richiesta nei rapporti negoziali, specie
con imprese che vengono da altri paesi, dall’altro, se si escludono alcuni casi di aree distrettuali, non danno sufficiente importanza a
quelle imprese che, essendo radicate sul territorio, chiedono più servizi di qualità, più
competenze, un ambiente migliore.
17
L’affermarsi dei processi di globalizzazione
esalta uno dei tratti distintivi della modernità,
quello che distingue e poi connette i luoghi e i
flussi. I luoghi si definiscono per la loro natura
localizzata, puntuale e fisiso-spaziale. Come
tali alludono a pratiche sociali e comportamenti che nascono e si esauriscono entro i
confini di specifici ambiti territoriali. Dal punto
di vista economico i luoghi sono tradizionalmente assunti come i contesti nei quali operano i fattori che sono alla base della generazione di valore. Caratteristici esempi di commistione tra società locale ed economia di luogo sono proprio i nostri distretti industriali storici, quelli nei quali la commistione di produzioni tipiche e di culture locali ha prodotto
modelli di organizzazione dell’economia e
della società a base strettamente territoriale.
Il concetto di flussi descrive invece quella
caratteristica della società moderna che
allude alla comunicazione e interconnessione tra ambiti diversi e spesso anche
lontani. E’ un carattere tipico della globalizzazione e della Rete quello di connettere stili di vita, modelli organizzativi, culture. In questo senso, i flussi hanno a che
fare con le relazioni più che con i soggetti
intesi in senso puntuale e situato, territori,
società locali, imprese, distretti,…
L’assumere questa polarizzazione tra luoghi e flussi, anche se ci aiuta a capire,
contiene però anche un rischio concettuale, quello di considerare i due concetti come alternativi l’uno all’altro, l’uno come
negazione dell’altro. Letture semplificatorie non mancano di illustrare come la
competizione a scala globale decreterebbe la fine della dimensione locale, l’esaurirsi delle ragioni per le quali insistere sui
processi di sviluppo locale e dal basso, o,
viceversa, emergono comportamenti di resistenza che insistono nel considerare come proprio esclusivo ambito di espansione i contesti locali circoscritti alle relazioni
di compresenza fisica.
Si tratta di un equivoco che ha origine nel fatto di non considerare che i flussi interconnettono, tra le altre cose, proprio i luoghi. E che
anzi l’interconnessione è davvero tale se vengono fatte valere tutte le ragioni dei luoghi
da interconnettere. Questo significa anche
che i luoghi non possono più essere considerati come entità conchiuse, autoconsistenti.
Perché vi sia interconnessione, rete, servono
luoghi densi di significati, ricchi di identità,
ma anche disponibili ad aprirsi verso l’esterno, a confrontarsi con altri luoghi altrettanto
densi, ricchi e disponibili al confronto.
La polarizzazione tra economia dei flussi ed
economia dei luoghi, tra luogo e spazio,
cambia i significati attraverso cui i soggetti
vivono la dimensione territoriale. Possiamo
così distinguere tre tipi ideali di spazio che
definiscono non solo una fenomenologia dei
distretti, ma modi di essere e di pensare il
territorio in generale.
➢ Lo spazio di sorvolo del territorio, dove si
condensa l’economia dei flussi globali fatto di internet company, di finanza e spazi
finanziari sempre più globali, di economia dei marchi, del logo simbolo di merci
e servizi globali, di modelli di intrattenimento, di culture e lingue veicolari.
➢ Territori/luoghi che fanno trivella, che assumono, come unico spazio di resistenza
e di futuro, il locale. Qui, si trivella, “avvitandosi” sul territorio, tutte le risorse locali
di manodopera, di ambiente, di identità,
stressando in una coazione a ripetere i
luoghi nei quali si vive e si opera. E’ il locale che si fa localismo. Si assume come
riferimento unico la comunità originaria,
la lingua originaria. Poco importa se sono
entrambe depotenziate.
Se è il caso, si inventa la tradizione e in
nome di una identità originaria si respinge l’altro da sè. Appare una società in
preda alla nostalgia e caratterizzata dalla paura del futuro.
➢ Territori/luoghi che fanno molla, i quali,
rimbalzando dal locale al globale, interconnettono economie dei luoghi ed econo-
18
mie dei flussi, facendo investimenti diretti
all’estero ed attirando localmente investimenti e flussi globali. Appaiono società
glocali in grado di governare l’interdipendenza tra locale e globale arricchendo la
lingua originaria, non perdendola, l’identità locale, trasformandola nel rapporto
con l’altro da sè, facendo comunità aperta
adeguata ai tempi di transizione e turbolenza. Appare una società in grado di immaginare e progettare il proprio futuro.
A questi tre diversi spazi di posizione e spazi
di rappresentazione del vivere luoghi e territori, nell’ipotermodernità che viene avanti, corrispondono altrettanti comportamenti sociali.
* I sorvolatori, coloro che assumono come
unico spazio di rappresentazione i flussi,
lo spazio virtuale, tendono a sentirsi parte
della Businnes Community o della comunità della tecnica. Frequentano e vivono
tra quelli che Marc Augé definisce non
luoghi e che sarebbe più pertinente considerare invece “iperluoghi” che caratterizzano l’economia dei flussi: la rete, gli aereoporti, le quotazioni delle borse, le autonomie funzionali della velocità delle
merci e delle informazioni, come le fiere e
i grandi eventi globali. Assumono lo spaesamento, letteralmente l’essere senza paese e senza luogo, come un destino e traggono il senso di sè dall’invenzione quotidiana di comunità virtuali, siano queste
date dalle nuove appartenenze evocate
dalla rete della business economy o dal
vivere in “comunità perimetrate” di luoghi
e i soggetti reali. Snobbano con uno strano gergo da lingua veicolare tutto ciò che
è locale come “provinciale”, provincia di
un impero di flussi e segni virtuali.
* Gli uomini trivella assumono come unico
spazio di senso, quello perimetrato delle
relazioni di prossimità. Hanno nel localismo metodologico, più che nella simultaneità, il codice del fare economia e del fare società. Questo li porta a costruire modelli economici e sociali chiusi in se stessi,
orientati ai tempi in cui il massimo spazio
economico e sociale identitario era dato
dalla dimensione nazionale, la rete massima di espansione immaginaria del fare
economia e dall’essere società perimetrata
da un unico codice linguistico. Quando
non avviene che il percorso venga interpretato alla rovescia ed allora, dallo spazio massimo dato dalle reti di prossimità,
la nazione, si regredisce al perimetrare
comunità territoriali date dai fondamenti
delle appartenenze linguistiche, religiose.
* Gli uomini molla, invece, assumono come
dimensione del fare società e del vivere entrambe le polarità del moderno: luoghi e
flussi. Ma, a differenza dei sorvolatori, assumono come spazio di senso e di innovazione il luogo, il locale, quel che resta della comunità originaria della società locale,
della lingua originaria. Si naviga in rete
non tanto per cercare la propria comunità
virtuale ma per selezionare e cogliere nel
magma informativo tutto ciò che diventa
utile ad aumentare il patrimonio informativo locale. Si parte dal luogo per ampliarne
lo spazio informativo e comunicativo e non
viceversa. Più che sostenitori delle autonomie funzionali del moderno, più che produrre eventi, alimentano i processi di autorganizzazione dal basso del vivere, dell’abitare, del fare società, del fare impresa
che permettano di confrontarsi con l’economia dei flussi. Alimentano il sogno che abbia ancora senso il fare e costruire società
da una dimensione del tempo e dello spazio caratterizzato dalla simultaneità.
Non è difficile riconoscere in questa classificazione il posto dove si collocano territori e soggetti che contraddistinguono le
esperienze più evolute tra i distretti industriali. Territori e uomini molla descrivono
gli ambiti locali e gli attori distrettuali dove con più coraggio e coerenza si sono
sapute accettare le sfide di una globalizzazione che richiede, insieme, adesione
ai luoghi e proiezione internazionale.
19
l rapporto di sintesi contiene l’analisi di
alcuni dei principali distretti industriali italiani, suddivisi per regione, ed ha lo scopo di
fornire gli elementi conoscitivi essenziali relativi al territorio interessato dal distretto, al
settore produttivo che lo caratterizza ed alle
sue peculiarità.
La mancata definizione di criteri unici per la
individuazione dei distretti industriali ha
comportato una vera e propria proliferazione di classificazioni, realizzate dall’Istat e
da diversi istituti di ricerca (Tagliacarne, Sole
24 Ore, Ceris/Cnr, Censis etc.), ed ottenute
sulla base dei diversi criteri adottati, il che
ha comportato la coesistenza di mappature
diverse con dati non omogenei.
Le diverse analisi sui distretti traggono comunque origine da indagini territoriali su un
fenomeno che si è verificato soprattutto nel
Nord del Paese, a partire dagli anni ’60 e
che è caratterizzato dalla crescita di sistemi
produttivi locali con una elevata concentrazione di imprese industriali, prevalentemente
di piccole e medie dimensioni, e da una elevata specializzazione produttiva. I distretti
sono generalmente composti da aziende a
forte tradizione artigianale.
I Distretti industriali si sono sviluppati negli
ultimi decenni in maniera molto autonoma
ed hanno concentrato la loro attenzione su
nicchie di mercato sempre più definite, sviluppando notevoli vantaggi competitivi.
Nel Mezzogiorno, l’evoluzione dei distretti
non ha seguito il processo di formazione che
ha caratterizzato quelli del Nord del Paese,
ma si può senz’altro affermare che esistono
poli con processi di crescita localizzati e cumulativi che hanno reso possibile lo sviluppo
di aree arretrate.
Il legislatore ha previsto la possibilità, per le
Regioni, di definire e localizzare i distretti industrial, ai fini dell’erogazione di finanziamenti ed agevolazioni.
Nell’ambito dell’ordinamento, i principali riferimenti normativi sono costituiti da:
- legge 317 del 5 ottobre 1991, art. 36
- decreto del ministro dell’industria del 21
aprile 1993
I
RAPPORTO
NOTA METODOLOGICA
20
- legge n. 266 del 7 agosto 1997
- legge 140/99.
In base a questa normativa, dieci amministrazioni regionali hanno provveduto alla individuazione dei distretti industriali di loro
competenza (Abruzzo, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche,
Piemonte, Sardegna, Toscana e Veneto).
In allegato si riporta la tabella relativa all’elenco dei distretti industriali approvati dalle
Regioni di cui si è in possesso al momento
della redazione del dossier.
Anche l’intervento degli enti regionali non
ha contribuito però ad una chiarificazione
del problema della mappatura, anzi, in
qualche misura, lo ha complicato perché si
è aggiunta un’ulteriore tipologia classificazione.
A titolo esemplificativo si riporta la tabella
predisposta da Ceris/Cnr che dà il senso
della difficoltà di avere dati certi sul numero
dei distretti, sulla loro denominazione e localizzazione, sulle caratteristiche produttive,
ecc.
NUMERO DISTRETTI INDUSTRIALI
REGIONI
INDIVIDUAZIONE
REGIONALE
INDAGINE
ISTAT
INDAGINE
SFORZI
TAGLIACARNE
SOLE 24 ORE
INDAGINE
CERIS
Piemonte
25
16
2
14
4
9
Lombardia
21
42
11
15
11
24
Trentino-A.Adige
-
4
-
4
2
1
Veneto
-
34
14
21
9
9
Friuli V.Giulia
4
3
1
10
3
4
Liguria
1
1
-
7
1
1
Emilia Romagna
Toscana
-
24
9
18
9
11
7
19
8
30
6
10
Umbria
-
5
-
4
1
-
Marche
9
34
15
8
3
6
-
2
-
10
2
2
4
6
1
11
1
1
Lazio
Abruzzo
Molise
-
-
-
3
-
-
7
4
-
6
1
2
Puglia
-
3
-
8
3
3
Basilicata
-
-
-
4
-
1
Calabria
-
2
-
4
-
-
Campania
Sicilia
Sardegna
Italia
-
-
-
9
-
-
4
-
-
1
1
3
82
199
61
187
57
87
FONTE: Ceris-CNR.
Proprio in considerazione di queste difficoltà, nella redazione di questo dossier si è
fatto ricorso a più fonti (Istat, Unioncamere,
Il Sole 24 Ore) privilegiando quelle che,
caso per caso, riportavano i dati più aggiornati.
Si è cercato così di costruire una mappa certamente non esaustiva dei distretti industriali
italiani, ma che fosse la più rispondente alla
realtà economica e sociale del Paese, in termini di indagine territoriale e di attualità degli elementi conoscitivi riportati.
21
BASSO CUSIO: LE VALVOLE E LE RUBINETTERIE
ambito territoriale del Cusio(1) risulta
delimitato a Nord dalla nuova provincia di
Verbania-Intra, ad est, oltre l'area di Arona
ed il Ticino, dalla provincia di Varese, ad
ovest, oltre il fiume Sesia, dalla provincia di
Vercelli, mentre a sud si colloca il sistema
forte dell'area novarese.
Nei sei comuni individuati quale area a
maggiore specializzazione produttiva nel
campo rubinetteria e valvolame, risiedono
circa 15.000 abitanti distribuiti su una superficie territoriale di 47 kmq.
Con circa 7.500 persone attive l'area conferma l'importante ruolo economico ed il dinamismo imprenditoriale presente.
L'area del basso Cusio è caratterizzata dalla
presenza, quasi esclusiva, di un comparto
specifico del settore metalmeccanico: la rubinetteria, che si divide in due grandi gruppi:
la rubinetteria di erogazione (definita in termini commerciali “cromata”) e la rubinetteria
di intercettazione o regolazione, detta anche
“gialla”. La prima è posta al capo estremo
della tubazione, mentre la seconda tra le
condutture per regolare o interrompere il corso del fluido.
La produzione del novarese interessa entrambi i tipi di rubinetteria e rappresenta un
terzo della produzione nazionale.
Caratteristica peculiare di questa area è la
presenza di una consistente atomizzazione
del tessuto industriale in numerose piccole
aziende anche a carattere artigianale. In
pratica, accanto a poche imprese di dimensioni medio-grandi si è creato un indotto capillare di piccole imprese, molte a conduzione familiare, che svolgono per conto di terzi
una o più fasi del ciclo produttivo.
Rilevanti come sbocchi commerciali, specialmente per il comparto valvolame, sono i Paesi del Medio Oriente.
L’
PIEMONTE
(1) - Fonte: dati ISTAT, 1991
22
BIELLA: IL LANIERO
Il distretto del laniero di Biella copre un territorio di 477 kmq posto nella zona nordorientale del Piemonte; con circa 123 mila
abitanti. Biella (48 mila abitanti) è tra i maggiori e più qualificati centri dell'industria laniera mondiale(2).
Il Biellese presenta uno dei più alti tassi di attività in Italia (45,3% contro il 42,4% della
media nazionale); degno di nota, in particolare, è l'elevato tasso di attività femminile
(35 donne su 100 sono occupate contro un
valore di 25 per l'Italia).
Per quanto concerne il settore tessile esso si
presenta così articolato: ca. 1700 unità produttive, 28.000 addetti, 7.300 miliardi di
fatturato, 2.000 miliardi di esportazione.
I principali mercati di sbocco sono la Germania (38%), la Francia (19%), la Gran Bretagna (15%)(3).
Le produzioni principali riguardano i tessuti
per abbigliamento maschile e femminile e i
filati per tessitura e per maglieria; sono poi
presenti altri comparti del sistema tessile/abbigliamento quali i maglifici, la biancheria
per la casa, l'abbigliamento sportivo, i non
tessuti, oltre che tutte le lavorazioni ausiliarie
della filiera tessile laniera (pettinature, tintorie, finissaggi, ecc.).
OMEGNA - VARALLO SESIA – STRESA: I CASALINGHI
Tra i distretti riconosciuti ufficialmente dalla
Regione Piemonte in applicazione della legge 317/91, uno dei più noti e, sotto molto
aspetti affascinante, è quello che si estende
tra le province di Vercelli e di Verbania.
Il distretto Omegna, Varallo Sesia, Stresa (4) è
compreso fra il lago Maggiore (detto anche
Verbano), il lago d'Orta (detto Cusio) e la
val d'Ossola. In tutto sono 41 comuni per un
totale di circa 60.000 abitanti distribuiti su
975 Kmq di territorio. Ad Omegna è localizzata la maggior parte delle attività produttive del distretto.
Il tasso di attività è prossimo al 60 %,mentre
il tasso di disoccupazione è attestato intorno
al 7,7 %.
L'analisi settoriale della produzione evidenzia che circa il 4% delle aziende svolge attività connesse all'agricoltura e al settore
estrattivo, il 35% appartiene all'industria ed
il rimanente è occupata in altre attività, in
particolare l'edilizia, il commercio, i servizi
ed il turismo. Le imprese sono circa 5.500
(in pratica ce n'è una ogni 11 abitanti!) e di
queste oltre 2.500 (45%) sono artigiane.
Le aziende del settore manifatturiero sono
circa 1.260 (il 23% del totale) e fra queste
la metà, per un totale di circa 4.850 addetti, si occupa della produzione caratteristica
del distretto: la fabbricazione di prodotti metallici.
Il disegno organizzativo del distretto è quello
tipico di queste realtà: metà delle imprese
sono società di persone (di cui la maggior
parte artigiane) e solo il 15% sono società
di capitali.
Le principali lavorazioni del distretto sono
rappresentate da prodotti per la casa, valvole di vario tipo e rubinetterie; attorno a queste produzioni si è sviluppata poi la fabbricazione di macchine utensili per la loro produzione (meccanica strumentale)
La notorietà del distretto è legata soprattutto
alla produzione di utensili in metallo per la
cucina e la tavola. Il suo peso nell'economia
locale è provato dal fatto che gli articoli per
la casa rappresentano il 60% delle esportazioni del settore metalmeccanico della provincia.
La produzione di questi oggetti vanta una
lunga tradizione. Le prime imprese industriali
moderne nacquero intorno alla metà dell'Ottocento come evoluzione delle locali tradi(2) Fonte: dati ISTAT, 1991
(3) Fonte: elaborazione su dati CENSIS, VIII Forum sui localismi,
1998
(4) Fonte: dati dell’Associazione provinciale dei produttori di rubinetterie aderente a Confindustria, dicembre 2000
23
zioni artigiane ed ancora oggi molte di esse
sono guidate dai discendenti dei fondatori.
Il fatturato complessivo delle imprese del settore casalinghi in metallo supera i 600 miliardi (circa il 30% del totale nazionale); il
40% è venduto all'estero e il 60% sul mercato nazionale.
Il calco del distretto industriale emerge anche dalla struttura produttiva: la principale
fonte d'occupazione del settore sono le imprese artigianali a carattere familiare che
svolgono attività di subfornitura. Anche se
parcellizzata in piccolissime unità produttive,
infatti, la loro capacità "occupazionale" si
stima sia pari a circa 1000 addetti. Si tratta
per lo più di microaziende che operano nell'indotto.
Una parte delle grandi aziende e degli operatori per conto terzi è impegnata prevalentemente all'automazione dei processi produttivi; gli altri scommettono sul design e la riorganizzazione delle reti commerciali.
Un discorso a parte merita lo studio delle forme, da sempre fattore fondamentale nella
produzione di articoli casalinghi. Un vero
salto di qualità, in questo caso, si verificò
con la caffettiera Bialetti e la pentola a pressione Lagostina che si sono imposte sul mercato mondiale grazie alle valenze estetiche
e alle forme di questi "classici" della storia
del settore. Questo filone è stato sviluppato
soprattutto dalla Alessi, che ha dato grande
rilievo al design.
Negli ultimi anni, gli attori del distretti si sono preoccupati di rafforzare il tessuto connettivo locale avvicinando le aziende fra loro e con la popolazione. Il coinvolgimento
dei lavoratori è considerato condizione fondamentale per garantire prestazioni qualificate e per creare un contesto favorevole allo
sviluppo di nuove imprese. E proprio per
questo sono nate alcune importanti strutture
di "governance" a livello di distretto.
La prima è il Tecnoparco del Lago Maggiore, che concentra le attività nel campo della
ricerca e del sostegno tecnologico. Al suo interno vengono effettuate le analisi di resistenza all'usura delle pentole antiaderenti, le
prove sulla deformazione dei fondi pentole a
caldo e a freddo e, per le pentole a pressione, tutte le analisi termografiche e di conformità alla norma UNI 9616.
Il Forum di Omegna, invece, rappresenta la
volontà di un reciproco scambio tra l'immagine del distretti industriale e le vocazioni turistiche del territorio. La promozione dell'immagine della città e della sua imprenditorialità si è ispirata ad esperienze gia attuate
sia all'estero (il museo "Tecnica ed artigianato" di Hagen) che in Italia (il museo "Valeriani" di Bologna). E così anche a Omegna è
nato un museo di "Storia dell'industria locale" ospitato in un'accogliente struttura insieme ad un centro congressi e al "Forum
shop", vera vetrina del distretto dove si possono acquistare gli articoli prodotti in zona
a prezzi convenienti.
VALENZA PO: LA GIOIELLERIA
La città di Valenza, in provincia di Alessandria, dà il nome ad uno dei distretti più noti e
importanti nel settore della gioielleria. I suoi
confini sono tracciati dal Po e dal Monferrato
ed occupa una posizione baricentrica rispetto al vecchio triangolo industriale: è a 100
km di distanza da Genova, Milano e Torino.
La tradizione produttiva dell’area in questo
settore risale al 1840 e prima della Prima
Guerra Mondiale già esistevano più di 40
imprese. Il vero boom si è verificato nel dopoguerra: nel 1945 già operavano più di
300 aziende.
Il distretto(5) si estende su Valenza e su otto
comuni contigui e lambisce anche tre comuni
lombardi. Su un territorio (quello del versante piemontese) di poco più di 50 kmq, risiedono 33.590 abitanti, in larga parte occupati nella produzione di gioielli.
(5) Fonte: Il Sole 24 Ore, ottobre 2000
24
Il settore orafo comprende 1.300 aziende
con 7.000 addetti; la produzione, che per
la metà è esportata, è pari a circa a 3.000
miliardi di lire. Ogni anno, nel distretto vengono lavorate circa 30 tonnellate d'oro e
l'80% delle pietre preziose importate in Italia.
Le dimensioni delle imprese, nella maggioranza di tipo artigianale con una media di
5,6 dipendenti per azienda, e il ricambio
imprenditoriale all'interno del distretto è sostenuto, segno di una intensa mobilità sociale. La forza lavoro specializzata nelle produzioni orafe è quasi tutta locale. Molto diffusa
la subfornitura che si caratterizza per la stabilità e la continuità dei rapporti fra committenti e fornitori.
I punti di forza del distretto sono un vasto
patrimonio di know-how tecnico e professionale, maturato in oltre 150 anni di tradizioni
orafe artigianali; la presenza di lavoratori
qualificati, con conoscenze che vengono trasmesse e sono assimilate direttamente "on
the job"; rapporti densi fra le imprese; rapidità di aggiornamento al mutare delle richieste del mercato.
Del distretto va segnalata l'elevata propensione all'imprenditorialità, una risorsa importante che ha permesso all'intero sistema produttivo di mobilitare le energie di tutti i segmenti della popolazione, in particolare quella femminile.
Il peso contrattuale delle micro imprese, anche se inserite nelle maglie del distretto, è limitato; salvo poche eccezioni, la leva promozionale è poco utilizzata. Per molte
aziende la partecipazione alle rassegne
espositive specialistiche, nazionali ed internazionali, è l'unica vera occasione per affacciarsi sui nuovi mercati.
Negli ultimi anni, inoltre, molte aziende che
un tempo erano specializzate nella commercializzazione e seguivano direttamente i rapporti con i clienti, sono entrate nell'orbita
delle grandi "firme" internazionali della
gioielleria che, da un lato, offrono certezze
di lavoro ma, dall'altro, ne limitano l'autonomia.
Il grado di dipendenza rispetto alle grandi
organizzazioni è minore nei contratti che
prevedono da parte degli orafi di Valenza la
concessione in esclusiva del proprio campionario, ma sono frequenti anche i casi di semplici commesse, con le imprese di Valenza
che lavorano sui disegni e i progetti elaborati direttamente dai committenti.
Del resto il mercato è percorso da correnti tumultuose che ne hanno ridisegnato profondamente le le caratteristiche: nel passato i
piccoli produttori operavano sul mercato finale direttamente o attraverso una rete di
rappresentanti che raggiungevano i piccoli
negozi indipendenti di gioielleria. Oggi, la
sempre maggiore diffusione della distribuzione organizzata, la notorietà dei marchi mondiali e l'affollamento delle campagne pubblicitarie lasciano decisamente meno spazi alle
micro aziende artigiane.
25
BASSA BRESCIANA: LE CONFEZIONI
E L’ABBIGLIAMENTO
l distretto della Bassa Bresciana(1) copre
una superficie di 210 kmq, con una popolazione di 42.000 abitanti al 31.12.1999,
Comprende 12 comuni, di cui dieci localizzati in provincia di Brescia e due in provincia di Cremona: si tratta, rispettivamente di
Alfianello, Barbariga, Bassano Bresciano,
Cigole, Manerbio, Offlaga, Pontevico, S.
Gervasio Bresciano, Seniga, Verolanuova, e
di Corte de’ Frati e Gabbioneta Binanuova.
Nel distretto sono presenti complessivamente
2.897 unità locali, con 15.347 addetti. Nel
settore di specializzazione, quello della confezione/abbigliamento, sono presenti 134
unità locali con 1.888 addetti.
Il distretto è specializzato nell’attività di confezione di articoli di vestiario e nella preparazione di tintura per pellicce: in particolare,
34 unità locali, con 354 addetti, lavorano
nel settore della confezione di articoli di vestiario e di accessori; 91 unità nella confezione di altri indumenti esterni, con 1.988
addetti.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
Nella precedente deliberazione della Giunta
Regionale del 1993, il Distretto della Bassa
Bresciana era, tra quelli della Lombardia, il
più grande; comprendeva infatti 43 comuni,
con una super ficie di 804 kmq e con
141.000 abitanti.
Con la nuova deliberazione è stato sostanzialmente diviso in due distretti distinti, questo del tessile e quello del cuoio (v).
I
BASSA BRESCIANA: IL CUOIO E LE
CALZATURE
Il distretto(2) si estende sul territorio di 6 comuni della provincia di Brescia (Acquafred-
LOMBARDIA
I
NUOVI DISTRETTI
(1) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(2) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
26
da, Calvisano, Carpenedolo, Gambara,
Gottolengo, Isorella) e 2 della provincia di
Cremona (Ostiano e Volongo), per una superficie totale di 188 kmq ed una popolazione residente al 31.12.99 di 35.195 abitanti.
Complessivamente, nel distretto, sono insediate 2.568 unità produttive con 10.278 addetti; nel settore della specializzazione
(cuoio e calzature) operano complessivamente 109 unità locali con 1.227 addetti,
ed in particolare 98 unità, con 1.165 addetti, nella fabbricazione di calzature.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
BERGAMASCA, VAL CAVALLINA:
L’ABBIGLIAMENTO E I MOBILI
Il distretto(3) si estende su una superficie di
229 kmq e comprende 22 comuni, della
provincia di Bergamo e 4 della provincia di
Brescia; risiedono nell'area 138.160 abitanti. Il centro del distretto è Palazzolo sull'Oglio, con 17.000 abitanti.
Nel distretto sono insediate complessivamente 11.020 unità locali, con 58.120 addetti,
Il settore di specializzazione è articolato su
due filiere:
- la confezione di articoli di vestiario e la
preparazione di tintura per pellicce, in
cui operano 296 imprese, con 3.841 addetti;
- la fabbricazione di mobili e di accessori,
in cui operano 386 imprese, con 4.020
addetti.
Consistente è la presenza dell'artigianato; il
distretto presenta una fortissima densità di
attività manifatturiere e circa un quarto degli
addetti lavora nell'industria tessile e in confezioni di articoli di vestiario.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, e risulta notevolmente ampliato rispetto alle precedente configurazione del
1993, quando il distretto era identificato
con il nome “Palazzolo sull’Oglio”.
BRIANZA: IL MOBILE
L’ambito territoriale del distretto del mobile (4)
insiste sulle provincie di Como (16 comuni, il
cui centro principale è Cantù) e di Milano
(20 comuni, il cui centri principali sono Desio e Seregno), per una superficie totale di
258 kmq; la popolazione residente al
31.12.1999 è di 450.500 abitanti.
Nel distretto operano complessivamente
35.747 unità locali, con 137.817 addetti,
mentre nel settore di specializzazione, mobile/arredo, operano 4.695 aziende con
22.500 addetti.
La nascita del distretto industriale canturino
risale alla metà del secolo XIX, come attività
integrativa di un’economia rurale la cui povertà era dovuta alla scarsa fertilità della terra e alla sua concentrazione nelle mani di
poche famiglie nobili; fu probabilmente favorita, in un primo momento, dalla presenza in
loco di residenze nobile-borghesi, il cui arredamento richiedeva mobili in stile di alta
qualità e successivamente, dalla vicinanza
del mercato urbano milanese. La produzione, inizialmente di tipo artigianale, conservò
nel tempo questa sua connotazione, fino a
giungere ai giorni nostri; anche le realtà imprenditoriali più significative mantengono un
(3) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(4) Fonte: Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
27
carattere artigianale. Le capacità tecnicoesecutive, il “saper fare”, sono state e sono
tuttora prevalenti rispetto a quelle prettamente imprenditoriali. Tali capacità sono sorrette
ancora oggi da un reticolo di interrelazioni
fra imprese complementari, che si concretizzano in veri e propri rapporti di collaborazione per la promozione e la vendita dei
mobili prodotti dal distretto, tra i quali assumono particolare rilevanza le Esposizioni
permanenti. Altro punto di forza è costituito
dalla formazione professionale, svolta dalla
Scuola Arti e Mestieri, ora Istituto d’Arte, che
risale al 1882.
Il distretto canturino ha vissuto una fase di
sviluppo fino alla fine degli anni ‘60, con un
andamento eccezionale nell’immediato periodo postbellico, fra il 1945 ed il 1960. In
tale periodo, per l’elevata domanda di mobilio, come conseguenza delle esigenze della
ricostruzione del Paese, e per la presenza di
strutture dedite alla vendita, si ebbe una crescita eccezionale del numero delle imprese
artigiane, attirate dalla facilità di vendita del
prodotto e dal fatto che non occorrevano
particolari capacità imprenditoriali: bastava
produrre e le Esposizioni poi si incaricavano
di vendere. Tre sono state le circostanze favorevoli in quel periodo:
• l’esistenza di un artigianato già formato
professionalmente ed in possesso delle attrezzature fondamentali;
• la rapida nascita di nuove unità operative, perché occorrevano impianti e spazi
modesti (ricavati spesso presso gli stessi
locali abitativi), reperibili anche con il modico impiego di capitali;
• l’esistenza in loco delle Esposizioni Permanenti.
Alla produzione artigianale del mobilio si affiancarono in via collaterale un complesso di
altre attività: l’intaglio, l’intarsio, la lucidatura, la laccatura, la doratura, l’imbottito, la
lavorazione del metallo, dei marmi, dei vetri
e dei cristalli; nonché imprese commerciali
dedite alla vendita di materie prime, di ferramenta e ottonami, di tessuti. Cantù diede vita ad una ”area sistema” integrata e diversi-
ficata per l’arredamento, dove le relazioni
intersettoriali e infra-settoriali costituivano la
regola. Un reticolo di piccolissime imprese
collegate fra loro da relazioni di interdipendenza e complementarità. Nel distretto di
Cantù l’organizzazione del processo produttivo, le caratteristiche del tessuto imprenditoriale, i rapporti fra le imprese, sono rimasti
sostanzialmente immutati nel tempo.
La crisi del distretto canturino cominciò negli
anni ‘70, quando la Scuola d’Arte e Mestieri
abbandonò il suo ruolo di formazione professionale per divenire Istituto Statale d’Arte
con scopi e funzioni non sempre allineati
con quelli della piccola impresa, e cominciarono a manifestarsi i primi problemi legati al
passaggio generazionale; anche le Esposizioni cominciarono ad andare in crisi, non
reggendo più la politica di vendita su attesa
del consumatore e le imprese dovettero rielaborare una propria politica commerciale
non senza difficoltà.
E’ a partire dagli anni ‘70 che si assiste ad
un ridimensionamento del numero di imprese
e ad un importante mutamento nelle strategie imprenditoriali come adeguamento alle
mutate condizioni ambientali: il riposizionamento del sistema di prodotto sul su misura,
ossia su di una produzione personalizzata.
Contemporaneamente, nascono alcune ipotesi di subfornitura.
Il distretto sembra cioè aver subito un’evoluzione contraria rispetto agli altri: mentre, per
i più, si è passati da una subfornitura ad una
forma di autonomia, qui si assiste al passaggio dall’autonomia ad alcune forme di
subfornitura che rimangono, però, a tutt’oggi
assai limitate.
Il momento presente vede in atto un ulteriore
processo di riposizionamento del distretto
dal su misura al su disegno, ossia su di una
produzione sempre più personalizzata.
Il distretto della Brianza Comasca e Milanese è specializzato nella produzione di mobili
28
e oggetti in legno, nonché mobili in metallo
e complementi di arredamento: prodotti che
tradizionalmente si distinguono sia per la
qualità dei materiali e delle rifiniture, sia per
il design e lo stile.
L'attività del comparto si concentra soprattutto nella fabbricazione di mobili per l'arredamento della casa (imbottiti, armadi, tavoli,
sedie, camere da letto), e di articoli per la
decorazione, arredamento per esterni, pavimenti, infissi, ecc.
Consistente è anche il numero di imprese
specializzate in produzioni complementari
(componenti meccanici, plastica, vetro), mentre di scarso rilievo è la presenza di imprese
fornitrici di servizi tecnici e di ricerca.
La produzione dell'area è ancora, in gran
parte, destinata al mercato interno: meno
del 25% del fatturato deriva dalle esportazioni.
Delle 6.500 unità locali nel settore del legnoarredo, l'82,8% lavora nella produzione di
mobili, il 9,2% nella fabbricazione di prodotti di carpenteria e l'8% nella lavorazione
del legno e fabbricazione di "altri prodotti"
in legno.
La dimensione media delle unità locali del
comparto legno-arredo è di 4,7 addetti: l'area è infatti caratterizzata non solo da un significativo numero di imprese artigiane ma
anche da una elevata frammentazione del
ciclo produttivo.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
Rispetto alla precedente delimitazione distrettuale, effettuata dalla Regione Lombardia nel 1993, il nuovo distretto del mobile
della Brianza (in precedenza denominato
Cantù) è stato notevolmente ampliato per
quanto riguarda il territorio, comprendendo,
come si è detto, numerosi comuni della Provincia di Milano.
CASALASCO – VIADANESE: LA LAVORAZIONE DEL LEGNO
Il distretto industriale(5) si estende sul territorio
di 8 comuni della provincia di Cremona (Casalmaggiore, Cingia de’ Botti, Bussola, Martignana di Po, Rivarolo del Re, S. Giovanni
in Croce, Candolara Ravara, Solarolo Rainerio) e 5 comuni della provincia di Mantova
(Borgoforte, Dosolo, Pomponesco, Sabbioneta e Viadana), per una superficie complessiva di 407 kmq e una popolazione residente
al 31.12.1999 di 53.797 abitanti.
Nel distretto sono insediate complessivamente 4.480 unità locali con 16.870 addetti.
Nel settore di specializzazione operano
130 unità locali, con 1.850 addetti; in particolare, nel settore dell’industria del legno, vi
sono produzioni destinate alla falegnameria
per edilizia.
La specializzazione produttiva nella lavorazione del legno prende forma negli anni
'50. Nella sua storia si possono individuare
due periodi distinti. Il primo, compreso tra il
1955 ed il 1975, è stato caratterizzato dalla creazione di un'ampia base produttiva di
artigiani e di piccole imprese nei settori degli imballaggi del legno, del pannello compensato e del pannello truciolare grezzo.
Il secondo, invece, va dal 1967 ad oggi ed
ha seguito un percorso evolutivo diverso. Le
aziende si sono specializzate nella produzione dei pannelli listellari normali e speciali, dei componenti semilavorati e degli imballaggi di legno per ortofrutta ai pallets. Il distretto è noto anche per le colle ureiche per
il legno e le resine melaminiche usate per impregnare le carte decorative.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
(5) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
29
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
Rispetto alla precedente delimitazione distrettuale, effettuata dalla Regione Lombardia nel 1993, il nuovo distretto del legno del
Casalasco Viadanese è stato complessivamente ampliato, con l’inserimento dei comuni della provincia di Cremona, mentre sono
stati ridotti quelli della provincia di Mantova.
CASTELGOFFREDO: IL TESSILE E LE
CALZE
Il distretto di Castel Goffredo(6) si estende sul
territorio di tre comuni della provincia di Brescia, due della provincia di Cremona, e undici della provincia di Mantova, con una superficie di 353 kmq, ed una popolazione residente al 31.12.1999 di 59.817 abitanti.
Nel distretto di Castel Goffredo sono insediate complessivamente 4.445 unità locali
che occupano più di 26.000 addetti.
Nel settore di specializzazione, il tessile e le
calze, operano 501 unità locali, con 9.890
addetti.
In particolare, il distretto di Castel Goffredo
è specializzato nella produzione di articoli
di calzetteria in maglia, attività che viene
svolta in circa 440 unità locali.
