Privo di una macchina fotografica, voi camminate

Transcript

Privo di una macchina fotografica, voi camminate
«Privo di una macchina fotografica, voi camminate allegramente e notate le cose essenziali.
Corredato di una macchina fotografica voi entrate in un singolare ordine di idee.
«Vedete un gatto: "Oh! un gatto!" esclamate, e siete commossi come se vedeste un dinosauro.
Fotografate il gatto.
«Vedete un mattone posato su una cassa da imballaggio: "Oh, un mattone su una cassa da
imballaggio!" esclamate presi da profonda emozione come se aveste scorso un cacciatorpediniere su
un campanile. E sparate fotografie al mattone.
«Poi scoprite l'inquadratura, il controluce, il particolare. Alla fine sviluppate le negative, considerate
con disgusto le riproduzioni e le seppellite sotto qualche catasta di cartacce.
«La macchina fotografica è un arnese pericoloso: quando l'avete a tracolla ogni povera cosa vi
sembra originale e interessante. Meglio quindi lasciare a casa questo dannato meccanismo: almeno
potrete esclamare ogni tanto: "Oh se avessi la macchina fotografica!"»
«Il cicloturista saggio chiuda nella ghiacciaia di casa la macchina fotografica e parta a mani vuote.
Allora gli accadrà, arrivato a un lago, di veder affiorare un mostro antidiluviano e si morderà a
sangue le mani per non aver portato seco la macchina fotografica...»
Questo consigliava nostro padre agli appassionati di fotografia: in realtà non chiuse mai la sua
macchina fotografica nella ghiacciaia e fotografò parecchio, con risultati che, a nostro parere,
dimostrano quanto bene abbia fatto a non seguire questa sua strampalata teoria. A distanza di più di
trent'anni dalla sua scomparsa, vogliamo farli conoscere questi "risultati", e questo libro ci permette
di mostrarlo ai suoi "ventitré lettori" in una nuova veste. Scopriamo così assieme un lato nuovo della
sua produzione di artista "multimediale".
Al Giovannino scrittore, giornalista e polemista, disegnatore e sceneggiatore, si affianca un altro
Giovannino, nuovo di zecca: il fotografo dei sentimenti, attento testimone oculare del suo tempo e
della sua gente.
Carlotta e Alberto Guareschi
LE SUE FOTOGRAFIE DAL 1934 AL 1952
Giovannino si diverte 1934
Parma, 1934, vigilia della partenza di Giovannino per il servizio militare. Destinato alla Scuola Allievi
ufficiali di complemento di Potenza, prima di salire in treno,
Giovannino cattura le sue ultime immagini in borghese.
Melfi (PZ), 1935. Vita al campo.
Un gruppo di militari sta stendendo lungo una strada sterrata le linee di collegamento per le
trasmissioni.
il servizio militare: 1934-1935, Potenza & dintorni
Giovannino parte per la Scuola Allievi ufficiali di complemento di Potenza nel novembre 1934.
Porta con sé la sua Voigtlander riportandone un "servizio" di immagini sulla vita militare, sulla gente
e sui luoghi che lo hanno ospitato: Potenza, Melfi e dintorni.
Commenta molte delle foto militari con frasi e sonetti scherzosi (anche se pieni di nostalgia per
Parma e per l'Ennia) scritti in calce o sul retro, oppure nell'album che li raccoglie.
Li riportiamo nei titolini e sotto le foto, tra virgolette. Poche foto per documentare la vita di
caserma di Giovannino
Potenza, 1934-1935.
Cambio della guardia. In primo piano, a sinistra, un marziale Giovannino.
«La foto è veramente brutta assai
E per vedermi tu faticherai.
Ma io spero che assai più facilmente
Tu mi riveda dentro la tua mente…»
Di sentinella all'entrata della caserma
Potenza, 1934-1935.
La Patria è al sicuro con Giovannino di guardia.
La "Domenica del Cortile"
Potenza, 1934-1935.
Giovannino e colleghi alle "grandi manovre".
Potenza, 1934-1935.
Giovannino ha la situazione sotto controllo.
Potenza, 1934-1935.
Realtà quotidiana oltre il muro della caserma.
Giovannino in libera uscita
Giovannino in libera uscita con la sua fedele Voigtlander si guarda attorno con curiosità.
Appena fuori dalla recinzione della caserma, situata alla periferia della città, riprende il piccolo
commercio della gente dei dintorni accompagnata dai loro mezzi di trasporto e di sostentamento:
pecore, maiali, asini. Viene colpito dalla realtà locale e i commenti alle foto di gente e situazioni
umane sono essenziali e tradiscono la sua partecipazione emotiva.
Potenza, 1934-1935.
L’economia della città è legata alla agricoltura e alla pastorizia
Potenza, 1934-1935.
La chiesa di fronte alla caserma
Potenza: l'ingresso trionfale alla città
Potenza, 1934-1935.
Allievi ufficiali a passeggio entrano in città e vengono fermati da un venditore ambulante.
Giovannino sale la strada che conduce alla città, più in alto, e vi entra assieme ai suoi commilitoni
attraverso la grande porta.
Sale lungo la scalinata e poi lungo una strada innevata che passa a fianco di due punti nevralgici
Novembre. Entrata alla città con cessi pubblici
Potenza, 1934-1935.
Ingresso della città. Sulla destra si nota una scritta illuminante.
3 febbraio. Piazzetta con monumento più importante
Potenza, febbraio 1935.
Il posto di Vespasiano. Le strade, i vicoli, paiono residui di un secolo fa.
Asino al sole
Potenza, 1934-1935.
Il ritmo della vita nei vicoli è scandito dal passo di asini e muli.
La prigione
Potenza, 1934-1935.
Giovannino riprende le bocche di lupo delle celle.
Il sole tiepido richiama sulle soglie delle case la gente. I vicoli e le anguste piazzette sono
maleodoranti e con la biancheria stesa fuori come nei vicoli e negli angiporti di Parma.
Potenza, 1934-1935.
Sopra e a sinistra: i vicoli pieni di panni stesi e di bambini.
Potenza, 1934-1935.
Vecchi e bambini si scaldano al sole invernale. A destra: immortalata anche l'ombra di Giovannino.
Potenza, 1934-1935.
Incuriositi ma diffidenti, i bambini accennano un sorriso.
I bambini sono i padroni dei vicoli e dei borghi. Come a Parma. Giovannino li fotografa con
attenzione.
Potenza, 1934-1935.
Dopo aver conquistato la vetta della soglia di casa uno sguardo indagatore verso il fotografo.
Tradisce la sua pena fotografando i bambini del brefotrofio: per non spaventarli si abbassa fino a
terra con l'obiettivo per mettersi alla loro altezza.
La foto è un documento toccante.
Potenza, 1934-1935.
I bambini del brefotrofio: tutti uguali, senza un sorriso. Alcuni accennano a un saluto romano...
Gli uomini hanno il tabarro come alla Bassa: Giovannino, rinfrancato, si sente un po' più vicino a
casa.
3 febbraio. Riunione elegante in un pomeriggio domenicale all'entrata della città
Il fotografo in gonnella
Potenza, 1934-1935.
La fotografa ambulante con la sua attrezzatura.
Potenza, 1934-1935.
Una venditrice di latte con la sua attrezzatura e l'aiutante.
Nelle strade importanti la gente par venuta fuori dal secolo precedente, vestita con antichi costumi e
intenta a professioni che contraddistinguono una dignitosa povertà.
Sedici armi dopo, a un politico che gli rimproverava il suo disinteresse per il problema della povera
gente, ricorderà questa tappa nella città lucana additando al «severo giudizio della storia» un certo
sergente dell'approvvigionamento il quale, secondo lui, sarebbe stato la causa del suo
«disinteresse»:
«E non sfugga al severo giudizio della storia quel sergente che, alla Scuola Allievi ufficiali di Potenza,
mi ha assegnato un paio di scarpe così larghe da impedirmi ogni scioltezza di movimento.
Trovandomi nella infelice (economicamente) zona della Lucania avrei potuto agevolmente scoprire
fin dal 1935 il problema del Mezzogiorno. Cosa che non mi fu possibile appunto per la scarsissima
autonomia di marcia che le calzature mi permettevano»
Potenza, 1934-1935.
Una donna della campagna viene al mercato con tutta la sua merce in testa e nelle mani.
Potenza, 1934-1935.
Un allievo osserva una anziana donna che procede cauta con un secchio in mano sul lastricato bagnato di pioggia.
Come si intuisce guardando le foto di Potenza, le scarpe di Giovannino erano invece strette al punto giusto da
permettergli di accorgersi dei «problemi della povera gente».
Potenza, 1934-1935.
Donna in costume locale: deve essere molto antico e, già in quegli anni, raro da vedersi. Giovannino lo annota
sulla fotografia
Gente di montagna
Potenza, 1934-1935.
Sopra: il fascino del tabarro è troppo forte per Giovannino. Di fianco: probabile ingresso di un locale
pubblico frequentato dai militari.
La Grotta Azzurra
Potenza, 1934-1935.
Una donna della campagna al mercato in attesa dei compratori con la sua merce per terra.
Potenza, 1934-1935.
Residenza ai "piani bassi" del palazzo.
Potenza, 1934-1935.
Questo pastore, con le gambe coperte dalle fasce, forse ha ricordato a Giovannino le statuette del
Presepe.
Potenza, 1934-1935.
Una donna della campagna attende, con il grosso ombrello in mano, di ritornare a casa dopo il
mercato.
L’acqua e il pane
Potenza, 1934-1935.
Giovannino riesce a trovare una pianta gabbata come alla Bassa e, con la scusa della fontana, la
fotografa. Sul retro della foto Giovannino ha scritto: «L'acqua e il pane». La donna, infatti, mentre
attende che il secchio si riempia d'acqua, mangia un pezzo di pane.
La foto di una anziana donna alla fontana ci ricorda che Giovannino parlava sempre dell'acqua
buonissima e altamente diuretica di Potenza che obbligava gli allievi ufficiali a lunghe corvée
notturne...
Potenza, 1935.
Scorcio tra le rovine.
Dopo questo giro tra gente e cose ferme nel tempo, Giovannino rientra gradualmente nel Ventesimo
secolo. Fotografa il mercato di Potenza ricordando certamente quello della Ghiaia a Parma.
Riprende il contatto con la parte moderna della città il cui traffico di veicoli viene disciplinato con
autorità da un pizzardone col pennacchio sul cappello e la sciabola al fianco. Ai muri sono appiccicati
manifesti e locandine che invitano al cinema.
Potenza, 1934-1935.
Il pizzardone, appena uscito dalla tabaccheria e con il sigaro acceso, chiacchiera con un cittadino.
Potenza, 1934-1935.
Questa sera nella Sala Roma: Il re dell'arena con Eddie Cantor. Poi il Giornale Luce e I tre porcellini.
Potenza, 1934-1935.
Danno La principessa della Czarda.
Siamo nella parte più elegante della città: il palazzo del Governo e il «Modern Hotel»
Palazzo del Governo
Potenza, 1934-1935.
Donne in costume tradizionale.
Potenza, 1934-1935.
Anche Potenza ha subito il fascino della modernità
"Vedi? E' supremamente molto bello
il Gran Modern Hotel di Pecoriello
La limousine che c'è ferma dinnante
non ti par d'una grazia affascinante?
Ebbene, questa gran magnificenza
è la cosa più bella di Potenza!
Ti spieghi quindi ben perchè io adesso
pensi con nostalgia a borgo del Gesso!"
La libera uscita si conclude con la ricerca di un po' di "calore"
"Con la neve in cerca di un po' di fuoco. Potenza, la strada delle -case da tè-"
Potenza, 1934-1935.
Giovannino e due colleghi, visti dall'alto, guardano in su.
Potenza: piazzetta del centro
Potenza, 1934-1935.
Giovannino e collega, fermi per strada, guardano in alto.
Potenza, 1934-1935.
Ultima tappa prima del rientro in caserma
"Non sapendo più dove andare a sbattere il capo entri in uno di quei salotti in cui si sa come si va
dentro e non si sa mai come si viene fuori..."
Marzo: si avvicina il caporalato
Potenza, marzo 1935.
Dal palco che sta preparando per la festa del "caporalato", Giovannino in fremente attesa dei gradi
di caporale, saluta romanamente (col pugno chiuso...).
Potenza, marzo 1935.
Giovannino, maestoso e fiero caporale, è pronto per il campo e invia la foto, con dedica, a Ennia...
"Fior di mortadella:
Eccomi caporale diventato.
Speriam, però, che la
mia Rossa bella,
Non trovi il modo di farmi -soldato-.
Nino, 14 febbraio 1935
"Il cappotto (...) attillato sul torace e stretto nelle spalle abbandonava arrivato al colletto la sua
avarizia in modo da permettermi di rimanere tuffato fino alla bocca nel soffice panno del bavero.
Indiscutibilmente corto sul davanti, tanto che le ginocchia lavoravano allo scoperto, dietro però,
pentito della sua tirchieria, si abbandonava allo scialo e arriciatosi in piegoni e contropieghe arrivava
ad
accarezzarmi
i
talloni."
"Oltre a tutto questo portavo uno sciabolone da cavalleria che mi arrivava con l'elsa allo sterno."
"quando dovevo sguainarlo ero costretto a farmi aiutare da qualche amico."
Giovanino: al campo
"Un giovanino, malpompato, malbardato e maldisposto assieme a due commilitoni alla stazione di
Potenza in partenza per il campo. Non si tratta più del Giovannino marziale della foto precedente.
"Con lo schioppo ed il -bottinoCon borraccia e tascapan
Se ne parte il vecchio Nino
Verso il campo Melfitàn".
Melfi (PZ), 1935.
Si intuisce già quale sarà la meta della prossima libera uscita di Giovannino.
Melfi (PZ), 1935.
Sopra: traffico notevole per quel tempo nel centro della città: due macchine, tre camioncini e un
carretto Sotto: il lavatoio pubblico pieno di lavandaie.
Melfi (PZ), 1935.
Sulla strada il salita per il campanile si vedono due donne che portano al forno le micche di pane da
cuocere.
Melfi (PZ), 1935.
Militari con maschera antigas a tracolla o ancora indosso.
Melfi (PZ), 1935.
Una pausa durante l'esercitazione per scrivere all'Ennia.
Finalmente
"L'esplosione di gioia per la fine del servizio militare è immortalata con un probabile autoscatto.
L'euforia ha reso approssimativa l'inquadratura e risultano eliminati arti inferiori e superiori.
Il messaggio tuttavia rimane intatto: Giovannino non vede l'ora di spiccare il volo per Parma
Melfi (PZ), 1935.
Ultimo giorno di campoUna pausa durante l'esercitazione per scrivere all'Ennia.
borgo del Gesso a Parma: 1934-1935, un poco di bohème...
"Io allora abitavo in un appartamento sistemato nella stanza d'angolo di un ultimo piano"
"Grazie a un ingegnoso gioco di telai ricoperti di carta da tapezzeria l'unica stanza era divisa in tre
graziosi vani: camra da letto, salotto e gabinetto, se non proprio da bagno, almeno da catinella
dove, misurando i movimenti cercando di mantenermi ben diritto, riuscivo agevolmente a farmi la
barba e a lavarmi la faccia senza sconfinare nel locale adiacente."
Parma, 1934.
Ennia nella stanza soffitta di Giovannino in borgo del Gesso.
Parma, 1934.
Ennia, comodamente seduta su un banchetto di legno coperto con un sacco e ingentilito con un
cuscino, guarda verso Giovannino, l'artefice della maschia e granitica sedia in primo piano.
