Progetto Partòt Parata - Associazione Culturale Oltre

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Progetto Partòt Parata - Associazione Culturale Oltre
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in Scienze antropologiche
PROGETTO PAR TÒT PARATA:
DINAMICHE DI UNA PERFORMANCE URBANA
Tesi di laurea in antropologia politica
Relatore
Presentata da
Prof. Gaetano Mangiameli
Martina Visentin
Sessione III
Anno accademico 2006 – 2007
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BOLOGNA.........................................................................1
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA..................................................................................1
Corso di laurea in Scienze antropologiche.......................................................................................1
PROGETTO PAR TÒT PARATA:............................................................................................1
DINAMICHE DI UNA PERFORMANCE URBANA..............................................................1
Introduzione......................................................................................................................................5
1. Teorie e pratiche di una performance.....................................................................................9
1.1 – La Parata Par Tòt e l’associazione culturale Oltre…..............................................................9
1.2 – Partecipazione e autoproduzione: cardini di Par Tòt Parata .................................................12
1.3 – Identità e performance...........................................................................................................15
1.4 – Performance e antropologia: il concetto di liminalità...........................................................20
1.5 - Ritualizzazione.......................................................................................................................24
2. Alla ricerca della città...........................................................................................................27
2.1 – L’idea di città che emerge e si esprime attraverso il progetto Par Tòt Parata.......................27
2.2 – Fest-festival...........................................................................................................................29
2.3 – Gran Festival Internazionale della Zuppa..............................................................................31
2.4 – Uno sguardo rivolto alla periferia .........................................................................................32
La rete di Corticella....................................................................................................................32
La collaborazione con il quartiere napoletano di Scampia.........................................................33
2.5 – La realtà urbana contemporanea............................................................................................34
2.6 – Bologna e Par Tòt Parata.......................................................................................................38
3. Una rete, molte possibilità ...................................................................................................47
3.1 – Spontaneità e organizzazione nell’attività dell’associazione Oltre…...................................47
3.2 – Laboratorio di regia e servizio di dis-ordine della parata: la caduta degli angeli..................53
3.3 – Il caso della performance finale collettiva.............................................................................55
3.4 – Tattiche e astuzie del quotidiano...........................................................................................57
3.5 – Par Tòt parata come network.................................................................................................62
Bibliografia ............................................................................................................................65
Appendice.................................................................................................................................69
Conferenza stampa per la presentazione di Par Tòt Parata e Fest-festival 2007............................71
Simposio Par Tòt.......................................................................................................................82
Introduzione
Questo lavoro nasce dall’interesse e dalla curiosità nei confronti di una festosa sfilata di
musicisti, danzatori, attori, acrobati e semplici cittadini che, ormai da qualche estate, percorre
le vie della città di Bologna nel mese di giugno. Par Tòt Parata è un evento che coinvolge un
elevato numero di partecipanti e non si esaurisce nel momento della sua esecuzione: si tratta
di un progetto ideato dall’Associazione interculturale Oltre… che non sarebbe però possibile
senza la collaborazione di tante altre realtà che operano nel campo socio-culturale e artistico.
Nel corso della ricerca ho potuto seguire e prendere parte a molte delle attività organizzate
durante tutto l’anno in preparazione alla parata: numerosi laboratori artistici e creativi (circa
quaranta nel 2007), aperti a tutti perché gratuiti e ospitati in diversi luoghi della città (palestre,
sale di quartiere, biblioteche, circoli culturali, sedi di associazioni, capannoni, parchi e piazze)
e alcune feste di autofinanziamento che contribuiscono alla realizzazione dei laboratori e della
manifestazione finale.
Dall’osservazione delle dinamiche di svolgimento dell’evento è emerso come Par Tòt Parata,
nata spontaneamente, quasi un po’ per gioco, sia riuscita a creare nel tempo legami di
socialità e di collaborazione tra diverse realtà associazionistiche e singoli cittadini. Ho cercato
di mettere in luce in che modo la costruzione di questi legami, tuttora in via di trasformazione
ed espansione sia a livello locale, sia a livello europeo, rappresenti un’importante opportunità
per rinsaldare il tessuto cittadino, ripensare e rimodellare la città e introdurre potenziali
elementi di cambiamento. Per fare questo ho allargato lo sguardo a tutta la serie di attività, di
incontri e di festival di cui l’associazione Oltre… si fa promotrice favorendo il dialogo tra le
realtà diverse e spesso distanti di una stessa città.
Nel primo capitolo cercherò di stabilire se e in quale modo la Parata Par Tòt possa essere
letta attraverso gli studi antropologici sulla performance e sul rituale e come possa essere
inserita all’interno di questo tipo di attività. Nello sviluppo di questa analisi, particolare
attenzione sarà rivolta alle teorie di antropologia della performance elaborate da Victor Turner
per soffermarsi sull’individuazione di una fase di passaggio all’interno del processo rituale
che apre porte verso nuove visioni, verso modi alternativi di vivere la realtà, verso diverse
forme d’interrelazione sociale denominate communitas o anti-struttura. Inoltre le ricerche
condotte da Catherine Bell in Ritual Theory, Ritual Practice ci saranno d’aiuto per andare
oltre una visione “classica” del rito, utilizzando il concetto di ritualizzazione come strumento
in grado di farci comprendere più a fondo le connessioni tra Par Tòt – sfera del simbolico –
sfera del potere.
Nel secondo capitolo proverò a indagare in che modo Par Tòt Parata s’inserisce nel contesto
urbano e come si confronta con la realtà politica locale bolognese, dialogando o scontrandosi;
cercherò di analizzare come un’iniziativa nata con il desiderio di abbattere le barriere, di
coinvolgere l’intero tessuto cittadino abbia ripensato a se stessa e tracciato in alcuni casi dei
confini per riuscire a sopravvivere. Studi recenti condotti nell’ambito dell’antropologia
urbana e della sociologia saranno utili per capire come la città rappresenti oggi una sorta di
arena al cui interno entrano in gioco diverse forze e diversi attori sociali, un’entità in continua
e imprevedibile evoluzione, un insieme di potenzialità che possono essere realizzate
attraverso l’incontro. Una città che rappresenta il punto d’intersezione tra locale e globale, in
cui si concentrano paure e speranze, in cui invenzioni e creatività aprono uno spazio per il
cambiamento. Prenderò poi in esame le teorie di Marc Augé sul concetto di non-luogo e sulla
città come terreno di realizzazione dell’utopia.
Nel terzo capitolo verrà analizzata l’organizzazione, la preparazione di Par Tòt Parata e il
lavoro dell’associazione che la promuove per comprendere le dinamiche entro cui s’inserisce
l’attività dei partecipanti e dell’associazione Oltre… e per capire quali margini d’azione e di
messa in gioco dell’imprevedibile abbia un evento come questo all’interno delle maglie di un
sistema che si basa su rapporti di forza; utilizzerò in questo contesto le nozioni di strategia e
tattica delineate da Michel De Certeau.
Sarà interessante osservare come il progetto Par Tòt Parata crei concretamente delle
occasioni ricche di potenzialità trasformative attraverso la costruzione di legami di fiducia;
come riesca a realizzare momenti di socialità e di incontro attraverso modalità alternative che
non seguono le logiche del mercato (ne sono esempi i laboratori gratuiti e le feste di
autofinanziamento); come coinvolga persone di diverso genere, età, provenienza e
competenze e costruisca reti territoriali impegnate durante il corso dell’anno in molteplici
attività (tra le tante la collaborazione con altre associazioni all’interno della Rete di Corticella
per la tutela del territorio locale attraverso attività culturali e di recupero dell’ambiente e il
progetto di scambio con il quartiere napoletano di Scampia all’interno dell’iniziativa
patrocinata dal comune di Napoli “Oplà: riprendiamoci lo spazio” e in previsione della parata
del prossimo anno).
Le attività legate al progetto Par Tòt Parata rappresentano un tentativo di dare voce e
visibilità a forme di socialità partecipative collettive che faticano ad esprimersi nel panorama
socio-culturale e urbano contemporaneo, ma che costituiscono un importante spiraglio di
creatività e di sperimentazione del possibile.
1. Teorie e pratiche di una performance
1.1 – La Parata Par Tòt e l’associazione culturale Oltre…
Già da qualche anno, a Bologna, nel mese di giugno, una grande sfilata composta da artisti e
semplici cittadini attraversa le vie della città portando con sé mille suoni e colori. C’è chi
suona percussioni, fiati, organetti, chi balla al ritmo di danza africana, tarantella o samba, chi
improvvisa scene teatrali, chi cammina sui trampoli, chi passeggia mascherato o dipinto, chi
manovra carri e marionette giganti costruite a mano, chi si esibisce in spettacoli di giocoleria
e chi resta incantato a osservare o, preso dall’entusiasmo, si unisce al variegato corteo.
È una grande festa proposta per la prima volta nel 2002 dall’associazione interculturale
Oltre…, un’associazione che dal 1997, anno della sua nascita, lavora nel campo dell’arte e
della cultura cercando di intrecciare queste discipline a tematiche di carattere sociale e
territoriale. Un gruppo di persone provenienti da diverse esperienze sociali, lavorative,
culturali e da vari paesi ha deciso di condividere il proprio impegno per dare insieme vita a
una serie di progetti: tra i più grandi e conosciuti possiamo ricordare il FEST-FESTival,
festival dell’intercultura della durata di cinque giorni che si tiene a fine giugno, poco dopo la
parata, e il Gran Festival Internazionale della Zuppa, gara di cucina popolare che si svolge
nelle strade di Corticella, nella prima periferia bolognese, il 25 aprile, in concomitanza con la
commemorazione dell’anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo; ma tante
altre sono le piccole iniziative tenute nel corso dell’intero anno che spesso vedono la
collaborazione di altre realtà associative non soltanto locali, ma anche internazionali. Progetti
che approfondiremo nel corso della ricerca, per ora cercheremo di analizzare più da vicino la
Parata Par Tòt .
L’idea di creare una grande sfilata interculturale e intergenerazionale aperta a tutti gli artisti e
a tutti gli abitanti della città – per questo si chiama parata par tòt, in dialetto bolognese parata
per tutti – è sorta in seguito a un soggiorno di studio a Bruxelles di uno dei membri
dell’associazione. Nel 2000 la capitale belga è stata nominata dal Parlamento europeo “Città
europea della cultura” insieme ad altre otto città, tra cui anche Bologna, e Francesco Volta,
come studente erasmus, ha seguito i progetti organizzati nell’ambito di questa occasione,
conducendo una propria ricerca su cui ha poi scritto la tesi di laurea. Zinneke Parade è stata
l’iniziativa che ha concluso il programma culturale di Bruxelles/Brussel 2000, Città europea
della cultura, e ne ha in un certo senso espresso lo spirito generale: una grande parata
multiculturale pensata per celebrare la popolazione meticcia di Bruxelles, una sfilata che,
partendo dal lavoro di molti artisti, intendeva estendersi a tutto il tessuto urbano per
coinvolgere l’intera città nelle attività interculturali. Un modo per offrire a tutte le componenti
della città l’opportunità di scendere nello spazio pubblico mostrando differenze e somiglianze,
per dare la possibilità di intervenire nelle dinamiche di costruzione di una identità individuale
e collettiva e la speranza di realizzare, in un’epoca in cui i cittadini sembrano sempre più
esclusi dai processi urbani, il progetto di una città accogliente per tutti. Un tentativo di
valorizzazione di un patrimonio di risorse sociali che si nasconde dietro al lavoro silenzioso,
costante, spesso misconosciuto, portato avanti da un gran numero di associazioni impegnate
sul territorio. A ciò si unisce la convinzione che l’arte possa costituire un valido strumento per
realizzare questi obiettivi, perché ogni cittadino, pur non essendo un musicista, un ballerino,
un attore professionista, sente la necessità di esprimere se stesso.
I racconti riguardanti la Zinneke Parade hanno incuriosito ed entusiasmato l’associazione
Oltre… che ha deciso di sperimentare un progetto simile anche a Bologna. Così, sotto la guida
dei principali organizzatori delle attività del gruppo, Lydia Buchner, Francis Rigal e lo stesso
Francesco Volta, è nata la Par Tòt Parata, divenuta ormai uno degli eventi più conosciuti e
visibili in città.
L’associazione ha riconosciuto nei moventi e nelle intenzioni che hanno portato alla creazione
della parata sorella belga – con la quale sono stati attivati e sono in atto collaborazioni e
scambi frequenti, testimoniati dalla presenza di un gruppo di artisti di Bruxelles che ha
partecipato all’ultima edizione proponendo un laboratorio – una vicinanza rispetto ai propositi
che essa stessa cerca di realizzare. Innanzitutto Zinneke Parade e iniziative dell’associazione
Oltre… sono accomunate dal presupposto che l’arte e la cultura rappresentino dei canali
fondamentali per intervenire nella realtà sociale urbana, introducendo elementi di potenziale
cambiamento, suggerendo visioni del mondo e modelli di comportamento alternativi rispetto a
quelli vigenti, considerati legittimi e normali. Intravedono nello spazio cittadino un possibile
luogo di incontro tra mondi diversi, di convivenza e rispetto delle reciproche differenze,
diversità che, se valorizzate, possono rappresentare una ricchezza, anziché una minaccia, per
la vita collettiva. Bologna, come Bruxelles, è una città che presenta mille facce e che
ultimamente è attraversata da contraddizioni, da divisioni, da crisi d’identità che si traducono
in un clima di tensione o addirittura di aperto conflitto. In questa prospettiva la parata intende
calarsi nel territorio per toccare con mano e vivere i problemi degli abitanti, sia dei residenti
stabili che provano disagio a stare nella “loro” città in trasformazione, sia dei tanti studenti,
immigrati, stranieri, lavoratori che spesso si percepiscono in una condizione di
emarginazione, di rifiuto.
Se i cittadini non si sentono più parte di un processo comune di costruzione di una collettività,
allora è necessario fornire loro gli strumenti perché tornino ad essere attivi e trovare nuovi
sbocchi che rendano loro possibile la partecipazione politica, sociale, culturale. Attraverso la
parata ogni abitante diventa inventore, attore, esprime la sua vena artistica, il suo spirito
creativo e insieme critico, e contemporaneamente ogni artista riscopre il valore di essere un
cittadino che, camminando e interagendo nello spazio pubblico, tra la gente, ne diventa parte
integrante.
Per
liberare
al
massimo
l’immaginazione
e
la
fantasia
umana
e
contemporaneamente dimostrare rispetto nei confronti dell’ambiente, sulla scia della Zinneke
Parade è stato scelto di eliminare qualsiasi mezzo a motore per cimentarsi nell’invenzione e
nella costruzione di carri e di strutture mobili a spinta o a pedali; allo stesso modo viene
accettata esclusivamente musica suonata dal vivo senza alcun tipo di amplificazione elettrica
ed è accolto qualsiasi tipo di strumento, anche inventato.
In entrambi i casi si tratta di eventi che non nascono e si esauriscono in una giornata, ma sono
il frutto di un impegno continuo nel corso di tutto l’anno, attestato dall’organizzazione di
laboratori artistici in preparazione alla parata sparsi per tutta la città, comprese zone
periferiche e problematiche.
Se c’è una comunanza nel messaggio che entrambe le parate intendono trasmettere e nella
concezione di un lavoro costante sul territorio, c’è invece moltissima differenza nelle
condizioni di realizzazione del progetto: la Zinneke Parade, nata da un’iniziativa indetta dal
Parlamento europeo, quindi evento istituzionale, continua a svolgersi ogni due anni con la
promozione e i generosi finanziamenti delle strutture politiche locali che credono fortemente
nelle sue capacità artistiche e sociali e di conseguenza pagano gli artisti e forniscono il
materiale necessario alla preparazione della manifestazione; al contrario la Par Tòt Parata è
nata come iniziativa spontanea e informale che nel tempo è cresciuta, ha visto la
collaborazione e l’apprezzamento di tante realtà associative locali e internazionali, ma poche
volte ha ricevuto attenzione da parte della politica istituzionale e non ha mai goduto di aiuti
economici (e questo a causa delle politiche culturali italiane, più attente al profitto che alla
qualità degli eventi culturali1). La speranza degli organizzatori di riuscire a ottenere un
riconoscimento politico dell’attività svolta finora ha avuto pochi segnali.
1
Per l’approfondimento di questo tema si rimanda agli atti della conferenza organizzata dall’associazione Oltre… nel
marzo 2007 dal titolo ““Ognuno è un artista. È possibile fare politica dal basso, ballando insieme e battendo i tamburi
per le strade delle nostre città? È possibile una politica bassa accanto a quella alta, una politica che non sia arte del
possibile e della mediazione, ma che sia arte, cioè espressione di sé e dei modi di stare con gli altri? È possibile un
teatro che sia recitato da tutti e non proposto da pochi?”