La concentrazione di tali imprese ha determinato anche una consistente presenza di altre
industrie della lavorazione tessile, soprattutto
quelle specializzate nella produzione di fibre e nel finissaggio, nel quale operano circa 60 unità locali.
La produzione dell'area è destinata in notevole misura all'esportazione.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
Rispetto alla precedente delimitazione distrettuale, effettuata dalla Regione Lombar-
dia nel 1993, il nuovo distretto del legno del
Casalasco Viadanese è stato leggermente ridotto.
COMO: IL TESSILE E IL SERICO
L’ambito territoriale interessato dal distretto(7)
comprende 27 comuni della provincia di Como, compreso il capoluogo, per una superficie di 171 kmq, e con 190.000 abitanti al
31.12.1999.
Nel distretto sono insediate 14.528 unità locali, con 73.380 addetti; nel settore di specializzazione del serico operano 731 aziende, con 16.300 addetti. Il maggior numero
di unità locali (361) e di addetti (8.270) sono impegnati nella tessitura di filati di seta;
174 aziende (con 6.120 addetti) nel fissaggio dei tessuti; 37 (con 208 addetti) nel confezionamento di articoli in tessuto).
Il distretto industriale serico comasco ha una
lunga storia. La produzione di seta iniziò a
Como e in altre aree dell’Italia settentrionale
nel XVI secolo, ma fu solo a partire dalla
metà del secolo XIX che la tessitura, la fase
finale della produzione tessile serica, acquisì
importanza rispetto alle fasi della filatura e
torcitura del filamento di seta greggia. La
produzione di seta greggia filata e torta è
stata il “settore portante” dell’economia italiana nel XIX secolo, e per circa 100 anni,
dalla Restaurazione alla prima guerra mondiale, ha rappresentato la prima voce dell’export italiano. L’introduzione del rayon nel
1925 ha portato un grande cambiamento
nel settore. Il rayon ha avuto un successo immediato soprattutto grazie al suo basso co(6) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(7) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
30
sto, e solo a nove anni dalla sua introduzione veniva usato in una quantità cinque volte
superiore rispetto alla seta nelle imprese di
tessitura di Como. Al 1954, l’ammontare
della seta tessuta dalle imprese del distretto
serico comasco era ormai sceso all’8%.
Fin dai sui inizi pre- o proto-industriali il distretto serico comasco è stato caratterizzato
da una organizzazione largamente decentrata della produzione che continua tutt’oggi. Non solo c’è un grande numero di piccole imprese, ma queste tendono ad operare
solo in una delle fasi del processo produttivo: la torcitura della fibra, la preparazione
della fibra per la tessitura, la tintura, la stampa, il finissaggio, l’impacchettamento e la
vendita del prodotto.
In questa struttura produttiva decentrata, giocano un ruolo chiave i converters, degli operatori che ordinano la tessitura o la tintura e
la stampa del tessuto alle imprese di cui essi
stessi non sono proprietari o azionisti. Il converter è la persona o l’azienda che mette in
moto il processo produttivo decidendo ciò
che dovrebbe essere prodotto e facendo
muovere il prodotto attraverso le varie fasi
del processo.
Le imprese di maggiori dimensioni hanno iniziato fornendo una fase di produzione per
un converter o per un’impresa della tessitura
e in seguito si sono espanse fino ad incorporare più fasi della produzione. Allo stesso
tempo, alcune sono diventate esse stesse dei
converters, affidando certe fasi della produzione all’esterno, a delle imprese di minori
dimensioni.
A partire dal 1970, c’è stato un sensibile
cambiamento in questa struttura della produzione, dal momento che alcune imprese impegnate nella tessitura hanno comprato una
tintostamperia esistente oppure hanno creato
una propria divisione interna di tintostamperia. L’incorporazione di questa fase della
produzione non solo garantisce che il processo possa essere adattato alle necessità
particolari dell’impresa, ma avvicina anche
l’impresa al mercato. Questa espansione nella tintostamperia è ovviamente limitata alle
imprese di maggiori dimensioni a causa degli alti investimenti che sono richiesti. Il design del tessuto è apparentemente divenuto il
fattore chiave nel determinare il suo successo commerciale. Dal momento che la tintoria
e la stampa sono divenute le fasi chiave nel
processo produttivo, anche un certo numero
di converters hanno acquistato o hanno messo in piedi le loro tintostamperie.
Le imprese del settore serico rappresentano il
grosso delle 2.800 imprese del tessile/abbigliamento, il settore industriale principale in
provincia di Como. Sebbene le donne costituiscano il 70% della forzalavoro nelle imprese della tessitura serica, gli uomini costituiscono il 75% della forza lavoro delle tintostamperie.
Il numero delle imprese di tessitura serica è
andato via via declinando, mentre è aumentato quello delle tintostamperie. La proliferazione delle tintostamperie è favorita dal tipo
di produzione e di clientela: i grandi stilisti
spesso chiedono piccoli lotti e un prodotto
personalizzato. Le imprese seriche comasche
producono tessuti tinti e stampati di alta qualità per una molteplicità di prodotti finiti: cravatte, foulards, abbigliamento femminile, costumi da bagno, fodere, prodotti di arredamento, etc.
Dopo una fase di difficoltà tra la fine degli
anni ‘80 e i primi anni ’90, legata anche alla crisi mondiale del tessile, che aveva fatto
registrare una forte contrazione degli utili e
del fatturato e un pesante ricorso alla cassa
integrazione, a partire dal 1994 le cose sono tornate ad andare bene, e soprattutto la
leadership mondiale dell’industria della seta
lariana nei comparti del tessuto per foulards
e cravatte non è più in discussione.
Uno dei nodi critici rimane quello della formazione di manodopera qualificata. proprio
in questa direzione va il progetto di una Fondazione del Setificio, inaugurata ad IdeaComo (la principale fiera italiana del settore se-
31
rico) nel 1995, allo scopo di intensificare la
formazione professionale di docenti e studenti, in attesa che decolli anche il progetto
di una Facoltà di ingegneria tessile.
Altro nodo critico è rappresentato dall’approvvigionamento della materia prima a costi
ragionevoli con rifornimenti qualitativamente
costanti: la Cina esercita un monopolio quasi
assoluto, controllando circa il 95% dell’intera
materia prima mondiale e ha, quindi, tutto
l’interesse a cercare di spiazzare il sistema a
valle per favorire l’affermazione dei propri
prodotti finiti sul mercato mondiale. Nel gennaio del 1995 è stato sottoscritto un accordo
bilaterale fra i Paesi della Ue e la Cina che
ha messo ordine nei controversi rapporti commerciali fra queste due aree.
A partire dal luglio 1996 il distretto serico
comasco ha subito un duro colpo: i servizi
doganali del dipartimento del Tesoro degli
Stati Uniti hanno implementato una nuova regolamentazione restrittiva sulle “regole d’origine” che mira a boicottare l’invasione del
mercato USA da parte dei prodotti cinesi e
che non riconosce come “sostanziale” la trasformazione della materia prima o semilavorata cinese realizzata negli stabilimenti comunitari, anche se i procedimenti di nobilitazione - attraverso le varie fasi di preparazione, tintura, stampa e finissaggio in cui il distretto comasco è leader nel mondo - arrivano a quadruplicare il valore del grezzo. Tali
prodotti non possono più essere immessi sul
mercato statunitense come made in Italy, ma
solo come made in China. Il provvedimento
non coinvolge le cravatte, sulla cui “sostanziale trasformazione” non ci sono dubbi, ma
colpisce i foulard e i tessuti per la casa. Secondo una stima dell’Ufficio italiano seta e
dell’Associazione serica, sui 225 miliardi di
tessuti di seta e foulard di seta venduti negli
Stati Uniti nel 1995, 110-120 miliardi dovranno essere etichettati con made in China,
determinando, quindi, un grave danno all’immagine della produzione comasca e a
tutto vantaggio dell’immagine della produzione cinese. L’Associazione serica ha presentato ricorso all’Organizzazione Mondiale
del Commercio di Ginevra per violazione
del principio di libero scambio tra Paesi aderenti all’organismo.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
Il distretto del serico di Como, seppure non
con questa delimitazione territoriale, era già
presente tra i distretti riconosciuti nel 1993
dalla Regione Lombardia
EST MILANESE: APPARECCHI ELETTRICI ED ELETTRONICI
Il distretto Est Milanese(8) si estende sul territorio di 24 comuni della provincia di Milano,
2 della provincia di Bergamo, 1 della provincia di Lecco, 1 della provincia di Lodi,
per una superficie totale di 249 kmq e con
una popolazione residente al 31.12.1999
di 283.100 abitanti.
Nel distretto sono presenti complessivamente
19.861 unità locali, con 132.500 addetti; il
settore di specializzazione è articolato su tre
segmenti:
- la fabbricazione di macchine ed apparecchi elettronici N.C.A., dove lavorano 371
unità locali con 4.189 addetti;
- la fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi ed apparecchiature per le telecomunicazioni, in cui operano 221 unità locali
e 9.830 addetti;
- la fabbricazione di apparecchi medicali e
presidi chirurgici, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi (262
unità locali e 16.723 addetti).
(8) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
32
Complessivamente, quindi, nel settore di specializzazione sono operanti 854 unità locali, con 16.723 addetti.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
GALLARATESE: LE CONFEZIONI E
L’ABBIGLIAMENTO
Il distretto(9) si estende su un territorio di 124
Kmq, a nord di Milano e a pochi chilometri
dal confine con la Svizzera, ed ha una popolazione residente di 129.098 abitanti. I
centri più importanti sono i comuni di Gallarate (46.428 abitanti) e Cassano Magnago
(20.909 abitanti).
Nel distretto sono insediate complessivamente 9717 unità locali con 43.814 addetti.
Nel settore di specializzazione, che è concentrato nella confezione di articoli di vestiario, operano 513 unità locali con 2.890
addetti.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione della Giunta Regionale del 16 marzo
2001, ai sensi della legge 317, art. 36, del
5 ottobre 1991, e successive modificazioni
e integrazioni, e risulta molto ridotto rispetto
alle precedente configurazione del 1993,
quando era definito “Varese e l’Asse del
Sempione”
LECCHESE: LA PRODUZIONE E LA
LAVORAZIONE DEI METALLI
Il distretto(10) comprende 28 comuni della
provincia di Lecco, 7 comuni della provincia
di Como, 4 di quella di Milano, e uno di
quella di Bergamo, per una superficie di
310 kmq ed una popolazione residente al
31.12.1999 di 227.425 abitanti.
Nel distretto operano complessivamente
14.474 imprese, con 74.451 addetti; nel
settore di specializzazione sono attive
1.627 unità locali, con 21.340 addetti. Il
settore è articolato in due filiere:
- la produzione di metalli e loro leghe, che
è caratterizzata da 166 unità locali con
4.017 addetti;
- la fabbricazione e lavorazione di prodotti
in metallo, escluse le macchine, con
1.461 unità locali e 17.323 addetti.
La struttura portante del sistema economico
lecchese - tradizionalmente caratterizzato da
una sorta di "monocultura" del ferro - andatasi consolidando nei secoli e sviluppatasi
con particolare intensità a partire dal XIX secolo - oggi è costituita da un tessuto industriale ed artigianale molto articolato, di cui
fa parte un alto numero di imprese, per lo
più a dimensione contenuta, specializzate
nel settore meccanico, elettromeccanico e
meccanotessile, con una prevalenza, per la
produzione di componentistica rispetto a
quella del prodotto finito. Le imprese metalmeccaniche si distribuiscono nel comparto
metallurgico, nella fabbricazione di prodotti
per il metallo e nella fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici.
Le imprese metallurgiche del distretto lavorano per lo più in attività di trafilatura e nella
produzione di ferro, acciaio, ferroleghe, alluminio e semilavorati.
La fabbricazione e la lavorazione di prodotti
in metallo è concentrata in attività produttive
che vanno dalla fucinatura e trattamento del
metallo alla fabbricazione di strutture metalliche e di altri prodotti, quali utensileria, serrature, viti e bulloni. Rilevante è anche il comparto dei lavori di meccanica generale.
(9) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(10) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
33
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, che ha sostanzialmente confermato
la precedente configurazione del distretto
istituito nel 1993.
LECCHESE: IL TESSILE
Il territorio del distretto(11) comprende i comuni di Lambrugo e Merone, in provincia di
Como e i comuni di Barzago, Bulgiago, Costa Masnaga, Garbagnate Monastero, Nibionno, Rogeno, Sirone, per una superficie
complessiva di 32 kmq ed una popolazione
residente al 31.12.1999 di 25.281.
Nel distretto sono complessivamente insediate 1.768 unità locali, con 12.019 addetti;
nel settore di specializzazione, il tessile,
operano 164 imprese, con 3.227 addetti.
Le attività prevalenti del settore riguardano
la tessitura di filati di seta e di cotone e il
confezionamento di articoli in tessuto, esclusi
gli articoli di vestiario.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
un elevato tasso di imprenditorialità: 9,3
unità locali ogni 100 abitanti.
Nel distretto sono attive 3.312 unità locali,
con 16.978 addetti; nel settore di specializzazione, gomma e plastica, operano 265
unità locali con 4.302 addetti.
Molto significativa è la presenza dell'artigianato, che comprende quasi la metà delle
unità locali.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, e risulta leggermente rispetto alle
precedente configurazione del 1993, quando il distretto era identificato con il nome
“Sebino Bergamasco”.
VALLE DELL’ARNO: PRODUZIONE E
LAVORAZIONE METALLI
Il distretto(13) si estende sul territorio di 11 comuni della provincia di Varese (Albizzate,
Brunello, Carnago, Castelsetrio, Cavaria
con Premezzo, Crosio della Valle, Jerago
con Orago, Lonate Ceppino, Oggiona con
S. Stefano, Solbiate Arno, Sumirago) per
una superficie totale di 46 kmq ed una popolazione residente al 31.12.99 di 40.700
abitanti.
Complessivamente, nel distretto, sono insediate 361 unità produttive con 3.770 addetti, specializzate, da un lato, nella produzio-
SEBINO: LA GOMMA E LA PLASTICA
Il distretto di Sebino Bergamasco si estende su una superficie di 81 kmq e comprende
10 in provincia di Bergamo e uno in provincia di Brescia, con una popolazione di circa
38.800 abitanti.
Il distretto industriale del Sebino Bergamasco
è una realtà di piccole dimensioni, non solo
per quanto riguarda il territorio, ma anche
per il numero di unità locali e relativi addetti.
Ciò nonostante, il distretto si caratterizza per
(12)
(11) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(12) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(13) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
34
ne di metalli e leghe, in particolare ferro e
acciaio, (sono 16 le unità locali che operano
in questo settore, con circa 200 addetti); dall’altro, nella fabbricazione e lavorazione dei
prodotti in metallo, escluse macchine e impianti (345 unità locali con 3.570 addetti).
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni.
VALLI BRESCIANE: LA PRODUZIONE
E LAVORAZIONE DI METALLI
Il distretto(14) è localizzato in provincia di
Brescia, si estende su una superficie di 800
kmq, quasi il 3% del territorio regionale, e
comprende 49 comuni, con 292.920 abitanti; i comuni superiori ai 10.000 abitanti
sono: Chiari, Concesio, Gardone Valtrompia, Gussago, Lumezzane, Mura, Ospitaletto, Rovato, Sarezzo e Villacarcina.
Complessivamente sono presenti nel distretto
21.166 unità locali, che occupano 103.540
addetti; nel settore di specializzazione operano 3.291 unità locali, con 33.524 addetti.
Il settore è articolato nella produzione di metalli e loro leghe, soprattutto metalli leggeri
non ferrosi (375 unità locali e 10.577 addetti); e nella fabbricazione e lavorazione di
prodotti in metallo, escluse macchine e impianti con 2.916 unità locali e 22.947 addetti.
Il distretto si distingue per la considerevole
presenza di imprese artigiane.
L'area è specializzata nella fabbricazione e
nella lavorazione di prodotti in metallo; accanto a queste attività significativa è la presenza di imprese produttrici di macchinari,
di apparecchi meccanici e di prodotti metallurgici. Nell'ambito della metallurgia, in particolare, è rilevante l'attività di fusione dei
metalli, seguita dalla produzione di ferro,
acciaio e ferroleghe.
Per quanto riguarda invece la produzione di
macchine e apparecchi meccanici, è significativa la produzione di armi e sistemi d'arma, attività tradizionalmente affermata anche a livello internazionale, che comprende
praticamente l'intera produzione nazionale
di armi leggere, corte, lunghe e "repliche".
La fabbricazione di prodotti metallici è concentrata nella produzione di serrature e cerniere, utensileria, articoli di coltelleria e posateria, mentre altrettanti lavorano in tipologie di produzione molto diversificate.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, e risulta ampliato rispetto alle precedente configurazione del 1993, quando
era definito “Valtrompia, Valsabbia”.
VALSERIANA: IL TESSILE
La superficie complessiva del distretto della
Valseriana(15) è di 118 kmq; esso comprende 10 comuni, tutti localizzati in provincia
di Bergamo, il più importante dei quali è
Albino, con oltre 16.000 abitanti. La popolazione totale dell'area è di circa 47.140
abitanti,
Nel distretto della Valseriana operano complessivamente 3.769 unità locali con
18.020 addetti. Nel settore di specializzazione, il tessile, operano 395 unità locali,
con 7.253 addetti, la maggior parte delle
quali è concentrata nella tessitura di filati tipo-cotone (83 unità locali) e nel confezionamento di articoli in tessuto, esclusi gli articoli
(14) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
(15) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
35
di vestiario (109 unità locali) e nel confezionamento di tappeti e moquettes.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, e risulta praticamente dimezzato rispetto alle precedente configurazione del
1993.
Il calzaturiero vigevanese è uno dei distretti
industriali più "antichi" della Lombardia.
Il distretto è stato recentemente riconosciuto
dalla Regione Lombardia, con deliberazione
della Giunta Regionale del 16 marzo 2001,
ai sensi della legge 317, art. 36, del 5 ottobre 1991, e successive modificazioni e integrazioni, e non ha subito sostanziali modifiche rispetto alla precedente configurazione
del 1993.
VIGEVANESE: LE CALZATURE
Il distretto(16) è localizzato in provincia di Pavia, comprende, oltre a Vigevano, altri 7 comuni di piccole dimensioni, si estende su
una superficie di 269 kmq, con 92.362 abitanti.
Nel distretto del Vigevanese operano complessivamente 6.973 unità locali, con
28.061 addetti. Nel settore di specializzazione, meccanico calzaturiero, in cui sono
attive 722 unità locali con 7.057 addetti, si
distinguono due filiere:
- la preparazione e la concia del cuoio; la
fabbricazione di calzature, borse, selleria, ecc., con 436 unità locali e 4.158
addetti;
- la fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici, compresa l’installazione, il
montaggio, la riparazione e la manutenzione, con 286 unità locali e 2.899 addetti.
Il distretto Vigevanese è stato definito per l'elevata e tradizionale concentrazione di imprese specializzate nella produzione di calzature e nella fabbricazione di macchine
per calzature.
Oltre il 16% dell'industria del cuoio lombarda si concentra nel distretto del Vigevanese,
percentuale che risulta ancor più significativa se si considera la specializzazione calzaturiera di quest'ultimo.
Sia la produzione calzaturiera sia quella dei
relativi macchinari si caratterizzano per elevati standard qualitativi e forti quote destinate all'esportazione.
(16) Fonte: sito web Unioncamere Lombardia, 2001
I dati relativi alla superficie ed alla popolazione del distretto sono
di fonte Istat al 31.12.1999; quelli relativi alle unità locali ed agli
addetti, di fonte Aspo e Istat sono all’1.1.1998
36
BELGIOIOSO: LA MECCANICA
l distretto di Belgioioso(1) è una realtà di
piccole dimensioni, che comprende poco
meno di 6.100 addetti occupati in quasi
1.700 unità locali. Di queste, quasi tre quarti hanno 1 o 2 addetti, mentre soltanto 39
hanno un'ampiezza superiore ai 20 addetti.
Significativa è anche la presenza dell'artigianato, che comprende il 46,8% delle unità
locali e il 31% degli addetti (a livello regionale le stesse quote sono rispettivamente del
36,5% e del 21,5%).
Gli addetti del distretto sono occupati per il
48% in attività manifatturiere, per il 14,7%
in altre industrie (specialmente le costruzioni)
e per il 37,3% nei servizi. A livello regionale
invece gli addetti si distribuiscono per il
44,4%, il 9,3% e il 46,3%, rispettivamente
per quanto riguarda l'industria manifatturiera, le altre industrie e i servizi.
Quasi due terzi degli addetti del manifatturiero sono concentrati nelle industrie alimentari e metalmeccaniche. Queste sono specializzate in molteplici tipologie di produzione,
sia nell'ambito della fabbricazione e lavorazione di prodotti in metallo, sia per quanto
riguarda la produzione di macchine e apparecchi meccanici.
I
LOMBARDIA
GLI ALTRI
DISTRETTI
CANNETO SULL’OGLIO: I GIOCATTOLI
Il distretto di Canneto sull'Oglio (2) è una
realtà di piccole dimensioni, tra la provincia
di Cremona e la provincia di Mantova
Il distretto di Canneto sull'Oglio comprende
quasi 1.200 unità locali, con oltre 4.300
addetti.
Si tratta soprattutto di imprese di piccole dimensioni: non sono infatti presenti nell'area
aziende con più di 500 addetti, mentre soltanto 7 superano i 50 addetti. Inoltre, più
della metà delle unità locali sono artigiane.
Il distretto di Canneto sull'Oglio si distingue
per la presenza di imprese che producono
giocattoli. attività che occupa 600 addetti
distribuiti in 15 unità locali.
(1) Fonte: sito Unioncamere Lombardia; dati Istat, 1995
(2) Fonte: sito Unioncamere Lombardia; dati Istat, 1995
37
Il mercato di tali produzioni supera ovviamente i confini locali, estendendosi a livello
nazionale e in buona misura anche a livello
internazionale.
SUZZARA: LE MACCHINE AGRICOLE
Il distretto di Suzzara nel Basso Mantovano(3)
si estende su 320 kmq e comprende 8 comuni, 7 in Lombardia e 1 in Emilia Romagna.
Nei 7 comuni lombardi risiedono 49.000
abitanti, più di un terzo dei quali nel comune di Suzzara.
Il distretto comprende quasi 13.600 addetti
occupati in poco meno di 3.500 unità locali,
per una dimensione media di 3,9 addetti
(contro un'ampiezza media regionale di
4,5)
Delle unità locali operanti nell'area, soltanto
19 hanno una dimensione superiore ai 50
addetti, mentre quelle che ne occupano 1 o
2 sono quasi 2.500.
La quota dell'artigianato è del 48,7% per
quanto riguarda le unità locali e del 31%
per quanto riguarda gli addetti (a livello regionale le stesse percentuali sono rispettivamente del 36,5% e del 21,5%).
L'industria metalmeccanica costituisce la vocazione produttiva del distretto, e, al suo interno, vi è una particolare presenza di imprese produttrici di macchine agricole e per
l'industria tessile e alimentare, la cui produzione caratterizza il distretto.
addetti).
Questi due settori comprendono complessivamente 260 unità locali con quasi 3.000
addetti: oltre 1.200 nelle lavorazioni meccaniche, oltre 1.700 nella fabbricazione di
macchinari.
(3) Fonte: sito Unioncamere Lombardia; dati Istat, 1995
38
SESTRI PONENTE: L’ELETTRONICA
er molti anni l'economia di Genova è
stata segnata dai processi di declino industriale dei suoi settori portanti, con la crisi
delle grandi aziende pubbliche e dell'industria "pesante": siderurgia e cantieristica. Il
peggio adesso sembra alle spalle; i problemi non mancano ma fenomeni nuovi come il
rapido sviluppo di nuove attività nel settore
dell'elettronica e dei servizi ad essa collegati
sono il segno tangibile di una inversione di
tendenza che sottintende una voglia di reagire.
Dalle attività “storiche” dei settori delle costruzioni navali, dell'elettromeccanica, della
siderurgia, delle produzioni militari, dei mezzi di trasporto sono sorte ("spin off") decine
di nuove aziende che operano nel campo
delle tecnologie avanzate, dell'elettronica,
del biomedicale. Un recente studio(1) della
Provincia di Genova ha censito in questi settori oltre 100 aziende, in gran parte localizzate nell'area di Ponente e con baricentro
ideale proprio nella parte della città in passato più colpita dal declino industriale.
Sono imprese abbastanza diverse sotto il
profilo organizzativo: vi sono società che
fanno capo a gruppi multinazionali (Marconi, Esaote e Piaggio Aero Industries); "spinoff " delle ex aziende delle Partecipazioni
Statali e tante piccole e medie imprese; una
ventina di aziende ha più di 50 addetti, le
altre sono piccole ma dinamiche (tassi di
crescita del fatturato del 20% e più all'anno). Anche se non c'è una struttura organizzativa formale, gli operatori di questa realtà
iniziano a riconoscersi in un distretto dell'elettronica forte di 9.500 addetti (con l'indotto si arriva a una occupazione complessiva
di 15.000 persone) e con circa 2.000 miliardi di fatturato annuo.
Nel febbraio 1998 era stata presentata una
richiesta alla Regione Liguria per avviare le
procedure del riconoscimento del distretto
dell'elettronica industriale di Genova ma solo adesso questa è diventata una strada concretamente percorribile.
P
LIGURIA
(1) Fonte: Il Sole 24 Ore, marzo 2000
39
Indipendentemente dagli atti della programmazione regionale a favore dei distretti, in
questa parte di Genova l'atmosfera del distretto è tangibile; emerge nella ritrovata
energia imprenditoriale, nei rapporti di collaborazione tra le imprese, grandi e piccole,
nei linguaggi e nei temi in discussione sul
piano politico. E’ stato infatti costituito un apposito Comitato, che ha raccolto adesioni
tra associazioni imprenditoriali, enti pubblici, università, centri di ricerca e imprese del
settore dell'elettronica, dell'informatica, e
che si è dato il compito di predisporre un
piano triennale di attività (infrastrutture, formazione, animazione) da sottoporre alla Regione
Al di là dei supporti che la Regione metterà
in campo, questa è una realtà che ha ottime
carte da giocare: è un'area in evoluzione,
coerentemente con quanto sta succedendo in
tutti i settori di specializzazione: elettronica
per telecomunicazioni, circuiti stampati,
informatica, biomedicale, automazione servizi, software, information technology.
Per i distretti del sistema moda e del Made
in Italy, esperienze come quelle in corso a
Genova, che peraltro non sono le uniche,
rappresentano una fonte di idee e di pratiche che possono rivelarsi estremamente preziose nei loro processi di rinnovamento.
no circa 100 con 800 addetti, con una forte
presenza di imprese artigiane a conduzione
familiare(2)
VAL FONTANABUONA: L’ARDESIA
L'attività estrattiva in Val Fontanabuona, in
provincia di Genova, è da secoli incentrata
sulla produzione di lastre di ardesia, che per
decenni avevano trovato uno sbocco ottimale nell'utilizzazione per la produzione di biliardi, sia in Italia che all'Estero, verso cui è
ancora oggi orientato il 60% della produzione. La riduzione della domanda in questo
settore, nonchè la concorrenza internazionale, hanno favorito un riorientamento delle
produzioni verso utilizzi diversi, come ad
esempio l'impiego dei materiali nel restauro
di edifici e centri storici.
Le imprese operanti nel settore estrattivo so-
(2) Fonte: dati ISTAT, 1991
40
ALTO LIVENZA: IL MOBILE
l distretto del mobile dell'Alto Livenza(1) è
situato fra le regioni Friuli-Venezia Giulia e
Veneto e comprende 16 comuni (otto nella
provincia di Pordenone, otto in quella di Treviso) che si estendono nell'area compresa
tra la Foresta del Consiglio e la pianura attraversata dall'alto corso del fiume Livenza.
Nel distretto risiedono 95.000 persone e la
popolazione attiva conta 51.000 unità. La
competitività del distretto si fonda sulla tradizione, la professionalità e su un particolare
sistema di valori che alimenta le attività industriali. Esso vanta inoltre una storia prestigiosa: i tronchi delle foreste locali, per esempio,
sono stati largamente impiegati al tempo della Repubblica Veneta.
Nel distretto del Livenza si concentra il 70%
dell’occupazione mobiliera dell’intera area
di specializzazione e si estende geograficamente nel territorio di 31 comuni. Le dimensioni complessive, quantificate sulla base dei
dati Istat 1991, sono assolutamente ragguardevoli: il settore del legno-mobilio conta circa 700 unità locali con più di 9.100 addetti
nella parte trevigiana e oltre 500 con 8.800
addetti in quella pordenonese. La specializzazione nelle produzioni del legno-mobilio è
forte, soprattutto nella parte pordenonese,
dove gli occupati del settore rappresentano
il 61% degli addetti manifatturieri totali. Nel
Livenza trevigiano la quota è del 47%.
In Friuli-Venezia Giulia la maggior parte degli addetti (7.100) trova lavoro nel settore
del mobile, mentre in Veneto gli addetti si
suddividono più equamente tra il settore del
mobile (5.000) e quello del legno (4.000). Il
dato è interessante perché dimostra che nell’Opitergino-mottense vi è una maggiore concentrazione di imprese di componentistica
Il core del distretto è posto proprio a cavallo
del corso del fiume Livenza; i comuni che
concentrano il maggior numero di occupati
si trovano in provincia di Pordenone: Brugnera, Prata (con oltre 2.000 addetti ciascuno) e Pasiano (1.500). Nel Trevigiano i comuni principali sono localizzati proprio al di
I
VENETO
(1) Fonte: dati ISTAT 1996, elaborazione G. Corò – E. Rullani, in
“Percorsi locali di internazionalizzazione”, F.Angeli, 1998
41
là del fiume: Gaiarine, Motta di Livenza (con
più di 1.200 addetti a testa) e Mansuè
(870). Anche Pramaggiore, in provincia di
Venezia, ha un alto numero di occupati (oltre 700).
Un altro importante elemento che contraddistingue il sistema produttivo locale, anche rispetto ad altri distretti mobilieri nazionali, è
l’elevata dimensione media delle imprese
che, esaminata attraverso i dati Istat 1991,
risulta assolutamente superiore agli standard
regionali (Friuli 8,8; Veneto 5,7) e nazionali
(4,2): nel Trevigiano essa è il triplo di quella
nazionale (12,9 addetti per impresa), nel
Pordenonese addirittura il quadruplo (16,4).
Una analisi dell’articolazione dimensionale
condotta sullabase dei dati Inps porta ad
analoghe conclusioni. Nel distretto del Livenza le imprese con più di 100 lavoratori sono
25 ed occupano un quarto dei dipendenti
totali. Quelle tra i 50 ed i 99 sono più numerose nel Pordenonese (28% dei dipendenti)
che nel Trevigiano (18%).
Le amministrazioni comunali altoliventine e
le giunte provinciali di Pordenone e Treviso,
con atti distinti, hanno riconosciuto l'area-sistema dell'Alto Livenza.
Nel 1988 è stata costituita l'associazione Civiltà Altolivenza, un istituto che si è dato obbiettivi di promozione sociale, economica e
culturale dell'area. L'associazione Alto Livenza, che rappresenta il distretto nel Club, si
propone di sostenere gli interessi di tutto il
territorio, di rafforzarne l'identità a livello locale e di promuoverne l'immagine verso l'esterno.
ALTO VICENTINO: IL SETTORE METALMECCANICO
L’area della metalmeccanica leggera dell’Alto Vicentino(2) insiste su una dimensione territoriale che ha rappresentato una delle originarie “culle” della prima industrializzazione
in Veneto, ovvero quella dedicata alla lavorazione della lana. Questo settore (prevalentemente insediato nelle aree di Schio, Valda-
stico e Valdagno) esula dalla ricerca in
quanto, nonostante sia stato attraversato da
profondi processi ristrutturativi, continua ad
essere organizzato secondo le modalità della grande industria. Valga per tutti l’esempio
della Marzotto e il dato medio di oltre 60
addetti per unità produttiva locale.
A fianco di questo storico insediamento, si è
sviluppato - in una prima fase ad esso collegato e da esso indotto - il settore della costruzione di macchine. Esso interessa una
trentina di comuni che ruotano intorno ai
centri di Caldogno, Dueville, Breganze, Thiene, Malo e Schio. Il settore conta complessivamente più di 10.000 addetti (pari al 20 %
del totale regionale) distribuiti in più di 500
unità locali, di queste più di 300 sono classificate come “imprese artigiane”.
Quest’area distrettuale omogenea presenta
al suo interno ulteriori specializzazioni territoriali: nella zona di Breganze quella delle
macchine per l’agricoltura, nella zona di
Malo le macchine utensili, nella zona di
Thiene le macchine per la chimica, l’alimentare e la lavorazione del legno, infine nella
zona di Schio le macchine per il tessile-abbigliamento.
ARZIGNANO: LA CONCERIA
Il distretto della concia(3), fatturato annuo di
quasi cinquemila miliardi, 2.400 dei quali
grazie all’export, e 120.000 pelli lavorate
ogni giorno dagli 8.500 addetti delle 770
unità locali, concentrate perlopiù nella Valle
del Chiampo, da Arzignano a Chiampo, da
Montebello Vicentino a Montorso a San Pietro Mussolino, costituisce una delle maggiori
concentrazioni del settore conciario, dopo
un processo di industrializzazione cominciato negli anni ‘60.
(2) Fonte: dati ISTAT, 1996
(3) Fonte: Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2001
42
Le particolari esigenze di salvaguardia dell'ambiente, legate al tipo di lavorazione effettuata nell'area, hanno portato all'introduzione di soluzioni tecnologiche avanzate nei
cicli di produzione che, a sua volta, ha avuto significativi effetti anche sul miglioramento
della qualità dei prodotti.
BELLUNO: LA PRODUZIONE DI OCCHIALI
La Provincia di Belluno, tutta compresa nell'arco alpino, occupa una superficie di
3678 Kmq, pari al 20% della Regione Veneto; conta 211.353 abitanti aventi un reddito
pro capite di 33,9 milioni di lire, 15.819 imprese, il tasso di disoccupazione è del 4,4%
e nel primo semestre 2000 ha avuto un tasso di crescita dell’export rispetto al primo semestre 1999 pari al 20,4%.
L'estensione del distretto(4) coincide con il territorio della Provincia di Belluno: il Cadore,
punto di origine storica e tuttora area a
maggior densità imprenditoriale; Agordino,
sede della prima azienda nella classifica
mondiale, Longaronese, Alpago, Feltrino.
Nel distretto lavorano 12.000 addetti in
250 imprese, con una preponderante componente industriale: 150 aziende con
11.000 addetti.
Tutte in provincia le quattro grandi aziende
che da sole fanno quasi il 70% del fatturato
di settore. Prima fra tutte la Luxottica di Leonardo Del Vecchio, con un giro d’affari
2000 che si avvicinerà ai 4.200 miliardi e
4.100 addeti solo sotto le Dolomiti. Dopo
l’acquisizione nel ’99 del marchio americano di occhiali da sole Ray Ban, il gruppo di
Agordo è quasi raddoppiato: da allora circa
mille le assunzioni. Safilo, alla fine dell’anno
scorso, ha preannunciato un fatturato di circa 1.200 miliardi, in larga parte con la griffe Gucci, di cui è alleato. De Rigo sfiorerà ricavi per quasi mille miliardi, sopo grosse acquisizioni di catene commerciali in Gran
Bretagna e penisola iberica. Marcolin starà
poco sotto i 250 miliardi.
Queste aziende stanno con le loro gambe
sul mercato, grazie a catene di venditori al
dettaglio, grazie alla quotazione in Borsa
(con Luxottica dal dicembre scorso anche nel
listino milanese, sopo la precedente quotazione a Wall Street e con De Rigo che ha
annunciato lo sbarco a Piazza Affari entro il
2001) e grazie ad alleanze con le maggiori
“firme" della moda che sempre più spesso
entrano nelle proprietà delle società bellunesi (Prada in De Rigo, Armani in Luxottica,
Dolce & Gabbana in Marcolin).
Intanto il commercio con l’estero è in ripresa.
Secondo dati Anfao relativi al primo semestre 2000 e alle sole montature – in pratica
gli occhiali da vista – l’export è cresciuto del
14,4%, passando da 562 miliardi a 643,
mentre le importazioni sono incrementate del
28,3%, arrivando a 130 miliardi da 101,3.
Boom (+90,7%) nell’export di occhiali da sole, cresciuto – sempre da gennaio a giugno
2000 – da 375,3 miliardi a 715,9, mentre
l’import è volato anch’esso (+89,3), salendo
dai 79,1 miliardi ai 149,9 di quest’anno.
Diverso è il problema per le piccole imprese
che, a differenza dei big, non hanno griffe,
né catene di ottici per vendere direttamente i
loro prodotti.