«Dove non riuscivo a evitare lo sconfinamento era nella camera da letto: per rimanere nella
giurisdizione dell'ambiente avrei dovuto disporre verticalmente il letto: non potendolo fare, ero
costretto a dormire con le gambe in salotto.
«Confesso con rossore che qualche ragazza veniva a farmi visita. A onor del vero posso assicurare
però che avevo cura di scegliere sempre ragazze molto snelle e di statura non eccessiva. E poi chi
poteva preoccuparsene allora? Io a quel tempo ero giovane, magro, romantico e l'amore era una
cosa tanto importante per il mio piccolo cuore che anche il più grave sconfinamento non sarebbe
riuscito a turbare il mio ordine spirituale.
«Ricordo che, una sera, una graziosa ragazza venuta a farmi visita, colta da non so quale angoscioso
pensiero, singhiozzò: "Signor Giovannino! Cosa dite mai?".
«E si appoggiò timorosa come una pecorella contro la tramezza della stanza da letto. La vidi
scomparire e la ritrovai che, sfondata anche la tramezza del salotto, stava seduta nella catinella
piena d'acqua nel gabinetto appunto da catinella. Oh, dolci e lontane follie d'amore...»
Parma, 1934.
Ennia, per poter vedere il cielo dalla finestra a pavimento,
si è seduta per terra.
notizie da Zavattini
Il corso a Potenza è terminato e Giovannino torna a Parma nel maggio del 1935 in licenza in attesa
di andare alla Scuola di Applicazione di Modena per la nomina al 6° Reggimento di Artiglieria di
Corpo d'Armata (partirà nel febbraio del '36). Durante l'attesa due grossi avvenimenti: il
licenziamento dal Corriere Emiliano e - pochi giorni dopo il suo rientro a Parma - la pubblicazione
della prima di una lunga serie di strips sul settimanale di Rizzoli Il Secolo Illustrato, che aveva la
caratteristica di essere inchiostrato color marrone. La segnalazione a Filippo Piazzi, il direttore,
l'aveva fatta l'amico Cesare Zavattini al quale Giovannino, appena rientrato da Potenza, scrive:
«Caro Za,
«appena di ritorno dalla Scuola di Artiglieria - verso il 20 del mese scorso - sono venuto a Milano
Parma, 1934.
Ennia appare seduta su una soffice poltrona costruita da Giovannino ma il suo sguardo intenso e
preoccupato ne tradisce la durezza e la scomodità.
È evidente il tentativo di rendere accogliente la stanza ma l'insieme non risulta particolarmente
sfarzoso.
con l'intenzione di ringraziarti di persona per quanto hai fatto per me. Ma tu non c'eri. Ora che sono
in possesso del tuo indirizzo posso finalmente scriverti ed esprimerti la mia più sincera riconoscenza.
Capirai se non sono contento! Ho seguito alla lettera il tuo consiglio e mando solo lavori "sudati".
Peccato che il rotocalco non mi permetta di esprimere tutto quello che mi sento.
«Io fatico moltissimo a disegnare con tratto pesante: se potessi lavorare in punta di penna potrei
fare due volte di più ed essere personale. Giusta l'osservazione della somiglianza con Camerini
(Augusto, noto illustratore del Becco Giallo e del Travaso, N.d.A.). Ma non me ne addoloro: il
modello è tanto grande che è già un pregio poterlo imitare. Ma credi che io "sento" questo genere e
che, caso mai, non sono influenzato dal segno e dalla maniera ma dallo spirito dell'umorista
suddetto.
«Ho a casa qualcosa che non potrà essere riprodotto in rotocalco e che rivela un altro spirito. Te la
farò vedere. (...) Gradirei qualche tua parola e qualche consiglio. Se hai tempo, si capisce. Io te ne
sarò sempre molto riconoscente...».
La poltrona di Montanelli
Parma, 1935.
Giovannino è tornato da Potenza ed Ennia ritorna nella stanza-soffitta di borgo del Gesso.
In primo piano la poltrona calunniata da Montanelli.
«"Tutto fatto in casa, ragazzi, con le mie mani: muri, mobili, impianto elettrico, fornelli, sedie".» Con
queste parole Giovannino, secondo Indro Montanelli (I rapaci in cortile, Longanesi, Milano, 1952),
riesce a far sedere l'amico Andrea Rizzoli sulla poltrona di legno che lui ha fabbricato. Il risultato,
secondo Montanelli, è questo:
«Come di colpo lo vediamo ruzzolare per terra in un groviglio di assi, di chiodi e di viti»...
La poltrona esiste ancora, è indistruttibile. Diamole un'occhiata nella foto qui sopra: siamo nel 1935
in borgo del Gesso nell'appartamento-stanza-soffitta di Giovannino. L'artigiano è talmente fiero di
fotografare la "sua" poltrona da sacrificare un intero piede di Ennia.
Nel febbraio del '36 l'aspirante ufficiale Giovannino parte per il 6° Reggimento d'Artiglieria di Modena
e, durante il campo estivo a Villa Minozzo, viene raggiunto dalla rombante «Augusta» di Andrea
Rizzoli. Il resto della vicenda è già leggenda...
Sambuco (CN), 1939.
Giovannino e i mitraglieri al campo.
il richiamo alla armi - 1939-1940, Sambuco & dintorni
«Nel 1939 il cielo d'Europa diventò cupo. Pareva che dovesse scoppiare la guerra da un momento
all'altro e il Regio esercito decise: "È necessario richiamare d'urgenza il tenente d'artiglieria
Giovannino Guareschi e mandarlo a presidiare i confini con la Francia".
«Mi spedirono in Piemonte, in un paesino chiamato Sambuco...»
«La mia vita è una continua milizia. Febbraio-luglio 1936: campagna di Modena e dintorni. Maggio
1939: campagna di Acqui con visione della Bollente e del castello di Castelletto d'Erro. Luglio-agosto
1939: campagna di Carcare, Spotorno, Albisola, Finale Ligure e Alassio...»
Sambuco
«Forse è anche inutile che io vi parli di Sambuco: ma a me piacciono le cose inutili, perché le cose
inutili sono il sale della vita: e se un uomo volesse esclusivamente fare le cose utili, dovrebbe
soltanto cercare di morire il più presto possibile. (...)
«Parliamo tanto di Sambuco perché è dolce parlare del ridente paesino che sembra mandare le sue
casette sulle pendici del Bersajo turrito.»
Sambuco (CN), 1939.
Il monte Bersajo è forse la prima alta vetta che Giovannino incontra.
Tre anni dopo arrancherà tra le vette del bellunese con la sua Dei superleggera.
«Oh, Sambuco, paesino sperduto
Là, tra i monti del sempre e del mai,
Oh, Sambuco, a te levo il saluto,
E al tuo fido turrito Bersaj...
Sì benigna ti fu la natura
Che i piè lieve ti lambe la Stura
E ti affianca massiccio il Nebiùs...
A l'è bin dulurus...
A l'è bin dulurus...
Sambuco (CN), 1939.
Si vedono le tende dell'accampamento sulla china erbosa
che scende da sinistra verso la strada.
Di giorno si sentono le raffiche delle mitragliatrici,
di notte quelle della Olivetti di Giovannino.
«Io non posso fare una conferenza su Sambuco: sarebbe letteratura perché dovrei dire dei tramonti
di fuoco e dei monti che si stagliano contro il cielo come torri possenti, dovrei dirvi delle vaccherelle
al pascolo e dei dolci canti dei rudi montanari. Sarebbe letteratura e poi non starebbe bene: ci sono
gli enti turistici che sono creati apposta per raccontare queste dolci, tenui, flebili bugie...»
Sambuco (CN), 1939.
Giovannino, con la scusa di riprendere il Nebiùs,
fotografa il suo primo mulino.
Il secondo sarà il «mulino fantasma» sul Po.
come si può fare dello sport
con una semplice formaggiera
«Mia carissima e adorata Peppina, ho ricevuto l'ultima tua, l'ultima per modo di dire perché chissà
quante volte riceverò le tue lettere, ho ricevuto l'ultima tua e sono profondamente commosso. Mi
chiedi se è possibile venirmi a trovare quassù! Sì, mia dolce Peppina: venire quassù è possibile. Il
difficile è riuscire ad andarsene. Quindi ti consiglio nel modo più reciso di non fare la scappatella
progettata, approfittando del biglietto festivo.
«Soffrirò da solo. (...)
«Ritornando alla tua lettera vedo che mi chiedi, sempre in previsione di una tua scappata quassù,
come si mangia. Ti confesso che non so come mangino gli altri; io so solo come mangiamo noi: ho
detto "come" e non "quello" che mangiamo. D'altra parte non bisogna mai essere troppo curiosi
nella vita.
«Devi dunque sapere che noi, due volte al giorno, ci troviamo attorno a una porta. Una comune
porta di legno tolta dai cardini e appoggiata su due cavalletti mod. 1906 (tutta roba di complemento
richiamata).
«Fra panche e sedie assortite si arriva a sederci tutti: anche io, che è già una bella vittoria dell'uomo
sulle forze brute della natura. E, un po' grazie alla tovaglia, un po' grazie alle assicurazioni
categoriche del direttore di mensa e un po' grazie alla fame che abbiamo, ci sembra proprio di
essere seduti a una tavola. Si parla del più e del meno, educatamente, si fanno dei complimenti
scambievoli, si ricordano gli episodi gentili della nostra vita, si tratta con molta semplicità e serietà
dei problemi politici del momento, quindi si apre una porta e appare un giovanotto in maniche di
camicia che reca una bracciata di piatti.
«Pastasciutta. Il che, cara Peppina, è un'altra bella vittoria.
«Rapidamente, in poche decine di quarti d'ora, ognuno ha il suo piatto fumante davanti e il signor
Capitano dà il segnale d'inizio della partita di formaggiera.
«Respinta con deciso colpo di mano, la formaggiera passa dal Capitano al tenente Bellanti: il tenente
Bellanti si serve rapidamente e lancia al tenente Pretti. Pretti passa a Rossi, Rossi lancia a Levrero,
ma Brero intercetta, batte di misura Graglia che tenta di portare a lato, si serve e rilancia con
precisione a Rossi, per un secondo prelievo. Ma ecco, fulmineo, interviene Farnetti, la violenta ala
sinistra che carica Brero duramente, scavalca Levrero lanciato al contrattacco e si serve con
precisione. Comincia la fase emozionante della partita. Sorpreso da Levrero che compie una
rapidissima azione di recupero, Farnetti abbandona la formaggiera che passa successivamente da
Levrero a Graglia e da Graglia a Piazza per poi finire a lato. Rimessa in gioco a favore dei tigrotti del
tenente Pianelli. Su un allungo di Bellanti la formaggiera passa a Darò, il serafico terzino destro, ma,
in una entrata prodigiosa, Cacciabue intercetta e tenta di sfruttare vantaggiosamente l'azione di
sorpresa. Ma Pianelli, con un balzo da giaguaro, si porta dall'ala sinistra a metà campo e gli ritoglie
la formaggiera.
Sambuco (CN), 1939
Giovannino percorre di malavoglia questa strada
«Comincia un'azione invano ostacolata da passaro e da Frixione.
«L'azione di Pianelli è giudicata scorretta: rimessa in gioco a favore di Darò che però si lascia
soffiare la formaggiera da Passaro. Passaro passa a Frixione, Frixione passa a Guggino, Guggino a
Costa. Intervento di Cacciabue che passa involontariamente a Pianelli. Pianelli rimanda con un colpo
meraviglioso a Rossi, Rossi a Brero, Brero a Pianelli: palleggio, o meglio formaggiereggio, fra Pianelli
e Brero. Poi intervento di Farnetti che rimanda a Piazza, Piazza a Pretti, Pretti a Levrero, Levrero a
Piazza, Piazza a Bellanti, Bellanti a Cacciabue, Cacciabue a Guggino, Guggino a Frixione, Frixione a
Passaro. Siamo ormai alla fine del primo tempo: con un'entrata fulminea finalmente Guareschi ha la
sua formaggiera.
«Vuota!
«Fine del primo tempo.
«Secondo tempo: Fegato in padella.
«Il secondo tempo è caratterizzato da azioni frazionarie e completamente personali il che conferisce
all'incontro un carattere di grande disorganicità. Al 10' il Capitano, dopo avere inutilmente tentato di
avere ragione dell'avversario, abbandona il piatto e la partita e chiede preoccupato se il cemento in
carico al gruppo continui a essere esclusivamente prelevato con buono firmato dallo stesso
comandante del gruppo, o se invece detto cemento venga distribuito liberamente. Frixione protesta
energicamente.
«Piazza disgustato abbandona il campo e si ritira negli uffici del comando. Pianelli accusa il colpo
irregolare allo stomaco, Cacciabue rivolge al direttore della partita frasi poco sportive e viene
penalizzato. Il secondo tempo non finisce neppure. Entra in campo la frutta.
«Il pubblico sfolla le tribune e il parterre commentando severamente l'accaduto. Fine della
trasmissione.
«Ecco, cara Peppina, come stanno le cose; ti consiglio quindi di rimanertene a Milano: questi
spettacoli violenti non sono fatti per le donne. Anch'io che sono uomo e guerriero ne sono
profondamente scosso.
«Per quanto concerne le cinquecento lire che ha mandato il signor Luigi e che tu gentilmente mi hai
inviato, guarda che l'ufficio postale non ha voluto darmi un soldo in più di quattrocento lire. Capisco
che adesso hai tante cose per la testa: a ogni modo stai attenta per l'avvenire. E questo lo dico per il
tuo bene.»
Sambuco (CN), ottobre 1939.
Foto d'abilità nella stanza di Giovannino.
L'unica cosa valida che appare nella foto è la Voigtliinder che il collega di Giovannino fa scattare.
«Carissima Peppina,
«Sono quassù lontano da te e il mio cuore è pieno di nostalgia. Oh, se tu fossi qua e io a Milano,
come sarebbe dolce la vita! (...) Fortunatamente funziona già una mensa ufficiali cosicché ho dovuto
arrangiarmi a mangiare qualche cosa all'Albergo della Posta, se non volevo morir di fame. (...)
Sambuco (CN), ottobre 1939.
Giovannino fotografa il contrasto tra la placida vegetazione
dell'altopiano e l'asprezza delle rocce del Bersajo.
«Mentre mangiavo mi sono venute le lagrime agli occhi dalla malinconia perché ho pensato tanto a
te: patate lesse, minestra troppo cotta, uova dure come il ferro, proprio le dolci cose che mi prepari
tu, mezzogiorno e sera. (...) Le calze che mi hai messo nella valigia andavano benissimo: le ho
perse subito e spero che durino molto. Anche il Santino che mi hai messo nel portafoglio va
benissimo: però, secondo me, ci stava dentro perfettamente anche senza che tu togliessi quel
biglietto da 500.
«Oggi faceva tanto freddo nella mia cantina che la mia padrona di casa si ostina a chiamare camera
da letto. È vecchia, la mia padrona di casa, e siccome le hanno detto che io scrivo sui giornali, mi
chiede sempre notizie e pareri sulla politica internazionale. Ma io non le posso mai dire niente perché
tratto solo cose umoristiche e non posso quindi interessarmi di cose tanto poco serie. Ma non
pensiamo più alla mia padrona di casa. (...) Essa dorme serena, senza sogni, forse, certamente
senza incubi: io pago sempre la pigione anticipata.»
Sambuco (CN), ottobre 1939.
Giovannino, per riprendere il viottolo d'accesso alla Centrale,
ha sacrificato la punta del campanile.
