Oltre la frontiera. Tracce di acculturazione tra varie

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Oltre la frontiera. Tracce di acculturazione tra varie
Oltre la frontiera. Tracce di acculturazione
tra varie popolazioni nell’area alto adriatica
e nell’arco alpino (V-VIII sec.)
Il tema che è stato proposto per questo seminario costringe a una riflessione sui pochi dati
che sono stati editi, nonché a una rilettura critica degli stessi e dell’ ampia letteratura che successivamente su di essi è fiorita. Lungi dal tentare una trattazione sintetica complessiva, sul
tipo di quella che altri ha di recente prodotto 1,
cercheremo piuttosto di focalizzare l’attenzione
su alcuni fatti nuovi, come recenti revisioni di
vecchi rinvenimenti o nuovi scavi, senza tralasciare un succinto elenco dei problemi ancora
aperti che riguardano l’Istria.
Romani e Goti
Una recente revisione del materiale archeologico appartenente alla collezione di Toppo,
conservato presso i Civici Musei di Udine, ha
permesso di ristudiare la crocetta d’oro con granato rinvenuta nel 1776 nella necropoli di S.
Stefano di Aquileia. Essa fu recuperata all’interno del sarcofago di P. Aelius Domitianus predisposto alla fine del II o all’inizio del III sec. d. C.
per un fanciullo di cinque- sette anni 2. Più tardi
il sarcofago fu riutilizzato per la sepoltura di un
fanciullo o fanciulla, della stessa età o ancora
più giovane, deposta nel cimitero cristiano ubicato a nord di Aquileia, intorno a una chiesa la
cui intitolazione appartiene al pieno V secolo 3.
La crocetta fa parte di una ristretta serie,
ben nota, propria dell’Italia settentrionale che
comprende una manciata di esemplari da Dertona a Treviso. Il confronto più stretto si ha con
un esemplare del tesoro di Reggio Emilia 4. Se
ne ricava una datazione compresa entro la fine
1 Ad es. KRAHWINKLER 1992.
2 Sul testo si veda I.A., 755, con precedente bibliografia. Per
le circostanze del rinvenimento si rimanda a BUORA 1983,
pp. 284-285. Per lo studio approfondito delle crocette si rimanda a CASSANI 1995.
3 Certo posteriore all’inventio del corpo del santo, avvenuta
nel 415 d. C.
4 Cfr. GELICHI 1994, p. 43; BIERBRAUER 1994, pp. 202- 207.
Fig. 1) La crocetta aurea dalla tomba di fanciullo, della fine del V sec. d. C., scoperta nel
1776 nella necropoli di S. Stefano in Aquileia,
lato anteriore (Civici Musei, Udine, inv.
1358).
Fig. 2) (sotto) La medesima crocetta, lato posteriore.
del V sec. d. C.. Sembra del tutto evidente che
tali crocette fossero fabbricate da orefici
dell’Italia settentrionale per la classe dirigente
del tempo. Non è chiaro se i clienti principali
fossero i Latini o i Goti, anche se sembra ragionevole supporre che entrambi amassero questi
oggetti e li chiedessero agli artigiani alla moda.
Il tesoro di Desana è stato ritenuto parte di corredi funerari del romano Stefanus e dell’ostrogota Valatruda, i cui nomi si trovano nell’anello
nuziale 5, e anche nel tesoro di Reggio Emilia si
trova un anello d’oro con un nome germanico 6.
Almeno a Treviso e ad Aquileia tali crocette erano entro la tomba di fanciulli, che potevano essere nati anche da matrimoni misti.
La crocetta di S. Stefano di Aquileia e soprattutto il recupero della sua datazione, frutto degli
ultimi studi di G. Cassani, arrecano un contributo a molti problemi. Innanzi tutto dimostrano
che la città non fu affatto abbandonata né dopo la
venuta di Attila né dopo la venuta di Teodorico,
ma che ancora allo scorcio del V secolo (e poi
all’inizio del VI) erano utilizzate anche dai più
abbienti le necropoli extra moenia. In accordo con
le prudenti valutazioni del Bierbrauer, riteniamo che la crocetta di per sé non sia prova sufficiente dell’appartenenza alla stirpe gota del fanciullo che la portava. Recenti ricerche condotte
da F. Maselli Scotti nell’archivio del museo nazionale di Aquileia hanno permesso di riconoscere il luogo di rinvenimento (negli scavi del 1897)
di noti elementi di abbigliamento di una dama
della nobiltà gota 7. Essa fu sepolta non lontano
da altre tombe del periodo paleocristiano, di cui
ci sono rimaste solo le epigrafi 8, all’interno di
quello che dovette essere un edificio privato (?) di
un certo pregio nel periodo imperiale. Proprio la
vicinanza delle altre tombe cristiane fa ritenere
che la dama gota sia stata sepolta all’estremità
meridionale del cimitero che era collegato con la
basilica paleocristiana di Monastero.