Sotto molti punti di vista tutto ciò rappresenta uno svantaggio rispetto alle condizioni di
svolgimento dell’analoga sfilata belga, d’altra parte però questa condizione sfavorevole riesce
ad essere piegata e trasformata dalla creatività e dalla ingegnosità delle iniziative legate a Par
Tòt Parata.
1.2 – Partecipazione e autoproduzione: cardini di Par Tòt Parata
La manifestazione è interamente autoprodotta e autofinanziata e in questa modalità di
esistenza si può riconoscere un suo punto di forza. Nei mesi che precedono la parata
l’associazione organizza alcune feste di autofinanziamento dal nome “Aspettando Par Tòt”
che hanno appunto lo scopo di sostenere l’evento nelle sue fasi preparatorie con un duplice
intento: raccogliere i fondi necessari per procurarsi il materiale che servirà ai laboratori, ma
soprattutto offrire un’occasione di condivisione di spazi, di messa in comune di energie e
risorse. Queste feste costituiscono momenti di incontro utili alla diffusione delle relazioni
sociali nel territorio e alla conoscenza reciproca tra mondi diversi accrescendo gli scambi e i
contatti tra singoli e associazioni. Si tratta di un coinvolgimento che dura tutto l’anno e di cui
la parata rappresenta l’espressione manifesta. L’associazione è il punto di partenza, il nucleo
centrale di una rete di collaborazioni in continua espansione e trasformazione e, proprio grazie
a questa trama di contatti, l’associazione, che solo da alcuni mesi possiede una propria sede,
ha finora potuto usufruire dei molti spazi che le sono stati messi a disposizione, sia per le
feste, sia per lo svolgimento dei laboratori (centri culturali e ricreativi, scuole musicali, sedi
del dopolavoro ferroviario, sale di quartiere, centri sociali ecc.).
Gli organizzatori sottolineano che “da sempre Par Tòt Parata non fa riferimento ad alcun
partito o movimento politico, rifiuta le etichette e cammina con le proprie gambe, vale a dire
con la sola forza delle persone, dei gruppi informali e delle associazioni che, con linguaggi e
codici diversi, si confrontano in un grande progetto di cittadinanza attiva. Nondimeno, la Par
Tòt, attraverso l’arte, la creatività e la partecipazione lancia dei messaggi, concorre al
confronto politico e alla riflessione sociale. Il segreto della sua formula risiede proprio nelle
modalità con cui viene costruita e nella libertà che il progetto ha faticosamente raggiunto anno
dopo anno”.2
La gente percepisce un’atmosfera aperta, accogliente, di fiducia ed è invogliata a prender
parte a un progetto nel quale sente valorizzare le proprie capacità personali senza essere
sottoposta a giudizio; ognuno può collaborare e qualsiasi genere di contributo – manuale,
2
Dalla cartella distribuita durante la Conferenza Stampa di presentazione, vedi in Appendice.
artistico, organizzativo – è sempre ben accetto, poiché lo scopo è che tutte le componenti del
tessuto urbano possano partecipare: studenti, giovani, anziani, bambini e famiglie, immigrati.
Nella parata, come in uno specchio, si riflette la realtà sociale bolognese che, portata in
piazza, si rivela in tutte le sue sfumature. Il desiderio è quello di far emergere le diversità per
rivendicarne l’esistenza e sperimentare concretamente la pacifica convivenza.
Spesso la società impone dei modelli di comportamento prestabiliti a cui gli individui devono
omologarsi per essere accettati e avere un ruolo riconosciuto: Par Tòt Parata si oppone a
questo tipo di conformismo e di riduzionismo, crede che mantenere ed esprimere le differenze
sia un fattore di arricchimento per la vita di ogni essere umano che a sua volta non è un
individuo monolitico, ma presenta diverse facce, crede che diversi stili di vita e di pensiero
possano coesistere uno a fianco dell’altro. In quest’ottica l’associazione porta avanti un lavoro
che si fonda su dinamiche alternative o per lo meno in controtendenza rispetto a quelle dei
processi sociali e culturali dominanti: l’autoproduzione e l’attenzione all’ecologia si
contrappongono al consumismo e allo spreco imperanti. Ecco perché gli abiti e i travestimenti
per la parata sono confezionati dagli stessi partecipanti; i carri, come i pupazzi e le marionette,
vengono costruiti a mano utilizzando materiali di recupero (avanzi di stoffe, vestiti usati,
vecchie biciclette, cartoni ecc.); vengono plasmate tazze di terracotta da tenere al collo per
dissetarsi durante la sfilata ed evitare lo spreco di plastica e l’abbandono di bottiglie e
bicchieri per le strade. Tutto ciò non è visto come un’imposizione, ma come un’ulteriore
possibilità di sfida al proprio ingegno, alla propria fantasia. La gente sembra apprezzare
queste caratteristiche del progetto, tanto che dai circa trecento partecipanti della prima
edizione si è arrivati ai circa duemila dell’ultima parata e i laboratori si sono moltiplicati
offrendo numerose proposte.
Nel 2007 sono stati organizzati circa quaranta laboratori: si spazia dalla danza al teatro, dalla
musica di ogni tipo e ‘tradizione’ alla scrittura creativa, dalla costruzione di carri alla
giocoleria e ai trampoli, dalla preparazione di marionette giganti all’invenzione di giochi e
storie insieme ai bambini, dalla creazione di costumi alla semina di piante in città; sono tutti
laboratori gratuiti e sono ospitati in diversi luoghi della città: palestre, sale di quartiere,
biblioteche, circoli arci, sedi di associazioni, capannoni, parchi e piazze.
La gratuità dei laboratori permette a chiunque di parteciparvi; le attività si svolgono in molte
zone della città fino a comprendere anche aree periferiche (nel 2007 per esempio è stato
attivato un laboratorio a Ozzano ed un altro a Borgo Panigale, entrambi molto frequentati) o
aree ritenute degradate che si tenta in questo modo di trasformare e di non lasciare
abbandonate a se stesse (il laboratorio per bambini tenuto nel pomeriggio ai Giardini del
Guasto in zona universitaria o quello di percussioni africane in zona Pilastro).
La sensazione condivisa dai partecipanti ai laboratori è quella di far parte di un gruppo, ma
non di un gruppo chiuso con regole e confini rigidi, bensì di una realtà pronta ad aprirsi, a
inglobare nuove persone, a prestare ascolto a nuove idee, sempre in espansione. Le attività
svolte non sono prestabilite, spesso i laboratori offrono uno spunto iniziale, una linea guida,
ma la realizzazione avviene poi attraverso un lavoro comune e mai del tutto prevedibile.
La partecipazione della gente è aumentata sempre più nel corso degli anni, molte persone
hanno conosciuto la Par Tòt Parata un po’ per caso e poi hanno continuato a dare il loro
contributo, appassionandosi e dedicandovi tempo ed energie. Colpiti dall’atmosfera di
spontaneità e di condivisione, alcuni hanno iniziato a collaborare più attivamente e sono
entrati a far parte dell’associazione. Per molti la sensazione è quella di far parte di un
progetto, di un modo di vedere le cose e di vivere la vita di tutti i giorni, più che di
un’associazione in senso stretto.
1.3 – Identità e performance
Il progetto Par Tòt Parata è una sorta di cantiere all’interno del quale concetti come quelli di
“identità”,
“appartenenza”,
“comunità”,
“cittadinanza”
trovano
uno
spazio
di
approfondimento, di rielaborazione; l’analisi di queste categorie non si ferma al solo livello
astratto, ma diventa concreta attraverso un’esperienza reale, tangibile. Non a caso il momento
conclusivo di questo annuale processo di confronto e sperimentazione di idee e realtà si
presenta sotto forma di una sfilata di artisti e cittadini, nella veste quindi di una performance
che ha lo scopo di rendere visibile, portare in superficie tutto il lavoro che la precede.
Come sostiene Victor Turner (1982), ogni tipo di performance culturale è spiegazione ed
esplicazione della vita stessa; l’etimologia del termine performance, che deriva dal francese
antico parfournir cioè completare, portare a termine, ci suggerisce appunto che essa
rappresenti il momento conclusivo di un’esperienza. Attraverso l’esperienza l’individuo
percepisce, scopre ed elabora dei significati, assegna un valore al proprio vissuto; la
performance è il mezzo con il quale egli, animale sociale, può esprimere, comunicare agli altri
la propria esperienza tramite il linguaggio o altre modalità espressive come l’arte, la musica, il
teatro, basate su codici simbolici che permettono la comunicazione tra gli individui della
società.
L’attività portata avanti dal progetto Par Tòt può essere interpretata come un processo che
esperisce sul campo concetti culturali, spesso dati per scontati, li mette alla prova per
ripensarli e offrirne una visione diversa alla società. Ne risulta una panoramica plurivoca e
multidimensionale che ben riflette la natura della società contemporanea, una visione che
ammette la coesistenza di diverse prospettive ed è sempre pronta a rimettersi in discussione.
Abbiamo prima paragonato la Par Tòt Parata a uno specchio della città e, proprio in quanto
tale, questa manifestazione non solo offre l’immagine della realtà, ma ha la capacità di
intervenire su di essa e suggerire modifiche; come lo specchio a volte deforma, così la parata
può introdurre elementi nuovi. Se lo specchio è un qualcosa di misterioso, che porta al di là
dello spazio tangibile, la performance a sua volta è caratterizzata da dinamiche non
prevedibili in partenza; il suo significato emerge infatti dall’azione congiunta degli individui,
degli attori e degli spettatori coinvolti e dipende dal contesto, dalle circostanze. Ciò significa
che il genere performativo non riflette semplicemente il sistema sociale e la configurazione
culturale su cui sorge, ma instaura con essi un rapporto di reciproca determinazione, circolare
e soprattutto riflessivo.
A questo punto, mi sembra utile, nell’ottica di questa ricerca, approfondire le teorie che sono
state elaborate in epoca piuttosto recente intorno al concetto di performance. Si tratta di una
nozione centrale nell’ambito degli studi condotti sul teatro, ma che suscita interesse e trova
applicazione in tante altre discipline: dall’antropologia alla sociologia, dalla psicologia alla
linguistica. È un concetto complesso che indica manifestazioni culturali, sociali, artistiche
accomunate dalla forte relazione che intrattengono con la sfera della simbologia e della
comunicazione. Entro la categoria di performance possono essere ricondotti fenomeni come il
rito, il dramma, il carnevale, lo spettacolo, il cinema, la televisione, ma anche azioni
quotidiane. Il termine performance abbraccia un vasto campo semantico che spesso risulta
ambiguo e di difficile esplorazione; molto è stato detto e scritto sulla performance, attività
umana difficile da inquadrare entro schemi ben precisi.
Risulta certamente più utile cercare di osservare come essa agisce concretamente piuttosto che
voler capire cosa essa significhi da un punto di vista concettuale. È allora interessante
osservare come il materiale sociale, culturale, politico, psicologico, linguistico venga
elaborato, valorizzato, creato, modificato e come questo materiale viva e operi all’interno
della società attraverso le azioni performative. Le dinamiche attraverso cui la performance si
attua sono dinamiche fluide, fluttuanti che mettono in discussione concetti che parevano
ormai acquisiti; esse riattivano circuiti dialettici tra soggetto e oggetto, tra interno ed esterno,
tra immaginazione e realtà, tra pensiero e azione, tra particolare e totale, tra locale e globale e
in questo modo escono dalle coordinate e dai riferimenti imposti per generare situazioni
nuove e riformulare codici e categorie.
Del resto, come ci ricorda Clifford Geertz, concetti come quelli di “identità” e “cultura” sono
costruzioni umane, relazionali e in costante flusso, dai confini porosi e in continua
negoziazione. La performance è quindi un’azione che si confronta non soltanto con il fare, ma
con il ri-fare, esplicita la tensione esistente tra una forma o un contenuto (prodotti da
determinate condizioni temporali e spaziali) e gli inevitabili aggiustamenti di una realtà in
mutamento. E questo discorso acquista ancora più consistenza se applicato alla società
contemporanea caratterizzata da un’ibridazione, una contaminazione e una pluralizzazione in
tutti i campi. Forse proprio per questo motivo il concetto di performance riveste oggi un posto
centrale in tante discipline, perché, come dice Renato Rosaldo, “le terre di confine culturale
da una posizione marginale si sono spostate a una posizione centrale”3.
La società di oggi si presenta complessa e differenziata, l’individuo non è più in grado di
coglierla nella sua totalità, si rende conto della relatività delle forme di conoscenza
3
Renato Rosaldo, Culture and Truth: The Remaking of Social Analysis, Boston, Beacon Press, 1989, p. 45, citato in
Marvin Carlson, Performance. A Critical Introduction, London, Routledge, 1996.
consolidate e osserva quasi impaurito la varietà del mondo; universi sconosciuti, altri da sé gli
si presentano come spettri che non sa come gestire. Il contesto sociale contemporaneo sembra
quindi dominato dall’incertezza, dalla multidimensionalità e la performance, che con la sua
natura ambivalente ha sempre navigato in queste acque, si presenta come uno fra i mezzi più
adatti per esplorare e provare a dare un senso alla diversità che vediamo di fronte noi. La
performance offre la possibilità di sperimentare spazi identitari al di fuori di quelli legittimati
dalle rappresentazioni
convenzionali,
presentandoli
come possibilità alternative
o
compresenti; costituisce un ponte tra visioni, storie, tempi e spazi differenti.
Nelle dinamiche, nelle intenzioni, nelle circostanze attraverso cui si costruisce e si svolge Par
Tòt Parata riconosciamo elementi caratteristici di ogni performance. Ci troviamo di fronte ad
un evento analizzabile in base a diverse chiavi di lettura – sociale, culturale, artistica, politica
– dal momento che tocca e attraversa diversi terreni, intrecciandoli, consapevole del fatto che,
all’intervento su un singolo livello, corrispondono possibili modifiche su un altro piano; a
questa trasversalità di campi d’azione aggiunge una molteplicità di mezzi espressivi: musica,
danza, poesia, recitazione, mimica, pittura; opera a un livello simbolico di riflessione su
concetti connettendo questo piano a una fondamentale esperienza concreta di conoscenza e di
rielaborazione, che avviene attraverso le relazioni sociali e la centralità del corpo inteso come
fattore polisensoriale; è una manifestazione che vede la partecipazione di tante facce della
città offrendo in questo modo occasioni di confronto e dialogo tra mondi diversi attualmente
scollati; agisce in base a dinamiche estranee alle logiche del mercato perché si autofinanzia e
mette a disposizione laboratori gratuiti, propone modelli di comportamento alternativi a quelli
dominanti che vedono l’individuo come semplice consumatore passivo dei prodotti che la
società sceglie per lui; in questo contesto il cittadino diventa attore, l’artista diventa cittadino
e il pubblico diventa partecipe perché le barriere tra soggetto e oggetto, tra interno ed esterno
vengono abbattute.4
In questa trasversalità, multidimensionalità, polivocalità di Par Tòt Parata si possono
scorgere tracce di quel “nomadismo creativo” di cui parla Giovanni Fontana (2006). Egli
inserisce la performance in una dimensione fluttuante, energetica, in costante vibrazione e
movimento; la intende come un dispositivo capace di creare continui collegamenti tra gli
elementi eterogenei di una molteplicità che non è possibile ridurre e semplificare. Il lavoro del
performer consiste
“nel suo continuo ri-cercare, nel suo guardare e nel suo essere guardato, nel suo dire e nel suo
ascoltare, nella sua voglia di perdersi negli spazi piccoli e grandi della natura e della cultura, nel
4
Vedi in Appendice il volantino di presentazione della parata e dei laboratori 2007.
procedere di sorpresa in sorpresa nel suo unico grande racconto e, soprattutto, nel suo
nomadismo creativo che apre ogni volta una nuova porta sul mondo, avendo la chiara coscienza
che il mondo è fatto di infiniti possibili dettagli e che in ogni dettaglio è possibile aprire una
nuova porta su un nuovo mondo”(G. Fontana, 2006, p. 2).
Il nomadismo dell’artista si estende da un livello metaforico a un livello reale: da una parte è
un viaggio attraverso differenti linguaggi espressivi, attraverso simboli e concetti, dall’altra
parte è uno spostamento concreto nel mondo alla scoperta di altre realtà culturali,
un’esplorazione alla ricerca di nuovi tessuti di relazione.