Giovannino, nel tempo che gli lascia libero il lavoro in batteria, continua a collaborare col Bertoldo.
Giovanni Mosca gli scrive: «Manda la roba che puoi, e io o Manzoni faremo o completeremo quello
che manca, naturalmente - per quello che riguarda l'amministrazione - a nome tuo. Con la vita che
fai, credo che sia impossibile trovare il tempo di scrivere o di pensare. (...) Si farà l'Arcibertoldo
della guerra. (...) Già son state fatte metà delle battute. Ti spediremo subito le tue. Collabora con
quanti pezzi vuoi in modo da poter guadagnare qualche cosa. Se puoi fare la copertina, mandacela
immediatamente.»
Giovannino mantiene fede a ogni impegno: la copertina dell'A rcibertoldo della guerra, Il Cannone,
però arriva troppo tardi, dopo che, in fretta, è stata preparata da Carletto Manzoni. Così, viene
utilizzata come retro di copertina.
Pietraporzio
Pietraporzio (CN), 1939
Giovannino, durante le esercitazioni della 2a batteria,
cattura questa e altre belle immagini dei dintorni.
Giovannino nel tempo che gli lascia libero il lavoro in batteria, continua a collaborare col Bertoldo.
Giovanni Mosca gli scrive "Manda la roba che puoi e io o Manzoni faremo o completeremo quello che
manca, naturalmente - per quello che riguarda l'amministrazione - a nome tuo. Con la vita che fai,
credo che sia impossibile trovare il tempo di scrivere o di pensare (...) Si farà l'Arcibertoldo della
guerra (...) Già sono state fatte metà delle battute. Ti spediremo subito le tue. Collabora con quanti
pezzi vuoi in modo da poter guadagnare qualche cosa. Se puoi fare la copertina, mandacela
immediatamente".
Giovannino mantiene fede a ogni impegno: la copertina dell'Arcibertoldo della guerra, Il Cannone,
però arriva troppo tardi, dopo che, in fretta, è stata preparata da Carletto Manzoni. Così, viene
utilizzata come retro di copertina.
Pietraporzio (CN), 1939.
La stanza di Giovannino. Al centro la sua fedele Olivetti.
Dalla finestra si vede la balaustra in legno del terrazzino che guarda sul paese.
«Il mio mezzo attendente Raffatellu (l'altro mezzo Raffatellu è del sottotenente Passaro) (...) deve
aver trovato e letta qualche frase dei pezzi che io scrivo per il mio Bertoldo. Infatti l'ho incontrato e
non mi ha salutato.»
L'Olivetti di Giovannino lo ha seguito fedele anche a Pietraporzio. Quando Giovannino sarà al campo
in tenda, ce lo ha raccontato il compagno d'armi Nilo Lenzi, di notte si sentiranno per tutto
l'accampamento le sue raffiche sparate pigiando sui tasti dell'Olivetti.
Pietraporzio (CN), 1939.
Giovannino, dopo aver piazzato l'autoscatto, è corso ad appoggiarsi
alla balaustra in legno del terrazzino di fianco all'Ennia.
«Nella catapecchia che avevo scelto a mia dimora, trovai due meravigliose sorprese: la stufa rovente
nella quale ardeva, segato in giusti pezzi, uno degli abeti del glorioso osservatorio sceso al piano, e,
seduta davanti alla stufa, Margherita.»
Pietraporzio (CN), 1939.
Forse una delle due anziane signore è la padrona di casa di Giovannino.
«Arrivò l'ordine di sostituire immediatamente le granate in dotazione ai pezzi. Racimolati gli uomini,
andai con essi, sotto la tormenta, a cambiare le munizioni. E questa fu una seria impresa dalla quale
tornai vittorioso, ma bagnato da capo a piedi. (...)
«Margherita, come mi vide così fradicio, disse:
«"L'immaginavo". Poi trasse dalla valigia un grosso pacco di matasse di lana verde-cupo e stabilì:
Pietraporzio (CN), 1939.
Una nuova inquilina nella stanza di Giovannino: Ennia.
«"La Patria ha bisogno di me. Di qui non vado via se non ti ho finito il maglione!".
«Ero un rude soldataccio ma mi commossi: Chi mai avrebbe potuto attentare alla sovranità d'un
paese che possiede donne così eroiche?
«"Margherita!" urlai con voce da colonnello: "No pasaran!"»
Milano, 1939.
Ennia in cucina e al balconcino del quarto piano
del numero 18 di via Ciro Menotti, angolo Gustavo Modena.
Si nota traffico convulso in via Gustavo Modena.
un poco di famiglia 1939-1942, via Ciro Menotti a Milano
«Ora che posseggo, a trimestri anticipati, seicentodieci metri cubi di Milano, ora che un
mascalzoncello milanese ha invaso i miei seicentodieci metri cubi di Milano, io non so più con
precisione come stia la faccenda. Mi sento come l'uomo che, trovatosi a camminare accidentalmente
in piena notte vicino alla linea di confine, con una ghirba piena di tabacco e di saccarina in spalla, a
un tratto si chiede: "Sono di qua o sono di là?".»
Giovannino sa benissimo di essere dalla parte giusta nei suoi «seicentodieci metri cubi di Milano» e
gli ispiratori dei suoi racconti, la sua «merce» di cui è piena la bricolla, abitano con lui e danno un
senso nuovo alla sua vita.
In questo brano tratto dalle «Osservazioni di uno qualunque» (Bertoldo n. 41, 1941) Giovannino fa
dire all'amico Filippo cose perfide sull'Ennia (non ancora Margherita).
Non è la prima volta che «calca la mano». La cosa buffa è che, la volta in cui la descrive zoppa e con
un occhio leggermente strabico, alcuni lettori vanno apposta a Igea Marina per vedere il fenomeno
ritornando molto delusi.
«Oggi ho ricevuto una lettera dall'amico Filippo, dal vecchio, caro, ottimo Filippo, il mio antico
compagno di scuola:
«"Carissimo Giovannino,
«" (...) non so quando potrò rivedere te e la tua simpatica signora. Parlavamo di lei una decina di
giorni fa io e mia moglie e io dicevo: 'La bellezza non conta, cara mia, e poi è sempre meglio che la
donna sia leggermente più attempata dell'uomo; una donna che si sposa non occorre che porti
nell'amministrazione familiare una dote in danaro o delle lenzuola, o quattro camicie da notte, o un
paio di fazzoletti! Basta che porti quei dieci o dodici anni di esperienza che mancano all'uomo ancora
giovane e quindi incapace di un ragionamento serio e pacato e soprattutto quello che conta in una
donna è il senso dell'economia e l'ingegnosità.
Milano, 1940.
Fastosa cornice di presentazione per il nuovo inquilino.
«"'Quando una madre di famiglia come tua moglie è capace di cavar fuori da quattro pezzacci di bue
avanzati la sera prima uno stufatino di vitello delizioso come quello che ho gustato in casa tua
l'ultima volta che sono venuto, questa donna, preziosa in tempi normali, diventa indispensabile in
tempi d'emergenza come oggi in cui, anche a darsi da fare, com'è capace un uomo della tua tempra,
anche a correre dal mercato di Porta Ticinese a quello di Porta Nuova, da quello di Porta Venezia a
quello di Porta Sempione pur di risparmiare qui un soldo sulle patate, qui due centesimi sull'insalata,
un onesto padre di famiglia vede sfumare quotidianamente per il solo vitto, quelle tre-quattro lire
che rappresentano i tre quarti della sua paga giornaliera.
Milano, 1940.
Ennia nel salotto-sala-da-pranzo-sala di soggiorno.
«"'Impara dalla moglie di Giovannino!' dico sempre alla mia Antonietta. Ma cosa vuoi che impari! Il
principale difetto di queste ragazze di buona famiglia, che non possono vivere se non fanno il bagno
ogni quindici giorni, che storcono il naso se la carne puzza un po' o se la pasta ha qualche
camoletta, sta proprio nella mancanza del senso del risparmio.
«"Per vivere avrebbero dovuto adattarsi a lavare pile così di piatti, o a spalare la neve come fanno le
altre! Quelle sì che sono donne! Io ti invidio caro Giovannino!".»
Milano, 1940.
Giuliana, la figlia dei vicini.
«La bambina del mio vicino entra di corsa in cucina a portarmi un soffio di primavera. Fa
rapidissimamente la cacca vicino alla ghiacciaia, poi se ne va di corsa, stridendo come una
rondinella.»
Milano, 1940.
Ennia, Albertino e Giuliana nella «sala-salotto-stanza di soggiorno».
«Oggi, approfittando della giornata festiva, mi sono trasferito presso la mia famiglia dislocata in
qualche parte d'Italia, per rendermi personalmente conto del grado di addestramento raggiunto dal
bambinello che è venuto, quattro mesi fa, a complicare notevolmente le mie faccende domestiche.
«Ho trovato l'illustre personaggio che, sdraiato in mezzo a un grande letto, stava succhiandosi
alcune dita della mano sinistra: i suoi parenti più importanti, disposti in cerchio attorno al letto in
questione, seguivano la interessante scena con viva attenzione.
«Da più parti mi è stato fatto cenno di star zitto e io, appressatomi in punta di piedi, mi sono unito
al gruppo degli osservatori. Dopo qualche minuto di silenzio profondo, il piccolo personaggio, tolte
con un gesto deciso le mani dalla bocca, ha emesso un breve vagito. Un mormorio di meraviglia si è
alzato dalla folla: "Senti?" ha sussurato al mio orecchio lo zio Luigi con voce emozionata. "Canta!
Questo bambino è un fenomeno: ha una disposizione enorme per la musica".
«"Questo non è niente" ha interrotto la signora che mi rese padre. "Stai attento!"
«Io sono stato attento e ho visto l'egregia donna scomparire e ritornare, di lì a poco, armata di un
macinino da caffè: l'esimia signora, appressatasi al letto, ha fatto funzionare per un certo tempo
l'arnese, cosa questa che ha destato un indubbio interesse nel pargolo.
«"Questo bambino è un fenomeno" ha spiegato allora la zia Filippa. "Ha una disposizione enorme per
la meccanica."
«A questo punto è intervenuta la nonna del fenomeno che, dopo avermi lanciato uno sguardo
eloquente, ha afferrata una copia del Bertoldo e l'ha sventolata davanti al naso del nipotino.
«Il bambinello ha abbozzato con l'estrema sinistra delle labbra un sorriso.
«"Questo bambino è un fenomeno!" ha comunicato allora la vecchia signora. "Ha una disposizione
semplicemente eccezionale per il disegno!"
«Si è fatto avanti il nonno del fenomeno che, inforcati gli occhiali e lanciato un severo sguardo agli
astanti, come per avvertire che la cosa stava per diventare solenne, ha tratto lentamente di tasca la
scatola dei fiammiferi e con rapida decisione ha accesa la candela che stava sul comodino. E, mentre
tutti trattenevano il respiro, è avvenuto il miracolo: il pargolo ha guardato la fiammella, ha agitato il
braccio destro e ha lanciato un acuto guaito.
«"Questo bambino è un fenomeno!" ha spiegato il vecchio signore. "Ha una disposizione eccezionale
per il fuoco!"
«Il congresso ha deciso che non bisogna mai affaticare con esperienze prolungate il cervello di un
bambino e ci siamo ritirati nella stanza vicina per deliberare.
«Dopo una vivace discussione, durante la quale lo zio Luigi, la madre, il nonno e la nonna hanno
cercato di imporre rispettivamente la tesi del canto, della meccanica, del disegno e del fuoco, io ho
trovato una soddisfacente soluzione: si sarebbe potuto fare del pargolo un ingegnere capo dei
pompieri collaboratore di giornali illustrati e dilettante di canto.
«Ritornati nella stanza da letto, abbiamo osservato che il pargolo stava succhiandosi il pollice del
piede destro. Ma considerato che un ingegnere capo dei pompieri, se può essere
contemporaneamente collaboratore di giornali illustrati e dilettante di canto, non può essere in modo
assoluto anche pedicure, abbiamo deciso di lasciar perdere.»
Milano, 1940.
Albertino «lavora» sulla Olivetti del babbo.
«Esistono delle cose semplici, al mondo, e fra queste la più semplice è senz'altro quella d'uscir di
casa. Però qualora non si verifichino contingenze anormali. Non è facile uscir di casa quando venga a
crollare improvvisamente il sistema di scale che collega il vostro settimo piano alla strada.
Difficilissimo addirittura qualora, mentre state per eclissarvi in punta di piedi, veniate avvistato da
qualche Albertino il quale sembrava affaccendatissimo attorno alla sistemazione della vostra
macchina da scrivere. (...) "Il signor padre esce? Esca pure" pensa Albertino. "però esco anch'io."
(...) Si viene alla conclusione che il signor padre, quando vuol uscire di casa, deve caricarsi Albertino
sulle spalle e andare in tram con lui.
un giretto al parco
Milano, 1940.
La «piccola vedetta lombarda» sta marcando stretto il babbo
che vorrebbe uscire senza di lui.
«Oggi la dolce signora che, come il famoso cavallo, si insinuò sotto la specie del curioso gingillo,
nella cerchia delle mie mura domestiche, per poi svelare l'insidia di un piccolo invasore tristanzuolo,
poppante e urlante, mi ha comunicato che un uomo (...) alla domenica deve fare ogni cosa meno
che quella di attaccarsi alle sottane della consorte per il bel gusto di accompagnare a spasso in
carrozzino un marmocchietto e, arrivato al Parco, scattargli 8 istantanee 8, destinate a tradurre ai
posteri le ancora incerte sembianze.
Milano, 1940.
Pomeriggio domenicale: è in programma una uscita
del «piccolo invasore tristanzuolo» con tutta la troupe.
«Le ho risposto che aveva perfettamente ragione. La scenetta festiva del coniuge che, macchina ad
armacollo, si alterna con la consorte alla trazione di un trabiccolo contenente bambini, è così usata,
abusata e convenzionale, nelle strade di questa straordinaria città, che è almeno opportuno, se non
addirittura necessario, evitare ogni cosa che possa avere attinenza con essa.
«"Detesto queste manifestazioni piccolo-borghesi" ho concluso.
«Così la dolce compagna della mia ex-vita, approfittando del pomeriggio festivo e assolato, è uscita
di casa spingendo verso sud la carrozzella contenente il figliolo.
«E io, salutati i due, sono andato a spasso verso nord.
«Ho fatto delle osservazioni interessanti sull'orientamento della architettura, sul Novecento e sul
novecentismo, trovando modo di intercalare alle mie indagini delle considerazioni argute sulla
incertezza che regna oggi nel campo musicale.
Milano, 1940.
Ennia, accoccolata vicino a mezzo Albertino, in una delle 32 istantanee 32 che Giovannino
ha scattato per immortalare il figlio e la «pelliccia nera» di Margherita.
«Ho camminato parecchio, alla ventura, ed essendo, alfine, arrivato in un largo arioso e soleggiato,
mi sono seduto su una panchina, a fianco di una signora che stava parlottando con una carrozzina
«Io ho guardato, nel cielo azzurro, a che punto del suo cammino fosse arrivato il sole, e la signora,
dopo aver frugato nella carrozzina, mi ha posto tra le mani la macchina fotografica.
«Allora io, una dopo l'altra, ho scattato 32 istantanee della carrozzina con o senza signora, della
signora e della carrozzina, con me stesso o senza autoscatto.
«Poi siamo tornati a casa nostra e mi sono divertito molto a spingere io stesso la carrozzina «Il che
è bello e istruttivo.»
la pelliccia nera
Milano, 1940.