Ci sembra che almeno questa sia una prova
sufficiente per dimostrare l’ossequio alla volontà di Teodorico che aveva ordinato ai propri
sudditi germano-orientali di seguire le usanze
funerarie della popolazione romana. Se è così
essa rappresenta una tappa importante nell’acculturazione tra persone appartenenti a etnie
diverse nell’ambito dell’attuale Friuli alla fine
del V e all’inizio del VI sec. d. C.
5 BIERBRAUER 1984, p. 467.
6 Ibid..
7 Riediti recentemente in BIERBRAUER 1994, pp. 183-184;
per il luogo di rinvenimento si rimanda a MASELLI SCOTTI 1993, p. 285.
8 Precisamente I.A., 2930, 2934, 2986, 3006 e 3022, citate in
MASELLI SCOTTI 1993, p. 284.
L’insediamento su altura di Tonovcov grad,
presso Caporetto
Passando dal mondo dei morti a quello dei vivi, possiamo anticipare sommariamente che
straordinarie novità emergeranno dagli scavi iniziati nel 1993 e proseguiti nel 1994, il cui materiale è ancora in larga parte in corso di studio
- condotti dai colleghi sloveni a Tonovcov grad,
nei pressi di Caporetto, ove è stato scoperto un
importante insediamento pluristratificato 9.
Qui in una vasta area, difesa naturalmente e
munita anche di fortificazioni, posta su un’altura poco distante dalla strada romana che correva a fondo valle, esisteva un sito frequentato in
momenti diversi e abitato specialmente dalla fine del IV all’inizio del V sec. In questo luogo, alla fine del V o al più tardi all’inizio del VI si costruirono vari edifici in muratura i cui resti sono ancora in larga parte visibili. Uno di questi è
stato oggetto di scavo nel corso del 1994. Accanto alle monete gotiche (Teodorico e Atalarico) sono emersi elementi tipici della cultura romana,
come fibule del tipo Gurina o a forma di croce e
bicchieri in vetro. È auspicabile che le future ricerche portino a distinguere gli strati più propriamente databili nel periodo goto, quelli attribuibili a eventuali presenze bizantine e quelli
pertinenti ormai all’epoca longobarda. Sarà allora possibile, in questo luogo privilegiato e finora senza confronti nell’ambito del territorio di
Aquileia, erede delle precedenti fortezze dei
claustra Alpium Iuliarum, osservare eventuali
fenomeni di interscambio culturale.
Sicuramente dal prossimo futuro sarà possibile avere a disposizione maggiori elementi per
l’individuazione di caratteri tipici della popolazione romanizzata dell’arco alpino orientale e per
la loro precisazione cronologica. Tra questi includerei volentieri alcuni tipi particolari di fibule,
anche a forma di animali (es. gallo, pavone etc.)10.
Un problema particolare, ma di estremo interesse dal nostro punto di vista, riguarda le fibule ad arco piatto con piede allungato che sono
note in notevole numero nell’arco alpino orientale, dall’Alto Adige (Tysens-St. Hippolyt, Loten
nella val Pusteria), alla Germania (Passau-Instadt) all’Austria (Gurina, Lauriacum-Lorch)
all’Italia (Invillino, Udine)11 alla Slovenia (Tonovcov grad) e infine nelle tombe femminili dei
9 Su cui rimando alle notizie preliminari di S. CIGLENEČKI, in corso di stampa per “Aquileia nostra”.
10 Emergono fin d’ora alcuni raggruppamenti: così ad es. le
fibule a forma di pavone, tra cui è famosa quella di Invillino
(BIERBRAUER 1987, tav. 46,5); la forma è ora attestata da
più esemplari sull’Hemmaberg (SCHRETTER 1993, pp.
195-196, figg. 5-6 e 8,11-12), ma anche nel medio Friuli e nel
Veneto orientale (Concordia e Altino).
11 BIERBRAUER 1987, pp. 164-165.
Visigoti di Spagna, ove tuttavia le stesse fibule
sono state considerate di recente dal Bierbrauer
oggetti tipici romani. Tale è la fibula in ferro
della tomba n. 344 di Duratòn (Sepùlveda, Segovia)12 e in qualche modo simili sono le due fibule in coppia della tomba B di El Carpio de
Tajo (Torrijos, Toledo) 13. La forma sembra in
qualche modo ricordare una fibula d’argento del
tesoro di Desana, a ulteriore dimostrazione che
il medesimo modello era realizzato in forme diverse 14.
