Marzo – Aprile - GERIATRIA – Rivista

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Marzo – Aprile - GERIATRIA – Rivista
GERIATRIA
RIVISTA BIMESTRALE - ANNO XXV n. 2 Marzo/Aprile 2013 – Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N. 46) Art. 1 Comma 1 - DCB Roma
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
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SOMMARIO
Ai lettori – Palleschi M. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Editoriale: Figli di ieri, figli di oggi
D’Angelo C. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Il management farmacologico del dolore persistente/cronico di tipo non-oncologico
nel paziente anziano complesso. Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
Ceci M., Gianni W., Madaio R.A., Zuccaro S.M., Costarella M., Fiore V., Marci M.,
Abbatecola A., Di Cioccio L., Triggiani L., Berti F. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
Effetti della somministrazione di integratori a base di colina, Vit. E, Vit. C e acido alfa lipoico
in un gruppo di pazienti con demenza tipo Alzheimer e/o vasculopatici cerebrali
Suraci D., Mileto A., Argirò R.A.,Tedesco L., Polimeni V. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Cibo e sacro: una epicrisi delle nostre abitudini alimentari?
Franchi F. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
73
Progetto Virgilio - Studio sperimentale per la valutazione dell’utilità di localizzatori e
metodiche inerenti, in associazione con tecniche assistenziali
Vismara V., Bulleri M., Sestini F., Scarselli G., Aldera C., D’Ercoli F.,
Bena E.D., Larini G. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
81
L’importanza del monitoraggio glicemico nel paziente anziano ospedalizzato
Renna P., Caroleo P. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
85
RUBRICHE
Geriatria nel mondo
Zanatta A., Galanti A., Fiore V., . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
89
Calendario Congressi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
90
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azienda
sanitaria
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Azienda Ospedaliera
Regionale
Luci ed ombre
in diagnosi
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nel crepuscolo
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
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AI LETTORI
Gli anziani sono
fortemente
condizionati nella
loro esistenza dalla
paura di ammalarsi?
Il ruolo del Geriatra
Massimo Palleschi
Io non sono uno Psicologo, non ho quindi competenze specifiche per
approfondire il tema della paura di ammalarsi e di morire.
Sembra comunque che il timore delle tribolazioni relativo alla presenza
di alcune malattie e soprattutto la perdita dell’autonomia costituiscano un
motivo di preoccupazione e/o di angoscia persino superiore a quello di per
se stesso della nostra fine.
Premetto anzitutto, rivolgendo lo sguardo ad un antico passato, che
questo stato di tensione ha perso oggi completamente la sua relazione con
le nostre colpe.
Da tempo immemorabile malattie e peccati sono stati ritenuti un binomio quasi indissolubile.
Le alterazioni e le sofferenze del corpo e della mente erano ritenute la
conseguenza delle punizioni divine per le colpe commesse, per cui la guarigione o il miglioramento delle malattie poteva ottenersi solo con il perdono.
Da qui deriva la tendenza a rivolgersi a Dio, quasi sempre non direttamente, ma ricorrendo alla mediazione dei Santi, alcuni dei quali avevano
sofferto delle stesse malattie dei credenti. Questa comunanza di sofferenze
faceva sentire molto vicini, partecipi, alcuni Santi.
Ricordo che San Luca veniva chiamato da San Paolo “amico medico” e
che i monasteri divennero luoghi di cura in quanto promuovevano e facilitavano le invocazioni al perdono e alla grazia.
Di queste problematiche ed implicazioni spirituali e psicologiche non so
che cosa sia rimasto oggi, forse è ancora rintracciabile in alcuni casi un
senso di colpa, ma relativo soprattutto a comportamenti dannosi per la
salute (fumo, superalimentazione, inattività fisica, ecc.).
Ad ogni modo mi sembra più praticabile e forse più utile una riflessione ed una descrizione fenomenologica dello stato d’animo delle persone
anziane di fronte ai problemi della salute, alla presenza di malattie e di
invalidità, agli inconvenienti di doversi sottoporre a continue indagini ed
alle difficoltà economiche implicite nell’espletamento di cure ed indagini.
Vi è una notevole differenziazione degli stati d’animo tra i vari anziani di
fronte al problema della salute, come del resto di fronte a numerosi motivi
stressanti. È noto che le persone anziane differiscono tra loro sia da un punto
di vista biologico, sia da un punto di vista psicologico, comportamentale e
sociale, più di quanto si verifichi per i soggetti di età meno avanzata.
Vi è una quota significativa di anziani che sono piuttosto soddisfatti
della loro qualità di vita ed in particolare del loro stato di salute.
Sono le persone che si vedono frequentemente in giro, nei teatri, nelle
mostre, nelle città a fare i turisti, nelle Università della terza età, ecc. Vi è
però un’altra parte di anziani con tono dell’umore depresso, che soffre di
solitudine, assume numerosi farmaci al giorno, si sottopone a frequenti
controlli clinici e strumentali e teme di andare incontro ad un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute.
In effetti la polipatologia di questi pazienti può essere così numerosa e
rilevante, gli impegni sanitari così frequenti, da fare prevalere il problema
della salute su qualsiasi altro interesse.
Tutto questo è facilmente comprensibile, vorrei piuttosto discutere con i
nostri lettori, con gli amici appassionati della nostra disciplina geriatrica,
quale sia il ruolo del Geriatra di fronte ad un’altra tipologia di persona
anziana e di malato anziano: quella di un soggetto con polipatologia di
modesta gravità, tuttavia in grado di indurre molteplici cambiamenti del
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regime di vita, un frequente ricorso a controlli clinici e strumentali, oltreché
all’assunzione di numerosi farmaci.
Si tratta cioè di persone che senza avere gravi patologie e senza una
franca patologia ipocondriaca si fanno condizionare pesantemente dal problema salute, sia perché hanno realmente una serie multipla di disturbi,
anche se non rilevanti, sia perché non hanno molti altri interessi, sia perché
trovano Medici non troppo equilibrati nelle loro decisioni diagnostiche e
mediche che vanno con lancia in resta all’accertamento di qualsiasi anomalia e alla sua correzione terapeutica.
Generalmente i più disperati sono soggetti di sesso femminile, ultra 7580enni, che impiegano gran parte della loro giornata per controlli clinici,
ma soprattutto radiografici, laboratoristici e strumentali, i più disperati.
Tra gli esami più richiesti ricordo:
– le analisi di routine di laboratorio, comprese quelle relative all’assetto
lipidico;
– la MOC per l’accertamento dell’osteoporosi;
– gli esami radiografici del rachide soprattutto in presenza di lombosciatalgia;
– l’ecg e la visita cardiologica;
– la mammografia;
– la colonscopia.
Per l’esecuzione di questi esami, si può incorrere in un vero calvario, in
quanto ci si imbatte spesso nel problema delle cosiddette liste di attesa
dipendenti da varie ragioni, tra le quali emerge proprio l’esagerata richiesta di prestazioni.
In questo contesto quale può essere il ruolo del Geriatra? Io credo di non
dare una risposta di parte se affermo che il Geriatra dovrebbe svolgere una
funzione di primo piano in questo ordine di problemi.
È necessario far comprendere che il fattore di salute più importante per
le persone molto anziane è un adeguato regime di vita, caratterizzato da
una sana alimentazione, da una discreta attività fisica, dalla conservazione
degli interessi, dal mantenimento delle abitudini di vita precedenti comprendenti il domicilio nella propria dimora, da una felice integrazione con
i propri familiari e non dal mito di una salute perpetua e dal ricorso ossessivo a controlli ed indagini.
Per quanto riguarda la prevenzione, ritengo che non sia da raccomandare il ricorso agli esami a tappeto, mentre è più utile una diagnosi precoce al
minimo fondato sospetto.
Infine vorrei fare una considerazione forse un po’ singolare, oltreché
peculiarmente geriatrica, sulla quale desidererei il vostro parere.
Non è raro che soggetti anziani che seguono questo iter ossessivo di ricorso alle indagini, quando vengono istituzionalizzati, interrompono la circumnavigazione strumentale. Come va interpretato il fatto? Si tratta di una
difficoltà di accesso alle multiple indagini? O il paziente è gravato psichicamente da disagi inerenti al ricovero in istituto, o che altro ancora?
Attendo un vostro parere.
Con i saluti più affettuosi.
EDITORIALE
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FIGLI DI IERI, FIGLI DI OGGI
D’Angelo C.
Direttore f.r. U.O.C. di Geriatria, Ospedale Civile, Pescara
Ad una prima lettura della frase, figli di ieri
figli di oggi, sembra che si parli solo di figli mentre l’elemento variabile è quello temporale: ieri e
oggi. Eppure manca un termine, sottinteso: è
quello di padri. I padri dei figli di ieri, che poi
sarebbero i nostri nonni, i figli di ieri che sono i
padri di oggi, i figli di oggi spesso già padri di
altri figli.
Il titolo della relazione perde allora un nesso
semantico o temporale per diventare qualcosa di
molto più semplice, bello ed umano, per testimoniare la vita che continua sempre: fino a quando ci
saranno figli di ieri e figli di oggi ci saranno anche
i figli di domani.
Al di sopra di ogni cosa ho sempre creduto
nella vita, ho creduto in questa forza vitale che si
perpetua nei secoli, nei millenni, dai tempi biblici
dell’universo umano. Ho sempre creduto in questa “catena vitale” dove ogni singolo anello è
importante ma in cui la forza della catena è data
dall’insieme degli anelli che si chiama “umanità”.
Questo ragionamento mi porta spesso a riflettere
che la cosa più importante è la vita del mondo,
non la mia. Non fraintendetemi, non sono stanco
di vivere, come capita spesso di sentire, a noi
geriatri, da alcuni pazienti ultraottuagenari, ma
solo da alcuni pazienti per fortuna.
Voglio dire che la mia vita è meno importante
del totale della vita stessa per cui, quando non ci
sarò io, la mia vita continuerà in quella dei miei
figli, dei nipoti, di altri che verranno e non vedrò
mai: la mia vita continuerà e continueranno i
valori della mia vita se li avrò trasmessi ai miei
figli sulle cui gambe i valori continueranno a
camminare.
Eppure tra i figli di ieri e quelli di oggi a volte
sembrano scavarsi delle trincee, delle profonde
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Carlo D’Angelo
Primario Geriatra f.r.
Via Pian delle Mele, 70
65124 Pescara
Tel. 335371232
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vallate, dei canyons. È lo scontro tra due mondi,
tra conservatori e rivoluzionari, tra passato e presente anche se, alla fine, un vecchio proverbio
afferma che “si nasce rivoluzionari ma si muore
conservatori”. È un po’ come il destino dell’acqua
che nasce in montagna da piccoli rivoli, scorre
poi impetuosa tra sassi, pietre e dislivelli, inizia a
quietarsi in pianura per giungere alla foce con
una velocità quasi impercettibile da sembrare
ferma. Mi viene da pensare alla vita dell’uomo, al
suo nascere da due piccole cellule, al suo correre
gattonando o giocando per giungere poi, governo
permettendo, ad un periodo di calma vitale ed
anche oltre ad un’età in cui la senectus diventa
decrepitas, quando il cammino del centenario, a
piccoli passi, senza fretta, richiama a noi geriatri
quello di un paziente con encefalopatia multinfartuale.
Ma torniamo al tema figli di ieri, figli di oggi.
Certamente tra ogni epoca ed ogni periodo storico sono esistite ed esisteranno anche in futuro
delle differenze. Allo stesso modo esistono tra i
figli di ieri ed i figli di oggi.
ALIMENTAZIONE, ATTIVITà FISICA E
AMORE
I figli di ieri erano contenti di mangiare la
carne solo qualche volta, magari la domenica, e si
accontentavano a colazione di una zuppa di latte
o di orzo con il pane secco avanzato nei giorni
precedenti. Quando a tavola andava bene, c’era
anche la mortadella al posto del prosciutto di
Parma o del lardo di colonnata di oggi. La pasta
non si vendeva confezionata in pacchi da chilo o
da mezzo chilo ma sfusa e si avvolgeva con la
carta gialla dei maccheroni, quella che i figli di
oggi vedono come ornamento nei piatti dei ristoranti di lusso. Il latte arrivava casa per casa non in
tetrapack ma con il lattaio. I figli di ieri non erano
in sovrappeso fin dall’infanzia sia perché da mangiare c’era poco, sia perché non erano state inventate patatine fritte, brioche confezionate, cornetti
alla marmellata, alla nutella o alla crema e soprattutto perché noi figli di ieri non avevamo modo di
stare fermi per ore e per giorni davanti al televiso-
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re, al computer, all’iPod, iPad, al Nintendo o alle
altre mille diavolerie cui ci hanno abituati.
Potevamo però giocare a nascondino o correre
nel campetto vicino casa, usare un barattolo di
latta al posto del pallone che non sempre c’era,
fermarci a guardare di sera le stelle o il primo
satellite spaziale che appariva come un puntino
luminoso che attraversava lentamente il cielo.
Forse eravamo felici, più dei figli di oggi. I più
grandi, invece di guardare il satellite, preferivano
guardare qualche ragazza che approfittando dell’oscurità, se ti andava bene ti permetteva di darle
al massimo un bacio. Siamo ben lontani dai figli
che passano la notte in discoteca, ubriachi di
musica a tutto volume, di alcool, spesso di droghe. Il ballo era un’occasione per stringere una
ragazza e, salutandosi, ci si stringeva la mano.
Oggi, spesso, il contatto umano scende al di sotto
della mano ed amarsi diventa un atto formale,
quasi meccanico, con il primo venuto, per poi
dimenticare il primo venuto e passare al secondo,
al terzo… all’infinito. Tutto questo porta alla
decostruzione della mortalità e della moralità.
LA DECOSTRUZIONE DELLA MORTALITÀ
E DELLA MORALITÀ
I figli di ieri, secondo il sociologo Zygmunt
Bauman, per rendere l’idea della morte meno terribile l’hanno scomposta in tante parti, derubricandola sotto cause diverse (cancro, cattiva alimentazione, fumo, comportamenti nocivi etc.),
illudendosi ingenuamente di poter vivere quasi
all’infinito, allontanando le cause di morte, quasi
si potesse affermare che morire non è una condizione inevitabile ma si viene uccisi da errori che
noi o la scienza non siamo ancora in grado di
risolvere. È un approccio chiamato da Bauman
“modernità solida”. I figli di oggi invece di pensare che in futuro sia possibile sconfiggere la cause
di cui la morte è l’effetto non pensano al futuro. È
il concetto, secondo Bauman, di “modernità liquida” in cui i giovani preferiscono ritenere che il
futuro sia oggi e quindi vada riempito di soddisfazioni che noi tendevamo a posticipare, costi
quel che costi, per noi stessi, per il pianeta, per il
debito che i figli lasceranno ai figli dei figli. Lo slogan è: immortalità subito, attraverso una vacanza
esotica o vestiti all’ultima moda pagati a rate
oppure case e ville pagate con mutui subprime
oppure sostanze allucinogene o droghe mai pensabili prima.
Per i padri, per noi padri, il lavoro e la famiglia
erano scelti una volta per sempre. Per i nostri figli
il lavoro è variabile, precario, in continuo mutamento così come la relazione coniugale, la famiglia, la moglie. È una ricerca di identità senza fine
perché i figli di oggi hanno perso l’identità in
ossequio alla globalità, alle tendenze dei costumi
e della società contemporanea.
Tutto cominciò con il dottor Benjamin Spock,
nel 1946, quando pubblicò la prima edizione del
manuale di consigli ai genitori: ”Allattate i bebè
quando piangono per la fame, non imponete degli
orari fissi”. Il libro rompeva le regole consolidate,
capovolgeva le abitudini secolari. Il messaggio
centrale di Spock era quello di amare i figli e
dimostrare l’affetto più della disciplina. Il messaggio fu troppo permissivistico. La generazione
Spock, venti anni dopo, cominciò a ribellarsi nelle
università in America, a protestare contro la guerra in Vietnam, ad occupare le scuole e l’università,
contagio ben presto vissuto anche in Europa ed in
Italia. Le aule occupate erano piene di studenti e
studentesse ed i valori umani presero il sopravvento su quelli politici: ricordo che nelle aule
occupate, per terra c’erano più preservativi che
volantini rivoluzionari. Mentre le aziende farmaceutiche producevano i primi blister con la pillola
di Pincus, una nuova libertà arrivava per tutti:
amore libero, senza i rischi dell’Ogino Knaus che
tanti figli ha dato al mondo.
Nasceva la più grande rivoluzione sessuale dai
tempi della mela di Eva. Senza fare il moralista, è
necessario ammettere che tale rivoluzione, in
parte positiva per aver liberato la donna dall’obbligo della maternità, ha portato indirettamente
ad altre conseguenze. Libertà sessuale, permissivismo, nuove mode, nuovi stili di vita, ad un
ritmo vorticoso. Ogni idea antica del matrimonio
è stata sconvolta, fino a destabilizzare o balcanizzare l’istituzione della famiglia che aveva retto
per millenni. La famiglia ha subito uno shock. I
figli si sono sposati o si sposano meno spesso dei
loro genitori e mediamente più tardi, hanno meno
figli, divorziano molto di più, forse anche in
seguito all’abbandono dei valori religiosi e del
matrimonio tradizionale. Il divorzio impera. Per
non perdere tempo, in Olanda prima, in America
attualmente, hanno inventato gli Hotel divorzio
che attualmente raggiungono il 50% dei matrimoni. Un weekend in albergo, tutto compreso: soggiorno(camere separate), avvocati, commercialisti, studi legali specializzati in diritto matrimoniale. Si divorzia in 48 ore. Si volta pagina, per risposarsi e divorziare di nuovo, con la stessa semplicità con cui ci si cambia gli slip o la camicia.
COSE PIÙ SEMPLICI
Ma veniamo a cose più semplici e più familiari che differenziano i figli di ieri da quelli di oggi.
I figli di oggi ed i nipoti di oggi usano
TELEFONI, TELEFONINI, TABLET, WIFI DIABOLICI, SMS, MMS, email, social network etcetera. I figli di ieri avevano solo un telefono, nero il
più delle volte, attaccato al muro e chiedevano
alla centralinista il numero interurbano desiderato. Era il periodo in cui si faceva ancora uso di lettere e di francobolli e si aspettava con ansia una
D’Angelo C. - Figli di ieri, figli di oggi
lettera che quando arrivava era già vecchia di
giorni. Lettere d’amore, lettere di affari, lettere di
notizie. C’era ancora il gusto di aprire una lettera,
di vivere un momento personale, in diretta differita di giorni, una lettera scritta a mano, non con i
freddi caratteri di una email.
Il riscaldamento in casa era affidato non ad
impianti di termosifone autonomo o a split inverter ma ad un banale focolaio o da una stufa “economica” che serviva per asciugare i panni con una
raggiera sul tubo di scarico, per scaldare l’acqua
con un serbatoio tipo un parallelepipedo laterale
alla stufa, per cucinare con pentole di diametro
diverso, variando i “cerchi” concentrici sul pianale della stufa.
A scuola, molti dei figli di ieri ricordano che il
riscaldamento non c’era oppure – quando c’era
una stufa, in genere rossa, di terracotta su cui era
scritto” Forlì” – mancava la legna ed ogni alunno
portava da casa un pezzo di legno per scaldare la
comunità scolastica. Ogggi, se a scuola il termosifone è rotto, si indice uno sciopero perché è
impensabile studiare al freddo.
I figli di oggi trovano vicino al water carta igienica a due veli, tre veli, alla camomilla, all’aloe,
carta profumata mentre i loro padri si accontentavano spesso di fogli di carta infissi con un chiodo
alla parete del bagno: carta di giornale o carta
della pasta, senza dimenticare, come dice Benigni,
che c’erano anche quelli che per le loro necessità… scendevano in campo.
I figli di oggi sopportano con difficoltà una
zanzara o una mosca che si aggira solitaria in casa
e disturba tutti. Spray moschicidi, spay profumati, apparecchi al piretro, emanatori elettrici al
vapore. Noi padri, soprattutto in campagna, avevamo spesso le mosche come coinquilini: quando
erano stanche di volare si riposavano tutte insieme lungo il filo del lampadario che poi era costituito da una lampadina appesa ad un filo. Il capofamiglia, stanco di vedere le mosche, usava un
apparecchio costituito da un serbatoio e da una
pompa a mano per aspirare e diffondere nell’ambiente il DDT(diclodifeniltricloroetano) in una
miscela chiamato “flit”, da cui l’aforisma
“ammazza la mosca col flit”. Solo decenni di anni
dopo abbiamo scoperto che il DDT ammazzava le
mosche ma anche le persone e che viaggiava nell’acqua del mare fino a ritrovarsi nel grasso degli
animali che popolano il Polo Nord.
La sera, dopo cena, c’era tempo per parlare in
cucina, per giocare i piccoli con una bambola di
pezza o una macchinina di latta e i grandi a carte.
Poi, quando la guerra era ormai terminata da
dieci anni, i più fortunati potevano passare la sera
guardando una scatola magica chiamata televisore, con un solo canale all’inizio, rigorosamente in
bianco e nero. Quelli meno fortunati erano invitati come ospiti a vedere la TV, portandosi da casa
53
una sedia. I figli di allora, anche se già padri, non
potevano sentire pronunciate in TV parole quali
“profilattico, aborto, divorzio, pillola anticoncezionale, perché erano vietate né epiteti vari richiamanti in modo dialettale… l’organo genitale
maschile”.
E dopo “carosello” i bambini tutti a nanna ed i
grandi a vedere qualche spettacolo osè, fatto non di
tette, cosce o deretani vari in colore naturale ed
inquadrati da generose zummate del cameramen
ma soltanto le gambe delle sorelle Kessler, rigorosamente coperte da calze nere. Spesso la fantasia è
meglio della realtà. I figli di ieri potevano ancora
fantasticare su ciò che vedevano, i figli di oggi
spesso hanno nausea di ciò che vedono o che
hanno a buon prezzo o gratuitamente tutti i giorni.