La prima della famosa serie delle 32 istantanee 32:
si prega di fare attenzione alla pelliccia nera di Ennia.
«Stamattina, appena riaperti gli occhi, mi sono ricordato di una cosa: allora ho detto alla donna che
divide in parti quasi uguali con me il mio stipendio e il mio letto:
«"Guarda che ieri sera Luigi mi ha restituito quel denaro famoso: quindi ho deciso di comprarti la...".
«L'egregia signora non mi ha lasciato finire: è balzata fuori dal letto, senza pronunciar parola, ha
infilata, correndo, una vestaglia azzurrastra, poi è scomparsa. (...) Sul pianerottolo ho incontrato
l'esimia signora che usciva visibilmente agitata dall'appartamento dei miei vicini e diceva convinta:
Milano, 1941,
Piazza del Duomo. Ennia sfoggia il suo renard.
La signora Maestra è in alta uniforme.
«"No, no, cara signora: nera! Nera va bene per tutto: per il mattino, per la sera e anche per il
lutto!".(...) «In fondo alle scale ho incontrato la portinaia la quale in tono molto cordiale mi ha
consigliato:
«"Io, se fossi nella vostra signora, la prenderei marrone: è più giovanile e poi, all'occorrenza, la si
può
tingere benissimo". Le ho date due lire di mancia e, appena fuori dal portone, la fruttivendola che
stava
riordinando certe sue patate novelle ha interrotto un istante il suo lavoro e mi ha assicurato:
«"Per conto mio, nera è una bestialità: grigia è cento volte meglio e, non sembra, ma si sporca
ancora meno di quella nera. A ogni modo la sua signora può fare come meglio crede". (...) Appena
arrivato in ufficio, l'usciere
mi ha comunicato che avevano telefonato cercando di me. Poi, sottovoce, con quella delicatezza che
è la sua principale dote, l'egregio personaggio ha aggiunto:
Milano, 1941,
Piazza del Duomo.
«"Cosa vi ho detto io, tre anni fa, quando siete entrato qui per la prima volta, con quella foglia di
verza di impermeabile che vi si vedevano le costole tremare dal freddo? Fate benissimo, adesso, e
che crepino dalla rabbia: a ogni modo sono d'accordo con la vostra signora. Nera va bene per tutto".
(...)
«Arrivato in casa la compagna della mia vita, appena le sei o sette donne che stavano discutendo
con lei se ne sono andate, mi ha detto con grande circospezione:
«"Giovannino, mi raccomando: non dire niente a nessuno. Voglio che sia una sorpresa per tutti!".»
Guardando la volpe argentata di Ennia pensiamo a quella che indossa Maria, la moglie di Peppone,
nel giro clandestino che fanno a Milano travestiti da "signori". Anche Maria si è avvicinata al portone
del Duomo e ha toccato il Bambinello obbligando a farlo anche Peppone...
«Peppone si mise in guardia alla porta, fingendo di leggere un giornale. Allora la donna aperse il
valigione che aveva con sé, ne tolse un paio di calze e un paio di scarpe di camoscio, alla moda. Si
cambiò le calze e le scarpe. Poi cavò dal valigione una scatola e dentro c'era un cappellino. Lavorò
un sacco di tempo per metterselo. Alla fine guardò interrogativamente Peppone.
«"Bene" rispose Peppone. (...)
«La donna si pitturò leggermente di rosso le labbra. Dopo ripose nel valigione la sciarpa di lana e
tirò fuori una volpe argentata. (...)
Milano, 1941.
II «costumino di lana» che piace tanto alla signora Marietta, «l'ochetta di gomma e la comoda
bigoncia» che piacciono tanto alla signora Giuseppina.
Le «belle mattonelle pulite e lucide del magnifico cortile» e l'«intonaco stupendo» che piacciono alla
signora Celestina.
«Girarono in su e in giù per la Galleria. Poi arrivarono a San Babila e fecero per dieci minuti la corte
al caffè
del Motta. Alla fine si decisero ed entrarono. Presero un liquore e delle paste. Peppone sparava
mance da
miliardario e la moglie di Peppone, quando una signora elegante le guardò la volpe, a momenti
scoppiava di gioia. «Salirono fin sulla guglia del Duomo e, sotto di loro, c'era l'inverno milanese.
«Ritornarono al piano storditi. La moglie di Peppone andò a toccare sulla porta di bronzo il
Bambinello. «"Toccalo anche tu!"
«Peppone si guardò attorno e lo toccò con la mano enorme.»
«Oggi Albertino è stato pubblicato in prima pagina e la cosa non deve originare perplessità perché si
tratta di una storia breve e semplice.
«La direzione di un pregiato settimanale di moda e attualità femminile, volendo presentare alle sue
lettrici un certo modello d'abituccio a maglia per bambino, ed essendo mia compagna d'ufficio, mi ha
chiesto a prestito Albertino allo scopo di usarlo in qualità di indossatore.
«Perciò detto Albertino, trasportato in un certo cortile, vicino a una determinata bigoncia e paludato
del nominato costumino, ha acconsentito a lasciarsi fotografare nell'atto di lavare una innocente
ochetta di pezza.
«Ha fatto pure un'altra cosuccia non richiesta dalla direzione della rivista e, in verità, poco
riguardosa verso il modellino: ma questo non ha impedito la perfetta riuscita della fotografia e così,
oggi, Albertino è stato pubblicato nella prima pagina di Annabella.
«Appena in possesso della rivista, la dolce confezionatrice di Albertino ha cominciato a camminare
agitatissima in su e in giù per il salotto-sala da pranzo e io, allo scopo di offrirle maggiori possibilità
turistiche, le ho spalancate tutte le porte di comunicazione con le altre stanze esclusa quella del
bagno per non creare nel circuito un vicolo cieco che avrebbe costretto la esimia e peripatetica
signora a segnare il passo o a eseguire un dietro-front, cose, queste, che avrebbero certamente
influito dannosamente sulla media generale.
«Alla fine del sesto giro la importante personaggia si è fermata decisamente davanti a me e mi ha
comunicato che, a ogni costo, bisognava far qualcosa.
«Per quanto un po' generica, l'idea ha trovato la mia approvazione incondizionata e mi sono
affrettato ad avanzare una proposta che mi sembrava ragionevole:
«"Si potrebbe mandare la ragazza a comprare una bottiglia di Carpano, fa fresco quassù".
«Evidentemente io sono un superficiale: cosa può entrarci il Carpano con un avvenimento quale la
pubblicazione di Albertino in prima pagina? Se in un caso come questo occorre far qualcosa, non si
deve certamente pensare a bevande: si deve invece, per esempio, pensare alla vicina signora
Marietta. In un caso grave come il presente l'intelligenza di un uomo deve sforzarsi per trovare uno
stratagemma, grazie al quale far salire immediatamente detta signora Marietta onde essa, per caso,
veda la prima pagina di Annabella e resti fulminata.
«"Non c'è che il Carpano" ho suggerito io dopo aver lungamente pensato. "Si telefona alla signora
Marietta se vuol gradire un bicchiere di Carpano."
«L'idea, in funzione di richiamo della signora Marietta, è stata accettata.
«Il giornale è stato, dopo attento studio, sciorinato in un punto strategico e quando la signora
Marietta è arrivata si poteva essere sicuri del risultato. «La signora marietta ha gustato molto il
Carpano, ha espresso idee originali sul tempo, sul razionamento
e sulla incoscienza delle giovani domestiche, quindi ha lasciato cadere gli occhi sul giornale.
«"Che magnifico costumino a maglia" ha sospirato la signora Marietta. "Non può costare meno di
trecentocinquanta lire. Fortunato chi lo può comprare!"
«Era perfettamente inutile far notare alla signora Marietta che si trattava di Albertino.
«La signora Marietta avrebbe certamente chiesto di vedere il costumino. Non si poteva confessarle la
storia: la signora Marietta sarebbe andata a raccontare che noi diamo a nolo Albertino ai fotografi.
«Uscita la signora Marietta, la dolce amministratrice delle mie disgrazie domestiche ha ricominciato
a camminare nervosamente in su e in giù per la casa. Alla fine del settimo giro si è fermata davanti
a me e, con molta decisione, mi ha comunicato per la seconda volta:
«"Bisogna fare qualcosa".
«Sarebbe stato sciocco tirare in ballo ancora la proposta del Carpano. Ci voleva un'idea più positiva.
«E poco dopo (a seguito di telefonate, mance, una lunga corsa in tassi e la consegna di lire
trecentoventi a una commessa di negozio) Albertino poteva sfoggiare il meraviglioso costumino che
la signora Marietta aveva ammirato nella fotografia.
«La dolce amministratrice dei miei affetti e dei miei effetti, costretto Albertino a camminare in bella
vista nella sala-salotto-stanza di soggiorno, mi induceva quindi a convocare la signora Giuseppina.
«La signora Giuseppina è salita, ha gustato il Carpano, poi, cadutole l'occhio sul giornale con la foto
di Albertino, ha sospirato:
«"Che magnifica ochetta e che comoda bigoncia!".
«Inutile ripetere la storia: il fatto è che, allontanatasi la signora Giuseppina, io dovevo precipitarmi a
comprare un'ochetta di pezza e una comoda bigoncia uguali a quelle della fotografia.
«Albertino, legato convenientemente con spaghi e fil di ferro, veniva poi costretto a giocare con
l'ochetta vicino alla bigoncia, collocata nella sala-salotto-stanza di soggiorno.
«"I bambini hanno i loro capricci" ha spiegato la dolce signora del mio quarto piano, appena è
entrata la signora Celestina.
«La signora Celestina ha mostrato di gradire molto il Carpano è si è degnata di sorridere ad
Albertino poi, cadutole per forza l'occhio sulla fotografia del giornale ha sospirato:
Milano, 1941.
Giovannino, ricuperato Albertino che non molla l'ochetta di gomma, lo riporta a casa.
Lungo la strada del rientro scatta 2 delle 32 istantanee 32 nei prati di Milano.
«"Che magnifico cortile! Che belle mattonelle pulite e lucide, che intonaco stupendo. Altro che il
nostro cortilaccio pieno di topi!".
«Uscita la signora Celestina, la dolce fabbricatrice di Albertino ha ripreso per la quarta volta a
camminare furiosamente lungo il circuito dell'appartamento. Alla fine del decimo giro si è fermata di
scatto davanti a me.
«"No" le ho detto allora calmo ma deciso. "Non cambio casa neanche se mi uccidono! Non mi sento
di trovare una nuova casa dove ci sia un cortile a mattonelle. E poi occorre troppo tempo. L'attualità
della foto passerebbe."
«La insigne compatriota ha abbassato il capo.
«"Hai ragione: queste piccole vanità borghesi non bisogna averle" ha ammesso. "Tutt'al più
possiamo comprare poche migliaia di copie del giornale per spedirle a qualche conoscente e per far
tappezzare la sala, l'anticamera, la cucina, la camera da letto e magari il bagno e la stanzetta della
cameriera. Nella cantina e nel solaio quando ce ne sono venti o trenta copie attaccate qua e là è
sufficiente."
Questa seconda istantanea, in particolare,
rivela a un occhio attento che uno spiacevole incidente idraulico
è venuto a turbare l'eleganza
del completino.
Milano, 1942.
Albertino al Parco: al suo fianco biondeggia
il frumento "autarchico" di guerra.
«In quel preciso istante Albertino, salito decisamente sull'ochetta, è entrato col costumino nuovo nel
bigoncio pieno d'acqua rovesciandolo, e io, vedendo le estremità inferiori dei mobili accarezzate dalle
onde, ho pensato con nostalgia a Venezia.
«Il che è bello e istruttivo.»
Milano, 1942.
Caseggiato di città con parete cieca affrescata con il sistema del trompe-l'oeil.
la scoperta di Milano 1942, le strade, le case
Milano, 1942.
Le strade, le case invadono la periferia. L'ultima immagine di un prato.
Sul fondo una grande fabbrica con una ciminiera - simile a un minareto - che inizia ad avvelenare la
città.
Sulla nuova strada che fiancheggia il prato, patetico, un carrettino tirato a mano.
Milano, 1942.
Tra le nuove costruzioni, in primo piano, le carovane
e la baracca del Tirassegno.
Milano, 1942.
Immagini surreali di una nuova città senza volto che non ha più
le caratteristiche della vecchia e non ha ancora quelle della nuova.
Milano, 1942.
Giovannino ha posato l'angioletto violinista della Val Gardena sul violino del fratello,
militare in Russia che, dato per disperso, tornerà incolume a casa.
le "nature morte"
Milano, 1942.
Albertino dorme e la macchina da scrivere di Giovannino riposa: l'angioletto della Val Gardena tiene
sotto controllo la situazione.
Sono gli anni di Casorati, Sironi, De Chirico e Carrà. Giovannino subisce l'influsso creativo di questi
nuovi maestri e non avendo il tempo per la pittura si affida all'occhio delle sue macchine
fotografiche, dopo avere affiancato alla piccola vecchia Zeiss e alla Voigtlnder una fiammante
Rolleiflex.
Tra le foto di un Alberto "di professione neonato" tra le braccia di Ennia, nell'appartamentino del
quarto piano del numero 18 di via Ciro Menotti compaiono oggetti apparentemente disparati ma
perfettamente intonati fra di loro. L'oggetto più importante per Giovannino è il leggerissimo
angioletto della Val Gardena intagliato nel cirmolo. Lo seguirà nei Lager tedeschi e nel duro carcere
italiano:
«Intanto avevo ricuperato il mio angioletto e, vedendolo, il Giovannino fatto d'aria sorrise: «"È
sempre lo stesso che avevamo nel Lager?".
«"Sì" spiegai. "Ma in carcere non riusciva a volare."
«"Nel Lager era bello perché, se mancava il pane, riuscivamo a far volare anche gli angioletti di
legno...".»
Milano, 1942.
"Natura morta" con La Stampa, una bottiglia di latte e la Beretta d'ordinanza di Giovannino.
Quando Giovannino ha posato quell'angioletto sul carrello della macchina forse pensava a
Giacomino:
«Un bambinello alto una spanna, con un camicino bianco che gli arrivava fin sui piedini, con la
testolina ricciuta e con due aluzze sulle spalle. (...) Per due mesi mi fece compagnia. Ogni notte lo
toglievo dalla tasca della mia vestaglia e lo mettevo a sedere sul carrello della macchina da scrivere.
E Giacomino se ne stava fermo, immobile, e, quando il campanello suonava, alzava il braccio, mi
guardava e sorrideva».
Quando la madre, «una giovane donna con un candido camicione e due alette sulle spalle», è venuta
a riprendersi il bambino che si era perduto dopo la loro morte improvvisa, «che fatica a metter giù
due parole che Giacomino non mi guarda più, seduto sul carrello della macchina». (...)
Milano, 1942.
Ancora La Stampa. Un macinino nasconde una notizia di guerra: «Attività di artiglieria e di pattuglie
nelle zone di Tobruck e di Giarabub».
Milano, 1942.
Una lucerna a petrolio e una mela posate ancora sulla Stampa: il "Pronto Soccorso"
per le discese precipitose nel rifugio quando suona la sirena d'allarme aereo.
Giovannino, suggestionato dai pupazzi di Bruno Barilli, si autocaricatura assieme a Ennia
confezionando due pupazzi in panno e gesso con le sembianze di vecchietti. Fotografa i due pupazzi
usando come sfondo uno scorcio di binari di Parma dipinto da Bandieri: si tratta di quei famosi binari
della curva del casello 107 vicino al cavalcavia di San Giuseppe che Giovannino ed Ennia
attraversavano di corsa per andare a sedersi sul prato dall'altra parte.