Romani e Longobardi. Risultati delle ultime
ricerche
Il deciso spostamento del pendolo verso l’elemento longobardo, verificatosi negli ultimi anni
in larga parte della ricerca e della storiografia locale del periodo altomedievale 15 non deve far dimenticare che la massa della popolazione era diretta erede, anche etnicamente, dei Romani. Gli
scavi delle necropoli, tra cui quella ben nota di
Romans d’Isonzo, hanno dimostrato la presenza
di individui, che si possono considerare come autentici longobardi, pienamente inseriti in contesti romani 16. Di grande interesse è pertanto, a
questo proposito, lo scavo della necropoli di Lovaria, una decina di chilometri a sud di Udine, ove
finora sono state individuate una settantina di
tombe. Dai riscontri di superficie, in seguito alle
arature che continuano a sconvolgere le sepolture, l’area interessata dalla necropoli sembra
estendersi per più di 3500 mq, di cui circa 900 sono stati oggetto di scavo. Il materiale è in corso di
studio, ma si segnala fin d’ora che non è emerso
alcun oggetto sicuramente ascrivibile all’etnia
longobarda: ad es. alcune guarnizioni di cintura
in bronzo sono tipiche del VII sec., ma non sembrano esclusive dei Longobardi. L’artigianato di
lusso (un orecchino d’argento del tipo che di solito è conosciuto in bronzo, armille e guarnizioni in
bronzo, oggetti di vetro, con un bicchiere a calice,
orecchini e collane di vaghi in pasta vitrea) sembra di piena tradizione latina, così come i vasi interi in rozza terracotta che erano deposti presso
alcune tombe, per lo più di fanciulli.
Sembra degna di nota la presenza di questi
vasi che è attestata localmente forse già dal V
secolo, ad es. nelle tombe 1 e 7 di Castions di
12 I Goti, p. 316, fig. IV, 23 a.
13 Ibid., pp. 317-318.
14 Ibid., fig. 95 a, p. 207, testo a p. 208.
15 In Friuli numerosi lavori di carattere occasionale si sono
avuti in occasione della mostra sui Longobardi (1990), preceduta da importanti scavi, tra l’altro a Romans d’Isonzo e a
Cividale. Per una sintesi più ampia cfr. FERLUGA 1992.
16 Cfr. Longobardi a Romans d’Isonzo.
Fig. 3) Rilievo della tomba n. 7 della necropoli tardoantica di Castions di Strada (UD): presso la spalla destra si vede un’olla, deposta dopo che il corpo era già
stato adagiato nella tomba (Dis. G. D. de Tina 1993).
Strada 17. La tomba n. 1 aveva elementi di chiara appartenenza culturale latina e quindi non
può essere datata troppo avanti. Degno di nota il
fatto che a Castions di Strada come a Romans
d’Isonzo le olle (in un solo caso un catino) siano
poste prevalentemente presso la testa, alla destra del defunto, secondo un’abitudine che troveremo molti secoli dopo, tra la fine del X e l’inizio dell’XI ancora in Ungheria 18. È degno di riflessione il fatto che a Teurnia, negli ultimi tre
decenni del VI secolo non compaiano recipienti
di cotto 19, mentre l’abitudine di gettare nelle
tombe un coccio è attestata ad es. sulla Costa
Azzurra 20. Sia a Castions che a Romans si sono
trovati anche oggetti già frammentati, come
quelli deposti nella necropoli di Pradamano, che
riterrei più recente di quella di Lovaria, appena
un paio di chilometri più a nord 21. Qui la posizione numericamente prevalente era presso la
testa, ma nella tomba n. 7 era presente un largo
frammento di olla anche presso i piedi, esattamente come nelle tarde tombe dell’Ungheria.
Nelle tombe di Lovaria, che sembrano databili
prevalentemente al VII sec., gli oggetti sono tutti integri, ma riservati in larga parte alle tombe
17 Edite in BUORA 1993a.
18 Cfr. KOVACS 1994, p.143. Esempi del periodo precedente si trovano a Garabonc I e in altre necropoli ungheresi e
dell’area danubiana, cfr. SZÖKE et al. 1992, p. 61.