Allora, meglio i figli di ieri o i figli di oggi? È
difficile rispondere perché gli stessi figli di ieri
oggi vivono in un mondo diverso. Negli stessi
figli di ieri, oggi c’è l’aspirazione ad inseguire
l’immortalità. Vegetariani. Sostenitori dell’agricoltura biologica. Abbonati a palestre o piscine,
cultori di sport agonistici spesso estremi, vaccinati contro le tentazioni del fumo e dell’alcool.I
nuovi 60 anni-70 anni sono come i 40-50 anni di
ieri e pare che il ciclo biologico sia spostabile a
piacere, complici anche il viagra, il cialis ed il levitra, per non fare torto a nessuno dei farmaci.
Oggi non esistono più figli di ieri e figli di
oggi, siamo tutti figli del mondo, quarantenni,
cinquantenni, sessantenni ed oltre. Siamo tutti la
prima generazione ad essere vissuta senza una
guerra combattuta nei nostri Paesi, senza l’ombra
di carestie o di depressioni, tranne quella ultima,
attuale, incombente. Lo straordinario aumento
della longevità è il risultato di miglioramenti della
qualità di vita: l’avvento delle fognature, del frigorifero, dell’acqua potabile, dei vaccini, degli
antibiotici. Ma tutto questo non ha il potere di
alterare l’orologio biologico che è in noi.
Eppure, nonostante la realtà che ci accomuna,
rimane un solco, una voragine tra i figli di ieri e
quelli di oggi. Rimane spesso il conflitto generazionale che noi figli abbiamo vissuto con i nostri
padri, che i nostri figli hanno vissuto o vivono con
noi, che i nostri nipoti vivranno con i nostri figli.
È quasi una legge inesorabile di vita che il giovane scalzi il vecchio e prenda a ragione il suo posto.
“Papà sa tutto, papà può fare tutto” dice il
bambino in tenera età. Poi, più tardi, comincia a
pensare che forse il padre non sa tutto, fino a
sostituirsi in adolescenza al padre e negare la sua
supremazia. Prima o poi, il padre scompare e
resta il figlio, con un vuoto incolmabile. Allora,
sotto il peso degli anni e del tempo, il figlio si
accorge che il padre davvero sapeva tutto e poteva tutto: peccato che non ci sia più.
Così, in una catena infinita, i figli di ieri, di
oggi e di domani si susseguono e si alternano, in
54
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
nome di qualcosa che ci tramandiamo e ci dividiamo, in nome della vita che continua, inesorabilmente, il suo lungo infinito cammino. Conosciamo i figli di avantieri, siamo figli di ieri, vediamo i figli di oggi, abbiamo già i figli di domani.
Non sappiamo da dove veniamo né dove andremo, sappiamo però che vogliamo vivere questo
lunga, infinita avventura della vita, infinita perché quando noi non ci saremo e la nostra memoria sarà scomparsa, sarà il nostro DNA a perpetuare la vita, a dare ai figli di domani quello che
abbiamo avuto dai figli di ieri. Concluderei con le
parole di una donna appena scomparsa, Rita Levi
Montalcini:
“La mia vita è tanto lunga e piena di splendide cose, ma quello che importa sono i valori”,
aveva detto la Montalcini per i suoi suoi 100 anni
e l’unico regalo che davvero desiderava era “un
mondo che credesse nei valori etici”.
Orazio scriveva “non omnis moriar” – non
morirò del tutto, affidandosi alla poesia. E Catullo
da parte sua asseriva “Soles occidere possunt et
redire” – i giorni possono tramontare e poi tornare – ma noi, dopo il tramonto, dovremo vivere
una lunga notte. Ma ora pensiamo a vivere, non
ad aspettare che il sole tramonti: ognuno di noi
deve andare dietro al sole e restare nel raggio di
luce finché gli basteranno le forze.
Anche quando noi non ci saremo, ci sarà il
sole. E fin quando ci sarà il sole, fin quando ci sarà
il mondo, noi vivremo, nei figli di domani, portatori del nostro DNA, portatori soprattutto di quei
valori che abbiamo loro insegnato, portatori dei
valori della vita e della vita stessa, figli, soltanto,
senza un riferimento a ieri, oggi o domani. Figli
della vita. Figli.
BIBLIOGRAFIA
BAUMAN Z. – Amore liquido, Edizioni Laterza.
RAMPINI F.- Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo, Edizioni Mondadori.
GUCCINI F.- Dizionario delle cose perdute, Edizioni Mondadori.
55
IL MANAGEMENT FARMACOLOGICO DEL DOLORE
PERSISTENTE/CRONICO DI TIPO NON-ONCOLOGICO
NEL PAZIENTE ANZIANO COMPLESSO.
SOCIETà ITALIANA DI GERIATRIA OSPEDALE
E TERRITORIO
Ceci M., Gianni W.1, Madaio R.A., Zuccaro S.M., Costarella M., Fiore V.2, Marci M.2,
Abbatecola A.3, Di Cioccio L.3,Triggiani L.4, Berti F.5
Ospedale Israelitico, Roma,1 NRCA Roma, 2 Ospedale di Tivoli, Roma, 3 Ospedale di Cassino,
4 Ospedale San Giovanni Battista Cavalieri di Malta, Roma, 5 Ospedale San Camillo, Roma
Riassunto: Ci sono prove convincenti che il dolore cronico nell’anziano possa interferire con la qualità di vita ed
autonomia. Tuttavia, una percentuale significativa di queste persone non ricevono un adeguato trattamento del
dolore. Il dolore cronico nella popolazione anziana rappresenta uno dei problemi più rilevanti in materia di salute pubblica. Il Ministero della Salute italiano, con un decreto del giugno 2001, ha istituito una commissione per
monitorare e ridurre la prevalenza del dolore negli ospedali pubblici, e più recentemente una nuova legge è stata
introdotta con l'obiettivo di facilitare l'accesso dei cittadini al trattamento del dolore, ma nonostante questo, poca
attenzione è stata data al trattamento del dolore negli anziani. Questo è il motivo principale per cui SIGOT ha cercato di integrare le migliori linee guida internazionali per il trattamento del dolore con nuove raccomandazioni per
la gestione del dolore cronico negli anziani, con particolare riferimento alle interazioni tra farmaci e alle patologie
concomitanti.
Parole chiave: dolore cronico, dolore non oncologico, anziani, oppioidi.
The pharmacological management of persistent /chronic non-cancer pain in the elderly
Summary: There is compelling evidence that a significant majority of the elderly experience pain which may interfere with
normal functioning. Nonetheless, a significant proportion of these individuals do not receive adequate pain management.
Chronic pain in elderly population represents one of the most relevant problem in public health. Despite the Italian Ministry
of Health, with a decree of June 2001, established a commission to monitor and decrease the prevalence of pain in public hospitals, and more recently a new law has been introduced with the aim to facilitate the access of citizens to pain treatment, little
attention has been given to pain approach in elderly. This is the main reason why SIGOT sought to integrate the best international guidelines for pain treatment with new recommendations to manage chronic pain in elderly, specifically referring to
drugs interactions and concomitant pathologies.
Key words: chronic pain, non-cancer pain, elderly, opioids.
INTRODUZIONE
“Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a un danno tissutale
effettivo o potenziale” secondo la definizione
dello IASP-International Association of Study
Pain; per la WHO è una “esperienza soggettiva” e
dunque il clinico è sempre tenuto a considerare il
dolore per come il paziente lo racconta, non avendo la possibilità di oggettivare un sintomo.
Quando questa sensazione si perpetua nel
tempo il dolore diventa cronico. Secondo la
ASIPP-American Society of Interventional Pain
Physicians (1) “il dolore cronico è quel dolore che
persiste per 6 mesi dopo un danno tissutale associato a condizioni patologiche croniche che causaIndirizzo per la corrispondenza:
Moira Ceci
Ospedale Israelitico
Via Fulda 14, 00148 Roma
Tel. 3292415232
E-mail [email protected]
no un dolore continuo o intermittente per mesi o
anni, che può continuare in presenza o assenza di
patologie dimostrabili e che può interferire con le
attività della vita quotidiana”. Una delle principali cause di dolore cronico nella popolazione
anziana è quello di tipo non-oncologico, provocato prevalentemente da patologie croniche quali il
dolore muscolo-scheletrico, il low back pain, il
dolore neuropatico diabetico o posterpetico. Il
dolore cronico non oncologico nel soggetto anziano rappresenta uno dei maggiori problemi di
salute pubblica, sia per l’elevata prevalenza, sia
per i suoi effetti invalidanti dal punto di vista fisico, sociale ed emotivo. Inoltre grava pesantemente sui costi diretti ed indiretti della sanità
pubblica. Negli Stati Uniti è stato calcolato che il
dolore cronico incide sulla spesa sanitaria per
circa 210 bilioni di dollari (2) annui. L’approccio al
tema del dolore nel paziente anziano rappresenta
certamente una sfida difficile, anche perché quando il dolore diventa cronico, di fatto, va conside-
56
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
rato come un dolore misto dove si intrecciano la
componente nocicettiva e quella neuropatica/
neurologica. In questo contesto, ogni fase del percorso diagnostico-terapeutico è resa problematica
dalla scarsità di elementi obiettivi di rilevamento,
dalla presenza di dati bioumorali aspecifici e talora da situazioni di inaffidabilità descrittiva del
paziente, che rende incerta l’interpretazione del
tutto (3). A questo va aggiunto che, una volta definita la presenza di dolore in una sede precisa e di
una diagnosi clinica, la decisione di trattamento è
subordinata ad una valutazione globale del
rischio di effetti collaterali, che nei pazienti con
multimorbidità e polifarmacoterapia è sempre
presente. Molte indagini epidemiologiche evidenziano il tema del dolore cronico come problema
ricorrente nella popolazione anziana e come uno
dei determinanti della fragilità. L’incidenza di
dolore cronico raddoppia a partire dai 60 anni per
ogni decade (4). La sua prevalenza varia in relazione al setting di osservazione tra il 25% e l’83%
della popolazione anziana con prevalenza maggiore nelle strutture di long term care. In una
recente survey del nostro gruppo ad esempio
abbiamo documentato la presenza di dolore cronico nel 67,3% dei ricoverati in reparti di geriatria
per acuti nel territorio nazionale (5). Il Ministero
della Salute con decreto del 29 giugno 2001, ha
istituito una Commissione di Studio allo scopo di
arginare la prevalenza del dolore negli ospedali e
di aumentare l’attenzione del personale coinvolto
nei processi assistenziali nelle strutture sanitarie
italiane affinché venissero messe in atto tutte le
misure possibili per contrastare il dolore, indipendentemente dal tipo di dolore rilevato, dalle cause
che lo originano e dal contesto di cura. Recentemente la legge 38 del 15 marzo 2010 che “tutela
il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore” ha cercato di facilitare l’accesso del cittadino alla terapia del dolore.
Nell’ambito della legge si prevede una formazione del personale medico e sanitario in questa
materia (6). La SIGOT in considerazione della
scarsa attenzione che è stata data al dolore nel
soggetto anziano ed in particolare alle problematiche di multipatologia oltre a quelle legate alle
interazioni farmacologiche, ha deciso di supportare l’implementazione di raccomandazioni provenienti da Linee Guida internazionali di buon
livello metodologico, con eventuale integrazione
per quanto riguarda l’interazione tra farmaci.
Il gruppo di lavoro, formato da medici specialisti SIGOT provenienti da tutta Italia, con l’ausilio di un facilitatore ha deciso di adottare la metodologia proposta dal GIMBE (Gruppo Italiano di
Medicina Basata sull’Evidenza) per la ricerca,
valutazione e adattamento locale (FAIAU) di una
linea guida sulla gestione del dolore cronico. Ove
l’acronimo FAIAU indica le varie fasi del proces-
so ed in particolare:
Finding - ricerca delle Linee Guida nelle principali Banche Dati Internazionali
Appraising - valutazione delle Linee Guida
con lo strumento AGREE nel tentativo di selezionare la Linea Guida a più alto contenuto metodologico
Integrating - integrazione di argomenti non
trattati dalla Linea Guida stessa
Adapting - adattamento locale, in questo caso
alla situazione italiana, della Linea Guida
Updating - definizione di una strategia per
l’aggiornamento della Linea Guida adattata
La ricerca di linee guida sulla gestione del
dolore cronico è stata condotta sulle principali
banche dati di linee guida (7-39) con le parole
chiave indicate. Sono state identificate 34 linee
guida sul dolore di cui 8 pertinenti all’argomento
trattato: “Management farmacologico del dolore
persistente/cronico nel paziente anziano complesso”.
VALUTAZIONE DELLE LINEE GUIDA E
SCELTA (APPRAISING)
Il gruppo, diviso in 4 sottogruppi, ha effettuato
la valutazione delle 8 linee guida selezionate. 2 linee
guida sono state escluse poiché non rispettavano i
Criteri di Grilli e le restanti 6 sono state valutate con
lo strumento AGREE II (Appraisal of Guidelines for
Research and Evaluation). Le 3 Linee Guida che
hanno presentato i migliori punteggi (SIGN, VETERANS, CANADIAN) sono state valutate da tutti e
4 i sottogruppi. La linea guida che ha ottenuto il
punteggio più alto è stata la linea guida “Canadian
guideline for safe and effective use of opioids for
chronic non-cancer pain”.
Si è dunque deciso di implementare questa
linea guida anche se è diretta solo alla gestione del
dolore cronico non da cancro con oppioidi nel
paziente anziano considerati i dati ottenuti dalla
verifica effettuata in fase di definizione della priorità. Con lo stesso criterio il gruppo di lavoro ha
poi deciso di integrare le raccomandazioni della
Canadian con quelle dell’American Geriatrics
Society nella sezione del trattamento senza
oppioidi. Le altre linee guida valutate sono risultate di qualità e sono state utilizzate durante il
lavoro come documenti di integrazione alla linea
guida scelta, come ad esempio l’utilizzo delle
scale di valutazione nell’anziano.
Nell’attesa di completare il position paper
completo relativo alle raccomandazioni sulla
gestione farmacologica del paziente anziano complesso affetto da dolore cronico di tipo non oncologico, riteniamo opportuno produrre un documento di indirizzo di facile consultazione e di
grande diffusione.
Ceci M., Gianni W., Madaio R.A., et al. - Il management farmacologico...
RACCOMANDAZIONI DI CARATTERE
GENERALE
Quando si fa diagnosi di dolore cronico in un
soggetto anziano è tassativo utilizzare gli oppioidi ed evitare l’uso off label dei FANS.
DECISIONE DI INIZIARE LA TERAPIA
CON OPPIOIDI
Prima di iniziare la terapia
con oppioidi
a) è opportuno raccogliere una documentazione completa sul livello di dolore del paziente che
tenga conto della sua condizione medica generale, della storia psicosociale, dello stato psichiatrico e della presenza di un’eventuale storia pregressa o attuale di abuso.
b) occorre spiegare ai pazienti i potenziali
benefici, gli effetti avversi, le possibili complicanze e gli eventuali rischi per costruire un’alleanza
terapeutica (aderenza/compliance).
c) occorre tener conto delle possibili interazioni con altri farmaci assunti dal paziente (polifarmaco terapia).
Iniziare la terapia con oppioidi
a) per rendere sicura ed efficace la terapia con
oppioidi nei pazienti anziani è necessario adottare adeguate precauzioni, tra cui basse dosi iniziali, titolazione graduale, frequente monitoraggio
fino al raggiungimento della dose ottimale.
b) all’inizio di una nuova terapia con oppioidi,
durante la titolazione della dose, sarebbe opportuno consigliare al paziente di evitare di guidare
un veicolo a motore fino a quando non si è raggiunto un dosaggio stabile e fino a quando non si
è certi che l’oppioide non determini sedazione;
evitare inoltre l’assunzione contemporanea di
oppioidi con alcool, benzodiazepine, o altri psicofarmaci.
c) il dolore cronico non oncologico può essere
gestito in modo efficace nella maggior parte dei
pazienti con dosi di oppioidi medio-basse.
Dosaggi alti richiedono un’attenta rivalutazione
del dolore e un più frequente monitoraggio del
paziente.
d) per prevenire e contrastare i principali eventi avversi prevedibili, tipici degli oppioidi, nella
fase iniziale del trattamento (nausea, vomito) o
peggiorare situazioni cliniche preesistenti nel soggetto anziano (stipsi) si consiglia di associare presidi farmacologici e non farmacologici atti a ridurne l’insorgenza e/o la gravità.
Monitoraggio terapia a lungo termine oppioide
a) durante il monitoraggio di un paziente in
terapia a lungo termine, valutare ed osservare
l’efficacia degli oppioidi ed i possibili eventi
avversi.
57
b) per i pazienti che presentino eventi avversi
gravi o scarsamente accettati dal paziente, o
un’insufficiente efficacia terapeutica di uno specifico oppioide è consigliabile prescrivere un
oppioide diverso (rotazione degli oppioidi).
c) nella terapia con oppioidi a lungo termine è
opportuno rivalutare periodicamente se sussistono ancora le condizioni cliniche che hanno motivato il ricorso a tale terapia.
OPPIOIDI
In Italia per il trattamento del dolore cronico
sono disponibili i seguenti farmaci oppioidi:
• Codeina: in Italia presente solo come farmaco in associazione con paracetamolo. Può presentare una variabilità di risposta in base alle sue
caratteristiche metaboliche, deve essere metabolizzata a livello epatico ed è stato calcolato che tra
il 7 ed il 10% della popolazione di razza caucasica
e tra il 2 e il 4% della razza asiatica non è in grado
di metabolizzarla.
• Tramadolo: è un oppioide di sintesi che associa l’effetto sui recettori µ tipico degli oppioidi a
quello noradrenergico e a quello serotoninergico.
Nell’anziano la concentrazione sierica del tramadolo è lievemente aumentata e l’emivita di eliminazione è lievemente prolungata, pertanto non
sono raccomandate dosi superiori a 300 mg/die.
Nel dolore cronico di intensità > 6 NRS è
opportuno iniziare il trattamento con oppioidi
forti con le precauzioni riportate precedentemente (vedi “iniziare la terapia con oppioidi”).
• Morfina: ha un assorbimento variabile, la via
metabolica principale è epatica, via UGT; i metaboliti principali sono M6G e M3G, quest’ultimo
neurotossico, la concentrazione dei metaboliti
attivi si incrementa nei pazienti con ridotta funzionalità renale.
• Ossicodone: è metabolizzato a livello epatico
in diversi metaboliti attivi tra cui il più importante è l’ossimorfone. In studi farmacocinetici controllati in pazienti anziani la clearance dell’ossicodone è solo leggermente ridotta, nell’anziano,
pertanto non sono necessari adeguamenti posologici rispetto all’adulto.
• Idromorfone: è metabolizzato a livello epatico dall’UGT ed è escreto per via renale. Non sono
necessari adeguamenti posologici nell’anziano.
• Tapentadolo: è un analgesico centrale che
associa in modo sinergico l’effetto oppioide all’azione noradrenergica (MOR-NRI), è metabolizzato
a livello epatico dalla via UGT, non ha metaboliti
attivi ed è escreto per via renale. Non sono necessari adeguamenti posoligici nell’anziano.
Gli oppioidi per via transdermica hanno raggiunto una notevole popolarità nel trattamento
dei pazienti anziani. Questi sistemi dovrebbero
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
essere riservati a pazienti con dolore stabile, a
quelli che necessitano di un regime terapeutico
semplificato, a quelli con problemi di compliance
e a quelli che non possono assumere terapia orale.
• Buprenorfina: somministrata per via transdermica, è metabolizzata a livello epatico ed
escreta per via biliare. Può essere utilizzata nel
paziente con insufficienza renale e dializzato.
Nell’anziano non è necessario ridurre il dosaggio
rispetto all’adulto.
• Fentanyl: presente in Italia in formulazione
transdermica per il dolore cronico, è metabolizzato
a livello epatico ed escreto per via renale. La concentrazione plasmatica di fentanyl nell’anziano
non è sostanzialmente diversa rispetto al giovane.
NON OPPIOIDI (DA AGS)
(I) Nel trattamento del dolore cronico paracetamolo, grazie alla sua dimostrata efficacia e al
buon profilo di sicurezza, dovrebbe essere considerato come uno dei farmaci iniziali di scelta.
(A) controindicazioni assolute: insufficienza
epatica
(B) controindicazioni relative: insufficienza
epatica, abuso cronico di alcool o dipendenza
(C) non deve essere superato il dosaggio massimo giornaliero di 4 g nelle 24 ore.
(II) I FANS non selettivi e gli inibitori selettivi
delle COX-2 vanno prescritti con estrema cautela,
in individui altamente selezionati e comunque
non in trattamento cronico (uso off label).
(A) controindicazioni assolute: malattia peptica ulcerosa attiva; insufficienza renale cronica;
scompenso cardiaco.
(B) Controindicazioni e precauzioni relative:
ipertensione, Helicobacter pylori, anamnesi di
ulcera peptica, uso concomitante di corticosteroidi, antidepressivi della classe SSRI, anticoagulanti orali e antiaggreganti.
(III) Le persone anziane che assumono i FANS
non selettivi o gli inibitori selettivi anti COX-2
dovrebbero utilizzare un inibitore della pompa
protonica per la protezione gastrointestinale.
(IV) I pazienti non devono assumere più di un
FANS non selettivo o un inibitore COX-2 selettivo
per il controllo del dolore.
(V) Tutti i pazienti che assumono FANS non
selettivi o inibitori COX-2 selettivi dovrebbero
essere valutati di routine per eventuale tossicità
gastrointestinale e renale, ipertensione, scompenso cardiaco, e di interazioni tra farmaci e farmacomalattia.