Giovannino utilizza quella foto nel 1958 per illustrare nel «Corrierino delle famiglie» «Il segno sul
muro»: in questa puntata Giovannino, osservando i figli, si sente improvvisamente vecchio.
«Qualcuno si ferma ancora davanti al cancello di casa mia e io me ne accorgo subito perché Amleto
smette di abbaiare.
«Amleto abbaia soltanto quando non c'è nessuno. La solitudine e il silenzio lo deprimono e abbaia
per farsi compagnia.
«Vado a spiare dalla finestra del tinello e se, davanti al cancello verde, vedo qualcuno che non
conosco, esco in cortile a fare due chiacchiere. Si tratta spesso di lettori del "Corrierino delle
famiglie": papà e mamme che ritrovano in quelle cronachette se stessi e i loro ragazzi. Mi dicono che
Amleto va bene, che io sono come mi pensavano ma un po' più piccolo, che Margherita, molte volte,
dimostra di avere più spirito di me. Domandano come sta Albertino e chiedono di conoscere la
Pasionaria.
Milano, 1942.
Giovannino subisce il fascino del '900.
Milano, 1942.
Giuseppe Verdi, dalla copertina dell'Illustrazione Italiana, ricorda a Giovannino la loro Bassa.
«Rispondo immancabilmente che è a scuola o a casa di qualche compagna. Se la sciagurata
sopraggiunge caracollando sulla sua bicicletta, o se viene sulla soglia di casa per informarsi se l'ho
chiamata e mi vedo costretto a mostrarla ai visitatori, accade sempre che i visitatori si mostrano
profondamente delusi.
«"Non è più una bambina" borbottano. "Sta facendosi una signorina." "Si capisce che sta facendosi
una signorina, però contro la mia espressa volontà..."»
Marore (PR), settembre 1940.
Lina Maghenzani e Primo Augusto Guareschi in posa per il figlio Giovannino assieme a Ennia e
Albertino.
Marore, via Solari la famiglia si unisce
Marore (PR), settembre 1940.
Un filare ricco di uva «pisón'na» (chissà se ce n'è ancora qualche vite in giro)
fa da sfondo e incornicia la Gioventù italiana, Capo centuria e "abusiva" comprese.
Settembre
sinistra), è
Settembre
l'istruzione
Ennia.
1940 Ennia è in lutto per la morte della mamma. Con Albertino di pochi mesi (foto a
a Marore ospite della signora Maestra.
1941. La scuola non è ancora iniziata e la signora Maestra, Capo centuria, può seguire
delle Giovani italiane. Giovannino fotografa la centuria, la Capo centuria e l'abusiva:
Marore (PR), giugno 1941.
L'ultimo giorno in campagna. Domani si rientra a Milano.
L'aria di campagna è più leggera che a Milano perché qui non si avvertono ancora le prime
conseguenze del vento di guerra: la tessera e il razionamento. Qui ci sono tanti amici ed è più facile
trovare della "materia prima". Giovannino, dopo le solite 32 istantanee 32, riporta la famiglia a
Milano.
«Oggi, approfittando della giornata festiva, mi sono recato in una amena località dei dintorni a
prelevare una distinta madre di famiglia e un Albertino i quali, adducendo la scusa di andarsi a
scaldare al rozzo focolare dei nonni, si erano allontanati dal freddo domestico. (...) Sono rimasto nel
corridoio vicino alla porta dello scompartimento in modo da poter sorvegliare agevolmente il
valigione, tenendolo a stretto contatto delle mie gambe, e in modo da poter offrire al ricordato
Albertino lo spettacolo interessante del mio viso ogni qual volta mi pervenisse dall'interno dello
scomparto la richiesta della mia persona: "Babài".
«Il buon Dio perdoni il mio orgoglio, ma Albertino è un essere eccezionale. Alla sola età di anni uno e
mesi sei, sa già pronunciare tre parole: "mamma", "Babài" e "Maba". La quale ultima voce,
significante "mamma-babbo", dà una idea della singolare facoltà di sintesi del nominato
personaggio. (...)
«A un bel momento mi sono detto: "Giovannino: noi sappiamo che la valigia è un recipiente di
cartone il quale serve per trasportare da una località all'altra oggetti vari. Sotto questo punto di vista
si potrebbe addirittura definire la valigia come un veicolo: in fondo una carrozza ferroviaria non è
forse una valigia con ruote?."
Marore (PR), giugno 1941.
Albertino nel prato dei vicini, la famiglia amica Rastelli.
Sul fondo si vede il palazzo delle scuole dove abitano i nonni.
«"Ma questo non c'entra. Piuttosto consideriamo un altro fatto: perché, invece di stare in piedi, non
ti siedi sulla valigia? Il Tommaseo esclude che la valigia possa essere definita un sedile: ma il
Tommaseo evidentemente non si è mai trovato a dover viaggiare in piedi".
«Ho deciso di sedermi sulla valigia e, per far questo, afferrata per le maniglie la valigia, l'ho spostata
adeguatamente. E mi sono accorto che la valigia sembrava piena di piombo. (...)
«Ricordavo che, alla partenza da Milano, la valigia era piuttosto leggera. Una vesticciola, due
ciabatte, qualche magliettina non hanno un peso eccessivo. Anche ammettendo che l'aria salubre
della campagna avesse irrrobustito i già detti indumenti, non si poteva credere che fossero tanto
aumentati di peso.
«Ho scarabocchiato su un foglietto: "Che cos'hai dentro la valigia?" poi ho passato la missiva alla
distinta utente delle ferrovie.
«La dolce compagna dei miei sogni di scapolo e del mio risveglio di coniugato, per tutta risposta ha
mosso in un certo modo una mano come per dire: "Giovannino, lo vedrai quando saremo giunti a
casa".
«Ho formulato mentalmente un elenco: burro, formaggi, olio, carni insaccate, uova, caffè, patate,
farine alimentari, lardo, strutto, pasta, cuoio, pellami, lana, stoffe. Ecco quello che doveva essere
contenuto nella valigia.
«Un uomo ha ben presente che la legge gli vieta di rubare fino a quando non gli 'capiti sotto le mani
qualcosa che è possibile rubare. Figuriamoci una donna.
«Mi sono sentito profondamente a disagio: se avessi avuto fra i piedi una valigia di dinamite non mi
sarei trovato peggio.
«Istintivamente mi sono staccato dalla valigia appoggiandomi all'altra parete del corridoio. Intanto il
treno volava verso Milano e io ho pensato a Le mie prigioni e all'abate Faria.
«Non potevo farne niente. Una sola persona stava con me nel corridoio e fumava un grosso sigaro
affacciato al finestrino. Questo mi ha suggerito un'idea: mi sono affacciato anch'io e ho preso a
fumare.
«Poco dopo mi sono sentito chiamare: "Signore, è vostra quella valigia?".
«Un uomo in divisa mi indicava il mio valigione che, nel frattempo, era caduto.
«Eravamo soli, nel corridoio: il signore che prima fumava era tornato nel suo scompartimento.
Un'altra valigia pressappoco uguale della mia era li presso; ho preso un'ardita risoluzione.
«"No: la mia valigia è quella là."
"Nessuno na rivendicato la proprietà dell'insigne fagotto e, alla fine, l'uomo in divisa, raddrizzato la
valigia, si è messo a chiacchierare con me:
«"Vediamo di chi è quell'arnese".
«Oramai stavamo entrando nella stazione. Dovevo per forza afferrare la valigia che avevo
riconosciuto come mia e scendere. Ho affidato il valigione a un facchino e ho recuperato la famiglia.
«A casa ho urlato: il buon Dio mi perdoni, ma ho urlato. Ho affermato che certe cose non si fanno,
non si debbono fare, che la ghiottoneria non deve mai far dimenticare la legge, e una donna, quando
occorra, deve saper essere un uomo e adeguarsi serenamente alle contingenze.
«La insigne coautrice di Albertino ha approvato con il capo. «"Cosicché tu hai salvato tutto
scambiando la valigia?" «"Sì."
«"Peccato: oltre agli indumenti miei e di Albertino conteneva un ferro da stiro elettrico, una pendola
e una scatola di torroni che mi avevano regalato i nonni. Vedi almeno di restituire la valigia che tu
hai presa in cambio: potrebbero accusarti di furto."
«Ho abbassato il capo e ho aperto il valigione sconosciuto per vedere se ci fosse qualche cosa che
servisse alla identificazione del proprietario.
«Il buon Dio mi perdoni se ho urlato una parolaccia. Ma era piena di burro, salumi, formaggi, lardo,
olio, patate, lana, caffè, pollami, uova, zucchero.
«Poi ci hanno telefonato dalla stazione che era colà giacente una valigia la quale, da carte ritrovate
nell'interno, risultava nostra.
«Il che è bello e istruttivo.»
(1
) Dio mi perdoni se, pur di concludere decentemente l'articolo, ho raccontato una bugia così
sfacciata. A ogni modo prometto che non lo farò più.
Marore (PR), giugno 1941.
Ennia e Albertino con Gina Rastelli, il figlio Gianni e la nipote.
Marore, sede di fortuna, lo sfollamento
Giovannino ha vissuto in famiglia nel palazzo delle scuole di Marore dal 1921 al 1930 e poi si è
trasferito a Parma in borgo del Gesso. Ma anche in quel periodo Giovannino ha tenuto i contatti
stretti con la famiglia e i numerosi amici di gioventù.
Marore (PR), giugno 1941.
La famiglia Rastelli al completo.
Fra questi amici un particolare affetto lo lega alla famiglia Rastelli che conduce a mezzadria un
podere confinante con le scuole.
Questo legame che unisce la famiglia di Giovannino con la famiglia Rastelli, e che si cementa nel
periodo dello sfollamento, raggiunge il suo apice nel periodo della sua prigionia in Germania. In quel
periodo nasce Carlotta e anche in campagna si sentono i disagi del razionamento.
Ma non per Carlotta e Albertino che vengono amorevolmente seguiti dalle donne di casa Rastelli che
ogni giorno portavano un pentolino di latte della loro mucca migliore e pane bianco.
Giovannino non dimenticherà questa loro affettuosa e tangibile presenza. Anni dopo, nel racconto "I
cittadini" si ispirerà alla famiglia Rastelli parlando della famiglia di Anselmo Bognattl che ha aiutato
in tempo ai guerra la famiglia di un cittadino, l'avvocato Antonio, sfollata in campagna.
L'avvocato Antonio, però, d'accordo con la moglie, passato il periodo di difficoltà, ha volutamente
dimenticato chi lo ha aiutato. Ma non la figlia che la pensa come Giovannino: in poche righe piene di
amicizia e riconoscenza, ricorda il bene e l'affetto ricevuto dalla "rezdóra" e dai familiari:
«"Io la chiamavo nonna perché le volevo bene sul serio. E quando è morta me ne è dispiaciuto come
se fosse mia nonna davvero. Mi faceva le focacce, mi regalava le ova fresche, la marmellata di
prugne che mi piace tanto, mi raccontava le storie di quando era ragazza. Non mi ha mai fatto
pagare niente, poverina. E anche Anselmo e sua moglie erano pieni di gentilezze con me. Quante
volte mi hanno tenuto a desinare con loro? Puoi dire quasi tutti i giorni, mamma. (...)
«"Io mangiavo con un appetito che vorrei avere adesso: scodellone così di minestra col lardo,
piattoni così di patate fritte con lo strutto... Che meraviglia. E quando andavo ad aiutare Anselmo a
voltare l'erba falciata, o a caricarla sul carro. E il giorno della trebbiatura, e i giorni della
vendemmia. E quando lavoravano la carne del maiale... Chi se ne accorgeva allora che si era in
guerra?"».
Nel febbraio del 1943 l'appartamento di Giovannino in via Ciro Menotti viene distrutto dal
bombardamento alleato. La famiglia è già da mesi a Marore e Giovannino, richiamato alle armi e in
licenza di convalescenza, 'abbandona le macerie di Milano e la raggiunge nella sede di fortuna di
Marore dove si dedica al figlio e alla pittura.
Nella foto che segue si riconoscono, sull'armadio, l'olio su legno «L'allarme» (a sinistra) «Il cappello
matrimoniale» (al centro) e «Prete che mangia l'anguria in riva al Po» (a destra). Non si hanno
notizie del quadro sul cavalletto che raffigura Giovannino con la famiglia sulla mano e neppure del
quadretto al muro.
«Sarà bene tener presente che io, mentre da un lato ho il difetto di possedere una cassetta
completa di colori a olio, dall'altro (pur chiamandomi Giovannino ed essendo mite come un farfallo)
ho il difetto di prediligere le cose in "accio".
«Più che un pezzo di pane, mi piace di pensare che sto mangiando un "pezzaccio di pane"; più che
andare in bicicletta amo figurarmi di "dare due pedalatacce". Le cose in "accio" danno un po' l'idea
dello stramaledetto, del diotifulmini, e tutto questo mi seduce.
«Cosicché, nel pomeriggio di ieri, scoperto il "pioppaccio", sono sceso di bicicletta e ho esclamato:
"Giovannino, agguanta un pezzaccio di cartone e con quattro bottacce di verde e di cilestrino ferma
questa immagine stramaledetta".
Marore (PR), 1943.
Giovannino ha trasformato lo stanzone-ricovero dei mobili in atelier d'artista.
«Una carrareccia si inoltrava in mezzo a un prato nudo e immenso e, al principio di essa, come un
gigante a guardia di un Sahara coltivato a spinaci, si levava un altissimo pioppo.
«Ho alleggerito la mia bicicletta dalla zavorra, prima di schizzar via verso casa: e ciò vuol dire che
quel famoso Albertino era con me; per la qualcosa, toltolo di peso dal suo sediolo e legatolo per un
piede, con un lungo fil di ferro, al tronco del pioppaccio, l'ho pregato di non allontanarsi che sarei
tornato subito. (...)
Marore (PR), 1943.
Un carro trainato da due buoi fermo in mezzo alla strada con un contadino probabilmente ha ispirato
il nostro racconto.
Il contadino pare tranquillo: si capisce che non è ancora stato assalito e morsicato da Albertino...
«Al mio ritorno ho trovato Albertino in mezzo alla carrareccia ancora legato per il piede al tronco del
pioppaccio. Ma la faccenda non era poi tanto regolare come potrebbe sembrare: un vecchio
contadino, infatti, fermo davanti ai buoi del suo carro, stava imprecando:
«"I bambini non si abbandonano!".
«"Ma è legato" ho obiettato io.
«"Quando si hanno dei bambini così, non basta legarli, bisogna mettergli anche la museruola come
dicono i regolamenti! Intanto, perché io volevo passare, mi sono preso una morsicata nella gamba!
E se è idrofobo?"
Marore (PR), 1943.
L'assedio è stato tolto e il carro riprende la sua strada.
Marore (PR), 1943.
La voce si è sparsa e tutta la comunità è allertata: «Albertino in vista!».
«Ho rassicurato l'agricoltore, e il buonuomo è passato finalmente col suo carro. Poi ho rimproverato
severamente Albertino:
«"I bambini per bene non devono morsicare le gambe ai contadini".
«"No bambino, io tàne!" ha risposto Albertino indicando il fil di ferro che lo assicurava al fittone. «Ho
abbassato il capo confuso. Quale terribile lezione per un padre!»
Marore (PR), 1943.
Un pastore con l'ombrellone aperto e una contadina con una fascina di legna sulle spalle sospingono
un gruppo di capre.