19 PICCOTTINI 1976, p. 106.
20 PAULI 1983, p. 166.
21 BUORA 1988.
Fig. 4) Rilievo della tomba 14/1993 di Lovaria: il vasetto in ceramica grezza è posto poco sotto la spalla
destra del bambino (Dis. G. D. De Tina 1993).
di bambini e adolescenti. La presenza di questi
vasi, la loro posizione, il fatto che siano interi o
frammentati indica una sorta di sintonia con le
tradizioni ben vive dell’Europa mediodanubiana
e dell’Europa centrale; si richiedono certo ulteriori approfondimenti per comprendere le ragioni degli affioramenti locali o delle lunghe sopravvivenze di tradizioni che sembrano comuni
a diverse civiltà in tempi anche molto lontani.
Sostanzialmente anche la forma, la decorazione
e l’impasto di tali vasi non si discosta da quanto
è osservabile in un’area molto vasta al di fuori
del confine d’Italia. Rimarchevole anche il fatto
che alcune di queste tombe avessero delle corte
spade spesso poste entro il fodero decorato con
file marginali di borchiette di bronzo. Foderi con
la stessa decorazione sono noti anche in altri
luoghi d’Europa, ad es. in Germania 22. I defunti con questi oggetti (mai isolati nella sepoltura,
ma spesso in coppia) erano deposti vicino a donne che presentavano ricchi elementi del costu-
22 KOCH 1982, p. 451. Ma naturalmente non sono ignoti in
Italia, ove compaiono ad es. nella necropoli di Sovizzo (materiali al Museo di Vicenza).
23 Su 62 deposizioni di cui si è potuto registrare l’orientamento 36 (= 58 %) erano disposte in direzione N-S con variazioni comprese entro un angolo di 20 gradi. Altre 24 avevano un orientamento perpendicolare, compreso entro 242 e
275 gradi.
24 Ad es. nella tomba 2 di Treuchlingen-Schambach (MENGHIN 1990, pp. 60-61) o in altre tombe anche femminili co-
me. Nella quasi totalità le tombe di Lovaria, presentavano una o più file di sassi intorno al defunto, carattere che le distingue completamente
dalle tombe schiettamente romane databili fino
al IV-V sec. per cui mi sembra probabile una datazione dalla fine del VI alla metà del VII sec..
È auspicabile che anche in questo caso le future ricerche possano permettere di riconoscere
l’eventuale momento di saldatura tra questa
parte della necropoli e quella dei periodi precedenti (che tuttavia, in base a quanto si suppone
attualmente, potrebbe essere stata spostata anche di qualche centinaio di metri).
A Lovaria sembra irrilevante l’orientamento
delle sepolture, che era condizionato in parte
dall’andamento del terreno: nello stesso sito,
forse in periodi diversi, si trovano due orientamenti tra loro perpendicolari 23. Decisi elementi
di rottura o di netta trasformazione rispetto alla tradizione latina erano invece qui la costruzione delle tombe con file di sassi, - forse considerabili anche come lontanissime eredi delle
tombe in pietra o con pareti in laterizio - e la
presenza di coltelli e armi.
Sappiamo che la presenza di coltelli è attestata in Germania almeno verso la metà del V
sec. d. C. 24. Essa appare del tutto occasionale in
una tomba di Teurnia 25. In Italia sappiamo come essa fosse estranea alla tradizione romana e
anche a quella gota. Se si potesse dimostrare
che tale abitudine viene introdotta dai Longobardi, allora si avrebbe un utile elemento di datazione per le tombe con coltelli, posteriori non
solo al 568, ma anche a quel periodo di tempo
necessario perché l’abitudine passasse da una
popolazione all’altra.
Romani, Bizantini e Longobardi in Istria
La bibliografia relativa all’Istria nel periodo
comprendente la dominazione bizantina (iniziata nel 538 d. C.) e l’inizio della presenza franca
(fine VIII sec. d. C.) è molto ampia sia sotto
l’aspetto storico che propriamente archeologico26 e, va detto apertis verbis, non è tutta esente
da chiare simpatie filoitaliane o filoslave o, come recentemente è capitato di riscontrare, da
pregiudizi antiavari (il che significa spesso, ai
nostri giorni, anticroati).
me quella di Bittenbrunn (BÖHME 1988, p. 32). BROZZI
1989, p. 44 non analizza il problema della comparsa e del significato dei coltelli.
25 PICCOTTINI 1976, p. 106 (tomba 2/1972).
26 Per il periodo più recente sono utilissime la messa a punto e la discussione dei problemi relativi all’VIII sec. effettuate in occasione del convegno internazionale di storici, archeologi e linguisti di Cortina, presso Capodistria (Slovenia)
il 28 e 29 maggio 1993 ora editi in “Acta Histriae” II, KoperCapodistria 1994.