Inoltre le fasce più basse, ma non solo, di
prodotto subiscono la fortissima concorrenza
della Cina e del Far East, dove il costo del
lavoro è molto basso. Spesso da lì arrivano
montature prelavorate, poi terminate da noi,
con apposizione del marchio “made in
Italy”. Così, per evitare concorrenza e confusioni, sta per decollare il marchio di tutela
della qualità, il “Glad”, voluto da industriali
e artigiani e gestito dalla Camera di Commercio. Tutti i piccoli e medi imprenditori dell’occhiale possono poi aderire a Occhialitaliani, la società di Assindustria che finora ha
messo insieme 32 aziende (950 addetti e un
(4) Fonte: Il Sole 24 Ore, ottobre 2000
43
giro d’affari da 180 miliardi). La società si
occuperà della promozione, vagliando la
possibilità di comprare reti commerciali e fare accordi con stilisti.
MONTEBELLUNA: LA CALZATURA
SPORTIVA
L’area della calzatura sportiva di Montebelluna si presenta come un ciclo altamente integrato, inserito in un territorio dalle dimensioni contenute, omogeneo e ben definito
dal punto di vista funzionale (undici comuni
gravitanti intorno a Asolo, Pederobba, Montebelluna nell’alta provincia di Treviso. Montebelluna costituisce un centro calzaturiero di
rilevanza mondiale.
Il distretto(5) si estende su 15 comuni con una
superficie totale di circa 320 Kmq e poco
meno di 100.000 abitanti.
Il settore calzaturiero sportivo è stato il protagonista dello sviluppo locale che ha mobilitato risorse ed energie anche nel settore dei
servizi dove, sotto la spinta trainante del
boom delle calzature, sono sorte numerose
imprese e attività professionali.
Nella produzione di calzature sportive operano 400 aziende, tra industriali e artigianali, con circa 9.000 addetti, per un fatturato
di 2.400 miliardi.
Montebelluna non si può però definire un'area monoculturale nel senso più stretto del
termine (solo il 18% della popolazione attiva
è impegnata nella produzione di calzature.
Convivono in quest’area una storica tradizione artigianale dello scarpone da montagna
(agli inizi del secolo, nel solo centro di Montebelluna si contavano oltre 200 botteghe artigiane) e una straordinaria capacità di innovazione, sia di processo sia di prodotto:
quella che ha, per esempio, portato alla riconversione di intere linee produttive e al
successo internazionale di Rollerblade (“pattino in linea”) o al fenomeno Geox.
In termini complementari al calzaturiero locale, si è anche sviluppato tutto il settore della
gomma e delle materie plastiche, con risulta-
ti significativi sul piano della ricerca applicata.
Da alcuni anni le aziende locali, forti della
notorietà dei loro marchi, hanno iniziato a
fabbricare anche abbigliamento sportivo.
Sfruttando una nicchia di forte specializzazione, il sistema ha garantito - su alcuni segmenti di mercato - una situazione di quasi
monopolio a livello mondiale: la produzione
è infatti prevalentemente indirizzata all’esportazione. Viene realizzato in loco oltre il
65% della produzione mondiale degli scarponi da sci, l’80% della produzione mondiale delle calzature da motociclismo e quasi il
25% della produzione mondiale dei “pattini
in linea”. Inoltre sono qui presenti i maggiori
fabbricanti italiani di scarpe per il calcio, il
ciclismo, il basket, il tennis e l’atletica leggera, il fondo, lo snowboard, di doposci e di
pattini per il ghiaccio.
Negli ultimi anni, su assetti proprietari a
composizione maggioritariamente locale e
familiare, si è innestata la presenza di alcuni
importanti gruppi multinazionali ed un conseguente processo di concentrazione: una
presenza diversificatasi tra l’acquisizione di
alcuni marchi storici e l’apertura di centri di
ricerca. Ma, talvolta, si è verificato il processo inverso con l’acquisto di marchi esteri da
parte di imprese locali.
Sinteticamente: Benetton ha acquisito Asolo
(calzature da montagna) e Nordica, l’azienda locale leader mondiale dello scarpone
da sci; la statunitense Nike ha acquistato la
locale Canstar (marchio poco noto ma che
svolge un ruolo-chiave nel campo degli stampi per iniezione plastica per la produzione
di pattini da ghiaccio e “in linea”); nell’ambito dei produttori dello scarpone da sci la
Tecnica (azienda locale) ha assorbito la
Think Pink (abbigliamento) e la tedesca
Lowa; la Rossignol francese ha rilevato le lo(5) Fonte: Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2000
44
cali Lange e Caber; la Salomon ha acquistato prima Rover e poi San Giorgio; mentre il
gruppo Head-Tyrolia-Mares, fondendosi con
la locale Brixia ha incorporato i marchi storici Munari e San Marco.
Allo stesso modo coesistono e si combinano
differenti forme di organizzazione del lavoro: unità produttive di media taglia, apparentemente strutturate in termini tayloristici
classici; un’ampia diffusione di piccole imprese artigiane, caratterizzati dall’estrema
specializzazione e dall’alto grado qualitativo di professionalità che intrattengono con
esse un rapporto di subfornitura non puramente esecutiva; infine, l’outsourcing di alcuni importanti segmenti del ciclo (tra i quali
consulenza e servizi informatici, logistica,
stoccaggio e trasporto merci).
A partire dai primi anni Novanta, si è avviato anche qui il processo di internazionalizzazione di alcuni segmenti del ciclo: con lo
spostamento della produzione di low quality
(scarpe da ginnastica a basso costo e accessori standardizzati) in particolare verso l’Est
europeo e il Sud-Est asiatico. Ciò è avvenuto
fino a questo momento, all’interno di una dinamica espansiva, senza che il processo determinasse fenomeni di crisi.
In termini quantitativi, i simultanei processi di
delocalizzazione produttiva e di concentrazione industriale operata dai “grandi marchi” multinazionali ha portato negli ultimi
dieci anni ad una riduzione del numero degli occupati nel calzaturiero.
Il caso di Montebelluna si presta perciò ad
un’analisi sulle capacità di veloce adattamento dei localismi produttivi di fronte alla
globalizzazione, sotto tutti i punti di vista:
genealogia della tradizione “artigianale”,
percorsi della formazione, tipologia delle
differenti figure produttive, canali del credito
e del finanziamento, processi di concentrazione/verticalizzazione nelle PMI, costruzione di reti di “subfornitura intelligente”, meccanismi dell’innovazione, dinamiche dell’export e conquista dei mercati, delocalizzazione non traumatica di interi segmenti produttivi.
Gli ingredienti del successo di Montebelluna
risiedono in questo mix di tradizione e tecnologia e nella presenza di un prezioso indotto
di aziende di subfornitura specializzate.
Così, mentre per gli articoli più semplici parte della produzione si sta spostando verso i
Paesi dell'Est o dell'Estremo Oriente, per le
scarpe più complesse (scarpone da sci, motocross, ciclismo) le ditte straniere vengono a
produrre a Montebelluna.
Recentemente è stato costituito un Osservatorio internazionale sulla moda e sui consumi
che avrà appunto il compito di monitorare in
via permanente le aspettive emergenti.
Quattro i promotori dell’Osservatorio – Camera di Commercio, Unindustria e le due associazioni dell’artigianato – ma l’aspettativa
è che quanto prima siano gli stessi imprenditori ad alimentare la nuova struttura. Una prima collaborazione è già stata avviata con il
Future Concept Lab, che ha realizzato una
analisi del settore raffrontata con gli stili e le
tendenze rilevate dalla propria rete, che tiene sotto controllo 40 città in ogni angolo del
mondo.
MURANO: IL VETRO
Fin dal 1600 il nome e l'immagine di Murano (centro della Laguna di Venezia, nel cui
Comune ricade dal punto di vista amministrativo) è legato indissolubilmente al vetro, e
soprattutto alle vetrerie artistiche, con una tale ricchezza di qualità e di creatività produttiva da far sì che venisse creato nel capoluogo veneto il Museo dell'Arte Vetraria.
Oggi il binomio vetro-arte continua a caratterizzare Murano, con uno sforzo continuo
da parte degli imprenditori locali di mantenere e rafforzare immagine e livelli qualitativi, creando strumenti di servizio alle imprese, come alcuni Consorzi specializzati nella
promozione e nella commercializzazione ol-
45
treche negli acquisti collettivi delle materie
prime, e dando vita al marchio di qualità
"Vetri Murano".
Attualmente le imprese del settore(6) sono circa 260, per la maggior parte artigiane, con
2000 addetti, mentre la quota di produzione esportata è pari al 35% del totale
RIVIERA DEL BRENTA: LE CALZATURE
La tradizione calzaturiera della Riviera del
Brenta (14 comuni in provincia di Venezia) è
relativamente recente e data dagli ultimi anni dell'ottocento quando fu fondata la prima
azienda a Stra. Questa azienda aveva però
la particolarità di essere la prima in Italia,
nel suo settore, ad essere completamente
meccanizzata. E' stato soprattutto nel secondo dopoguerra che si è verificata una grande espansione del settore calzaturiero in
quest'area, con prodotti che, inizialmente di
livello qualitativo piuttosto modesto, si sono
andati via via raffinando fino a diventare sinonimo di qualità, accuratezza e raffinatezza, con un'attenzione ed una cura nei processi di lavorazione derivanti dal carattere
ancora artigiano di molte imprese.
Oggi le unità produttive calzaturiere di questo distretto(7) sono circa 720, con 9.000 addetti per un valore di 730 miliardi, e la tipologia di prodotto è rivolta soprattutto alla
calzatura femminile.
turato annuo di 7.000 miliardi. A differenza
di altre aree, la particolare caratteristica dell'oreficeria vicentina, la produzione cioè del
"catename", comporta volumi produttivi elevati e di conseguenza, accanto a strutture di
tipo artigiano, vi sono numerose imprese di
medie dimensioni.
Il sistema orafo vicentino, che può contare su
solide strutture di supporto a livello di servizio e di commercializzazione, è fortemente
presente sui mercati esteri, e soprattutto su
quelli più ricchi come Medio Oriente, Stati
Uniti e Giappone, mercati verso i quali è diretto oltre il 60% della merce prodotta.
Le dinamiche produttive del settore hanno favorito lo sviluppo a comparto, accentuando
le forme di collavorazione tra aziende, se
pensiamo che almeno il 35% di queste lavorano soltanto o parzialmente in conto terzi,
oppure sono aziende di fase. L’alta concentrazione locale di grosse aziende fornitrici di
tecnologia e servizi rappresenta un altro elemento fondamentale per la genetica del
comparto.
VICENZA: L’OREFICERIA
Insieme a Valenza Po e ad Arezzo, Vicenza
compone il "triangolo dell'oro" italiano, con
una particolare specializzazione nel campo
dell'oreficeria e una minor presenza della
gioielleria.
L'area di diffusione di questo distretto(8) nella
provincia veneta è abbastanza vasto e va
dal capoluogo a Bassano del Grappa, e
comprende un elevato numero di imprese:
più di 1150, 860 delle quali a carattere artigianale, con oltre 12.000 addetti ed un fat-
(6) Fonte: Sito web Ministero dell’Industria: “La guida panoramica
dell’economia italiana. Un viaggio nel made in Italy”
(7) Fonte: elaborazione su dati CENSIS, VIII Forum sui localismi,
1998
(8) Fonte: Il Sole 24 Ore, 12 febbraio 2001
46
CONEGLIANO: L’INOX
area che da Conegliano si estende fino a Vittorio Veneto è caratterizzata da un
insieme di presenze produttive di forte rilievo, tra le quali emergono in particolare le attività inserite nei comparti dell’elettrodomestico e degli apparecchi per uso domestico.
L’importanza per l’economia locale di queste
produzioni, e le peculiarità del loro sviluppo,
giustificano la scelta di dare una maggiore
visibilità a questa realtà socio-produttiva che,
in maniera forse un po’ evocativa, viene definita inox valley.
L’attuale configurazione produttiva dell’area
ha come base di partenza lo sviluppo del
comparto degli elettrodomestici bianchi. Oggi questa specializzazione produttiva costituisce solo una parte di un tessuto economico
molto ramificato. Le stime più recenti attribuiscono all’intera filiera produttiva trevigiana
degli elettrodomestici una dimensione attorno
alle 1.000 aziende e circa 10.000 occupati,
di cui una parte rilevante va attribuita direttamente agli insediamenti nell’area del Coneglianese e di Vittorio Veneto.
Il polo produttivo Zanussi rappresenta tuttora
l’insediamento più consistente del settore, ma
la sua rilevanza, se misurata in rapporto alle
modalità di crescita dell’intero comparto, si è
decisamente ridimensionata. I prodotti dello
stabilimento di Susegana – lavatrici e lavastoviglie – servono mercati del tutto separati
da quelli delle altre aziende locali, e contribuiscono alla crescita del distretto prevalentemente per la quota di lavorazioni specialistiche legate alla subfornitura locale. Diverso è
il caso della Zanussi collettività, divisione
grandi impianti, che converge più nettamente con i percorsi di crescita del tessuto produttivo locale, sia per la contiguità dei mercati presidiati, che per il ricorso a reti di fornitura insediate sul territorio.
All’origine della formazione del distretto di
Conegliano(1) va collocata la vicenda industriale di una grande azienda: la Zoppas. La
storia di questa azienda è per tanti versi parallela a quella della Zanussi, l’altro grande
L’
FRIULI VENEZIA GIULIA
(1) Fonte: dati ISTAT 1991, elaborazione G. Corò – E. Rullani,
“Percorsi locali di internazionalizzazione”, F.Angeli, 1998
47
produttore cresciuto nella vicina Pordenone.
Lungo il loro percorso queste due grandi
aziende hanno sviluppato strategie di competizione ravvicinata, animando una continua rincorsa per la supremazia. Tale processo di convergenza strategica s’è concluso
con la unificazione delle due imprese, che all’inizio degli anni ’70 ha visto Zanussi acquisire le attività Zoppas.
MANIAGO: LA COLTELLERIA
Maniago(2), centro di circa diecimila abitanti
in provincia di Pordenone, vanta un'antica
tradizione nella lavorazione del metallo e,
soprattutto, delle armi da taglio. Fin dalla
metà del 1400 la Repubblica di Venezia
commissionava agli artigiani locali la produzione delle armi per le sue truppe.
La produzione dei coltelli, di forbici e di altri
attrezzi di lavoro fu eseguita in strutture e
con procedimenti artigianali fino alla fine
dell'ottocento, quando furono introdotte modalità produttive più propriamente industriali.
Ma è a partire dagli anni 50 che sono state
introdotte le maggiori modificazioni con l'utilizzo di macchine per la lavorazione dei metalli che determinarono forti aumenti dei livelli di produzione e di produttività.
Dopo un periodo di crisi, conseguente alla
eccessiva polverizzazione produttiva, si è
avuta negli ultimi anni una ripresa del comparto, basata su una più razionale suddivisione delle fasi produttive tra imprese piccole
e grandi, e su una maggiore ricerca della
qualità dei prodotti.
MANZANO: LE SEDIE
Il distretto(3) insiste sul territorio dei Comuni
di Manzano, San Giovanni al Natisone e
Corno di Rosazzo, e delle Province di Udine
e Gorizia.
Nel settore di attività della sedia operano
990 aziende, con oltre 11.000 addetti.
Il distretto della sedia si articola in un insie-
me di piccole e medie imprese generalmente
integrate in senso verticale, articolate all’interno della filiera produttiva, ciascuna specializzata in una fase del processo: la scomponibilità del processo produttivo in fasi si
traduce in fattore di competitività legato alle
economie di scala derivanti dalle relazioni a
rete tra imprese specializzate che il distretto
assicura in termini di costi, flessibilità e diffusione delle competenze.
Le caratteristiche del distretto sono rappresentate dalla forte vocazione all’esportazione che evidenzia come le competenze tecnico-produttive locali riescano ad esprimere
una notevole capacità di adeguamento al
mercato, da un lato, dalla condivisione di un
sistema di conoscenze che garantisce lo sviluppo delle competenze e la diffusione del
processo innovativo, dall’ altro.
Queste dinamiche interne alla logica del distretto della sedia spiegano la natura del vantaggio competitivo fondato sulla articolazione
della filiera produttiva tra imprese fortemente
specializzate e sulla capacità di rigenerare le
competenze interne valorizzando l’integrazione di sistema, ancorchè in una situazione fortemente concorrenziale al suo interno.
Il distretto, quindi, si caratterizza per la articolazione produttiva basata sulla divisione
del lavoro all’interno della filiera produttiva e
per la specializzazione accentuata che, da
un lato, hanno assicurato soddisfacenti livelli
di produttività, dall’altro hanno favorito condizioni di contenimento dei costi.
La comparazione dei dati dimensionali del sistema-distretto, sulla base del confronto censuario 1991/1996, evidenzia la crescita dimensionale della struttura produttiva a fronte
di una sostanziale stazionarietà dell’intero
comparto manifatturiero a livello provinciale.
La struttura produttiva del distretto si è quindi
(2) Fonte: Sito web Ministero dell’Industria: “La guida panoramica
dell’economia italiana. Un viaggio nel made in Italy”
(3) Fonte: Sito Web del Comune di Manzano, dati Istat 1996
48
rafforzata nella dimensione dell’organizzazione imprenditoriale. Un altro indicatore di
carattere confermativo è rappresentato dalla
crescita delle società di capitali rispetto alle
imprese individuali ed alle società di persone.
L’organizzazione produttiva del distretto si
estrinseca nella divisione del lavoro in senso
verticale tra imprese specializzate in fasi distinte del processo produttivo.
Al riguardo si distinguono:
• le imprese di dimensione artigianale, che
producono semilavorati o eseguono lavorazioni specializzate (tornitura, curvatura,
levigatura, intaglio, verniciatura, imbottitura) su commissione dei produttori locali;
• le imprese artigianali di dimensione superiore che acquistano i semilavorati, eseguono le fasi finali del ciclo (montaggio e
finitura) e vendono il prodotto finito;
• le imprese industriali di piccola dimensione che sono caratterizzate da un ciclo
quasi completo fatto salvo alcune lavorazioni destinate alla subfornitura;
• le medie imprese industriali che sono in
grado di incorporare l’intero ciclo produttivo ma che si organizzano decentrando
quando il ciclo è in espansione alcune lavorazioni e riassorbendole in caso di inversione di tendenza.
Questa articolazione “storica” della divisione
del lavoro nel tempo si è modificata evidenziando la crescita qualitativa del comparto.
Una indagine condotta nel ‘99 (Grandinetti-Il
seggiolaio e l’economia globale, 1999) ha
evidenziato nel distretto la seguente distribuzione di tipologie di attività: il 37% delle imprese produce prodotti finiti, il 27% semilavorati o componenti, il 36% esegue lavorazioni conto terzi.
Il raffronto con una ricerca dell’ESA (1981)
dalla quale emergeva la seguente articolazione: 29% delle imprese produttrici di prodotti
finiti, 23% operanti nel comparto dei semilavorati, 48% nelle lavorazioni specifiche, evidenzia le modificazioni strutturali intervenute:
• la qualificazione del livello della subfomitura è cresciuta con l’aumento della quota
di imprese che producono semilavorati o
componenti rispetto a quelle operanti nel
campo della lavorazione conto terzi;
• l’approccio diretto al mercato si è allargato coinvolgendo una quota maggiore di
imprese, medie e piccole.
Il distretto, quindi, non è rimasto ancorato
al modello tradizionale di divisione del lavoro, ma questo si è evoluto attraverso:
• l’aumento delle imprese con una propria
presenza autonoma sul mercato;
• il miglioramento complessivo dell’organizzazione aziendale proprio nel segmento intermedio, ma strategico, della subfornitura.
La “grande” trasformazione, che ha caratterizzato il distretto dopo la crisi recessiva dei
primi anni ‘80, ha riguardato proprio il rapporto con il mercato finale.
Se questo rapporto resta gestito da una minoranza di imprese più strutturate rispetto al complesso dei subfomitori, è indubbio che la sua
natura si sia modificata: da un rapporto di sostanziale subfornitura (il mercato “comprava”
il distretto e non viceversa), si è passati ad una
relazione più matura in cui le imprese della sedia sono in grado di sviluppare proprie politiche di mercato (è il distretto ad “aggredire” e
“conquistare” il mercato e non viceversa).
Tradizionalmente il vantaggio competitivo
del distretto si è estrinsecato nella capacità
di produrre a costi contenuti massimizzando
le economie di scala derivanti dalla divisione
del lavoro interna alla filiera produttiva, da
un lato, nella elasticità di adeguamento alle
variazioni della domanda, dall’altro.
Questa situazione si è modificata sotto una
duplice spinta: l’evoluzione del mercato del
lavoro e la necessità, indotta dai cambiamenti qualitativi intervenuti nella domanda,
di arricchire il prodotto di contenuti innovativi e di servizi.
Infatti il vantaggio competitivo del distretto non
è più caratterizzato dalle convenienze nei costi
di produzione (superate dalla concorrenza nelle fasi di lavorazione povere di valore aggiun-
49
to da parte dei paesi a basso costo del lavoro
e dalle modifiche intervenute nelle modalità di
impostazione del mercato del lavoro), quanto
piuttosto viene determinato dalla flessibilità organizzativa, dal miglioramento delle tecnologie possedute, dalla capacità di servizio.
Una indagine campionaria svolta nel ‘98 sulla percezione dei fattori competitivi da parte
delle imprese distrettuali (Grandinetti, 1999,
idem) ha evidenziato come i costi di produzione abbiano ottenuto un punteggio inferiore alla media dei punteggi per l’insieme dei
fattori competitivi considerati sia tra le imprese maggiori che tra quelle minori.
E’ interessante notare come in entrambi i segmenti di impresa considerati venga attribuita
importanza maggiore in ordine decrescente,
rispetto agli altri fattori competitivi, al livello
di servizio ai clienti, alla flessibilità produttiva, alla qualità intrinseca dei prodotti, all’ampiezza ed alla gamma dei prodotti.
La rilevanza competitiva passa, quindi, dall’approccio ai costi a quello alla qualità dell’organizzazione e del prodotto. E’ significativo che questa percezione riguardi trasversalmente sia le imprese presenti direttamente
sul mercato sia quelle posizionate all’ interno
della filiera produttiva. Ciò segnala un
profondo cambiamento di mentalità e di approccio anche se questo viene compensato
in negativo dalla bassa percezione dei fattori legati al presidio dei canali distributivi e
dell’orientamento al marketing.
Su 800 imprese, infatti, solo una cinquantina
arriva al mercato con il proprio marchio;
un'altra cinquantina produce sedie vendute
anonimamente o con il marchio dell'acquirente; le restanti operano in subfornitura. Fino agli anni '70 era ben più corposo il gruppo di imprese legate ai distributori o all'industria del mobile, che completava le cucine o i
soggiorni con le sedie prodotte a Manzano.
Ora il processo di affrancamento, seppure
lento e difficile, si sta finalmente avviando.
Questa è una strada praticamente obbligata
per le aziende che vogliono programmare le
attività e vendere a prezzi giusti.
Da questo punto di vista, il "nemico" per l'in-
dustria della sedia è costituito dalle grandi
catene commerciali, in particolare quelle tedesche, perché le le sedie prodotte a Manzano non sono vendute direttamente, ma comprate in prevalenza dalle grandi catene europee, che decidono prezzi e caratteristiche: le
strategie aziendali finiscono così per dipendere da politiche commerciali di gruppi che
hanno altri interessi.
In questi ultimi anni, le imprese leader del distretto di Manzano hanno iniziato a decentrare alcune fasi della lavorazione nei paesi
dell'Est Europa, in particolare in Romania,
Russia, Polonia e Slovenia, da cui proviene
anche il 70% della materia prima, il legno.
SAN DANIELE: IL PROSCIUTTO
La vocazione tradizionale di San Daniele
(nel medio Friuli, in provincia di Udine) nella
produzione dei prosciutti deriva dalle particolari condizioni climatiche di questa località
di mezza collina tra le Alpi carniche e il Mare Adriatico, che lo hanno reso il luogo ideale per la stagionatura secondo procedimenti
di derivazione artigianale.
Dalle prime iniziative, che affondavano le loro radici in tale tradizione artigianale, sono
via via sorte le strutture a carattere industriale
che costituiscono oggi questo comparto, strutture ben attente a salvaguardare il patrimonio di qualità costituitosi nel tempo, e attivamente garantito dal Consorzio del prosciutto
San Daniele, che oltre a seguire le varie fasi
della lavorazione organizza anche la commercializzazione dei prodotti.
I prosciuttifici oggi presenti nell'area(4) sono
circa 25, con 700 addetti, con una produzione rivolta essenzialmente al mercato nazionale, anche se non manca una quota, di
poco inferiore al 20%, destinata all'export.
(4) Fonte: Sito web Ministero dell’Industria: “La guida panoramica
dell’economia italiana. Un viaggio nel made in Italy”
50
CARPI: LA MAGLIERIA
l distretto(1) interessa cinque comuni situati
nella zona nord-occidentale della provincia
di Modena: Carpi, Cavezzo, Concordia,
Novi e San Possidonio.
Nel settore di attività, tessile/abbigliamento,
maglieria e confezione, operano 1.800
aziende, con circa 10.000 addetti, per un
fatturato di 2.000 miliardi ed un export di
750 miliardi, che ha – come principali mercati di sbocco – i paesi dell’Unione Europea
(64%), l’Europa Occidentale non CEE
(5,1%), l’Est Europeo (6,7%), gli USA (3,4%)
e l’Asia (13,8%).
L'area ha un'estensione complessiva di oltre
275,4 Kmq, conta circa 88.700 abitanti ed
ha una popolazione attiva di 45.300 persone, la cui distribuzione settoriale nell'occupazione vede un 5,5% di addetti dediti all'agricoltura, il 57,7% all'industria e il 36,8% ai
servizi, con un tasso di disoccupazione pari
al 5%. A tal proposito, va segnalato l'alto
tasso di attività e l'elevata propensione all'imprenditorialità, che hanno permesso all'intero sistema produttivo della zona di assicurarsi la partecipazione di tutti i segmenti
della popolazione, in particolare di quello
femminile.
Nel sistema produttivo locale particolare rilevanza assume l'industria manifatturiera in
genere, rispetto alla quale però, a partire
dal secondo dopoguerra, ha giocato un ruolo primario il settore tessile-abbigliamento.
Il secondo settore che impegna l’attività produttiva del distretto è quello della metalmeccanica, che con più di 500 imprese occupa
oltre 3.400 addetti, e la cui prevalente produzione risulta caratterizzata dalle macchine
per la lavorazione del legno (che impiega
circa il 30% degli addetti dell’intera regione
e il 12% su scala nazionale), dalle macchine
agricole e da quelle automatiche
Carpi costituisce il cuore di un polo produttivo dall'indice di specializzazione altissimo,
con un'incidenza media degli addetti del tessile abbigliamento rispetto all'industria manifatturiera pari al 60,9%.
I
EMILIA ROMAGNA
(1) Fonte: Il Sole 24 Ore, 11 marzo 2000
51
Come si è detto, il distretto si caratterizza, in
particolare, per l'accentuata specializzazione nei comparti della maglieria (1.600 unità
produttive e 6.400 addetti) e della confezione (850 imprese 4.750 addetti), con un fatturato globale che si aggira intorno ai
2.200 mld, ed una quota di export pari al
25%. Le unità locali sono per la maggior
parte di piccole dimensioni. Dopo il 1995 il
saldo tra le imprese nate e cessate è stato
nullo; vi sono stati, infatti, nuovi fermenti tra
le imprese di subfornitura soprattutto nel
comparto della maglieria, mentre il peso delle imprese finali è da tempo in flessione.
Oltre che per la rilevanza quantitativa della
produzione (stimata nel 6,5% del fatturato
nazionale del settore), le attività del tessile
abbigliamento locale si segnalano per l'originalità delle forme organizzative, per l'articolato sistema di piccole e piccolissime imprese indipendenti, e per il particolare intreccio fra aziende produttrici di capi finiti e
fornitori di lavorazioni conto terzi. Molte delle maggiori imprese e marchi locali, infatti,
per garantirsi una grande flessibilità, appaltano in subfornitura quasi totalmente la propria produzione a laboratori esterni specializzati nei singoli settori e fasi di lavorazione, mantenendo all’interno solo le funzioni
di progettazione, scelta dei materiali, logistica, controllo qualità, magazzino e gestione
commerciale. Quasi prive di una struttura
produttiva interna, molte imprese sono in
grado di crescere praticamente senza vincoli
e di lanciarsi in progetti nuovi. A Carpi nascono i capi di maglieria e confezione che
le grandi griffes progettano e firmano, ma
non producono.
Il numero più consistente di subfornitori è costituito dalle aziende specializzate nella
smacchinatura, cui seguono quelle di cucitura e quelle che si occupano delle fasi finali
del ciclo produttivo (stiro, controllo e imbusto). Le lavorazioni sono effettuate in piccola
serie ed hanno un elevato contenuto di moda, nel senso di ampiezza delle gamme e di
variabilità dei modelli.
Negli ultimi anni le imprese di subfornitura
hanno cercato di ampliare la composizione
e l'articolazione del portafoglio commesse
per allentare la dipendenza dal cliente principale e ripartire i rischi su più fronti. Anche
se le relazioni tra committenti e subfornitori
tendono ad essere stabili e di lunga durata,
la filiera produttiva è frastagliata e questo
rende talvolta problematiche le relazioni all'interno della filiera.
Ad ogni modo, Carpi è ancora considerata
la piccola grande capitale europea del tessile-abbigliamento, del Pronto Moda, della
maglieria e delle confezioni made in Italy.
Un distretto industriale padano nato da
un’imprenditoria diffusa, in questi ultimi anni
alle prese con una crisi di settore. Questi anni di crisi hanno portato i carpigiani a trasferire la produzione in altre aree della penisola (ad esempio, la Bassa Ferrarese, le province di Brindisi e Lecce), ma soprattutto in Ungheria, Slovenia, Turchia, Estremo Oriente.
In questi anni si è fatta strada tra gli imprenditori locali la consapevolezza che il tempo
della corsa e della crescita sfrenata è finito e
che il futuro è alleanza, diversificazione, innovazione tecnologica, attività di internazionalizzazione e di penetrazione sui mercati
esteri. C’è bisogno di fare massa critica, di
collaborazione tra le aziende, di sinergie,
per nuove strategie, sviluppo, qualificazione
degli addetti, e qualità dei prodotti. Per la
piccola impresa che caratterizza il distretto
di Carpi, è certo difficile affrontare mercati
complessi, perché ciò comporta cambiamenti radicali. Ma, chi ha retto meglio in questi
anni è chi ha costruito la sua struttura guardando oltre i confini locali. Competizione e
selezione sono forti: per reggere, bisogna
offrire migliori servizi, tecnologie evolute,
agire nella logica della internazionalizzazione e non solo dell’export, saper rispondere
alla domanda di mercati lontani.
Nonostante la criticità di questo snodo, le
imprese possono far leva sul fatto di appar-
52
tenere a un distretto, e cioè di poter contare
su competenze professionali, su un knowhow accumulato nel tempo e un forte tessuto
sociale alle spalle. Si tratta di un patrimonio
consistente che Carpi possiede forse più di
ogni altra area tessile, e che dunque la rende in un certo senso unica.
Il distretto non utilizza le leve del marketing in
modo proporzionale al suo peso industriale;
vi sono, è vero, imprese che assolvono molto
bene queste funzioni ma ve ne sono molte i
cui rapporti con il mercato passano ancora in
gran parte attraverso intermediari commerciali con tutto quello che ciò implica in termini di
percezione dei segnali e di tempi di reazione
alle fluttuazioni della domanda.
In sintesi, il distretto è al centro di un campo
di forze molto intenso che ne sta ridisegnando le architetture organizzative, le relazioni
tra le imprese e i rapporti tra queste e i mercati. E da questo campo di forze con ogni
probabilità prenderà volto un distretto in parte diverso, più strutturato, ma sempre legato
al territorio di Carpi.
CENTO: LE MACCHINE AGRICOLE
Terra di tradizionale insediamento agricolo,
in cui la canapa era la coltivazione più diffusa, l'area di Cento(2), in provincia di Ferrara,
ma vicina anche a Bologna, costituisce oggi
un distretto industriale di notevole solidità, incentrato sulle lavorazioni meccaniche.
Della originale vocazione agricola, oggi
Cento conserva ancora un robusto impianto
di aziende caratterizzate da moderne tecniche di coltura, ma è fin dagli anni 50 che si
è sviluppato attorno ad alcune aziende leader un forte tessuto di piccole e medie imprese meccaniche che operano negli ambiti più
diversi, dai trattori alle gru e scavatori, dai
bruciatori per impianti di riscaldamento agli
essiccatori per pastifici ai motori elettrici per
automezzi e natanti.
Le imprese si caratterizzano per un elevato
contenuto tecnologico e per una forte e dinamica imprenditorialità, oltre che per una
spiccata vocazione all'introduzione di innovazioni organizzative e manageriali, anche
in molte delle piccole imprese. Queste ultime
costituiscono una parte cospicua delle quasi
350 imprese dell'area (con una occupazione di circa 5000 addetti).
FORLI’: IL MOBILE IMBOTTITO
Le unità produttive del distretto forlivese del
mobile imbottito(3) sono collocate in massima
parte nel territorio del comune di Forlì, grazie alla buona offerta di aree attrezzate, e
in misura minore in quelli dei comuni adiacenti (Castrocaro, Meldola, Predappio, Bertinoro). I mercati tradizionali su cui, nel momento di crescita più dinamica, si riversavano i prodotti forlivesi erano il Medio Oriente
per le piccole imprese, la Francia e il Benelux per le grandi.
Nel comprensorio vengono prodotti mobili
di qualità, destinati ad una fascia medio-alta
costruiti con cura artigianale, modelli in prevalenza contemporanei, spesso realizzati in
pellame pregiato.
Il comprensorio è costituito da oltre 100 imprese, alle quali se ne aggiungono altrettante che producono componenti, con 4.000
addetti, in gran parte donne (il 12% circa
del totale degli occupati dell’intero settore industriale della provincia), un fatturato di 600
miliardi dei quali il 60% dovuto all’export.
Le industrie dell’imbottito e l’artigianato indotto, quindi, esercitano un forte peso nell’economia forlivese.
Le aziende sono prevalentemente giovani,
nate per gemmazione dopo il 1972 (77%),
ma in maniera particolarmente intensiva tra
il ‘75 e il ‘77, e presentano le caratteristiche
tipiche dell’artigianato con impiego limitato
(2) Fonte: Sito web Ministero dell’Industria: “La guida panoramica
dell’economia italiana. Un viaggio nel made in Italy”,
(3) Fonte: dati Istat, 1996
53
di capitali; i soci operano direttamente in
fabbrica con responsabilità patrimoniali dirette e con la sistematica presenza dell’imprenditore-dirigente-lavoratore che mantiene
saldamente nelle sue mani il ruolo di “insostituibile”. Inoltre, l’apprendistato risulta essere
la prima forma di occupazione, mentre è
sempre in aumento la domanda di operai
specializzati.
La ricerca di nuovi spazi di commercializzazione in altri Paesi sta dando buoni risultati:
gli imprenditori hanno compreso la funzione
essenziale che la qualità, l’innovazione, il
design assumono soprattutto nei momenti di
crisi e di grande concorrenza e stanno puntando su una serie di iniziative che consentiranno alle aziende di superare i ritardi nella
modernizzazione dell’organizzazione e nella razionalizzazione dei processi produttivi.
Il problema è la concorrenza delle aziende
del Sud. La graduale flessione della quota di
produzione, che tra l’88 e il ‘92 superava il
20% dell’intera produzione italiana di imbottito, è stata rilevante (nel 1998 si è ridotta al
6-7%).
FORLI’-CESENA: L’AGROALIMENTARE
La provincia di Forlì-Cesena è uno dei poli
agroalimentari più importanti della regione
Emilia-Romagna: è specializzata soprattutto
nel comparto ortofrutticolo (fragole, pesche,
albicocche, kiwi, ciliegie, ortaggi, etc.) e
nella trasformazione ad esso connessa, ma
anche altri comparti agro-alimentari hanno
una rilevanza (vitivinicolo, avicunicolo, sementiero, “no food”, forestale).
Al tempo stesso, la provincia di Forlì-Cesena
costituisce uno dei casi italiani ed europei di
maggiore integrazione tra una base agricola sviluppata ed un consistente segmento manifatturiero e commerciale del ciclo agro-alimentare.
La specializzazione del distretto è nata con
l’avicolo negli anni fra le due guerre ed è
andata poi crescendo con l’ortofrutticoltura,
ma soprattutto con la capacità di sviluppare
un’intera filiera produttiva che va dal campo
alla tavola, con servizi per l’agricoltura molto evoluti, come quelli di sperimentazione
agraria, di genetica, di micropropagazione
in vitro, la biofabbrica per la produzione
d’insetti utili e via dicendo. A questi si aggiungono i segmenti di tipo sia propriamente
industriale - come la produzione di mangimi
per gli animali, di macchine e attrezzature
per l’agricoltura e per la trasformazione, la
refrigerazione e la conservazione dei prodotti -, sia commerciale ed in questo campo
Forlì e Cesena sono ormai il cuore della
commercializzazione dei prodotti avicoli ed
ortofrutticoli a livello nazionale. Qui, arrivano prodotti anche dal Sud e da altre aree e
trovano a Cesena una piattaforma logistica
per arrivare poi sui mercati di tutta Europa.
Un altro settore importante è quello della
trasformazione dei prodotti surgelati dove
Orogel è impresa leader fra le italiane e
terza in Italia dopo due grandi gruppi multinazionali.