Giovannino, dopo aver scoperto l'ultimo disastro perpetrato da Albertino con un certo timbro
malefico, è infuriato. Intanto Albertino, di soppiatto, restituisce l'arma del delitto.
Marore (PR), 1943.
Il volto innocente di Albertino non deve trarre in inganno: ha appena finito di timbrare tutto,
nonni compresi, e cerca di "far su" un Giovannino infuriato.
«Ritrovo il timbro sul tavolo. C'era un po' d'acqua per terra e ora, sui mattoni chiari, si vedono le
impronte di piccolissimi piedi dirette verso l'uscio della stanza da letto. (...)
«Ma le impronte di quei piedini sono così piccole, sembrano fiorellini sbocciati sullo squallido
mattone, e io le guardo e mi commuovo come un Giovannino qualunque. «Il che è bello e
istruttivo.»
Marore (PR), 1943.
Ultimi giorni di serenità estiva. A destra: la foto di Albertino che farà compagnia a Giovannino nel
Lager assieme a quella, clandestina,
di Carlotta scattata da Pino, il fratello, e inviatagli mascherata dentro un gomitolo di lana da Ennia.
Estate serena di Giovannino assieme alla famiglia sfollata a Marore. Tra pochi giorni rientrerà in
caserma e tra due mesi partirà per l'internamento in Germania. Giovannino scatta le ultime 32
istantanee 32 facendo il pieno di sole, di fiori e di colori. Il loro ricordo gli scalderà il cuore nei due
lunghi anni freddi e grigi nei Lager di Polonia e Germania.
Marore (PR), 1943.
Albertino nel parco della villa dell'architetto ducale
Ennemond de Petitot
(Lione 1727 - Parma 1801).
Giovannino, quando scatta queste foto, ha già fatto i suoi foto-ciclo-reportage sulle Alpi e lungo la
Via Emilia. Osservando le fotografie scattate in quelle occasioni scopriamo che i suoi foto-appunti
servono per illustrare situazioni particolari: sono rare le foto di scorci pittoreschi o monumenti storici
che, in quelle foto, funzionano solo da sfondo o contenitore.
A Marore Giovannino scopre la sua terra e la sua gente. Fotografa gruppi familiari, scorci, case di
campagna e il campanile con in cima la palla di ghisa che lui ha portato fin lassù da ragazzo.
Fotografa filari di viti, piante gabbate, pali della luce: li ritroveremo tutti nei disegni che lui farà per
illustrare i racconti del Mondo piccolo.
ABBONDANZA E CARESTIA
Giovannino riprende la pianta gabbata in questo disegno
in Don Camillo e il suo gregge nel 1953, illustrando
il racconto «Abbondanza e carestia».
LA PAURA CONTINUA
Un pedone preoccupante cammina sulle strade di Marore nel disegno fatto
da Giovannino per illustrare un racconto del Don Camillo.
Marore (PR), 1943.
Giovannino ha usato questa foto per illustrare su Candido il racconto «Il fischio».
Quando Giovannino era ragazzo, il parroco di Marore era don Lamberto Torricelli. Siamo andati a
salutarlo nel cimitero di Marore.
La foto della lapide ci ha mostrato un specie di gigante con la faccia da buono e con «mani grosse
come badili». Proprio come quelle di don Camillo.
Don Lamberto è stato il primo parroco di campagna al quale ha pensato nostro padre descrivendo il
suo pretone della Bassa: lo conferma la «Lettera a Sua Santità Pio XII» apparsa su Candido nel
1947, sei mesi dopo la nascita di don Camillo.
«Io sono un piccolo borghese della Cristianità: "Una specie di cavallo il quale, invece di venire
almeno due volte al giorno in chiesa per ringraziare Sant'Antonio Abate di avergli impedito fino a ora
di violare dichiaratamente i Comandamenti, approfitta del fatto per santificare soltanto la festa del
Natale".
«Così diceva il mio vecchio parroco il quale assomigliava molto a don Camillo.
«E aggiungeva: "Ma ci sarò io sulla porta del Purgatorio, caso mai tu ci arrivassi per sbaglio, a
cacciarti all'Inferno a pedate!". "Risparmiatevi il disturbo, reverendo" rispondevo allora. "Io vado
diritto in Paradiso." Dopo di questo il parroco mi allentava uno scapaccione e poi mi insegnava a fare
il compito di latino.»
Castelmassa (RO), 1941.
«Guardando questa foto mi sono venute alla mente le storie di Mondo piccolo.»
Così Giovannino, nel 1948, la incornicia e la mette sulla copertina di Mondo piccolo.
Don Camillo assieme a due angioletti e a n diavoletto.
Milano, luglio 1940.
Giovannino, in partenza per il suo giro ciclistico, in posa davanti alla fontana
del Castello Sforzesco a cavallo della sua Dei superleggera.
"E, inforcata la bicicletta, sono fuggito. In mutande, sì, in mutande. E così hpcominciato quello
straordinario giro ciclistico che dovrebbe farmi transitare, pedalando trionfalmente sulla mia
superleggera, per Parma, Bologna, Cesena, Riccione, Rimini, Ravenna, Ferrara, Verona, Brescia,
Bergamo".
Così scrive Giovannino ai Cestinieri che chiedono sue notizie nella rubrica "Il Cestino" del Bertoldo.
Lo stile è telegrafico: i suoi lettori possono saperne di più leggendo le sue ciclocorrisponaenze sul
Corriere della Sera - Edizione del pomeriggio:
«"Per combattere i malefici effetti della vita sedentaria" ho spiegato alla signora che fino a un certo
tempo perfettamente a me sconosciuta, diventò poi mia parente "occorre fare molto moto. Perciò
quest'estate mi darò principalmente al turismo." Le ho accennato l'itinerario di un mio progettato
viaggetto: Milano, Parma, Bologna, Cesena; San Marino, Riccione, Ravenna, Ferrara, Verona, lago di
Garda, lago d'Iseo, lago di Lecco, lago Maggiore, lago d'Orta, Sesto Calende, Milano Un complesso di
milleduecento chilometri saggiamente rallegrato da convenienti soste di uno o più giorni.
«"Vie Consolari, ponti, monumenti illustri, acque azzurre dolci o salate, luna, tramonti, albe rosate,
repubbliche, pescheti, Promessi sposi, Francesca da Rimini, paludi, autostrade, Re Teodorico, orridi
di Bellano, funicolari: quante mirabili cose in questi milleduecento chilometri!" ho esclamato alla
fine. "E quanta salute."
«"Combattere la vita sedentaria stando seduti in treno per milleduecento chilometri non mi sembra
una cosa straordinariamente felice" ha notato la esimia signora.
«"Certamente" ho ammesso "qualora io viaggiassi in treno la tua obiezione sarebbe saggia. Ma io
non viaggerò in treno: viaggerò servendomi esclusivamente di una bicicletta." (...)
«Si può addirittura affermare che la bicicletta è la mia seconda patria. Per l'amore che porto a
questo popolare, economico e fascinoso mezzo di locomozione, io ho abbandonato la dolce signora
che inventò Albertino (altro piccolo, popolare, divertente ma dispendioso mezzo di locomozione) e
mi sono sparso per le sconosciute strade dell'Italia superiore, sfidando pianure, mari, monti, paludi,
fiumi, laghi e paracarri».
sulla Via Emilia
«Di case coloniche che si affacciano sulla Via Emilia ce ne sono a migliaia, ma non dicono niente.
Questa invece ha qualcosa di molto interessante da comunicare, e lo comunica per mezzo di una
scritta di metri tre per uno, ornamento e decoro della facciata: "In questa casa non si bestemmia".
«L'informazione è senz'altro gradita e riveste alto significato morale. Non si fanno, perciò, commenti
arguti o meno. Anzi si pensa che sarebbe confortevolissimo percorrere strade sconosciute lungo le
quali si allineassero case con le note informative sulla facciata.
«"In questa casa non si ruba"; "In questa villetta si rispettano le mogli degli amici"; "In questo
negozio di sali e tabacchi non si rifilano monete false da cinque lire"; "In questo albergo non si
dicono bugie". Sarebbe confortevole e comodo. Ma si dubita che la cosa possa venire realizzata: è
facile infatti - come nel caso della bestemmia - prendere un impegno davanti al buon Dio, ma
assumere un impegno davanti agli uomini è tutt'un'altra faccenda. Con gli uomini, infatti, gli impegni
occorre mantenerli.
Via Emilia, luglio 1941.
Nel podere «Liguria» in casa non si bestemmia.
"Ecco: il cicloturista, anche se grasso, sudato e cigolante, mentre macina il suo asfalto può sempre
eseguire delle eleganti considerazioni d'indole morale e filosofica. L'automobilista e il motociclista
non ne avrebbero invece il tempo. E questo è un altro lato della superiorità che ha la bicicletta sul
motore. (...)
Emilia, luglio 1941.
Giovannino, attraversato «il mare dei prati», approda, tra covoni di frumento già mietuto,
al campo sperimentale di frumento «Comandante Baudi» e «Tiriamo diritto».
«Non so cosa mi consigliò, durante una sosta dopo una lunga tappa, a spingermi col biciclo in aperta
campagna. "Non bisogna lasciar arrugginire i muscoli" forse mi sono detto allora. A ogni modo non
lo garantisco. Il fatto è che mi trovai a un bel momento nel mare dei prati.»
Modena
«I principali meriti turistici di Modena sono mirabilmente riassunti in una cartolina che si può
facilmente acquistare da qualsiasi tabaccaio. Nella cartolina, convenientemente disposti, si
ammirano: la torre della Ghirlandina, uno zampone e una bottiglia di lambrusco.
«Riconosco che sia la Ghirlandina, sia lo zampone, si sono comportati correttamente nei miei
riguardi. Il lambrusco meno. Altrimenti non avrei avuta la peregrina idea di inforcare, alle tredici e
quaranta, la bicicletta per raggiungere con una bella volata Bologna.»
Modena, luglio 1941.
Giovannino, reso ardito dal lambrusco, è pronto per il grande balzo verso Bologna.
verso Bologna
«Guai al cicloturista che si avventura lungo la Via Emilia in un assolato pomeriggio di luglio. Egli si
accorge improvvisamente di odiare la civiltà che ha inventato la proprietà privata, i fossi, le reti
metalliche e le siepi. Si accorge che non occorre essere in un deserto per sentirsi sperduti.
«L'infelice pedala disperatamente aggrappato al manubrio: egli è certo che se si fermasse, il sole gli
spaccherebbe in pochi secondi il cervello, i pneumatici e farebbe squagliare la saldatura del telaio.
«Pedala in cerca disperata di un'ombra, di un po' d'erba fresca, ma tutto è chiuso, ogni ombra è
difesa da un fosso, da una rete metallica, da una siepe.»
Via Emilia, luglio 1941.
Il prototipo di Menelik arranca sull'Emilia che, per l'occasione, Giovannino ha ripreso in salita,
forse per far risaltare ancora di più lo sforzo del cavallo.
Giovannino fotografa il cavallo di un carrettiere. Forse è il primo "personaggio" del suo Mondo
piccolo che lui incontra: il prototipo di Menelik, il fedele cavallo di Giarón, e lo incasella nel
magazzino della sua memoria.
Gli altri, lo scriverà a un suo lettore, li incontrerà più avanti, sulla riva sinistra del Po, tra Ficarolo e
Castelmassa.
visita a un Rifugio
Pontelungo (BO), luglio 1941.
Un sorriso e un tegame di zuppa per i trentacinque ospiti del «Rifugio del cane» in riva al Reno.
«Dopo queste pregevoli constatazioni non mi rimaneva che visitare il «Rifugio del cane». È un ampio
recinto alberato e sorge sulla riva del Reno, a Pontelungo, a destra di chi crede, in buona fede, di
entrare in Bologna.
«Possiede una cucina dove vengono confezionate ottime zuppe, un ambulatorio nel quale, ogni
domenica, un sanitario visita i ricoverati, delle casette di legno per la notte, dei praticelli per il giorno
e un recinto coperto per l'inverno.
Pontelungo (BO), luglio 1941.
Pensiamo che l'ospite nero tosato sia Bill, il «piccolo scozzese nero come il carbone», e il cane in
primo piano sia Lampo, «grosso cane di razza» che, «se uno si avvicina al suo recinto, ringhia. Non
per cattiveria, però: fa la guardia».
«I trentacinque ricoverati sono divisi in tre categorie, a seconda del loro peso. Pare infatti che il peso
influisca molto sull'indole dei cani e che il più pesante tenda con ogni sforzo ad appropriarsi della
zuppa del meno pesante. Anche agli uomini, in fondo, succede così. Però, qui, le varie categorie non
sono divise da recinti e le cose si complicano maledettamente.
«I ricoverati sono trentacinque: cani abbandonati, cani affidati al rifugio da proprietari che se ne
volevano disfare. Trentacinque diverse specie di cani, trentacinque tragedie canine e profondamente
umane.
«C'è il cane di razza, un tempo ricchissimo e rovinatosi giocando in Borsa; c'è il cagnolino che, una
mattina, ha tentato invano di risvegliare la vecchia signora, che egli aveva adottato; c'è il cane
cacciato da casa con una pedata; c'è il cane vittima dell'urbanesimo.
«Tutto questo è molto triste, perché ogni cane ha il suo passato, una storia, una dignità. Bill è un
piccolo scozzese nero come il carbone. Tosato, ha perso molto della sua distinzione, come un conte
dell'Ottocento cui venissero rapati a zero i capelli ondulati. È orgoglioso e non vuole essere
fotografato: solo la gente di bassa origine, gli americani e gli artisti di cinematografo amano la
pubblicità.
«Lampo è un grosso cane di razza e, se uno si avvicina al suo recinto, ringhia. Non per cattiveria,
però: fa la guardia. E sembra uno di quegli uomini che hanno avuto nella vita funzioni importanti e
che, pure vecchi e rovinati, vogliono fare qualcosa a ogni costo, per illudersi di contare ancora
qualcosa. Così come le vecchie decrepite parlano, anche a vanvera, per convincersi di essere ancora
vive.
«La brava signora Vittoria che amministra amorosamente i trentacinque rifugiati mi narra di un
grosso cane, un magnifico animale il quale, per tutto il tempo che è stato ospite del rifugio, non ha
fatto che camminare e camminare in cerchio, come un leone in gabbia. Una tempesta in un cranio.
«"E per mangiare, signora, come faceva?"
«"Si fermava un momentino."
«Anche le grandi tragedie canine hanno dei punti di contatto con le grandi tragedie umane.
«Nel "Rifugio del cane" sono ricoverati pure cinquanta gatti: la miseria che livella ogni cosa umana,
canina o gattesca.
«Però sono in gabbia, altrimenti si scannerebbero coi cani: la miseria che non riesce a distruggere gli
odi e i rancori personali.
«Volendolo classificare, questo si chiamerebbe cicloturismo a sfondo filosofico.»
la salita a San Marino
Salita per San Marino, luglio 1941.
Giovannino sulla strada (ferrata) che conduce alla piccola Repubblica.
«Per portarsi da Rimini a San Marino conviene pedalare fin che si può usando la massima moltiplica.
Si adotta quindi la media e, alla fine, fattasi più forte la salita, invece di innestare la minima
moltiplica, si affida la macchina a un uomo dall'aspetto onesto e si prende la ferrovia elettrica.
Con undici lire di ferrovia elettrica, da Rimini si va all'estero e si torna.
a Ferrara
Ferrara, agosto 1941.
Sotto la moscheruola dell'albergo di Ferrara Giovannino sogna la libertà.