Le trattazioni degli storici, in cui le opinioni
e le ipotesi spesso tendono a prendere il posto
delle effettive conoscenze, non sempre sono di
qualità migliore rispetto alla documentazione
archeologica, ove la precisione spesso per evidenti motivi difetta o è irraggiungibile.
Elenco alcuni problemi che rimangono aperti:
1) I Longobardi arrivarono in Istria? Se sì,
quando?
2) Quali furono effettivamente i rapporti, numerici, insediativi, amministrativi etc. tra gli
autoctoni, intesi come discendenti dell’antica
popolazione latina e gli Slavi in Istria?
3) Esistette una zona di confine o addirittura
un limes tra Longobardi e Avari?
Tutte queste domande sono state poste più
volte e hanno avuto risposte contraddittorie.
Cominciamo dalla prima.
1) Nulla sappiamo della eventuale presenza
di Longobardi in Istria ovvero nella sua parte
nord-orientale fin dal 568. Eventuali presenze
a macchia di leopardo o in forma di guarnigioni
potrebbero essere rivelate dalla tomba del cavaliere di Brezac 27 e dai corredi tombali di Buzet 28. A questo proposito alcuni oggetti sono riconducibili solo ipoteticamente alla cultura
materiale o all’etnia longobarda, potendosi anche agevolmente ipotizzare la presenza di più
elementi di origine mista nel costume individuale 29 o nella bardatura del cavallo 30 o anche
nell’armamento.
Oggi conosciamo meglio le punte di freccia di
“tipo avaro” oggetto recentemente di alcune
trattazioni specifiche, che hanno permesso di
avere un primo censimento per il Friuli 31 e per
la Slovenia 32: dallo studio tipologico si è ricavata la supposizione che esse derivino dall’influsso
bizantino antecedente la calata degli Avari. Va
osservato che la loro comparsa a Rifnik, nelle
necropoli di Buzet, a Brezac etc. coincide con i siti che sono stati ritenuti occupati da guarnigioni
longobarde. La loro presenza a Nesactium, nella
prima metà del VII sec., è stata invece messa in
relazione con le incursioni degli Avari 33.
Le fonti storiche accennano a successivi sconfinamenti o incursioni dei Longobardi in Istria,
ma il termine non è detto si applichi al territorio
della penisola, dal momento che almeno fin dal
27 Su cui si veda TORCELLAN 1986, pp. 25-27.
28 Cfr. MARUSIC’ 1987b.
29 Ne è lampante esempio la dama sepolta nella tomba di
Ficarolo, su cui BIERBRAUER, BÜSING, BÜSING KOLBE
1993 e I Goti, pp. 186-188.
30 Cfr. GENITO 1991.
31 BUORA 1990.
tempo di Diocleziano la provincia Venetia et Hi stria constituiva un’unità inscindibile.
2) La seconda questione è delicatissima e per
certi versi ancora scottante. Tutti sappiamo che
una certa ottica antiromana (che voleva dire antiitaliana) e filoslava ha viziato nel secondo dopoguerra in Istria molte ricerche e ricostruzioni,
come in altri territori, ad esempio in Austria,
l’opposta logica antislava ha frenato ricerche
che avrebbero potuto essere risolutive. Non privi di problemi sono poi i tradizionali campi
dell’indagine archeologica, come la ceramica, gli
elementi dell’abbigliamento e le pratiche funerarie.
Purtroppo lo studio dell’evoluzione della ceramica grezza in Friuli nel VII, VIII e IX sec. è
ora appena agli inizi, per cui manca ancora la
possibilità di effettuare dei confronti tra l’ambito friulano, - ove la tradizione latina sopravvive
dopo l’innesto, di breve durata, della ceramica
dei Longobardi della prima generazione l’Istria, la Slovenia e la Carinzia. La diffusione
della ceramica tipo Praga, che è considerata elemento tipico dell’avanzata della cultura materiale slava nel VI e nel VII sec., non è da tutti
condivisa 34. Alcuni vasi di questo gruppo sono
stati riconosciuti dal Marusic a Babina Brajda,
Mejica, Polacine, Due Castelli e nel nartece della basilica di Muntajana, ovvero nella parte interna verso il centro dell’Istria 35.