Questa essenza nomade, che consiste nell’andare oltre i propri confini, emerge già dal nome
stesso dell’associazione organizzatrice di Par Tòt Parata ed è rintracciabile nelle dinamiche
di realizzazione del progetto. Si tratta di dinamiche basate sulla partecipazione, sull’incontro e
sullo scambio e proprio per facilitare queste esigenze l’associazione ha fin dall’inizio
considerato fondamentale conoscere e contattare altre realtà che lavorano nel sociale, cosa che
è avvenuta in molti casi spontaneamente. Nel corso del tempo sono nate tante collaborazioni
che hanno assunto forma e funzione di rete, un tessuto fatto di trame intrecciate non solo a
livello simbolico, ma anche di attività concrete. Par Tòt Parata non potrebbe esistere senza la
fitta rete di collaborazioni che si è attivata in tutto il territorio bolognese, fatta di persone,
gruppi, circoli, centri sociali, scuole, compagnie artistiche, musicali e teatrali, che offrono un
importante supporto per la realizzazione dell’evento. Laboratori e parata sono nomadi tanto a
livello locale, poiché si muovono da uno spazio a un altro, da una realtà all’altra, dal centro
alla periferia, da un linguaggio espressivo ad un altro, quanto a livello internazionale, dal
momento che tanti gruppi di partecipanti provengono da altre città (Torino, Padova, Firenze,
Napoli per esempio) e da altri paesi (Belgio e Francia). Inoltre l’associazione è entrata a far
parte di diversi networks europei ed internazionali riconosciuti.5
Possiamo applicare il termine performance all’evento conclusivo e molto visibile che
costituisce la sfilata vera e propria, la grande festa che attraversa le vie della città, ma
possiamo intravedere, più in generale, dinamiche performative in tutte le attività che
accompagnano la parata durante l’intero corso dell’anno.
Come avevano teorizzato i componenti del movimento artistico Fluxus, nato nel 1961,
rifacendosi al concetto di opera totale come intermedium, intercodice, interlinguaggio,
l’opera è un evento totale che ingloba in sé tutte le discipline possibili e che avvolge il tempo
5
L’associazione Oltre… collabora continuativamente con organizzazioni straniere quali la Zinneke Parade di Bruxelles,
la Beat Iniziative di Belfast, L’associazione Attacafa di Lille, l’Ateneu Popular 9 Barris Barcellona, il Centre Associatif
Boris Viane l’Associatio Zurbamateurs di Lyon, l’Europäische Jugendbildungsstätte Weimar. Inoltre fa parte di varie
reti europee e internazionali come Banlieues d’Europe/l’Art dans la lutte contre l’exlusion, Parades d’EUR, Réseau
internazionale de soupes/Network internazionale zuppe, Kids Guernica/laboratori internazionali di pittura.
e le dinamiche del quotidiano; l’arte si pone come flusso coincidente con quello della vita.
Anche a proposito di Par Tòt Parata possiamo parlare di una performance che non si
esaurisce nel momento dell’esecuzione, come può accadere per il carnevale istituzionalizzato
che ribalta completamente le regole per una giornata, ma poi prevede che tutto ritorni come
prima perché è un meccanismo di libertà e creatività apparente, messo in atto dal sistema
dominante per poter tenere sotto controllo questo momento di sfogo. Il caso preso in esame in
questa ricerca si presenta sotto una diversa luce: sicuramente non è un’iniziativa dettata per
così dire dall’alto, al contrario parte da un desiderio spontaneo di incontro e di confronto tra
persone consapevoli di essere contemporaneamente simili e diverse. Si tratta di una festa che
si costruisce per allargare lo sguardo verso altri possibili modi di vivere e di esprimersi, una
festa che vuole mostrare come ballare la tarantella, suonare la musica africana, farlo da
immigrati o da studenti, significhi affermare la propria modalità di essere e allo stesso tempo
rendersi conto che si è circondati da altre e diverse forme di esistenza. Ci si trova di fronte a
uno spettacolo di culture ed espressioni artistiche molteplici che si mescolano senza prevalere
una sull’altra, nella convinzione che questa vicinanza possa diventare fonte di arricchimento
reciproco.
Tutto ciò è chiaramente qualcosa che si può creare soltanto nel tempo, giorno dopo giorno,
attraverso un lavoro intenso e costante nel territorio, un lavoro che si trasforma in un modo di
vivere, di sentire e di vedere il mondo; una modalità di azione che sembra operare all’interno
del progetto Par Tòt attraverso le attività e le parole della gente che partecipa, favorita dalla
rete di scambi e di collaborazioni che si viene così a creare ed è in continua costruzione. Una
serie di pratiche che si svolge all’ombra dei modelli di comportamento predominanti, che non
ottiene riconoscimento e appoggi e sopravvive in luoghi liminali.
1.4 – Performance e antropologia: il concetto di liminalità
La coesistenza di forme di espressione artistica, culturale, la mescolanza di soggetti sociali
che abbiamo potuto osservare nell’ambito del progetto Par Tòt Parata ci fanno pensare a un
incrocio di livelli normalmente separati da confini, a una rimessa in discussione di una serie di
categorie date per acquisite. La performance introduce l’individuo e la collettività in un
processo di riflessione e di comunicazione intersoggettiva situato a un doppio livello,
simbolico ed esperenziale, in una dimensione caratterizzata da “incertezza creativa” 6; una
dimensione che da un lato spaventa perché cancella le sicurezze su cui si basano pensiero e
azione, dall’altra apre una porta verso infinite potenzialità di trasformazioni creative.
Nell’ambito di una ricerca antropologica sorge a questo punto spontaneo un collegamento con
le teorie elaborate da Turner sull’antropologia della performance e in particolare sul concetto
di liminalità. Turner si forma nell’ambito della Scuola britannica di Manchester, all’interno
della quale domina il paradigma struttural-funzionalista; egli però ne prende in parte le
distanze, sostenendo che la complessità della vita collettiva è comprensibile soltanto
attraverso un’analisi attenta ai processi, alle trasformazioni, ai conflitti interni alla società che
ci dimostrano come essa non sia una struttura rigida e statica. Centrale nei suoi studi è il
concetto di processualità con il quale intende sottolineare la dimensione storica di ogni
fenomeno sociale, soggetto per natura ai mutamenti del tempo. Turner si concentra sullo
studio dello svolgersi dei fatti sociali e culturali visti nella loro dinamicità. Esamina
frammenti di vita caratterizzati da trasformazioni, crisi, rotture con il passato che definisce
“drammi sociali”: imbocca in questo modo una strada che incrocia gli studi teatrali e il
concetto di performance. Secondo Turner:
“l’antropologia della performance è una parte essenziale dell’antropologia dell’esperienza. In un
certo senso, ogni tipo di performance culturale, compresi il rito, la cerimonia, il carnevale, il
teatro e la poesia, è spiegazione ed esplicazione della vita stessa. Mediante il processo stesso
della performance ciò che in condizioni normali è sigillato ermeticamente, inaccessibile
all’osservazione e al ragionamento quotidiani, sepolto nelle profondità della vita socioculturale,
è tratto alla luce”. (V. Turner, 1982, p. 36)
Per elaborare una teoria che vede il “dramma” del vivere come fonte di tutte le pratiche
performative, Turner considera utile riprendere la nozione di “rito di passaggio” di Van
Gennep (1909), secondo cui i riti scandiscono l’esistenza di ogni individuo determinandone il
6
Definizione di Laura Gemini (2003).
passaggio da una condizione ad un’altra. Tipica del rito è la struttura tripartita: una fase
iniziale di separazione sancisce il distacco dalla condizione precedente; una fase liminale
pone in una situazione di sospensione, marginale; infine una fase di aggregazione assegna una
nuova condizione. Turner si sofferma in particolar modo sul concetto di liminalità che emerge
dall’analisi della seconda tappa e vi intravede ricche potenzialità derivanti dalla messa in
gioco e dalla ridiscussione di tutte le classificazioni che fino a quel momento hanno regolato i
rapporti interni alla società:
“[…]quando persone, gruppi, insiemi di idee ecc., si spostano da un livello o da una modalità di
organizzazione o regolamentazione dell’interdipendenza delle loro parti o elementi ad un altro
livello, si crea necessariamente una zona interfacciale o, per usare un’altra metafora, un
intervallo, per quanto breve, di margine o limen, in cui il passato è temporaneamente negato,
sospeso o abolito, e il futuro non è ancora iniziato, un istante di pura potenzialità in cui ogni
cosa è come sospesa ad un filo.” (V. Turner, 1982, p. 87)
Forme di liminalità possono essere rintracciate non soltanto nei riti di passaggio, ma anche in
dinamiche sociali caratterizzate da ambiguità e indeterminatezza, all’interno delle quali agisce
una forma di organizzazione sociale non strutturata, la cosiddetta communitas, concetto che
approfondiremo più avanti.
Per ora è interessante soffermarsi sulla concezione di liminalità come energia in movimento,
come zona marginale che apre spiragli, mette in contatto diverse situazioni sociali e culturali,
operando a livello simbolico. L’utilizzo di simboli dà la possibilità di mettere in gioco i valori
su cui si fondano la vita sociale e le concezioni del mondo. Ogni simbolo può essere letto
sulla base di tre diverse componenti di significato: il significato esegetico o interpretativo,
ricavato dalle parole degli informatori indigeni; il significato operazionale, dato dall’uso che
del simbolo viene fatto in un determinato contesto; infine il significato posizionale, derivante
dalla relazione che il simbolo intrattiene con altri simboli presenti nello stesso contesto.
Anche il simbolo è visto dunque in un’ottica processuale, assume significati e valori a
seconda del contesto e del punto di vista interpretativo, condensa perciò una pluralità di
significati e non risponde a un processo di riconoscimento lineare.
I processi analizzabili nell’ambito del progetto Par Tòt Parata si svolgono attraverso
dinamiche che intrattengono uno stretto legame con i simboli in quanto si tratta di un progetto
che lavora attraverso l’arte e la cultura, discipline che agiscono a un livello astratto e nel
momento stesso in cui elaborano i significati li comunicano con mezzi espressivi che ne
favoriscono la condivisione collettiva.
La centralità di una dimensione simbolica strettamente connessa all’esperienza, emerge anche
dalle parole con cui vengono presentati i laboratori organizzati nei mesi precedenti:
“Tutti i laboratori sono come sempre rigorosamente gratuiti. Tutte le persone che si occupano
dei laboratori e tutti i luoghi messi a disposizione danno come sempre un contributo gratuito.
Quest’anno si è suggerito ad ogni disciplina di bighellonare con la realtà, spostare le vibrazioni
della città, gustare dell’irrazionale, assaporare l’assurdo e sollecitare il cittadino e lo spettatore
per comporre con lui l’ultima nota. I laboratori sono stati creati per rendere gli abitanti
protagonisti dell’evento. Partecipando le persone sono quindi attori, invece che consumatori, ed
è a loro che appartiene la qualità di questa parata, il suo viso, la sua tonalità, la sua vastità. Dal
vostro impegno, dalla vostra appropriazione, dalla vostra fantasia e dalla vostra energia prende
forma e si realizza la parata. Finalmente, è la vostra parata. Passate parola: si tratta di tessere,
senza etichette e senza bandiere, un’immagine della città che ci piace: accogliente, generosa e
creativa.” 7
L’individuo si riappropria di una capacità di riflessione critica, applicandola al proprio vissuto
quotidiano, creando un immaginario di società, di cultura, di città che è frutto del dialogo e
del confronto, consapevole che non esiste un unico modo di vedere il mondo.
La parata è una festa e proprio per questo è lo spazio del gioco, dell’invenzione: si tratta di un
gioco che è costantemente in relazione con la realtà, serio sotto un certo punto di vista. Giochi
di parole o ironiche metafore nascondono a volte significati più profondi come per esempio
accade nel caso del laboratorio di “guerrilla floreale – giardinaggio selvaggio”, un laboratorio
che ha lo scopo di “forestizzare” la città: paradossalmente al giorno d’oggi cercare di rendere
la città più verde e colorata con piante e fiori è un’attività talmente inusuale da sembrare
sovversiva.
Il tempo e lo spazio della festa sono caratterizzati dalla coesistenza di più regole, diverse fra
loro ma ugualmente legittime e adottabili. Sono occasioni nelle quali avviene una sospensione
degli schemi normativi vigenti e, di conseguenza, da un lato, aprono porte verso innumerevoli
possibilità, dall’altro, producono timore perché annullano le certezze su cui si fonda un
sistema.
Sospendendo anche solo per un istante gli schemi concettuali vigenti, la situazione di
liminalità non soltanto dà avvio a una fase di rielaborazione simbolica, ma intrattiene uno
stretto rapporto con la sfera del potere. Turner parla a questo proposito di antistruttura
intendendo con questo termine una forma sociale che prevede la sospensione di quelle
strutture gerarchiche che assegnano ruoli e status agli individui e li ingabbiano in posizioni
7
È il testo contenuto nel depliant informativo attraverso cui viene presentata la parata e ogni singolo laboratorio, vedi
Appendice.
prestabilite. L’antistruttura si contrappone a queste suddivisioni e lavora su un piano di
strutture differenti, le strutture simboliche che, lavorando per opposizioni, elaborano universi
di senso.
Anche se Turner in generale è portato a intendere le attività performative come attività che
risolvono i momenti di crisi della società per ristabilirne l’equilibrio, come esagerazione e
messa in mostra dei conflitti reali con lo scopo di distendere la tensione e produrre un tipo di
catarsi sociale, tra le pagine delle sue opere si può intravedere una concezione di liminalità
come una sorta di esplorazione in territori di confine il cui effetto finale non è prevedibile.
L’esito potrebbe riconfermare le categorie vigenti e quindi rafforzare il potere, oppure operare
un capovolgimento e diventare fattore di destabilizzazione.
Per comprendere meglio il rapporto che la performance intrattiene con la sfera del simbolico e
con la sfera del potere e per capire come la sua funzione e il suo esito dipendano dalla
situazione storica, dalla contingenza, sarà utile ora prendere in considerazione il pensiero di
Catherine Bell (1992) sul rituale, sul significato teorico e le implicazione pratiche di questo
concetto.
1.5 - Ritualizzazione
Per dimostrare come le dinamiche del progetto Par Tòt Parata agiscano su un piano
simbolico che non può prescindere dall’azione pratica e avere ripercussioni sociali, culturali e
politiche, sarà necessario soffermarsi sull’elaborazione del concetto di ritualizzazione di
Catherine Bell (1992) che appare strettamente legato al concetto di performance.
Riguardo alla definizione del termine “rito” esiste una consistente letteratura antropologica
che non ha però mai raggiunto un accordo su una definizione univoca e stabile del concetto.
Risulta difficile individuare i confini di questo termine che è nato e si è inizialmente
sviluppato nell’ambito di indagini condotte presso società cosiddette primitive per indicare
attività legate alla sfera religiosa e del sacro e successivamente è stato trasferito ad altri terreni
di ricerca, applicato alla sfera profana e alle società moderne, industriali. L’ambiguità
potrebbe rappresentare un limite, tuttavia, forse proprio grazie a questa sua natura sfuggente e
multiforme, la nozione di rito continua ad essere utilizzata negli studi antropologici per
analizzare e interpretare una vasta gamma di fenomeni.
Catherine Bell critica l’approccio tradizionale al rito che, secondo lei, si basa sulla dicotomia
tra pensiero e azione e sposta l’attenzione dalla ricerca di una definizione allo studio delle
modalità processuali attraverso cui il rituale agisce nella realtà. Da un lato sostiene
l’impossibilità di riconoscere un’essenza comune a ogni tipo di rito poiché esso si manifesta
sempre in maniera unica e irripetibile data la sua dipendenza dal contesto spazio-temporale.
Dall’altro lato è convinta che il rito non sia nemmeno pura azione, eseguita meccanicamente
da soggetti manovrati e privati della capacità di pensare. Fa cadere la distinzione tra piano
simbolico e piano materiale, considerandola superflua e generatrice di incomprensioni.
Preferisce quindi parlare non tanto di rito quanto di ritualizzazione, focalizzando l’analisi
sulle strategie che di volta in volta questo dispositivo mette in atto e tenendo conto delle
relazioni che intrattiene con le altre azioni che si svolgono nello stesso contesto. La
ritualizzazione consiste in una pratica con determinate caratteristiche: è situazionale, nel
senso che è dipendente dal contesto e a sua volta lo influenza e per questo si esprime e agisce
ogni volta in un modo diverso, imprevedibile; è strategica, in quanto non segue una logica
intellettualistica, ma agisce secondo un gioco di schemi e tattiche situazionalmente effettive;
avvolge gli attori in un velo di non totale consapevolezza di quanto stanno realmente facendo;
infine è un dispositivo di potere capace di riprodurre o di riconfigurare una visione dell’ordine
del mondo.