Macfruit, la Fiera cesenate del settore ortofrutticolo, è la prima manifestazione europea
nel campo delle macchine per la selezione
della frutta e la seconda a livello mondiale. Il
distretto ha saputo, dunque, sviluppare una
filiera che è stata in grado, a partire dal territorio, di affrontare il mercato globale.
In quest’area sono nate e si sono consolidate
numerose realtà imprenditoriali, alcune delle
quali hanno ormai raggiunto un ruolo e delle
dimensioni di livello nazionale. Nell’area
operano alcune grosse realtà industriali come la Polli Amadori (azienda che occupa
circa 3.000 persone) o il piccolo gruppo di
imprese che producono celle frigorifere.
Per alcune produzioni, soprattutto nell’ortofrutta, si stanno cercando di avviare rapporti
di parternariato con altre aree dell’Italia, in
particolare con le regioni del Mezzogiorno.
Recentemente sono molto aumentate le attività di cessione di know-how e di licenze al-
54
l’estero. I contatti internazionali stanno diventando sempre più importanti ed il settore
ortofrutticolo è quello che si è più impegnato
nel cercare la strada dell'internazionalizzazione.
Per quanto riguarda il settore avicolo, in cui
operano 700 imprese, con 5.000 addetti,
per un fatturato di 1.850 miliardi(4), il principale problema organizzativo può essere individuato nel fatto che i produttori operano
“in ordine sparso”, ossia appaiono pochissimo coesi dinanzi alle sfide poste da mercati
sempre più globalizzati.
E’ essenziale favorire alleanze e tra le imprese, proprio perché i gruppi del settore sono relativamente piccoli e, quindi, inadeguati rispetto alle esigenze di ricerca e di strutturazione imposte dalle dinamiche globali. In
questo senso appaiono necessari accordi
quantomeno rispetto alla commercializzazione al fine di potersi presentare con una
gamma di prodotti ampliata e con più marchi, ma con unico centro decisionale e direzionale.
Il settore di nicchia della produzione di formaggio ovino attraversa una situazione difficile. Da un lato, il prezzo del latte sta calando mettendo in difficoltà le famiglie di pastori sardi insediatasi nei decenni scorsi nelle
zone collinari; dall’altro, gran parte del mercato del formaggio è oggi in mano alla
grande distribuzione, perché la rete dei piccoli dettaglianti, che permetteva qualche piccolo realizzo in più, va scomparendo.
Nel settore saccarifero, invece, il discorso è
diverso, perché le decisioni vengono prese a
livello europeo: la Commissione assegna infatti all’inizio di ogni anno le quote di produzione che ciascuno può vendere a prezzo
europeo. Questa situazione fa sì che tutto il
know-how dell’impresa sia concentrato in
questo processo di avvicinamento alla quota
di produzione assegnata per non perdere
possibilità di profitto dovuto o a produzione
scarsa o eccedente.
Dal punto di vista dell'interesse commerciale,
il raggio d’azione delle aziende del distretto
si limita all'Europa con alcune imprese locali
che hanno interessi specifici in Francia ed in
Germania. Un punto di forza del sistema
agro-alimentare dell’area in rapporto alla
costruzione di “reti lunghe” adeguate per
competere è costituito dagli esportatori ortofrutticoli. In questo settore si è verificata prima una particolare concentrazione sulla produzione locale, e poi una dilatazione al livello regionale ed in seguito al livello nazionale ed internazionale. Il segreto del successo degli esportatori locali è legato al procedimento attraverso il quale i prodotti vengono acquisiti dall’agricoltore e recapitati alla
grande distribuzione. Gli esportatori, infatti,
non si limitano a commercializzare i prodotti
ortofrutticoli, ma ne controllano l’acquisto,
ne curano la lavorazione (ovvero selezionano e trattano i prodotti in vari modi, anche
in relazione alle esigenze della clientela) e,
infine, li esportano. Si tratta di procedimenti
complessi, non alla portata di tutti, poiché richiedono competenza e capacità di gestione. Non a caso, infatti, buona parte del prodotto esportato dagli esportatori locali non è
locale, ma proviene da altre regioni italiane.
Quindi, la provincia di Forlì-Cesena non è
più solo punto di partenza per le merci locali
come in passato, ma anche tappa per la frutta e la verdura che, proveniente dal Mezzogiorno, viene prima trattata negli impianti locali e, in seguito, distribuita al Nord d’Italia
e nel resto d’Europa.
Accanto a questo segmento dell’economia
locale, si è sviluppato un nucleo di imprese
per la produzione delle attrezzature necessarie alle attività di commercializzazione: l’industria dei nastri trasportatori, delle macchine per selezionare e imballare la frutta, etc.
che oggi sono presenti, oltre che sul mercato
regionale anche su quello nazionale ed internazionale. Oggi, uno dei punti di forza
del sistema agro-alimentare locale è senz’al(4) Fonte: Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2000
55
tro rappresentato dal trasporto refrigerato. Si
tratta di un segmento del trasporto merci in
cui eccellono le aziende di trasporto della
provincia; è un sistema complesso in cui convivono realtà differenti, anche se due sembrano essere i principali segmenti che compongono l’offerta:
• il trasporto locale che assorbe la gran
parte delle imprese monoveicolari (l’80%
in termini di aziende) che compongono il
tessuto produttivo dell’area;
• il trasporto internazionale che interessa le
imprese più dinamiche (il 20% in termini
di aziende) e che costituisce il vero punto
di forza del sistema di offerta locale.
LANGHIRANO: IL PROSCIUTTO
L' area di produzione del "Prosciutto di Parma" ha a Langhirano il suo centro, ed è costituita da altri sette comuni, tra i quali Collecchio e Felino (nota anche per la produzione del salame che da questo centro prende
il nome). Tale area, a forte connotazione
agricola, è riuscita ed evolversi fino a diventare uno dei maggiori centri dell'industria alimentare, avendo affiancato alle produzioni
più famose, quelle del prosciutto e degli altri
insaccati, quella altrettanto famosa del "Parmigiano Reggiano" e quella di conserve alimentari.
I risultati ottenuti sono derivati dal fatto che i
produttori della zona hanno saputo raggiungere un livello di organizzazione di tipo industriale riuscendo a salvaguardare qualità
e accuratezza nella lavorazione dei prodotti, il tutto unito ad una accorta politica di immagine presso i consumatori. Da questo punto di vista, uno strumento importante è stata
la costituzione del Consorzio del Prosciutto
di Parma che vigila costantemente su tutte le
fasi della produzione.
I prosciuttifici presenti sono oggi più di 100
con 1.300 addetti, per un fatturato di 480
miliardi(5).
MIRANDOLA: LE IMPRESE BIOMEDICALI
Il distretto industriale di Mirandola(6) rappresenta una delle realtà più particolari nel panorama dei distretti italiani, sia per quanto
riguarda la genesi del distretto stesso, sia
per il settore di specializzazione, sia infine
per le caratteristiche peculiari del settore produttivo.
L’area del distretto interessa i comuni di Mirandola, Cavezzo, Concordia, Medana; nel
settore di attività biomedicale operano 74
aziende, con circa 3.000 addetti, per un fatturato di 800 miliardi.
Lo sviluppo dell’industria biomedicale si realizza in questa zona della provincia di Modena in tempi, e con modalità differenti rispetto al tradizionale processo di diffusione
di piccole e medie imprese, verificatosi a
partire dagli anni ‘60, in molte aree del
Centro-Nord. Nel caso di Mirandola, la crescita di un tessuto di PMI, a forte livello di
specializzazione, avviene in un settore piuttosto particolare, quale il biomedicale, a forte contenuto innovativo, ed alquanto distante
dai tradizionali settori del made in Italy.
L’origine di questo distretto non va fatta risalire ad una spontanea “vocazione territoriale”, o a specifiche risorse esistenti in loco,
che portano allo sviluppo di un tessuto artigianale, che si evolve poi in un sistema più
complesso d’impresa a forte specializzazione produttiva. Essa si identifica con la storia
di un singolo imprenditore, (oggi presidente
della Mallinckrodt Medical), che per primo
introduce in Italia la diffusione del monouso
sterile in plastica in campo ospedaliero e,
soprattutto, costruisce il primo rene artificiale
italiano e le relative linee accessorie. A partire dal 1963, sono via via nate diverse im(5) Fonte: elaborazione su dati CENSIS, VIII Forum sui localismi,
1998
(6) Fonte: Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2000
56
prese, molte delle quali sono oggi controllate
da grandi gruppi multinazionali.
Occorre d’altra parte sottolineare come l’unico polo industriale al mondo, che fa registrare una simile concentrazione di imprese
biomedicali, sia localizzato a Minneapolis
negli USA, dove hanno tra l’altro sede alcune delle società, come la Baxter e Pfizer,
che hanno acquistato alcune delle aziende
mirandolesi.
Inoltre, nel corso degli anni, di pari passo alla nascita e allo sviluppo delle aziende di
medie dimensioni, si è verificato un processo
di spin-off che ha dato vita nel comprensorio
di Mirandola, alla proliferazione di un insieme di piccole imprese nate, in gran parte,
grazie all’iniziativa di ex-dipendenti (ingegneri, tecnici e altro personale qualificato).
Queste piccole imprese sono specializzate
nell’effettuazione di tutte quelle lavorazioni
che le imprese di maggiori dimensioni trovano conveniente decentrare all’esterno, ed in
particolare nella produzione di circuiti e accessori per l’emodialisi e per il comparto
cardiovascolare. Sin dall’inizio, la configurazione del distretto ha cominciato a prendere
corpo grazie all’inserimento, nel processo di
produzione, di piccole imprese artigiane che
si affiancavano alla impresa di maggiori dimensioni.
L’attuale configurazione del distretto appare
caratterizzata dalle seguenti tipologie di attori:
• le grandi imprese a capitale esterno, che
rappresentano oltre il 75% degli addetti e
del fatturato del settore biomedicale locale. Esse producono sia disposable, che apparecchiature, controllando direttamente le
fasi più strategiche del processo (compresa la fase finale della sterilizzazione) e decentrando all’esterno solo le fasi relative
alla produzione di componenti specifici e
all’assemblaggio delle apparecchiature.
Significativo in ogni caso rimane l’intreccio di rapporti che le stesse aziende conservano con le altre imprese locali;
• le imprese locali “indipendenti” che operano prevalentemente in conto proprio, a
volte in nicchie di mercato molto specializzate, e che forniscono anche prodotti
alle imprese leader dell’area, nonché vendono, anche se spesso indirettamente, sul
mercato finale. Queste imprese ricorrono
in misura maggiore al decentramento produttivo, soprattutto per le fasi che implicano competenze particolari, o richiedono
lavori di tipo prevalentemente manuale
(lavorazioni meccaniche, cablaggio, ed
assemblaggio), mentre le fasi più delicate, come quella del collaudo finale, tendono ad eseguirle internamente. Attraverso
il decentramento, queste imprese riescono, da un lato, a soddisfare una domanda di prodotti più “personalizzata”, dall’altro, ad assicurarsi un livello notevole di
flessibilità, oltre che la possibilità di contenimento del costo del lavoro;
• le imprese che realizzano componenti in
conto terzi, curando, in alcuni casi, anche
la fase di assemblaggio. All’interno di
questo gruppo esistono situazioni piuttosto differenziate. Alcune imprese si avvalgono a loro volta di altri terzisti, hanno
accresciuto nel corso degli anni le proprie
competenze tecniche, sviluppando una
capacità non solo di rispondere alle specifiche richieste, ed a eventuali modifiche
delle stesse, ma anche, in alcuni casi, di
progettare nuovi prodotti, sulla base delle
esigenze manifestate dal sistema produttivo; altre, invece, realizzano componenti
a più basso valore aggiunto e contenuto
innovativo e solo su specifiche dirette dell’azienda committente;
• le imprese conto lavorazione che forniscono essenzialmente manodopera per l’assemblaggio dei prodotti. Queste sono state
sottoposte, nel corso degli anni, ad un forte
processo di selezione dovuto essenzialmente all’introduzione di nuove forme sanitarie
e a più rigidi standard di qualità, che hanno di fatto innalzato le barriere all’entrata.
57
Se questo è il quadro degli “attori” in campo, dal punto di vista dei comportamenti,
due appaiono i fenomeni più significativi
che sono emersi negli ulti anni:
• la tendenza alla reinternazionalizzazione
di alcune fasi produttive da parte delle imprese capofila, che risulta presente, anche se in modo non generalizzato, e comunque non tale da modificare in modo
significativo il sistema dei rapporti e delle
relazioni fra le imprese all’interno dell’area. Il fenomeno sembra riguardare sia alcune grandi imprese a capitale esterno,
sia alcune imprese locali “indipendenti”.
Le motivazioni nel primo caso sembrerebbero rispondere principalmente all’esigenza di realizzare significative economie di
scala, conseguenti anche all’introduzione
di processi di ulteriore automazione. Nel
secondo caso, appaiono riconducibili alla
necessità di riacquisire il controllo diretto
su alcune fasi che incidono in maniera significativa sulla qualità finale dei prodotti;
• la tendenza al decentramento produttivo
verso aree territoriali esterne al distretto.
Interessa, al momento, un numero ancora
limitato di aziende appartenenti a grandi
gruppi, e riguarda soprattutto alcune fasi
produttive a più alta incidenza del costo
del lavoro. Le ragioni sono riconducibili
alle scelte ed alle logiche strategiche delle
multinazionali che, operando complessivamente su un orizzonte territoriale più
ampio, in alcuni casi trovano più conveniente lo spostamento di particolari fasi
produttive, verso aree o paesi diversi, in
funzione di razionalizzazione del ciclo,
di riduzione dei costi, e/o di vicinanza ai
mercati di sbocco finali.
L’immagine complessiva che si ricava è quella di un’area locale che si trova oggi a vivere un passaggio delicato della sua evoluzione di sviluppo. Le trasformazioni e le dinamiche in atto, se da un lato sembrano accentuare gli elementi di minaccia, soprattutto
per gli operatori meno strutturati, dall’altro
costituiscono delle opportunità che, se adeguatamente colte e valorizzate, potrebbero
consentire all’area nel suo complesso, di
rafforzare la propria posizione competitiva.
MODENA-REGGIO EMILIA: LE MACCHINE AGRICOLE
Metà del fatturato nazionale del settore macchine agricole (16.000 miliardi) è realizzato
in Emilia Romagna, per il 70% concentrato
nelle province di Modena e Reggio. E’ Reggio che, all’interno del distretto emiliano,
conta il maggior numero di aziende (420),
mentre Modena si ferma a quota 171. Cifre
che, a livello nazionale, si traducono rispettivamente nel 10,7% e nel 4,3% del totale.(7)
Questa è in sintesi la fotografia del distretto
della produzione di macchine per l’agricoltura e il movimento terra, situato nelle province di Modena e Reggio: qui hanno sede sia
grandi aziende conosciute a livello mondiale
che altre, piccole e medie, specializzate in
nicchie di mercato.
Tra le grandi spicca il gigante del settore dei
trattori, la New Holland (gruppo Fiat), che
nel 1999 ha acquisito l’americana Case
Corporation, con la quale ha dato vita a un
gruppo che, per volume di produzione e per
giro d’affari, compete con il colosso americano John Deere. A Modena, la New Holland ha due strutture, uno stabiliento per la
realizzazione della componentistica e un
magazzino ricambi, per complessivi 1.800
dipendenti.
Al contrario, la Maletti è stata acquisita nel
1997 dalla norvegese Kneveland, leader
mondiale nella produzione di implementi
agricoli, diventando Kneveland Modena
Spa; l’azienda produce erpici rotanti, zappatrici e trinciastocchi, impiegando 70 persone, con un fatturato di 28 miliardi, ed
esporta il 95% della produzione.
(7) Fonte: Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2000
58
Tra le aziende attive in provincia di Reggio
Emilia vi è la Emak, quotata a Piazza Affari,
nata dalla fusione tra OleoMac ed Efco.
L’impresa fa parte di Yama, gruppo industriale che conta una ventina di aziende: insieme rappresentano il maggior polo italiano nel campo delle piccole macchine per
agricoltura, giardinaggio e settore forestale.
All’interno di questo agglomerato l’Emak è
leader, contribuendo ad un terzo del fatturato (173 su 477 miliardi).
Leader tra i produttori di macchine per la
protezione di piante basse (per lo spargimento di anticrittogamici) è la reggiana Unigreen, con un giro d’affari pari a 16 miliardi, di cui il 40% provenienti dai mercati internazionali.
RIMINI: IL LOISIR
Il “distretto del piacere”(8) è localizzato nel
quadrilatero che si estende tra Bologna, Verona, Venezia e Rimini. L’insieme delle attività che comprendono alberghi, discoteche
e parchi tematici occupa a livello stagionale
150 mila persone. Le 15 province di questo
distretto si collocano ai primi posti delle statistiche relative agli indici sulla qualità della
vita: partecipazione ad attività culturali, associazioni artistiche, spese per teatri, cinema, musica, palestre.
L’epicentro è rappresentato da Rimini. Nella
provincia riminese si contano 2873 alberghi, 26000 strutture extralberghiere, 15 tra
campeggi e villaggi turistici, 662 stabilimenti
balneari, 553 ristoranti. Tra Rimini e Riccione operano 190 discoteche, con una presenza, durante l’estate, di circa 300 mila persone ogni notte.
Il distretto del piacere vede in generale lo
sviluppo di tutte le attività relative alla cura
del corpo e ai viaggi: fitness, body trance,
massaggi, meditazione, rilassamento, discoteche, discobar, parchi gioco, parchi a tema, villaggi-vacanze,…
Alcune esperienze significative possono, meglio di un quadro di insieme, esemplificare
le caratteristiche salienti di questo modello
economico.
Il caso Gardaland costituisce il primo parco
a tema made in Italy: in uno spazio di venti
chilometri sono sorte successivamente altre
sei strutture, parchi artificiali simboleggianti
diversi temi: zona western,zona araba, zona africana, zona Hawai, zona egizia,…
Dai 90 mila metri quadrati iniziali e dai duecento milioni di investimento si è arrivati ai
450 mila metri quadrati attuali e a un fatturato superiore ai cento miliardi.
A pochi chilometri da Ravenna, nel 1992
nasce il secondo parco italiano, Mirabilandia, con 800 addetti durante l’estate. Venezia, ormai diventata “fabbrica della cultura”, vede la chiusura di vecchie osterie e lavori artigianali e l’apertura di boutiques delle grandi firme e l’arrivo di multinazionali
del fast food. Sempre a Venezia operano oltre 150 gruppi musicali. A Bologna è il
DAMS, l’università dell’arte e dello spettacolo, a formare e promuovere le professionalità dedicate all’”economia dei desideri”. Vi
operano oltre 300 gruppi teatrali.
Nel suo insieme, il distretto del piacere costituisce un laboratorio delle nuove forme di
produzione e consumo immateriale che fanno della dimensione comunicativa e relazionale l’epicentro di una emergente “economia delle esperienze”. Di un’economia,
cioè, dove vengono prodotti e consumati desideri, emozioni, nonché i significati che i
produttori/consumatori vi attribuiscono.
RIMINI: L’ABBIGLIAMENTO E LE CALZATURE
Rimini non è solo turismo. Nella provincia
romagnola hanno sede importanti industrie
(8) Fonte: A. Bonomi, “Il distretto del piacere” Bollati Boringhieri,
2000
59
manifatturiere concentrate in particolare nel
distretto dell’abbigliamento.(9)
La forza e il vantaggio competitivo di queste
imprese sta nell’esistenza nel territorio provinciale (ma anche nelle province limitrofe)
di un folto gruppo di piccole imprese artigiane che opera da indotto qualificato.
In provincia di Rimini hanno sede due importanti gruppi noti a livello internazionale: Gilmar e Aeffe, cui si aggiungono numerose
piccole e medie realtà aziendali (circa 700)
che impiegano 3.000 unità. La dimensione
media delle unità locali è di otto addetti.
L’occupazione del settore compre una parte
consistente dell’occupazione totale della provincia, circa il 37%.
In questo contesto, i gruppi Gilmar e Aeffe
da soli contano 1.170 unità, rispettivamente
540 e 630. La manodopera è per il 90% reperita in zona. Insieme, le due aziende mettono a segno 600 miliardi di fatturato (la
metà ciascuno). Il gruppo Gilmar è impegnato nel pret-a-porter, (il 65% della produzione
è destinata all’estero) e, oltre ai marchi
aziendali (tra cui Gilmar, Gerani uomo e
donna, Iceberg), produce le linee di Sui Anna Sui, Marc Jacobs Look e jeans de Christian Lacroix. L’Aeffe è un’azienda di San
Giovanni in Marignano nata nel 1980 che
produce i marchi “di casa” Alberta Ferretti e
Philosophy e delle licenze Moschino, JeanPaul Gaultier, Narciso Rodriguez e Rifat Ozbek. L’azienda sta ampliando la presenza
negli Stati Uniti, ma anche un po’ in tutto il
Far East, dove, a dispetto della congiuntura
difficile per gran parte delle industrie del sistema moda, sta continuando a crescere. La
produzione è quasi tutta made in Italy, a parte i ricami che vengono realizzati in India e
pochi capi basici fabbricati in Ungheria.
Nel settore della calzatura, il marchio più
prestigioso è quello di Valleverde che rappresenta un gruppo calzaturiero di Coriano
di Rimini leader nella produzione di calzature “comode”. L’azienda è cresciuta partendo
da una linea di pantofole anatomiche e nel
1998 ha prodotto/commercializzato 2 milioni di scarpe, con un fatturato di 165 mi-
liardi nel 1998 e con 300 dipendenti diretti
e un indotto di 2.000 addetti. Negli ultimi
anni, Valleverde ha aperto una catena di oltre 200 negozi monomarca (30 dei quali all’estero). In futuro, l’azienda ha in programma di aprire altri cento negozi all’anno.
Questi negozi si vanno ad aggiungere alla
rete distributiva di 2.135 punti vendita (di
cui 1.800 in Italia) che espongono il marchi
Valleverde. Ora, Valleverde (fondata nel
1969) sta ampliando la gamma di prodotti
alla piccola pelletteria e agli accessori. L’azienda punta molto su marketing e pubblicità, investendo il 10% del fatturato in pubblicità e sponsorizzazioni.
SAN MAURO IN PASCOLI E L’AREA
DEL RUBICONE: LE CALZATURE
In provincia di Forlì-Cesena, il settore calzaturiero è presente soprattutto nell’area del
Rubicone, nei Comuni di San Mauro Pascoli,
Gatteo e Savignano sul Rubicone.(10)
Qui, si producono calzature femminili di alta
classe e lusso. Nel piccolo comune di San
Mauro Pascoli sono insediate quattro fra le
prime quindici imprese mondiali nel settore
della scarpa da donna di classe: le imprese
di Sergio Rossi (circa 100 miliardi di fatturato con il 60% di export), Vittorio e Alberto
Pollini (400 dipendenti e 85 miliardi di fatturato con il 55% di export), Gimmi Baldinini
(40 miliardi di fatturato con un export
dell’80%) e Quinto Casadei (160 addetti,
30 miliardi di fatturato con oltre il 70% di
export). Inoltre, nel distretto del Rubicone è
assai diffuso il lavoro in contoterzi per le
grandi griffe (Versace, Dolce & Gabbana,
etc.) La gran classe e la raffinatezza delle
calzature che si producono nel distretto sono
anche il frutto della presenza sul territorio di
(9) Fonte: Il Sole 24 Ore, 16 maggio 2000
(10) Fonte: Il Sole 24 Ore, 7 marzo 2000
60
aziende di componenti (ad esempio, suole e
tomaie), il cui giro d’affari è stimato in 100
miliardi di cui una buona parte realizzato
sui mercati internazionali.
Complessivamente, nel distretto operano
120 aziende calzaturiere (2.500 addetti),
138 aziende di componentistica (1.320 addetti), 9 aziende di calzature a mano (112
addetti); la produzione annua è di 15 milioni di paia di scarpe, 10 milioni delle quali
vengono esportate.
Le difficoltà della Russia hanno solo rallentato l’espansione su quel mercato. Il Paese
mantiene intatto tutto il suo appeal nei confronti degli industriali del comparto e i russi
hanno un debole per le scarpe di San Mauro Pascoli. Anche la brusca frenata delle
economie del Far East non ha arrestato il
mercato delle calzature di lusso e le importazioni sono rimaste pressoché stabili.
SASSUOLO: LE PIASTRELLE
L’area del distretto interessa i territori dei comuni di Sassuolo, Scandiano, Rubiera, Casalgrande, Castellarano, Formigine, Fiorano,
Maranello e Castelvetro di Modena.(11)
Nel settore delle piastrelle operano 260
aziende, con circa 22.000 addetti (30.000,
considerando anche l’indotto), per un fatturato di 6.500 miliardi..
Nei Comuni a cavallo tra le province di Modena e Reggio Emilia, lungo l’asse del fiume
Secchia, si “sfornano” l’80% delle piastrelle
italiana. Fino a 10 anni fa il made in Italy
rappresentava il 30% della produzione mondiale; adesso la percentuale è scesa, sotto la
spinta dei paesi emergenti, in primo luogo la
Spagna, la Cina, il Messico e il Brasile. Comunque, il distretto di Sassuolo se conserva
la leadership nella qualità del prodotto.
La produttività è elevata: gli attuali 22.000
addetti distribuiti tra Modena e Reggio Emilia (sui 30.000 complessivi ) sono di poco
superiori a quelli del 1986, ma 10 anni fa
assicuravano 238 milioni di metri quadrati
di prodotto e oggi 510 milioni. Il distretto di
Sassuolo produce piastrelle, ma anche macchine per fare piastrelle, forni per cuocerle,
studi per disegnarle e decorarle, aziende
per impacchettarle e spedirle in ogni angolo
del mondo. La maggior parte delle imprese
del distretto sono piccole e non superano i
25 dipendenti, anche in conseguenza del
fatto che le fasi di lavorazione sono spezzate e segmentate. Allo stesso tempo, però, nel
distretto hanno sede anche dei grandi gruppi (complessivamente 23 erano le aziende
e/o i gruppi che avevano oltrepassato il fatturato di 100 miliardi di lire nel 1994), alcuni dei quali sono internazionalizzati.
• il gruppo Marazzi-Ragno-Pennaroja-Ceram-Alfa, con un fatturato di oltre 1.000
miliardi per il 77% realizzato all’estero;
• il gruppo Iris, che fattura oltre 1000 miliardi;
• il gruppo Cisa-Cerdisa, con circa 500 miliardi di fatturato e una quota di export
pari all’80%;
• il gruppo Fin-Riwal, terzo in Europa con
circa 500 miliardi di lire di consolidato e
un un fatturato che ha superato i 300 miliardi;
• il gruppo Concorde con 400 miliardi di
fatturato.
Uno dei grandi vantaggi competitivi del distretto di Sassuolo è la grande flessibilità
del fattore lavoro; non ci sono tensioni sociali e neanche conflittualità tra aziende e
sindacati.
Tra gli imprenditori locali si fa strada la consapevolezza che l’organizzazione snella
aiuta a migliorare la competitività, ma la vera sfida dei prossimi anni, su cui si deciderà
il primato del distretto di Sassuolo, è concentrata sulla qualità delle risorse umane, sulla
qualità del prodotto, sulla ricerca (600 miliardi investiti nel settore ogni anno) e sulla
formazione.
(11) Fonte: dati Assopiastrelle, su Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2000
61
AREZZO: L’OREFICERIA E L’ABBIGLIAMENTO
l sistema produttivo di Arezzo è articolato
principalmente nel settore orafo, in cui spicca la società Uno-A-Erre, frutto di energie imprenditoriali locali (fondata nel 1926 da
Leopoldo Gori e Carlo Zucchi e facente parte attualmente del gruppo Gori & Zucchi); e
nel settore dell’abbigliamento, con in testa la
Lebole, nata anch’essa da imprenditori locali, ma poi trasformatasi in grande impresa
industriale.
Queste due imprese negli anni ‘70 e ‘80
hanno contribuito direttamente a creare le
piccole e medie imprese locali. I fuoriusciti
(anche a seguito delle ristrutturazioni) della
Uno-A-Erre, della Lebole e del gruppo Inghirami, soprattutto gli operai qualificati di mestiere, sono diventati piccoli imprenditori ed
hanno creato oltre 12.000 imprese artigiane. Solo nel settore orafo(1) si calcola che ci
siano più di 1.400 imprese industriali ed artigiane, 1.700 marchi, un fatturato che tocca i 5.500 miliardi (con un export del 72%)
e 10.000 addetti. Numeri che fanno del settore orafo aretino uno dei settori produttivi
più importanti della Toscana. Recentemente,
Arezzo è stato riconosciuto dalla Regione Toscana come “distretto orafo argentiero”.
Oggi, siamo ad un nuovo punto di svolta
che richiede la necessità che si delinei un diverso percorso di sviluppo per la miriade di
piccole e piccolissime imprese. Bisogna tenere presente, infatti, che gran parte degli artigiani e dei piccoli industriali orafi lavora per
la Uno-A-Erre, così come la maggior parte di
quelli del settore tessile-abbigliamento costituiscono l’indotto della Lebole e del gruppo
Inghirami.
In particolare, per quanto riguarda il settore
orafo è in atto un dibattito tra le varie associazioni imprenditoriali che sostengono la
necessità che si operi un cambiamento nella
tipologia del prodotto realizzato dalle imprese orafe aretine. Queste, infatti, sono esperte
quasi esclusivamente nella produzione del
cosiddetto “catename” sempre più soggetto
I
TOSCANA
(1) Fonte: Il Sole 24 Ore, 11 settembre 2000
62
alla forte concorrenza nazionale (proveniente da Marcianise-Torre del Greco e dall’area
di Rimini) ed internazionale (produttori asiatici). Pertanto, quello che si richiede alle imprese orafe è una diversificazione della produzione, per puntare su prodotti a più alto
valore aggiunto. Ci sono già alcuni segnali
che vanno in questa direzione, specie nel
settore “minore” della bigiotteria ed argenteria, come dimostra il caso della Nuova 230
Erre e la crescita di alcuni intermediari locali
specializzati.
L’altro settore tradizionalmente portante dell’economia industriale aretina, il settore dell’abbigliamento, vive delle problematiche
che per alcuni aspetti sono coincidenti con
quelle che investono il settore orafo. Infatti,
la crisi della Lebole-Marzotto ha ridimensionato definitivamente l’azienda di grandi dimensioni (basti pensare che si è passati dai
5.000 dipendenti degli anni ‘70 ai poco più
di 700 di oggi che lavorano però a tempo
parziale e, quindi, riconducibili a 350 effettivi) e sta anche creando problemi nell’indotto
del comparto tessile-abbigliamento. Il settore
è caratterizzato dalla presenza di una miriade di piccole aziende e laboratori che producono come façonisti e, come subfornitori
di gruppi nazionali ed internazionali. Accanto a queste realtà da capitalismo molecolare, si affacciano sulla scena un numero molto ristretto di aziende in espansione, come la
Cantarelli SpA nell’abbigliamento (600 dipendenti distribuiti in due aziende) e la Prada nelle calzature e abbigliamento, che stanno seguendo la strada della produzione di
alto livello qualitativo con marchio proprio,
attraverso l’investimento in creatività, ricerca, formazione delle risorse umane e aggressione di mercati molto competitivi (Francia e Germania). Comincia a diventare evidente che in questo settore, con una situazione congiunturale come quella presente e con
un mercato del lavoro ormai mondializzato,
il rischio di penalizzazioni è alto e che,
quindi, l’unico meccanismo per salvarsi è
quello di crescere rapidamente dal punto di
vista qualitativo.
Accanto a questi due settori prevalenti attività c’è da rilevare la presenza del settore
metalmeccanico. Anche qui, dopo il declino
della SACFEM, l’azienda più importante del
settore, attiva nelle riparazioni di vagoni ferroviari e nella costruzione di materiale per
attrezzature agricole, oggi cominciano ad
emergere alcune aziende di medie dimensioni (come la Saico, la Saima o la Italimpianti
Orafi) molto dinamiche, innovative e proiettate sui mercati internazionali.
Infine, esistono alcune imprese di media dimensione che operano nel campo dell’alta
tecnologia - in particolare, la Ceia SpA e, in
misura minore, la Saico e la Saima - che sono fortemente proiettate sui mercati internazionali. Altre imprese da segnalare sono la
Del Tongo (mobili), la Tratos Cavi (impresa
che fattura oltre 100 miliardi producendo
cavi in metallo e fibra ottica) ed alcune imprese casentinesi come l’Ausonia (seconda
industria italiana nella produzione di pannolini e tissues) o come la Mabo, la Stimet e la
Baraclit che sono leader nazionali nella produzione di prefabbricati industriali.
CARRARA: IL MARMO
Il distretto lapideo apuo versiliese (identificato generalmente in Carrara) si estende in
due regioni, Liguria e Toscana, e tre provincie, La Spezia, Massa Carrara e Lucca. La
provincia di Massa Carrara è quella più
coinvolta.(2)
E' un territorio dominato dalla compresenza
delle Alpi Apuane, massiccio con versanti
molto ripidi e altezza dei monti tra i 1800 e
i 2000 metri, e del mare Tirreno, con note
stazioni balneari.
Nei comuni del comprensorio risiedono circa 215.000 persone, con un tasso di attività
(2) Fonte: Il Sole 24 Ore, ottobre 2000
63
del 39,6%, leggermente inferiore alla media
nazionale, mentre il tasso di disoccupazione
è del 16,3%, con forte incidenza giovanile.
Questo fenomeno è collegato ai processi di
deindustrializzazione dell'area tra i due comuni capoluogo (Massa e Carrara), e in modo particolare alla quasi totale scomparsa
della chimica e di buona parte della metallurgia e della meccanica pesante. Dichiarato
"Area a declino industriale", il comprensorio
locale vede sempre più nel lapideo la struttura portante della sua economia produttiva,
mentre crescono servizi e commercio.
Il settore lapideo occupa 8.800 addetti, con
1.160 ditte di escavazione, trasformazione
e commercio di materiali locali e di ogni
parte del mondo. Il fatturato annuo si aggira
attorno ai 2.400 miliardi, dei quali il 50%
circa sull'estero (40% del totale nazionale).
Sono attive circa 200 cave, con oltre 1.000
addetti al monte, e 1.350.000 tonnellate di
blocchi escavati all'anno. Il materiale locale
più conosciuto è il "Bianco di Carrara". Le
singolari proprietà di questa materia prima
caratterizzano tutto il distretto e in particolare l'area di Carrara alimentando intense correnti di export. I mercati prevalenti sono l'Estremo Oriente con il 29,2% (valori), l'Unione Europea con il 23,7%, ed il Medio Oriente con il 19,9%. Ancora tre paesi superano
la quota del 10% sul totale export: Hong
Kong (12,6%), Stati Uniti (11,6%) e Germania (10,3%).
I settori sussidiari al lapideo, trasporti esclusi, occupano circa 1.800 addetti in oltre
200 ditte, che producono macchine per
escavazione, taglio, lucidatura, finitura e
movimentazione di ciclo. Altamente qualificata è anche la fornitura di servizi specializzati. Va all'esportazione oltre il 50% del loro
fatturato, che supera annualmente i 450 miliardi, e cresce di anno in anno. Carrara,
infine ospita ogni anno la "Fiera Internazionale dei Marmi, delle Macchine e dei Servizio", la più importante del settore, con i suoi
60.000 visitatori ed oltre 800 espositori provenienti da tutto il mondo.
L’industria del marmo di Carrara vive oggi
un momento di flessione: nel 1998 il fatturato è calato e sono diminuite le maxi commesse che venivano dal mercato asiatico e si è
avuta una forte contrazione della manodopera; si è anche rafforzata la concorrenza,
sia nazionale (le imprese dell’area di Verona), che internazionale (la Spagna, il Brasile, il Giappone e in genere tutti i Paesi dell’Estremo Oriente);
Ciò nonostante, il settore del marmo rimane
una risorsa imprescindibile dell’area. Non
bisogna dimenticare infine che quello che si
estrae dalle circa 200 cave di Carrara è il
marmo bianco, il più famoso e prestigioso
del mondo, scavato in una specie di lente
geologica di dieci chilometri per venti che
raggiunge i 2.000 metri di altezza.
Per il rilancio dell’area l’obiettivo prioritario
è quello di fare nascere e sviluppare un distretto di piccole e medie imprese di trasformazione del marmo. Storicamente, il marmo
bianco dell’area è stato quasi del tutto
esportato in blocchi, per essere lavorato altrove: è invece importante che il valore aggiunto si realizzi all’interno del comprensorio, saldando la storica frattura tra attività
estrattive della montagna e attività industriali
della pianura.
Negli ultimi anni ci sono stati casi di sodalizio spontaneo tra imprese che si sono rivelati capaci di creare una migliore operatività
sotto il profilo commerciale.
Inoltre, localmente mancano dei centri di servizi all’impresa. L’unico servizio esistente è
quello fornito dalla Società Internazionale
Marmi e Macchine, che gestisce la Fiera.
Per rilanciare il settore lapideo e supportare
l’insediamento di imprese in nuovi settori, la
Camera di Commercio e gli enti locali del
territorio hanno deciso di realizzare un Polo
tecnologico di supporto all’innovazione
Al tempo stesso, l’Amministrazione Comunale ha elaborato una strategia di sviluppo incentrata sul turismo di nicchia, cioè un turi-
64
smo capace di valorizzare la risorsa ambientale, il paesaggio e il patrimonio storicoculturale, soprattutto quello legato al marmo.