Oggi siamo anche in grado di dimostrare che
ad es. nella ceramica esistono tendenze tettoniche e decorative 36 comuni a tutto l’arco alpino
nel periodo carolingio e ottoniano, per lo meno
dalla Baviera alla Slovenia. A questo proposito
non è ora del tutto chiaro quali siano gli effettivi apporti della cultura slava, quali siano gli elementi genericamente alpini orientali e quali, se
mai ve ne furono, le sopravvivenze della tradizione romana.
Nel campo dell’abbigliamento le carte di diffusione dei singoli oggetti diventano chiare solo
quando siano analizzate con occhi scevri da pregiudizi, cosa che raramente riusciamo a compiere. Un solo esempio, ma spero abbastanza chiaro: una decina d’anni fa venne focalizzata l’attenzione sulle così dette “fibule a lira” la cui datazione, allora molto incerta, oscillava in un
32 Su cui interviene KNIFIC 1993 (apparso in versione italiana nel 1994 negli atti del convegno di Aquileia su Attila
flagellum dei? edito a Roma).
33 TAGLIAFERRI 1972, p. 286; MARUSIC’ 1987.
34 Si veda la relativa carta di diffusione in SZYDLOWSKI
1980.
35 MARUSIC’ 1987b.
36 KOCH 1993.
lungo intervallo 37. La loro origine da modelli
tardoantichi risultava indubitabile. Recenti rinvenimenti hanno permesso di accrescere il numero di queste fibule anche nella stessa Aquileia e in altri luoghi del territorio friulano (es. a
Udine, Venzone) e nelle zone limitrofe, come il
Portogruarese 38. Queste fibule sono presenti
anche tra i materiali della necropoli di Buzet,
ove sono state datate, in maniera molto restrittiva, al periodo tra IX e X sec. 39. Oggi, sulla base anche dei nuovi rinvenimenti, sembra assai
più probabile che siano da datare nel corso del
XII-XIII secolo. Come considerarle allora? Certo
non longobarde, ma probabilmente neanche slave. Mi pare che la parola “Aquileiesi” (nel senso
in cui Dante usa questo termine sullo scorcio del
Duecento per indicare gli abitanti del Patriarcato) possa esprimere non un valore localistico,
ma un concetto multietnico e multiregionale.
In tutta la costa alto-adriatica, per ovvi motivi, fin dal VI sec. gli oggetti rivelano una generica derivazione bizantina. In qualche caso le recenti ricerche documentano la fase di ricezione
dei modelli da parte delle popolazioni slave
dell’Istria e la loro trasmissione anche nei territori propriamente avari, per mezzo di officine locali che mescolavano i modelli bizantini con elementi stilistici “barbarici”. Tale è il caso delle
fibbie da cintura ad es. del tipo Boly-Zelovce che
pare diffuso specialmente a nord del Balaton,
tra la confluenza della Drava e del Danubio,
nell’attuale Slovacchia e infine nella parte settentrionale dell’Albania 40. Esse appaiono imitazioni di esemplari di Cipro o di Mitilene e si
datano al tardo VI fino alla metà del VII sec., se
non oltre, fino al medio periodo avarico. La comparsa di un esemplare nella tomba 32 di BuzetMejica 41 mostra come ci potessero essere vari
influssi in questo periodo nell’Istria.
Ora qualche veloce osservazione sul rituale
funerario. Alcuni elementi, precocemente individuati nelle tombe dell’Istria nord-orientale,
sono stati giudicati come prova dell’appartenenza etnica delle popolazioni alle genti slave. Essi
sono le deposizioni di ceramica grezza frammentata, la deposizione di pietre sopra il corpo,
i così detti fuochi rituali e infine la deposizione
di offerte di cibo (carne, resti di maiale etc.).
Per quanto riguarda la ceramica grezza posta nelle tombe siamo ora in condizione di rovesciare l’assunto: sappiamo che dall’avanzato V
sec. essa era posta, seppure in percentuale attualmente non documentabile, nelle tombe del
Friuli. Pare quindi essere un prezioso indicatore della fase in cui la tradizione latina si mescola con elementi germanici. Non è certo un caso
che nello stesso V sec. compaiano in Germania i
coltelli. Ceramica grezza e coltelli saranno poi
più comuni dal VI e soprattutto nel VII sec., ma
si trovano in un’area vastissima che va dalla
Germania al gomito del Danubio e comprende
naturalmente la parte nord-orientale d’Italia.