ALTRI FARMACI
La duloxetine, il gabapentin ed il pregalbalin
rappresentano la prima scelta nel trattamento del
dolore neuropatico, in accordo con le linee guida
della federazione Europea delle Società di
Neurologia (EFNS)(40). Bisogna porre particolare
attenzione agli alti dosaggi per il pregabalin che
possono comportare sedazione e predisposizione
alle cadute. Va posta attenzione ai pazienti con
insufficienza renale.
La lidocaina in formulazione transdermica ha
dimostrato un effetto analgesico variabile, presumibilmente per il blocco delle piccole fibre interessate nel dolore nocicettivo. È approvata nel
trattamento della nevralgia posterpetica, ha
dimostrato efficacia nella neuropatia diabetica,
nel low-back pain (40).
La capsaicina per via transdermica è correntemente indicata in EU per il trattamento del dolore
neuropatico nel paziente adulto non diabetico.
L’assorbimento sistemico è lento per cui è ben tollerato, può determinare un transitorio incremento
della pressione arteriosa ed eritema nella zona di
applicazione (41).
Il PEA (Palmitoylethanolamide) è un aminoacido endogeno, analogo dell’endocannabinoide
anandamide (AEA), recenti studi suggeriscono un
suo fondamentale ruolo nella fisiopatologia del
dolore neuropatico da infiammazione, previene la
degranulazione delle mast-cellule, necessitano
però altri studi per confermare la significatività
clinica dell’utilizzo del PEA nel trattamento del
dolore neuropatico (42).
INTERAZIONI FARMACOLOGICHE
Esistono molte forme d’interazioni farmacologiche e, in particolare nei pazienti anziani, è possibile riscontrare interazioni farmaco-farmaco,
che sono anche le più comuni, ma anche interazioni farmaco-malattia. Anche per ciò che riguarda le
interazioni farmacologiche, l’uso di un numero
elevato di farmaci in pazienti con comorbilità
multiple è uno dei principali fattori di rischio.
In uno studio condotto su pazienti anziani
arruolati in 6 Paesi europei, il numero medio di
farmaci utilizzati era pari a 7 e nel 46% dei pazienti era presente almeno una potenziale interazione
che veniva considerata severa nel 10% dell’intero
campione di popolazione. Inoltre, la prevalenza
d’interazioni potenzialmente pericolose aumenta
dal 7,8% dei soggetti di età < 55 anni al 18,4% rilevato negli ultrasettantacinquenni (43). Il numero
di farmaci non è però l’unico fattore di rischio per
interazioni farmaco-farmaco, contribuendo ad
aumentare la probabilità di tali interazioni anche
il numero di medici consultati dal paziente e la
contemporanea assunzione di farmaci a effetto
ipotensivo, sedativo e/o anticolinergico. Inoltre,
bisogna tenere in considerazione il fatto che i farmaci a maggiore rischio per interazione sono
quelli a più stretto indice terapeutico. Tra questi,
farmaci di larghissimo impiego nella pratica clinica, quali digitale, calcioantagonisti, antiaritmici,
ipoglicemizzanti orali, antidepressivi ciclici, war-
Ceci M., Gianni W., Madaio R.A., et al. - Il management farmacologico...
farin, salicilati, analgesici ad azione centrale, fenitoina, teofillina.
Infine, le interazioni farmaco-farmaco rappresentano un rilevante problema potenziale ogni
qualvolta un paziente anziano accede al Pronto
Soccorso. Infatti, le comorbilità presenti e il concomitante elevato numero di farmaci regolarmente
assunti aumentano il potenziale rischio di reazioni avverse quando nuovi farmaci vengono somministrati in urgenza. L’interazione tra farmaci è
uno dei principali problemi di ogni terapia e dunque anche di quella con oppioidi.
Con il seguente metodo abbiamo valutato le
classi farmacologiche utilizzate nelle principali
patologie età correlate.
METODO
1) ricerca su MedLine con descrizione della
stringa di ricerca
2) lettura dei termini Mesh nell’articolo più
rilevante ed eventuale ulteriore ricerca con i nuovi
termini Mesh
3) valutazione sul titolo circa la pertinenza
degli articoli trovati
4) successiva ulteriore valutazione su abstract
sulla pertinenza degli articoli trovati
5) reperimento del full text degli articoli pertinenti
6) valutazione del singolo articolo viene fatta
da due valutatori a cieco
7) risoluzione dei dubbi con la discussione e in
caso di dissenso con un terzo valutatore
8) ricerca interazioni farmacologiche utilizzando il sito www.drugs.com prendendo in considerazione gli oppioidi utilizzati più frequentemente:
morfina, buprenorfina, idromorfone, fentanyl,
ossicodone, tramadolo
9) ricerca utilizzando la banca dati EMBASE.
10) ricerca utilizzando Cochrane Database of
Systematic Reviews.
11) ricerca nella banca dati www.micromedex.com.
Premesso che dati clinici certi non sono disponibili, essendo presenti viceversa molti dati di farmacocinetica e farmacodinamica, le principali
segnalazioni sono le seguenti.
DEMENZA
La demenza rappresenta un vero e proprio problema di salute pubblica nel mondo, con prevalenza in Italia pari al 10%, circa 800 mila pazienti.
Abbiamo preso in considerazione i farmaci più
comunemente utilizzati per la terapia delle demenze, inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina) e memantina, ed inoltre gli
antipsicotici tipici ed atipici utilizzati per i disturbi
comportamentali nelle demenze (44-46).
Memantina, donepezil, galantamina e rivastigmina non hanno mostrato interazioni farmacolo-
59
giche con morfina, buprenorfina, ossicodone, fentanyl e idromorfone. Donepezil non ha mostrato
avere interazioni con morfina, buprenorfina, idromorfone, ossicodone e fentanyl ma con tramadolo (www.drugs.com). L’associazione può far
aumentare il rischio di convulsioni perché si riduce la soglia epilettogena. Questi farmaci sono
spesso individualmente epilettogeni e possono
avere effetti additivi se combinati. Per memantina
non sono state rilevate interazioni con gli oppioidi presi in considerazione. Galantamina e rivastigmina hanno mostrato interazioni con tramadolo, anch’esse per riduzione della soglia epilettogena, ma non con gli altri oppioidi presi in esame
(www.drugs.com). È stata analizzata anche la
possibile interazione tra oppioidi ed antipsicotici.
In particolare quetiapina presenta interazione con
la somministrazione di tramadolo per ridotta
soglia epilettogena (www.drugs.com). Un incremento di rischio di depressione respiratoria è
risultato inoltre dall’interazione tra morfina, ossicodone e fentanyl con le fenotiazine (prometazina, tioridazina, proclorperazina, flufenazina, perfenazina, promazina), tale interazione si è dimostrata con grado di severità alto per effetto additivo (47-49). Ossicodone e idromorfone hanno
mostrato interazioni di grado severo anche con
alcuni sedativi (fenobarbital, idrossizina, pentobarbital, buspirone, flumazenil, doxylamina, zolpidem, butabarbital, mepobramate, dexmedetomidine, zaleplon, ramelteon per ossicodone e si
aggiungono alprazolam, lorazepam, clorazepam,
diazepam, triazolam, midazolan, propofol per
idromorfone) (48,50). Idromorfone ha evidenziato
interazioni farmacologiche di grado severo anche
con alcuni antipsicotici (loxapine, mesoridazine,
molindone,
thioridazine,
chlorpromazine,
thiothixene, haloperidol, fluphenazine, aripripazole, clozapine, pimozide, perphenazine, promazine, risperidone, olanzapine, quetiapine, ziprasidone, paliperidone) per effetto di sommazione
sull’effetto depressivo a livello SNC (50).
GASTROINTESTINALI
Sono state analizzate le eventuali interazioni
tra patologia gastroenterica ed oppioidi e dunque
sono stati incrociati i singoli oppioidi con i
seguenti farmaci comunemente utilizzati in questa patologia: Antiacidi (mesh “anti-Ulcer
Agents”) sali di magnesio, di alluminio, di sodio o
di calcio (bicarbonati e citrati); antisecretori: inibitori della pompa protonica (omeprazolo, pantoprazolo, rabeprazolo, esomeprazolo, lansoprazolo); antagonisti del recettore H2, (cimetina, ranitidina, famotidina, nizatidina); citoprotettori:
sucralfato, bismuto colloidale, carbenoxolone,
misoprostolo, alginati; procinetici e antiemetici:
metoclopramide, cisapride, domperidone; antinfiammatori: mesalazina e salazopirina; spasmoli-
60
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
tici: scopolamina, ottatropina metilbromuro + diazepam (valpinax), papaverina cloridrato e belladonna, cimetropio bromuro (alginor), rociverina
(rilaten), floroglucina biidrata (spasmex); lassativi: polisaccaridi; osmotici: lattulosio, mannitolo;
stimolanti della motilità intestinale: bisacodile,
fenolftaleina; antidiarroici: oppioidi: loperamide,
difenossilato. Non c’è letteratura specifica d’interazioni tra oppioidi e farmaci dell’apparato
gastroenterico in pazienti anziani con dolore cronico, eccetto uno (51) su metilnatrexone/oppiodi,
in cui l’età media dei pazienti esaminati è 70-72,
ma nel 40% dei casi sono pazienti oncologici ed in
un 14% “other”non meglio specificato.
Cimetidina può incrementare l’azione narcotica di ossicodone, fentanyl, idromorfone e morfina
con casi di depressione respiratoria ed apnea.
Ossicodone e idromorfone possono ridurre o abolire l’effetto procinetico di metoclopramide.
Scopolamina, belladonna e loperamide se associate ad ossicodone, fentanyl, buprenorfina, idromorfone e morfina possono, agendo a livello del
SNC, incrementarne l’effetto di stipsi portando ad
ileo paralitico (www.drugs.com).
Per morfina sono risultate 4 interazioni moderate (cimetidina, scopolamina, belladonna, loperamide) e 2 interazioni minori (metoclopramide,
cisapride). L’associazione di metoclopramide con
morfina può determinare una riduzione del
tempo richiesto per ottenere il picco di concentrazione ematico di morfina determinando un incremento del livello di sedazione. Cisapride può
incrementare la concentrazione di morfina ma
spesso questa interazione non è associata ad un
incremento della sedazione a dosaggi bassi. Il
significato clinico di tale effetto per dosaggi superiori al momento non è noto.
Metadone se somministrato in concomitanza
con cimetidina può avere un’incrementata concentrazione plasmatica perché metabolizzato
dallo stesso isoenzima del citocromo CYP450. Può
inoltre, come altri oppioidi, ridurre l’effetto procinetico di metoclopramide. Importante non somministrare metadone in associazione con cisapride e lattulosio per gli effetti di questi farmaci sull’allungamento del QT con possibilità di incremento del rischio di aritmie ventricolari e torsioni
di punta; il rischio è aumentato nel caso del lattulosio per le possibili alterazioni elettrolitiche causate dall’eventuale abuso di lassativi. Metadone
interagisce anche con scopolamina, loperamide e
belladonna incrementando il rischio di ileo paralitico e stipsi severa.
L’interazione tra cimetidina e morfina emerge
su www.micromedex.com come incremento della
tossicità di morfina sul SNC ma non è chiaro il
meccanismo d’interazione tra questi farmaci, ci
sono studi contrastanti sulla presenza di effetti
collaterali da co-somministrazione (52-55).
DIABETE MELLITO
Non esistono su pubMed studi RCT che esaminino gli effetti della terapia con oppioidi sulla
qualità di cura del diabete, sulle interferenze farmacologiche e sui rapporti con la patologia diabetica fatta eccezione per il lavoro di Rose AJ che
presenta dati che indicano nel dolore cronico un
motivo di distrazione e peggioramento nell’effettuare i controlli della malattia diabetica (57). È
stato effettuato uno studio di coorte retrospettivo
presso le US Department of Veterans Affairs
Facilities nel corso del 2004 il cui scopo era quello
di chiarire se l’uso di oppioidi potesse promuovere o impedire la cura del diabete. Il significato
dello studio era di esaminare se tra i diabetici,
quelli che ricevevano terapia cronica con oppioidi
avessero un peggioramento delle misure di
performance. Venivano analizzate misure di processo (HbA1c, LDL, dilatazione pupillare) e misure di outcome (HbA1c < 9; LDL < 130 mg/dl). I
casi avevano un moderato peggioramento delle
misure di performance vs i controlli (diabetici non
riceventi oppioidi) (86.4% vs 89). Tra i casi quelli
che ricevevano oppioidi ad alte dosi avevano un
ulteriore decremento nelle misure di performance. Si concludeva quindi che tra i pazienti del
Veterains Affairs, quelli che ricevevano terapia
cronica con oppioidi presentavano un moderato
peggioramento delle misure di performance
rispetto ai diabetici che non ricevevano oppioidi; i
diabetici che ricevevano alte dosi di oppioidi avevano un decremento addizionale nelle misure di
performance. Esistono molti lavori rivolti al dolore della neuropatia diabetica e a studi su modelli
animali. Alcuni studi si concentrano sull’effetto
degli oppioidi sull’omeostasi glicemica (56-60).
Su pubMed escludendo i lavori sulla neuropatia diabetica, sui pazienti under 65, non si evidenziano studi recenti e pertinenti. La stessa ricerca
su www.drugs.com mostra solo interazione tra
oppioidi e metformina (dato non confermato su
pubMed). Morfina teoricamente può far diminuire l’escrezione di metformina per la competizione
a livello renale, il conseguente incremento della
metformina in circolo può aumentare il rischio di
acidosi lattica (61-62).
UROGENITALE
Su pubMed pochi sono i risultati per le interazioni tra oppioidi e farmaci utilizzati per patologie urogenitali. Alcuni risultati sono stati rilevati
su questo motore di ricerca per l’interazione con
alcuni antibiotici. Si è evidenziato la possibile sindrome serotoninergica dall’associazione di metadone e ciprofloxacina e venlafexina (63-65). Con
stringa di ricerca “Analgesics, Opioid” (Mesh) e
“Kidney Failure, Chronic” (Mesh) sono stati trovati 15 lavori solo 7 inerenti (66). In questo lavoro
si conclude che l’emodialisi non influisce sull’ef-
Ceci M., Gianni W., Madaio R.A., et al. - Il management farmacologico...
fetto analgesico di buprenorfina. Un altro studio
ha dimostrato ridotta biodisponobilità di trovafloxacina e ciprofloxacina se somministrate in
contemporanea ad oppioidi per via venosa (6773). La ricerca su www.drugs.com ha messo in
evidenza interazioni farmacologiche tra tramadolo e cirofloxacina, l’associazione può causare sindrome serotoninergica ed aumentato rischio di
epilessia. Tamsulosina e alfuzosina in associazione con farmaci oppiodi (morfina, ossicodone, tramadolo, buprenorfina, idromorfone, fentanyl)
possono comportare crisi ipotensive. Sono risultati casi di interazione tra gli oppioidi e ceftriaxone.
61
CARDIOVASCOLARE
Le patologie cardiovascolari sono molto frequenti nella popolazione anziana. Sono state
prese in considerazioni le patologie più frequenti
ed i farmaci in queste utilizzati. In particolare si è
ricercata interazione tra farmaci oppioidi ed ipertensione arteriosa (74), ischemia miocardica (75).
Per quanto riguarda le interazioni tra oppioidi e
farmaci cardiovascolari abbiamo innanzitutto
valutato gli anticoagulanti e antiaggreganti piastrinici, si sono evidenziati alcuni studi interessanti ma non con riferimento all’anziano (76-81).
Un solo risultato si è ottenuto incrociando gli
oppioidi con i diuretici (82) e uno studio con i
nitrati (83). In conclusione su pubMed sono stati
reperiti diversi lavori ma tra questi non vi sono
RCT, CT, metanalisi ma solamente articoli molto
generici come rassegne e scarsamente specifici per
il paziente anziano.
Utilizzando il motore di ricerca www.micromedex.com sono state rilevate interazioni farmacologiche tra codeina e chinidina, in particolare
l’associazione di tali farmaci comporta una riduzione plasmatica di morfina (metabolita attiva di
codeina) per metabolismo legato al citocromo
P4502D6, stessa interferenza che possono causare
farmaci che inibiscono il CYP2D6 (84). Diltiazem
può causare ipotensione ed incrementare la tossicità di fentanyl se associate a tale farmaco,
entrambi inibitori del citocromo CYP3A4 (85-86).
La concentrazione plasmatica di fentanyl può
aumentare anche se si somministra contemporaneamente ad amiodarone (87-88). L’associazione
di fentanyl con nicardipina e nifedipina può portare a severa ipotensione (87).
degli inibitori selettivi del reuptake della serotonina. La ricerca d’interazioni sul motore di ricerca
www.drugs.com ha evidenziato interazioni tra
oppioidi e escitalopram per effetto concomitante
sul SNC, si consiglia un’associazione monitorata
soprattutto nel paziente anziano, in particolare
l’associazione con tramadolo ed ossicodone
potrebbe causare sindrome serotoninergica, stessa
interazione si potrebbe avere dall’associazione di
duloxetina o paroxetina con tramadolo, ossicodone e fentanyl. L’effetto concomitante sul SNC si ha
anche con duloxetina e morfina, paroxetina e
morfina e idromorfone. Importanti interazioni tra
queste classi farmacologiche sono risultate anche
al motore di ricerca www.micromedex.com in
particolare per l’azione sul citocromo CYP3A4 si
manifestano interazioni tra ossicodone e buprenorfina con carbamazepina per ridotta concentrazione plasmatica di ossicodone (48, 98-99).
Sindrome serotoninergica per effetto additivo si è
dimostrata nella somministrazione combinata di
tramadolo con venlafaxine, mirtazapina, fluoxetina, citalopram, sertralina, duloxetina, paroxetina
e fluvoxamina; stessa sindrome si è verificata dall’associazione di fentanyl con paroxetina, di ossicodone con escitalopram, sertralina e fluvoxamina, e con cosomministrazione di tapentadolo e
duloxetina, triptani, inibitori MAO, SSRI, triciclici, venlafaxina (100-108). Un incremento dell’effetto sedativo per l’azione sinergica a livello del
SNC si può avere dalla somministrazione di inibitori MAO e ossicodone o idromorfone (110, 50). Il
concomitante utilizzo di morfina e gabapentin
può determinare un incremento della concentrazione plasmatica del gabapentin con conseguente
sonnolenza ed aumentato rischio di depressione
del SNC (109-111). Il rischio di depressione respiratoria è incrementato notevolmente dall’associazione degli oppioidi con le benzodiazepine (112-114).
Con l’associazione buprenorfina e diazepam può
comportare collasso cardio-respiratorio (115). La
ricerca su micromedex ha mostrato come l’associazione tra oppioidi e sedativi (diphenhydramine,
meprobamate, ethchlorvynol, pentobarbital, secobarbital, idrossizina, fenobarbital, buspirone, flumazenil, doxylamine, zolpidem, butabarbital, dexmedetomidine, zaleplon, eszopiclone, ramelteon)
determini un incremento di rischio di depressione
respiratoria per l’azione sul SNC (48, 116).
DEPRESSIONE
La ricerca d’interazioni tra farmaci antidepressivi ed oppioidi sul motore di ricerca pubMed ha
mostrato solo 4 articoli con titolo pertinente (8992), la maggior parte di questi sono sul rischio di
sindrome serotoninergica. Anche la ricerca svolta
con i singoli farmaci ha portato a risultati analoghi (92-97). Nessun risultato si è ottenuto con la
ricerca di interazioni con la classe farmacologica
BPCO
Sul motore di ricerca pubMed non ci sono stati
risultati pertinenti dall’associazione di oppioidi e
patologia respiratoria cronica, né con l’associazione di oppioidi e farmaci anticolinergici. Su
www.micromedex.com la ricerca di interazione
tra oppioidi ed alcuni antibiotici ha mostrato un
incremento di concentrazione plasmatica di
buprenorfina, ossicodone e fentanyl in associazio-
62
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
ne a co-somministrazione di azitromicina, eritromicina e claritromicina (99, 48, 88).
REUMATOLOGICI
Utilizzando il motore di ricerca pubMed sia su
www.micromedex.com, la ricerca delle interazioni tra oppioidi e farmaci utilizzati nelle principali
patologie reumatologiche ha evidenziato l’esistenza di una documentata interazione di entità
moderata, ad insorgenza ritardata, tra ciclosporina e morfina. Infatti, la co-somministrazione di
questi due farmaci sembra che possa determinare
un rischio aumentato di alterazioni del sistema
nervoso. I pazienti che ricevono una terapia concomitante con ciclosporina e morfina, dovrebbero
essere monitorizzati per lo sviluppo di complicanze neurologiche quali ansia, insonnia, deficit mnesico, stato confusionale anche severo, e afasia. Si
ipotizza come possibile meccanismo fisiopatologico, una diminuzione della soglia di eccitazione
delle cellule nervose causata dall’ipercalcemia
intracellulare indotta da ciclosporina, il che
potrebbe amplificare l’effetto disforico di morfina, e comunque far insorgere complicanze neurologiche. Il riferimento bibliografico, definito di
grado buono, riporta una maggiore incidenza, in
pazienti trapiantati, di complicanze neurologiche
derivanti dalla somministrazione simultanea di
ciclosporina e morfina (117).
MORBO DI PARKINSON
La ricerca bibliografica è stata ottenuta incrociando nel Database MeSH i seguenti termini:
“Parkinson Disease” (Mesh) e “Analgesics,
Opioid” (Mesh) fornendo 9 lavori di cui 2 possono essere considerati parzialmente rilevanti (118119). La stringa di ricerca “Parkinson Disease”
(Mesh) e “Analgesics, Opioid” (Pharmacological
Action) ha fornito 39 lavori, di questi solo 1 può
essere considerato parzialmente rilevante (120).