E’ in tal senso promotrice nell’ambito del
progetto di turismo museale di iniziative che
hanno l’obiettivo di valorizzare le cave del
marmo anche dal punto di vista turistico.
Già oggi, 70.000 turisti visitano ogni anno
le cave del marmo.
CASCINA E PONSACCO: IL MOBILE
Cascina, Ponsacco ed altri comuni limitrofi
della provincia di Pisa sono caratterizzati
dalla presenza di un distretto specializzato
nella lavorazione del legno per la produzione di mobili.(3)
Il comparto del legno vive una fase involutiva che dura ormai da parecchi anni e che
appare essere legata soprattutto alle ridotte
dimensioni di impresa. Se la polverizzazione imprenditoriale è stata per tanto tempo,
una delle forze del territorio, perché ha fornito flessibilità e capacità produttive-manuali
molto alte, oggi di fronte alle nuove esigenze del mercato, si è trasformato in un elemento di debolezza
Si tratta di una risorsa da rinvigorire. C’è gusto artistico, ma una incapacità di commercializzare i prodotti sui mercati. C’erano botteghe di maestri artigiani che insegnavano il
mestiere ai ragazzi che avrebbero proseguito nell’attività, ma in passato sono stati costretti a smettere. Adesso, i Comuni mirano a
fare i corsi di formazione professionale, andando a ricercare vecchi artigiani per reinserirli nella scuola.
Per aiutare il comparto e non perdere questa
tradizionale risorsa del territorio, il Comune
di Cascina insieme alla Provincia di Pisa si è
mosso in due direzioni:
• la realizzazione di strumenti di
servizio/supporto che favorissero la crescita qualitativa della impresa: innovazione tecnologica, certificazione di qualità,
servizi di commercializzazione, rapporti
con i nuovi mercati
• la realizzazione di un progetto a carattere regionale insieme agli altri comparti
produttivi legati alla lavorazione del legno e produzione di mobili della Toscana
come Ponsacco, Quarrata e Poggibonsi.
Il progetto punta alla costruzione di una
ipotesi di mobile toscano, che faccia di
questa diversità e capacità produttiva e
specializzazione, un punto di forza rispetto ad altre aree sistema. L’obiettivo comune è quello di dare strumenti di unitarietà
ad un comparto fondamentalmente eterogeneo e diviso dal punto di vista sia dell’impresa che delle caratteristiche produttive.
Sul territorio esiste già il progetto del Parco
Scientifico e Tecnologico della Toscana Occidentale e già da tempo i soggetti istituzionali, imprenditoriali, associativi lavorano per
realizzare un polo di sviluppo tecnologico. Il
Parco Scientifico e Tecnologico sorge in
un’area vasta che comprende, nella provincia di Pisa, la Valdera, Cascina, l’area pisana, Livorno, Massa Carrara e tutta l’area litorale,ed ha, come strategia, il trasferimento
di tecnologia alle imprese. L’idea è quella di
non mortificare le realtà locali molto diverse
fra loro, ma fare dell’insieme diversificato di
queste realtà un punto di forza.
EMPOLI: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO
Il distretto empolese comprende un territorio
di circa 340 Kmq che raggruppa sei comuni
della Toscana centrale. Equidistante tra Firenze, Siena e Pisa, l'Empolese è un territorio strategico per tutte le comunicazioni della
Toscana. Capoluogo dell'area è Empoli, che
conta circa 44.000 abitanti ed è il cuore
produttivo e terziario del distretto.(4)
I valori occupazionali sono quelli caratteristi(3) Fonte: dati Istat, 1996
(4) Fonte: Il Sole 24 Ore, ottobre 2000
65
ci dei sistemi locali di piccole imprese: elevato tasso di attività, larga presenza di occupazione femminile (spesso nella forma di lavoro a domicilio), basso tasso di disoccupazione (sotto il 7%).
Nell'ultimo decennio si è assistito ad uno sviluppo accelerato del terziario (48,5% degli
addetti); attualmente questo settore, per numero di occupati, ha quasi la stessa consistenza di quello industriale (50,8%).
La storia industriale dell'area è legata a più
settori produttivi (vetro, ceramica, nautica),
ma il suo sviluppo recente è stato trainato
dall'abbigliamento e in particolare da due
specifici prodotti: l'impermeabile e l'abbigliamento in pelle. Il numero delle imprese
ammonta ad oltre 500 con circa 6.000 addetti, un fatturato di 1.100 miliardi ed un export di 350.
Nel settore dell'abbigliamento in pelle, l'area rappresenta circa i due terzi della produzione nazionale. I principali mercati di
esportazione sono il Giappone (24%), la
Comunità Economica Europea (49%) e gli
U.S.A. (12%).
La produzione è caratterizzata da un artigianato diffuso, specializzato nella produzione
di impermeabili, cappotti, giacche (soprattutto per donna), indumenti in pelle (shearling,
pellicce, etc.). Il distretto empolese è organizzato in una rete enorme di piccolissime
unità produttive (molte formate anche solo
da una persona), a tutto vantaggio di un
reddito pro capite da record. Empoli è, innanzitutto, una città che lavora sodo e produce. Si tratta di una realtà produttiva in
parte sommersa, fatta anche di centinaia,
forse migliaia di “lavoranti a domicilio”, che
per anni hanno tagliato, cucito e rifinito per
conto delle imprese di confezioni. Lo sviluppo industriale si è realizzato con un altissimo
tasso di partecipazione femminile, tant’è vero che la percentuale delle casalinghe è fra
le più basse d’Italia.
Le imprese più vivaci nel settore delle confezioni, sia per volumi di vendita che per qualità del prodotto, sono Allegri, Corsi, Modiva, anche se nessuna è così grande e con
un prodotto così forte da assumere il ruolo di
impresa leader
L’Empolese rappresenta il terzo polo industriale toscano, dopo Prato e Firenze, e non
rientra tra quei distretti industriali superspecializzati. La produzione tessile è affiancata
da imprese chimiche, ceramiche, meccaniche, cartotecniche, del cuoio, della gomma,
delle materie plastiche e alimentari (come la
Sammontana che ha una fetta importante
del mercato nazionale del gelato). Un colosso della distribuzione commerciale come la
Coop è nato ad Empoli, il suo gruppo dirigente è empolese e questo naturalmente
comporta ricadute molto importanti sulle
aziende produttive di Empoli. Ad esempio,
c’è un’azienda che fa prodotti sott’olio e
un’altra che è tra le più importanti in Italia
per lo smistamento ed il commercio del pesce che lavorano molto per la grande distribuzione.
L’area empolese, inoltre, ha tratto profitto come poche dall’apporto tecnologico del Polo
di ricerche del CNR pisano (si pensi, ad
esempio, alla Bitossi, un’azienda che produce componenti per la lavorazione della ceramica e anche pannelli speciali per l’industria
spaziale).
Anche gli altri centri urbani dell’area manifestano una notevole vitalità: a Limite c’è il
cantiere navale sulle rive dell’Arno; a Montelupo c’è un polo della ceramica, mentre a
Certaldo, Fucecchio e Cerreto Guidi si segue la vocazione della calzatura; Castelfiorentino si è specializzata nell’abbigliamento,
con la produzione di camiceria, preferibilmente da donna.
Un fenomeno recente, dalle implicazioni sociali ed economiche ancora tutte da verificare, è quello della entrata recente dei cinesi
nei settori tradizionali di produzione dell’empolese. In questi ultimi anni, ad Empoli si è
formata una delle principali comunità asiatiche della Toscana. Qui, si vende persino un
66
giornale in ideogrammi orientali lo “Zhong
Yi Bao”. Si è trattato di un’immigrazione silenziosa, ma metodica. I cinesi sono arrivati
numerosi e piano piano si sono impadroniti
di una fetta della città fisica ed economica.
Prima sono entrati nel circuito del lavoro a
domicilio (le cosiddette “catenine”) e con un
costo del lavoro bassissimo hanno preso il
posto delle empolesi. poi hanno fatto un salto di qualità. Peraltro, l’ingresso di manodopera cinese ha consentito alle aziende di
confezioni di tenere di contrastare il declino
del settore.
Empoli è una città che manifesta una grande
attenzione nei confronti dei temi sociali e
della solidarietà: vanta uno dei migliori servizi di assistenza domiciliare agli anziani,
oltre ad un alto standard qualitativo di tutti
gli altri tipi di servizi sociali. Questo fatto ha
consentito per anni l’espansione della manodopera femminile nelle confezioni con la
presenza degli asili nido e dei servizi alla
persona, agli anziani e così via. Al tempo
stesso, ha consentito di mantenere una forte
coesione sociale. Da anni funziona un osservatorio sociale e culturale sull’immigrazione.
C’è un volontariato, laico e cattolico, molto
consistente ed operativo.
FIRENZE: LA PELLETTERIA
L’ambito territoriale del distretto è compreso
tra la direttrice che tocca Scandicci, Lastra a
Signa, Impruneta, e l’area di Firenze Sud fino alla Val di Sieve. Qui sono insediate centinaia di piccole e piccolissime aziende artigiane che lavorano soprattutto per conto terzi nel campo della pelletteria di lusso. Marchi famosi (Gucci, Prada, Ferragamo, Louis
Vuitton, Fendi, Gherardini, Arfango, The
Bridge) hanno concentrato nell’area fiorentina le loro produzioni, facendone un polo di
eccellenza.
Secondo i dati elaborati dalle associazioni
artigiane(5), le aziende sono 1.500 ed occupano più di 6.000 addetti. A queste vanno
aggiunte le imprese industriali che hanno la-
boratori propri, e che fanno salire gli occupati a quota 10.000. L’export del settore si
aggira sui 1.100-1.200 miliardi e corrisponde a circa il 50% del fatturato totale. Il “polo” della pelletteria di alta qualità risponde
bene alle esigenze delle griffe. L’attuale organizzazione del lavoro permette alla grande azienda di avere flessibilità e di lavorare
con artigiani di grande capacità.
Proprio la qualità, la flessibilità e l’efficienza
sono i fattori che il sistema è in grado di garantire. Il polo esprime professionalità e competenze tali da potere essere difficilmente ritrovate in un’altra area. Qui sta la sua forza,
anche se le aziende che ne fanno parte, in
realtà, sono abbastanza diverse tra loro: ci
sono quelle che, accanto alla linea commissionata dalla grande firma, conservano produzioni proprie destinate a circuiti commerciali locali o interregionali; altre che, pur lavorando per grandi marchi, cercano di mantenere la propria posizione sul mercato partecipando a fiere e rassegne; altre ancora
che puntano a ricercare grandi committenti
che gli lascino libertà nella progettazione
dei prodotti. E, infine, ci sono le grandi
aziende industriali che hanno produzioni interne (spesso convivono con quelle esterne)
come Prada, che sta per avviare la costruzione di un nuovo stabilimento a Scandicci.
Nel gruppo ristretto di aziende fiorentine
leader quotato in Borsa, c’è la Gucci (le altre sono la Savino del Bene SpA e la Targetti
Sankey SpA). che produce e commercializza
pelletteria, calzature, abbigliamento, orologi, occhiali e profumi. Al gruppo Gucci sono
collegate una serie di società licenziatarie
ed una nutrita rete di subfornitori di cui una
ventina sono ritenuti strategici, localizzati
nell’area fiorentina/toscana. Con i fornitori
ritenuti strategici sono stati formalizzati, a
partire dal 1995-96, dei contratti di partner(5) Fonte: Il Sole 24 Ore, 8 marzo 2000
67
ship particolarmente descrittivi soprattutto rispetto agli impegni di produzione. Ad esempio, vengono messi in evidenza l’esclusività
del rapporto dei fornitori verso la Gucci, un
rapporto finanziario tra la Gucci e i fornitori
e i prezzi.
La Gucci non ha stabilimenti di produzione
diretti. Il 99% della produzione è realizzata
all’esterno. All’interno si sviluppano i modelli
e si producono alcuni campionari. I subfornitori, che l’azienda considera a tutti gli effetti
le proprie unità produttive, sono legati ad essa in maniera molto forte.
Uno dei problemi fondamentali per lo sviluppo del distretto è quello dell’avvio di politiche di formazione. In questa direzione hanno cominciato a lavorare istituzioni e aziende: l’idea è quella di estendere ad un livello
più tecnico i corsi di “Polimoda”, la scuola
pubblico-privata nata nel 1986 che ha dato
notevoli risultati nel campo dello stilismo (tra
cui quello della calzatura) e che può vantare
un tasso di occupazione dell’83%. Sono allo
studio delle integrazioni con il Centro di formazione professionale di San Colombano,
per mettere a punto un’offerta più completa.
LAMPORECCHIO: LE CALZATURE
Il distretto calzaturiero pistoiese riunisce otto
comuni della Valdinievole, uno dei tre sistemi
geografici in cui si suddivide la provincia di
Pistoia.(6)
Il distretto occupa una superficie di circa
172 Kmq (il 18% del territorio provinciale),
ha una popolazione di circa 81.000 abitanti (pari al 31% di quella provinciale), con
una densità di 474 abitanti per Kmq. Nell'area operano 9.100 unità locali (il 34% di
quelle di tutta la provincia), con una densità
imprenditoriale di 112 unità locali ogni
1.000 abitanti. È un'area a forte vocazione
industriale come conferma la quota degli addetti all'industria (circa il 50%). La specializzazione prevalente è quella calzaturiera
che, pur avendo subito una crisi negli ultimi
anni, può contare 650 unità locali. Le azien-
de calzaturiere del distretto sono per il 70%
ditte artigiane e occupano circa 3.900 addetti, con una dimensione media che supera
di poco la quota di 6 addetti per unità locale e un fatturato di 600 miliardi.
Il calzaturiero pistoiese è da sempre ben
proiettato sui mercati internazionali: il volume di export è di circa 300 miliardi di lire (il
12% dell'export regionale del settore) con
direzione prevalente nei paesi dell’Unione
Europea (60%) e negli USA (23%).
Sono molti gli interventi economici programmati a sostegno dell'area: tra questi l'apertura di un centro tecnologico per la diffusione
di procedure informatiche (CAD, CAM) e un
apposito programma europeo “Force” per il
finanziamento di iniziative di formazione
professionale.
Un marchio storico del settore della calzatura, specializzato nella scarpa per bambino,
è quello della Balducci che sta attraversando
un periodo difficile. La sua produzione, interamente destinata al mercato nazionale, è
contraddistinta dall’alta qualità del prodotto
finito. Così come rinomata è la sua rete di
vendita formata di informatori scientifici che
si rivolgono in particolare alle cliniche ortopediche concentrate nella zona che va dall’Emilia Romagna alla Puglia.
Il centro cardine di questo polo calzaturiero,
anche da un punto di vista storico - l'inizio
dell'attività si fa risalire ai primi anni del secolo - è Monsummano: è da questo comune,
infatti, che l'industria delle calzature si è
sparsa nei territori limitrofi con un'ampia diffusione di imprese dalle caratteristiche dimensionali ridotte, per lo più artigianali.
Nella provincia di Pistoia particolare rilevanza assume il florovivaismo, che è il cuore e
l’immagine di Pistoia. Nato nella seconda
metà dell’800, il florovivaismo pistoiese oggi
ha raggiunto delle notevoli dimensioni:
(6) Fonte: elaborazione dati Censis VIII forum sui localismi, 1998
68
1.200 aziende, 7.000 addetti diretti e
4.000 nell’indotto che producono un quarto
dell’intera produzione vivaistica nazionale.
LUCCA: IL CARTARIO
Il distretto cartario di Lucca(7) è composto da
130 imprese tra industriali e artigiane, con
circa 9.500 dipendenti, e 3.400 miliardi di
fatturato, di cui 1.200 realizzati sui mercati
esteri. Produce circa l’80% della carta per
usi domestici e il 30% del cartone ondulato
in Italia.
Tra le imprese leader del distretto ci sono la
Kartogroup, specializzata nella produzione
di carta per uso igienico e domestico, che
ha raggiunto i 350 miliardi di fatturato (più
di 500 miliardi a livello aggregato) nel
1999, con 700 dipendenti, e sta sviluppando una strategia di dimensione europea, acquisendo stabilimenti in Francia e in Spagna; il gruppo Cartiera Lucchese, con 300
miliardi di fatturato e 600 dipendenti, il
gruppo Cartoinvest, con 500 miliardi di fatturato, la AssiDomanPackaging Italia, con
400 miliardi di fatturato.
A fronte del dinamismo che caratterizza gli
imprenditori del distretto, ci sono da rilevare
alcuni problemi che riguardano l’assetto e
l’organizzazione del territorio.
Nella provincia di Lucca la disponibilità di
aree attrezzate è bassa. Le Aziende competono con questo gap negativo, che spinge
imprenditori a trasferire le loro attività in zone più vicine e più agevoli all’insediamento,
talvolta anche fuori dal territorio nazionale.
Altro problema riguarda la viabilità ferroviaria e stradale. Sono più di cento i vagoni
merci che ogni giorno arrivano e ripartono,
alternandosi lungo l’unico binario della linea
ferroviaria per Lucca. Solo negli ultimi due
anni si è dato inizio ai lavori per la realizzazione di tronchetti ferroviari di collegamento
azienda-linea ferroviaria; anche le strade sono inadeguate.
PRATO: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO
L’area del distretto tessile di Prato, oltre al
comune capoluogo, interessa i comuni di
Prato, Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Vaiano, Varnio, Agliana, Montale, Calenzano, Campi Bisenzio,
Quarrata, con una superficie di 700 kmq ed
una popolazione di 300.000 abitanti.
Nel distretto operano 9.000 imprese tessili
(di queste 5.000 sono artigiane), che fatturano in anno circa 8.200 miliardi, con un export di oltre 5.500 miliardi.(8)
Qui opera una delle maggiori concentrazioni di attività tessili d'Europa. Attualmente nel
settore lavorano circa 50.000 addetti, ovvero il 30% della popolazione attiva ed il 60%
degli occupati nell'industria.
Le aziende di Prato sono specializzate nella
produzione di filati per maglieria, tessuti per
abbigliamento, altri articoli tessili (tessuti a
pelo, spalmati, non tessuti) per l'industria
dell'abbigliamento, delle calzature, dell'arredamento e per impieghi tecnici, e coprono
tutte le lavorazioni del settore, dalla finitura
al finissaggio dei tessuti.
Un tratto forte del sistema industriale pratese
è costituito dalle relazioni con i mercati internazionali. Il settore tessile esporta oltre la
metà della sua produzione e intrattiene rapporti commerciali con più di 100 nazioni,
ed in particolare con la Germania (30% dell’export), la Francia (14%), gli USA (10%),
Giappone (10%) e Gran Bretagna (8%).
In particolare, nell’industria tessile sono presenti 6.023 unità locali, con 36.300 addetti; in quella della maglieria 1292 unità con
6.141 addetti; in quella dell’abbigliamento
1.574 unità con 7.955 addetti.
Il sistema è caratterizzato da una presenza
massiccia di micro imprese (da 1 a 9 addetti), con 7.741 unità.
(7) Fonte: elaborazione dati Censis VIII forum dei localismi, 1998
(8) Fonte: Sito Web Unione Industriali di Prato
69
Nelle zone a Sud Ovest della città sono state
progettate e parzialmente realizzate due
grandi aree (circa 400 ettari) per ospitare i
nuovi investimenti produttivi.
L’attività laniera caratterizza l’economia pratese già dal 1200, grazie all’abbondanza
di risorse naturali (fiorente pastorizia, ampia
disponibilità di acqua corrente, etc.) che ne
fa una localizzazione ideale per la produzione del tessile.
Fin dalla sue origini, l’industria tessile pratese si distingue per:
• una marcata tendenza verso la scomposizione dei cicli manifatturieri e la suddivisione delle singole fasi, tra piccole e medie imprese, con la gestione e il coordinamento del processo produttivo affidata alla figura del “mercante-imprenditore”;
• una spiccata proiezione internazionale,
grazie soprattutto ad una fitta rete di mercanti pratesi, che promuovono la commercializzazione dei prodotti locali in Spagna, Fiandre, Inghilterra, Oriente, etc;
• una specializzazione nella produzione di
stoffe di lana ordinarie, di livello qualitativo medio-basso (i “panni bigelli e villaneschi”). Questo posizionamento dei pratesi
era dovuto soprattutto al divieto imposto
dalla vicina e potente Firenze di realizzare, fuori del capoluogo toscano, i prodotti
tessili di più alta qualità, i cosiddetti “panni fini e larghi”. La fama di Prato come
“capitale degli stracci” che per tantissimi
anni connoterà l’immagine dell’industria
tessile locale risale, quindi, addirittura al
XIII/XIV secolo.
Fino ai primi decenni del XX secolo l’industria tessile pratese ha conservato pressoché
immutata questa fisionomia. Solo nel periodo fra le due guerre il sistema muta progressivamente la sua configurazione, a seguito
dell’affermarsi nell’area di imprese di grandi
dimensioni a ciclo verticalmente integrato. A
partire dalla fine degli anni ‘40, tuttavia, il
modello organizzativo subisce una nuova
modifica, a causa di una grave crisi di mercato, che colpisce il distretto e che spinge le
imprese locali ad avviare un processo di
progressiva decomposizione del ciclo produttivo che porta, nel giro di pochi anni, ad
una pressoché totale scomparsa da Prato
delle grandi imprese a ciclo integrato. La
presenza della grande impresa rappresenta
pertanto solo una breve parentesi nella storia dello sviluppo dell’industria tessile paratese. Appena pochi anni dopo la fine della
guerra, il distretto riacquisisce, infatti, la sua
fisionomia tradizionale, con una spiccata
parcellizzazione del processo produttivo,
che si abbina ad una pronunciata specializzazione tecnica delle imprese.
A partire dai primi anni ‘60, il distretto, grazie all’elevata flessibilità che garantisce la
particolare formula organizzativa e sotto
l’impulso del “boom” economico trainato
dalle esportazioni, entra in una fase ciclica
estremamente favorevole, che si interromperà solo a metà degli anni ‘80, dopo aver
mietuto successi in tutto il mondo. Nell’arco
di un trentennio (fra i primi anni ‘50 ed i primi anni ‘80), l’industria tessile pratese conosce, infatti, una fase di sviluppo “estensivo”,
di intensità straordinaria, che porta il numero di addetti da 25.000 a 60.000 unità. La
nascita di una miriade di imprese di piccole
dimensioni, in un primo momento promossa
dai grandi stabilimenti industriali presenti
nell’area, vista l’esigenza di recuperare margini di flessibilità, in una fase successiva si
alimenta in modo spontaneo, grazie all’innato spirito imprenditoriale che caratterizza la
popolazione locale e alla pressoché totale
assenza di barriere all’entrata. Bastava un
capitale minimo per comprarsi, e al limite affittarsi, un macchinario adatto a svolgere
una delle specifiche fasi di lavorazione.
In quel periodo, l’organizzazione produttiva
di Prato è stato additata da molti osservatori
qualificati come un modello da imitare su
scala nazionale. Era il modello del distretto
industriale, del “piccolo è bello” inteso come
un sistema produttivo caratterizzato da pic-
70
cole unità flessibili; pochissime lavorazioni a
ciclo completo, piccoli reparti divisi, meglio
se staccati fra loro in una miriade di società
autonome.
Questo particolare modello organizzativo si
dimostrerà estremamente competitivo fino alla
metà degli anni ‘80 quando, a seguito del calo di domanda di prodotti cardati (allora principale specializzazione dell’industria tessile
locale, mentre oggi rappresenta il 45% della
forza produttiva del distretto), che si registra
sui mercati internazionali, Prato entra in una
fase di crisi. Le trasformazioni tecnologiche e
di mercato portano, infatti, le grandi imprese
operanti nel settore tessile a recuperare ampi
margini di competitività nei confronti dei sistemi di piccola e media impresa. La crisi strutturale del distretto innesca, nella seconda metà
degli anni ‘80, un processo di progressivo riposizionamento delle imprese, che si manifesta soprattutto attraverso un’accentuazione
dei fenomeni di ampliamento e diversificazione della gamma produttiva. Accanto agli articoli cardati vengono introdotti nuove tipologie
di tessuti quali il lino, il cotone, il misto seta/lino, il velluto, la viscosa, il cupro, l’acetato, il
poliestere, i tessuti non tessuti, etc.
A partire dai primi anni ‘90, il distretto pratese è entrato in una nuova fase di sviluppo
espansiva, testimoniata in particolare da un
notevole recupero di competitività che si è
registrato sui mercati internazionali.
Da capitale storica degli “stracci” a centro
di moda: oggi Prato non è solo tessuti e filati
ma anche marchi come Annapurna, Osvaldo Bruni, Sasch, Patrizia Pepe, Franco Rossi.
Prato sforna 3 milioni di metri di tessuto al
giorno, una parte dei quali finisce nei prodotti delle griffe emergenti del distretto, come nelle collezioni dei “big” del settore,
Gucci, Prada, Ferragamo, tutti saldamente
radicati nel territorio.
Un’altra sfida che Prato è intenzionata a giocare è legata all’utilizzo di Internet, nell’ottica del businness to businness. L’idea è quella di dar vita ad un’autostrada telematica
che attraversi l’intera filiera produttiva e alla
quale tutte le aziende possano agganciarsi.
Un fenomeno rilevante è dato dalla massiccia presenza di immigrati, tra cui spiccano i
cinesi, 4.000 lavoratori regolari e una comunità di circa 15.000 persone per la gran
parte insediati nella Chinatown di via Pistoiese e di via Bologna.(9) Questo comporta
una modificazione sostanziale della struttura
sociale della città, anche se per il momento
nella sostanza l’immigrazione è stata ben
accolta. Non ci sono fenomeni evidenti di intolleranza o di rifiuto.
I nuovi immigrati cinesi sono impegnati a
dar vita ad una sorta di secondo distretto industriale nel settore della confezione e della
maglieria: 1.100 aziende, per un valore che
si stima superiore ai 1.000 miliardi(10), fatto
soprattutto (almeno per ora) di lavoro nero,
sfruttamento intensivo della manodopera e
sfuggente alle regole della sicurezza sul lavoro, che ha anche portato a qualche chiusura marginale di attività italiane.
Sul fronte dell’integrazione sociale esiste un
progetto dell’Amministrazione Regionale, e
ci sono ormai rapporti frequenti da parte dei
rappresentanti della comunità cinese con gli
amministratori locali.
QUARRATA: IL MOBILE IMBOTTITO
Altro settore produttivo importante della provincia di Pistoia è quello del mobile imbottito
di Quarrata. A seguito di un forte aumento
della concorrenza (derivante soprattutto dall’aggressività commerciale e produttiva dimostrata da Natuzzi e dagli altri produttori
del “triangolo del divano” materano-barese),
le imprese pistoiesi sono impegnate nel rinnovare i prodotti (con il supporto della scuola di design di Barcellona), senza dimenticare la tradizione, rappresentata dall’imbottito
con legno a vista.
(9) Fonte: Il Sole 24 Ore., 27 luglio 2000
(10) Fonte: id., 19 aprile 2000
71
La diversificazione produttiva passa attraverso la riduzione del legno utilizzato per divani e poltrone e la creazione di forme più moderne. Il distretto di Quarrata conta circa
800 aziende in gran parte artigiane (con
3.600 addetti) per un fatturato che si aggira
sugli 800 miliardi (per un 30% realizzato
con l’export).(11)
Per dare visibilità al distretto e promuoverlo
sui nuovi mercati è nata da poco l’Agenzia
per il mobile imbottito, società a maggioranza privata che riunisce consorzi, aziende ed
enti pubblici. Inoltre, il Comune di Quarrata
ha promosso la realizzazione di un museo
del mobile, con più di mille modelli che ripercorrono la storia del design dal 1918 ad
oggi. Quarrata ne è stata protagonista,
avendo ospitato le più importanti esperienze
degli anni ‘60 e ‘70, da Sottsass a Gae Aulenti, da Michelucci a Portoghesi.
Il distretto ha origine negli anni ’60 e deve
la sua fama a Lenzi, che è stato il padre del
mobile pistoiese: in quegli anni la sua azienda occupava più di 900 dipendenti ed era
la più grande del settore a ciclo completo in
Italia. Dalla Lenzi sono usciti gli artigiani che
hanno fondato le oltre 800 aziende che oggi animano il distretto.
SANTA CROCE SULL’ARNO: IL CONCIARIO
Il distretto conciario di Santa Croce sull'Arno
comprende i comuni di Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d'Arno, San Miniato, Santa Croce sull'Arno e Santa Maria
a Monte in provincia di Pisa e Fucecchio, in
provincia di Firenze. Si estende su una superficie territoriale di 330,44 Kmq. con una
popolazione residente di circa 94.000 abitanti. La popolazione attiva, che comprende
gli occupati, i disoccupati e i giovani in cerca di prima occupazione, è di 44.000 abitanti.
La specializzazione produttiva del distretto è
rappresentata dalle industrie delle pelli e del
cuoio e delle calzature, che occupano l'82%
del totale degli addetti nelle attività manifatturiere. Il distretto comprende circa 400 concerie e 400 aziende che lavorano per conto
terzi; il comprensorio è formato da piccole e
medie imprese e dall’artigianato, gli occupati nella produzione conciaria sono circa
10.000.
Le aziende conciarie realizzano il 98% della
produzione nazionale di cuoio da suola e il
35% della produzione nazionale di pelli per
calzature, pelletteria e abbigliamento. Il giro
d’affari complessivo delle aziende è di circa
3.500 miliardi di lire, realizzato per il 60%
sul mercato interno e per il 40% all’estero.
La metà delle esportazioni è destinata all’Unione Europea. I clienti del sistema conciario
toscano sono per il 70% nel settore calzaturiero, il 15% è assorbito dalla pelletteria, il
10% dall’abbigliamento e il restante 5% dall’arredamento e da altre produzioni.(12)
Osservando i dati relativi alle dimensioni per
numero di addetti delle unità locali del settore prevalente risulta evidente la netta predominanza della piccola impresa, se non della
microimpresa.
I rapporti con i mercati esteri (America e
Paesi della Unione Europea) sono favoriti
dalla presenza di una rete viaria inserita nelle direttrici internazionali e dalla vicinanza,
da un lato dell'aeroporto internazionale di
Pisa e dall'altro dal porto di Livorno.
Particolare attenzione viene dedicata da
tempo ai problemi dell'ambiente: l'area è
munita di idonei depuratori; sono state installate delle centraline di monitoraggio dell’inquinamento acustico; sono in atto progetti destinati allo smaltimento dei fanghi conciari prodotti dagli impianti di depurazione
(che hanno ottenuto anche finanziamenti comunitari), con un investimento di decine di
miliardi, per la loro trasformazione e riutilizzazione.
(11) Fonte: dati Istat, 1996
(12) Fonte: Il Sole 24 Ore, 26 marzo 2000
72
Negli ultimi anni, i consumi sono calati in tutto il Sud-Est asiatico, e in particolare ad
Hong Kong dove era diretto il 20% dell’export del distretto. Risultano in calo anche
Medio Oriente e Sudafrica, mentre hanno
retto Stati Uniti e Inghilterra.
A soffrire di più sono le aziende (soprattutto
quelle piccole) specializzate nella lavorazione delle pelli, che denunciano cali produttivi.
Va meglio per il comparto del cuoio da suola, meno legato alle tendenze della moda, e
per i pellami conciati al vegetale, dove le
contrazioni di produzione e fatturato si fermano al 3-4%. I gruppi più grandi e strutturati hanno retto meglio, riuscendo a diversificare le esportazioni (puntando su Stati Uniti,
Est Europa e Nord Africa).
I gruppi sono una minoranza, ma i 10 più
importanti rappresentano il 40-50% della
produzione totale del distretto e sono delle
vere e proprie costellazioni di imprese collegate tra loro anche sul piano delle partecipazioni finanziarie e societarie. Il distretto è
un forte collante che crea energie e sinergie,
ma i rapporti interni tra le imprese committenti e quelle contoterziste si stanno modificando. Sino a pochi anni fa il conto terzi
era una naturale continuazione della conceria. Oggi, le imprese maggiori hanno deciso
di verticalizzare la produzione, riportando
in azienda molte fasi della produzione. I motivi sono i costi del contoterzismo, diventati
più alti, e la necessità di un maggiore controllo sulla qualità.
Nel distretto conciario di Santa Croce e Ponte a Egola c’è un forte tessuto di aziende
che hanno una impostazione analoga. Questa è la ricchezza del territorio perché favorisce la crescita della singola azienda attraverso il continuo interscambio culturale/imprenditoriale, la comunicazione sulle innovazioni.
La necessità, inoltre, di dover fare fronte a
elevati investimenti per lo smaltimento rifiuti,
la deputazione delle acque, il rispetto ambientale, etc., compatta le diverse aziende,
creando una forte coesione. L’area di Santa
Croce sull’Arno gode perciò di queste fitte
trame di rapporti tra imprese, che costituiscono la linfa vitale sia della singola azienda
che di tutta l’area.
Il rilancio del polo del cuoio è affidato anche all’innovazione e alla ricerca avanzata
sui materiali, come nel caso del progetto
“Dresswear”, in grado di rivoluzionare alcune applicazioni dei prodotti conciari, in settori come l’auto, le calzature e perfino nello
sport, e nel quale sono coinvolti l’Università
di Pisa, il Centro ricerche della Fiat e perfino
alcuni ingegneri della Ferrari. L’idea è di
mettere a punto un tipo di pelle in grado di
riconoscere i corpi con cui viene a contatto.
L’utilizzo più immediato riguarda i rivestimenti per i sedili delle automobili: il materiale, sensorizzato attraverso l’impiego di polimeri, trasmette le informazioni a un software
che adegua automaticamente le funzioni di
comfort e di sicurezza della ventura. La “pelle intelligente” può inoltre trovare un utilizzo
importante nel settore delle calzature e dell’abbigliamento, con probabili applicazioni
di tipo sportivo e medico curativo, come una
scarpa capace di dare indicazioni sulla salute del piede.
Nel distretto conciario non si registrano rilevanti fenomeni di delocalizzazione produttiva. Finora, alcuni episodi hanno interessato
solo alcuni segmenti del ciclo produttivo.
Nell’area del distretto di Santa Croce e Ponte a Egola, a fianco del settore conciario, è
presente anche l’attività produttiva legata al
calzaturificio e alla pelletteria, che assume
una grande importanza soprattutto nel territorio dei comuni di Castelfranco e di Fucecchio.
Il calzaturiero è il secondo insediamento produttivo forte della zona. La produzione di
questo polo riguarda principalmente le scarpe da donna della fascia medio-fine, fine, e
i sandali. Nel distretto locale sono in attività
circa 600 aziende, per quasi la metà artigiane (200 i calzaturifici in senso stretto,
73
400 gli accessoristi). Il fatturato complessivo
è stimato in 750 miliardi di lire (solo per il
prodotto finito), mentre l’export (che si riferisce al 70% di quanto prodotto) ha toccato i
500 miliardi di lire.
SESTO FIORENTINO: LA CERAMICA
Il comune di Sesto Fiorentino si estende su
una superficie di 49,03 kmq con una popolazione di circa 47.000 abitanti ed una densità abitativa di circa 960 ab/kmq.(13)
La produzione di ceramica e di porcellana a
Sesto Fiorentino ha origini molto antiche e
può essere fatta risalire alla iniziativa del marchese Ginori, che nel 1737 fondò la “Manifattura Ginori”. Particolare rilevanza assume
l’istituzione, nel 1873 della “Scuola di disegno industriale”, creata dalla Ginori per poter
disporre di manodopera specializzata “in loco”, e che poi ha contribuito alla formazione
di un tessuto di aziende artigiane.
Già all’inizio degli anni ’50 attorno alla Richard – Ginori operavano altre aziende legate alla produzione dei manufatti in ceramica: il proliferare di piccole e piccolissime
imprese è reso evidente dal confronto tra i
dati del censimento del 1951 e 1961: nel
corso del decennio il numero delle unità locali è passato da 86 a 169. Anche in questo fenomeno notevole rilevanza ha avuto la
presenza e l’attività della Richard – Ginori
che proprio in quegli anni aveva ridimensionato la propria struttura occupazionale immettendo sul mercato del lavoro persone
qualificate nel campo della produzione ceramica.
Il processo di diversificazione produttiva avvenuta negli anni’60 porta ad un ridimensionamento di quello che, solo fino al decennio
precedente, era considerato il settore trainante dell’intera economia sestese: studi già
svolti sull’attività delle imprese ceramiche di
Sesto rilevano nel corso di questo periodo la
nascita di molte nuove imprese.
Gli anni ’70 sono contrassegnati da una sostanziale stazionarietà del settore, anche se
l’assetto economico complessivo assume una
conformazione diversa da quella del decennio precedente: si assiste, infatti, al ridimensionamento delle imprese di maggior dimensione e alla crescita del numero delle aziende di piccole e piccolissime dimensioni.
I problemi che il distretto si trova ad affrontare oggi sono legati principalmente alla
esportazione ed al coincidente peso assunto
dalla concorrenza di produttori esteri.