La deposizione di offerte di cibo è ben attestata per il periodo longobardo in Friuli (Udine,
Cividale, Romans) anche nelle tombe appartenenti alla popolazione autoctona (es. Lovaria) e
si mantiene nell’area medio-danubiana fino al
X-XI sec.42. Forse questa pratica potrebbe anche
essere interpretata come sopravvivenza o trasformazione di rituali romani mai del tutto abbandonati e rivitalizzati in un momento di grande interscambio culturale tra popolazioni di cultura latina e di cultura germanica, radicati al
punto di diventare patrimonio di più tradizioni
culturali, anche estranee all’area latina o germanica, nell’ambito dell’Europa centrale per
più secoli.
37 MORENO BUORA 1983.
38 GOBBO 1994, p. 28 e fig. 10.
39 MARUSIC’ 1987b.
40 Su cui IBLER 1992.
41 TORCELLAN 1986, p. 66, tav. 14,4.
42 Cfr. KOVACS 1994, p. 143. Paralleli per il periodo carolingio si trovano nelle necropoli della Bassa e Alta Austria e
anche della Slovacchia, nel periodo avaro (si veda ad es.
SZÖKE et al. 1992, pp. 58-60, con numerosi confronti).
43 TORCELLAN 1986, pp. 22-23.
44 MARGETIC’ 1992, pp. 161-162.
3) La presenza di un limes e conseguentemente di limitanei, ovvero di soldati contadini
che in caso di necessità potevano difendere il
territorio in cui erano insediati, è stata più volte supposta per l’Istria settentrionale. A questo
proposito sembra convincente il toponimo Mejica, che è stato accostato alla parola slovena
“meja” che significa confine o frontiera 43. La dislocazione di numerose necropoli istriane lungo
la valle del Quieto è stata considerata come prova di questa frontiera.
Tracce della presenza degli Avari in Istria e
in Friuli
Non è oggetto di contestazione il fatto che tra
la fine del VI e l’inizio del VII secolo vi siano state vere e proprie incursioni di Avari nel territorio istriano e in quello friulano. Semmai sono
state discusse le date, in particolare quella
dell’ultima guerra che dal 611 è stata anticipata
al 603 44. Più difficile collegare le tracce archeologiche (per lo più incendi) a questi avvenimenti. Per l’Istria si sa che venne distrutto il castel-
lo fortificato di Nesazio e sono state collegate
con le incursioni avare gli incendi nella basilica
di Orsera, nella chiesa di S. Fosca presso Gimino e nella chiesa di Rogatizza prezzo Golzan.
Per Cividale sono state collegate le tracce di un
potente strato di incendio con quello dell’inizio
del VII in cui sarebbe stata distrutta anche la
casa del nonno di Paolo Diacono, a motivo della
presenza, al suo interno, di una staffa di tipo
avaro 45. A Invillino non si sono invece trovate
tracce di incendio, ma un numero considerevole
di frecce scagliate da nord, ovvero dalla riva del
Tagliamento 46. Frecce sono state trovate sulla
cima del colle del castello di Udine entro uno
strato di incendio databile al più tardi all’inizio
del VII sec., ma anche a Tonovcov-grad 47. In un
momento, forse di poco successivo all’inizio del
VII sec., un romano che abitava nell’ambito di
Lovaria e fu sepolto nella locale necropoli nella
tomba che ha preso il n. 12, venne colpito alla
schiena da una freccia a due alette, forse durante una partita di caccia, forse per un delitto passionale ma forse proprio nel corso di un episodio
militare collegato a questi fatti.
In conclusione la cultura materiale avara
non sembra aver lasciato tracce e la presenza
degli Avari sembra attualmente leggibile,
nell’area italiana compresa entro le Alpi, solamente in negativo.
Al limite meridionale dell’attuale Carinzia
sono noti due insediamenti militari longobardi
della fine del VI sec., precisamente CarniumKranj e Meclaria-Maglern-Thörl 48. A Kranj sono state osservate più forme di acculturazione
tra la popolazione germanica e quella romana.
Il Vinski scriveva nel 1980 che la popolazione
romana di Kranj avrebbe seppellito i suoi morti
secondo influssi derivati dalla civiltà delle
“Reihengräber” con qualche ornamento deposto
nella sepoltura. Ora a Kranj si sono trovati non
solo frammenti di ceramica grezza - paragonabili a quelli ora noti dal Friuli - ma anche “Beigaben” come denti di maiale che sarebbero sconosciuti in ambito germanico 49, mentre ora sono
noti resti di ossa di animali in tombe di vari luoghi del Friuli, tra cui recentemente a Udine e a
Lovaria.