Le stringhe di ricerca “Analgesics, Opioid”
(Pharmacological Action)) e “Antiparkinson
Agents” (Pharmacological Action) e “Analgesics,
Opioid”
(Pharmacological
Action))
e
“Antiparkinson Agents” (Mesh) non hanno fornito articoli rilevanti. A fronte di questo occorre
notare che non sono stati condotti studi specifici
per valutare le possibili interazioni tra analgesici
oppiacei e farmaci utilizzati per la terapia del
morbo di Parkinson e quindi le evidenze in questo momento disponibili derivano solo da sporadiche segnalazioni circa l’uso degli oppioidi in
corso di anestesia in pazienti parkinsoniani sottoposti ad interventi chirurgici, quindi con dosi e
modalità di somministrazione molto differenti da
quelle degli oppioidi usati per la terapia del dolore. Incrociando su pubMed i principali analgesici
oppioidi con i farmaci utilizzati per la terapia del
morbo di Parkinson (L-dopa, carbidopa, entacapone, selegiline, rasagiline, pramipexole, rotigotine, ropinirole) non sono stati trovati lavori (trials
clinici, studi non controllati, case report o esperienze cliniche) che risultassero rilevanti. La
medesima ricerca condotta con Medscape Drug
Interaction Checker e Micromedex for iPhone
(ver. 1.1.13.725) mostra la rilevante interazione tra
inibitori delle MAO e analgesici oppioidi: una
ricerca bibliografica mirata a indagare tale interazione ha consentito di individuare due lavori
(121-122). Il primo lavoro è una review sulla possibile insorgenza di una sindrome serotoninergica
in conseguenza dell’interazione tra MAO inibitori e analgesici oppioidi. Infatti tale sindrome può
essere determinata dall’interazione tra farmaci
serotoninergici e farmaci inibitori del reuptake
della serotonina (SRI) con conseguenti marcati
effetti collaterali serotoninergici e, nel 15% dei
casi, moderata tossicità serotoninergica di grado
non severo, che produce ipertermia e rischio di
morte. La combinazione di farmaci serotoninergici che agiscono attraverso meccanismi diversi può
causare un aumento della serotonina intra-sinaptica fino a livelli pericolosi per la vita. La combinazione che più comunemente conduce a questo è
costituita dall’interazione tra MAO inibitori e SRI.
Alcuni analgesici oppioidi possiedono attività
serotoninergica: gli oppioidi della serie delle fenilpiperidine quali petidina (meperidina), tramadolo. Metadone, destrometorfano e propossifene
sembrano essere deboli inibitori del reuptake
della serotonina e sono stati implicati in reazioni
tossiche serotoniniche con MAO inibitori (compresi alcuni casi fatali). Morfina, codeina, ossicodone e buprenorfina non sono SRI e non precipitano reazioni tossiche serotoniniche con MAO inibitori. Il secondo lavoro, di Lecht et al., è una
review su rasagilina. Gli autori stressano il concetto che la somministrazione contemporanea dell’agonista dei recettori oppioidi meperidina (petidina) con rasagilina è controindicato per la possibile insorgenza di una sindrome serotoninica.
Dovrebbero trascorrere almeno 14 giorni tra la
sospensione di rasagilina e l’inizio di una terapia
con meperidina. Inoltre è ipotizzabile in teoria
una interazione con tramadolo, metadone, propossifene poiché questi agonisti dei recettori
oppioidi hanno dimostrato in vitro di inibire il
reuptake della serotonina.
Ceci M., Gianni W., Madaio R.A., et al. - Il management farmacologico...
63
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67
EFFETTI DELLA SOMMINISTRAZIONE DI INTEGRATORI A
bASE DI COLINA, vIT. E, vIT. C E ACIDO ALFA LIPOICO IN
UN GRUPPO DI PAZIENTI CON DEMENZA TIPO
ALZhEIMER E/O vASCULOPATICI CEREbRALI
Suraci D.1, Mileto A.2, Argirò R.A.3,Tedesco L.4, Polimeni V.5
1
2
3
4
5
Dirigente medico U.V.A.- U.O. Complessa Geriatria, P.O. Locri, ASP 5 R.C.
Dirigente medico U.O. Medicina Fisica e Riabilitazione, P.O. Locri, ASP 5 R.C.
Responsabile U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, P.O. Locri, ASP 5 R.C.
Dirigente medico U.O. Complessa Geriatria, P.O. Locri, ASP 5 R.C.
Dirigente medico U.O. di Fisiatria, A.O. Bianchi Melacrino Morelli R.C.
Riassunto: Lo studio nasce dalla collaborazione tra fisiatri e geriatri per valutare l’efficacia terapeutica e l’affidabilità di un integratore a base di citicolina combinata con antiossidanti come l’acido alfa lipoico, le vitamine C ed
E (Rischiaril) sul decadimento cognitivo e sulle neuropatie in genere, specie diabetiche, su un gruppo di 40 anziani con cluster di fattori indicativi di disabilità quali deficit cognitivi e/o con demenza conclamata e/o con polineuropatia, e tutti con variabile grado di disabilità funzionale e di deterioramento globale. Tutti i soggetti arruolati ed
eletti alla somministrazione di tale terapia sono stati sottoposti a valutazione multidimensionale (V.M.D.) con
scale specifiche, all’inizio del trattamento e periodicamente valutati per saggiare l’efficacia, gli effetti e la tollerabilità di tale integratore. Lo stesso si è dimostrato efficace nel migliorare la performance cognitiva, il tono dell’umore, la stabilità emotiva, i disturbi del sonno e quelli comportamentali e funzionali nella demenza di Alzheimer
(A.D.) lieve, specie in associazione con i farmaci antidemenza. Tale integratore, contrastando lo stress ossidativo a
livello neuronale, rappresenta un aiuto nei deficit vascolari cognitivi lievi e un supporto terapeutico aggiuntivo
nei pazienti con AD o con demenza vascolare.
Parole chiave: demenza, valutazione multidimensionale, citicolina, acido alfa lipoico, stress ossidativo.
Effects of the amministration of integrators containing choline, vitamin E and C and alpha lipoic acid (Rischiaril)
on a group of patients with Alzheimer disease and/or cerebrovascular disease with cognitive impairment and/or
diabetes mellitus complicated by polyneuropathy
Summary: This study is a collaboration between geriatricians and physiatrists. It evaluates the therapeutic efficacy and the
reliability of an integrator containing citicoline combined with antioxidants such as alpha lipoic acid, vitamins C and E
(Rischiaril) on cognitive impairment and on neuropathy in general and more specifically on diabetic neuropathies. This study
was carried out on a group of 40 elderly people with cluster of various disabilities such as cognitive deficits and/or with overt
dementia and/or with polyneuropathy all having a variable degree of functional disability and of global deterioration.
All the patients involved in the therapy have undergone a multidimensional evaluation (assessment) with structured scales.
Each patient was tested at the beginning and has been periodically re-evaluated in order to verify the efficacy, the level of tolerance and the effects of this integrator. It has proved effective in improving cognitive performance, mood levels, emotional stability, sleeping disorders and behavioural and functional disorders in mild Alzheimer’s dementia (AD), especially in association with anti-dementia drugs. This integrator counteracting oxidative stress at neuronal level is an aid in mild vascular
cognitive impairment and is an additional therapeutic support in the patients with AD or vascular dementia.
Key words: dementia, assessment, citicoline, alpha lipoic acid, oxidative stress.
INTRODUZIONE
È nota in letteratura l’efficacia terapeutica
combinata di molecole neurotrofiche come la citicolina ed antiossidanti come l’acido alfa lipoico
sul decadimento cognitivo e sulle polineuropatie.
La colina sotto forma di colina citidina-5’-fosfato
interviene quale precursore dei fosfolipidi nella
genesi e riparazione delle membrane cellulari,
rappresentando un fattore atto a mantenere a
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Domenico Suraci
S.O.C. Geriatria Centro U.V.A.
P.O. LOCRI (RC)
ASP 5 Reggio Calabria
livello delle membrane neuronali il fisiologico
assetto della compagine fosfolipidica. L’acido alfa
lipoico e le vitamine C ed E sostanze anti-radicaliche contrastano lo stress ossidativo responsabile
della vulnerabilità neuronale. La funzione dell’implementazione di tali sostanze nella dieta è
quella di contrastare il danno delle membrane
neuronali, favorendo attività fisiologiche molto
importanti per le funzioni mentali, specie quelle
cognitive quali memoria, attenzione, concentrazione e orientamento spazio temporale. L’acido
lipoico è un cofattore di numerosi sistemi enzimatici, interviene nel controllo del glucosio e nella
prevenzione dei fenomeni ischemici cerebrali e
della cataratta. La colina viene anche utilizzata
68
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
dai neuroni per la sintesi dell’acetilcolina, favorendo la trasmissione degli impulsi nervosi (1-4).
SCOPO DELLO STUDIO
Valutare l’efficacia, la tollerabilità e gli effetti
collaterali della somministrazione di citicolina,
addizionata all’acido alfa lipoico, vitamina C ed E
(Rischiaril) (4), nel migliorare il trofismo neuronale corticale e il trofismo dei nervi periferici, in una
coorte di pazienti, specie anziani, con cluster di
fattori indicatori di disabilità quali deterioramento cognitivo iniziale (3) o avanzato da vasculopatia cerebrale cronica ischemica (5) e/o degenerativa (6) e/o polineuropatia diabetica e/o alcolica
e/o da altri fattori eziopatogenetici, con variabile
grado di disabilità funzionale e, quindi, di deterioramento globale; valutare con scale specifiche
di valutazione multidimensionale (V.M.D.) (7-12)
i soggetti arruolati all’inizio del trattamento e
periodicamente testarli, monitorando, così, nel
contempo, l’efficacia e l’affidabilità di tale integratore; evidenziare se, effettivamente, si riscontri un
miglioramento della performance globale sia
cognitiva e comportamentale che funzionale e
della neuropatia dei soggetti, sia mediante l’obiettività dei test che come sensazione di livello di
qualità percepita dai pazienti stessi e/o dai loro
caregivers; valutare eventuali effetti avversi. In
base ai criteri adottati i pazienti sono stati distinti
in vari sottogruppi, classificati in base a sesso, età,
performance fisica residua e loro correlazione alla
minore o maggiore efficacia clinica.
Lo studio nasce da una collaborazione tra fisiatri e geriatri.
MATERIALI E METODI
Nel periodo Gennaio-Dicembre 2011, dei
pazienti afferiti al centro UVA di Geriatria ed
all’ambulatorio di Fisiatria dell’Ospedale di Locri,
sono stati arruolati nel nostro studio e quindi eletti al trattamento con Rischiaril n. 40 (M. 21 F. 19)
(M. età min-max 50-88 aa.) (F. età min-max 57-90
aa.). I pazienti selezionati per il trattamento erano
affetti da deficit cognitivo da tipizzare e/o Mild
Cognitive Impairment (MCI) e/o da cerebropatie
vascolari e/o degenerative già conclamate e diagnosticate, inclusa Demenza Tipo Alzheimer
(A.D.) lieve-moderata, già in trattamento con altri
farmaci specifici per l’A.D.; un sottogruppo di
n.12 pazienti era anche contemporaneamente
affetto da dolore neuropatico riferito, a varia eziologia; 8 pz. erano affetti da diabete mellito con
neuropatia e con valori di Hbg (emoglobina glicosilata) in fase di labile compenso. Quasi tutti alla
1a visita (T0) avevano eseguito esami chimici e
strumentali (molti con neuroimaging positivo per
atrofia cerebrale). I 40 pazienti valutati in T0 sono
stati sottoposti a terapia con Rischiaril per 12 mesi
al dosaggio di 1 c. x 2/die, rivalutati in T1 a tre
mesi, in T2 a sei mesi, in T3 a 12 mesi, continuando le restanti terapie farmacologiche, a cui erano
già sottoposti per altre patologie, inclusi i farmaci
per l’A.D. (6). Tutti i pazienti eleggibili al trattamento con Rischiaril sono stati sottoposti ad
attenta anamnesi, valutazione clinica obiettiva ed
alla somministrazione di scale di valutazione
appropriate; in altre parole, essi sono stati sottoposti a Valutazione Multidimensionale (V.M.D)
(7-12). La valutazione V.M.D., con somministrazione di scale appropriate validate in campo internazionale, da noi applicata con verifica obiettiva,
era così strutturata: VALUTAZIONE ANAMNESTICO-MEDICO-CLINICA (visita medica con
valutazione clinica obiettiva e degli esami chimico clinici e strumentali)/V. COGNITIVA (Mini
Mental State - M.M.S.) (da M.F. Folstein et al.):
DEFICIT COGNITIVO GRAVE score (0-10) DEFICIT COGNITIVO MEDIO score (11-20) DEFICIT COGNITIVO LIEVE score (21-23) NORMALITÀ score (24-30)/ V. FUNZIONALE:
A.D.L. (da Katz et al. mod. da L.Z. Rubenstein)
suddividendo i pz. in 3 gruppi in base al grado di
competenza autonoma: AUTOSUFFICIENTE o
Indipendente (score 5-6) - IN PARTE non AUTOSUFFICIENTE o parzialmente Dipendente (score
3-4) - NON AUTOSUFFICIENTE o totalmente Dipendente (score 0-2); I.A.D.L. (da Law-ton &
Brody, mod. da L.Z. Ruben-stein) NORMALITÀ
(score 7-8) - COMPROMISSIONE MEDIA (score
4-6) - COMPROMISSIONE GRAVE (score 0-3).
DEFICIT SENSORIALI (Vista e Udito) (da F.
Fabris)/V. AFFETTIVA (G.D.S.) (da T.L. Brinke e
J.A. Yesavage) per la depressione: score 0-10
NORMA-LITÀ/score 11-20 DEPRESSIONE LIEVE/score 21-30 DEPRESSIONE GRA-VE/V.
SOCIO-AMBIENTALE (V.S.A.) (Scala di L.Z.
Rubenstein) rapporti con i pa-renti/con gli amici/
livello rapporti sociali/grado di utilità e di adattamento sociale percepiti/situazione abitativa/
livello di capacità di gestione e controllo dell’ambiente circostante (score range 0-50)/V.A.S. per
evidenziare il grado di dolore neuropatico avvertito/V. FISIATRICA E GERIATRICA GLOBALE
che, aldilà dei dati numerici emersi dai singoli
test, calibrava il peso di ogni singola valutazione
nell’ambito della performance globale del paziente (7-12).
Nella nostra esperienza, considerando l’influenza del setting di valutazione sulla performance globale dei pazienti, i test erano somministrati dall’esaminatore implementando alla valutazione anamnestica (con raccolta anche di informazioni di tipo descrittivo-osservazionale della
quotidianità psico-cognitivo-comportamentale
dei soggetti da parte dei loro caregivers), la verifica obiettiva del grado di competenza prassica
autonomica; non ci si è quindi, basati solo su un
momento d’impatto compartecipativo emoziona-
Suraci D. - Effetti della somministrazione... 69
le specifico coinvolgente il paziente all’atto di
somministrazione dei test, in quanto, spesso, egli
o per negativismo psicologico o diffidenza o scarsa aderenza o setting inadeguato o basso indice
di scolarità o altro, ci fornisce dei dati numerici
non del tutto corrispondenti all’effettiva quotidianità del suo status. Tale metodica, a nostro avviso,
consente così, di ottenere una misura quali-quantitativa prestazionale più aderente alla realtà del
pz. ed alla sua percezione di severità della patologia e più facilmente reiterabile come controllo nel
tempo, anche al fine di valutare l’efficacia di un
trattamento.
RISULTATI E DISCUSSIONE
I 40 pazienti (M. 21, F. 19) (Fig. 1) arruolati nel
nostro studio sono stati suddivisi per sesso in 4
classi di età: < 65 aa./65-75 aa./76-85 aa./> 85 aa.
(range età min-max dei soggetti esaminati aa.
50–90) (Tab. 1). In buona parte dei pazienti vi era
un deficit cognitivo e/o comportamentale e/o
della vita relazionale di grado lieve-moderato.
Nella nostra esperienza dei 40 pazienti trattati con
Rischiaril 21 erano anche in terapia per A.D. lieve
e/o moderata con i farmaci prescritti dal nostro
Centro UVA, quali inibitori dell’acetil-colinesterasi (donepezil) rivastigmina e memantina. Dei
pazienti trattati e valutati a distanza di 3 mesi
circa dal tempo 0, il 35% presentava alla V.M.D.,
miglioramento psico-comportamentale, percepito
anche dai caregivers, miglioramento del tono dell’umore, miglioramento della capacità di attenzione e di iniziativa nello svolgere compiti della vita
quotidiana senza alterazioni bioumorali, né effetti collaterali. A 6 mesi, la percentuale di “responders” era del 45% e a 12 mesi del 52% con migliore capacità di gestione dell’ambiente e della vita
relazionale (Scala V.S.A. di Rubenstein), lieve
incremento al M.M.S., nelle A.D.L. (indice di
Katz) e I.A.D.L. e miglioramento alla G.D.S. Nel
65% dei pazienti diabetici, si era riscontrato un
buon compenso dell’Hbg glicata. In circa il 70%
dei pz. esaminati, affetti da neuropatia e artromialgie diffuse, in buona parte diabetici, si era
notata una riduzione oggettiva e soggettiva percepita dei sintomi dolorosi, con miglioramento della
vita di relazione. Da segnalare in 2 pazienti lievi e
transitori episodi dispeptici, regrediti spontaneamente, e non necessariamente imputabili all’integratore.
I risultati del M.M.S., delle A.D.L. e I.A.D.L.,
G.D.S., V.S.A. sono esplicitati e riassunti nelle
tabelle (Tabb. 2, 3, 4) e nei rispettivi grafici (Figg.
2, 3, 4, 5, 6).
CONCLUSIONI
Da questi dati si evince l’effetto positivo di
questo integratore sui disturbi cognitivi, comportamentali e funzionali della A.D. lieve, specie in
Fig. 1
Tab. 1 - N. 40 pz. divisi per sesso e classi di età
(range Età min - max aa. 50 - 90)
ETÀ
< 65
65 - 75
76 - 85
> 85
TOT. PZ.
MASCHI
3
7
10
1
21
FEMMINE
4
6
7
2
19
PZ.
7
13
17
3
40
Fig. 2 - N. 40 pazienti trattati con Rischiaril divisi per gruppi di età e
sesso (Range di età minima-massima dei pazienti esaminati: aa.50-90)
Tab. 2 - M.M.S. SU N. 40 PZ
SCORE DEFICIT
GRAVE (0-10)
MEDIO (11-20)
LIEVE (21-23)
NORM.(24 -30)
TOT. PZ.
MASCHI
1
8
10
2
21
FEMMINE
1
9
8
1
19
PZ.
2
17
18
3
40
Fig. 3 - Risultati della Valutazione Cognitiva con M.M.S. (Mini Mental
State) su 40 pazienti trattati con Rischiaril.
70
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
Tab. 3 - A.D.L. SU N. 40 PZ.
SCORE DEFICIT
MASCHI
AUTOSUFF (5-6)
11
IN PARTE
AUTOSUFF. (3-4)
9
NON AUTOSUFF. (0-2) 1
TOT. PZ.
21
FEMMINE
10
8
1
19
Tab. 4 - I.A.D.L. SU N. 40 PZ
PZ.
21
17
2
40
Fig. 4 - (V.M.D.) risultati dellaValutazione Funzionale a T0 nello svolgimento delle attività basali della vita quotidiana mediante scala A.D.L.
(Katz) su 40 pazienti trattati con Rischiaril.
Fig. 5 - (V.M.D.) Risultati a T0 della Valutazione Funzionale nello svolgere le attività strumentali della vita quotidiana, mediante scala
L.A.D.L. (Lawton e Brody) su 40 pazienti trattati con Rischiaril.
associazione con i farmaci antidemenza, con
miglioramento del tono dell’umore, della stabilità
emotiva, dell’orientamento, dei disturbi del
sonno, in genere (4) e nelle ADL e IADL, GDS,
VSA in oltre il 50% dei pazienti esaminati. Da
segnalare, comunque, la stabilizzazione della
performance cognitiva e dei BPSD nel 35% dei
pazienti con demenza moderata sia A.D. che
vascolare, sia come sensazione soggettiva dei pz.
e come grado di soddisfazione percepita dai caregivers, che oggettiva, obiettivabile cioè con i test
di valutazione multidimensionale applicati (7-12).
Da segnalare, inoltre, in una buona percentuale di
pazienti trattati, una riduzione del dolore neuropatico diabetico. Il miglioramento prestazionale
con aumento di circa 1-2 punti al MMS è stato
riscontrato in modo più eclatante nel 75% dei soggetti con minimo declino cognitivo (MCI), non
SCORE DEFICIT
GRAVE (0-3)
MEDIO (4-6)
AUTOSUFF. (7-8)
TOT. PZ.
MASCHI
2
7
12
21
FEMMINE
1
8
10
19
PZ.
3
15
22
40
Fig. 6 - Risultati della Valutazione Affettiva mediante G.D.S. (Geriatric
Depression Scale) (da Brinke e Yesavage) su 40 pazienti trattati con
Rischiaril.
Fig. 7 - Risultati della Valutazione Socio-Ambientale (Scala di L.Z.
Rubenstein) su 40 pazienti trattati con Rischiaril.
trattati con altri farmaci nootropi e che sono risultati essere, quindi, i più responders alla somministrazione dell’integratore.
Probabilmente i vantaggi ottenuti, con la somministrazione del Rischiaril sono imputabili all’azione antiradicalica dei principi attivi, che contrastano lo stress ossidativo a livello neuronale,
migliorando le normali attività fisiologiche e trasmettitoriali neuronali, rappresentando un aiuto
per chi ha deficit vascolari cognitivi lievi, MCI e
un supporto terapeutico aggiuntivo stabilizzante
del quadro cognitivo comportamentale funzionale nei pazienti con A.D., già in terapia con inibitori dell’acetilcolinesterasi, o con demenza vascolare. Ulteriori studi potranno confermare quanto da
noi osservato in questo studio.