Negli ultimi anni, come già verificato negli
altri contesti territoriali, si sono fatti sentire in
modo costante i problemi relativi:
• all’incremento dei costi e ad una loro necessità di contenimento;
• crisi generale dell’economia, che provoca
un maggior controllo da parte del mercato finale del prodotto;
• rapporto qualità – prezzo;
• concorrenza di altri paesi produttori che,
come il Giappone o la Cina, possono
realizzare a costi contenuti articoli a prezzi inferiori.
Soprattutto ora che ci si trova ad operare in
un mercato interno più ristretto e in uno scenario internazionale fatto di molte nuove
frontiere, la riqualificazione dell’artigianato
passa attraverso un recupero di identità progettuale e produttiva che consenta agli imprenditori artigiani di differenziarsi all’interno della loro area culturale e conquistare
segmenti vecchi e nuovi di consumatori ed
estimatori.
La tipologia di prodotto prevalente nel contesto sestese è quella della produzione di articoli da regalo, di oggetti d’uso e per l’arredamento.
Per quanto riguarda le tipologie, la produzione è tuttora influenzata dalla presenza
della Richard – Ginori; molte delle piccole
aziende sestesi ispirano la propria attività ai
modelli studiati e realizzati dalla più grossa
(13) Fonte: dati Istat, 1996
74
azienda del settore, anche se è facile comprendere le differenze qualitative che spesso
caratterizzano i due tipi di produzione, differenze riconducibili a fattori legati alle diverse possibilità finanziarie, tecnologiche, di ricerca, di marketing.
Nella zona dell’Osmannoro si sono concentrate la maggior parte delle industrie medie
e medio grandi provenienti da Firenze, mentre, a parte qualche insediamento "storico",
all’interno del centro storico del comune si
sono mantenute e sviluppate attività tradizionali delle piccole e piccolissime industrie.
La caratteristica preponderante dell’attuale
evoluzione di tutto il sistema economico sestese è quella di una espansione del "modello della ceramica" agli altri settori tradizionali che si allargano seguendo direttrici e linee di sviluppo di un sistema ormai consolidato, diffondendone la struttura produttiva e
insediativa.
SIENA: IL CRISTALLO, L’AUTOCARAVAN E I MOBILI
Tra i settori manifatturieri di maggiore rilevanza del territorio della provincia di Siena
vanno segnalati quelli del cristallo, dei camper e del mobile.(14)
Il cristallo “made in Italy” ha in Colle Val
d’Elsa la sua capitale, infatti, qui si realizza
il 95% della produzione nazionale. Quasi la
metà del cristallo di Colle è venduto all’estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa. Il
polo produttivo senese, con oltre 200 miliardi di giro d’affari nel ‘98 e 1.500 addetti, è
trainato dalla Calp (Cristalleria artistica La
Piana), quotata alla Borsa di Milano, leader
nel cristallo da tavola e da regalo con il
60% del mercato italiano e il 12% di quello
mondiale. Da sola la Calp fattura più di due
terzi del distretto. 162 miliardi nel ‘97, per il
67% realizzati sui mercati esteri. Per rafforzare il proprio posizionamento competitivo
sui mercati internazionali, i produttori di Colle Val d’Elsa hanno deciso di giocare la carta del marchio di qualità.
Per quanto riguarda la produzione di camper, è importante sottolineare che questo
comparto è assolutamente vitale e, non a caso, è stato oggetto di attenzioni da parte di
capitali stranieri. L’80% dei camper prodotti
in Italia, infatti, arriva da una piccola zona
compresa tra la Val di Pesa e la Val d’Elsa
(San Giminiano, Poggibonsi e Barberino Valdelsa), a cavallo tra le province di Siena e
Firenze.
Qui, sono localizzate alcune imprese leader
come la Caravans International e la Mobilvetta Design, intorno alle quali ruotano molte
piccole imprese di artigiani, falegnami, lucidatori e verniciatori (vedi sotto).
Il polo toscano dell’autocaravan, che ha un
giro d’affari di oltre 400 miliardi (più del
40% è realizzato all’estero) e 700 dipendenti, punta a rafforzarsi ancora sui mercati
esteri, soprattutto in Germania, Francia e
Gran Bretagna. Per questo le aziende del distretto sono in pieno fermento, alle prese con
nuovi investimenti e nuove alleanze. In testa
la Caravans International, leader italiana
nella produzione di camper con 140 miliardi di fatturato e 250 dipendenti, controllata
dalla banca d’affari Schroders, che nel
1998 ha acquisito l’attività e i marchi dell’Auto Trail Ltd., un’azienda inglese che produce camper e roulotte. Si muovono anche
Mobilvetta Design (oltre 100 miliardi di giro
d’affari nel 1999 per il 40% realizzato all’estero) e Laika (ricavi per oltre 100 miliardi
nel ‘99, per il 40% dovuti all’export), che
hanno aperto nuovi stabilimenti. Lo stabilimento Mobilvetta, entrato in funzione a settembre del 1998 ha permesso un aumento
della produzione del 40%, oltre ad un incremento del personale (del 25-30%) e del fatturato.
Anche la produzione del mobile vanta una
lunga tradizione in questa area. Al posto
(14) Fonte: dati Istat, 1996
75
delle grandi aziende che esistevano 30 anni
fa, nell’Alta Valdelsa - che abbraccia Poggibonsi, Colle, San Giminiano, Casole (tutti in
provincia di Siena) e Beberino (in provincia
di Firenze) - sono spuntate piccole imprese
con 10-15 addetti. La riduzione delle dimensioni aziendali è il fenomeno più evidente
degli ultimi anni. Oggi, il polo senese/fiorentino del mobile conta circa 300 imprese
in gran parte artigianali, che fatturano poco
più di 200 miliardi ed esportano meno del
10%. Le cucine sono sempre il punto di forza, ma accanto a queste produzioni (per lo
più realizzate assemblando componenti acquistati da grandi aziende del Nord d’Italia)
si è sviluppata la produzione di arredamento
per autocaravan, incentivata dalla vicinanza
del distretto industriale.
VIAREGGIO E LA VERSILIA: LA CANTIERISTICA
La Versilia è composta da sette Comuni: Viareggio, Camaiore, Forte dei Marmi, Massarosa, Pietrasanta, Seravezza e Stazzema,
per un totale di 160.000. L’economia è legata al “sistema-mare”, cioè a quella grande risorsa che mette insieme chilometri di
spiagge, il porto, la cantieristica, la pesca,
la navigazione da diporto, il turismo e l’ambiente.
Nel settore della cantieristica nautica opera
un’azienda, la Perini-Picchiotti, che è leader
mondiale nella produzione di barche a vela
che sfruttano al massimo le novità tecnologiche.
La nautica vede sviluppata anche una attività
artigianale di rilievo. Su 350 aziende che
operano, 1/3 sono artigianali, mentre le
aziende di medie dimensioni sono solo sei.
Proprio il fortissimo indotto, costituito da una
fitta rete di subfornitori artigiani che assicura
qualità e flessibilità, rappresenta il “segreto”
dei cantieri di Viareggio. Artigiani specializzati in arredi navali, impianti elettrici, dotazioni di sicurezza, accessori e strumenti di
bordo sono al servizio dell’industria delle co-
struzioni e riparazioni navali, pronti a favorirne l’espansione. Tecnomarine (30 miliardi
di fatturato per l’80% all’export), specializzato nella produzione di panfili a motore fino a 36 metri, ha una trentina di dipendenti
diretti e ben 120 indiretti. Ci si affida a ditte
specializzate per realizzare soluzioni “su misura” e soddisfare le esigenze particolari del
mercato.
Nel settore nautico opera anche la SEC (Società Esercizio Cantieri), che ha insediamenti anche a La Spezia e a Livorno; altra azienda importante è il gruppo Azimut-Benetti
(225 miliardi di fatturato nel 1998, con 340
dipendenti occupati negli stabilimenti di Viareggio e Torino) leader nella produzione di
motor yacht da 12 a 70 metri. Negli ultimi
anni, l’export della cantieristica viareggina è
cresciuto a ritmo sostenuto (+37% nel ‘97),
fino ad assorbire l’85% del giro d’affari:
ben 385 miliardi sui 450 realizzati.(15)
(15) Fonte: dati Istat, 1996
76
CASTELFIDARDO: GLI STRUMENTI
MUSICALI
a origine nella seconda metà dell'ottocento la vocazione produttiva incentrata sugli strumenti musicali che interessa un'area
tra le province di Ancona e Macerata e, oltre a Castelfidardo (luogo storico di insediamento delle prime imprese del settore), comprende comuni come Recanati, Osimo, Camerano, Loreto, Sirolo e altri.
Il prodotto-simbolo di quest'area è stato a
lungo la fisarmonica, in cui le aziende locali
sono state leader a livello mondiale, seguita
poi da chitarre, organi, pianoforti, strumenti
a fiato e a percussione. L'avvento dell'elettronica ha modificato radicalmente il panorama produttivo di questo settore, causando
profondi processi di ristrutturazione nel tessuto produttivo locale, che hanno portato le
aziende dell'area ad una maggiore attenzione ai fattori legati non solo all'introduzione
delle nuove tecnologie, ma anche alle modalità gestionali ed organizzate ed alla commercializzazione.
Le aziende del comparto, comprese quelle
dell'indotto, sono oggi circa 400 con poco
più di 3000 addetti, e la ancora elevata capacità di presenza sui mercati esteri è testimoniata dal fatto che una quota del 50%
della produzione è destinata all'export.(1)
H
MARCHE
FERMO: LE CALZATURE
Il distretto(2) comprende 66 comuni a cavallo
delle Province di Macerata e Ascoli Piceno
Il settore calzaturiero conta 4.060 imprese
di cui 3.927 artigiane in cui lavorano
32.000 addetti. Il fatturato raggiunge i
3.000 miliardi e il 65% della produzione è
destinata all’export.
La parte più consistente dell’attività di fabbricazione di calzature è orientata verso un
prodotto collocabile nella fascia di mercato
medio-alta e destinata, per quanto riguarda
l’utente finale, alla donna.
Il grosso dell’imprenditoria locale è formato
(1) Fonte: dati ISTAT, 1996 Sito web Ministero dell’Industria: “La
guida panoramica dell’economia italiana. Un viaggio nel made in
Italy”
(2) Fonte: Ricerca Provincia di Macerata, Associazioni di categoria in Il Sole 24 Ore, 16 giugno 2000
77
di piccoli imprenditori che fino a pochi anni
prima erano operai e l’81.3% delle imprese
locali ha meno di 9 dipendenti. Ci sono i
calzaturifici con marchio proprio e quelli
senza marchio (i cosiddetti façonisti), ma soprattutto c’è la miriade di imprese subfornitrici che formano l’indotto: i suolifici, le trinciature di pelli, le orlatrici di tomaie, etc. Il comprensorio del Fermano ha consolidato negli
anni un forte senso di appartenenza locale
che si è tradotta in un peculiare modello di
relazioni sociali e produttive (spiccata propensione al lavoro autonomo, diffusa e specializzata professionalizzazione produttiva,
elevata interazione tra i soggetti locali, etc.).
L’azienda leader della zona è la Ema di Diego Della Valle (marchio Tod’s e Hogan, con
700 dipendenti e 300 miliardi di fatturato)
che ha la sua sede a Casette d’Ete. Per un
gruppo come quello di Della Valle è decisivo
poter disporre di manodopera altamente
qualificata, ma anche impianti molto flessibili, capaci di assecondare il mercato sia nei
volumi che nei cambiamenti di gusto. Per
questo l’azienda è strutturata su stabilimenti
satellite a controllo diretto. Un altro gruppo
importante è quello controllato dalla famiglia
Renzi, che è composto dal calzaturificio Annabella e dalle società High Line, Nuova
Creuser e Creuport (500 addetti) che produce oltre 3 milioni di paia di scarpe l’anno (si
tratta di calzature da uomo che si collocano
in una fascia di prezzo media) per un fatturato di oltre 150 miliardi. Il 90% dei ricavi
proviene da vendite oltrefrontiera (Francia,
Svizzera, Germania e Medio Oriente).
I façonisti producono scarpe che poi vanno
sul mercato con un nome più celebre. Non si
tratta di puro terzismo perché questi produttori non si limitano a fare questa o quella
parte della scarpa, ma la producono tutta intera per conto di nomi commercialmente affermati come Magli, Ferragamo, Prada, Timberland, etc. Tutte le grandi aziende di calzature di lusso ricorrono a questo sistema
per sostenere la domanda.
Essere “grandi” qui significa fatturare 100
miliardi all’anno e, quindi, oltre ad una
grande flessibilità del lavoro (ricorso agli
straordinari, al lavoro il sabato, al lavoro a
domicilio, etc.), da sempre esiste una grande flessibilità dell’impresa capace di riconvertirsi da un anno all’altro o di assicurare
una commessa in tempi rapidi.
La forza del distretto fermano sta nella capacità di concentrare tutti gli sforzi produttivi in
determinati periodi dell’anno (soprattutto tra
maggio e fine agosto) in una gigantesca e
collettiva corsa alla consegna. La flessibilità
sia interna alla fabbrica che nel sistema delle imprese è considerata una necessità perché le scarpe sono un prodotto legato all’andamento della moda.
Nel comprensorio di Fermo, piccole e grandi imprese, si scontrano con il solito problema di altri distretti industriali: la mancanza
di manodopera specializzata. E qui tutto è
più complicato perché fare una scarpa è un
lavoro ancora molto manuale in quanto l’innovazione tecnologica non riduce l’intervento dell’operaio e in alcune lavorazioni come
l’orlatura delle tomaie l’incidenza della forza
lavoro arriva anche al 90-95%. Il risultato è
che il personale adesso è molto anziano e
non c’è ricambio generazionale nei posti
chiave delle lavorazioni, con il rischio di perdere profili professionali indispensabili.
MONTEFELTRO: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO
Il distretto del Montefeltro(3) può essere definito come una “jeans valley”. Una quarantina
di stabilimenti producono, lavano, stirano e
commercializzano milioni di jeans ogni anno per marche come Moschino, Swish, Coveri, Trussardi, Avirex, Benetton, NafNaf e
Banana Republic. Si tratta di imprenditori
terzisti che lavorano su commessa. Le azien(3) Fonte: Il Sole 24 Ore, 20 dicembre 2000
78
de locali formano una vera e propria catena
di montaggio del jeans. La specializzazione
permette di ridurre i costi e impone i servizi
delle aziende metaurensi anche in altre zone
d’Italia. La ricerca e la progettazione sono
seguite da aziende come la Promostudio che
lavora anche per Max Mara e Superga. Per
l’informatizzazione il punto di riferimento è
la Informatica e Computer di Urbania che ha
realizzato anche le linee di produzione di
Benetton e Diesel. Altre aziende si occupano
dei macchinari come la Si.Bro.Tek. E non
mancano le aziende specializzate esclusivamente nel lavaggio di jeans con la sabbiatura a base di quarzo che dà il famoso effetto
Denim, come la Leontex di Peglio (8 milioni
di capi lavati nel solo 1994, per clienti come Levi’s, Replay, Carrera, Versace, e Trussardi). Alla coda della catena ci sono una
decina di stirerie che arrivano a lavorare 3
mila capi al giorno ciascuna, mentre a collocare il prodotto jeans metaurense pensano le
società di brokeraggio milanesi specializzate nel procurare clienti all’estero. E’ forse
proprio questo l’anello debole della catena:
la promozione del prodotto. Per riuscire ad
imporre la valle del Metauro e il suo jeans è
stato recentemente costituito il Consorzio Prometea.
Dal 1990 ad oggi i fatturati delle 40 aziende del settore sono raddoppiati e la valle dei
jeans è ormai un piccolo distretto industriale
da 400 miliardi di fatturato. La ricetta di
questo successo sembra essere quella della
qualità del prodotto. I profitti sono stati investiti nell’informazione e nell’innovazione tecnologica e il risultato è stato un jeans diverso
dal solito, morbido come il velluto.
Il gruppo maggiore è la Incom di Urbania,
70 miliardi di fatturato in tutto, che produce
buona parte della collezione Swish e Prenatal e molti capi per Cerruti e NafNaf. La storia della Incom può essere presa a modello
di quella di tante altre che hanno seguito le
sue orme. Nel 1975 l’azienda aveva solo
un committente e il fatturato era di 5 miliardi. Poi, l’arrivo di un vero manager come
Renzo Iacobucci, impresse una svolta all’a-
zienda. La svalutazione della lira ha fatto il
resto e il fatturato è esploso. Nel 1993 era
di 40 miliardi, di cui il 70% all’estero. Oggi,
il gruppo tra Incom e Durango, acquistata
nel 1993, fattura 70 miliardi e vende il 70%
del suo prodotto in Italia.
Altre aziende di rilievo sono la Ideal Blue,
con 22 miliardi di fatturato realizzati in buona parte grazie ai marchi propri Jackeroo e
Forrestal; la Blue Line che fattura 45 miliardi
producendo il casual wear di Banana Republic e Fiorucci; la Italian Fashion di Urbania
(15 miliardi di fatturato) che sta lanciando in
questi mesi il suo marchio Bull’s Eye in Italia;
e la Ambra di Sant’Angelo in Vado che lavora per Piero Guidi, Moschino, Armani e Zegna totalizzando 20 miliardi di fatturato.
I passaggi della storia delle medie aziende
del Montefeltro sono più o meno gli stessi:
prima façonisti con un solo committente, poi
terziste per più committenti. In crisi alla fine
degli anni ‘80, superata grazie al miglioramento qualitativo e la boom delle esportazioni. L’ultima fase è segnata da un ripiegamento sul mercato interno e dal lancio di
marchi propri.
PESARO: IL MOBILE
La Provincia di Pesaro e Urbino si sviluppa
su un territorio di 2893 Kmq nella parte
nord delle Marche; comprende 67 comuni
con una popolazione complessiva di circa
336.000 abitanti. In questa zona è localizzato uno dei più importanti distretti del mobile del Paese
I comuni che rientrano nel distretto sono
quelli di Montelabbate, Corboraldo,
Sant’Angelo in Lizzola e Pesaro.
Le aziende che costituiscono il distretto(4) sono 1.380, di cui 500 producono mobili “fi(4) Fonte: elaborazione su dati CENSIS, VIII Forum sui localismi,
1998
79
niti”; considerando anche gli altri componenti della filiera del mobile (macchine per la lavorazione del legno, produttori di semilavorati, seconda lavorazione del vetro, arredamento per uffici e negozi) si arriva alla cifra
di oltre 2.000.
Complessivamente gli addetti sono oltre
10.000 (compresi anche gli addetti alla produzione di macchine per la lavorazione del
legno, di componenti in vetro o marmo per il
mobile che incidono per circa un 15% del
totale.
Il fatturato è stimato in circa 2.520 miliardi,
con un export di circa 800 miliardi ed ha
come principali mercati di sbocco i Paesi
dell’Unione Europea (45%), l’area del Medio Oriente (30%), gli USA (10%), l’America
del Sud, i Paesi dell’Est Europa (10%), l’Estremo Oriente (5%).
Negli ultimi 20 anni l'economia pesarese ha
conosciuto tassi di sviluppo molto elevati,
principalmente nel settore manifatturiero e
nel terziario produttivo.
L'area-sistema pesarese risulta articolata in
circa 500 unità produttive di tipo industriale,
integrate da più di 700 aziende artigiane
che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono un'attività di "servizio"
all'industria del mobile, producendo parti e
accessori d'arredamento o "coprendo" alcune fasi del ciclo produttivo.
Il distretto del mobile è l’asse portante dello
sviluppo economico della provincia di Pesaro ed è uno dei sistemi produttivi locali meglio conosciuti in Italia ( è uno dei tre principali distretti del mobile in Italia, insieme
alla Brianza e al Veneto). La sua origine risale alla fine degli anni ‘40, quando dal
contesto agrario mezzadrile locale, prendono avvio le prime esperienze produttive del
settore.
Le caratteristiche tecniche dell’attività produttiva mobiliera, da una parte, e una situazione congiunturale favorevole (rappresentata
da una domanda di fascia non elevata in rapida evoluzione), dall’altra, hanno favorito
una crescita sostenuta ed ininterrotta del distretto fino ai primi anni ‘70. Successivamen-
te si è verificato un processo di decentramento spinto delle lavorazioni, che ha dato origine ad un terzismo specializzato su singole
fasi o lavorazioni che viene definito “libero”
in virtù delle caratteristiche di pluricommittenza che fin dall’origine presenta e che è una
delle principali peculiarità del distretto pesarese.
A partire dagli anni ‘80, il distretto entra in
una fase di prima “internazionalizzazione”,
caratterizzata dall’apertura verso i mercati
del Medio Oriente.
Oggi, il distretto pesarese è caratterizzato
dalla compresenza di due realtà distinte, dal
punto di vista produttivo, organizzativo e
strategico e di posizionamento sul mercato.
Da una parte, ci sono alcune grandi aziende leader, che operano nel comparto cuciniero (4 o 5 in tutto) e, dall’altra, una miriade di piccole e piccolissime imprese (sia cuciniere che mobiliere), prevalentemente terziste, che rappresentano il 90-95% delle
aziende del distretto. Le differenze tra queste
due realtà sono tali da identificarle effettivamente come due mondi a parte, che seguono logiche di sviluppo e politiche d’azione
completamente diverse:
• le grandi imprese - come Scavolini, Berloni e Febal - sono dei produttori molto integrati che hanno costruito nel tempo un sistema di accordi strutturali con poche
aziende terziste, selezionate sulla base di
criteri qualitativi e fiduciari (modello gerarchico-strutturale). La Scavolini, ad
esempio, ha fatturato oltre 170 miliardi
nel 1995 con circa 300 dipendenti diretti, mentre altri 2.000 addetti lavorano per
lei come indotto; la Febal ha fatturato 80
miliardi nel 1995 con 220 diretti e altri
1.500-2.000 nell’indotto; la Berloni ha
fatturato 95 miliardi nel 1995, ma ha anche uno stabilimento in Turchia, una società per il montaggio e la commercializzazione in Venezuela e inaugurerà tra po-
80
co un nuovo impianto a Giakarta, in Indonesia; nuove aziende partiranno poi in
Cina e a Taiwan, dopo le joint-venture firmate di recente con soci locali. Queste
imprese realizzano prodotti di alta qualità
i cui punti di forza sono la varietà della
gamma, l’immagine ed il marchio, oltre
ad un pieno controllo della distribuzione.
In particolare, per quest’ultimo aspetto si
differenziano da tutte le altre tipologie
d’impresa presenti nel distretto;
• le altre aziende costituiscono la trama
produttiva tipica del distretto, in quanto ricorrono in maniera molto consistente al
decentramento produttivo, che garantendo loro un’elevata flessibilità, rappresenta
il fattore critico di successo per l’area. Le
aziende di questo gruppo hanno con i loro terzisti un rapporto sostanzialmente paritario, prevalentemente di tipo contrattuale e negoziale, che in qualche caso assume caratteristiche di dipendenza e subordinazione, di fronte ai terzisti più strutturati. Si può parlare di un modello d’area sistema integrata per definire questa realtà
imprenditoriale che, pur rimanendo segnata da accesi individualismi, si avvicina fortemente a un modello di “holding”
di area. Questa area sistema integrata risulta articolata in circa 500 unità produttive di tipo industriale, integrate da più di
700 aziende artigiane che, oltre a dedicarsi alla creazione di prodotti finiti, svolgono un’attività di “servizio” all’industria
del mobile, producendo parti e accessori
d’arredamento o “coprendo” alcune fasi
del ciclo produttivo.
In questo contesto, in termini di dinamiche
evolutive, il fenomeno più significativo sembra rappresentato dalla tendenza manifestata da parte di alcune imprese, di media o
piccola dimensione, sia in conto proprio, si
terziste, di reagire all’eccessiva frammentazione del processo produttivo (nata per l’esigenza di contenere i costi), per recuperare il
controllo del prodotto, attraverso la reinternalizzazione di alcune fasi lavorative. Questa politica trova ragione alla luce dei cam-
biamenti che stanno interessando la domanda (la forte contrazione dei consumi interni
combinata con il forte aumento dei prezzi
del legno) ed i rapporti tra le aziende operanti nel settore mobiliero, in chiave soprattutto di fattori critici di successo (oltre al costo e alla qualità anche il rispetto di standard e normative certificabili, i tempi di consegna). Queste dinamiche potrebbero delineare, se accompagnate anche dall’affermarsi di una organizzazione distributiva del
prodotto più concentrata, un progressivo
spostamento del distretto pesarese verso un
modello di possibile gerarchizzazione perseguita attraverso una crescita per linee prevalentemente interne.
SAN BENEDETTO DEL TRONTO: L’AGRO ALIMENTARE
Il distretto agroalimentare di S. Benedetto
del Tronto(5) è concentrato nelle valli del Tronto e del Tesino, che comprende 13 comuni:
Acquaviva Picena, Castignano, Cossignano,
Grottammare, Monsampolo del Tronto, Montalto delle Marche, Montedinove, Montelparo, Monteprandone, Offida, Ripatransone,
Rotella, San Benedetto del Tronto.
La zona, con un territorio di 378 kmq, conta
94.000 abitanti e ha una densità di 248
abitanti per kmq.
Il comparto agroalimentare in tale area conta 237 imprese, 279 unità locali e 1.317
addetti.
Il settore agroalimentare, a livello provinciale, conta 745 imprese e 876 unità locali in
cui lavorano 3.500 addetti.
Le più importanti produzioni del settore sono:
• lavorazione e conservazione del pesce
(circa 30 imprese con 700 addetti);
(5) Fonte: Il Sole 24 Ore, dicembre 2000
81
• lavorazione e conservazione di frutta e
ortaggi (11 imprese con 570 addetti);
• produzione di bevande con specifico riferimento ai vini (31 imprese con 240 addetti).
Interessanti risultano anche alcune produzioni tipiche locali: produzione di olive verdi,
confezionamento di olive farcite, produzione
di paste alimentari di qualità e di salumi e
formaggi.
Il valore della produzione riferita al solo settore della trasformazione (alimentari di base
più surgelati) è stimato in 830 miliardi, di
cui 320 relativi alle aziende di surgelati. Il
settore della surgelazione, tra l’altro, ha un
notevole peso a livello nazionale: la quota
di mercato delle aziende locali è pari al
19% circa. Inoltre, nell’area viene prodotto il
70% dei prodotti surgelati ittici e il 20% di
quelli ortofrutticoli.
82
CITTA’ DI CASTELLO: LA GRAFICA E
LA CARTOTECNICA
l distretto(1) comprende i comuni di Città di
Castello e di San Giustino. Il settore grafico
e cartotecnico conta 135 aziende con
1.500 addetti, e ha come principali mercati
di sbocco la Germania, la Francia e l’Inghilterra.
Città di Castello vede il primo insediamento
significativo relativo all'industria della stampa grafica nel 1700. Le tappe storiche più
importanti per la nascita di un tessuto produttivo significativo sono tuttavia più recenti.
L'azienda che rappresenta l'inizio dell'attuale sviluppo è la "Scipione Lapi", fondata nella seconda metà del 1800, che raggiunse
ben presto i 100 dipendenti e divenne una
Casa editoriale di rilievo nazionale. Sull'esempio della Lapi sorgono nei primi anni di
questo secolo la Grifani Donati e le Arti Grafiche. Negli stessi anni, viene creata dal Lapi
una Scuola per Tipografi, riservata ai ragazzi che erano accolti presso l'Orfanotrofio Vescovile, e che contribuì a creare il primo nucleo di professionalità specifiche del settore.
La situazione del settore rimane sostanzialmente immutata fino alla fine degli anni '30:
tre aziende con ciclo completo di produzione, la presenza di qualche legatoria artigiana. Nel 1939 la scuola per tipografi, una
delle 6 esistenti tutt'ora in Italia, viene approvata dal Ministero della Pubblica Istruzione e
diviene pubblica. Nel dopoguerra, questa
scuola comincia a fornire manodopera specializzata a tutte le aree industriali italiane
del settore. Vere e proprie 'colonie' di tifernati (da Tifernium, il nome latino di Città di
Castello) si stabiliscono a Varese, Bologna,
Firenze, Fermo, all'epoca le aree a più alta
densità di aziende tipografiche e poligrafiche.
Negli anni '60 si verifica un primo cambiamento significativo del tessuto produttivo della zona, con la nascita di un numero significativo di piccole imprese artigiane, dovute
al rientro di numerosi operai che si mettono
in proprio. Contemporaneamente si ristruttu-
I
UMBRIA
(1) Fonte: Ricerca Aaster, 1997
83
ra l'organizzazione delle imprese maggiori
che in questo modo esternalizzano, per ragioni economiche, alcune fasi che sono necessariamente quelle a valle del processo
produttivo.
I fenomeni di decentramento produttivo continuano fino a raggiungere una integrazione
tra le aziende di grande dimensione e le piccolissime caratterizzata da specializzazioni
aziendali spinte, tipiche anche delle aziende
di più grandi dimensioni. E' in questo periodo che Città di Castello rinuncia alla specificità della editoria a vantaggio della stampa
per editori nazionali - Mondadori, Newton
Compton, Il Mulino, Zanichelli, etc. - e si differenziano le aziende che servono i due diversi mercati del "commerciale" (depliant, biglietti da visita, manifesti) e dell'"editoriale".
L'ultimo cambiamento significativo a livello
di struttura organizzativa del settore risale alla metà degli anni '70, quando il fenomeno
della fuoriuscita di gruppi di operai che fondano una propria azienda si verifica a livello locale. E' in questo periodo che c'è un forte aumento delle piccolissime imprese a scapito delle medio-grandi.
Oggi nel settore grafico si contano una ventina di aziende medie (da 20 fino a 45 dipendenti) e moltissime aziende minori (fino a
non più di 15/18 addetti, ma spesso anche
con 4/5), specializzate per fase, i cui rapporti sono integrati e complessi. L'organizzazione del processo produttivo è articolata su
più aziende. Le imprese di dimensioni maggiori hanno reinternalizzato alcune delle fasi
della produzione, ma il ciclo non è mai completamente verticalizzato. Pur essendo le imprese conto proprio e terziste tutte all'interno
dell'area, anche quando si strutturano rapporti di subfornitura, difficilmente si stabiliscono rapporti di tipo strettamente gerarchico. La ragione risiede probabilmente nel fatto che non si rintraccia a Città di Castello la
caratteristica impresa "terminale", tipica dei
distretti, che gestisce in modo privilegiato il
rapporto con il mercato. Naturalmente sono
di solito le imprese di maggiori dimensioni
che hanno un più immediato riferimento con
il mercato, ma anche le altre possono acquisire commesse interessanti che poi riportano
all'interno del sistema
Diversa e molto più recente appare, invece,
la storia del cartotecnico. Questa, infatti, è
legata agli anni del boom economico ed alla diffusione di prodotti di largo consumo.
Negli anni '60 va collocata la nascita dei
primi scatolifici che producono soprattutto
per il mercato dolciario ed alimentare in genere, successivamente per il farmaceutico. La
produzione è costituita da scatole da imballaggi, astucci in cartone, contenitori in genere e scatole per confezioni regalo. Il collegamento con il grafico è nel primo periodo
molto forte e si colloca a valle della produzione, nella fase di stampa di logo e marchi
cliente sul prodotto. Successivamente e segnatamente negli ultimi anni 10 anni i legami fra i due settori si fanno più deboli per la
internalizzazione di questa ultima fase da
parte delle grandi aziende cartotecniche. In
questo modo, vengono recisi progressivamente quei vincoli produttivi e non che contribuivano a farli considerare come una filiera o, addirittura, un settore unico.
La crescita del settore cartotecnico è, dunque, tutta concentrata negli ultimi 30 anni
per ragioni legate direttamente alle diverse
tecnologie produttive. L'organizzazione del
settore e le relazioni fra imprese si strutturano sulla base di un rapporto di subordinazione fra le aziende di grandi dimensioni e
le piccole. Attualmente il cartotecnico presenta una polarizzazione spinta con poche
imprese di grandi dimensioni (nel distretto se
ne contano 5 o 6) tutte con un numero di addetti intorno ai 100 e con un processo produttivo quasi totalmente verticalizzato ed
una miriade di piccolissime imprese (10/15
addetti, ma più spesso 2/3) che sono in grado di operare su una sola fase, legate alle
grandi da rapporti di contoterzismo spinto.
Dal punto di vista delle dimensioni azienda-
84
li, il distretto si trova ora in una situazione
non dissimile da quella di 20 anni fa, sia
per quanto riguarda il grafico che il cartotecnico, ma rispetto ad allora due sono gli elementi qualitativi che sono mutati:
• i due settori si stanno progressivamente
distaccando;
• la piccola imprenditoria si è quasi completamente rinnovata.
Entrambi questi fenomeni comportano dei
cambiamenti sul piano dell'organizzazione
dei rapporti all'interno del distretto. Da una
parte i due settori si stanno strutturando in
modo diverso e necessitano di interventi differenziati, dall'altra l'interazione interaziendale fra imprese dello stesso settore si sta
per così dire "spersonalizzando" e questo fa
sì che sempre più raramente si rintraccino legami strutturati e consolidati nel tempo fra
imprese capofila e terzisti, lasciando spazio
a rapporti di subfornitura che vengono contratti volta per volta.
85
CIVITA CASTELLANA: LA CERAMICA
l fiore all’occhiello dell’economia viterbese
è il distretto della ceramica(1) di Civita Castellana (che comprende 7 comuni), la cui
tradizione nel settore risale agli etruschi e
dove si producono stoviglie ed articoli igienico-sanitari (un terzo dell’intera produzione
nazionale). L’abilità manuale, il gusto per il
colore, la presenza sul posto di alcune delle
materie prime di base hanno contribuito, per
decenni, alla crescita di un’attività che tra le
due guerre mondiali assorbiva un buon 70%
della forza lavoro.
Oggi, nel distretto operano 50 imprese (le
aziende di un certo rilievo sono poco più di
15), che occupano 3.500 addetti, per un
fatturato di circa 480 miliardi.
Nel complesso, la zona di Civita Castellana
è inserita nei mercati internazionali attraverso un’intensa attività di export della produzione
I
LAZIO
(1) Fonte: elaborazione dati Censis. VIII forum delle autonomie,
1998
86
ABRUZZO CENTRO SETTENTRIONALE: IL MOBILE
l distretto del mobile abruzzese copre tutta
la fascia costiera centro-settentrionale dell’Abruzzo, da Teramo a Pescara, un’area in cui
vivono 485.000 abitanti.(1)
Il fatturato complessivo si aggira sui 600 miliardi, gli addetti sono 2.500. La produzione
è differenziata: divani (Teramo), mobili per
cucina (Atri), ma soprattutto mobili per ufficio e scaffalature metalliche (Atri, Giulianova e Pescara). Molte delle 349 unità locali
sono di piccole dimensioni, ma non mancano unità locali più grandi, anche oltre i 100
addetti. Una decina di imprese superano i
10 miliardi di fatturato, e fra queste spicca
la Las Mobili di Tortoreto (TE), una delle principali imprese italiane di mobili per ufficio,
con 400 dipendenti e un fatturato di 110 miliardi (1998). Il distretto abruzzese del mobile ha le proprie origini nell’artigianato del legno, diffuso nei centri costieri.
Il passaggio dalle botteghe di falegnameria
alle piccole imprese — con un’iniziale specializzazione nella produzione di tavoli -.
inizia alla fine degli anni Cinquanta e prosegue soprattutto nel decennio successivo. Si
passa così progressivamente dai 500 addetti circa del 1951 ai 1.200 del 1971 e ai
2.300 del 1991.
I
ABRUZZO
ABRUZZO MERIDIONALE: L’ABBIGLIAMENTO
L’area delimitata da questo distretto(2), che interessa 704.000 abitanti, è contigua a quella dell’abbigliamento dell’Abruzzo settentrionale, con il confine tra Roseto e Pineto.
L’Abruzzo meridionale include tutti i SLL costieri (Atri, Pescara, Lanciano, Vasto fino a
sconfinare in Molise con il SLL di Termoli) e i
corrispondenti SLL collinari nei quali maggiore è l’occupazione nel settore dell’abbigliamento.
Il distretto dell’abbigliamento dell’Abruzzo
meridionale raggiunge un fatturato di 700
(1) Fonte: G. Viesti: “Come nascono i distretti industriali” Laterza,
2000 – Elaborazione dati Istat 1996
(2) Fonte: G. Viesti: “Come nascono i distretti industriali” Laterza,
2000 – Elaborazione dati Istat 1996
87
miliardi, di cui 1120 per cento all’export, I
principali prodotti sono di abbigliamento
maschile: capispalla e camicie. L’occupazione supera le 9.000 unità; le oltre 700 unità
locali sono in media piccole, ma non mancano unità locali più grandi: 6 superano i 100
addetti, e di queste una i 500. Circa la metà
degli occupati lavora, all’inizio degli anni
Novanta, in un-prese in conto proprio e
metà in imprese conto terzi. Fra le prime
spiccano nettamente la Brioni di Penne, produttrice di abbigliamento maschile di alta
qualità, la IAC di Chieti (camicie e capi-spalla) e la Sixty, sempre di Chieti (abbigliamento moda giovane), tutte con oltre 100 miliardi di fatturato.
In quest’area vi è già una rilevante produzione di abbigliamento negli anni Cinquanta
(circa 3.500 addetti), ma la crescita maggiore si ha a partire dagli anni Sessanta. In
questo periodo, si insediano due grandi stabilimenti, la Monti d’Abruzzo a Pescara e la
tedesca Marvin Gelber (poi IAC) a Chieti.