Giovannino giunge a Ferrara dove alloggia la notte. Dialogando nella rubrica «Il Cestino» con i
giovani talenti sconosciuti scrive una nota per il Cestiniere Normanno, forse di Ferrara:
«Ferrara è una bellissima città, però la faccenda di dormire con la zanzariera addosso non mi va: mi
sembra di essere un cotechino sotto la moscarola». Nella cronaca del Corriere della Sera aggiunge:
«La mia stanza è in fondo a un sistema complicato di corridoi semibui: mi vengono alla mente gli
alberghi di Saverio di Montepin. (...)
«Vorrei avere vicino la mia bicicletta: con la sua sfacciata modernità di cromature, di alluminio, di
fanalerie elettriche, mi ricorderebbe che io sono un uomo di questo mondo e che, al di là della notte
e delle muraglie, c'è la strada asfaltata coi pali del telegrafo, con le enormi bottiglie verdi dell'acqua
minerale, col grassone fatto di pneumatici, con i grandi cartelli rossi gialli e blu degli oli lubrificanti».
di là da Po
In riva al Po, agosto 1941.
La Dei superleggera di Giovannino sulla soglia dell'«ingresso d'onore dall'argine» di un paese in riva
al Po.
«I paesi in riva al Po hanno il loro ingresso d'onore dall'argine: due colonne di ghisa con le lampade,
una scaletta di pietra con ringhiere di ferro. Le case basse si rannicchiano attorno ai campanili
altissimi, così, come sul tavolo di cucina, accade che i dadi per il brodo si raggruppino attorno alla
bottiglia dell'olio.»
Castelmassa (RO), agosto 1941.
Il paese, visto oggi dall'argine, non è molto differente da quello visto nel '41 da Giovannino.
Giovannino, sull'argine, fotografa anche l'«ingresso d'onore» di Castelmassa.
Utilizzerà questa foto anni dopo per il frontespizio di Mondo piccolo Don Camillo dopo aver coperto,
con un pennellino intinto di biacca, la scritta sulla prima casa di sinistra: «Solo Iddio può piegare la
nostra volontà: gli uomini e le cose mai!».
Al maestro castelmassese Parmeggiani che gli chiederà come mai ha scelto proprio quel paese e
quella piazza, Giovannino risponderà:
«Nel 1941 io feci una crocera ciclistica e fotografai parecchio. Fotografai anche Castelmassa che io
conosco soltanto per aver visto il paese stando sull'argine. Guardando quella foto mi sono venute
alla mente le storie di Mondo piccolo. La foto è del '41, l'idea del Don Camillo è del 1946. Ho covato
Castelmassa per cinque anni, ecco tutto...».
il mulino fantasma
«A qualche chilometro da Ficarolo ecco un incontro di sapore letterario bacchelliano: il mulino sul Po.
La casetta a cavalcioni delle due grandi chiatte affiancate è dipinta a losanghe bianche e nere. Il Po
passa senza strepito fra le due chiatte e la grande ruota si muove. Sul fianco della casetta una
grande scritta: "Dio mi salvi".
«Nel mulino galleggiante non c'è nessuno ma le mole girano e macinano frumento.
«Sull'argine l'erba è alta e piena di fiori rossi, gialli, bianchi, rosa, blu: i fiori dei libri di lettura e della
fanciullezza. Lasciamo che la bicicletta vi si tuffi dentro e cominciamo a sparare fotografie.
«Una voce mi sorprende:
«"Bello, è vero?".
«È un vecchio contadino che mi parla dall'alto dell'argine. «"Bello" convengo io.
«"È uno degli ultimi" spiega il vecchio. "Presto anche questo scomparirà e rimarrà soltanto il mulino
fantasma."
«La faccenda mi incuriosisce e mi avvicino. «Il vecchio parla con naturalezza.
«"Quando il Po si gonfia, nelle notti dei temporali invernali, appare il mulino fantasma: è tutto
bianco e non c'è scritto niente. Naviga un po' lungo la corrente poi si ferma davanti a qualche paese.
Chi lo vede corre a casa, prende un sacchettino di frumento e lo porta sull'argine. Allora dal mulino
fantasma esce il mugnaio fantasma che prende il grano e lo macina. Poi il mulino fantasma riprende
la corrente e scompare."
«Chiedo al vecchio perché occorra portare il sacchettino di frumento.
«"Il mulino fantasma deve macinare per forza grano nel paese davanti al quale si ferma: se non
trova il sacchettino, il mugnaio si inquieta, va a cavare il frumento seminato e lo macina. Così il
raccolto è cattivo. Non bisogna fare inquietare il mugnaio del mulino fantasma."
«Il vecchio se ne va: risaliamo sulla bicicletta e vediamo di pedalare molto alla sveltina. Perché io
penso, ogni pedalata di più, di aver incontrato il vecchio contadino fantasma che va in giro a
raccontare la leggenda del il mulino fantasma.
Tutto è possibile in riva a questo meraviglioso Po.
Marore (PR), 1943.
Olio su cartone di Giovannino tratto dalla fotografia scattata
nell'agosto del '41 a Ficarolo.
Ficarolo (RO), agosto 1941.
Giovannino, risalendo la riva sinistra, incontra un mulino sul Po. Il cielo coperto da cupi nuvoloni e
l'acqua grigia e melmosa piena di schiuma di caolino trasformano l'improvvisa comparsa del mulino
gallaggiante in una apparizione irreale.
Marore (PR), 1943.
Olio su cartone di Giovannino tratto dalla fotografia scattata nell'agosto del '41 a Ficarolo.
Ficarolo (RO), agosto 1941.
«Dio mi salvi»: la scritta sul fianco della casetta non riesce a togliere la sensazione inquietante
provata da Giovannino.
Forse, osservando tra le due chiatte la grande ruota che l'acqua del Po fa girare, ha pensato ai corpi
degli annegati che si sono incagliati fra le pale.
Ficarolo (RO), agosto 1941.
Giovannino, prima di riprendere la sua risalita del Po, fotografa per l'ultima volta il mulino
«fantasma».
Siamo convinti che, fotografando la riva del fiume, abbia pensato al suo pretone della Bassa e pare
di vederlo arrivare nero, sudato mentre mangia una grande fetta d'anguria. Così, infatti, Giovannino
lo disegnerà nel 1943, mettendolo al centro della foto, al posto del mulino.
Marore (PR), 1943.
Olio su cartone di Giovannino tratto dalla fotografia scattata nell'agosto del '41 a Ficarolo.
Ostiglia
«Ostiglia è in pieno mercato e vedo con piacere che gli immensi campi di canapa, fra i quali ho
navigato sul mio sottile naviglio, non vengono coltivati invano. Il mercato di Ostiglia è pieno di
corda: dallo spago alla fune grossa come un palo. Fa venir voglia di impiccarsi.
«Sulla piazza mi attende una piacevole sorpresa. Incontro una vecchia, simpatica conoscenza di
giovinezza: Cornelio Nepote. L'ottimo Cornelio Nepote non ci ha davvero afflitto obbligandoci a
studiare i particolari della sua esistenza. Egli ha scritto un sacco di vite ma non la sua. Forse non
amava, come amano invece gli scrittori d'oggi, l'autobiografia. Forse non ha fatto in tempo a
raccogliere le sue memorie dato il pessimo scherzo venefico giocatogli dal liberto Callistene. (...)
«L'ottimo Cornelio è passato attraverso il nostro ginnasio con una discrezione ammirevole: soltanto
oggi, proprio perché sono stato io a cercarlo, si è permesso di farmi presente, dall'alto del suo
piedestallo, che, forse, è nato a Ostiglia.»
Ostiglia (MN), agosto 1941.
L'incontro con Cornelio Nenote. "una vecchia simpatica conoscenza", avviene sotto lo stesso cielo
coperto
da cupi nuvoloni dell'apparizione del mulino "fantasma" a Ficarolo
Ostiglia (MN), agosto 1941.
Forse Giovannino si è fermato qui a pranzo: «Alla prima trattoria entro. Certamente è l'unica
trattoria di Ostiglia dove si mangia male».
a Verona
«Sul castello di Verona il sole non batte soltanto a mezzogiorno: batte anche alle 15 e picchia sodo
straordinariamente. Gelati, birra e fotografie. Fotografie della porta di Bra, di Piazza delle Erbe,
dell'Arena, della tomba di Giulietta senza Romeo.
Verona, agosto 1941.
Giovannino è stato colpito dalla "costola di balena" dell'Arco della costa che dà sulla Piazza delle
Erbe.
«Dozzine di pessime fotografie: somme dilapidate in orribili fotografie quando esistono delle
magnifiche cartoline "Vera fotografia" in vendita in tutti i cantoni.
«La massima parte della sosta la trascorro sdraiato comodamente in un letto dell'albergo: Quindi,
ripartendo all'alba del giorno dopo, io sono in grado di affermare che Veroana ha un magnifico
materasso di lana e la peretta per la luce a siistra.
Verona, agosto 1941.
Un'improbabile Giulietta si affaccia sul vicolo dalla bifora di un voltone. Forse questo angolo di
Verona non esiste più.
la locomotiva merlata
«A Peschiera di buon'ora. Constatato che il lago di Garda c'è, si riparte per Desenzano e cammin
facendo ci si accorge che tutte le strade conducono a San Martino della Battaglia. Ogni settanta
metri si incontra una stradetta, un viottolo, un sentiero corredati da cartello indicatore il quale
assicura, in bianco su nero, che San Martino della Battaglia è lì a due passi.
Desenzano (BS), agosto 1941.
Uno sguardo sul viadotto ferroviario, verso l'alto. La strada è spopolata a causa dell'agosto,
dell'orario e dei venti di guerra.
«A Desenzano tutti dormono ancora. Dopo Desenzano un viadotto ferroviario altissimo e lunghissimo
con archi gotici a sesto acutissimo. Un treno passa sul viadotto e vedo con stupore che non ha la
locomotiva merlata come un castello
l'orologio di Brescia
Brescia, agosto 1941.
Giovannino continua a guardare verso l'alto, forse per non rivedere Piazza della Vittoria,
novecentistico centro della città realizzato da Marcello Piacentini nel 1932 dopo la demolizione di un
quartiere antico.
La «grande piazza ricca di marmi» che «può anche darsi che sia bellissima».
«A Brescia si arriva come un nembo nel comodo risucchio di un autotreno. Vedo una grande piazza
ricca di marmi: non me ne intendo di architettura moderna e può anche darsi che sia bellissima.
«Mi impressiona favorevolmente un antico orologio con tutte e ventiquattro le ore; uno di quei
meravigliosi orologi che segnano tutto: il giorno, il mese, l'anno, la luna, la stagione, lo smistamento
delle costellazioni. Uno di quegli orologi straordinari attorno ai quali un ingegnoso artigiano lavora
tutta la vita: dai venti ai quarant'anni per costruirlo e dai quaranta ai cento per imparare a leggerlo.
Iseo (BS), agosto 1941.
La «placida mucca» che Giovannino, chissà perché, ha fotografato. Forse stava già pensando alla
Bionda e alle sue fantasie.
«Io amo questi vecchi artigiani ingegnosi: quasi sempre muoiono infelici perché non riescono a
capire a che cosa servano le macchine straordinarie che essi hanno costruito.
Si pedala verso iseo e la bicicletta, superleggera alla partenza, sta diventando superpesante.
da Iseo in rotta verso Bergamo
«Quando arrivo a Iseo e fermo il biciclo sull'orlo del lago, una placida mucca scende dal vaporetto
assieme a un folto gruppo di rivieraschi e di villeggianti. L'avvenimento mi sembra degno di un paio
di fotografie, ma poi, ragionandoci sopra, non riesco a spiegarmi il perché.
«Fra i congegni più malefici, sta certo la macchina fotografica. Privo di macchina fotografica, voi
camminate allegramente e notate le cose essenziali. Corredato di una macchina fotografica voi
entrate in un singolare ordine di idee.
«Vedete un gatto:
«"Oh, un gatto!" esclamate, e siete commossi come se vedeste un dinosauro. Fotografate il gatto.
«Vedete un mattone posato su una cassa da imballaggio:
«"Oh, un mattone su una cassa da imballaggio!" esclamate presi da profonda emozione come se
aveste scorso un cacciatorpediniere su un campanile. E sparate fotografie al mattone.
«Poi scoprite l'inquadratura, il controluce, il particolare. Alla fine, sviluppate le negative, considerate
con disgusto le riproduzioni e le seppellite sotto qualche catasta di cartacce.
«La macchina fotografica è un arnese pericoloso: quando l'avete a tracolla ogni più povera cosa vi
sembra originale e interessante. Meglio quindi lasciare a casa questo dannato meccanismo: almeno
potrete esclamare ogni tanto: "Oh se avessi la macchina fotografica!".»
Iseo (BS), agosto 1941
Sotto: Giovannino cattura, sul fondo, un gruppo di seminaristi su un piazzetto sul lago. Sopra: un
vaporetto all'attracco.
una tappa a Lovere
«Lovere è un paesone simpaticissimo e le sue case si affastellano una sull'altra con indubbia grazia.
Val la pena di camminare per le sue stradette che si arrampicano su per il monte. Si scoprono degli
angoletti interessanti e un androne rustico e buio che inquadra un cortiletto pieno di luci e di
porticine fa spalancare l'occhio della mia macchina fotografica.
«Disgraziatamente lo spettacolo di un signore apparentemente in mutande che fotografa un portone
deve avere un fascino irresistibile: parecchie donne, anziane o vecchie, mi si affollano attorno. Sono
tutte garbate ma curiose.
«"Fotografate quell'affare lì?" mi chiede una incredula.
«"Sì" rispondo e la brava massaia scuote il capo.
«"E perché lo fotografate? È una vecchia bicocca scalcinata" si stupisce un'altra. «"È bello" spiego io.
«La giustificazione non è sufficiente. Si pretende qualche precisazione: «"Credete che sia roba
storica? È un'antichità?".
«La gente umile ha un enorme rispetto per le antichità: se voi vedete una massaia dei rioni popolari
con in mano un secchiaccio di zinco e, passando, osservate: "Quel secchio è antico", la brava donna
comincerà a rispettare il suo povero recipiente: non lo userà più, lo terrà in mostra nella sua cucina.
Lo vedrà brutto e ammaccato ma l'accenno a quel passato che essa non conosce lo rivestirà ai suoi
occhi di misterioso fascino.»
Lovere (BG), agosto 1941.
Dopo questa foto Giovannino deve giustificarsi:
«Fotografate quell'affare lì?» gli chiederà una donna incredula. «E perché?» Difficile rispondere.
Lovere (BG), agosto 1941.
Sopra: il portone «inquisito» dal comitato di donne di Lovere.
Sotto: alle 10 e 10 il sole picchia già forte e la folla di donne ha tolto l'assedio a Giovannino.
Lovere (BG), agosto 1941.
La trebbiatrice sul molo è stata adattata a tribuna per le autorità che festeggeranno la fine della
«battaglia del grano» del 1941.
Lovere (BG) e dintorni, agosto 1941.
Giovannino riprende la bicicletta per raggiungere Bergamo e scatta queste foto per finire il rullino.
Non lo sa ancora ma il ciclofurgone in primo piano è il «Nembo» dello Smilzo: questa foto,
dodici anni dopo, illustrerà su Candido il racconto del Mondo piccolo «Il Nembo».
Bergamo, agosto 1941.
Dall'«ampio divano all'ombra del giardino» di Donizetti...
«Ecco finalmente Bergamo e gli altri laghi
e il signor Gaetano Donizetti che, seduto su un ampio divano all'ombra del giardino, riceve la visita
di una bella signora in camicia con la cetra in mano.