Il termine ritualizzazione permette di estendere l’analisi rituale oltre il campo della religione e
del culto: il significato del comportamento rituale non risiede nell’essere un modo di agire
interamente separato, ma nel costruirsi come diverso e in contrasto con altre attività
(analogamente al significato generato dal dispositivo del quadrato semiotico che funziona per
incroci e schemi oppositivi e relazionali). Le strategie della ritualizzazione possono
conservare così come innovare e improvvisare: in questo modo le nozioni di formalità, fissità
e ripetizione non sono più viste come caratteristiche intrinseche all’attività rituale, ma come
possibilità. Non consistono in un processo standardizzato di tradizionalizzazione anche perché
la tradizione resta viva soltanto se viene costantemente adattata e modificata fino ad assumere
funzioni diverse rispetto a quelle con cui era nata; per dirla con altre parole “il rito imbarca la
storia”. (S. Allovio, 2002)
Catherine Bell sostiene che il rituale non svolge una funzione di controllo da parte di chi
sembra in quel momento detenere il potere, ma costituisce esso stesso una particolare
dinamica che contiene in sé il meccanismo di legittimazione o delegittimazione dell’autorità
al potere. Per dimostrarlo si sofferma sull’analisi di concetti come quelli di credenza,
ideologia e legittimazione, interpretandoli non come strutture coerenti di idee e di attitudini,
ma come processi in perenne costruzione attraverso dinamiche di complicità, di lotta, di
negoziazione. È centrale dimostrare che l’efficacia della ritualizzazione come strategia di
potere risiede non soltanto nel controllo che essa sembra instaurare, ma anche nella resistenza
che produce: gli esecutori delle pratiche sociali non sono pedine manovrate dall’alto, sono
attori che mantengono un certo grado di autonomia d’intervento.
La contestualizzazione dei rituali assume una rilevanza particolare poiché induce alla cautela
nel generalizzare ogni asserzione riguardo alla loro funzione sociale. La visione classica del
rito viene in questo modo scardinata e la nozione di ritualizzazione ci porta a comprendere
meglio le dinamiche attraverso cui la performance si svolge. Ci aiuta ad andare oltre
un’interpretazione superficiale e riduttiva che collega il rito all’efficacia e la performance
artistica al puro intrattenimento.8
Il corpo è un altro punto di collegamento tra teoria della ritualizzazione e teoria della
performance. Le strategie della ritualizzazione secondo Catherine Bell sono particolarmente
radicate nel corpo e specialmente nell’interazione del corpo con un contesto spaziale e
temporale simbolicamente costituito: un corpo ritualizzato nel senso di un corpo che agisce in
un processo circolare di interiorizzazione delle strutture del mondo socioculturale in cui è
8
Vedi a questo proposito Laura Gemini (2003).
immerso e di contemporanea creazione di schemi strategici che permettono al soggetto
processi di riappropriazione e intervento nella realtà.
Sarà ora interessante osservare le dinamiche del progetto Par Tòt Parata in un’ottica
situazionale, che tenga perciò conto del contesto spazio-temporale in cui l’evento s’inserisce.
2. Alla ricerca della città
2.1 – L’idea di città che emerge e si esprime attraverso il progetto Par Tòt
Parata
Una caratteristica della parata Par Tòt sulla quale mi sembra significativo soffermarsi è il suo
svolgimento nello spazio pubblico cittadino poiché si tratta di una sfilata che esprime i suoi
messaggi nelle strade e nelle piazze di Bologna. Il contesto spaziale nel quale avviene la
manifestazione non ne rappresenta semplicemente lo sfondo, ma ne diventa protagonista: la
città, oltre ad essere il mezzo che rende possibile l’evento, svolge il duplice ruolo di mittente e
destinatario delle iniziative poiché da essa partono le richieste di cambiamento ed è nei suoi
spazi che il cambiamento può essere attuato.
Sempre costante mi è sembrato il riferimento ad un ideale di città, sia nelle parole degli
organizzatori della manifestazione, sia in quelle dei partecipanti, in alcuni casi con un alto
grado di consapevolezza, in altri casi in modalità più spontanee e quasi inconsce.
Per comprendere il ruolo svolto dalla parata Par Tòt a livello socio-politico credo sia utile
inserirla nel quadro più ampio della storia che le ha fatto prendere vita e dalle attività portate
avanti dall’associazione Oltre….
Innanzitutto l’idea di creare questa parata, come abbiamo visto prima, è nata in seguito alla
partecipazione di uno dei membri dell’associazione al progetto “Bruxelles/Brussel 2000, Città
europea della cultura”. Dal 1985 il Parlamento dell’Unione Europea ha attribuito ogni anno il
titolo di “Città europea della Cultura” ad una città dell’Europa. Nel 2000 questo
riconoscimento è stato dato a nove città, tra le quali Bruxelles e Bologna. Ogni città ha
elaborato un programma adatto alle esigenze del proprio territorio e della propria
popolazione, Bruxelles ha scelto come tema centrale proprio “la città” (“public space and
open city” era il sottotitolo del programma).
La maggior parte delle iniziative svoltesi a Bruxelles nell’ambito di questo progetto sono state
ideate partendo dalla realtà locale, una realtà eterogenea dalle mille facce e con diverse
peculiarità: a Bruxelles si mescolano identità differenti, prima di tutto quella vallona e quella
fiamminga a cui poi si affiancano quelle degli abitanti stranieri che costituiscono quasi un
terzo della popolazione complessiva della capitale belga. È stato portato avanti un grande
lavoro, soprattutto nelle aree periferiche, per cercare di coinvolgere l’intero tessuto sociale
urbano e per ravvivare aree degradate e problematiche.
Questo progetto ha avuto dei riscontri oggettivi tanto che la grande parata multiculturale, la
Zinneke Parade, nata nel 2000 per celebrare la popolazione meticcia di Bruxelles, si è
trasformata in una festa biennale sostenuta da consistenti finanziamenti pubblici da parte delle
istituzioni locali. “La maggiore spesa della Region data alla Zinneke viene indicata come
riqualificazione sui quartieri, perché il lavoro capillare realizzato sul territorio è riconosciuto
dalla regione come attività di riqualificazione dei quartieri su cui essa stessa può lavorare”
così ha raccontato una delle promotrici dell’evento belga durante una conferenza organizzata
dall’associazione Oltre… a Bologna.9
Si tratta dunque di un evento che coinvolge veri e propri artisti, semplici cittadini, abitanti dei
vari quartieri e che vede la collaborazione di una rete di varie organizzazioni formali e
informali. È un progetto artistico e allo stesso tempo politico proprio perché agisce sulla città ,
nella città e con chi abita la città .“Ecco allora che il discorso della Zinneke va proprio a
scoprire che cosa significa vivere negli spazi urbani per creare degli spazi di democrazia nella
città. Nella città siamo quotidianamente portati a scoprire cos’è la diversità sociale e culturale.
Quindi il modo di agire e concepire la città significa proprio vedere come nella città ci
possano essere nuovi spazi di sperimentazione e nuovi spazi di democrazia. Quindi la città è
un luogo di partenza, in tutta la sua complessità”10.
L’idea che sta alla base di questa parata è abbattere le barriere tra ogni tipo di diversità in un
progetto che unisce mondi spesso distanti fra loro, senza cancellare le differenze, con la
convinzione che la loro valorizzazione possa favorire la convivenza. E il luogo più adatto per
tentare questo esperimento non può essere che la città, metafora del vivere insieme, e in
particolar modo una città-mosaico come Bruxelles. Attraverso un’iniziativa culturale e
artistica si cerca di agire nel sociale con lo scopo di far incontrare realtà diverse e creare dei
legami per costruire insieme qualcosa di collettivo. Si agisce molto nelle zone della periferia
urbana nelle quali si intravedono ricche potenzialità, normalmente sottovalutate perché
maggior rilievo viene dato alle problematiche che spesso le affliggono. Si parte dalle piccole
realtà locali dove si può agire concretamente, organizzando attività in tutti i quartieri, per poi
terminare il lavoro con una sfilata che attraversa il centro e permette a tutti i partecipanti di
sentirsi parte integrante del cuore della città.
Sulla scia delle motivazioni che hanno portato alla realizzazione di questa manifestazione a
Bruxelles, è nata l’idea di organizzare qualcosa di simile anche a Bologna, la Parata Par Tòt.
Se Zinneke (termine che significa piccolo cane e ricorda il fiume di Bruxelles dove due secoli
fa furono gettati dei cani meticci) rimanda al concetto di meticciato, di mescolanza di culture,
9
Il Simposio Par Tòt intitolato “Ognuno è un artista”, tenutosi nel marzo 2007.
Vedi nota precedente.
10
Par Tòt, che in dialetto bolognese significa “per tutti”, vuole dare l’idea di un progetto aperto
alla città intera, in cui ognuno possa esprimere se stesso e comunicare con gli altri.
L’associazione Oltre… da sempre sostiene attività artistiche, culturali e sociali con la
convinzione che rappresentino un’opportunità di intervento concreto nella realtà locale
cittadina. Mi sembra interessante osservare le iniziative nello specifico per cercare di capire
qual è l’immaginario di spazio urbano che sta alla base ed anima i vari progetti
dell’associazione e la cui speranza di realizzazione viene condivisa da chi li organizza e vi
partecipa.
2.2 – Fest-festival
Il Fest-festival – Bologna Interculture Festival (nato proprio nell’ambito di Bologna 2000,
Città Europea della Cultura) è una manifestazione che si svolge annualmente nel mese di
giugno ed è giunta nel 2007 alla sua ottava edizione. In questa occasione molti artisti, italiani,
europei ed internazionali si esibiscono in spettacoli di teatro, musica, danza, cinema, arte, arti
visive; vengono preparati laboratori per l’animazione dei più piccoli; l’allestimento di un barristorante di cucine dal mondo permette di rivolgere lo sguardo anche all’aspetto culinario di
culture diverse, considerato elemento coesivo.
Le parole con cui questo festival viene presentato e promosso da parte dell’associazione
insistono sull’intervento nel tessuto sociale urbano: “caratterizzato da una forte dimensione
internazionale, il Fest-festival tiene particolarmente conto anche delle realtà socio-culturali
del territorio, sperimentando nuove forme di animazione urbana attraverso specifici progetti
mirati a ridefinire lo spazio pubblico a misura delle nuove esigenze dei cittadini. L’idea stessa
di ‘cittadino’ viene così rimessa in discussione e concetti ambigui – e normalmente astratti –
come ‘identità’, ‘appartenenza’ e ‘comunità’ trovano nel cantiere del Fest-festival un luogo in
cui vengono resi tangibili”11.
Questo proposito viene portato avanti attraverso scelte che hanno un significato preciso:
determinante è la gratuità degli spettacoli che permette a chiunque di prenderne parte;
importante è inoltre lo scenario che ospita le attività del festival. Si tratta del parco di Villa
Torchi, un’ampia area verde situata in un quartiere di prima periferia (Corticella-Navile), al
cui interno ha sede anche un centro sociale per anziani. La decisione di organizzare l’annuale
festa interculturale in questo spazio è stata un po’ una sfida vista l’apparente chiusura della
zona in questione. Non si poteva sapere a priori quale sarebbe stata la reazione degli abitanti
11
Dal testo di presentazione dell’associazione Oltre… pubblicato sul sito www.fest-festival.net.
di Corticella e, più nello specifico, la risposta degli anziani. Si tratta di una zona della città per
così dire tradizionale, molto legata alla propria “bolognesità”, piuttosto chiusa e diffidente
verso ciò che proviene dall’esterno; allo stesso tempo è una zona nella quale coesistono realtà
assai diverse poiché vi si è stabilito un grande numero di emigranti, provenienti in passato
dall’Italia meridionale e oggi da altri paesi, realtà che però restano spesso separate e non
riescono a dialogare. L’esperimento del Fest-festival, nato proprio con l’intento di essere
interculturale e intergenerazionale, ha portato, secondo il parare di chi vive nella zona o la
conosce, un’ondata di positività nel centro sociale Villa Torchi: se all’inizio è stato accolto
con un po’ di perplessità, ha successivamente riscosso molta simpatia da parte degli anziani,
che ora collaborano volentieri e ogni anno attendono con curiosità la “festa dei giovani”. È
bello vedere come nei giorni di preparazione del festival gli anziani del centro sociale stiano
ad osservare con curiosità e attenzione i preparativi e partecipino con propri commenti e
domande. La collaborazione con il centro di Villa Torchi è diventata sempre più stretta tanto
che agli organizzatori dell’evento sono state concesse le preziose cucine, generalmente adibite
alla preparazione delle crescentine per le feste di quartiere. Nei sei giorni di durata dell’evento
viene mantenuta la serata di ballo liscio che ogni sabato anima una piccola piazzetta
all’interno del parco e così, accanto a musicisti che suonano melodie di paesi lontani, altre
persone ballano ai ritmi delle balere.
Il Quartiere Navile/Corticella ha riconosciuto l’utilità di questo festival che favorisce
l’avvicinamento di realtà diverse e da alcuni anni sostiene l’evento offrendo il proprio
patrocinio.12
12
Vedi gli interventi del Presidente del Quartiere Claudio Mazzanti durante la Conferenza stampa e il Simposio Par Tòt,
per i cui atti si rimanda all’Appendice.
2.3 – Gran Festival Internazionale della Zuppa
Il 25 aprile di quest’anno si è svolta a Bologna la seconda edizione del Gran Festival
Internazionale della Zuppa, un’iniziativa che ha raccolto l’adesione di molti partecipanti che
si sono cimentati nella preparazione di zuppe. Cuochi professionisti o improvvisati,
assaggiatori, artisti e curiosi si sono ritrovati per condividere un pasto insieme, per strada.
Il Festival Internazionale della Zuppa è nato nella città di Lille nel 2001 e con il tempo molte
altre città come Barcellona, Madrid, Cracovia e Berlino sono state contagiate da questo
progetto.
Questo è lo spirito con cui l’associazione promuove la giornata di festa:
“Con la Zuppa vogliamo esprimere:
- l’aspetto culturale, sociale e umano del ritrovarsi a mangiare insieme, in strada;
- l’aspetto artistico degli zuppieri che si dedicano a miscelare, a creare e a donare;
- l’aspetto ludico, in cui si fondono le manifestazioni culturali e quotidiane di tutti i popoli;
- la gratuità da parte di coloro che cucinano e gareggiano ludicamente…;
- l’apertura e la partecipazione di chiunque, a partire dal quartiere ospitante.”13
La zuppa, piatto popolare comune a tutti i popoli, con i suoi mille ingredienti è simbolo di
mescolanza di culture, e proprio da questa mescolanza può nascere qualcosa di bello, gustoso
quanto una zuppa da condividere.
Via Stoppato, nei pressi di Villa Torchi, in zona Corticella, si è riempita per una giornata di
pentoloni di zuppe, di assaggiatori muniti di tazze e di tanti artisti, musicisti, danzatori e
giocolieri. Circa una sessantina erano le zuppe in gara, preparate secondo ricette bolognesi,
italiane, europee, nigeriane, messicane, marocchine e di tante altre zone del mondo. Due
giurie, una professionale, costituita da spagnoli provenienti dalla festa sorella di Barcellona, e
un’altra popolare avevano l’incarico di votare la zuppa migliore alla quale assegnare il
“mestolo d’oro” e ai cui cuochi offrire un viaggio per partecipare al successivo Festival della
Zuppa spagnolo.
Questo evento viene volutamente organizzato nel giorno della Liberazione dal nazifascismo.
Corticella ogni 25 aprile celebra i caduti nella lotta di resistenza partigiana con un corteo che
tocca i monumenti a loro dedicati nella zona: affiancare la festa della zuppa a questa
celebrazione significa inserire questa memoria storica come elemento centrale nello sviluppo
di un dialogo interculturale e mantenere vivo e diffondere un patrimonio su cui ha ancora
13
Dal volantino di presentazione del Gran Festival Internazionale della Zuppa
senso riflettere. Una festa per far conoscere non solo tradizioni culinarie e musicali differenti,
ma anche per trasmettere ai giovani e a chi proviene da altre culture una memoria storica
locale che possa rappresentare un valore per tutti. Una giornata che diventa momento di
condivisione, di scambio culturale tra il quartiere e il resto della città, di comunicazione tra gli
anziani del centro sociale di Villa Torchi e le giovani generazioni.
2.4 – Uno sguardo rivolto alla periferia
La rete di Corticella
Attraverso questi progetti l’associazione Oltre… ha potuto conoscere le caratteristiche del
territorio di Corticella, da una parte toccarne con mano le problematiche, ma dall’altra
coglierne anche le grandi risorse e potenzialità, e con il tempo ha avviato una collaborazione
con le tante realtà associazionistiche della zona.