Con il mutamento degli scenari dell’industria
tessile-abbigliamento dall’inizio degli anni
Settanta, questi grandi impianti attraversano
una profonda crisi e un lungo periodo di ristrutturazione. Parte della loro occupazione,
anche attraverso incentivi all’autoimprenditorialità, dà progressivamente vita a un tessuto
di piccole imprese autonome (in media con
20-30 dipendenti), sia subfornitrici sia in
conto proprio, su fasce di prodotto più basse. Questo avviene sia fra Penne e Montesilvano, in connessione con la crisi prima e il
fallimento poi della Monti d’Abruzzo, sia più
a Sud, nel chietino, intorno alla Marvin Gelber.
CASTELLI: LA CERAMICA
Castelli (1.700 abitanti), in provincia dell’Aquila, su trova all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
Ha una antica tradizione nella lavorazione
della ceramica, che risale al Trecento, e che
ha avuto il suo momento di massimo splen-
dore nel Cinquecento, con la decorazione
“Orsini-Colonna”, che ancora oggi costituisce uno degli stili che caratterizzano la produzione di ceramica.
Il sistema produttivo(3) è caratterizzato da
unità di tipo artigianale (circa 40), con l’impiego diretto di 200-250 addetti, comprendente due diverse tipologie di imprese:
- una fascia ristretta di imprese più strutturate e di maggiori dimensioni;
- una più ampia, costituita da botteghe artigiane e da piccoli studi / laboratori di
singoli artigiani.
Le imprese più strutturate, con 20/35 dipendenti (la Saca, che è quella con il più alto
numero, ne ha però 56), localizzate nel Villaggio Artigiano annesso al capoluogo, hanno dimensione di piccole industrie. Si tratta
di imprese dotate di attrezzature moderne,
impianti e capannoni, volte ad una produzione di tipo industriale o semi-industriale.
Realizzano prodotti in porcellana, in grés o
terraglia forte decorata a mano.
Le numerose botteghe artigiane, diffuse soprattutto nel centro abitato, hanno il grosso
merito di conservare la tradizione tipica castellana.
La grande tradizione artistica ed artigianale
di Castelli ha dato origine, nel 1906, alla
“Scuola d’arte applicata alla ceramica”, trasformata nel 1960 in “Istituto d’arte statale
per la ceramica”, che oggi ha raggiunto prestigio internazionale.
Gli imprenditori locali, al fine di rilanciare il
comparto ceramico di Castelli, hanno dato
vita a tre iniziative che sono risultate molto
efficaci: il Centro Ceramico Castellano, costituito con il compito di occuparsi della promozione e del marketing; il Villaggio Artigiano, dove sono localizzate tutte le imprese di
maggiori dimensioni; e la Mostra Mercato
dell’Artigianato (nel mese di agosto e giunta
(3) Fonte: Indagine Aaster, 2001
88
alla 36ª edizione), un fondamentale mezzo
di promozione soprattutto per le aziende più
piccole che non dispongono di altri canali di
mercato.
FARA SAN MARTINO: LA PASTA
Fara San Martino, in provincia di Chieti, è
ormai un polo produttivo noto anche a livello
internazionale nella produzione di pasta secca e fresca di alta qualità.
Intorno alle due aziende leader, De Cecco e
Delverde, sono cresciute almeno una decina
di piccole imprese a carattere artigianale,
specializzate nella produzione di pasta lavorata con trafila di rame ed essiccata naturalmente, destinata a consumatori di “elite”.
Complessivamente le unità produttive occupano quasi 600 dipendenti(4).
VAL VIBRATA: PELLETTERIA, ABBIGLIAMENTO E CALZATURE
In questo distretto produttivo in provincia di
Teramo(5) - un territorio in cui vivono circa
193.000 abitanti – si distinguono tre filiere.
Il distretto della pelletteria comprende i sistemi locali di Teramo e Giulianova, con un fatturato di circa 350 miliardi, di cui poco più
del 20 per cento all’esportazione. Gli addetti sono poco più di 2.000 su 363 unità locali: quindi con una dimensione media molto
contenuta. Una sola unità locale supera i
100 addetti, e il resto dell’occupazione è in
unità locali al di sotto dei 50, e in molti casi
al di sotto dei 10.
Nel distretto vengono prodotti borse e accessori in pelle, borse in stoffa e valigeria. La
produzione è generalmente di qualità medio-bassa, con qualche punta più alta; si tratta prevalentemente di produzioni realizzate
in subfomitura per aziende centro-settentrionali.
Il distretto si sviluppa a partire dai primi anni
Settanta: gli addetti al 1961 sono solo 107.
La produzione nasce intorno ad Alba Adria-
tica e si diffonde poi rapidamente nel territorio circostante e nella provincia di Teramo.
Nel suo sviluppo hanno un ruolo importante
processi imitativi e rapporti commerciali dovuti alla contiguità spaziale dell’Abruzzo alle Marche, in particolare con i produttori del
maceratese.
Nello stesso territorio c’è anche un distretto
di produzione di abbigliamento, prevalentemente confezioni per uomo, per bambino, e
casual, oltre che di intimo e di accessori. Il
distretto dell’abbigliamento è di maggiore
ampiezza rispetto a quello della pelletteria
(circa 600 miliardi di fatturato) e più orientato sui mercati internazionali (230 miliardi di
export).
Rispetto alle dimensioni dell’area, la presenza di queste attività industriali è pervasiva:
vi sono 2 unità locali e 30 addetti al settore
dell’abbigliamento ogni 1.000 abitanti, i livelli più alti fra tutti i distretti meridionali. Le
unità locali sono poco meno di 400, ma con
una occupazione assai rilevante, quasi
6.000 addetti; il distretto si caratterizza
quindi per dimensioni medie piuttosto elevate; l’area conta una decina di unità locali
con più di 100 addetti e altre 25 con oltre
50, che da sole raccolgono un terzo dell’occupazione. Soprattutto, nel distretto operano
alcune grandi imprese, con marchi affermati, come Casucci e FIT-GPM; accanto ad esse
vi sono numerose imprese terziste di rilevanti
dimensioni e di qualità relativamente alta.
Gli unici dati disponibili (relativi all’inizio degli anni Novanta) indicano che i due terzi
degli addetti delle principali imprese locali
lavora per conto terzi, sia per committenti locali sia per committenti centro-settentrionali.
In questo distretto il sistema di imprese tende, infatti, ad avere un’elevata divisione del
lavoro anche su base locale: alcune imprese
(4) Fonte: sito Web Assopastai, giugno 2001
(5) Fonte: G. Viesti: “Come nascono i distretti industriali” Laterza,
2000 – Elaborazione dati Istat 1996
89
leader (per esempio, la Casucci) integrano
tutte le fasi del processo produttivo e affidano all’esterno lavorazioni complementari a
quelle realizzate al proprio interno.
L’area ha una tradizione tessile antica, con
un artigianato legato alla lavorazione della
canapa, coltivata nel teramano fino alla fine
degli anni Sessanta; in queste aree sono
molto diffuse sia la coltivazione diretta che
la mezzadria; i contadini abruzzesi sono lavoratori in proprio in agricoltura e nella trasformazione della canapa (artigianato tessile). Per molti di loro queste attività evolvono,
negli anni Sessanta e Settanta, in produzioni
industriali. Negli anni immediatamente successivi alla fine della guerra nascono poi
nell’area alcune aziende (tra cui il Maglificio
Gran Sasso e la Ca-miceria CNG) specializzate soprattutto nella produzione di camicie
e nel 1951 l’occupazione nel distretto può
essere stimata intorno alle 1.200 unità, che
salgono a quasi 2.000 nel 1961. Un forte
sviluppo si ha poi negli anni Settanta; in
quel periodo, anche per l’aumento della domanda di lavorazioni in subfornitura proveniente dal Nord, il distretto supera i 5.000
addetti.
Di dimensioni decisamente più contenute è
invece la produzione di calzature negli stessi sistemi locali di Teramo e Giulianova. Si
tratta di un distretto con circa 100 miliardi
di fatturato, con una quarantina di unità locali di piccole dimensioni e meno di mille
addetti.
La crescita dell’occupazione si concentra tutti
negli anni Ottanta, anche se a seguito di
rapporti con i contigui, grandi distretti marchigiani. Nell’area c’è una sola impresa finale con un fatturato superiore a 20 miliardi
(la GCV di Roseto), mentre molte delle altre
producono suole e accessori per calzature,
spesso in subfornitura per imprese esterne.
90
ISERNIA: L’ABBIGLIAMENTO
el tutto originale è il distretto di Isernia , definito «distretto» per omogeneità lessicale con gli altri, anche se non ne presenta
le condizioni.
La produzione, infatti, è organizzata intorno
a due sole imprese: la Ittierre e la GTR. La Ittierre di Pettoranello del Molise è una delle
principali imprese dell’abbigliamento moda
italiano (650 miliardi di fatturato), presente
con marchi propri e con produzioni in collaborazione con affermati stilisti, e recentemente diversificatasi in altre attività; la GTR
di Mon-teroduni (120 miliardi di fatturato) è
invece prevalentemente produttrice di abbigliamento casual.
Intorno ad esse vi è un limitato tessuto di
subfornitori; molte delle produzioni decentrate dalla Ittierre sono invece realizzate da
subfornitori centro-settentrionali. Entrambe le
imprese originano dalla Pantrem (nota per il
suo marchio Pop 84) costituita nel 1971 dai
due fratelli Perna, ancora oggi a capo delle
attuali imprese. L’azienda nasce in un’area
senza rilevanti produzioni precedenti: al
1971 si contano infatti solo 181 addetti, divenuti più di 500 nel 1981 e circa 1.000
negli anni Novanta.
D
(1)
MOLISE
(1) Fonte: G. Viesti: “Come nascono i distretti industriali” Laterza,
2000 – Elaborazione dati Istat 1996
91
CAPODIMONTE: LA PORCELLANA
a produzione di porcellane di Capodimonte è stata una delle attività produttive (insieme con le seterie di San Leucio in provincia
di Caserta) direttamente promossa dai Borbone La produzione di porcellane artistiche
di Capodimonte nasce per volontà di Carlo
III di Borbone, che però trasferì la Real Fabbrica di Capodimonte a Madrid quando divenne re di Spagna.
Nel 1771 Ferdinando IV, figlio e successore
di Carlo, riportò la fabbrica in Campania,
prima nella Villa Reale di Portici, poi a Palazzo Reale a Napoli. Da allora la fama della porcellana di Capodimonte si è diffusa in
tutto il mondo.
In tempi recenti, il mutamento della domanda verso prodotti più commerciali ha fatto sì
che si abbandonassero, nella maggior parte
dei casi, gli originari prodotti di Capodimonte (statuine e piatti) per una produzione più
variegata tra cui, prevalentemente, cestelli di
fiori, bomboniere, oggetti da regalo, ecc.
Alla fine degli anni ‘60 c’era stato un tentativo, con la nascita di un’impresa di dimensione medio-grande (la Mollica), di produrre su
scala industriale, ma, dopo alcuni anni, questa fallì.
L’esperienza, però, non è andata persa: nella seconda metà degli anni ‘70 sono sorti
numerosi piccoli laboratori di ex-operai della
Mollica e piccole aziende, più flessibili alle
oscillazioni della domanda, mentre altre
aziende di medie dimensioni hanno decentrato parte della produzione.
La ricerca di spazi più ampi a costi più contenuti ha spinto alcuni imprenditori ad allontanarsi dalla sede originaria - i Ponti rossi,
una zona di Napoli nei pressi della reggia
di Capodimonte - e a localizzarsi nei comuni
vicini dove era possibile trovare un’area industriale che presentasse in più il vantaggio
di avere un rapido e facile accesso alla rete
stradale.
Nonostante la presenza di alcune figure
chiave, come i fornitori di materie prime o di
macchinari, assicuri un certo collegamento
L
CAMPANIA
92
tra le imprese e la circolazione delle informazioni, tuttavia il non essere localizzate
nella stessa area, l’immersione di molte imprese, l’esistenza di un’ampia zona di lavoro a domicilio, contribuiscono ad allentare
quel senso di identità che si potrebbe avere
sulla base della ricchezza che direttamente e
indirettamente si mette in moto.
Il fatturato complessivo di questo micro-sistema, formato da oltre 70 imprese (aziende,
laboratori e imprese di commercializzazione), è stimabile intorno ai 50/60 miliardi,
mentre l’occupazione, compreso il lavoro a
domicilio, si aggira sulle 1.500 unità.(1)
In questi ultimi anni si è verificata una sorta
di integrazione versatile tra le tecnologie più
moderne e quelle tradizionalmente usate. E’
stata così introdotta la decorazione a freddo
dei fiori in porcellana, rispetto a quella a
fuoco più duratura e con colori più brillanti.
Il risultato ottenuto ha conquistato nuovi
clienti, perché si tratta di un nuovo prodotto
più moderno e di minor costo.
CITTADELLA ATELLANA: L’ABBIGLIAMENTO
Il distretto(2) si estende tra le province di Napoli e di Caserta, e comprende il territorio
dei comuni di Orta di Atella, Succivo,
Sant’Arpino.
In quest’area si trova una notevole concentrazione di imprese nel settore dell’abbigliamento che sono presenti in tutta l’area del
Nord napoletano, ed in particolare anche
nei comuni di Aversa, Arzano, Grumo Nevano.
Queste imprese sono specializzate nella confezione di abbigliamento per uomo, di qualità medio alta, con una particolare linea di
produzione dedicata alle camice, e si inseriscono in un più vasto sistema di laboratori di
abbigliamento, che caratterizzano in generale il sistema produttivo della provincia di
Caserta e del nord napoletano.
Una parte significativa di laboratori nel passato si era insediata nell’area di Teano, Roc-
camonfina e Mignano Montelungo. Tale insediamento avveniva sulla base di investimenti di imprese del Centro-Nord, che venivano nel Mezzogiorno per beneficiare dei finanziamenti dell’intervento straordinario.
Adesso queste aziende stanno decentrando
la produzione in Tunisia dove trovano un costo del lavoro più basso.
La struttura del sistema produttivo è legata alla presenza di imprese consolidate e
di una serie di laboratori, molti dei quali sono ancora “sommersi” che lavorano in
subfornitura, il che rende difficilissimo una
mappatura in termini di dati relativi al numero di unità locali presenti sul territorio e dei
relativi addetti.
Un peso notevole hanno le imprese dell’abbigliamento Accanto ad aziende con punte
produttive di altissima qualità - come Attolini,
Blasi, Isaia e Kiton, note anche all’estero,
dove hanno diversi punti vendita - ve ne sono altre che lavorano anch’esse in programmato o in pronto moda, in conto terzi oppure in conto proprio, monoprodotto (solo pantaloni, o gonne, o giacche), oppure pluriprodotto, collocandosi su una fascia compresa
tra una qualità bassa ed una media. Ciò
comporta che esistano diverse occasioni di
contatto e di scambio tra le imprese, tra i numerosi laboratori e con le lavoranti a domicilio. Si tratta, quindi, di un sistema molto articolato, anche se la diffusione sul territorio
non facilita sempre le relazioni, mentre le
differenze tra le imprese di altissima qualità
e quelle di qualità medio-bassa attenuano o
nascondono il senso di identità comunitaria.
Quel che è certo è che le piccole imprese
terziste vivono una situazione difficile, con
dei margini molto ristretti. Si stima che il lavoro nero sia almeno tre quattro volte quello
ufficiale.
(1) Fonte: dati Istat, 1996
(2) Fonte: La repubblica, “Il denaro”, gennaio 2001
93
CITTADELLA AVERSANA: LE CALZATURE
Sulla stessa area del distretto dell’abbigliamento della “Cittadella Atellana”(3), insite anche un distretto delle calzature, che si concentra nella cosiddetta “Cittadella Aversana”, comprendente, tra gli altri i Comuni di
Aversa, Gricignano, Carinaro, Sant’Arpino,
Grumo Nevano, Casoria, Casavatore.
Anche in questo caso, la presenza del sommerso rende difficile una mappatura del distretto in termini di dati statistici; in ogni caso, le imprese con più di 15 dipendenti dovrebbero essere circa 350 in tutta la Provincia, con un numero di addetti ufficiali di
3.500-4.000. Ma, in realtà, gli addetti sono
stimati in 12.500-13.000, che diventano circa 40.000 se si considerano tutti i laboratori
minori e familiari. Per quanto riguarda i mercati di sbocco della produzione, le imprese
lavorano soprattutto per conto terzi, ma alcune esportano all’estero con un proprio marchio, principalmente verso gli Stati Uniti ed
Estremo Oriente.
L’area registra, quindi, una crescita endogena molto vivace, ma difficile, in quanto caratterizzata da una frammentazione imprenditoriale, da una sottocapitalizzazione delle
aziende e da una scarsissima propensione all’esportazione. Comunque, nel panorama imprenditoriale locale spicca il caso di assoluta
eccellenza: del Consorzio calzaturiero Unica.
Il consorzio Unica é stato creato da un primo gruppo di 24 imprenditori con lo scopo
di realizzare un’area ove delocalizzare gli
stabilimenti: a questo fine hanno acquistato
nell’area ASI di Aversa Nord, nel comune di
Carinaro, un terreno di 300mila metri quadrati su cui ha avviato la costruzione dei primi 24 impianti con un investimento di 87,5
miliardi di lire, avviando un graduale processo di “auto-emersione” e una trasformazione della tipologia di produzione, passando dal “pronto moda” ad una produzione
basata sugli ordinativi e quindi programmabile e senza sprechi.
Queste aziende producono scarpe di qualità
medio alta e realizzano un giro d’affari di
circa 300 miliardi.
PENISOLA SORRENTINA: I COSTUMI
DA BAGNO
Nei comuni di Gragnano, Lettere, Casola di
Napoli e Santa Maria La Carità si producono costumi da bagno.(4) Qui, la dimensione
delle aziende si attesta o sulla piccolissima o
su quella media, tutte prevalentemente a
conduzione familiare. L’origine del sistema
di imprese che producono costumi da bagno
è legata alla vicinanza di centri turistici come Positano, i comuni della costiera amalfitana (Sorrento, Positano) e Capri, nonché ad
una abitudine degli artigiani locali alla produzione di oggetti per i turisti (sandali, cappelli, etc.) venduti nelle botteghe o tramite
ambulanti. Il passaggio, quindi, alla produzione di costumi da bagno non ha incontrato particolari difficoltà sulla scia di una prima impresa che aveva iniziato a produrre
costumi nel 1974 per soddisfare una commessa di un’impresa del Nord.
Le conoscenze diffuse della zona, unite a
basse barriere finanziarie e tecnologiche all’entrata, hanno stimolato la formazione di
nuove imprese che, dalla fine degli anni ‘80
ad oggi, sono aumentate fino ad arrivare a
75, di cui 25 sono produttori finali e 50 sono façonisti. Esse producono più del 20%
della produzione nazionale di costumi da
bagno, pari a circa 10 milioni di capi, che
vengono venduti in gran parte in Italia, mentre una parte (un 20%) è venduto in Europa.
In valore il giro d’affari complessivo si aggira sui 120-130 miliardi.
Le imprese locali arrivano ad occupare, specie nei periodi di punta, complessivamente
(3) Fonte: Il Sole 24 Ore, ottobre 2000
(4) Fonte: la Repubblica, “il Denaro”, luglio 1998 e G.Viesti “Come
nascono i distretti industriali”, Laterza 2000
94
da 5.000 a 6.000 persone (compreso il lavoro a domicilio). La produzione di costumi
da bagno è stagionale, e ciò comporta che
nei mesi da settembre a novembre c’è stasi,
mentre da marzo a luglio si lavora intensamente. Per non perdere i migliori lavoratori,
alcuni imprenditori hanno introdotto nei mesi
di stasi la lavorazione di articoli in pronto
moda (calzoncini per ciclisti e simili).
La maggior parte delle imprese si dedica ad
una produzione medio-bassa, ma alcune
stanno cercando di differenziarsi, per vincere la concorrenza delle nuove imprese che
nascono. I costumi da bagno di Gragnano
sono un’imitazione di quelli di qualità: individuati (nelle riviste di moda o sulle spiagge
più famose) i modelli da copiare, ciascun imprenditore aggiunge piccole modifiche per
distinguersi dagli altri
Il successo ha rafforzato tra questi imprenditori la fiducia in se stessi e i contatti frequenti, derivanti dall’organizzazione decentrata
della produzione, accrescono il senso di
identità.
S. GIUSEPPE VESUVIANO: IL POLO
TESSILE
L’area territoriale del distretto ha una superficie complessiva di circa 109 kmq con una
popolazione di circa 112.000 abitanti. Il distretto produttivo riguarda principalmente i
Comuni di S. Giuseppe Vesuviano, Terzigno,
Ottaviano, Palma Campania, Poggio Marino, S. Gennaro Vesuviano, Striano e Carbonara di Nola.
E’ molto difficile quantificare il numero di imprese e di addetti effettivi considerata l’elevata quantità di lavoro “sommerso” presente
nell’area; le unità censite al 1996(5) sono circa 1.170, con un numero di addetti pari a
4.770 ed un fatturato di 300 miliardi; ma
notizie attendibili (6) riferiscono di 3.000
aziende locali con circa 10.000 occupati.
Il polo è stato recentemente riconosciuto come distretto dalla Regione Campania, che
ha previsto per l’area un grosso investimento
(1.000 miliardi), con cento imprese aderenti
ed una ricaduta occupazionale di 8.000 posti di lavoro.(7)
I marchi più noti nell’abbigliamento sono la
Baco Moda, specializzata nella grande distribuzione, la Gigiesse, la David o la Amarea, che lavorano in larga parte per le grandi firme della moda oppure per le catene di
distribuzione. La loro forza complessiva è
notevole e rappresenta la spina dorsale del
Consorzio “Napoli 2001”, che raggruppa
160 imprese. Il Consorzio persegue una decisa politica dei marchi, avendo come scopo
principale della sua attività quello della valorizzazione della produzione locale.
Nel distretto le imprese commerciali hanno
creato uno scheletro produttivo di piccole
aziende, quasi sempre a conduzione familiare. Gli industriali tessili realizzano semilavorati che vengono rifiniti dai façonisti, e messi
sul mercato. Il sistema ha successo perché
riesce ad essere, allo stesso tempo, specializzato e flessibile
E’ importante sottolineare che per quanto riguarda il lavoro nero, intorno al paese gravitano circa 5.000 lavoratori extracomunitari, soprattutto polacchi e cinesi provenienti
dalle fabbriche di Prato, non tutti con regolare permesso di soggiorno. Di recente, è stato
creato un osservatorio per gli extracomunitari allo scopo di monitorare il fenomeno.
SOLOFRA: LE CONCERIE
Il distretto conciario di Solofra(8) è situato in
provincia di Avellino e comprende anche i
territori dei comuni Montoro Inferiore, Montoro Superiore e Serino; in tutto, sono 60
kmq dove risiedono circa 35.000 abitanti.
(5) Fonte: G.Viesti “Come nascono i distretti industriali”, Laterza
2000
(6) Fonte: Il Sole 24 Ore, 2 giugno, 2000
(7) La Repubblica, “Il Denaro”, 22 luglio 2000
(8) Fonte: indagine Regione Campania 1996 su Il Sole 24 Ore
95
Pur avendo radici antichissime, che risalgono ai tempi dei romani, la produzione conciaria solofrana si è sviluppata soprattutto
nel secondo dopoguerra. Nel distretto di Solofra si concentra una quota significativa dell’intera occupazione conciaria italiana. Specializzato nella produzione di pelli ovine di
piccole dimensioni, principalmente per l’abbigliamento, che arrivano semiconciate dall'Africa e dal Medio Oriente. Negli ultimi
anni però questi paesi hanno realizzato delle politiche per lo sviluppo di concerie in loco e questo ha avuto qualche ripercussione
sulle dinamiche competitive delle imprese di
Solofra.
Il distretto conta 380 concerie, di cui 130 di
medie dimensioni e tutte le altre piccole, oltre a 99 imprese di confezione e 17 di prodotti chimici; il fatturato è molto variato negli
anni ’90, per il fortissimo sviluppo prima e
per la relativa concentrazione poi delle vendite in Asia.
Le dinamiche delle imprese del distretto sono
assai complesse: la produzione è principalmente realizzata da famiglie di imprenditori,
con un’elevata nati-mortalità, scomposizione
e ricomposizione delle aziende.
TARI’: LA CITTADELLA DELL’ORO
Il consorzio Tarì (dal nome di un’antica moneta aurea napoletana), localizzato nell’area di sviluppo industriale di Marcianise, accorpa attualmente(9) 250 aziende industriali,
artigiane e distributive che complessivamente fatturano più di 1.500 miliardi nel 1998,
con una crescita del 20% rispetto al 1997,
mentre le esportazioni sono aumentate del
35% e gli occupati hanno raggiunto il tetto
delle 1.560 persone direttamente impiegate,
più 1.000 nell’indotto.
La “città dell’oro”, la prima del Centro-Sud,
è sorta nel 1996 per iniziativa di un gruppo
di imprenditori che (già a partire dal 1987)
volevano delocalizzarsi dal centro storico di
Napoli (dal quartiere che si irradia intorno a
piazza Orefici), per dotarsi di locali più am-
pi, servizi adeguati e per migliorare i sistemi
di sicurezza. L’estensione del centro è di
130 mila metri quadrati e qui ha sede anche
un avanzato centro di ricerca e una scuola
per orafi frequentata da oltre 200 giovani.
TORRE DEL GRECO: IL CORALLO E
L’OREFICERIA
Il distretto costituisce il quarto polo orafo italiano, dopo Arezzo, Vicenza e Valenza Po.
Il settore dà lavoro ad almeno 1.000 persone, con circa 400 aziende legali sul territorio, di varie dimensioni, ma a fianco ad esse
c'è un numero indefinito di laboratori sommersi che lavorano in conto terzi per le cosiddette imprese-raccoglitore. Anche numerosi laboratori lavorano quasi esclusivamente
in conto terzi. E’ molto diffusa, inoltre, la figura del lavoro dipendente “esterno” con
proprio laboratorio.(10)
Dell’artigianato orafo e del corallo di Torre
del Greco si può dire che si tratta di un’attività fiorente con secoli di tradizione alle
spalle, conosciuta in tutto il mondo e con
una domanda piuttosto stabile che permette
sia la vita di aziende medio-grandi, che il
proliferare di piccoli e piccolissimi laboratori
Relativamente alla lavorazione del corallo,
Torre del Greco vanta una lunga tradizione
che risale fino al 1500, come attività di pesca del corallo, per arrivare alla lavorazione
dello stesso nel 1805, anno in cui il re Ferdinando IV di Borbone concesse la privativa
per la lavorazione del corallo al cardinale
Bartolomeo Martiri. Si raggrupparono così,
attorno alla figura del cardinale, molti degli
artigiani locali, dando luogo alla Real Scuola del Corallo. Nella seconda metà dell’800
inizia anche la lavorazione del cammeo, dovuta, principalmente, alla necessità di diver(9) Fonte: Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2001
(10) Fonte: Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2001
96
sificazione del mercato in quanto si cominciavano ad avvertire i primi problemi di approvvigionamento della materia prima. Infatti, fino al 1860-70, veniva lavorato esclusivamente il corallo rosso mediterraneo. A
partire dei primi anni del ‘900 ha assunto
una grande rilevanza la lavorazione del corallo del Pacifico (proveniente in prevalenza
dal Mar del Giappone).
La produzione attuale va dal corallo liscio fino alle incisioni e alle sculture. La fantasia
creativa e la perfezione stilistica rendono ancora molto competitivo a livello mondiale
l’artigianato corallino di Torre del Greco,
malgrado la fortissima concorrenza dei paesi esotici. La scuola di Torre del Greco è apprezzata anche per i suoi splendidi cammei
di pietre dure lavorate a bassorilievo. Il materiale più usato è la sardonica, conchiglia
marina indiana dotata di una suggestiva bicromia bianconera, ma, ci sono anche altri
materiali: le conchiglie corniola e tigrina, il
corallo, la pietra lavica, la pasta di turchese
e il calcedonio.
Da alcuni anni, i produttori si sono associati,
dando vita ad un’associazione di categoria
(l’Assocoral) ed a un consorzio (l’Arca), operanti per la tutela e la promozione del comparto.
Nel gennaio 2001, l’Assocoral ha sottoscritto un accordo con il Consorzio Tarì e l'antico borgo orefici, che prevede la delocalizzazione, entro il 2003, di almeno 150 imprese di Torre del Greco a Marcianise. Dall’accordo nascerà un grande polo orafo
campano, che sarà insediato del Consorzio.
97
CASARANO : LE CALZATURE
a provincia di Lecce ha subito negli ultimi
anni delle profonde trasformazioni socio-economiche, ma il fenomeno più interessante ha
senz’altro riguardato il Sud Salento, l’asse
Casarano-Tricase, dove si è sviluppato un fenomeno notevolissimo di diffusione di nuova
piccola e piccolissima imprenditoria manifatturiera (ma anche agricola) endogena e
spontanea con la presenza anche di alcune
PMI che sono leaders nazionali nei loro rispettivi settori produttivi. Alcuni osservatori,
sottolineano come buona parte di questa imprenditoria locale sia essenzialmente uno degli effetti derivati di quel grande fenomeno
di rottura sul piano socio-culturale che è stata l’emigrazione di massa degli anni ‘60. La
generazione di imprenditori che adesso hanno 50-60 anni è il prodotto positivo dell’esperienza di acculturazione del grande flusso migratorio degli anni ‘60: si tratta, in sostanza di emigrati che una volta compiuta la
loro esperienza di lavoro al Nord o all’estero sono tornati con un po’ di know-how e di
capitale nei loro paesi di origine in provincia di Lecce, dando vita a delle piccole attività produttive, innovative per il contesto locale, sia in agricoltura che nel settore manifatturiero. In altri casi, si è trattato di artigiani già operanti che tentavano di fare un piccolo salto di qualità, dandosi una qualche
struttura organizzativa e produttiva di tipo industriale.
Il polo produttivo è formato dai comuni di
Casarano, Taviano, Melissano, Parabita,
Ugento, Racale, Taurisano, Tricase e Gallipoli. Nei settori prevalenti di attività, il calzaturiero e l’abbigliamento, operano circa
1.500 aziende con un export complessivo di
circa 1.000 miliardi che ha, come principale mercato di sbocco la Germania.
A Casarano c’è il gruppo Filanto che ormai
è il numero uno in Italia nella produzione
calzaturiera ed ha 2.880 dipendenti con 5
stabilimenti, 316 miliardi di fatturato nel
1995 e 11,5 milioni di scarpe vendute. A
Tricase c’è la Nuova Adelchi che ha un fattu-
L
PUGLIA
98
rato di 250 miliardi, 1.500 addetti e 6.000
con l’indotto.(1) Queste sono tra le aziende
meglio informatizzate di Puglia e dominano
un tessuto produttivo fatto soprattutto di piccola e piccolissima impresa che è fortemente
relazionato a queste imprese di maggiori dimensioni.
Principale, ma non esclusivo, prodotto dell’area è la scarpa tradizionale da uomo, con
suola in cuoio. Come in molte aree del Mezzogiorno, anche nel basso Salento vi è, fino
alla fine degli anni Cinquanta, una tradizionale produzione artigiana di calzature. Ma
a differenza di altre aree del Mezzogiorno,
questa evolve in un distretto grazie all’affermarsi della Filanto, che industrializza la produzione e riesce a difendere il mercato locale e poi a incrementare le vendite, prima fuori regione e, dagli anni Settanta, all’estero.
Dopo essere rimasta fra le 500 e le 700
unità fino al 1971 l’occupazione supera le
3.000 unità nel 1981 e le 6.000 nel 1991.
Significativo è il decentramento già avviato
a partire dagli anni ’70 di alcune lavorazioni, e in particolare la cucitura delle tomaie,
nei paesi oltre Adriatico.
Sull’asse Casarano-Tricase, sono sorti anche
un polo (a Tricase-Corsano) di cravattifici all’avanguardia, il secondo a livello nazionale, e un polo della calza (a Racale-Melissano), in cui non ci sono grandi imprese che
dominano, ma imprese più o meno delle
stesse dimensioni anche se c’è già qualcuna
che potrebbe assumere un ruolo di capofila.
Il settore calzaturiero è stato in questi anni il
più dinamico settore manifatturiero presente
localmente. Si è consolidato, ha migliorato
la qualità dei prodotti e ha intrapreso con
decisione anche la strada della internazionalizzazione produttiva, dopo aver ottenuto risultati estremamente positivi in termini di
esportazione dei propri prodotti, soprattutto
verso la Germania.
Nel complesso, si può dire che il Sud Salento è un’area di grande vitalità “molecolare,”
in cerca di forme di aggregazione ulteriore
e più complessa - dal consorzio fra imprese,
al distretto industriale, al Patto Territoriale -
che, consentendo di “fare sistema,” possano
garantire la continuità dello sviluppo economico nel contesto nazionale ed europeo e
anche un consolidamento qualitativo della vita sociale e civile.
NORD BARESE : IL TESSILE E L’ABBIGLIAMENTO
Il comprensorio del Nord Barese è formato
da dodici comuni.(2)
E' un'area che si caratterizza per l'omogeneità degli interessi storico-culturali e delle
caratteristiche geo-economiche e che si configura come una cerniera tra la Puglia centrale e la Capitanata; è anche terminale di
collegamento tra le aree interne della Basilicata e dell'Irpinia con il Mare Adriatico lungo un asse di sviluppo denominato "Direttrice Ofantina". L'ambito territoriale contiene
due grandi sistemi territoriali, quello costiero
e l'entroterra, che caratterizzano l'economia
della zona.
Il Nord Barese si caratterizza per una imprenditorialità diffusa: la presenza di un sistema di imprese di piccole dimensioni contribuisce a configurare la zona come una
delle aree a sviluppo endogeno della Puglia
(insieme a Valle d'Itria, Murgia e Sud Salento) ove prevalgono iniziative di origine locale, di fatto non influenzate dalla politica di
intervento straordinario, e concentrate nei
comparti leggeri.
Dunque, le attività produttive presenti sono
per lo più svolte da piccole e medie imprese
ed imprese artigiane e risultano sufficientemente articolate nei diversi settori produttivi.
I comparti del tessile, dell'abbigliamento e
delle calzature (TAC) costituiscono una componente importante, per dimensione e dinamicità, dell'economia pugliese e dell'econo(1) Fonte: Il Sole 24 Ore, luglio 1998
(2) Fonte: Il Sole 24 Ore, 10 aprile 1999
99
mia del Nord Barese. Sono settori da più
parti definiti "maturi", ma che contribuiscono
ancora notevolmente alle esportazioni. L'area è, infatti, anche caratterizzata da una
forte propensione ad esportare: per quanto
riguarda i commercio con l'estero si può stimare, relativamente all'industria in senso
stretto (settore energetico, estrattivo e manifatturiero), un valore complessivo pari a circa 800-840 miliardi di lire per il 1996 (di
cui 500 miliardi di lire solo nel TAC). Il sistema produttivo, pertanto, dimostra una grande apertura all'esterno con la presenza sui
mercati esteri di diverse imprese locali.
Il settore delle calzature. L’area costituisce
uno dei più rilevanti poli nazionali della produzione della calzatura del tempo libero e
sportiva, rappresentando il 7% del volume
d'affari nazionale. La specializzazione produttiva identifica l'area come un sistema produttivo organizzato secondo tipologie distrettuali che ha il suo centro a Barletta e i suoi
punti di forza nell'elevata diffusione della conoscenza del settore, nell'esistenza di una
diffusa "riserva professionale", in un atteggiamento favorevole del territorio nei confronti di un'attività economica così rilevante
e diffusa.
Nel distretto calzaturiero, nel 1998, erano
presenti 310 unità locali con 12.000
addetti(3).
Il settore del tessile e dell'abbigliamento E’
caratterizzato prevalentemente da aziende
di piccole e medie dimensioni, frequentemente a carattere familiare, che basano la
propria competitività sostanzialmente sul
prezzo e di conseguenza sul costo di produzione. E' rilevante in questo settore, come in
quello delle calzature, la diffusa presenza di
imprese per lo più terziste in cui sono presenti forme di lavoro sommerso.
Al tempo stesso, però, esiste una diversa tipologia di impresa che ha anche un prodotto proprio o un marchio proprio.
Altri settori produttivi rilevanti sono l'agro-alimentare, con il comparto molitorio e della
pastificazione a Corato, il lattiero-caseario
ad Andria, l'oleario-enologico-ortofrutticolo
in tutti i Comuni del Patto e la pesca per i
Comuni costieri; l'attività estrattiva (marmi,
graniti e sali); la meccanica di precisione,
con la lavorazione dei pezzi di ricambio metalmeccanici, l'assemblaggio di componenti
per l'auto); il terziario (commercio e pubblica amministrazione soprattutto, e poi trasporti e credito); ed il turismo.
E’ questa un'area, dunque, economicamente
caratterizzata da una rilevante e diffusa attività industriale, da un'attività agro-alimentare fortemente orientata verso le esportazioni,
da livelli di reddito e di consumo privato pro
capite superiori alla media meridionale, da
un elevato grado di apertura economica e
culturale all'esterno e di competitività territoriale.