Così sono nate le più importanti opere liriche: mentre il maestro sta pensando a chissà che cosa,
entra la signara in camicia con la lira in mano, e nasce la Lucia di Lammermoor (teatro San Carlo di
Napoli, 26 settembre 1835)
Como, agosto 1941.
... alla scomoda poltrona di Manzoni in mezzo alla confusione.
Lasciamo il maestro Donizetti sul suo «ampio divano all'ombra del giardino» e partiamo, assieme a
Giovannino, verso gli ultimi laghi del suo giro in bicicletta.
«Ecco il lago di Lecco e Manzoni in poltrona sullo sfondo del secondo periodo del primo capitolo. Ad
Acquate c'è la casa di Lucia, anzi due case di Lucia, e il paese completo dei primi otto capitoli. (...) A
Lecco io ho investito un piccione e mi sembrava di essere la folgore.
«Dopo Lecco, alcuni piccoli laghi privati dove è proibito tutto, poi l'infernale salita di Erba: poi Como
che afferra l'altro corno del lago.»
in viaggio verso Laveno
Lago Maggiore, agosto 1941.
Giovannino gioca con il controluce.
Una serie di romantiche fotografie lungo la costa del lago prima di raggiungere il traghetto.
Giovannino, scontento per le inutili fotografie di routine scattate a Verona (ne ha fatte stampare
pochissime), dà questo consiglio al fotografo dilettante:
Lago Maggiore, agosto 1941.
Giovannino, appoggiata la bicicletta al muretto, mentre attende pazientemente
che affiori il «mostro antidiluviano» modello Loch Ness, fotografa distrattamente il lago.
«Il cicloturista saggio chiuda nella ghiacciaia di casa la macchina fotografica e parta a mani vuote.
Allora gli accadrà, arrivato a un lago, di veder affiorare un mostro antidiluviano e si morderà a
sangue le mani per non aver portato seco la macchina fotografica».
Lago Maggiore, agosto 1941.
La sosta è stata più lunga del previsto, grazie al riparo che le iante hanno fornito a Giovannino.
Traghetto sul lago Maggiore, agosto 1941
La partenza...
Traghetto sul lago Maggiore, agosto 1941
... un ultimo sguardo (sinistra) alla costa che si allontana.
A destra: il traghetto è a metà strada...
Traghetto sul lago Maggiore, agosto 1941
... la traversata sta per terminare.
là in fondo è Milano
«Laveno, il vaporetto, Stresa, Pallanza, indi il lago d'Orta. Un'orgia di laghi e, alla fine, a Sesto
Calende, l'autostrada.
«L'autostrada percorsa in bicicletta e da soli è qualcosa di terribile. Sembra di camminare lungo un
corridoio di un castello abbandonato, lungo le strade di una città morta, e le poche automobili che
passano sembrano fantasmi.
«Non mi stupirei, ritrovando, a un tratto, i resti di una spedizione: qualche tandem arrugginito,
quattro cenci di tenda, delle scatolette di viveri in conserva, un barometro, una carabina, qualche
foglio ingiallito dal tempo.
«Il cicloturista è avido di birra, di cartoline illustrate, di gatti che attraversano improvvisamente la
strada. (...) Sull'autostrada non c'è niente.
«Oramai ci siamo: quella nebbiolina grigia, laggiù in fondo, è Milano. Il giretto è finito: i nostri
novanta chilogrammi ritornano a occupare la casella che il destino ha loro assegnato in questo
straordinario casellario milanese.
Sesto Calende (VA), agosto 1941
Dato il traffico ridotto dovuto alla guerra in corso, anche le biciclette hanno diritto di percorrere
l'autostrada.
In primo piano si vede in cruscotto della macchina di Giovannino ferma davanti al "casello".
Sesto Calende (VA), agosto 1941
Si vedono altre macchine sulle corsie.
Verso Milano, agosto 1941
Giovannino percorre l'ultimo tratto dell'autostrada deserta tra due ali di cartelloni pubblicitari.
«Si possono trarre delle conclusioni positive?
«Si può trarre una specie di decalogo del cicloturista.
«1) Non viaggiate mai solo: viaggiando solo non sai mai se cammini tropo forte o troppo piano.
L'ideale è, per il giovane, viaggiare con un anziano, e viceversa: il giovane sprona l'anziano,
l'anziano modera il giovane. Dopo quaranta chilometri il giovane e il vecchio hanno una
appassionata discussione al termine della quale ritornano a casa, ognuno per conto suo, in treno.
«2) Fate, prima di partire, un progetto d'itinerario preciso e dettagliato: lo rifarete poi
completamente dopo la prima tappa.
«3) Fate un preventivo di spese con una certa larghezza. Poi raddoppiatelo: otterrete circa la metà
di quello che spenderete effettivamente.
«4) Spedite molte cartoline: indurrete gli amici a sospettare che voi avete viaggiato in treno e che
cercate di fabbricarvi un alibi.
«5) Una tappa di cento chilometri dividetela sempre in due frazioni: la prima di novantotto
chilometri, la seconda (dopo il pasto di mezzogiorno) di due chilometri. Per i tempi non
preoccupatevi: impiegherete lo stesso tempo a percorrere sia i novantotto chilometri antimeridiani
che i due pomeridiani.
«6) Servitevi di carte topografiche a grandissima scala: vi daranno una più esatta idea della
distanza. Diffidate della scala in se stessa: non è vero che un centimetro sia uguale a cinque
chilometri. Cinque chilometri sono sempre uguali a cinquemila metri.
«7) Le medie orarie stabilitele compiuto l'intero percorso. Poi non credeteci.
«8) Mettetevi bene in testa che, anche forniti di un cambio perfezionatissimo, per avanzare bisogna
sempre pedalare.
«9) In caso di guasti o bucature, aprite la borsetta degli arnesi e buttate gli arnesi in essa contenuti
oltre la siepe: potrete raggiungere il primo meccanico con la bicicletta in spalla, senza accollarvi pesi
superflui. Gli utensili per le riparazioni devono costituire semplicemente la zavorra della bicicletta.
«10) Non fumate e non bevete durante la marcia: potrebbe non farvi male e questo dispiacerebbe
molto agli igienisti.
«Non ho più niente da aggiungere: l'assennata amministratrice dei nostri beni e dei miei mali mi ha
comunicato che l'anno venturo inforcherà anche lei una bicicletta e mi seguirà nel mio prossimo giro
turistico. Le assennate massaie soffrono quando il compagno della loro vita naviga solo, su strade
sconosciute e pericolose.
«Hanno una terribile paura che si diverta.»
Iseo, 1941
La cittadina invasa dalle biciclette.
quindicimila biciclette in riva al lago Iseo, 1941
Giovannino, durante il suo lungo giro, fa una deviazione, in treno, fino a Iseo in occasione di un
cicloraduno particolare. Ci passerà ancora tra un mese con la bicicletta, che, «superleggera alla
partenza, sta diventando superpesante».
La cronaca di questo raduno compare il 21 luglio sul Corriere della Sera - Edizione del pomeriggio col
titolo «Salubrità del cicloturismo - Quindicimila biciclette in riva al lago».
«Iseo si affaccia sul lago educatamente. Le sue case non si arrampicano una sull'altra - malvezzo
comune a tanti paesi di lago - per cacciar fuori la testa a curiosare come fanno le signore dalla
finestra quando nelle strade succede qualcosa.
Iseo (BS), luglio 1941.
La piazza di Iseo dalla stanza d'albergo dove si è rifugiato Giovannino.
Iseo (BS), luglio 1941.
Autorità e banda sulla tribuna galleggiante.
Iseo (BS), luglio 1941.
Invaso anche il Lungolago.
«Le case d'Iseo se ne stanno sempre una dietro all'altra, tranquille, senza alzarsi in punta di piedi.
Le case di prima fila guardano per forza il lago. Con discrezione. Iseo è un caro borgo, ed era perciò
logico pensare che,
saputo del cicloraduno, si sarebbe fatto in quattro per accogliere i visitatori cicloturistici. I visitatori,
da parte loro, si sono fatti in quindicimila per ricambiare la cortesia, e tutto ha funzionato benone.
«Scrosci di cicloescursionisti si sono abbattuti sull'Iseo. Ne sono piovuti a catinelle dai Dopolavoro di
Brescia, Mantova, Bergamo, Milano, Pavia, Cremona. Un uragano di biciclette. Quindicimila biciclette
sono tante, sono un mare di biciclette.
Iseo (BS), luglio 1941.
Impressionante deposito di bici.
«E biciclette di quelle autentiche, non quelle gonfie di rubinetti, manovelle, leve, sportelli, fili, tubi e
ringhiere; non le mirabili biciclette alla moda predilette dalle signore per il passeggio. Biciclette che
scricchiolano, fischiano, raschiano, ma vanno a lavorare tutte le mattine.
«Giovinetti, vecchi con grandi baffi, belle raga
zze, famigliole, bambini sistemati sul telaio o nella sporta, squadre con maglie azzurre, arancione,
verdi, marrone, rosse, bianche; con tute grigie, blu.
Iseo (BS), luglio 1941.
Commovente e spontanea offerta del cicloturista anonimo per la salute dei tre compari, «i signori
Roosevelt, Churchill e Stalin».
«Quasi tutte le squadre recavano grandi cartelli di un facile simbolismo, piacevoli per noi, ma non
per i signori Roosevelt, Churchill e Stalin.
«Un cicloturista, materializzando l'allegoria, ha collocato sul davanti del suo ciclo una enorme
bottiglia di cartapesta contenente - avvertiva l'etichetta - una famosa e battagliera qualità di olio
vegetale destinato ai tre personaggi già accennati.
Iseo (BS), luglio 1941.
Il presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro, in bicicletta, dopo aver tirato il gruppo delle autorità
al completo, lo ha distanziato in volata raggiungendo per primo la tribuna galleggiante.
«Rino Parenti, presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro, arrivato alle ore 11, è salito in bicicletta
insieme a tutte le autorità venute a riceverlo all'ingresso del paese, e ha passato in rivista i tre o
quattro chilometri di schieramento, fra alte acclamazioni.
Iseo (BS,) luglio 1941.
Giovani Italiane "torreggiano" sul presidente dell'OND,
attorniato, sul palco, dalle autorità e dalla banda.
«Arrivato poi al palco costruito sul lungolago, ha assistito alla sfilata delle squadre cicloturistiche,
alla quale hanno presenziato anche i feriti di guerra che, al loro apparire, sono stati salutati da
commossi applausi.
«Parenti è rimasto a Iseo fino al termine delle manifestazioni, comprendenti cori, gare di palla a
volo, di nuoto, di canottaggio e infine di pattinaggio artistico.
Iseo (BS), luglio 1941.
Il presidente dell'Opera Nazionale Dopolavoro, dopo il discorso,
comanda di dar fiato alle trombe e aria alle fisarmoniche.
Iseo (BS), luglio 1941.
La banda inizia a suonare in chiave di «Vincere» e di «Tacere»
(vedi il guidone sugli strumenti).
Milano, 1952.
Giovannino ha riprodotto a matita, carboncino e biacca, questa foto per illustrare
su Candido (n. 10 del 1952) i suonatori della «Banda» del Marchese, racconto di Mondo piccolo.
Iseo (BS), luglio 1941.
La ragazza in costume ascolta la musica: ma quando si balla?
Iseo (BS), luglio 1941.
Inizia la sfilata e passano davanti alla tribuna d'onore i primi partecipanti al cicloraduno.
«Non mancavano nella sfilata un antico velocipede e un modernissimo biciclo "ultra autarchico"
come informava con un cartello il costruttore.
«Si trattava infatti di una costruzione in legno alta circa due metri e mezzo e del peso probabile di
qualche quintale. Però, pedalando di lassù, la faccenda si muoveva allegramente e rimaneva sempre
verticale. Iseo ha vissuto così la sua gran giornata.
Iseo (BS), luglio 1941.
Il capitano della ditta Massetti di iseo sfila col suo "ciclo ultra autarchico" in legno davanti alla
tribuna delle autorità col gran pavese sul ponte di comando.
Iseo (BS), luglio 1941.
L'asse Roma-Berlino-Tokio, convenientemente armato, parte a piedi per la sfilata, con Tokio in coda.
Iseo (BS), luglio 1941.
Il gagliardetto del Partito Nazionale Fascista accompagna l'incedere solenne della «multipla».
Giovannino, privandoci della parte finale della «multipla», ci lascia nel dubbio sul numero dei
componenti dell'equipaggio.
«Sul fare della sera, quindicimila cicloescursionisti sono risaliti sulle loro biciclette. Un po' tristi
perché dispiace lasciare un così dolce paese e tanta brava gente; e poi perché la tessera del
Dopolavoro, se dà diritto allo sconto sui prezzi dei cinematografi, non dà diritto a nessuno sconto sui
chilometri di strada da percorrere per ritornare a casa.»
Alpi, luglio 1942.
Giovannino in autoscatto pensa al traguardo di Igea Marna.
Igea Marina (FO), luglio 1942.
Ennia e Albertino al traguardo dell'Albergo Nettuno.
in bicicletta 1942, un giro sulle Alpi con meta Igea Marina
«Buon Dio: lo sapete che oggi debbo fare quattro puntate del "Cestino" in una sola volta? Altrimenti
non posso inforcare la mia stupenda superleggera e slanciarmi per le belle strade che mi porteranno
al Passo Sella, a Cortina, poi a Venezia fino a Igea Marina dove mi attende Albertino?
Compiangetemi, amici!»
Nel luglio del 1942 Ennia e Albertino sono in partenza per Igea Marina. Grandi preparativi in casa:
Giovannino lo racconta nelle «Osservazioni di uno qualunque» sul Bertoldo del 17 luglio:
«Oggi ritornando dal lavoro ho trovato la casa piena di gente. Con maggior precisione dirò che in
anticamera - all'infuori dei dieci o dodici ragazzini che stavano intrattenendo piacevolmente Albertino
- non c'era anima viva, ma si udivano tutti i suoni e i rumori caratteristici di una animata discussione
provenire dai recessi della sala-salotto-stanza di soggiorno.
«Qui appunto ho trovato la gente che dicevo prima. Si trattava di una dozzina di signore dello
stabile: la tavola grande era stata spinta in un angolo in modo da permettere alle insigni personagge
di sistemarsi correntemente in cerchio attorno a una donna seminuda. (...)
«Un giorno Albertino - presentemente di anni due e illetterato - scorrerà queste mie povere note e
arrossirà di vergogna apprendendo che, mentre egli ignaro si dava a innocenti trastulli in
anticamera, nella stanza vicina sua madre mostrava la spina dorsale a un consesso di signore.
«La seminuda era appunto la donna che mi rese peccatore e padre.
«A onor del vero debbo riconoscere che, appena mi ha scorto, la esimia signora ha sollevato di
scatto l'asciugamani fino alla radice del collo ma questa operazione le ha naturalmente scoperto una
parte notevole degli arti inferiori al disopra del ginocchio. Della qual cosa accortasi (incerta su quello
che fosse più conveniente togliere allo sguardo di un uomo) la sciagurata ha continuato per un pezzo
ad alzare e riabbassare l'asciugamani.
«"Suvvia! Chi sa quante volte vi ha vista così" ha commentato ironica la signora Piera. «Questa
infame insinuazione mi ha fatto arrossire.
«Nel frattempo la fabbricatrice di Albertino aveva trovato una ingegnosa soluzione dell'assillante
problema accoccolandosi per terra: accorciandosi cioè di quanto non si poteva allungare
l'asciugamani.
Sarà completato prossimamente