Da circa un anno molte associazioni locali (culturali, ambientaliste, giovanili) si sono
costituite in rete con l’associazione Oltre… per agire più efficacemente, unendo le singole
forze. Insieme cercano di creare dei momenti di incontro per dare l’opportunità ai cittadini di
“incontrarsi, conoscere e gestire il territorio nel quale vivono, uscendo dai propri recinti,
interagendo, scambiando saperi, condividendo esperienze, per elaborare reali risposte a
problemi ed esigenze locali”.14
La Rete di Corticella parte dal presupposto che il territorio nel quale intende portare avanti la
propria attività è ricco di patrimoni sociali, culturali, ambientali da valorizzare. Corticella è
una zona della città che conserva ancora molte aree verdi, è attraversata da corsi d’acqua e
lungo le sue strade è possibile ritrovare tracce del suo passato. Luogo di residenza estiva per i
cittadini benestanti di un tempo (anche Napoleone veniva a cavalcare lungo il canale Navile),
conserva ancora le antiche fonti termali. In epoca più recente ha accolto emigranti in cerca di
lavoro dall’Italia meridionale e ora assiste all’arrivo di immigrati da molti paesi del mondo. Si
tratta di una località teatro di divisioni e contrasti tra abitanti storici e nuovi arrivati.
Scopo della Rete di Corticella è quindi lavorare a livello locale, “rendere questo territorio un
laboratorio sociale, ambientale, culturale permanente affinché si diffonda nella comunità la
percezione del territorio come cortile di tutti ”.15
È interessante segnalare uno dei primi risultati: la creazione di un Laboratorio ambientale.
Grazie alle segnalazioni e alle pressioni della Rete di Corticella, il terreno di un ex-centro
avicolo, fino a qualche anno fa di proprietà della Facoltà di Agraria dell’Università di
14
15
Dalla presentazione della Rete di Corticella sul sito www.rete-corticella.it .
Vedi nota precedente.
Bologna, a rischio di edificazione selvaggia, è stato trasformato in un parco. A quest’ampia
area verde è stato riconosciuto il valore di patrimonio pubblico storico-ambientale e, una volta
sistemata, potrà essere utilizzata da tutti i cittadini nel rispetto dell’ambiente (la vegetazione
spontanea costituisce un habitat adatto a molte specie animali come ghiri e lucciole).
La collaborazione con il quartiere napoletano di Scampia
Da quest’anno è in corso un programma di scambio con il quartiere napoletano di Scampia. A
settembre l’associazione Oltre… è stata invitata e ha partecipato al progetto “Oplà:
riprendiamoci lo spazio”, organizzato da alcune associazioni socio-culturali che operano a
livello locale16, un progetto che ha ottenuto il patrocinio del comune di Napoli.
Si è trattato di un’iniziativa rivolta ai bambini e ai ragazzi della zona, nota per le condizioni di
degrado e abbandono. Per tre giorni la grande piazza cementificata e assolata del quartiere ha
fatto da sfondo alle attività di giocoleria, clowneria, samba, acrobazie, creazione di costumi,
che si sono concluse con una piccola parata colorata lungo le strade di Scampia. Il progetto è
stato ideato con lo scopo di coinvolgere i più giovani in attività creative e formative per dar
loro una speranza, per far intravedere un’alternativa possibile alla situazione attuale.
Questa collaborazione è nata sulla base delle affinità tra la creatività della parata Par Tòt e
quella del grande carnevale che Scampia ogni anno festeggia. L’esperienza napoletana ha dato
all’associazione un ulteriore impulso per dedicarsi ad attività più strettamente socio-politiche:
il desiderio è quello di rivolgere maggiore attenzione alle periferie bolognesi e soprattutto agli
adolescenti che vi crescono e per questo è stato proposto di organizzare, in preparazione della
parata del 2008, un maggior numero di laboratori in zone decentrate.
Questo momento di incontro con un mondo differente è stato occasione per conoscere,
approfondire, trovare affinità o prendere spunto dal lavoro di gruppi che da anni portano
avanti, nell’area del napoletano, ma non solo lì, progetti come quelli dell’Associazione
Culturale GRIDAS (Gruppo Risveglio DAl Sonno – il sonno della ragione che genera mostri)
fondata nel 1981 da Felice Pignataro per realizzare “l’utopia sui muri” e “l’utopia per le
strade” attraverso murales e laboratori artistici d’intervento nel sociale.17
16
17
Tra le quali il centro territoriale Mammut (www.mammutnapoli.org)
Per approfondire il lavoro e le finalità di questa associazione si rimanda al sito www.felicepignataro.org
2.5 – La realtà urbana contemporanea
Dai dati raccolti durante l’osservazione sul campo emergono molti dei temi che stanno al
centro del dibattito attuale sul concetto di città e sulle dinamiche concrete visibili e
sperimentabili nel contesto urbano: la città come metafora del vivere insieme, luogo
dell’incontro e del confronto fra diversità; la relazione tra centro e periferia, tra interno ed
esterno, tra inclusione ed esclusione; la ricerca della propria identità, anche e soprattutto
attraverso il dialogo con l’Altro, da parte di un cittadino che in questa società globale fatica a
riconoscersi e ad agire in uno spazio proprio.
Locale e globale si intersecano sempre più conducendo il soggetto urbano a una sorta di
spaesamento, di perdita di quelle coordinate che gli permettevano un tempo di collocarsi in
una posizione da cui riusciva ad elaborare un proprio universo di senso in grado di fargli
comprendere la realtà e conseguentemente di dare un significato all’azione.
Nel passato, come si può vedere in molta letteratura e anche nella pittura con l’invenzione
della prospettiva che rende possibile abbracciare la realtà intera con un solo sguardo, la città
era considerata un sistema chiuso, un tutto composto da ingranaggi in relazione armonica fra
loro come i vari organi che compongono il corpo umano. Ma con l’avvento dell’era moderna
e dell’epoca industriale, la città entra in un lento processo di disgregazione che raggiunge il
suo massimo livello in epoca contemporanea.
Seguendo il pensiero di Augé (1992), possiamo dire che tradizionalmente la città produceva
nei suoi luoghi un senso di appartenenza, un’identità di gruppo. Oggi le grandi metropoli
producono al contrario confusione e disorientamento in un soggetto urbano che vaga tra i
cosiddetti «non luoghi» (aeroporti, stazioni, centri commerciali…) restando anonimo e
passivo.
Per comprendere il concetto di «non luogo» è necessario partire dalla definizione che Augé
fornisce di «luogo antropologico»: si tratta del luogo dell’identità condivisa, all’interno del
quale si iscrivono nello spazio le relazioni e la storia di chi lo vive, si tratta di una
“costruzione concreta e simbolica dello spazio” che “è simultaneamente principio di senso per
coloro che l’abitano e principio di intelligibilità per colui che lo osserva”. Il luogo
antropologico è dunque lo spazio che aiuta l’individuo e la collettività a conoscere se stessa e
a farsi riconoscere, attraverso la scoperta di una propria identità, attraverso la costruzione di
relazioni e di un patrimonio storico comune.
Se l’epoca moderna poteva essere compresa attraverso i luoghi antropologici (pensiamo per
esempio alle grandi narrazioni collettive in cui le nazioni moderne si riconoscevano), l’epoca
attuale, definita da Augé l’era della surmodernità, può essere compresa tramite il concetto
opposto di non luogo. Il non luogo è un’entità sfuggente, di passaggio, che ben rappresenta la
situazione odierna, caratterizzata da tre figure dell’eccesso: eccesso di tempo, eccesso di
spazio ed eccesso di individualismo. L’eccesso di tempo si manifesta nell’accelerazione della
storia e nella perdita del suo significato: il vissuto individuale si trasforma in breve tempo in
storia, la nostra percezione del tempo muta perché una sovrabbondanza di avvenimenti
simultanei ci impedisce di comprenderli a fondo, di attribuire loro un valore e mette in
discussione il senso della storia perché ne fa perdere il filo conduttore. L’eccesso di spazio è
una trasformazione del mondo contemporaneo legata alla percezione del restringimento del
pianeta: la velocità raggiunta dai mezzi di trasporto consente di spostarsi tra luoghi distanti
della terra in breve tempo; l’apparato dei media ci informa su ciò che avviene in quello stesso
istante dall’altra parte del mondo e ci proietta in uno spazio altro, poco distinguibile dalla
realtà concreta nella quale siamo immersi. L’eccesso di individualismo è riscontrabile nella
tendenza all’individualizzazione dei percorsi; i punti di riferimento collettivi vacillano e
l’individuo diventa un mondo a sé. Tuttavia “l’accresciuta importanza del riferimento
individuale nei nostri comportamenti come nelle nostre rappresentazioni” va di pari passo con
un aumento dei vincoli che legano il soggetto alla società globale in cui vive.
Interessante risulta a questo punto la riflessione di Augé relativa alla sovrapposizione delle
categorie di locale e globale, di interno ed esterno e l’analisi delle relazioni tra città e mondo.
In un saggio dal titolo Il mondo è mobile e illeggibile (2007) egli affronta tre “questioni
chiave”: l’urbanizzazione del mondo, fondamentale per comprendere il fenomeno della
globalizzazione; gli effetti di accecamento prodotti dall’eccesso di informazioni e immagini
da cui l’individuo è bombardato; infine la nozione di mobilità. L’urbanizzazione è un effetto
del fenomeno di mondializzazione che ha trasformato il pianeta in rete: “esiste dunque una
rete, un pianeta in rete che in qualche modo definisce la globalità delle cose. Rispetto a essa, il
locale rappresenta ‘ciò che sta fuori’, ciò che è esterno: l’esterno è il locale, ciò che non è
ancora integrato alla rete”. Secondo questa teoria, da un lato, il mondo diventa una città in
quanto sottoposto ad un processo di omologazione (le stesse imprese economiche e
finanziarie multinazionali si ritrovano ovunque, così come ovunque si ritrovano gli stessi
prodotti), dall’altro lato, la città stessa rappresenta un mondo. In questa città-mondo le più
grandi diversità (di ricchezza, di provenienza, di lingua, di cultura, di condizione) vengono in
contatto fra loro, “in essa ci scontriamo con la diversità insita nel mondo e anche con tutti i
problemi che cerchiamo di eliminare dal mondo-città”. Nella città-mondo si esprimono tutte
le contraddizioni e le incoerenze generate dal sistema ideale del mondo-città, è il luogo in cui
si canalizzano tutte le tensioni. I processi in atto in una simile realtà risultano di difficile
lettura anche perché “non c’è reale , oggi, che non passi attraverso l’immagine […] Immersi
in questo mondo di immagini, ci capita spesso di sentirci accecati: la coesistenza del mondocittà e della città-mondo ha infatti come primo effetto quello di offuscare le immagini.”
Inoltre spesso la città è il luogo dove l’individuo si ritrova ad essere escluso dall’interno, e
fuori, all’esterno, si sente emarginato. Per contrastare gli effetti di questa chiusura, di questa
ghettizzazione, Augé crede che sia necessario sviluppare un pensiero della mobilità, un’
“utopia realizzabile” che si liberi dei rigidi schemi occidentali. È importante praticare una
mescolanza sociale reale e decentrare i luoghi del potere perché
“quello di cui abbiamo bisogno è una serie di azioni rivoluzionarie e realizzabili. Oggi l’utopia è
incarnata dalla città. Non abbiamo altri luoghi per realizzare la nostra utopia. E se non la
realizziamo, tutto è destinato a esplodere. Agiamo subito, dunque, e interessiamoci da vicino
alla città: essa è il luogo in cui si concentrano le paure ma anche le speranze delle prossime
generazioni.” (Augé, M., 2007, p. 32)
La città si trova dunque al centro di dinamiche opposte e tuttavia simultanee, la sua immagine
e la sua realtà contrastanti danno origine a insicurezze e paure; contemporaneamente però la
città continua a mantenere e a rendere possibile lo sviluppo di un grande potenziale creativo,
lasciando al cittadino un ampio margine di intervento.
La città attuale è un’entità in costante e imprevedibile evoluzione, sfugge a classificazioni
precise, non possiede confini netti e caratteri permanenti. È formata da flussi di persone e di
comunicazioni e da relazioni di prossimità. La città di oggi è analizzabile come un processo in
continuo sviluppo più che come una mappa fissa e chiarificatrice. Come ci suggeriscono i
sociologi Amin e Thrift (2002) “i luoghi vanno pensati non come siti durevoli bensì come
momenti dell’incontro, non come presenti, fissati nel tempo e nello spazio, bensì come eventi
variabili, come torsioni e flussi di interrelazioni.” La realtà urbana può essere definita come
una serie di interconnessioni fra elementi eterogenei e questa mescolanza può essere un
potente generatore di novità; non è statica, ma aperta a varie possibilità, a innovazioni che può
accogliere o respingere.
Le pratiche urbane sono in una certa misura disciplinate, ma oltrepassano costantemente il
loro involucro disciplinare: sono aperte a digressioni, invenzioni, “perché ogni incontro
urbano è un teatro di promesse in un gioco di potere” (Amin, A. e Thrift, N., 2002). Ed è
interessante osservare come la vita quotidiana stessa di individui immersi in relazioni, anelli
di catene di legami, rappresenti un’opportunità per uscire dall’ordinario e sperimentare,
giocare, inventare. L’individuo, nonostante faccia parte di una società globalizzata e
omologante, riesce tuttavia a mantenere degli spazi di riflessione e di rielaborazione
personale, degli spazi attivi di riappropriazione. Un ruolo a sostegno di questa attività del
cittadino viene sicuramente svolto dalle discipline artistiche e dalla performance art che,
lasciando spazio alla creatività, suggeriscono modalità alternative di pensare e di vivere la
città.
Proseguendo l’analisi in questo senso, può essere utile studiare l’attività generale
dell’associazione Oltre… ,e nello specifico la Parata Par Tòt, alla luce delle teorie proposte da
Michel De Certeau ne L’invenzione del quotidiano.
Prima è però necessario soffermarsi sulla specifica realtà urbana - e socio-politica - di
Bologna, teatro di discussione attorno al tema del degrado e della sicurezza, per vedere in che
modo un evento come la Parata Par Tòt interagisce e si confronta con la città.
2.6 – Bologna e Par Tòt Parata
La Parata Par Tòt coinvolge la città non soltanto il giorno della sfilata, ma anche nei mesi
precedenti, attraverso l’organizzazione di laboratori e di feste di autofinanziamento ospitati in
vari luoghi della città: biblioteche, sale di quartiere, scuole di musica, centri sociali, ma anche
piazze e parchi.
Per comprendere come questa iniziativa sia interessata al tema dello spazio urbano, mi sembra
importante sottolineare una serie di caratteristiche:
- lo svolgimento di alcuni laboratori in zone periferiche della città ( Borgo Panigale, Ozzano,
Corticella per esempio);
- l’utilizzo di piazze e parchi (un laboratorio di teatro in piazza San Domenico, uno di
tarantella e tamburelli nel parco dei giardini Margherita, uno rivolto ai bambini presso i
Giardini del Guasto);
- la creazione di una serie di laboratori dal titolo taking the city, definiti come occasioni “per
relazionarsi e giocare con la città, re-inventare il nostro ambiente e rimodellare ciò che ci sta
attorno per far emergere una realtà diversa. Sono i laboratori d’intervento nello spazio urbano
e nel territorio.”18 (un laboratorio di guerrilla floreale – giardinaggio selvaggio per rendere più
verde la città, un laboratorio di danza urbana, danza che immagina e utilizza concretamente la
città come palcoscenico per le proprie performances, un laboratorio di disegno urbano, per
colorare la città attraverso manifesti e scene fumettistiche).
- a dimostrazione dell’attenzione verso aree problematiche, spesso abbandonate della città,
ogni anno un laboratorio rivolto ai bambini anima i giardini del Guasto che si trovano in piena
zona universitaria nei pressi di via Zamboni. È un’opportunità per ravvivare un’area del
centro poco sfruttata dagli abitanti e che invece può trasformarsi in un’oasi, in un polmone
verde per i bambini che vivono nella zona.19
Par Tòt Parata è un’iniziativa che ama immergersi e intervenire nella dinamiche della vita
urbana e proprio per questo è anch’essa soggetta alle tensioni che attraversano la città.
L’edizione 2006 di questa manifestazione è stata al centro di molte polemiche che sono
probabilmente collegabili al particolare clima che si respira a Bologna da qualche anno e che
possono essere lette nell’ambito del dibattito su degrado e sicurezza.
18
Dal volantino di presentazione dei laboratori dell’edizione 2007 della Par Tòt.