Suraci D. - Effetti della somministrazione... 71
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73
CIbO E SACRO: UNA EPICRISI DELLE NOSTRE AbITUDINI
ALIMENTARI?
Franchi F.
Dipartimento di non autosufficienza e riabilitazione, Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale Guglielmo da Saliceto,
Piacenza
Riassunto: Il cibo rivisitato non per le sue peculiarità biologiche, ma poiché essenziale alla vita dell’uomo, proprio
per questo rimanda al rapporto che da sempre ha legato l’uomo al Divino, al Creatore: il cibo come anche dono
Divino e pertanto Sacro; il cibo in quanto essenziale, che rimanda al senso della vita. Fin dall’antichità il cibo è intimamente legato ad un simbolismo antropologico e religioso. Il mangiare dei nostri avi un determinato alimento
per modo e quantità, il digiuno, il divieto (tabù) per alcuni cibi o la moderazione assumono profondo significato
di sacralità. Molti di questi rituali che abbiamo dimenticato stanno alla base della nostra cultura alimentare attuale e delle diversità tra i vari popoli, ma proprio queste diversità ci insegnano a comprendere meglio come attraverso il cibo è comunque possibile la convivenza pacifica fra i popoli in una realtà di globalizzazione. E anche, come
molti precetti religiosi non sono in contrasto con le “regole di una sana alimentazione”.
Parole chiave: cibo, sacro, religione, pane, moderazione, culture.
Food and sacred are an epicrisis of our eating habits
Summary: In this paper the food is not revisited for its biological characteristics, but because essential to human life the food
refers to the relationship that has always linked the man to the Divine, the Creator. The food as God's gift and therefore sacred,
and the food as essential need that refers to the meaning of life. Since ancient times, the food is intimately linked to an anthropological and religious symbolism. Eating a particular food in a manner and quantity, and fasting or prohibition (taboo) for
certain foods or moderation too, overall assume great significance of sacredness. Many of these rituals that we have forgotten
are the basis of our current food culture and diversity among various peoples, but precisely these differences teach us to better
understand how by the knowledge into different food uses and choises is still possible a peaceful coexistence between peoples
in a world of globalization. Noteworthy, many religious precepts are not in conflict with the "standards of healthy eating."
Key words: food, sacred, religion, bread, moderation, culture.
INTRODUZIONE
Il termine “sacro” deriva dal termine latino
arcaico sakros rinvenuto sul Lapis Niger (Fig. 1),
in un sito archeologico romano (nell’area del Foro
romano a Roma, sul luogo dei comizi a poca
distanza dalla Curia Iulia) risalente al VI secolo
a.C. e, in un significato successivo, indica anche
ciò che è dedicato alla divinità e al suo culto (1).
La radice di sakros è il radicale indoeuropeo
sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita
validità ovvero che acquisisce il dato di fatto
reale, suo fondamento e conforme al cosmo. Da
qui anche il termine, sempre latino, di “sancire”
evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo
questo insieme di significati, il sakros sancisce una
alterità, un essere “altro” e “diverso” rispetto
all’ordinario, al comune, al profano. Il termine sakros corrisponde all’ittita saklai, al greco hagois, al
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Franchi Fabrizio
Dipartimento di non autosufficienza e riabilitazione,
Unità Operativa Complessa di Geriatria, Ospedale G. da
Saliceto, Via Taverna 49 – 29100 Piacenza,
Azienda Sanitaria Locale di Piacenza
Tel: 0523 302705
Email: [email protected]
gotico sakan. Ancora, sacro è un termine storico
religioso, fenomenologico religioso e antropologico che indica una categoria di attributi e realtà che
si aggiungono o significano ulteriormente il reale
ordinariamente percepito e indicato come profano. L’esperienza del “sacro” è al cuore di tutte le
religioni (2).
“Il sacro è un elemento della struttura della
coscienza e non un momento della storia della
coscienza. L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per
costruire un mondo che abbia un significato. Le
ierofanie (scienza delle religioni) e i simboli religiosi costituiscono un linguaggio preriflessivo.
Trattandosi di un linguaggio specifico, sui generis, esso necessita di un’ermeneutica propria” (3).
Perché una relazione tra cibo e sacro? Più si
percorre all’indietro la storia e maggiore è il
rispetto e la compassione manifestata per ogni
essere vivente. Questo sentimento d’amore universale, questa ricchezza morale e spirituale è
andata gradualmente affievolendosi, specialmente nei Paesi occidentali, a causa della filosofia aristotelica, agostiniana, d’aquiniana, cartesiana… i
cui principi antropocentrici se da una parte hanno
posto l’uomo al centro della creazione dall’altra lo
hanno staccato dalle sue origini naturali causando
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
un progressivo disprezzo per tutto ciò che era ed
è dissimile da lui. Abituati come siamo a consumare qualsiasi cosa in ogni momento della giornata, da soli, di fretta, magari in piedi o guardando la televisione o navigando in internet, le religioni ci ricordano uno stile di vita completamente
diverso (4).
Il cibo è un elemento costante della nostra vita
quotidiana, e tuttavia non risponde solamente a
esigenze o bisogni legati al corpo, ma è stato fatto
oggetto fin dall’antichità di attenzioni di natura
simbolica che rimandano a caratteri di sacralità, di
ritualità, di seduzione e mistero. Non è un caso che
il cibo sia presente come fatto culturale in ogni
realtà comunitaria e nazionale, e d’altro canto esso
è pure fattore caratterizzante delle religioni.
L’uomo soddisfa l’universale biologico della nutrizione in modo non dissimile dagli altri mammiferi.
Soltanto l’uomo possiede però quel dispositivo
simbolico che lo obbliga a trasformare i cibi in cose
“buone da pensare” oltre che da mangiare. L’uomo
è cioè qualche cosa di più di ciò che mangia, dal
momento che dà ai cibi forma e valore (5,6).
I fatti alimentari sono, in altri termini, parte
integrante di quell’universo simbolico che non
soltanto ci fa unici tra gli altri animali, ma è anche
all’origine della varietà culturale che ci caratterizza come specie. Sostiene Franco Cardini:
“Comunque la si affronti la storia è sempre, in un
modo o nell’altro, storie di cose da mangiare o
della loro mancanza”(7).
L’alimentazione è un argomento complesso in
cui si intrecciano antropologia, psicologia, folclore, storia delle religioni. Il pasto, insomma, è un
fenomeno del corpo, della mente e dell’esistere. Il
pasto è un evento così largamente diffuso nello
spazio, nel tempo e nei più vari orizzonti religiosi
e culturali, da legittimare l’ipotesi che esprima
proprio alcuni valori fondamentali. E in ogni
festa, fiera o ricorrenza religiosa vi è l’offerta e il
consumo collettivo di grandi quantità di cibo.
Non è un caso quindi che il cibo sia presente come
fatto culturale in tutte le realtà nazionali o comunitarie, ma esso è comunque un elemento che
caratterizza le religioni, sia universali che locali,
sia istituzionali che popolari. È innegabile il legame tra il divino e il cibo, definibile come “sacralità
del cibo”, dovuto al fatto che in molte religioni il
cibo ha come prerogativa l’essere considerato
dono di Dio… “santificazione del lavoro umano”.
Lo si ricerca attraverso l’ausilio dell’implorazione
della preghiera (es. dacci oggi il nostro pane quotidiano), con cui lo si riconosce come bisogno
umano, dono di Dio che ne è il bene-factor, il
bene-fattore. Molte usanze alimentari delle
società arcaiche e che ancora oggi ci portiamo
appresso, hanno elementi simbolici strettamente
legati alle credenze sul mondo degli dei (8).
A partire dai grandi monoteismi è riscontrabile una centralità del cibo come fattore impregnato
di sacralità. E, tutte, pur nella loro specificità, ma
da sempre, ritengono il cibo un vettore che facilita il dialogo tra gli uomini e realizza, al tempo
stesso, l’incontro con Dio. Anche la rinuncia del
cibo assume caratteri di sacralità, e comunque virtuosi: pensiamo ai digiuni nei loro molteplici
significati, insieme culturali e religiose. Un pasto
consumato sia in forma liquida che solida, sia
crudo o cotto, scarso o opulento assume caratteristiche che contengono e manifestano un’aura di
sacralità. La stessa regolamentazione delle quantità e delle qualità differenziate da ingerire può
rispondere a motivazioni che rimandano ad una
prospettiva legata al sacro. Dare cibo è vita, è creare solidarietà fra chi dà e chi riceve, e non a caso
gran parte degli usi e dei saperi si fondano sull’offerta del cibo, come scambio, come dono, come
rito, come sacrificio (8-11).
Del resto lo stesso cibo ha una sua dinamica
che ha molto a che vedere con il ciclo della vita,
dunque ancora una volta con un’esperienza che
non può non richiamare l’interrogativo sul significato dell’esistenza e, pertanto, sul valore del
sacro (8,9).
Tra spiritualità e cibo c’è sempre stato un rapporto molto stretto, nonostante si mettano spesso
in antagonismo i bisogni corporali con quelli spirituali. È indispensabile alla vita biologica, e il
principio base di ogni religione è sempre improntato alla moderazione. Le due contrapposte componenti umane, lo spirito e la carne, appunto,
vanno in direzioni opposte. Alimentando la parte
“fisica” si alimentano pulsioni terrene, come la
sfera sessuale, a scapito dello spirito, che resta rin-
Franchi F. - Cibo e sacro: una epicrisi...
tuzzato. Solo mortificando tali pulsioni lo spirito
può elevarsi. In via generale i precetti alimentari
hanno la funzione di far comprendere all’uomo
che esiste una volontà divina superiore che pone
dei limiti al di là dei quali l’individuo non si deve
spingere, come prova di obbedienza e stimolo
all’autocontrollo. Da qui nascono i divieti a consumare certi prodotti o a uccidere certi animali. È
qui che nasce il concetto di tabù. Molte religioni
vietano un gran numero di pietanze per un duplice motivo: a - dare ai fedeli un’identità di gruppo,
b - per scoraggiarli dal frequentare miscredenti
che potrebbero far nascere in loro il seme dell’empietà (12-14).
Il rito, che ricopre un ruolo fondamentale nelle
culture primitive, è il tentativo di porsi in armonia
con il ciclo naturale, celebrando eventi fondamentali come il quotidiano sorgere e tramontare del
sole, il mutare delle stagioni, il variare delle fasi
lunari, la semina annuale e il raccolto.
Si diceva che tra spiritualità e cibo c’è sempre
stato un rapporto molto stretto.
Basti pensare al pane e al vino nell’Eucarestia
della religione cristiana o all’alimentazione vegetariana di certe religioni orientali o all’uso del
digiuno nel ramadan.
Il cibo come storia e cultura, memoria e gusto,
concetto rituale e simbolico, incontro e integrazione.
Conoscere piatti e abitudini alimentari può
aiutare a capire meglio l’identità delle diverse culture. Ma può essere prezioso anche per comprendere lo spaesamento, il disagio e la necessità di
dialogo dei molti immigrati con i quali ormai conviviamo.
Il cibo non è finalizzato a se stesso, ma diventa
il punto da cui partire per indagare sulla spiritualità, sulla socialità, oltre che su suoni, colori, architetture, paesaggi delle varie comunità spirituali.
Il cibo e le sue valenze diventano allora un filo
rosso che si dipana attraverso culture che possono
anche trovare un palato comune (9,14,15).
Il rapporto che instauriamo con il cibo è quindi complesso e legato a fattori diversi. È senza
dubbio un fatto culturale: noi non mangiamo
tutto ciò che è commestibile, e si diceva sopra che
deve anche essere buono da pensare, oltre che da
mangiare. Però non tutti pensiamo il cibo allo
stesso modo, perché interviene la mediazione culturale propria della società in cui viviamo. E di
certo la religione è un elemento culturale, un marcatore, molto importante.
Ribadendo che tutte le religioni considerano il
cibo un dono del Dio o degli Dei, ne consegue che
l’atto di mangiare non può essere un gesto qualsiasi, ma la consapevolezza che gli alimenti non
sono solo il frutto delle mani dell’uomo (8,9).
Troppo spesso il ritmo che conduciamo rende
veramente proibitivo il ricordo che, legato al cibo,
75
c’è un mondo di valori che non dovremmo mai
dimenticare. Il tempo del pasto, così come lo spazio del pasto possono diventare preziose occasioni per avvicinarci al sacro. Purtroppo ci scordiamo
che sono un’occasione e un luogo dove è possibile ed auspicabile incontrare non solo Dio ma
anche l’uomo! (16,17)
In questo quadro alimentare profondamente
cambiato rispetto a un passato anche recente le
religioni contribuiscono, mantenendo le loro
peculiarità, al processo di conoscenza e di convivenza tra i popoli, offrendo una chiave di lettura
che impone il riconoscimento del cibo come valore assoluto. Una consapevolezza che le diverse
religioni traducono in una prassi che, pur nella
logica del rispetto delle differenze, trova importanti punti in comune. Ad esempio il cibo come
un dono di Dio. Il mangiare non è solo frutto delle
mani dell’uomo ma dono divino. Il ringraziamento a Dio spinge ogni fedele a un’azione di lode e
benedizione per il cibo posto sulla tavola. La preghiera sul cibo è una prassi fondamentale nelle
religioni orientali. In modo particolare l’induismo
invita i fedeli a preparare il pasto secondo prasada (cucinato con devozione per Dio). Non solo:
prima di consumare cibi e bevande essi ricordano
il suo nome recitando formule di ringraziamento,
dette puja. Anche i cristiani possono ricavare dal
Nuovo Testamento molti passi dove Gesù pregava prima di accostarsi al cibo: ricordiamo la moltiplicazione dei pani. “Presi i cinque pani e i due
pesci, levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione” (Mc 6, 41). Una consuetudine mantenuta
dalla Chiesa primitiva: “spezzavano il pane a casa
prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,
lodando Dio” (At 2, 46-47). La preghiera di ringraziamento prima dei pasti è ben presente anche
nell’Islam: “Non cibatevi di ciò su cui non è stato
invocato il nome di Dio, sarebbe cosa ingiusta,
sicuramente” (sura VI, 121) (8,9,15,17).
Si potrebbe concludere questa parte introduttiva considerando il cibo essenziale alla nostra
sopravvivenza, sia in senso realistico che in senso
simbolico, essendo i simboli necessari per l’ancoraggio dell’uomo nella sua esistenza, nella sua
società. Ancora che “Cibo e sacro” non va visto
soltanto come endiadi, ma come affermazione,
sostituendo alla ‘e’ della congiunzione la ‘è’ del
verbo. Infine, Cibo è sacro perché il cibo si dispiega nella cultura come essenziale forma della
sacralità e il sacro è cibo nel senso che si materializza attraverso gli alimenti, si invera in essi (15).
IL RAPPORTO “CIBO-SACRO” NELLA
STORIA E RELIGIONI DELL’UOMO
Fin dal mondo antico il cibo ha assunto valore
simbolico legato alla dimensione di un rapporto
particolare con il sacro e con il divino, con il
mistero. In tutte le religioni dell’antichità questo
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valore simbolico si è espresso in vari rituali legati
alla consumazione del cibo. La stessa separazione
(ma anche il rapporto) tra il mondo dei vivi e
quello dei morti è quasi sempre garantito dalla
circolazione di cibi: quelli consumati nei giorni
del lutto, quelli offerti periodicamente dai vivi o
deposti nelle tombe per accompagnare il viaggio
dei morti, ma anche i cibi donati da questi ultimi
ai vivi, soprattutto ai bambini. Durante il periodo
Mesolitico (9000-4000 a.C.) la pratica di inumazione viene realizzata nella posizione fetale, modalità che indica che la tomba è considerata un uovo
pronto a generare nuova vita (6,18). Gli antichi
egiziani ritenevano che la vita continuasse dopo
la morte e che l’anima avesse ancora bisogno di
mangiare, di bere e di tutte le cose di cui godeva
in vita; nelle tombe sono state rinvenute quantità
abbondanti di cibi e bevande conservati in vari
tipi di contenitori, che dovevano garantire al
morto di che sopravvivere nell’aldilà. Troviamo
inoltre alcune serie di oggetti con una funzione
essenzialmente magica, che dovevano fornire da
mangiare e da bere per l’eternità all’anima del
defunto, poiché i cibi nel corredo funerario potevano esaurirsi o deperire (stele funerarie, con la
formula magica dell’offerta e la raffigurazione del
pasto funerario da parte del defunto e dei parenti; delle statuette di servitori in atto di produrre
alimenti di vario tipo; delle tavole d’offerta con le
raffigurazioni dei vari cibi, ecc). Ma l’antica saggezza egiziana non esitava ad ammonire contro
gli stravizi e le esagerazioni della tavola! In alcuni
papiri con “insegnamenti morali” si leggono
infatti delle massime molto significative e anche
molto attuali, come “Non ti abbuffare di cibo: chi
lo fa avrà la vita abbreviata”, oppure “è gran lode
dell’uomo saggio contenersi nel mangiare”, o infine “è meglio stentare dalla fame che morire d’indigestione”(19). Il pane e la birra erano la base
dell’alimentazione degli antichi egiziani e pertanto costituivano anche la base delle offerte funerarie per i defunti, come riporta la classica formula
dell’offerta che compare sulle stele e su numerosi
oggetti dei corredi delle tombe. A conferma dell’importanza di questi alimenti venivano deposti
nelle tombe dei modelli di servitori, caratteristici
dell’Antico Regno, che raffigurano donne in atto
di macinare cereali o di preparare la birra per l’anima del defunto. La cottura avveniva in forni
domestici, o anche su lastre di pietra arroventata;
per particolari tipi di pane, per usi religiosi e
soprattutto per l’offerta nei templi del pane bianco conico, venivano utilizzate delle forme di terracotta preriscaldate (19,20).
Nel panorama delle espressioni religiose fiorite nell’antica Grecia è possibile individuare due
componenti fondamentali: la religione olimpica e
le religioni misteriche (misteri eleusini e misteri
orfici) (21,22). Queste ultime avevano un carattere
non pubblico, in quanto solo coloro che venivano
sottoposti ai rituali di iniziazione potevano conoscere i contenuti dottrinali e i riti di tali religioni.
Avevano conoscenze, credenze ed un’organizzazione gerarchica molto diverse dai non iniziati. Il
culto di Demetra (dea della terra e del grano) nei
riti eleusini (dalla città greca Eleusi) inizialmente
era volto a propiziare nella stagione della semina
la fecondità dei campi. I misteri orfici devono il
loro nome al mitico cantore tracio Orfeo protagonista del tentativo fallito di liberare la moglie
Euridice dal mondo degli Inferi e poi ucciso da
una schiera di baccanti in preda al furore orgiastico. Venivano rispettati determinati principi morali che consistevano soprattutto nel rinunciare
completamente ai piaceri del mondo e al compimento di azioni malvagie: perciò presso gli Orfici
si trova così vivo l’orrore del sangue, così possente il desiderio della Giustizia (Dike) e della Legge
(Nomos): Nomos e Dike, che così sovente ritornano nei frammenti orfici. Dio centrale della teologia e del culto orfico viene assunto Dioniso. La
religione dei misteri (che ha influenzato il pensiero di filosofi come Pitagora e Platone), si fonda
sull’insopprimibile bisogno di “salvezza” che
attraversa l’esistenza dell’uomo greco e che lo
spinge a ricercare attraverso pratiche rituali liturgiche la purificazione da una colpa originaria e ad
attuali per accedere ad una immortalità beata che
gli restituirà la propria natura divina, perduta con
la sua entrata nel corpo a motivo di una colpa originaria (22).
Utilizzo del cibo e dell’acqua come purificazione del corpo e dell’anima; importanza del cibo in
una visione sacra: l’acqua (elemento purificatore
del corpo e dello spirito), il latte , l’agnello. Hanno
accettato anche il rituale di uccisione dell’animale
sacro con ingestione delle sue carni crude (omv
jagia); ma hanno considerato questo sacrificio,
come il memoriale, la riproduzione di un sacrificio primordiale, in cui Dioniso, sotto la forma di
toro, subì per altrui violenza lo sbranamento (un
misfatto, un deicidio, da cui deriva la triste posizione dell’uomo sulla terra, la sua oscura prigionia, dalla quale è lunga e difficile la liberazione).
L’Orfico si impone una vita di purità, di ascetismo, di purificazioni cerimoniali (22).
Anche segni esteriori contraddistinguono chi
mena una vita siffatta: una veste bianca; orrore di
tutto che implichi un contatto mortuario, come: a)
la vicinanza delle tombe, b) il mangiare i legumi
che sono l’offerta precipua che si fa ai defunti, c) il
vestir di lana, anche nella tomba, perché la lana fu
il mantello di un animale, d) il gustare uova e
carne, perché anch’esse in contatto con le anime
peregrinanti nei cicli vari della metempsicosi.
Il vegetarismo orfico e poi pitagorico è “conditio sine qua non” per il superamento mistico della
mondanità e come espressione di rottura con
Franchi F. - Cibo e sacro: una epicrisi...
quello tradizionale, che prevedeva il consumo
rituale delle carni sacrificate. Le modalità con cui
le antiche religioni celebravano il sacrifico rituale
dell’animale, le cui carni venivano riservate agli
uomini e il fumo e il grasso agli dei “comportava
2 diversi modi di essere: umano (mortale) e divino (immortale). La condizione umana in particolare come quella di dover sacrificare agli dei, di
dover mangiare, di dover morire (21,22).
Il sacrifico cruento significa: diversa condizione rispetto agli Dei. I primi devono sacrificare ai
secondi e della vittima sacrificale, gli uomini
devono mangiare la carne mentre gli dei immortali godono del sacrificio come atto di omaggio e
non come cibo: gli uni sono coloro che hanno bisogno di mangiare per vivere e perciò mangiano le
carni sacrificali, gli altri non hanno bisogno di
mangiare e perciò non ne mangiano.