Nel quadro della spinta espansiva dell’inizio
del VII sec. alcuni dati storici ben noti, come ad
es. la vittoria degli Slavi sui Baiuvari di Garibaldo II presso Aguntum, - che sembra finora essere comprovata solo da elementi negativi quali
tracce di distruzioni -, ebbero probabilmente influssi più vasti di quanto riusciamo ora a immaginare. Come scrive Paolo Diacono: mortuo Tas silone duce Baiuariorum, filius eius Garibaldus
(= II) in Agunto a Sclavis devictus est, et Baioa riorum termini depraedantur. Resumptis tamen
Baioarii viribus et praedas ab hostibus excu tiunt et hostes de suis finibus pepulerunt 50. Hoc
nihilominus anno ( = 611?) Sclavi Histriam, in terfectis militibus, lacrimabiliter depraedati
sunt 51. Nel giudizio di Paolo Diacono le vicende
del Tirolo orientale e quelle dell’Istria sono
strettamente collegate tra loro: possiamo supporre che questi fatti possano aver influenzato
in maniera più o meno diretta la vita stessa del
Friuli settentrionale e in particolare del territorio della diocesi di Zuglio, anche se al momento
mancano documenti archeologici che lo comprovino.
Per quanto riguarda la Carinzia è motivo di
rammarico il fatto che gli scavi e i rinvenimenti
di Molzbichl, di Teurnia e dell’Hemmaberg non
consentano attualmente una completa valutazione dell’incidenza dell’interscambio culturale
tra popolazioni diverse, con la chiara individuazione delle componenti latine, slave, avare e
baiuvare 52. Teurnia dopo l’anno 591 non è più
ricordata nei documenti come sede vescovile e
finora non è noto alcun rinvenimento posteriore
a quella data, benché attestazioni letterarie posteriori, fino all’VIII sec., continuino a nominare una civitas Liburnia 53. Una tomba femminile di chiara connotazione avara da Villaco-Judendorf è stata edita nel 1969 54 mentre la presenza stabile di elementi avari della prima fase
è stata negata per i territori a ovest del Burgendland 55.
Migliore è la situazione per quanto riguarda
i rinvenimenti avari dell’VIII sec. Lo Szameit ha
ben posto in evidenza, per questo periodo, la me-
45 AHUMADA 1990.
46 PAULI 1983, p. 249 e BIERBRAUER 1987, pp. 296-300.
47 CIGLENEČKI 1994, in stampa.
48 Per una sintesi della bibliografia relativa si rimanda a
CIGLENEČKI 1987, ad voces.
49 VINSKI 1980.
50 P. DIAC., Hist. Langobard., IV, 39.
51 Ibid., IV, 40.
52 Per gli ultimi scavi a Molzbichl si rimanda a GLASERKARPF 1989.
53 PICCOTTINI 1976, p. 116; GLASER 1992, p. 43. Per
quanto ne so, sono riconducibili al pieno VI sec. e non sembrano raggiungere il VII alcuni spatheia di piccole dimensioni che sono prova della penetrazione o della imitazione
locale di prodotti diffusi dai Bizantini.
54 DOLENZ 1969.
55 Cfr. BONA 1988.
Zone di frontiera a nord dello spartiacque al pino. La situazione della Carinzia
Fig. 5) Presenze di popolazioni longobarde, bavaresi e avare dall’arco alpino orientale al Danubio, secondo MENKE 1988.
scolanza di elementi orientali (propriamente
avari) con quelli derivati dalla cultura dei Baiuvari e dei Franchi, mentre mancano tombe femminili (presenti invece nell’alta e bassa Austria
e nella Stiria) 56. Per la fine del VIII sec. ci soccorrono poi le tombe rinvenute presso la chiesa
di Molzbichl, probabile centro spirituale lungo
la strada dei missionari che in epoca carolingia
da Salisburgo si dirigevano verso i territori abitati dagli Slavi 57.
Di fatto, stante la scarsità delle fonti archeologiche, la probabile complessità dei rapporti
della cultura materiale tra Baiuvari, Romani,
Avari e Longobardi nell’arco alpino orientale, al
momento di quella che si ritiene essere stata
l’etnogenesi dei Carantani, appare più spesso
oggetto di fede che di verifica scientifica. Interessante a questo proposito la comparazione tra
gli storici delle diverse culture e scuole nazionali 58. Del tutto assodata - e diremmo ovvia - appare invece, ancora nel pieno VII sec. la compresenza di elementi appartenenti a culture diverse anche nella medesima tomba.
(Maurizio Buora)
56 SZAMEIT 1994.
57 Per questa funzione del centro di Molzbichl cfr. GLASER- KARPF 1989.
58 PLETERSKI 1985 ; BONA 1988.
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