Vedi l’intervento di Marianna Allegri alla conferenza stampa di presentazione della Par Tòt Parata riportata in
appendice.
19
La parata Par Tòt dell’anno 2006 è terminata in piazza San Francesco e molta gente è rimasta
fino a notte fonda nell’area circostante, in particolare in via del Pratello, continuando i
festeggiamenti. I comitati di quartiere si sono lamentati per il disagio che la manifestazione ha
creato in una zona che già normalmente è al centro del dibattito. Gli organizzatori sono stati
accusati da molti giornali locali, dai residenti e dai politici per non aver saputo gestire
l’evento. Un comitato di residenti di via del Pratello ha manifestato l’intenzione di sporgere
denuncia, ma un’audizione svoltasi presso il Comune, nel corso della quale sono stati ascoltati
organizzatori, partecipanti e testimoni ha risolto in parte la situazione, evitando conseguenze
legali per l’associazione.
Bisogna forse ricordare che la parata Par Tòt è nata come piccola manifestazione basata su
forme di aggregazione spontanea, su collaborazioni spesso improvvisate; in pochi anni ha
però raggiunto dimensioni molto grandi, fino a coinvolgere nel 2006 circa diecimila persone
tra chi aveva partecipato ai laboratori organizzati nei mesi precedenti e chi si era aggiunto il
giorno della festa. Par Tòt parata è una manifestazione che richiama persone provenienti non
solo da Bologna, ma da molte altre città. L’alta percentuale di studenti universitari che vi
partecipa contribuisce a spargere la voce fuori dalla città in cui nasce e si svolge. Inoltre è un
evento che si proietta oltre i confini della propria cerchia urbana perché crea collaborazioni e
scambi con associazioni o gruppi provenienti da altre città (da qualche anno partecipa un
gruppo di percussionisti provenienti da Padova; una compagnia di artisti del “Teatro della
Caduta” di Torino; un gruppo di Sozzigalli, paesino in provincia di Modena, che organizza
gare di biciclette truccate, ha partecipato nel 2007 con una vecchia auto anni ’50
decappottabile spinta dal “motore” di quattro bici Graziella; per il 2008 è previsto l’arrivo di
un gruppo di napoletani di Scampia).
Si tratta di una sfilata festosa cresciuta un po’ per volta che si trova oggi a dover affrontare i
problemi organizzativi derivanti da una così elevata partecipazione, resi ancora più
difficoltosi dal clima teso bolognese, dalle questioni di ordine pubblico e dalla difficile
convivenza tra residenti storici e nuovi arrivati.
Gli organizzatori tengono molto a sottolineare che si tratta di un’iniziativa che, come dice il
nome, vuole essere inclusiva, aperta alla partecipazione di tutti; di un’attività che non nasce
dalla volontà di contrapporsi a qualcuno, ma di favorire il dialogo e l’incontro tra realtà
diverse che spesso a Bologna vivono separatamente o addirittura entrano in contrasto.
Attraverso questa festa viene data la possibilità di esprimersi a tutte le componenti del tessuto
urbano bolognese e in questo senso la parata diventa specchio della realtà sociale (laboratori
tenuti da immigrati, da studenti universitari, laboratori rivolti a bambini, adolescenti,
partecipazione di ragazzi diversamente abili).
Cercheremo di capire per quale motivo un evento che nasce con queste prerogative si ritrovi
ad essere attaccato da una parte della città.
Innanzitutto è necessario rivolgere il nostro sguardo verso un’analisi dei rapporti sociali che
caratterizzano lo scenario urbano e culturale bolognese. Bologna da qualche anno è al centro
delle cronache locali e nazionali che la dipingono come una città problematica, che ha perso
l’antica armonia di un tempo. Nella mente di molti, Bologna viene oggi associata
all’immagine della città del degrado. Negli ultimi tempi sono nati molteplici comitati di
quartiere, soprattutto nelle aree del centro storico, composti da residenti che esprimono la loro
insofferenza verso fenomeni che, a loro avviso, stanno distruggendo la Bologna di una volta;
denunciano la sporcizia delle strade, il disagio creato dai gruppi di giovani che affollano gli
spazi aperti facendo rumore fino a tardi e abbandonando bottiglie per terra; sono infastiditi e a
volte intimoriti dai gruppi di emarginati, spesso “punk-a-bestia” o immigrati, che occupano
strade e piazze; lamentano l’abbandono di certe aree diventate pericolose perché luogo di
spaccio, furti o violenze. Provvedimenti legislativi incentrati sul tema della legalità sono
diventata all’ordine del giorno nell’attività della Giunta del sindaco Cofferati che ha seguito
una linea molto decisa.
Contemporaneamente c’è chi critica questi provvedimenti duri (facendo riferimento in
particolare alla politica degli sgomberi e delle ordinanze proibitive) e rivendica lo spirito di
tolleranza che ha sempre caratterizzato il bagaglio culturale di Bologna; c’è chi vede in questo
tipo di politica una minaccia alla storica apertura e accoglienza che hanno reso famosa
Bologna nel passato.
Ricorrente nell’immaginario della gente è il rimpianto per la Bologna dei tempi andati,
considerata una città-modello in molti campi, culturale, sociale, politico. E questa diffusa
percezione di una trasformazione profonda della città da parte dei suoi abitanti, anche se in
molti casi ingrandita ed esasperata, non può essere del tutto infondata.
Matilde Callari Galli nel saggio Paesaggi bolognesi (2007) prova a capire per quale motivo
“Bologna avrebbe oggi un particolare bisogno di legalità e ordinanze quando altre città
italiane – per esempio Bari, Napoli o Palermo – avrebbero più ragione ad invocare una cultura
della legalità”. Il punto centrale per comprendere l’insorgenza di questo fenomeno è, a suo
parere, la perdita dell’unitarietà di Bologna che, un tempo, permetteva ai suoi cittadini di
riconoscersi in un’identità comune e oggi ha invece subito un processo di frantumazione.
Tutto ciò ha portato ad una lacerazione delle “cittadinanze”: il concetto di cittadinanza è
strettamente legato al riconoscimento di diritti reciprocamente stabiliti e riconosciuti dagli
abitanti di una stessa città, ma, al contrario, la popolazione bolognese si suddivide oggi in
diverse cittadinanze (“Bologna città universitaria, Bologna ‘città mercato’ dei comuni che la
circondano, Bologna città delle fiere e del divertimento, Bologna città di immigrazione”) che
si sono stratificate nel tempo e nello spazio senza essere in grado di amalgamarsi e di
condividere una residenza comune. Questi diversi tipi di cittadinanze, a volte indifferenti, a
volte conflittuali, hanno accentuato sempre più il carattere di mondi separati, precludendo
ogni possibilità di scambio e dialogo.
Camminando lungo le strade della città, mondi diversi e contrastanti saltano immediatamente
all’occhio: il centro cittadino rispecchia visibilmente una netta divisione tra gruppi sociali
molto diversi fra loro. Viene a cadere il modello conoscitivo centro/periferia perché nello
stesso centro storico si assiste ad una commistione tra diverse tipologie sociali, tra chi risulta
integrato al sistema e chi vive a margine, per scelta o per imposizione.
Qui ci torna utile il discorso di Augé, analizzato precedentemente, sul mescolamento delle
categorie oppositive esterno/interno, centro/periferia. Il problema è che, pur trovandosi l’una
vicina all’altra, questa categorie non condividono la stessa vita urbana, ma entrano in
contrasto tra loro. Facendo riferimento a una metafora cara agli studiosi di antropologia
urbana, possiamo dire che le varie cittadinanze presenti in città restano tessere di un mosaico,
separate da confini ben precisi, senza riuscire a mescolarsi e scambiare le proprie esperienze,
come invece fanno i frammenti colorati in un caleidoscopio, simbolo della convivenza.
La politica locale , dal canto suo, non ha saputo guidare un processo di avvicinamento capace
di mettere in relazione questi mondi diversi, di creare occasioni di incontro e ha così prestato
il fianco a fenomeni sempre più frequenti di chiusura e di intolleranza da parte dei “residenti
stabili”. La paura del diverso, dell’ “altro”, ha portato al prevalere di pregiudizi e stereotipi
che annebbiano la visione della realtà e impediscono una “conoscenza che possa divenire
consapevolezza dei bisogni e dei desideri reciproci”.
Matilde Callari Galli mette in evidenza che
“la società ‘legittima’, quella stanziale e residente cerca di ignorare quella nomade e
‘illegittima’ – migranti, lavoratori precari, clandestini, ma spesso unisce in questo atteggiamento
di rifiuto anche gli studenti fuori sede – ma la evoca continuamente, la rende colpevole del
degrado che la città vive, la considera una minaccia alla sua tranquillità, al suo decoro, alla sua
proprietà.” (2007, p. 59)
Il risultato non è altro che una maggior visibilità di questa società nomade e illegittima che,
esclusa dai circuiti economici e sociali della società legittima e privata di spazi propri, non ha
potuto fare altro che inserirsi negli spazi pubblici comuni. È sempre più frequente osservare
persone “senza tetto” che vivono lungo le strade porticate del centro storico, più per necessità
che per scelta.20 La vita di immigrati, mendicanti, ma anche quella di spacciatori e
tossicodipendenti si svolge per le vie della città e ciò rappresenta una minaccia per i residenti
stabili che si vedono sottratti dei “loro” spazi. Diventa più semplice la stigmatizzazione e il
rifiuto dell’ “altro” piuttosto che il confronto e la messa in discussione della propria identità,
delle proprie abitudini e convinzioni con quelle altrui; diffidenza e paura impediscono un
dialogo.
Le politiche di governo a Bologna puntano molto sulla cultura della legalità, ma non riescono
più, come forse riuscivano a fare nel passato, a coinvolgere la gente sul territorio in progetti di
partecipazione condivisa. Questo probabilmente è l’effetto di un processo di più vaste
dimensioni che riguarda un po’ tutte le città: la globalizzazione investe oggi ogni realtà
urbana modificandone profondamente gli assetti. È un processo che ha dei risvolti
paradossali: l’individuo della società globalizzata non si sente integrato ad essa e
contemporaneamente perde le coordinate che lo tenevano ancorato alla realtà locale;
l’incertezza circa il futuro genera ansia in lui; l’autonomia dell’individuo può tradursi in
solitudine e mancanza di solidarietà. Questa dimensione contraddittoria dell’attuale vita nella
città provoca un diffuso malessere urbano; quindi il degrado non è una percezione distorta
della realtà, ma “è la manifestazione superficiale di un fenomeno di impoverimento e
marginalizzazione che è reale, e sarebbe assurdo pretendere che non si manifestasse in forme
visibili anche nelle strade che i cittadini di Bologna percorrono quotidianamente”.21
La politica non riesce a far fronte a cambiamenti così profondi e resta in balia dei poteri
economici e finanziari che guidano i processi a livello globale. La governabilità dei territori
locali avrebbe bisogno di un’innovazione politica capace di cogliere le contraddizioni del
sistema e di intervenire. Ma la società urbana è diventata contemporaneamente sempre più
complessa, più individualizzata e più multiculturale e, se da un lato i modelli culturali si
globalizzano, divenendo omogenei, dall’altro lato individui e cittadini sentono la necessità di
mantenere e sottolineare la propria identità mettendo in atto meccanismi di distinzione e
differenziazione.
Gli organi politici avrebbero il compito di evitare che questa ricerca di identità si trasformasse
in costruzione di recinti entro cui rifugiarsi; dovrebbe essere in grado di mantenere e
valorizzare le differenze, di favorire scambi e incontri tra le varie forme di diversità, di
20
Confronta il saggio di Giuseppe Scandurra, Il Carracci: memorie di un rifugio urbano, in Matilde Callari Galli,
Mappe urbane. Per un’etnografia della città, Rimini, Guaraldi Universitaria, 2007
21
Giuseppe Scandurra e Fabrizio Giuliani, Quo vadis, Bologna? Guardare oltre il degrado, in Metronomie, anno XIII,
Giugno-Dicembre 2006.
realizzare momenti di socialità. Negli ultimi tempi, invece, le amministrazioni, più che
investire in progetti di socialità e di partecipazione, hanno assecondato i sentimenti di paura e
insicurezza dei cittadini, portando avanti “politiche di amministrazione della paura”22 che non
contribuiscono a migliorare la situazione. Il conflitto tra le varie anime della città si inasprisce
sempre di più, alzando il livello di tensione.
L’instabilità, l’insicurezza dominano la scena e pervadono anche gli organi istituzionali che
non riescono ad affrontare la situazione e a mettere in luce e a frutto le potenzialità che la
realtà urbana contemporanea potrebbe offrire; disorientati dall’eterogeneità e dalla
complessità delle comunità che amministrano non vedono altra soluzione se non intervenire
attraverso provvedimenti tesi a mantenere l’ordine pubblico e a dare a parte dei cittadini la
garanzia di vivere sicuri.
Tuttavia questi interventi non risolvono i problemi alla base, per migliorare la situazione è
necessario lavorare a livello socio-culturale coinvolgendo le persone. E qualche tentativo
sembra essere stato intrapreso: interessante è stato il dibattito sollevato in occasione di una
conferenza organizzata dall’associazione Oltre… nel marzo 2007 attorno al tema dei rapporti
tra cultura, arte e politica. Titolo di questo simposio era: “Ognuno è un artista.23 È possibile
fare politica dal basso, ballando insieme e battendo i tamburi per le strade delle nostre città?
È possibile una politica bassa accanto a quella alta, una politica che non sia arte del
possibile e della mediazione, ma che sia arte, cioè espressione di sé e dei modi di stare con
gli altri? È possibile un teatro che sia recitato da tutti e non proposto da pochi?”.24
Un evento che si inserisce all’interno del percorso di Par Tòt Parata come momento di
riflessione e confronto sul tema del fare arte e cultura nel contesto cittadino e sul rapporto tra
arte e politica. Hanno partecipato alla discussione persone provenienti da diversi ambiti:
professori universitari italiani e non, politici, artisti e operatori nel settore culturale,
organizzatori e partecipanti della Par Tòt Parata, direttori di altri festival artistici europei. Il
convegno è stato un’occasione per mettere a confronto diverse visioni, diverse esigenze,
rendere possibile uno scambio di idee, spunti e proposte e trovare dei possibili punti di
convergenza. L’incontro si è svolto presso la sala Silentium di vicolo Bolognetti 25 e ha
ricevuto l’appoggio dell’assessore alla Cultura e Rapporti con l’Università del Comune di
Bologna, Angelo Guglielmi.
22
Vedi Jordi Borja, Rivoluzione e contro-rivoluzione nella città globale – ovvero le aspettative frustrate dalla
globalizzazione, in Metronomie, anno XIII, Giugno-Dicembre 2006.
23
“Jender Mensch ist ein Kuenstler”, famosa frase di Joseph Beuys (1921-1986), componente del movimento Fluxus. È
un modo per riaffermare il concetto di “arte totale”, riportando l’esperienza estetica al vissuto quotidiano dal quale
nessuno è escluso.
24
Gli atti del Simposio Par Tòt sono contenuti in Appendice.
25
Sede del consiglio di quartiere San Vitale.
Mi sembra utile ai fini di questa ricerca individuare le tematiche emerse nel corso di questo
dibattito in cui si è cercato di comprendere le funzioni dell’arte, della cultura e della politica
nel contesto specifico della città. Centrale è risultata la questione del rapporto che lega cultura
e politica: sono in relazione stretta tra loro e ognuna dipende in qualche modo dall’altra.
Quale dovrebbe essere il rapporto delle istituzioni con la produzione e la fruizione di cultura?
Come può la cultura restare autonoma pur dovendo dipendere per la sua diffusione dalla
politica? La cultura deve essere considerata un diritto di tutti e compito della politica deve
essere dare la possibilità a ciascuno di esprimersi. Fare cultura implica una ricerca di senso e
solo attraverso la cultura l’individuo può raggiungere un livello di consapevolezza e può dare
un significato al proprio agire quotidiano. Gli organi istituzionali dovrebbero quindi
permettere a tutti i cittadini di partecipare alla vita e alla costruzione della società in cui
vivono. Entra qui in gioco il concetto di cittadinanza attiva in base al quale l’attività politica
non è un’esclusiva di chi governa ufficialmente la città, ma è un lavoro che per essere efficace
deve coinvolgere ogni giorno i cittadini impegnati nella scoperta del territorio, nel tentativo di
rendere possibile la comunicazione tra realtà diverse e di mettere in comune risorse e
opportunità. L’arte e la cultura sono fondamentali in questo processo poiché rappresentano
per il cittadino comune un mezzo di riappropriazione della sfera pubblica, di intervento negli
spazi della città. La politica agisce a due diversi livelli, uno è rappresentato dalle forme di
dominio e di governo, l’altro è costituito dalle azioni quotidiane di ogni singolo essere umano.