La scuola Pitagorica riteneva il cibo non solo
mezzo per nutrire il corpo, ma mezzo di educazione allo spirito della filosofia. In questa scuola
dove la riflessione filosofica e spirituale si univa
alla ricerca scientifica, sono state scoperte proprietà curative del cibo. Ed è anche in questa
scuola che vengono fondati i principi del vegetarianesimo. Celebri anche i precetti salutisti della
Scuola salernitana: “se ti mancano i medici, siano
per te medici queste tre cose: “l’animo lieto, la
quiete, e la moderata dieta”. Si fondava precisamente sul principio del cibo come cura del corpo
e a motivo della concezione dell’unità dell’anima
con il corpo, come fonte del benessere non solo
fisico ma anche spirituale dell’uomo.
Il cibo dunque, sia nelle religioni che in scuole
filosofiche dell’antichità, ha avuto un grande
valore simbolico perché mette in luce alcune
importanti dimensioni antropologiche rivelatrici
del mistero dell’uomo che è composto di corpo e
di spirito e che per questo avverte un bisogno di
rapporto sempre più profondo con ciò che è spirituale e sacro (22-24).
La simbologia del cibo nella Bibbia, testo fondamento delle tre grandi religioni monoteiste, è
rilevante. Dio nella prospettiva biblica e cristiana
ci tocca per mezzo di realtà materiali attraverso
doni del creato che egli assume al suo servizio,
facendone strumenti dell’incontro tra noi e Lui
stesso (es. la manna). Queste realtà materiali sono
precipuamente i 4 elementi della creazione che si
ritrovano nei sacramenti: acqua, pane di frumento, vino e olio di oliva. Il pane, in particolare, ha
assunto un significato fondamentale nel simbolismo sacro. Alla sua nascita concorrono la terra che
genera il grano, l’acqua che impasta la farina, l’aria che favorisce la lievitazione, il fuoco che lo
cuoce: i quattro elementi primordiali in cui il filosofo Empedocle vide l’origine del mondo, terraacqua-aria-fuoco s’incontrano nel cibo primordiale della storia umana, il pane. Un poema, possia-
77
mo dire, cui hanno posto mano cielo e terra
(15,17,19).
Come tutto ciò che sta all’origine della vita e
della storia, questo alimento è sacro. Il pane, come
altri cibi, è stato usato ben prima dell’avvento del
cristianesimo in riti religiosi come oggetto da
offrire alla divinità (9). Dall’Epopea di Gilgamesh,
un racconto epico di fondamentale importanza
della religione babilonese, apprendiamo che già
nel 2° millennio a.C. il pane era offerto agli dèi
come oggetto consacrato. In alcune antiche feste
ebraiche, attestate nell’Antico Testamento, sono
presenti usi sacrali del pane. Per Shavu’ot, la festa
del raccolto o Festa delle Settimane, ad esempio,
gli israeliti recavano al loro Dio come oblazione
due pani di grano. Questa festa aveva luogo cinquanta giorni (sette settimane) dopo la Pasqua e
divenne perciò nota col nome greco di Pentecoste
(commemorava il giorno in cui Mosè ricevette le
Tavole della Legge sul monte Sinai). “Pane della
presenza”, che gli israeliti erano soliti deporre
davanti al Santo dei Santi nel Tempio di
Gerusalemme (Levitico 24,5-9): sopra una tavola,
su due pile, venivano poste dodici focacce di pura
farina di grano, rappresentanti le dodici tribù di
Israele e la loro alleanza eterna con Jahvé (19).
Diverse sono le citazioni del pane nella bibbia.
Ad esempio quando tre angeli si presentarono
alla tenda di Abramo, questi li pregò di entrare,
ordinando alla moglie Sara: “Pane non ce n’è più,
prendi tre misure di farina, impastala e fai delle
schiacciate”. Cacciato dal Paradiso terrestre, che
cosa dovette guadagnarsi col sudore della fronte il
povero Adamo? Il pane. A Satana che lo tentava
nel deserto, durante il digiuno, Gesù rispose:
“Non di solo pane vive l’uomo”, confermando
l’importanza di questo alimento, che poi nobilitò
inserendolo nella preghiera del Pater Noster, e
convertendolo nella sua carne durante l’Ultima
Cena. Il pane azzimo (cioè non lievitato) significa:
a-un ricordo dell’antica festa delle primizie quando si faceva il nuovo lievito con il nuovo raccolto
e si eliminava il vecchio lievito fatto con la farina
dell’anno precedente; b-un ricordo della fuga
dall’Egitto quando gli Ebrei non ebbero il tempo
per lasciare lievitare il pane per il viaggio; c-un
richiamo all’umiltà davanti a Dio, perché il lievito
fa gonfiare la pasta come l’orgoglio fa gonfiare il
cuore dell’uomo (8,9,19).
Soltanto nel cristianesimo, d’altro canto, la
consacrazione del pane e il suo sacrificio in quanto “corpo di Cristo” hanno assunto un valore così
centrale e assoluto. Su questo punto, il cristianesimo si differenzia dalle religioni classiche come
quella greca e quella romana (7,8,10). Nel cristianesimo il pane si configura, a livello simbolico,
come funzione fisica e spirituale: è fisico in quanto indica simbolicamente il corpo di Cristo che è
corpo umano storico; è spirituale perché la rap-
78
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
presentazione simbolica rinvia ‘spiritualmente’
alla dimensione divina e non umana del figlio di
Dio. Il pane è, insomma, ‘materia spirituale’ (o
‘spirito materializzato’) sia che si guardi all’atto
originario di Cristo raccontato nei Vangeli (“il
pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo” (Gv 6, 51) , sia che si osservi il ripetersi
della sua consumazione nell’eucarestia (identificazione di Gesù come “pane di vita” (Gv 6) col
pane offerto dal sacerdote), che è riattualizzazione, nutrirsi collettivo del cibo della religione, in
una parola ‘com-unione’(9). Nell’Ultima Cena
compare un prodotto finito, un pane già da consumare, così come è giunto a maturazione l’iter terreno del figlio di Dio (4). Di fatto, le parole di
Gesù trasformano il pane nei termini anzi detti e
l’atto fisico consiste nel distribuirlo, nel metterlo a
disposizione dei commensali, come in una fase
precedente della vita e della predicazione di Gesù
il pane era stato moltiplicato (prodotto allo stato
finito, senza i passaggi precedenti, in quanto
“miracolo”, ovvero pane per lo spirito) per sfamare una grande folla e come, nella preghiera cristiana per eccellenza, il Padre Nostro (Mt. 6, 11; Lc. 11,
3), si impetra il pane quotidiano da intendersi non
già solo come nutrimento del corpo bensì dello
spirito, donato da Dio agli uomini fisicamente,
appunto, e spiritualmente (8,9).
Se si vuole trovare un parallelo occorre guardare a una religione lontana nel tempo e nello
spazio, una religione tipicamente sacrificale come
quella degli Aztechi (19). Essi usavano fare un
impasto simile al pane dai semi del papavero e lo
modellavano a forma del dio Huitzilopochtli.
Questo pane (a forma di figura umana) veniva poi
spezzato e mangiato dai sacrificanti, con lo scopo
di “mangiare il Dio” per assimilarne sostanza e
poteri.
Tra le pratiche alimentari più comuni tra le
religioni troviamo anche l’invito all’astinenza e al
digiuno. In quanto dono di Dio, ogni cibo ed ogni
bevanda sono sacri, positivi, buoni compresi quelli interdetti permanentemente. Ad esempio il
digiuno rappresenta il bisogno di purificazione
interiore in ordine al contatto con il divino e nelle
sue diverse pratiche come un’assenza di cibo che
introduce ad un più profondo rapporto con la
divinità. Chi si astiene e chi digiuna non lo fa contro Dio. Astinenza e digiuno sono strumenti, vie,
occasioni per incontrare Dio insieme ai fratelli.
Nel Vecchio Testamento, gran parte del Levitico è
dedicata all’elencazione dei piatti empi; una
norma in particolare, che proibiva di mischiare
carne e latte, era ritenuta sembra così importante
da far parte originariamente dei 10 comandamenti. “La carne è figlia del latte” e per tre volte la
Torah ripete sempre lo stesso verso: “non cucinare l’agnello nel latte di sua madre”(12,13,19).
La presenza di tabù gastronomici in ogni reli-
gione è connotata da una polarità di significati: alla
babele gastronomica segue la convinzione che il
rispetto delle norme permette al fedele di sfruttare
una filiera che parte dalla creazione e termina nel
divino (8,9). Nella religione Ebraica le prescrizioni
ed i riti alimentari sono molto complicati: la normativa ebraica sul cibo è detta Kasherut ed è essenzialmente fondata sulla Torah e sull’interpretazione che di essa hanno fornito i rabbini. Le principali prescrizioni si riferiscono al consumo di carne:
quando Dio creò l’uomo lo concepì come un essere
vegetariano anche se sovrano su tutti gli animali.
La carne entra a far parte dei cibi concessi all’uomo
solo dopo il diluvio, con Noè, per cui la Kasherut
riguarda essenzialmente il consumo di carne. In
primo luogo è fondamentale fare la distinzione tra
animali permessi o Kasher, cioè adatti, validi, ed
animali proibiti; le motivazioni che sono alla base
di questa distinzione sono molte complesse e non
sempre riconducibili ad un motivo scientificamente provato. Il precetto dice: “Nessuna persona tra
voi mangi sangue ed anche lo straniero che soggiorni con voi non mangi sangue. La vita di ogni
carne è sangue, nel sangue sta la vita”. Il sangue,
infatti, oltre ad essere testimone, attraverso il sacrificio, del patto tra Dio ed il popolo d’Israele, contiene il segreto della vita ed è quindi patrimonio
esclusivo del Creatore (9,11,12).
Sono proibiti tutti i vini usati per culti non
ebraici: nella religione ebraica il vino ha un significato simbolico molto importante come, ad esempio, quello di essere uno strumento durante le
cerimonie di santificazione all’inizio di ogni festa
ed, inoltre, il suo consumo è per lo più circoscritto al pasto; per la cultura ebraica la tavola simboleggia l’altare e, quindi, non si può rischiare di
portare, davanti al tavolo-altare, atti di culto stranieri. Nella pratica, sono considerati proibiti se in
assenza di controlli.
Secondo il Corano, il Profeta (13) riteneva che
“il tuo corpo ha dei diritti su di te, pertanto, il
consumo di cibi sani ed un corretto stile di vita
sono da considerarsi dei veri e propri obblighi
religiosi”. In particolare il divieto di consumare
carne di maiale trarrebbe le sue origini dal fatto
che il maiale è un animale sudicio, che sguazza
nello sporco e, quindi, la sua carne, in mancanza
di controlli igienico-sanitari e di allevamenti
modello, si presterebbe a far da ricettacolo ai peggiori parassiti. Ancora, i maiali hanno bisogno di
ombra e di acqua per rinfrescarsi in quanto sprovvisti di ghiandole sudoripare e quindi non possono regolare la temperatura corporea con la sudorazione; inoltre sono sostanzialmente stanziali,
cioè non sopportano lunghi spostamenti, per cui il
maiale risultava poco adatto a popolazioni originariamente nomadi e con le quali, tra l’altro,
entrava in competizione per l’acqua in un
ambiente arido e caldo come quello del deserto.
Franchi F. - Cibo e sacro: una epicrisi...
Infine motivazioni di natura “ecologica”: i suini
sono talmente simili a noi da prediligere i nostri
stessi alimenti come frutta, cereali, legumi; non
ruminano, ciò vuol dire che non digeriscono la
cellulosa, esattamente come accade per gli uomini, per cui, dove i boschi non abbondavano ed i
cereali erano cibo per gli uomini, si preferiva consumare carne di ovini e di bovini che si sostenevano degli scarti della produzione cerealicola (8,13,
15,17). Ancora, è proibito consumare carne di animali morti naturalmente o per cause accidentali;
gli animali devono essere sgozzati quando sono
ancora vivi e devono essere completamente dissanguati mentre sono rivolti alla Mecca: solo così
la loro carne è Halal cioè pura e quindi mangiabile; nutrirsi di sangue è, infatti, un peccato mortale
anche se il sangue proibito è solo quello che si
spande e non quello che resta nella carne. Questa
proibizione alimentare, come del resto molte altre,
è mediata dalla tradizione ebraica e risale a Mosè
che, a sua volta, sembra l’abbia ripresa dal faraone egiziano. Il Ramadan è il mese del digiuno:
dall’alba al tramonto bisogna astenersi dal cibo e
ogni attività rallenta mentre per quanto riguarda
le bevande, il divieto va esteso ad ogni tipo di
bevanda alcolica compreso il vino in quanto l’alcol creerebbe un’alterazione della coscienza, uno
stato di ebbrezza che distoglierebbe il credente
impedendogli di pregare. Buddhisti, jainisti e
induisti (20) non possono cibarsi di carne. Questo
perché tutte le religioni dell’oriente condannano
la violenza, la guerra e la crudeltà. Tuttavia sono
consentite alcune deroghe al divieto della carne: è
consentito il consumo negli ospedali, nelle caste
più basse dell’induismo (come i paria, gli intoccabili, che addirittura consumano la carne di cavallo, spesso rifiutata da altre caste inferiori come
quelle dei lavoratori del cuoio e degli spazzini)
che costituisce una sorta di marchio sociale (la
dieta vegetariana è riservata alle caste più alte, la
cui osservanza determina in qualche modo lo status sociale) in quanto i diversi regimi alimentari
corrispondono spesso alla divisione della società.
In genere anche i buddhisti tollerano l’uso della
carne, ma solo se chi la mangia non ha partecipato all’uccisione degli animali. I jainisti, invece,
condannano l’uccisione di qualsiasi animale e
seguono una dieta puramente vegetariana.
Secondo gli insegnamenti di alcune sètte jainiste è
necessario usare delle scope per aprirsi il “cammino onde evitare la calamitosa eventualità di uccidere anche una sola formica”. E questo perché i
jainisti considerano sacra la vita: essa condivide
una anima con tutta la natura (in altre parole, gli
addetti al culto che sacrificano animali non sono
migliori degli assassini). Da questa dottrina, che si
chiama “panpsichismo”, (secondo questo pensiero tutto ciò che esiste possiede un’anima, gli animali come le piante, gli uomini come i minerali)
79
deriva il comandamento più importante: il rispetto per ogni forma di vita. I sacerdoti sono soliti
camminare per vie e sentieri preceduti da assistenti, che servendosi di fasci di ginestrone, scopano via insetti e ragni che potrebbero venir calpestati accidentalmente. Sono inoltre soliti coprirsi la bocca e il naso con mascherine per evitare di
inspirare, quindi uccidere, mosche e zanzare e
non bevono acqua senza filtrarla. “Sento che il
nostro progresso spirituale ci porterà a smettere,
prima o poi, di uccidere altre creature per soddisfare i nostri bisogni materiali” (Mohandas
Gandhi 1869-1948). “Qualsiasi offerta di una
foglia, fiore, frutto o acqua fatta a me con devozione da un’anima pura Io l’accetto con amore”
(Krishna). Ricordo, infine, che tutte le religioni
dell’India prevedono il rifiuto delle bevande alcoliche anche perché l’ebbrezza è capace di sottrarre
all’uomo il controllo del suo corpo (8,13,20,25).
L’astinenza dalle carni e il digiuno di mercoledì delle ceneri e del venerdì santo costituiscono
le principali restrizioni alimentari alla libertà
introdotta da Gesù: “Non capite che tutto ciò che
entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e
va a finire nella fogna? Dichiarava così mondi
tutti gli alimenti” (Mc 7, 18-19). Come il consumo
di cibo anche la rinuncia ad esso ha un valore
sacrale e comunitario: è incontro con Dio nella
comunione con i fratelli. Oltre alla condivisione di
un pasto, ai fedeli è anche richiesto di rispettare
insieme un tempo di digiuno, dove far emergere,
anche fisicamente, la necessità di porre attenzione
a Dio durante il vivere quotidiano (8,9,10,13).
Le feste, in tutte le religioni, sono un’occasione
per ricordare gli impegni dell’uomo nei confronti
di Dio, che lo invita a non dimenticare la sua
opera realizzata nel tempo e nello spazio (26,27).
Fare festa significa riconoscere che l’uomo vive in
uno spazio, il cosmo, e in un tempo, l’arco della
vita, dove Dio è presente e accessibile: un menù
che volutamente nei suoi piatti e nelle sue bevande rimanda al significato religioso della festa, contribuendo così, mangiando e bevendo, a costruire
un clima propizio all’incontro con il sacro. Gesù
nel memoriale della sua morte e della sua risurrezione al “pane” e “vino” della cena ebraica. Il cibo
richiama anche la festa. Lo è nella quotidianità,
quando ci si siede a tavola, dopo avere ringraziato Dio, si festeggia e si ringrazia per il “pane quotidiano”. “Il trionfo del banchetto è universale: è il
trionfo della vita sulla morte” (24).
Ma attenti a non abusare! Del “cibo e sacralità”
c’è anche l’altra faccia della medaglia. Si può stare
a tavola con Dio con l’approvazione anche dei
dietologi. I menù dei testi sacri di tutte le religioni, che per millenni hanno raccomandato ai propri
fedeli cibi prescritti, divieti, dinieghi, digiuni e
tanti altri moniti, sembra che facciano parte di un
80
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
interessante capitolo di un moderno volume sulle
“buone norme di nutrizione”. Dal divieto
Coranico che vieta la carne di maiale, riccamente
presente di grassi saturi – potenzialmente nocivi
alla salute – alla saggia precauzione ebraica della
Torah, che obbliga i macellai a dissanguare le
carni degli animali di grossa taglia, habitat ideale
per lo sviluppo di micidiali microrganismi.
Alimenti Kascer, cibi adatti, buoni, conformi ai
precetti che accompagnano la vita nel percorso
verso la santità.
Ancora la moderazione e il digiuno, contrapposti allo stile odierno verso obesità e sindrome
metabolica. In un’altra chiave di lettura, non
necessariamente salutista, l’anoressia e la bulimia
sono l’esigenza “di un rapporto diretto con la spiritualità perché negando la necessità del corpo lo
vuole senza bisogni e quindi eterno”(8). Cibo e
sacralità, cibo e festa, cibo e gioco, cibo come
identità, cibo e tradizione, cibo e cultura, insomma, da qualunque sfaccettatura lo si guardi il
cibo nel “Villaggio globale”, giorno dopo giorno,
va perdendo quelle conclamate connotazioni che
per millenni hanno caratterizzato la nostra storia
(26,27).
In conclusione, le diverse appartenenze religiose trovano in campo alimentare importanti
punti in comune. Pur nella variegata esperienza
umana del sacro, la tavola si pone come momento
di incontro tra gli uomini e con Dio. La preghiera
sul cibo, la prassi del digiuno, la festa religiosa
ricordano che l’alimentazione costituisce una via
di accesso al sacro percorsa da quasi tutta l’umanità. Il cibo proprio per il suo significato simbolico del rapporto con il sacro, esso assume il senso
più autentico dell’esistenza dell’uomo. Una esistenza che il cibo-sacro mostra non essere legata
solamente alla dimensione materiale ma aperta ad
una dimensione spirituale e religiosa, nonché
come fatto culturale di indispensabile strumento
di comunicazione tra i popoli.
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Internazionale Food-Beverage-Equipment. Edizioni Osservatorio, Milano 2012.
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27. AA.VV. (http://www.lafrecciaverde.it/storia-e-tradizioni-cibo-e-sacralitanella-storia-e-nelle-tradizioni-popolari/html).
81
PROGETTO vIRGILIO - STUDIO SPERIMENTALE
PER LA vALUTAZIONE DELL’UTILITà DI LOCALIZZATORI
E METODIChE INERENTI, IN ASSOCIAZIONE
CON TECNIChE ASSISTENZIALI
Vismara V.1, Bulleri M.2, Sestini F.3, Scarselli G.4, Aldera C.5, D’Ercoli F.5, Bena E.D.5, Larini G.5
1
2
3
4
5
Geriatra, Consulente Fondazione RSA “Vincenzo Chiarugi” Onlus, Empoli
Direttrice Centro Residenziale, Fondazione RSA “Vincenzo Chiarugi” Arciconfraternita della Misericordia, Empoli
Direttore della Misericordia, Fondazione RSA “Vincenzo Chiarugi” Arciconfraternita della Misericordia, Empoli
Infermiere, RGSQ RSA “V. Chiarugi”Arciconfraternità della Misericordia, Empoli
Telecom Italia,TILab, Global Consulting, Services Platforms & Technology Evolution
Riassunto: Lo studio aveva l’obiettivo di valutare l’utilizzo di soluzioni di localizzazione e geofencing per la riduzione del rischio di fuga e smarrimento di persone anziane fragili con deficit psico-cognitivi. Il sistema utilizzato
ha permesso di monitorare con continuità le persone dotate di un opportuno dispositivo atto alla localizzazione
geografica, in modo da avvisare un famigliare o un operatore nei casi in cui si verificavano condizioni anomale.
La principale condizione anomala si riferisce all’uscita della persona monitorata da una “zona sicura” o “Safe
area”, definita in precedenza da parte del famigliare o di un operatore. La “safe area” è una porzione di spazio
entro la quale il paziente si muove con “sicurezza”; quando il paziente esce dalla safe area, il sistema genera un
allarme. Inoltre l’applicazione permette al famigliare o all’operatore di richiedere la localizzazione del paziente in
un qualsiasi momento lo ritenga necessario. La persona da monitorare è dotata di un dispositivo (in questo caso di
un cellulare) atto a localizzare il paziente ed a comunicare con l’applicazione e la piattaforma in rete. Le funzionalità di monitoraggio e impostazione dei parametri sono fruibili da parte del famigliare o dall’operatore direttamente dal cellulare o accedendo ad un portale web su internet previa autenticazione ed accesso sicuro ai dati.