I comuni di Andria e Barletta, insieme ad altri minori, sono stati promotori di un patto
territoriale denominato Nord Barese, riconosciuto dall’Unione Europea ed inserito nel
progetto pilota relativo ad 80 patti territoriali
europei, che hanno ottenuto il cofinanziamento.
SUD BARESE: L’ABBIGLIAMENTO
Nettamente separato da quello del Nord Barese, è il distretto dell’abbigliamento del Sud
Barese; il distretto è centrato sui sistemi locali
di Putignano e di Martina Franca, e su comuni contigui dei SLL di Bari Sud e Brindisi
(Noci nel primo caso e Francavilla Fontana
e Ceglie Messapica nel secondo), in cui vi
sono ampie produzioni di abbigliamento,
spesso collegate a quelle di Putignano e
Martina. Ha un fatturato di 650 miliardi, solo per una quota minima all’export; un’occupazione di 8.000 addetti; 745 unità
locali(4).
Nel distretto sono presenti diverse imprese fi(3) Fonte: Il Sole 24 Ore, 10 aprile 1999
(4) G. Viesti: “Come nascono i distretti industriali” Laterza, 2000
100
nali, con marchi propri e un’interessante collocazione di mercato e con un fatturato fra i
10 e i 50 miliardi. A Putignano è prevalente
la produzione di abbigliamento per bambini
e quella, ben più nota, degli abiti da sposa;
a Martina Franca di capispalla maschili. A
queste poi si affiancano altre produzioni minori, per esempio nella camiceria e negli accessori.
La storia di Putignano inizia nel 1905 quando Cesare Contegiacomo avvia un’impresa
di abbigliamento, dalla quale derivano nel
corso dei decenni tutte le altre.
Come in molti casi dell’Italia settentrionale,
anche a Putignano il ciclo così si è frantumato dando vita ad imprese di dimensioni molto più piccole e ad un’attività di subfornitura
per committenti settentrionali. La produzione
si assesta poi definitivamente su una struttura
di piccole e medie imprese di qualità media
e medio-alta.
101
LAVELLO: LA CORSETTERIA
l distretto industriale della corsetteria di Lavello, in provincia di Potenza, è sorto pressoché dal nulla all’inizio degli anni ’90. Nel
distretto operano(1) circa 52 imprese artigiane, specializzate nella corsetteria, soprattutto in reggiseni, costumi da bagno e body,
che vengono commercializzati sia in Italia
che all’estero. Le imprese del distretto hanno
un fatturato complessivo di 40 miliardi, con
circa 400 dipendenti. Negli ultimi anni sono
stati effettuati investimenti di circa 20 miliardi per il potenziamento delle strutture. Di
queste aziende, 40 lavorano per conto terzi,
in particolare per la GS di Modena. Otto,
invece, producono per conto proprio, le restanti quattro sono di servizi.
Il distretto della corsetteria sta crescendo, ma
non mancano i problemi.
Queste imprese venute su dal nulla devono
ogni giorno fare i conti con la carenza di
operai specializzati, ma anche con i vincoli
burocratici e con la insufficienza di aree industriali attrezzate. Molte aziende infatti sono costrette a lavorare in condizioni precarie. In molti casi si lavora nello spazio di
300 metri quadri tra centinaia di scatoloni
e su un unico tavolo di disegno, taglio e cucitura, perché non c’è spazio per metterne
altri.
L’area del lavellese è ormai satura e alle
aziende della corsetteria non resta che allargarsi in altre zone: Genzano, Venosa, Palazzo. L’obiettivo è quello di creare un altro polo sul tipo di quello del salotto materano,
puntando in questo caso su reggiseni ed intimo. Le premesse sono buone, così come le
intenzioni degli imprenditori, i quali vogliono svilupparsi e non fermarsi al livello di produzione raggiunto. Le aziende più strutturate
hanno poche decine di dipendenti, ma molti
collaboratori esterni che, a loro volta, potrebbero dar vita a strutture autonome.
I
BASILICATA
(1) Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 marzo 1998
102
MATERA - BARI: IL SALOTTO
Il distretto industriale del salotto(2) si trova tra
i tufi lucani e la Murgia pugliese, nel triangolo formato dal capoluogo Materano e i paesi di Altamura e Santeramo in Colle nella
provincia di Bari. Matera, però, può essere
considerata la capitale del polo, se non altro
per ragioni storiche. E’ qui che alla fine degli anni sessanta ha cominciato a produrre
mobili in stile Pasquale Natuzzi. Nel 1967
ha insediato il suo primo piccolo stabilimento di salotti; già nel 1973, la Natuzzi Salotti, con sede legale a Bari, era un realtà in
crescita, con 50 dipendenti e una produzione destinata interamente al mercato italiano.
Nel stesso anno, però, un incendio ha costretto la fabbrica materana alla chiusura, e
Natuzzi ha trasferito la grande parte della
produzione a Santeramo.
Oggi(2), il gruppo Natuzzi, quotato dal ‘93
a Wall Street, con quattro società di produzione (Natuzzi Salotti, Softaly, Diellesse, e
Italsofa), con quasi mille miliardi di fatturato
e con 4.000 dipendenti nel 1999, è il leader mondiale nella produzione dei divani
imbottiti in pelle per fatturato, per utili, e per
presenza nel mercato (20% del mercato
americano, 5% di quello europeo)
Insieme alla Natuzzi, la Calia Salotti di Matera, con 90 miliardi di fatturato e 500 dipendenti nel 1999, la Nicoletti Salotti di Matera, con 150 miliardi di fatturato e 500 dipendenti nel 1999, e altri salottifici del
“triangolo” sono riusciti a strappare ai maestri artigiani della Brianza e di altri distretti
lo scettro italiano del primato nel settore del
mobile imbottito.
Un aspetto particolarmente rilevante è costituito dalla forma organizzativa introdotta da
Natuzzi che ha decentrato alcune fasi - la
costruzione dello scheletro del divano in
compensato, il taglio del poliuretano - per
concentrarsi su altre fasi, come il design, il
reperimento delle pelli e la loro preparazione, il taglio, il montaggio e il controllo finale, la commercializzazione. L’assemblaggio
del divano è fatto all’interno con un sistema
simile ad una catena di montaggio, mentre i
vari pezzi (fusto, imbottitura, etc.) sono prodotti all’esterno. I tempi sono controllati dalla
casa madre, così come la rifinitura e l’imballaggio e, a monte, il disegno e la compilazione del catalogo.
Questo tipo di organizzazione, che ha consentito di abbinare un sistema in parte di tipo fordista con alcuni elementi di flessibilità,
oltre a ridurre molto i costi di produzione,
ha comportato la nascita sul territorio di un
certo numero di imprese (spesso per iniziativa di ex-operai Natuzzi) di semilavorati in
grado di soddisfare le richieste anche delle
altre imprese di salotti che a partire dagli
anni ‘80, sulla scia di Natuzzi, sono sorte,
a cavallo tra la Puglia e la Basilicata. A Matera, ad esempio, sono nate due imprese di
media dimensione promosse da due ex soci
di Natuzzi, Calia e Nicoletti, ad Altamura,
dove già negli anni ‘50 c’erano alcuni salottifici, ne sono nati di nuovi, altrettanto è avvenuto a Bitonto, vicino Bari, mentre a Santeramo si è stata allargata la fabbrica di
Natuzzi.
La particolare localizzazione delle imprese
del salotto - da una parte con il gruppo Natuzzi a Santeramo in Colle, dall’altra con
Calia, Nicoletti ed altre a Matera, altre ancora ad Altamura e a Bitonto - ha permesso
finora la convivenza di un insieme di imprese così diverse sia per dimensione sia per organizzazione produttiva. Infatti, accanto a
piccole imprese specializzate in fasi della
produzione (i laboratori localizzati nelle vecchie stalle e nei garage che sono spuntati
come funghi in ogni parte del triangolo), vi
sono imprese di media dimensione che producono l’intero prodotto all’interno ed altre
che in parte decentrano; alcune che operano singolarmente e altre che sono riunite in
gruppi
(1) Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, 23 marzo 1998
(2) Fonte: Il Sole 24 Ore, 3 febbraio 2000
103
Dall’altra parte, sia la Natuzzi, sia la Nicoletti che altri importanti produttori hanno realizzato o stanno realizzando nuovi investimenti nel triangolo. La Nicoletti ha costruito
nell’area industriale del Borgo La Martella,
alla periferia di Matera, uno stabilimento ad
altissimo livello tecnologico. Oggi, l’intera
attività produttiva del gruppo Nicoletti si
concentra in sei stabilimenti, integrati tra loro ed estesi su una superficie complessiva di
25 mila mq nella zona industriale di Matera. La produzione, destinata alla fascia medio-alta del mercato, è rappresentata per
l’80% da divani e poltrone in pelle e per il
restante 20% da prodotti rivestiti in tessuto e
alcantara.
Il nuovo stabilimento “La Martella”, è stato
inaugurato ai primi di dicembre del 1999.
Interamente cablato e altamente tecnologico. Per la prima volta in Italia viene impiegata la macchina per il taglio della pelle
“water-jet”, un impianto che con un sistema
laser estremamente sofisticato è in grado di
leggere i difetti ed il perimetro di ogni pelle,
impostare automaticamente le dimensioni e
tagliare con un getto d’acqua e aria a 20
mila atmosfere.
Il gruppo Flep, un’azienda di divani nata a
Bitonto nel 1981 e cresciuta negli anni fino
a raggiungere, nel 1996, 80 miliardi di lire
di fatturato consolidato, ha investito, attraverso la società controllata Divania, per realizzare un nuovo stabilimento nell’area industriale di Medugno (Bari) per la produzione
di divani in pelle di alta qualità, destinati
per il 60% al mercato USA, per il 25% all’Europa e per la parte restante al Giappone
e ad altri paesi asiatici.
La Natuzzi ha realizzato in località Iesce, a
pochi chilometri da Matera, nel territorio comunale di Santeramo, “una cittadella del salotto” (3). La cittadella, la chiave di volta del
cosiddetto progetto “Natuzzi 2000,” unisce
altissima tecnologia a capacità manuali di tipo artigianale e copre sul posto tutto il processo produttivo in pelle e tessuto, dall’approvvigionamento della materia prima al
prodotto finale. Per di più, a Iesce, a pieno
regime nel 2002, la Natuzzi darà lavoro a
circa 5.000 addetti, dei quali circa 3.000
nuovi occupati. L’investimento realizzato sta
consentendo alla Natuzzi di quadruplicare
la produzione rispetto al 1° gennaio 1994 e
di concentrare la maggior parte delle proprie attività, prima sparse in 70 unità in Italia, tra stabilimenti e magazzini, di cui 41
nel triangolo, “per razionalizzare l’intera catena produttiva”.
Negli ultimi anni, nel distretto hanno cominciato a localizzarsi anche imprese del Nord
attratte dal tessuto di piccole imprese a cui
affidare parte della produzione. Lo stesso divano viene prodotto in quattro giorni in
Brianza e qui in mezza giornata, e la qualità è comunque di buon livello.
(3) Fonte: Il Sole 24 Ore, 4 settembre 2000
104
CALTAGIRONE: LA CERAMICA
a città di Caltagirone ha un legame molto
stretto con il mondo della ceramica. Presso
Caltagirone ha sede il Museo Regionale della Ceramica, unico nel suo genere, ed i libri
di storia ceramica individuano nel città calatina il centro diffusore dell’arte ceramica in
tutta la Sicilia. A consacrare questa vocazione specifica è intervenuta la legge 180/90
con cui Caltagirone è stata definita Città di
antica tradizione ceramica ad elevata qualità. Nella città ha sede anche un importante
Istituto Statale d’Arte Ceramica che è stato la
fucina dei maestri d’arte che attualmente si
cimentano nella produzione della ceramica
artistica.
Il distretto della ceramica di Caltagirone(1) si
concentra prevalentemente sulle ultime due
fasi di lavorazione della filiera produttiva: la
lavorazione del semilavorato e la decorazione, sebbene il peso in termini di fatturato sia
preponderante a favore della decorazione.
Infatti, le botteghe artigiane si approvvigionano del semilavorato presso distretti ceramicoli nazionali (Deruta, Faenza, Vicenza) e
regionali (S. Stefano di Camastra). Attualmente, è in corso una riscoperta dell’artigianato locale del semilavorato che ha favorito
la nascita di nuove iniziative imprenditoriali
con prospettive di sviluppo molto elevate.
Una stima del potenziale mercato del semilavorato porta a determinare il volume d’affari
annuale della provincia di Catania ad oltre
3,5-4 miliardi.
La struttura aziendale tipica è di tipo artigianale e familiare. Le figure professionali delle
aziende artigianali specializzate nella decorazione - che rappresentano la quasi totalità
delle aziende del comparto - sono i decoratori, gli smaltatori, i modellisti, i figurinisti ed
i foggiatori. La funzione amministrativa viene
prevalentemente esternalizzata con il ricorso
a liberi professionisti. Le funzioni commerciali sono prevalentemente svolte dall’imprenditore senza l’ausilio di agenti di vendita o di
centri di distribuzione esterni all’area calatina.
L
SICILIA
(1) Fonte: Il Sole 24 Ore, luglio 1997
105
Il mercato di riferimento, prevalentemente locale, è costituito da turisti che vengono attirati da iniziative promozionali realizzate in
prevalenza dall’Amministrazione Comunale
e dalla locale sede dell’Azienda Soggiorno
e Turismo. Unica eccezione riscontrata di ricerca attiva della propria clientela è costituita dall’esperienza della azienda CEAR che
insieme ad un tour operator locale promuove
pacchetti escursionistici, all’interno dei quali
è previsto una sosta presso una Mostra Mercato permanente gestita dall’imprenditore.
I dati della Camera di Commercio elaborati
ai fini di uno studio sul distretto ceramico di
Caltagirone evidenziano una crescita dimensionale del comparto produttivo con la nascita di nuove iniziative imprenditoriali nel settore. Il trend evolutivo è di oltre il +20% annuo con una crescita che ha portato il numero delle aziende operanti da una decina alla
fine degli anni ’70, alle 104 aziende censite
nel 1997.
L’età media degli imprenditori è di 40 anni e
generalmente hanno intrapreso l’attività dopo una esperienza di apprendistato presso
artigiani locali (spin off). La scolarità è piuttosto elevata anche se orientata in prevalenza
su formazioni di tipo artistico, infatti, il 46%
degli imprenditori ha conseguito il diploma
di maturità artistica presso il locale Istituto
d’Arte per la Ceramica di Caltagirone.
La dimensione media delle imprese artigiane
è ufficialmente di 3-4 unità lavorative per
unità locale di produzione, ma la dimensione del sommerso è notevole aggirandosi secondo stime attendibili intorno al 90-100%
della forza lavoro ufficialmente impiegata.
Le attività principali delle botteghe artigiane
sono di due tipi:
• produzione di oggetti d’uso domestico
che nel tempo hanno acquisito una funzione ornamentale e di arredo;
• produzione di terracotta (in prevalenza invetriata) per elementi decorativi e costruttivi dell’edilizia.
Le relazioni con aree esterne a Caltagirone
sono rivolte al ragusano per quanto riguarda
l’artigianato del legno e del ferro, mentre
verso la zona Etnea per quanto concerne la
lavorazione delle pietre laviche. Ultimamente
emerge anche una realtà produttiva di pietra
lavica a Vizzini e Grammichele. In termini di
acquisto di semi-lavorati vi sono forti legami
con S. Stefano di Camastra in Sicilia e Faenza, Deruta e Vicenza a livello nazionale.
Esperienze professionali ed imprenditoriali
all’esterno sono molto rare e comunque non
si sono avute testimonianze di tentativi di
emulazione di realtà extra-locali.
S. STEFANO DI CAMASTRA: LA CERAMICA
La produzione di oggetti in ceramica che ha
dato origine a quello che può essere definito
come il distretto della ceramica di S. Stefano
di Camastra ha avuto inizio circa trecento
anni fa, in conseguenza di un evento calamitoso, che distrusse il Paese nella sua posizione originaria, costringendo gli abitanti di S.
Stefano a spostarsi in una nuova ubicazione
più a valle rispetto alla posizione originaria.
L’esigenza di edificare le nuove abitazioni
portò gli stefanesi a sfruttare un materiale
molto presente nel territorio, l’argilla, che fu
così usata per costruire le nuove abitazioni. I
primi lavori in argilla furono, dunque, materiali per l’edilizia, come le tegole e i “catusi”
(le moderne grondaie), che per la buona fattura e l’utilizzo sempre più comune nella costruzione delle case acquisirono subito una
buon mercato di vendita a livello regionale.
L’esigenza di sfruttare sempre più la risorsa
locale dell’argilla portò gli artigiani stefanesi
a produrre nuovi prodotti, che potessero incrementare la vendita di quella che nel frattempo era diventata un’attività importante
per l’economia di S. Stefano.
Fu in questo periodo che a S. Stefano ebbe
inizio la produzione della giara che aveva
caratteristiche completamente diverse dalle
106
giare prodotte in Sicilia ed in Italia. Infatti, le
giare di S. Stefano, grazie alla composizione dell’argilla, in cui vi è la presenza di sostanze carbogene non ben bilanciate con il
ferro, potevano essere tirate al tornio in dimensioni maggiori rispetto alle altre sino a
contenere quantità d’olio di circa
3.000–4.000 chili, peculiarità che rese la
giara il prodotto di punta di tutta la produzione stefanese, vista l’importanza che aveva in una società prettamente contadina come quella siciliana dei secoli scorsi, per la
conservazione dei prodotti agricoli come il
vino e l’olio.
Le prime imprese nate a S. Stefano che si dedicarono alla produzione di ceramica furono a conduzione esclusivamente familiare,
svilupparono una buona tradizione nella lavorazione che fu tramandata di padre in figlio sino ai giorni nostri.
Oggi,(2) le produzioni principali delle aziende stefanesi sono le maioliche e le terrecotte
artistiche, che riprendono le antiche stoviglie
per l’arredo delle abitazioni, e il materiale
pregiato ad uso edilizio: soprattutto le piastrelle negli ultimi anni stanno progressivamente acquisendo una maggiore rilevanza,
anche per una domanda di mercato che ha
registrato una notevole espansione. Accanto
a queste due linee principali, si è sviluppata
una certa diversificazione operata soprattutto da imprese giovani, spinte ad inserirsi nel
sistema con una certa dose di innovazione
di prodotto: si tratta di oggettistica varia e di
immagini sacre.
C’è un’integrazione dell’organizzazione della produzione in senso industriale ed artigianale dove il ciclo produttivo delle aziende,
pressoché uguale, parte da un semilavorato
che è il panetto grezzo di argilla, per finire
con la decorazione artistica.
La quasi totalità del tessuto produttivo è costituito da imprese artigiane.
La centralità del fattore umano, delle doti artigianali relative soprattutto alla creatività
nell’ideazione del pezzo e nel tipo di decorazione, rende ciascuna azienda gelosa custode di alcuni segreti tramandati di padre
in figlio, elemento che rende alquanto difficile l’ipotesi di un’integrazione orizzontale tra
le aziende nella fase di produzione.
Altra figura importante nel ciclo produttivo è
rappresentata dal torniante, che solitamente
è un extracomunitario, tunisino, che lavora
come cottimista per le aziende che richiedono la sua opera: il ricorso a questa figura è
dovuto alla mancanza in loco di questo genere di professionalità, che risulta necessaria
e strategica nel contesto della produzione.
Le aziende ricoprono mediamente una superficie di 1.500 metri quadri, e questo dimostra che è necessario un vasto spazio per
la produzione. Diverso il discorso per l’esposizione, infatti quasi tutte le aziende possiedono uno spazio espositivo e di vendita diretta localizzata nella strada statale che attraverso il comune di S. Stefano, la cui grandezza varia al variare del prestigio e del volume di produzione delle aziende.
Rispetto al rapporto con il mercato e con la
distribuzione commerciale è necessario operare una prima distinzione tra le aziende
leaders e quelle più piccole. Le prime hanno
un posizionamento abbastanza ampio e riescono a soddisfare sia la domanda locale siciliana, che comunque è piuttosto contenuta
anche per il forte radicamento della tradizione ceramica nell’isola e del conseguente alto
livello di concorrenzialità, sia quella nazionale ed internazionale. Non esiste una precisa strategia di marketing, ma è ormai divenuta una consuetudine la partecipazione alla Fiera Macef di Milano, che rappresenta
un’occasione interessantissima per l’impatto
che ha anche su operatori commerciali internazionali. E’ proprio grazie a queste partecipazioni che alcune aziende sono riuscite ad
avere una presenza significativa sui mercati
esteri, particolarmente quello statunitense,
quello tedesco e quello giapponese.
(2) Fonte: Il Sole 24 Ore, luglio 1997
107
SASSARI: IL SUGHERO, IL PECORINO
E IL GRANITO
a produzione di sughero e pecorino e l’estrazione di granito sono profondamente legate alla storia, alla cultura ed alla configurazione territoriale della Sardegna, ed in
particolare dell’area sassarese; complessivamente occupano circa 5.000 addetti, per un
volume di affari di oltre 1.000 miliardi.
Per quanto diversi, sotto il profilo dei mercati
e dei processi produttivi, i tre distretti presentano alcuni elementi comuni come la divisione
della produzione tra piccole e medie imprese.
La presenza di sistemi integrati di impresa,
che hanno saputo dare vita ad un processo
di sviluppo autonomo, e soprattutto con prospettive favorevoli, costituisce un elemento di
estrema rilevanza.
L
Il distretto del sughero(1)
È soprattutto la zona interna della Gallura,
che comprende i comuni di Aggius, Berchidda, Calangianus, Luras, Tempio Pausania
(dove ha sede la Stazione sperimentale del
sughero) ed altri di minore importanza, l’area di maggiore specializzazione con oltre
l’80% del sughero totale prodotto in Italia
(l’Italia è al quarto posto nel mondo - dopo
Portogallo, Spagna e Nord Africa - per
quanto concerne la produzione del sughero
e al secondo posto relativamente alla sua lavorazione e trasformazione).
Proprio in quell’area, fin dagli inizi degli anni ‘60, si è sviluppata tutta una serie di attività produttive, legate alla lavorazione e alla
trasformazione del sughero che hanno dato
vita ad un vero e proprio distretto industriale
(una ventina di industrie e oltre un centinaio
di imprese artigianali che danno lavoro ad
oltre 1.500 addetti diretti. A questi si aggiungono i 1.200 addetti che lavorano nelle
attività ausiliarie: estrazione, trasporti, macchinari, servizi. Il trend dell'occupazione è
crescente: +3-5% negli ultimi tre anni.
Il valore della produzione, che per l'80% trova impieghi nel settore enologico, è pari a
180 miliardi di lire.
SARDEGNA
(1) Fonte: La Repubblica, Affari e Finanza, 30 novembre 1998
108
Le imprese della zona producono soprattutto
turaccioli, solette per calzature, prodotti di
artigianato artistico e prodotti di sughero per
l’edilizia e l’arredamento.
Da alcuni anni ha anche preso forma un interessante comparto metalmeccanico che
produce macchinari per la lavorazione del
sughero tecnologicamente all’avanguardia
in Europa.
Il distretto del pecorino
Particolarmente importante è l’attività dei caseifici che producono il pecorino romano.
Una rilevante concentrazione di tali imprese
si riscontra a Thiesi, dove i caseifici locali
hanno ormai consolidato importanti rapporti
commerciali che consentono una notevole attività di esportazione, soprattutto verso i mercati nordamericani.
Nel settore "lattiero caseario" della provincia di Sassari operano 24 caseifici (10 imprese industriali e 14 società cooperative);
gli addetti sono 900 e la produzione totale
ammonta a 330 miliardi di lire.
La produzione del pecorino (Pecorino romano, Pecorino sardo doc e Fiore Sardo doc) e
degli altri prodotti caseari (soprattutto ricotta
e formaggi a pasta molle) utilizza come materia prima il latte raccolto da oltre 10.000
aziende di allevamento per un totale di 2,5
milioni di pecore (su un totale regionale di
circa 4 milioni di capi).
Il distretto del granito (2)
Nell’area intorno a Buddusò, si estrae una
quantità di granito vicino al 70% della produzione nazionale, ma solo una parte del
materiale estratto viene lavorato localmente
(la percentuale di granito trasformato sul posto è comunque passata dal 2% del 1985 al
30% del 1998). Lo sfruttamento intensivo riguarda tre diversi tipi di granito: il rosa, il
“ghiandone” (anch’esso rosa, ma con le
“ghiande” del feldspato più grandi) e il grigio perla. Le cave hanno una localizzazione
differenziata: il granito rosa si estrae nella
Bassa Gallura (soprattutto vicino alla costa,
ad Arzachena, Luogosanto e Bassacutena),
il “ghiandone” nell’Alta Gallura (Tempio,
Calangianus, Aggius e Luras) e il grigio perla nel Goceano, la regione a Sud della Gallura, con una elevata concentrazione a Buddusò.
Il distretto del granito è relativamente recente
(circa 20 anni) ed ha i suoi centri più importanti a Tempo Pausania, Arzachena e Buddusò-Ala dei Sardi. Le cave attive (estrazione)
sono circa 260 e 20 le imprese che tagliano
e lavorano il granito. Le cave aperte sono
circa 140 e gli addetti nella estrazione sono
circa 1.500; quelli nella lavorazione 500. Il
giro di affari ammonta a 240 miliardi di cui
50 sono esportati. La capacità di estrazione
è valutata in 400.000 metri cubi per anno
(90% della produzione nazionale).
Negli ultimi quattro anni, produzione e occupazione sono cresciute sensibilmente e vi sono ancora buone opportunità di espansione,
soprattutto nella trasformazione.
(2) Fonte: Il Sole 24 Ore, 14 novembre 1998
109
REGIONE PIEMONTE
a regione ha individuato i seguenti distretti industriali con DCR del 18.6.1996:
1. Chieri Cocconato
2. Ciriè Sparone
3. Forno Canavese
4. Pianezza Pinerolo
5. Rivarolo C.se – Pont C.se
6. Biella
7. Cossato
8. Crevacuore
9. Gattinara Borgo Sesia
10. Ferraris Santhià
11. Tollegno
12. Trivero
13. Carpignano Sesia
14. Oleggio
15. Omegna Varallo Sesia
16. San Maurizio d’Opaglio Armeno
17. Varallo Pombia
18. Cortemiglia
19. Lamorra
20. Revello
21. Sanfront
22. Canelli S. Stefano Belbo
23. Casale Monferrato Ticineto Quattordio
24. Cerrina Monferrato
25. Valenza Po
L
ALLEGATO
I
DISTRETTI
RICONOSCIUTI
DALLE
REGIONI
REGIONE LOMBARDIA
La Regione Lombardia ha provveduto ad
una prima elencazione dei distretti con deliberazione del 17.11.1993, individuandone
21; successivamente, in coerenza con la
Legge Regionale 1/2000, che prevede la
revisione della normativa in materia di distretti industriali, ha provveduto – con delibera del 16 marzo 2001 – alla ridefinizione di
16 nuovi distretti industriali, che sostituiscono
i precedenti.
1. Valle dell’Arno
2. Lecchese, metalmeccanico
3. Valli Bresciane
4. Serico Comasco
5. Val Seriana
110
6. Castel Goffredo
7. Bassa Bresciana, cuoio
8. Sebino
9. Est Milanese
10. Brianza
11. Bergamasca Val Cavallina
12. Lecchese, tessile
13. Bassa Bresciana, abbigliamento
14. Gallaratese
15. Vigevanese
16. Calasco Viadanese
FRIULI VENEZIA GIULIA
La regione ha individuato criteri ed aree relative ai distretti industriali con Legge regionale n. 27 del 21.11.1999:
1. San Daniele
2. Manzano
3. Maniago
4. Sacile
VENETO
Ha provveduto all’individuazione dei distretti
con PCR n. 79 del 22 novembre 1999:
1. Area Pedemontana
2. Area Meridionale
3. Bassa Pianura Veronese
4. Sinistra Piave
5. Montebelluna
6. Collina orientale veronese
7. Arzignano
8. Bellunese e Trevigiana
9. Veronese
10. Vicenza
11. Riviera del Brenta
12. Nove
13. Murano
14. Polesine Occidentale
15. Lagunare Costiero
16. Schio e Thiene
17. Bassano del Grappa
18. Delta Po e Chioggia
19. Conegliano
EMILIA ROMAGNA
La regione ha seguito una strada diversa
dalla semplice individuazione, rinviando alla iniziativa degli attori locali di autoproporsi come sistema distrettuale e negoziare con
la Regione i progetti di sviluppo.
MARCHE
La regione ha individuato i distretti con proprio provvedimento n, 310 del 30.7.1998:
1. Fermo-Macerata
2. Fabriano
3. S. Benedetto del Tronto
4. Recanati
5. Osimo
6. Castelfidardo
ABRUZZO
Con legge regionale del 18 maggio 2000,
la Regione ha individuato il distretto agro industriale della Marsica.
CAMPANIA
La regione ha istituito i distretti con deliberazione n, 70 del 2 giugno 1996:
1. Solofra
2. Calitri
3. S. Marco dei Cavoti
4. S. Agata dei Goti – Casapulla
5. Grumo Nevano – Aversa – Trentola –
Ducenta
6. S. Giuseppe Vesuviano
7. Nocera Inferiore
111
SOMMARIO
INTRODUZIONE
RAPPORTO: NOTA METODOLOGICA
PIEMONTE ............................................................................................................
22
BASSO CUSIO: LE VALVOLE E LE RUBINETTERIE ........................................................
22
BIELLA: IL LANIERO ................................................................................................
23
OMEGNA - VARALLO SESIA – STRESA: I CASALINGHI .............................................
23
VALENZA PO:LA GIOIELLERIA .................................................................................
24
LOMBARDIA – I NUOVI DISTRETTI ...........................................................................
26
BASSA BRESCIANA: LE CONFEZIONI E L’ABBIGLIAMENTO ......................................
26
BASSA BRESCIANA: IL CUOIO E LE CALZATURE ......................................................
26
BERGAMASCA, VAL CAVALLINA: L’ABBIGLIAMENTO E I MOBILI ...............................
27
BRIANZA: IL MOBILE ..............................................................................................
27
CASALASCO - VIADANESE: LA LAVORAZIONE DEL LEGNO .....................................
29
CASTELGOFFREDO: IL TESSILE E LE CALZE ...............................................................
30
COMO: IL TESSILE E IL SERICO ...............................................................................
30
EST MILANESE: APPARECCHI ELETTRICI ED ELETTRONICI ..........................................
32
GALLARATESE: LE CONFEZIONI E L’ABBIGLIAMENTO ..............................................
33
LECCHESE: LA PRODUZIONE E LA LAVORAZIONE DEI METALLI .................................
33
LECCHESE: IL TESSILE .............................................................................................
34
SEBINO: LA GOMMA E LA PLASTICA .....................................................................
34
VALLE DELL’ARNO: PRODUZIONE E LAVORAZIONE METALLI .....................................
34
VALLI BRESCIANE: LA PRODUZIONE E LAVORAZIONE DI METALLI .............................
35
VALSERIANA: IL TESSILE .........................................................................................
35
VIGEVANESE: LE CALZATURE .................................................................................
36
LOMBARDIA – GLI ALTRI DISTRETTI ..........................................................................
37
BELGIOIOSO: LA MECCANICA ..............................................................................
37
CANNETO SULL’OGLIO: I GIOCATTOLI ..................................................................
37
SUZZARA: LE MACCHINE AGRICOLE .....................................................................
38
LIGURIA ................................................................................................................
39
112
SESTRI PONENTE: L’ELETTRONICA ..........................................................................
39
VAL FONTANABUONA: L’ARDESIA .........................................................................
40
VENETO ...............................................................................................................
41
ALTO LIVENZA: IL MOBILE .....................................................................................
41
ALTO VICENTINO: IL SETTORE METALMECCANICO .................................................
42
ARZIGNANO: LA CONCERIA ................................................................................
42
BELLUNO: LA PRODUZIONE DI OCCHIALI ..............................................................
43
MONTEBELLUNA: LA CALZATURA SPORTIVA ............................................................
44
MURANO: IL VETRO ..............................................................................................
45
RIVIERA DEL BRENTA: LE CALZATURE ......................................................................
46
VICENZA: L’OREFICERIA .........................................................................................
46
FRIULI – VENEZIA GIULIA ........................................................................................
47
CONEGLIANO: L’INOX .........................................................................................
47
MANIAGO: LA COLTELLERIA ...................................................................................
48
MANZANO: LE SEDIE ............................................................................................
48
SAN DANIELE: IL PROSCIUTTO ...............................................................................
50
EMILIA ROMAGNA ................................................................................................
51
CARPI : LA MAGLIERIA ...........................................................................................
51
CENTO: LE MACCHINE AGRICOLE .........................................................................
53
FORLI’: IL MOBILE IMBOTTITO .................................................................................
53
FORLI’-CESENA: L’AGROALIMENTARE .....................................................................
54
LANGHIRANO: IL PROSCIUTTO ..............................................................................
56
MIRANDOLA: LE IMPRESE BIOMEDICALI ..................................................................
56
MODENA-REGGIO EMILIA: LE MACCHINE AGRICOLE .............................................
58
RIMINI: IL LOISIR ....................................................................................................
59
RIMINI: L’ABBIGLIAMENTO E LE CALZATURE ...........................................................
59
SAN MAURO IN PASCOLI E L’AREA DEL RUBICONE: LE CALZATURE ..........................
60
SASSUOLO: LE PIASTRELLE .....................................................................................
61
TOSCANA ...........................................................................................................
62
AREZZO: L’OREFICERIA E L’ABBIGLIAMENTO ...........................................................
62
CARRARA: IL MARMO ............................................................................................
63
CASCINA E PONSACCO: IL MOBILE .......................................................................
65
113
EMPOLI: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO ......................................................................
65
FIRENZE: LA PELLETTERIA ........................................................................................
67
LAMPORECCHIO: LE CALZATURE ............................................................................
68
LUCCA: IL CARTARIO..............................................................................................
69
PRATO: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO .......................................................................
69
QUARRATA: IL MOBILE IMBOTTITO .........................................................................
71
SANTA CROCE SULL’ARNO: IL CONCIARIO ............................................................
72
SESTO FIORENTINO: LA CERAMICA .......................................................................
74
SIENA: IL CRISTALLO, L’AUTOCARAVAN E I MOBILI ..................................................
75
VIAREGGIO E LA VERSILIA: LA CANTIERISTICA ........................................................
76
MARCHE ..............................................................................................................
77
CASTELFIDARDO: GLI STRUMENTI MUSICALI............................................................
77
FERMO: LE CALZATURE ..........................................................................................
77
MONTEFELTRO: IL TESSILE/ABBIGLIAMENTO ...........................................................
78
PESARO: IL MOBILE ...............................................................................................
79
SAN BENEDETTO DEL TRONTO: L’AGRO ALIMENTARE ............................................
81
UMBRIA ................................................................................................................
83
CITTA’ DI CASTELLO: LA GRAFICA E LA CARTOTECNICA ..........................................
83
LAZIO ...................................................................................................................
86
CIVITA CASTELLANA: LA CERAMICA .......................................................................
86
ABRUZZO .............................................................................................................
87
ABRUZZO CENTRO SETTENTRIONALE: IL MOBILE ....................................................
87
ABRUZZO MERIDIONALE: L’ABBIGLIAMENTO ..........................................................
87
CASTELLI: LA CERAMICA ........................................................................................
88
FARA SAN MARTINO: LA PASTA ............................................................................
89
VAL VIBRATA: PELLETTERIA, ABBIGLIAMENTO E CALZATURE ......................................
89
MOLISE ................................................................................................................
91
ISERNIA: L’ABBIGLIAMENTO ..................................................................................
91
CAMPANIA ..........................................................................................................
92
CAPODIMONTE: LA PORCELLANA .........................................................................
92
CITTADELLA ATELLANA: L’ABBIGLIAMENTO .............................................................
93
CITTADELLA AVERSANA: LE CALZATURE ..................................................................
94
114
PENISOLA SORRENTINA: I COSTUMI DA BAGNO ..................................................
94
S. GIUSEPPE VESUVIANO: IL POLO TESSILE .............................................................
95
SOLOFRA: LE CONCERIE ........................................................................................
95
TARI’: LA CITTADELLA DELL’ORO .............................................................................
96
TORRE DEL GRECO: IL CORALLO E L’OREFICERIA .....................................................
96
PUGLIA .................................................................................................................
98
CASARANO : LE CALZATURE ..................................................................................
98
NORD BARESE : IL TESSILE E L’ABBIGLIAMENTO .......................................................
99
SUD BARESE: L’ABBIGLIAMENTO ............................................................................ 100
BASILICATA .......................................................................................................... 102
LAVELLO: LA CORSETTERIA ..................................................................................... 102
MATERA - BARI: IL SALOTTO ................................................................................... 103
SICILIA .................................................................................................................. 105
CALTAGIRONE: LA CERAMICA ............................................................................... 105
S. STEFANO DI CAMASTRA: LA CERAMICA ............................................................. 106
SARDEGNA ......................................................................................................... 108
SASSARI: IL SUGHERO, IL PECORINO E IL GRANITO ............................................... 108
ALLEGATO ........................................................................................................... 110
I DISTRETTI RICONOSCIUTI DALLE REGIONI ............................................................. 110
115
116