“Il vero progresso per l’umanità non può compiersi al livello di politica delle forme di
dominio, bensì solo a livello del politico, nel microcosmo dell’educazione e della cultura”,
così sostiene il filosofo Krippendorff
26
, il quale ci ricorda anche che “la politica è troppo
importante perché sia lasciata nelle mani dei politici, oppure dei politologi”. Ogni individuo
ha la possibilità di interagire con la sfera politica esercitando il proprio pensiero critico perché
“la dimensione del politico consiste nel pubblico dibattito sulle forme della vita sociale degli
esseri umani, forme che si differenziano sotto diversi punti di vista, economici, sociali,
psichici, etnici, religiosi e così via. E la critica entra in gioco in quanto il dibattito pubblico
implica che vengano periodicamente messe in discussione relazioni, rapporti di dipendenza
tra superiori e subalterni o interdipendenze”.
E questo lavoro di critica alla politica istituzionale emerge anche nelle parole dei membri
dell’associazione quando spiegano le motivazioni che animano i loro progetti 27; si tratta di
una critica costruttiva nel senso che non si pone in netta contrapposizione agli organi
26
Ekkehart Krippendorff, L’arte di non essere governati. Politica etica da Socrate a Mozart, Roma, Fazi Editore, 2003
Vedi gli atti della conferenza stampa di presentazione dei progetti Par Tòt Parata e FEST-FESTival riportati in
appendice.
27
d’amministrazione, ma vuole proporre visioni e progetti di sviluppo alternativi per la città.
L’attività e in certi casi le provocazioni dell’associazione Oltre… vogliono essere uno stimolo
per introdurre delle possibilità di cambiamento attraverso la ricerca di nuovi spazi e di
modalità innovative. L’associazione nasce al di fuori delle istituzioni, come aggregazione
spontanea che intende agire a livello socio-culturale: “facciamo tutto ciò perché crediamo
nella cultura come specchio della partecipazione, della cittadinanza attiva, della creatività
della gente – che nella diversità e nel rispetto reciproco – riscopre nuovi modi di lavorare e di
collaborare”.28
28
Dalla cartella informativa distribuita durante la conferenza stampa dei progetti Par Tòt Parata e FEST-FESTival.
3. Una rete, molte possibilità
3.1 – Spontaneità e organizzazione nell’attività dell’associazione Oltre…
Nel loro percorso le iniziative promosse dall’associazione Oltre… inevitabilmente si
confrontano con la struttura politica e spesso accade che si verifichino delle incomprensioni,
che emergano visioni contrastanti, che sorga una lotta tra interessi e obiettivi diversi. Così è
successo per l’edizione 2006 della Parata Par Tòt, come abbiamo visto precedentemente, alla
quale sono seguite grandi riflessioni da parte di chi organizza e partecipa all’evento. Una
vicenda che se inizialmente ha messo in crisi l’associazione, è stata poi un’occasione per porsi
delle domande sul senso della propria attività, per rivedere, ripensare, rinnovare il proprio
lavoro.
Per prima cosa è stato deciso di chiedere la convocazione di alcune Conferenze dei Servizi,
incontri che normalmente coinvolgono le varie parti (settore Cultura del Comune, Polizia
Municipale, società che gestisce la pulizia di strade e piazze, Questura, azienda dei trasporti
pubblici, presidenti di Quartiere e ovviamente chi promuove l’attività in discussione)
interpellate nell’organizzazione di un evento che si svolge negli spazi pubblici e coinvolge
parecchie persone, come può essere una manifestazione o un concerto, per discutere insieme
le modalità di realizzazione e perché ogni parte si assuma le proprie responsabilità.
Questo nuovo approccio alla realizzazione dell’evento ha introdotto dei cambiamenti nel
modo di lavorare dell’associazione e nel modo di concepire l’evento. La Par Tòt Parata è
sempre stata caratterizzata da una buona dose di spontaneità e improvvisazione, ma
ultimamente, in seguito a queste vicende, si è trovata a fare i conti con esigenze di
strutturazione e di maggior programmazione.
Come risulta anche dall’analisi del concetto di communitas elaborato da Turner29, si tratta di
una situazione che molte realtà sociali, sorte al di fuori dei circuiti istituzionali, si trovano a
dover affrontare nel corso della loro esistenza. Con il termine ‘communitas’ Turner intende
una modalità di interrelazione sociale fondamentale per comprendere alcuni fenomeni
culturali nel campo della religione, della letteratura, dell’arte, del teatro, dell’economia come
possono essere ad esempio i riti di passaggio, i movimenti millenaristici, fenomeni di
controcultura ecc… Per comprendere questo concetto bisogna partire dall’opposta, ma
29
Il concetto di “communitas” compare per la prima volta in Victor Turner, Il processo rituale, Brescia, Morcelliana,
1972 e viene successivamente approfondito con implicazioni interessanti in Victor Turner, Simboli e momenti della
comunità, Brescia, Morcelliana, 1975.
complementare definizione di struttura sociale: communitas e struttura sono due fattori della
società con caratteristiche contrapposte, ma in continua relazione dialettica l’una con l’altra.
Nel primo capitolo abbiamo visto come Turner abbia applicato agli studi di antropologia della
performance le teorie sul rituale, e in particolare abbia approfondito l’analisi della fase
centrale di liminalità, seguendo le tracce di Van Gennep – che individuò all’interno dei riti di
passaggio tre diversi momenti: una fase iniziale di separazione dell’individuo dalla struttura
sociale in cui è immerso; una fase intermedia liminale, di sospensione, di perdita delle
coordinate di riferimento entro cui l’individuo normalmente si riconosce in un ruolo e in una
determinata posizione; una fase finale di aggregazione in cui l’individuo, dopo aver acquisito
un nuovo status sociale, viene reinserito nella società. L’ingresso di un individuo o di un
gruppo in questa fase marginale implica un distacco dalla struttura sociale con una
conseguente rimessa in gioco delle sue norme e una momentanea abolizione delle categorie
che articolano la vita comune; in questa fase viene a cadere la suddivisione gerarchica che
assegna ad ogni membro della società un ruolo ben stabilito, sostituita da una condizione di
indefinitezza. È una fase delicata poiché apre la strada a diverse possibili alternative: a volte
accade che le regole dell’ordine costituito vengano messe in discussione per poi essere
rinforzate attraverso la conferma della loro necessità e validità, altre volte accade invece che
vengano sottoposte a critiche e subiscano mutamenti, fino a essere scardinate. Ambiguità e
incertezza sono caratteristiche della condizione di liminalità che può generare esiti opposti a
seconda della funzione che le viene attribuita: può rafforzare la tradizione o al contrario può
stravolgerla, può svolgere una funzione di conservazione e mantenimento del sistema o
viceversa di trasformazione.
Turner considera questa particolare situazione una fonte ricca di potenzialità ed estende la
nozione di liminalità a dinamiche sociali diverse dai rituali di passaggio, dinamiche in azione
anche nelle società industrializzate occidentali, caratterizzate da una forma di organizzazione
sociale non strutturata, la cosiddetta “communitas”. Attraverso questa categoria egli definisce
relazioni sociali contrassegnate da rapporti di eguaglianza, da interazioni dialogiche,
spontanee e immediate tra i componenti. Spesso Turner utilizza anche il termine
‘antistruttura’ come sinonimo di ‘communitas’ inteso non tanto come “una inversione
strutturale, un’immagine speculare della struttura socioeconomica ordinaria, ‘profana’, o un
rifiuto illusorio di ‘necessità’ strutturali”, ma come “la liberazione delle potenzialità umane di
conoscenza, sentimento, volizione, creatività, ecc., dalle costrizioni normative che impongono
di occupare una serie di status sociali, di impersonare una molteplicità di ruoli”. (Turner, V.
1982, p. 86).
In questo senso la ‘communitas’ rappresenta
“un intervallo di margine o limen, in cui il passato è temporaneamente negato, sospeso o
abolito, e il futuro non è ancora iniziato, un istante di pura potenzialità in cui ogni cosa è come
sospesa ad un filo”. (Turner, V. 1982, p. 87)
Nelle modalità di azione portate avanti dal progetto Par Tòt Parata possiamo intravedere
molti elementi presenti nella definizione turneriana di ‘communitas’: lo stesso nome
dell’iniziativa esprime il desiderio di coinvolgere l’intera città, senza distinzioni tra individui;
l’assenza di un apparato gerarchico con ruoli prestabiliti lascia ad ognuno la possibilità di
creare un proprio spazio di azione e creatività; la gratuità dei laboratori permette a chiunque
di partecipare alle attività; le feste di autofinanziamento, l’utilizzo di materiali poveri di
riciclo per costruire carri, maschere e vestiti, l’abolizione di motori e apparecchi elettrici o
elettronici mettono in moto meccanismi opposti a quelli del sistema vigente, estranei alle
logiche di mercato, di consumo e di profitto.
La presenza di questi elementi di liminalità può provocare l’insorgere di paure all’interno
delle strutture sociali dominanti, perché, come ci dice Turner
“per alcuni la liminalità può essere l’apice dell’insicurezza, l’irruzione del caos nel
cosmo, del disordine nell’ordine, anziché il luogo in cui il bisogno creativo trova
soddisfazione e compimento” (1982, p. 90)
L’atteggiamento ambiguo, a volte ostile nei confronti della liminalità (in questo caso
l’atteggiamento negativo di una parte dei politici di Bologna così come di alcuni cittadini
verso la festosa sfilata) deriva probabilmente dalla sua capacità di essere più creativa e
insieme più distruttiva rispetto alla norma strutturale.
La posizione tenuta dall’amministrazione comunale nei confronti dello svolgimento della
parata del 2006 e nella preparazione di quella del 2007 è stata a volte assecondante, altre volte
contrastante: non c’è un netto rifiuto nei confronti della manifestazione, ma neppure un chiaro
appoggio. La Giunta manifesta una certa diffidenza verso un’attività che risulta imprevedibile
e difficile da tenere sotto controllo, contemporaneamente è attratta dai risvolti positivi e
creativi che potrebbe avere sul territorio e sulle relazioni tra diverse parti sociali della città.
Da un lato sono visibili delle aperture, come per esempio il patrocinio offerto, ormai da
qualche anno, alla parata da parte dal quartiere Navile-Corticella: in conferenza stampa il
presidente ha sostenuto l’importanza che “questo tipo di realtà riescano comunque sempre a
trovare la strada per essere attuate, perché sono situazioni di ricchezza importanti per gli
abitanti, per i cittadini, per tutti quelli che si avvicinano a una realtà come questa che porta in
strada una grande parte di quella che è la tradizione culturale errante delle nostre popolazioni;
delle popolazioni non solo bolognesi, come ben qui si vede, ma di tutta Europa. Questo è lo
spirito con cui noi quartiere abbiamo sempre dato una mano e aiutato questo tipo di eventi,
perché riteniamo che riqualifichino in modo significativo il territorio della città.”30
Un’altra testimonianza di valorizzazione dell’attività dell’associazione è stata la richiesta, da
parte dall’assessore alla Cultura del Comune, di collaborare al Capodanno bolognese del 2008
con la creazione di una piccola sfilata da via Indipendenza a piazza Maggiore e la concessione
di un locale per ospitare il laboratorio di preparazione.
Dall’altro lato si nota una certa cautela nel concedere spazio e visibilità alla parata: le
conferenze dei servizi hanno rappresentato un tentativo di dialogo, ma più che favorire lo
svolgimento dell’evento, sono servite a dare garanzie sul fatto che la festa non sarebbe
proseguita oltre un dato orario, che piazza Maggiore sarebbe stata liberata in fretta per
permettere ai mezzi della nettezza urbana di ripulire l’area, che gli incroci stradali cruciali
sarebbero stati sbloccati entro tempi brevi e prestabiliti. L’associazione aveva intenzione di
invertire il percorso della parata rispetto agli anni precedenti, di partire dal centro e terminare
in periferia per sottolineare simbolicamente la centralità di luoghi considerati spesso
marginali: a due settimane dalla data stabilita, lo spazio coperto scelto per concludere l’evento
non è stato concesso perché non conforme alle norme di sicurezza e così gli organizzatori
sono stati obbligati a invertire nuovamente il percorso, con la questura che ha messo in dubbio
fino all’ultimo la possibilità di occupare piazza Maggiore per il finale (lo stesso 9 giugno
2007 era previsto l’arrivo di Bush a Roma e la questura ipotizzava possibili disordini ad esso
legati, insistendo sull’allarme terrorismo). La sensazione dell’associazione Oltre… è stata
quella di essere stata messa di fronte a delle scelte obbligate e di aver ottenuto una
concessione più che un reale riconoscimento del lavoro da essa svolto. L’associazione si è
dimostrata molto flessibile davanti alle richieste anche perchè sperava di poter condividere
con gli attori istituzionali lo scopo di un progetto che intende accompagnare lo sviluppo di
una creatività culturale fornendo occasioni di incontro e collaborazione tra diverse realtà
impegnate nel sociale e favorire così la scoperta di un nuovo modo di vivere la città che
contempli e apprezzi le diversità. Ma non è facile rapportarsi alle istituzioni e un movimento
spontaneo corre il rischio di perdere la propria genuinità, la propria effervescenza e di subire
una sorta di censura o di autocensura.
30
Dall’intervento del Presidente del Quartiere Navile/Corticella Claudio Mazzanti alla conferenza stampa di
presentazione di Par Tòt Parata e Fest-festival tenutasi il 6 giugno 2007 presso la sala stampa del Comune di Bologna,
la cui registrazione è riportata in appendice.
Possiamo a questo punto ricollegarci a quanto dice Turner circa l’evoluzione della
‘communitas’: questo tipo di forma sociale, proprio perché di passaggio, è destinata ad essere
temporanea in quanto sottoposta ad un inevitabile processo di ristrutturazione, che, sebbene
possa conferire al sistema un assetto completamente diverso da quello precedente, in ogni
caso reinserisce ciascun individuo entro schemi classificatori.
“Ci imbattiamo così nel paradosso che l’esperienza della communitas diventa la memoria della
communitas, col risultato che questa, nel suo sforzo di replicare se stessa, sviluppa storicamente
una struttura sociale, in cui gli iniziali rapporti liberi e innovativi fra individui si trasformano in
rapporti regolati da norme fra personae sociali. So benissimo che sto enunciando un altro
paradosso: quanto più spontaneamente gli uomini diventano ‘uguali’, tanto più essi si
distinguono e diventano ‘se stessi’; più diventano la stessa cosa sul piano sociale, meno si
considerano tali su quello individuale. Tuttavia quando questa communitas o comitas viene
istituzionalizzata, i tratti idiosincratici appena scoperti vengono legalizzati in un ulteriore
insieme di ruoli e status universalistici, i cui titolari devono subordinare a una regola la propria
individualità.” (Turner, V., 1982, p. 91)
Struttura e antistruttura sono per Turner due caratteristiche della società in reciproco rapporto
dialettico; la vita sociale è un’evoluzione da una struttura ad un’altra attraverso fasi
intermedie di rimessa in gioco di tutti i valori che fino a un determinato momento la regolano.
La ‘communitas’ rappresenta un momento di sospensione che pone le condizioni per la
rielaborazione di un nuovo ordine sociale.
Turner durante la sua esperienza si imbatte però in alcuni casi di ‘communitas’ che sembrano
protrarre tale condizione nel tempo: cita il caso della comunità hippy e parla di tendenza alla
liminalità permanente. Una tendenza che si manifesta nello stile di vita e nelle elaborazioni
culturali (nel caso degli hippies viene posta attenzione sull’utilizzo del termine rock, utilizzato
sia per rappresentare una forma musicale, sia per indicare una modalità della vita sociale):
nella liminalità infatti “la struttura sociale scompare o è semplificata e generalizzata, mentre
l’apparato culturale spesso diventa strutturalmente complesso” (Turner, 1972). L’antistruttura
di cui parla Turner a proposito della ‘communitas’ significa scomparsa delle strutture sociali e
quindi delle differenze di status, rango, ruolo ecc., a favore dell’entrata in scena di strutture di
tipo diverso, strutture culturali, strutture di simboli e idee, che permettono agli uomini di
meditare e speculare sulle combinazioni e opposizioni di pensiero senza essere coinvolti nelle
combinazioni e opposizioni di stratificazioni sociali e politiche.