Lo studio è iniziato a metà dicembre 2011 e si è concluso al 31/12/2012 ed ha coinvolto un campione di 10 persone in parte seguite nella RSA e in parte presso il loro domicilio. In base ai criteri di inclusione stabiliti nel progetto che tenevano conto anche della tollerabilità dell’uso del cellulare, le persone che hanno partecipato alla sperimentazione erano:
- persone affette da vari gradi di disorientamento temporo-spaziale complicato da rischio di vagabondaggio e fuga;
- pazienti relativamente compensati ma necessitanti di controllo, durante ad esempio le uscite dalla RSA;
- pazienti non dementi ma psicologicamente e psichicamente fragili che comunque godono di autonomia di spostamento nell’ambito territoriale prospiciente la RSA.
La sperimentazione ci ha consentito di confermare l’iniziale intuizione dell’importanza dell’utilizzo di questi sistemi nelle persone fragili con deficit psicocognitivo, a rischio di fuga e smarrimento, sia in ambito RSA che domiciliare. Inoltre la definizione della modalità d’uso e selezione dei pazienti ha consentito un utilizzo migliore del sistema di localizzazione in quanto ha comportato una presa in carico ed una identificazione della patologia onde
poter selezionare le persone che veramente possono utilizzare al meglio il servizio. L’utilizzo della metodica rende
ragione della diminuzione dello stress sia dell’utente che del caregiver e dunque del miglioramento della qualità
della vita per il nucleo assistenziale/familiare. Lo sviluppo della tecnologia e della miniaturizzazione, con netto
miglioramento della tollerabilità da parte dell’utente, potranno influire positivamente sull’incremento dell’utilizzo del servizio di localizzazione e geofencing.
Parole chiave: Progetto Virgilio, tecniche assistenziali, anziani fragili, deficit psico cognitivi
Experimental study for the evaluation of the usefulness of locators and methods inherent, in association with
technical assistence
Summary: The study aimed to evaluate the use of geofencing and location-based solutions to reduce the risk of flight and loss
of frail older people with mental and cognitive deficits. The system used has allowed us to monitor continuously the people
equipped with a suitable device adapted to the geographical location, in order to alert a relative or an operator in cases in which
abnormal conditions occurred. The main abnormal condition refers to the going out of the person monitored by a "safe area",
previously defined by the relative or by the operator. The "safe area" is a portion of space within which the patient moves with
"security", and when the patient leaves the safe area, the system generates an alarm. Furthermore, the application allows the
relative or the operator to request the location of the patient at any time should we see fit. The person to be monitored is equipped with a device (in this case from a mobile phone) able to locate the patient and to communicate with the application and the
platform in the network. Monitoring and setting parameters functionalities are accessible to the family or the operator directly from the phone or by accessing a web portal on the Internet prior authentication and secure access to data. The study began
in mid-December 2011 and ended at 31/12/2012 and involved a sample of 10 people in part followed in the RSA and partly in
their own homes. Based on the criteria for inclusion in the project that took into account also the tolerability of using mobile
phone, the people who participated in the trial were:
- People suffering from various degrees of temporo spatial disorientation complicated
Indirizzo per la corrispondenza:
by the risk of wandering and escape;
Dott. Vincenzo Vismara
- Relatively compensated patients but in need of control during outgo from the RSA;
Cell. 3357760899
- Non-demented patients but psychologically and mentally fragile, however, enjoy
E-mail: [email protected] autonomy of movement within the area in front of the RSA.
82
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
The trial has allowed us to confirm the initial intuition of the importance of using these systems in people with fragile psychological cognitive deficit, a flight risk and loss, both in the RSA and at home. Furthermore, the definition of the mode of use and
patient selection has allowed a better use of the localization system as it involved taking charge and an identification of the
disease in order to be able to select people who really can best utilize the service.
The use of this method allowed the decrease in stress both the user and the caregiver and thus improving the quality of life
for the core care / family.
The development of technology and miniaturization, with improvement in tolerability by the user, will have a positive impact
on increasing use of the service location and geofencing.
Key words: Virgilio Project, technical assistence, frail older people, cognitive deficits
PREMESSE
La demenza, in particolare quella di Alzheimer
rappresenta nel nostro Paese una realtà di circa
600.000 persone e coinvolge 600.000 famiglie; i
nuovi casi sono circa 80.000 all’anno. L’80% di
questi malati sono assistiti in famiglia con un carico assistenziale che grava sul coniuge o sul figlio;
negli ultimi anni si è verificato un massiccio utilizzo di personale non qualificato per l’assistenza
(badanti). Nel mondo ci sono circa 18 milioni di
malati, che secondo le previsioni saranno 34
milioni nel 2025. Nello specifico un ultra sessantacinquenne su 20 è malato, mentre sopra gli 80
anni si passa ad 1 su cinque. Da un recente rapporto commissionato a quattro gruppi specializzati da parte dell’OMS e dell’Alzheimer Di-sease
International (ADI) emergono alcuni dati meritevoli di riflessione anche nella nostra realtà.
Emerge prepotentemente il dato che la demenza
in generale è un problema che riguarda tutto il
mondo, e non solo quello industrializzato. Nel
2010 si stimerebbero 36 milioni di dementi, con un
incremento annuo di 7,7 milioni, pari quasi ad 1
nuovo caso al mondo ogni 4 secondi. Nelle persone sopra i 65 anni i casi sono 1 su 8, mentre in
quelle sopra gli 85 anni sono 2 su 5. In Italia la
stima è di un milione di persone con demenza. Su
un recente editoriale di Toscana Medica (n 10 del
2011)“Confrontarsi con la Sindrome demenza”,
gli esperti A. Bavazzano e L. Tonelli evidenziavano come per il Milione e seicentomila pazienti
dementi i costi sostenuti dall’economia italiana
nel 2010 siano nell’ordine di 36.700.000.000,00
trentaseimiliardi e settecento milioni di euro pari
all’1,58 del PIL. Preoccupanti le proiezioni che
vedono 1180.000,00 casi nel 2030 con costi pari a
57.500.000.000.
I disturbi del comportamento rappresentano la
fase critica dell’assistenza ai malati e sono caratteristici del quadro patologico. Tra le forme di
disturbo del comportamento, che più mettono in
crisi l’assistenza familiare, abbiamo deciso di
focalizzare la nostra attenzione nel monitoraggio
del vagabondaggio quale attività propedeutica
alla fuga ed allo smarrimento. Non esistono dati
certi sulle percentuali di pazienti affetti da queste
problematiche, ma le stime più prudenti parlano
di 20-30%. Questo rende necessario un costante
controllo del paziente con il timore che esca di
casa e si perda rendendo prigioniero anche chi
assiste. Abbiamo poi allargato il monitoraggio a
soggetti non dementi ma psicologicamente e psichicamente fragili.
MATERIALI E METODO
Descrizione dell’applicazione
L’applicazione di Geofencing permette di
monitorare con continuità le persone dotate di un
opportuno dispositivo atto alla localizzazione
geografica, in modo da avvisare un famigliare o
un operatore nei casi in cui si siano verificate condizioni anomale.
La principale condizione anomala si riferisce
all’uscita della persona monitorata da una “zona
sicura” o “safe area”, definita in precedenza da
parte del famigliare/operatore. La “safe area” è
una porzione di spazio entro la quale il Paziente si
muove con “sicurezza”; quando il paziente esce
dalla safe area, il sistema genera quindi un allarme.
La persona da monitorare è dotata di un dispositivo (cellulare o altro dispositivo) atto a localizzare il paziente ed a comunicare con l’applicazione e la piattaforma in rete. Il dispositivo del
paziente svolge la propria attività in modo “silenzioso”, senza interferire con la normale attività
del paziente stesso.
Il famigliare utilizza l’applicazione tramite un
pc o un cellulare, per ricevere gli allarmi, richiedere di localizzare il paziente o modificare i parametri dell’applicazione.
Per alcuni pazienti, l’operatore può aiutare o
sostituirsi al ruolo del famigliare. In tal senso
gestisce e tiene sotto controllo più pazienti in
modo contemporaneo tramite una consolle di
facile utilizzo.
Le funzionalità dell’applicazione sono fruibili
direttamente dal cellulare o accedendo ad un portale web su internet previa autenticazione ed
accesso sicuro ai dati.
Le funzionalità più importanti del servizio
sono le seguenti:
• il controllo automatico della posizione del
Paziente; nel caso in cui il Paziente esca dalla
safe area, il sistema invia un messaggio di
allarme;
• la richiesta, da parte del aamigliare di un
paziente o dell’operatore, della localizzazione
del paziente in qualsiasi momento e la visualizzazione della posizione sulla mappa;
• l’attivazione/disattivazione del servizio di
geofencing tramite il portale web e cellulari
utilizzabile dai famigliari/operatori sui
Famigliari e/o pazienti da loro monitorati;
• la definizione e la modifica della safe area di
forma circolare per ogni paziente richiede l’inserimento tramite portale web, delle coordina-
Vismara V., Bulleri M., Sestini F., et al. - Progetto Virgilio ... 83
te del centro e della lunghezza del raggio. Il
centro può essere definito a partire dalle coordinate dell’ultima posizione localizzata o in
base ad un indirizzo; il raggio viene definito
inserendo la lunghezza in metri.
La disabilitazione, tramite portale web, della
safe area, consente al famigliare/operatore la
disattivazione degli allarmi per permettere uscite
controllate dei pazienti monitorati.
Una consolle di controllo sul portale web che
permette di monitorare se ci sono condizioni di
allarme per i pazienti monitorati.
L’applicativo del Geofencing si basa sulla localizzazione del paziente con modalità best effort,
utilizzando la migliore localizzazione disponibile
tra quella satellitare GPS (es. con accuratezza < 50
m) e quella basata su rete cellulare (es. con accuratezza > 50 m). In generale in ambiente outdoor la
localizzazione è di tipo GPS mentre in ambiente
indoor la localizzazione si basa su rete cellulare.
ORGANIZZAZIONE SOCIO-SANITARIA
Questa parte consiste di diversi aspetti:
• Criteri di reclutamento degli utenti da ammettere allo studio
• Diagnosi di demenza complicata da disturbi
comportamentali
• Soggetti non dementi ma psicologicamente e
psichicamente fragili
• Capacità alla deambulazione autonoma
• Presenza di caregivers affidabili
• Disponibilità a sottoscrivere la liberatoria da
parte del paziente o di un tutore
• Criteri di ammissione allo studio
• Valutazione cognitiva tramite (Mini-Mental
State Examination)
• Valutazione della consapevolezza di malattia
(Clinical Insight Rating Scale, CIR)
• Valutazione del vagabondaggio (Neuropsychiatric Inventory N.P.I)
• Valutazione gravità demenza (Clinical
Dementia Rating Scale CDR)
• Capacità motoria autonoma (Tinetti ME
Performance-oriented assesment of mobility
• Valutazione del caregivers (Caregiver Burden
Inventory CBI)
• Formazione del personale all’uso degli strumenti di localizzazione
• Formazione del familiare all’uso della strumentazione in ambito domiciliare
Quanto sopra ha consentito di selezionare
all’interno della RSA un gruppo di 10 persone con
le seguenti caratteristiche:
• affette da vari gradi di disorientamento temporo-spaziale complicato da rischio di vagabondaggio e fuga;
• pazienti relativamente compensati ma necessitanti di controllo durante ad esempio le uscite
dalla RSA;
• pazienti non dementi ma psicologicamente e
psichicamente fragili che comunque godono di
autonomia di spostamento nell’ambito territoriale prospiciente la RSA.
Per ovvi motivi di riservatezza i localizzatori
avevano una registrazione con lo pseudonimo del
paziente; per questo abbiamo utilizzato la favola
di Pinocchio di Collodi. Gli pseudonimi che apparivano sull’apparato erano dunque Mangiafuoco,
Melampo, Tonno, Gatto, Geppetto, Volpe, Balena,
Fatina, Lucignolo e Pinocchio. ll nome vero, associato allo pseudonimo, era a conoscenza solo dell’operatore in servizio all’RSA.
Dei 10 localizzatori sette sono stati consegnati a
ospiti con problematiche psico-sociali in grado di
spostarsi autonomamente e abitualmente al di
fuori della struttura. Queste persone hanno utilizzato autonomamente il cellulare portandolo a ricaricare ogni 2/3 giorni ad un operatore referente.
Queste persone sono uscite spesso dalla struttura, alcune tutti i giorni per varie volte. È stato
spiegato scopo e modalità del localizzatore ed è
stato gradito da quasi tutti. Solo un ospite, con
grave oligofrenia e sintomi psichici, ha, dopo un
iniziale approvazione, riferito dubbi e perplessità
(paura di essere spiato…). Non a caso il cellulare
per ora non si trova…
Nella stragrande maggioranza dei casi ciò ha
aumentato il senso di sicurezza negli utilizzatori i
quali vengono regolarmente a ricaricare il cellulare.
Gli altri 3 cellulari sono stati consegnati ad
ospiti con gravi deficit cognitivo-comportamentali residenti nel nucleo Alzheimer in occasioni di
uscite (gite, passeggiate, ecc.) con la supervisione
del personale. Lo scopo è stato, oltre che di sperimentare la localizzazione con esito sempre positivo, anche di valutare la tollerabilità dello strumento con esiti solo parzialmente positivi.
È stato possibile inoltre sperimentare la metodica in sede domiciliare, applicando al soggetto in
esame lo stesso protocollo di ammissione allo studio, ed affidando il monitoraggio a familiari dopo
adeguata formazione ed informazione. Gli stessi
potevano, in caso di necessità, contattare il personale della RSA.
DATI RIASSUNTIVI:
• Cellulari utilizzati: 10
• Cellulari smarriti: 2
• Frequenza utilizzo: 2/3 volte la settimana in
media
• Utilizzatori costanti: 5
• Localizzazione: precisa 100%
Da un punto di vista organizzativo l’impegno
consiste nel fornire ai residenti-utilizzatori un
punto di riferimento per spiegazioni ed indicazioni nella fase iniziale e un supporto per ricaricare il
cellulare.
DISCUSSIONE
La sperimentazione è iniziata a metà dicembre
2011 e si è conclusa al 31/12/2012 coinvolgendo
persone sia in RSA che al domicilio.
Abbiamo scelto soggetti con problematiche
psichiche-sociali per la sperimentazione, il telefonino è ben gestito dagli ospiti che mantengono
una minima consapevolezza dei comportamenti
(lo conservano con cura, lo portano per la ricarica,
si sentono più tranquilli quando escono) mentre è
tollerato meno da soggetti con problemi psichici
84
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
che determinano alterazioni del comportamento
(allucinazioni, deliri, ecc.) e ridotta consapevolezza. Anche per quel che riguarda i pazienti con
demenza le caratteristiche rimangono le stesse: il
cellulare se è percepito e compreso viene tollerato,
altrimenti è difficile da gestire per lunghi periodi.
Dimenticarsi il cellulare non è cosa rara per chiunque, per un paziente con deficit di memoria lo è
maggiormente. Quindi l’uso del cellulare per
brevi periodi (uscita, gita, ecc.) in paziente con
Alzheimer va bene, più difficile, per la tollerabilità, la gestione per lunghi periodi (ad esempio
per una persona che viene assistita al domicilio).
Riassumendo possiamo distinguere:
1 - dati positivi:
• la rintracciabilità dell’apparecchio e la facilità
d’uso sono ottime, sia dalla RSA che in ambito
familiare. Anche il cambio della safe area non
ha comportato problemi, lo stress del personale e della famiglia è apparso più contenuto.
2 - criticità:
• fondamentale appare la necessità di identificare correttamente il soggetto cui dedicare la
metodica.
• necessità di formazione del caregiver all’utilizzo della metodica
• tollerabilità del mezzo; si intende l’accettazione
del telefonino da parte del soggetto, la sua
custodia e la ridotta possibilità che venga smarrito. Ciò diventa sempre più difficile col peggiorare della consapevolezza e della situazione
cognitiva, per cui si auspica una ulteriore miniaturizzazione del sistema onde poterlo mimetizzare in oggetti d’uso comune (orologi, collane).
CONCLUSIONI
La sperimentazione ci ha consentito di confermare l’iniziale intuizione dell’importanza dell’utilizzo della metodica nelle persone fragili con deficit psico-cognitivo, a rischio di fuga e smarrimento, sia in ambito RSA che domiciliare.
Questa metodica consente un utilizzo migliore
rispetto agli altri localizzatori in commercio perché comporta una presa in carico ed una identificazione della patologia onde poter selezionare le
persone che veramente possono utilizzare al
meglio la metodica.
L’utilizzo della metodica rende ragione della
diminuzione dello stress sia dell’utente che del
caregiver e dunque del miglioramento della qualità della vita per il nucleo assistenziale/familiare.
Lo sviluppo della tecnologia e della miniaturizzazione, con netto miglioramento della tollerabilità da parte dell’utente, potranno influire positivamente sull’incremento dell’utilizzo della
metodica.
L’augurio è che sia possibile commercializzare
questo pacchetto assistenziale a prezzi adeguati
onde poter garantire uno strumento di controllo ed
assistenza per le persone più fragili e bisognose.
BIBLIOGRAFIA
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e la risposta dei servizi nell’Azienda Sanitaria 11 di Empoli. Atti del convegno
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Giornale di Gerontologia e geriatria 2004; S5.
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85
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO GLICEMICO
NEL PAZIENTE ANZIANO OSPEDALIZZATO
Renna P.1, Caroleo P.2
1 Infermiera, S.O.C Geriatria, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
2 Dirigente Medico, S.O.C Geriatria, Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro
Riassunto: Il controllo glicemico in ospedale viene spesso considerato di secondaria importanza, mentre è stato
dimostrato che vi è un aumento della mortalità per valori elevati di glicemia, così come per l’ipoglicemia. Obiettivi
glicemici in ospedale sono di circa 180 mg/dl nei pazienti critici, e inferiori a 140 mg/dl in quelli non critici. Una
raccomandazione, che apparentemente può sembrare banale, è quella di controllare la glicemia al momento del
ricovero e ricontrollarla il giorno dopo, ma il dosaggio dell’ HbA1c è importante per distinguere un diabetico già
noto (valori > 6,5) da un’iperglicemia da stress (valori < 6,5). Qualunque sia la causa, l’iperglicemia va trattata con
insulina, che è il farmaco di prima scelta. È facile intuire l’importanza del monitoraggio glicemico per poter controllare e trattare gli squilibri glicemici.
Parole chiave: diabete mellito, anziano, monitoraggio.
The importance of blood glucose monitoring in elderly patients hospitalized
Summary: Glycemic control in hospitals is often considered of secondary importance, as it has been demonstrated that there
is an increase in mortality for high levels of blood glucose, as well as for hypoglycemia. Glycemic targets in hospital are about
180 mg/dl in critically ill patients, and less than 140 mg/dl non-critical ones. A recommendation, which apparently may seem
trivial, is that to check blood glucose at admission and to control the same the next day, but the determination of HbA1c is
important to distinguish a diabetic already known (values > 6.5) from stress hyperglycemia (values < 6.5). Whatever the
cause, hyperglycemia should be treated with insulin, that is the drug of first choice. It is easy to understand the importance
of glycemic control to monitor and treat blood glucose imbalances.
Key words: diabetes mellitus, elderly, monitoring.
INTRODUZIONE
Il Diabete Mellito (D.M.) è un insieme di condizioni morbose caratterizzato da iperglicemia, conseguenti a una carenza assoluta (Diabete tipo 1) o
relativa (Diabete tipo 2) di insulina, ormone prodotto dalle beta cellule del pancreas endocrino
(isole di Langerhans). L’insulina è il principale
ormone che regola il metabolismo dei carboidrati
ed è l’unico ad avere effetto ipoglicemizzante. Gli
altri ormoni implicati nel controllo del metabolismo dei carboidrati hanno tutti effetto iperglicemizzante (H. contro regolatori). Ci occuperemo
prevalentemente del Diabete tipo 2 che è molto
frequente nell’anziano. Il D.M. di per sé è una
patologia asintomatica, ma è temibile per le sue
complicanze che possono essere acute (ipoglicemia-chetoacidosi-coma iperosmolare-iperglicemia
estrema) e croniche (oculari-renali-neurologichemacrovascolari) (1). Nel paziente anziano diabeti-
Indirizzo per la corrispondenza:
Dott.ssa Patrizia Caroleo
Azienda Ospedaliera “Pugliese-Ciaccio”
Viale Pio X, Catanzaro
Tel/fax 0961/883379
E-mail: [email protected]
co ospedalizzato occorre una valutazione globale
che tenga conto dell’età, comorbilità, autosufficienza, condizioni psichiche, stato affettivo e spettanze di vita. Circa il 50% degli anziani presenta
più di 3 patologie (comorbilità): ipertensione, cardiopatie, D.M. circa il 25%, depressione, altro
(artrosi, osteoporosi, BPCO). Particolare rilevanza
va alla presenza di disabilità soprattutto dopo i 75
anni. Il D. M. è una patologia molto presente nell’anziano soprattutto dopo i 75 anni, raggiungendo una prevalenza in entrambi i sessi del 19%,
responsabile di un aumento della mortalità, di
malattie cardiovascolari, insufficienza renale,
amputazione arti inferiori (2).
OBIETTIVI
Trattandosi di pazienti con possibili deficit sensoriali visivi e/o uditivi, deficit cognitivo, problemi di mobilità, fino alla disabilità, presenza di
comorbilità spesso sono istituzionalizzati, l’obiettivo è quello di prevenire o ridurre le complicanze, prevenire le sindromi geriatriche con l’obiettivo di riduzione della disabilità fisica e/o cognitiva, per garantire una migliore qualità della vita (35). Nella nostra pratica clinica quotidiana l’utilità
del monitoraggio glicemico consente di arginare 2
fenomeni, che sono fondamentalmente ipoglice-
86
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
mia e iperglicemia, che secondo numerosi studi
sono responsabili di un aumento di mortalità nei
pazienti anziani ospedalizzati. Pertanto è importante conoscere e saper riconoscere per poter agire
tempestivamente. Il nostro scopo (tramite il monitoraggio glicemico) è quello di arginare appunto
l’eccessiva iperglicemia considerando che nel diabetico anziano ospedalizzato molti fattori possono
causare scompenso glicemico quali: lo stress legato all’ospedalizzazione, immobilità, febbre, farmaci (diuretici, corticosteroidi); e arginare il fenomeno opposto quale l’ipoglicemia, complicanza temibile, spesso iatrogena che richiede un particolare
addestramento specifico sia del paziente che dei
“caregivers”, necessitando di controlli glicemici
regolari e di prudenza nella prescrizione dei farmaci ipoglicemizzanti (6).
METODI
L’introduzione nella pratica clinica del monitoraggio glicemico risale agli anni 50 (strisce reattive per glicosuria). Nel 1964 vennero introdotte le
strisce reattive per la glicemia capillare.
Attualmente si usano dei glucometri che rivelano
la glicemia con metodo reflettometrico e elettrochimico; si tratta di strumenti con tecnologia accurata e affidabile, facili da usare, semplici nel prelievo del campione di sangue, che risulta indolore, rapidi nel mostrare i risultati glicemici, di piccole dimensioni, con un ampio display, capaci di
archiviare dati (7). Il monitoraggio glicemico svolge un ruolo diagnostico, terapeutico, educativo.
Il ruolo diagnostico ci aiuta a ottimizzare il
trattamento in corso e a mantenere la glicemia nei
valori ottimali (glicemia a digiuno 120-140 mg%,
glicemia 2 ore dopo i pasti 140-180 mg%).
Nell’anziano ricordiamo che il target si sposta su
valori leggermente più alti, che noi riteniamo
accettabili e più sicuri (glicemia a digiuno ≤180
mg%; glicemia 2 ore dopo i pasti < 200 mg%).
Il ruolo terapeutico ci aiuta a valutare l’efficacia
della terapia, e a modificarla se necessario.
Il ruolo educativo è utile per l’autogestione
della malattia dopo la dimissione. Quindi l’utilità
del monitoraggio glicemico consiste nel misurarecorreggere-verificare gli effetti della correzione
(vedi Tab. 1).
Nella nostra pratica clinica adottiamo un sistema di monitoraggio di 4 controlli al giorno nei
pazienti con terapia insulinica intensiva, mentre
nei pazienti con trattamento combinato il numero
di controlli è legato al numero di iniezioni di insulina. Nel caso di squilibrio glicemico il numero di
controlli non può essere stabilito a priori, ma in
base alla necessità. Ricordiamo inoltre che negli
anziani diabetici ospedalizzati manteniamo una
dieta di circa 1600 Kcal. ed è importante che l’apporto delle calorie sia costante per ridurre il
rischio di fluttuazioni glicemiche e per evitare
continue modifiche terapeutiche. Nel paziente con
terapia insulinica in infusione esistono degli schemi di monitoraggio più complessi (6) (Tab. 2).
Abbiamo proposto delle schede per il singolo
paziente da utilizzare nei diabetici ospedalizzati
(Tabb. 3,4,5).
CONCLUSIONI
Il messaggio da lasciare è la possibilità di prevenire le complicanze acute, in particolare ipo e
iperglicemia, mediante uno strumento semplice
ed efficace quale il monitoraggio glicemico, metodo che sicuramente comporta un certo impegno
del Team infermieristico operante in una struttura
geriatrica di per sé complessa e impegnativa.
Concludiamo con un aforisma “Non si può non
misurare ciò che si vuole migliorare”.
Tab. 1 - Schema di Metodologia di Monitoraggio
Tempistica esecuzione test
Potenziale utilizzo
a) Glicemia a digiuno
Aggiustare il dosaggio dei farmaci
(Insulina basale).
b) Prima dei pasti
• modificare i pasti o i farmaci.
c) 1-2 ore dopo i pasti
• verificare l’adeguatezza della dose insulinica somministrata;
d) Alle ore 22 circa
• eventuale modifica del dosaggio dell’insulina pronta le sere
successive;
questa determinazione glicemica non ha lo scopo
di aggiustare la posologia dell’insulina basale ma:
•nel corso di riscontro di “bassi valori glicemici” (<70 mg%) trattare come ipoglicemia, ricontrollare e se risalgono a
valori normali praticare regolarmente l’insulina basale
•per valori “relativamente bassi” occorre uno spuntino (esempio fette biscottate), allo scopo di riportare la glicemia a
valori più alti e praticare, quindi, regolarmente l’insulina basale.
Renna P., Caroleo P. - L’importanza del monitoraggio ... 87
Tab. 2 - Paziente critico che non si alimenta per os terapia insulinica in infusione venosa continua (6)
1a via e.v. pompasiringa contenente
I.R.
50 U.I./50 ml S.F.
Monitoraggio
infermieristico
Controllare glicemia
dopo 3 h
Niente S.G.
2a e.v. sacca 500 ml
S.G. 5% con Kcl
0,3% in pompa
Se la glicemia è
> 500
Se la glicemia è
compresa
Tra 400 e 500
Impostare velocità
di infusione
ins. 4 ml/h
Controllare
glicemia dopo 3 h
Niente S.G.
Se la glicemia è
compresa
Tra 300 e 400
Impostare velocità
di infusione
ins. 3 ml/h
Controllare
glicemia dopo 2 h
Niente S.G.
Se la glicemia è
compresa
Tra 250 e 300
Impostare velocità
di infusione
ins. 2 ml/h
Controllare
glicemia dopo 2 h
Somministrare
anche gluc.
a 30 ml/h
Se la glicemia è
compresa
Tra 150 e 250
Impostare velocità
di infusione
ins. 1 ml/h
Controllare
glicemia dopo 2 h
Somministrare
anche gluc.
a 30 ml/h
Se la glicemia è
compresa
Tra 110 e 150
Impostare velocità
di infusione
ins. 0,5 ml/h
Controllare
glicemia dopo 1 h
Somministrare
anche gluc. a 60
ml/h
Se la glicemia è
< 110
STOP INSULINA
Controllare
glicemia dopo 1 h
Somministrare
anche gluc. a 60
ml/h
Tab. 3 - Diabete mellito: schema orientativo di esecuzione glucostick in pazienti in trattamento con ipoglicemizzanti orali
Al mattino a
digiuno
(h 7,30)
2 h esatte
dopo pranzo
(h 15)
Prima
di cena
(h 18,30)
*
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*si aggiunge il controllo serale se il paziente pratica anche insulina basale.
88
Geriatria 2013 Vol. XXV n. 2 Marzo/Aprile
Tab. 4 - Diabete mellito: schema orientativo di esecuzione glucostick in pazienti in trattamento insulinico
Al mattino a
digiuno
(h 7,30)
2 h esatte
dopo pranzo
(h 15)
Prima
di cena
(h 18,30)
Tarda
serata
(h 22,30)
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Tab. 5 - Scheda su cui riportare i valori glicemici riscontrati mediante glucostick nei pazienti diabetici ospedalizzati
ID PAZIENTE:
DOSE
DATA
PRELIEVO
FIRMA
ORA
RAPP. CON PASTO
GLICEMIA
INSULINA
OPERATORE
SOMMINISTRATA
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Quaderni di diabetologia nella pratica clinica. Editore Edimes 2008.
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Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile 89
GERIATRIA NEL MONDO
a cura di:
Zanatta A., Galanti A., Fiore v.
EMERGENCY HOSPITALIZATIONS FOR
AD-VERSE DRUG EVENTS IN
OLDER AMERI-CANS
Daniel S. Budnitz, M.D., M.P.H., Maribeth C.
Lovegrove, M.P.H., Nadine Shehab, Pharm.D.,
M.P.H., and Chesley L. Richards, M.D., M.P.H.
N Engl J Med 2011; 365:2002-2012
Gli Autori hanno analizzato i dati provenienti da
58 Ospedali partecipanti al progetto di sorveglianza per gli eventi avversi a farmaci (ADE) nell’arco temporale 2007-2009. Su un totale di 265802
visite eseguite presso i Dipartimenti d’Emergenza
dei suddetti Ospedali per ADE è risultato che il
37,5% (pazienti di età maggiore o uguale a 65
anni) era stato poi ricoverato. Le classi farmacologiche implicate nella maggioranza dei casi (67%)
erano warfarin, ipoglicemizzanti orali, antiaggreganti piastrinici orali, insuline; il warfarin da solo
era responsabile nel 33% dei casi. I 2/3 circa dei
ricoveri suddetti era correlato a sovradosaggio
non intenzionale e nel 48% dei casi si trattava di
pazienti con età maggiore o uguale a 80 anni.
COMMENTO
Il “take home message” di questo studio per noi
clinici è abbastanza chiaro: maggiore attenzione
da rivolgere verso i nostri pazienti in cura con le
classi farmacologiche di cui sopra, dedicare più
tempo nello spiegare anche ai familiari e/o al
“caregiver” l’importanza della corretta assunzione di farmaci che sono “salvavita”, ma che possono avere effetti collaterali talora pericolosi al
punto da richiedere un ricovero ospedaliero ed
evitare, quando possibile, i politrattamenti perché
ormai non è raro vedere prescrizioni terapeutiche
con più di 10 molecole/die.
Blood pressure trends and mortality: the Leiden
85-plus Study
Poortvliet Rosalinde K.E., De Ruijter Wouter, De
Craen Anton J.M., Mooijaart Simon P., Westendorp
Rudi G.J., Assendelft Willem J.J., Gussekloo Jacobijn,
Blom Jeanet W.
Journal of Hypertension 2013; 31: 63-70
Gli Autori hanno condotto uno studio osservazionale-prospettico di popolazione nella città olandese di Leida su un campione di 271 soggetti (74
uomini e 197 donne) di età compresa tra 85 e 90
anni nei quali è stato valutato il trend della pressione arteriosa sistolica (Pas). L’endpoint primario
(valutato per oltre 5 anni) era la mortalità generale. Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che un
trend decrescente di Pas tra gli 85 e i 90 anni si
associava ad una mortalità maggiore rispetto ad
un trend costante di Pas all’età di 90 anni: questo
dato era di maggiore entità nei soggetti “istituzionalizzati” rispetto a quelli che vivevano in com-
pleta autonomia. È risultato inoltre che i soggetti
di 90 anni con Pas < 150mmhg avevano un rischio
di decesso di 1,62 volte superiore a quelli con Pas
> 150mmhg, indipendentemente dal trend di Pas
negli anni precedenti. Questo risultato era valido
sia nei soggetti che assumevano una terapia antipertensiva che in quelli non trattati ed egualmente nei partecipanti con o senza storia di malattia
cardiovascolare.
COMMENTO
Questo articolo conferma quanto già osservato da
Odden Mc (Arch Intern Med 2012; 172: 1162):
bisogna fare molta attenzione riguardo l’aggressività terapeutica rispetto ai valori di pressione
arteriosa, in particolare sistolici, nel “grande vecchio” fragile e affetto da polipatologia. Le Linee
Guida esistono e sono utili indubbiamente per
permettere a noi tutti la “good practice”, ma
devono essere usate con sapiente giudizio clinico
ricordandoci sempre che ogni paziente è unico e
pertanto deve essere valutato nella sua complessità ed univocità
Fonte:
Eur Heart J 2013; DOI:10.1093/eurheartj/eht.151
L’ESH (Società Europea dell'Ipertensione
Arteriosa) e l'ESC (Società Europea di
Cardiologia) hanno pubblicato le nuove linee
guida per il trattamento dell'ipertensione arteriosa, con la raccomandazione che tutti i pazienti con
una pressione arteriosa sistolica maggiore di 140
mmHg siano trattati; vanno comunque fatte alcune eccezioni rappresentate dai pazienti diabetici
di pazienti e anziani. Per coloro che sono sofferenti di diabete mellito, infatti, il comitato ESH / ESC
raccomanda di iniziare il trattamento per una PA
diastolica maggiore o uguale a 85mmHg. Nei
pazienti di età inferiore agli 80 anni, il target di
pressione sistolica dovrebbe essere inferiore a 140150mmHg, considerandolo inferiore a 140mmHg
in pazienti sani. Lo stesso target può essere considerato per ultra ottantenni, anche se, in questi
soggetti, i medici dovrebbero anche considerare le
capacità mentale del paziente, oltre che quelle fisiche. Le linee guida esprimono in modo esplicito
che i medici scelgano la strategia di trattamento
sulla base del livello complessivo del rischio cardiovascolare del paziente. È chiaro che le linee
guida non sono prescrittive, né ordini, ma suggerimenti per medici.
COMMENTO
Anche le linee guida iniziano a segnalare alcune
problematiche in merito al trattamento dell’ipertensione arteriosa nel “Grande Vecchio” e soprattutto viene considerato che le linee guida sono
solo suggerimenti e va effettuata una accurata
valutazione per ogni singolo paziente.
90 Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
CALENDARIO CONGRESSI
Società Italiana di Cardiologia dello Sport
XVI CONGRESSO NAZIONALE
Obiettivo: riduzione del rischio cardiovascolare
durante sport
PADOVA 12-14 Settembre 2013
Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
S.I.G.O.T.
XXVI SEMINARIO NAZIONALE Luci ed ombre
in diagnosi e terapia nel crepuscolodeglianni
MATERA 10/12 Ottobre 2013
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Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio
S.I.G.O.T.
CONVEGNO INTERREGIONALE MARCHE,
LAZIO, ABRUZZO E MOLISE
L’Eccellenza Sanitaria nel Passato e nel Futuro...
Come Cambierà L’Assistenza...
FERMO 27-28 Settembre 2013
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CONVEGNO NAZIONALE
L’integrazione terapeutica con i farmaci target in
oncologia
ROMA 4-5 Ottobre 2013
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W.A.P.S. - PAN.D.O.R.A.
I CONVEGNO NAZIONALE
Lifestyle and aging: come invecchiare bene attraverso una buona condotta di vita
VIAREGGIO 11/13 Ottobre 2013
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Convegno
Attualità in Cardiologia
APRILIA 19 Ottobre 2013
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III CONGRESSO NAZIONALE
Elettrocardiografia Clinica Deduttiva
CONEGLIANO 25-26 Ottobre 2013
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114° CONGRESSO NAZIONALE
Società Italiana di Medicina Interna
ROMA 26-28 Ottobre 2013
Per informazioni:
Aristea• Via Roma, 10 - 16121 Genova
Tel. 010553591 Fax 0105535970
E.mail: [email protected]
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile 91
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La rivista GERIATRIA prende in esame per la pubblicazione articoli contenenti argomenti di geriatria. I
contributi possono essere redatti come editoriali, articoli originali, review, casi clinici, lettere al direttore.
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Editors (Ann Intern Med 1997; 126: 36-47).
Non saranno presi in considerazione gli articoli che
non si uniformano agli standards internazionali.
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inglese, parole chiave in inglese, testo, figure, tabelle,
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sia già stato pubblicato e che, se accettato, non verrà
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corredata da permesso dell’Editore.
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che coinvolgano esseri umani siano condotte in conformità ad essi.
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raccomandati dalla WHO e richiede che tutte le ricerche su animali siano condotte in conformità ad essi.
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Autori trasferiscono la proprietà dei diritti di autore alla
rivista geriatria, nella eventualità che il loro lavoro
sia pubblicato sulla stessa rivista.
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inviato per la pubblicazione ad altra rivista, e non è
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hanno progettato e condotto e di aver partecipato alla
stesura e alla revisione del manoscritto presentato, di
cui approvano i contenuti.
Dichiarano inoltre che la ricerca riportata nel loro lavoro è stata eseguita nel rispetto della Dichiarazione di
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venga sottoposto all’esame del Comitato di Lettura. In
caso di richiesta di modifiche, la nuova versione corretta deve essere inviata alla redazione o per posta o per
via e-mail sottolineando ed evidenziando le parti modificate. La correzione delle bozze di stampa dovrà essere limitata alla semplice revisione tipografica; eventuali modificazioni del testo saranno addebitate agli
Autori. Le bozze corrette dovranno essere rispedite
entro 10 giorni a geriatria - C.E.S.I. - Casa Editrice
Scientifica Internazionale, Via Cremona, 19 - 00161
Roma. In caso di ritardo, la Redazione della rivista
potrà correggere d’ufficio le bozze in base all’originale pervenuto.
I moduli per la richiesta di estratti vengono inviati insieme alle bozze.
Gli articoli scientifici
possono essere redatti nelle seguenti forme:
Editoriale. Su invito del Direttore, deve riguardare un
argomento di grande rilevanza in cui l’Autore esprime
la sua opinione personale. Sono ammesse 10 pagine di
testo dattiloscritto e 50 citazioni bibliografiche.
Articolo originale. Deve portare un contributo originale all’argomento trattato. Sono ammesse 14 pagine
di testo dattiloscritto e 80 citazioni bibliografiche.
L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, materiali e metodi, risultati, discussione, conclusioni.
Nell’introduzione sintetizzare chiaramente lo scopo
dello studio. Nella sezione materiali e metodi descrivere in sequenza logica come è stato impostato e portato
avanti lo studio, come sono stati analizzati i dati (quale
ipotesi è stata testata, tipo di indagine condotta, come è
stata fatta la randomizzazione, come sono stati reclutati e scelti i soggetti, fornire dettagli accurati sulle caratteristiche essenziali del trattamento, sui materiali utilizzati, sui dosaggi di farmaci, sulle apparecchiature non
comuni, sul metodo stilistico...). Nella sezione dei risultati dare le risposte alle domande poste nell’introduzione. I risultati devono essere presentati in modo
completo, chiaro, conciso eventualmente correlati di
figure, grafici e tabelle.
Nella sezione discussione riassumere i risultati principali, analizzare criticamente i metodi utilizzati, confrontare i risultati ottenuti con gli altri dati della letteratura, discutere le implicazioni dei risultati.
Review. Deve trattare un argomento di attualità ed
Geriatria 2013 Vol. XXV; n. 2 Marzo/Aprile
interesse, presentare lo stato delle conoscenze sull’argomento, analizzare le differenti opinioni sul problema
trattato, essere aggiornato con gli ultimi dati della letteratura. Sono ammesse 25 pagine di testo dattiloscritto e 100 citazioni bibliografiche.
Caso Clinico. Descrizioni di casi clinici di particolare
interesse. Sono ammesse 8 pagine di testo e 30 citazioni bibliografiche. L’articolo deve essere suddiviso nelle sezioni: introduzione, caso clinico, discussione, conclusioni.
preparazione dei lavori
I lavori inviati devono essere dattiloscritti con spazio
due, su una sola facciata (circa 28 righe per pagina) e
con margini laterali di circa 3 cm. Gli Autori devono
inviare 3 copie complete del lavoro (un originale e due
fotocopie) e conservare una copia dal momento che i
dattiloscritti non verranno restituiti. Le pagine vanno
numerate progressivamente: la pagina 1 deve contenere il titolo del lavoro; nome e cognome degli Autori;
l’istituzione ove il lavoro è stato eseguito; nome, indirizzo completo di C.A.P. e telefono dell’Autore al
quale dovrà essere inviata ogni corrispondenza.
Nella pagina 2 e seguenti devono comparire un riassunto e le parole chiave in inglese; il riassunto deve
essere al massimo di 150 parole.
Nelle pagine successive il testo del manoscritto dovrà
essere così suddiviso:
Introduzione, breve ma esauriente nel giustificare lo
scopo del lavoro.
materiali e metodi di studio: qualora questi ultimi
risultino nuovi o poco noti vanno descritti dettagliatamente.
Risultati.
Discussione.
Conclusioni.
Bibliografia: le voci bibliografiche vanno elencate e
numerate nell’ordine in cui compaiono nel testo e compilate nel seguente modo: cognome e iniziali dei nomi
degli Autori in maiuscolo, titolo completo del lavoro in
lingua originale, nome abbreviato della Rivista come
riportato nell’Index Medicus, anno, numero del volume, pagina iniziale e finale. Dei libri citati si deve indi-
92
care cognome e iniziali del nome dell’Autore (o degli
Autori), titolo per esteso, nome e città dell’editore,
anno, volume, pagina iniziale e finale.
Tabelle: vanno dattiloscritte su fogli separati e devono
essere contraddistinte da un numero arabo (con riferimento dello stesso nel testo), un titolo breve ed una
chiara e concisa didascalia.
Didascalie delle illustrazioni: devono essere preparate su fogli separati e numerate con numeri arabi corrispondenti alle figure cui si riferiscono; devono contenere anche la spiegazione di eventuali simboli, frecce,
numeri o lettere che identificano parti delle illustrazioni stesse.
Illustrazioni: tutte le illustrazioni devono recar scritto
sul retro, il numero arabo con cui vengono menzionate
nel testo, il cognome del primo Autore ed una freccia
indicante la parte alta della figura.
I disegni ed i grafici devono essere eseguiti in nero su
fondo bianco o stampati su carta lucida ed avere una
base minima di 11 cm per un’altezza massima di 16
cm.
Le fotografie devono essere nitide e ben contrastate.
Le illustrazioni non idonee alla pubblicazione saranno
rifatte a cura dell’Editore e le spese sostenute saranno
a carico dell’Autore.
I lavori accettati per la pubblicazione diventano di proprietà esclusiva della Casa editrice della Rivista e non
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I lavori vengono accettati alla condizione che non siano
stati precedentemente pubblicati.
Gli Autori dovranno indicare sull’apposita scheda, che
sarà loro inviata insieme alle bozze da correggere, il
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