Il progetto Par Tòt Parata nasce al di fuori delle strutture istituzionali e porta avanti un lavoro
a livello culturale, opera a livello simbolico per elaborare dei modelli di significato che
nascono e si applicano alla vita quotidiana: “in fondo con le nostre attività evochiamo
l’immagine poetica di un città che ci piace, cerchiamo e sperimentiamo un ritmo poetico che
ci aiuta a ritrovare il senso del vivere insieme, il senso di una città che è perennemente alla
ricerca del suo ritmo o, meglio ancora, dei suoi ritmi, capaci di rappresentare e di includere
tutti”31.
Chi collabora con l’associazione non si sente tanto parte di un’associazione in senso stretto,
quanto partecipe di un progetto e, soprattutto di un modo di vedere le cose. Possiamo quindi
provare a tracciare un parallelo tra l’attività dell’associazione e l’idea di una ‘communitas’
che cerca di protrarsi nel tempo, con le tante difficoltà che incontra nel tentativo di mantenersi
estranea alle strutture gerarchiche politiche e il rischio continuo di essere condizionata o
addirittura assorbita dal sistema di potere dominante.
Bisogna tenere però presente che le teorie di Turner risentono ancora di una visione strutturalfunzionalista delle dinamiche sociali, di un paradigma che non sembra poter spiegare del tutto
una società in cui le strutture sembrano essersi dissolte per venire sostituite da processi fluidi
in costante mutamento.32 Oggi si parla di società individualizzate, frammentate, non più di
società composte da parti in equilibrio fra loro, società all’interno delle quali anche il conflitto
era considerato un meccanismo di riparazione di fasi di crisi e quindi funzionale al
mantenimento del sistema (anche se un sistema aperto a mutamenti).
Anche se le società attuali risultano essere fluide e disgregate, le dinamiche sociali in atto al
suo interno restano comunque inserite entro rapporti di potere tra parti diverse e anche le
dinamiche che si esprimono attraverso il progetto Par Tòt Parata possono essere lette in
quest’ottica. Un analisi in questo senso può spiegare il sorgere di contrasti tra chi organizza e
chi dovrebbe supportare politicamente l’evento e può indagare quali punti deboli del sistema
politico la manifestazione va a toccare e in quali punti critici essa viene ad essere attaccata,
rischiando di perdere la propria autonomia.
31
32
Dalla cartella informativa distribuita durante la conferenza stampa dei progetti Par Tòt Parata e FEST-FESTival.
Vedi Zygmunt Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2002.
3.2 – Laboratorio di regia e servizio di dis-ordine della parata: la caduta degli
angeli
In preparazione della Par Tòt Parata del 2007 è stato proposto un laboratorio che in un certo
senso è l’emblema delle vicende in cui la sfilata dell’anno precedente è stata coinvolta e che,
insieme alla richiesta delle Conferenze dei Servizi, costituisce una sorta di “contromisura”
presa dall’associazione promotrice per rispondere agli attacchi e sopravvivere.
Si tratta di un laboratorio finalizzato al coordinamento dei vari gruppi in sfilata: a figure di
angeli, simbolici protettori della parata, è stato affidato il compito di studiarne il percorso, di
dare a ciascun gruppo una posizione tale da permettere a tutti di esprimere al meglio le
proprie caratteristiche artistiche (evitare per esempio che alcuni strumenti musicali coprissero
il suono di altri), di mantenere compatti i gruppi nei momenti cruciali in modo da rispettare i
tempi concordati di occupazione e sgombero dei vari snodi stradali, di dare segnali di
partenze e stop ai diversi blocchi e di ideare un “rituale finale collettivo” per sancire la
conclusione. Una funzione sia di tipo logistico, sia di tipo artistico che veniva
precedentemente svolta, anche se in modo meno pianificato, dagli organizzatori della parata e
che quest’anno è sembrato giusto estendere a tutti gli altri partecipanti per aumentare
consapevolezza e responsabilità.
Questi angeli, intesi come mediatori, messaggeri tra un gruppo e l’altro, tra i partecipanti e il
resto della città, sono stati interpretati in diversi modi: figure positive di supporto secondo il
parere di alcuni o al contrario simbolo di una resa a poteri più forti che chiedono controllo e
disciplina con il risultato di una limitazione delle possibilità espressive e comunicative dei
partecipanti. Dal volantino di presentazione33 di questo laboratorio emerge la volontà di
metterne in risalto la creatività, giocando sul significato delle parole, sul ruolo di un servizio
preposto a garantire il “dis-ordine”, al contrario di quanto accade normalmente: il controllo
della manifestazione viene affidato a coppie di “angelazzi e angelotti” rappresentanti
dell’autorità e parodia delle coppie di carabinieri (strisce rosa fosforescente applicate ai
costumi degli angeli richiamano le divise delle forze dell’ordine).
Ho seguito molti incontri del laboratorio degli angeli e ho potuto notare il tentativo di
compiere delle scelte condivise con il resto dei conduttori di laboratorio e dei partecipanti: le
proposte di percorso per la parata e di regia per la performance finale sono state sottoposte al
parere e al confronto fra tutti, sempre aperte a modifiche e miglioramenti. Gli angeli hanno
33
Il testo è riportato in Appendice.
lavorato tenendo sempre in considerazione l’utilizzo degli spazi cittadini, valutandone
potenzialità e problematiche: dopo aver studiato i possibili tragitti per la sfilata muniti di una
piantina stradale di Bologna, sono scesi sul campo e in bicicletta hanno esplorato il percorso
per valutarne i punti di forza e di debolezza.
In proposito vengono in mente alcuni studi34 sul tema di città immaginaria e città vissuta, nei
quali viene dato rilievo alle pratiche quotidiane attraverso cui il cittadino disegna una propria
geografia urbana e investe di significato gli spazi incorporandoli così nella propria esperienza.
Scoprire gli spazi pubblici della città, percorrerli, viverli per collegare il microcosmo delle
esperienze individuali al macrocosmo pubblico, diventa attività fondamentale per sentirli
come luoghi familiari, nei quali ci si può muovere senza timore. È nella quotidianità stessa
che ogni essere umano può iniziare a proporre metodi alternativi di rapportarsi al territorio,
può mettere in discussione modalità di vivere la città divenute per abitudine le uniche
legittime e accettate da gran parte della cittadinanza.
Come sostiene Paolo Cottino:
“le nostre città sono costellate di pratiche, di azioni e comportamenti che, contraddicendo le
consuetudini d’uso dello spazio e le regole date per l’accesso alla fruizione delle risorse spaziali
urbane, propongono nuovi modi di rapportarsi al territorio, nuove vie per usufruire della risorsa
città. Rifiutando per necessità o per scelta di sottostare alla disciplina imposta e orientandosi ad
autogestire il processo di costruzione della territorialità, ossia del rapporto sociale con il
territorio, i soggetti che ne sono protagonisti contribuiscono in maniera leggera, e tuttavia
radicalmente agganciata alla concretezza della quotidianità, a rimettere in discussione codici e
norme ma anche abitudini e usanze che, radicatesi nel modo di pensare al territorio, sono
divenute senso comune e vengono guardate dal resto della cittadinanza, ancorata a una
rappresentazione unitaria della vita sociale urbana, come unico legittimo modo di vivere la
città”. (2003, p. 34)
Attraverso la pratica dello spazio pubblico il cittadino impara a conoscere luoghi diversi da
quelli privati in cui ormai troppo spesso si rinchiude, scopre e impara a relazionarsi con le
diversità che lo abitano. La conoscenza di modi diversi di vivere il territorio contribuisce a
dare un senso di sicurezza al cittadino. L’utilizzo della bicicletta aiuta inoltre a vedere ciò che
accade da una diversa prospettiva, favorisce un approccio che fa apparire oggetti e situazioni
quotidiane in una luce nuova e sconosciuta, incoraggia un esercizio critico. La bicicletta è un
34
Per un approfondimento del tema si rimanda a: Marc Augé, Un etnologo nel metrò, Milano, Elèuthera, 1992; Paolo
Cottino, La città imprevista. Il dissenso nell’uso dello spazio urbano, Elèuthera, Milano, 2003; Michel de Certeau,
L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma, 2001; Rebecca Solnit, Storia del camminare, Bruno Mondadori,
Milano, 2002.
mezzo che valorizza la socialità perché mette a contatto con la gente, oltre a proporre uno stile
di vita alternativo nel rispetto dell’ambiente.35
3.3 – Il caso della performance finale collettiva
Può dimostrarsi utile per la nostra ricerca un’analisi della “performance finale collettiva” che
è stata coordinata dal laboratorio degli angeli, delle motivazioni e delle finalità che ne hanno
determinato la creazione, accompagnata da uno studio della fase di ideazione e infine della
fase di attuazione. L’idea di terminare la parata con una sorta di rituale è interpretabile, e così
è anche stata motivata dal laboratorio, come la volontà di dare un segnale chiaro di
conclusione attraverso una forma prestabilita ben riconoscibile da tutti. Da un lato, la
necessità di questa fase simbolica di suggello finale è derivata dall’importanza assegnata dagli
organizzatori, desiderosi di evitare nuove polemiche, alla ‘buona riuscita’ della parata del
2007. Dall’altro lato, sfruttare questo momento per ribadire il messaggio di cui la parata è
sempre stata portatrice sembrava ugualmente fondamentale. Un messaggio che emerge
chiaramente dal simbolismo racchiuso nella performance pensata per l’esecuzione in piazza
Maggiore: al segnale preciso dato da un “officiante cerimoniale” (l’apertura di un grande
ombrellone colorato da parte di un angelo in posizione sopraelevata, ben visibile dai gruppi)
tutti i partecipanti avrebbero dovuto intonare una nota e creare un accordo collettivo (per
ritrovare le note dell’accordo erano state consegnate piccole armoniche ai gruppi
precedentemente divisi in tre blocchi corrispondenti alle tre diverse altezze delle note
dell’accordo).
Un accordo musicale che è metafora di una ricerca dell’armonia da costruire per riconoscersi
in una melodia che piaccia a tutti e in un ritmo capace di includere tutti. Così è stata
presentata dagli organizzatori in conferenza stampa questa ‘cerimonia di chiusura’:
“ovviamente le nostre performances hanno un po’ sempre un sapore di utopia, cioè non vi so
dire esattamente in quanti faranno la nota, in quanti una mezza stonatura. Sicuramente per noi
non sarà solamente un insieme di suoni, per noi di Par Tòt Parata sarà un’armonia”.36
Emerge qui un tema che si è cercato di sottolineare e approfondire nella prima parte di questa
ricerca: l’imprevedibilità insita nella performance in quanto pratica situazionale. Ed è a questo
punto interessante osservare come si è effettivamente svolto questo ‘rituale finale’,
performance all’interno di un’altra performance.
35
Vedi Giada Cotugno, Città immaginaria, ‘brand city’, città della paura: scrivere/leggere la città camminando,
pedalando, sostando, in Metronomie, anno XIII, Giugno-Dicembre 2006.
36
Vedi Appendice.
Innanzitutto gli angeli, all’ingresso del corteo in piazza Maggiore, avrebbero guidato i gruppi
più grandi e rumorosi (percussioni varie, danza africana, samba, pizzica e tarantella) al
perimetro esterno della piazza, per dare più visibilità ai piccoli gruppi (teatro, danza urbana,
clowns, ecc…) che sarebbero saliti sul crescentone37 insieme al grande carro degli acrobati.
Su questo grande carro si sarebbe arrampicato l’angelo cerimoniere con un ombrellone da
spiaggia: aprendolo avrebbe dato il segnale a tutti i percussionisti di iniziare a suonare con
forza, chiudendolo avrebbe invitato tutti al silenzio e al successivo coro collettivo, “una
spirale armonica di inaudita potenza e bellezza” si sarebbe sprigionata dalla piazza “per
liberarsi verso gli spazi siderali!”.38 In questo modo sarebbe stato sancito il finale della parata
2007. Ma le cose non sono andate proprio come erano state programmate, un po’ perché
l’orario della performance è stato anticipato, un po’ perché all’ultimo momento l’ombrellone
dell’angelo cerimoniere è stato sostituito da un grande paio di ali che sono sembrate ancora
più adatte e scenografiche per la conclusione della festa. Così, non tutti i partecipanti si sono
accorti dell’inizio del ‘rituale di chiusura’ e pochi gruppi hanno intonato la nota dell’accordo
collettivo.
Tutto ciò non è da intendersi come il fallimento del lavoro svolto dal laboratorio degli angeli
o come incapacità di organizzazione da parte dei promotori, ma come la conferma del
carattere performativo e quindi creativo e improvvisato di una manifestazione come Par Tòt
Parata, da cui risulta l’impossibilità di prevedere con sicurezza l’esito finale, l’incapacità da
parte di un attore di governare l’andamento della performance. Essa è il risultato di un gioco
di forze, di poteri che nessun singolo individuo può comprendere a pieno e dominare in
quanto ognuno resta limitato al proprio campo di azione e interpretazione. Il prodotto della
performance non può essere guidato e predeterminato da un agente esterno poiché è contenuto
all’interno del suo stesso meccanismo di attuazione.
In particolare l’esito della performance in questione ci mostra come un evento di tal genere,
nato da dinamiche di spontaneità e improvvisazione, sia indissociabile da queste
caratteristiche.
37
38
La superficie rettangolare sopraelevata che si trova al centro di piazza Maggiore.
Parole contenute nel volantino distribuito a tutti i partecipanti ai laboratori.
3.4 – Tattiche e astuzie del quotidiano
L’impronta di creatività, spontaneità e in un certo senso di imprevedibilità che abbiamo
potuto riscontrare nelle dinamiche interne al progetto Par Tòt Parata, caratterizza più in
generale tutte le attività sostenute dall’associazione Oltre… . L’intento di questi progetti è di
promuovere, attraverso un costante lavoro quotidiano, che non si esaurisce nei momenti di
maggior visibilità come parata e festival vari, modalità di vivere la città alternative rispetto a
quelle che vengono normalmente proposte e date per scontate dal sistema istituzionale nel
quale ogni individuo è immerso.
Nel secondo capitolo si è cercato di offrire una visione complessiva di quelle che sono le
iniziative principali dell’associazione relazionandole al concetto di spazio urbano, ora
cercheremo di vedere come questi progetti non siano estemporanei, ma si costruiscano nel
tempo, giorno per giorno. Scopo e allo stesso tempo nutrimento di questi progetti è il
coinvolgimento attivo di persone in un lavoro collettivo che si basa su pratiche relazionali fra
individui che, nel tentativo di convivere con le regole imposte dal sistema – o di sopravvivere
a esse – inventano modalità di azione e di intervento personali e creative.
Per l’analisi di queste dinamiche si rivela molto utile lo studio di Michel de Certeau (1990)
relativo alle pratiche quotidiane messe in atto dall’uomo comune nel corso della sua normale
vita. L’individuo, a un primo sguardo, può apparire passivo e assoggettato alle maglie
dell’ordine sociale costituito e ufficiale che impone prodotti preconfezionati e spinge i
consumatori ad un uso prestabilito di questi stessi prodotti. Se è vero che le strutture sociali
imperanti impongono modelli di comportamento e di consumo, manifestando la propria
volontà di dominio sull’individuo, d’altra parte, è possibile, scostando il velo che le maschera,
scoprire le mille astuzie grazie alle quali questo stesso individuo che sembra imbrigliato
riesce inaspettatamente a schivare ordini e costrizioni oppure a sovvertirli o manipolarli a
proprio vantaggio.
De Certeau pone l’accento sulla potenza insita nella dimensione del quotidiano, sulla
creatività che le tecniche di uso comune ci rivelano: «il quotidiano si inventa attraverso mille
forme di bracconaggio» (1990, p. 6), termine che rende perfettamente il senso di un’attività
che avviene di nascosto in quanto ufficialmente proibita. Si tratta di forme alternative di
produzione e di consumo che si manifestano in svariati settori della vita di tutti i giorni:
pratiche di lettura, pratiche di spazi urbani, vissuti o abitati, uso di ritualità quotidiane,
pratiche di arte culinaria.
Nonostante l’individuo sembri intrappolato e perciò costretto alla passività, nel momento in
cui consuma un prodotto o utilizza un modello culturale, anche semplicemente senza produrli,
egli non annulla completamente la propria inventiva, la propria soggettività espressiva. Per
esplicitare meglio questo concetto De Certeau si collega alle teorie dell’enunciazione
elaborate nell’ambito della semiotica generativa39 secondo le quali l’atto locutorio «mette in
gioco un’appropriazione, o una riappropriazione della lingua da parte di chi la parla; instaura
un presente relativo a un momento e a un luogo; e stabilisce un contratto con l’altro
(l’interlocutore) in una rete di spazi e di rapporti». Come per Saussure lo scarto tra langue (il
sistema ordinato di regole linguistiche) e parole (la creatività di colui che mette in atto
l’enunciazione) produce mutamenti continui nelle strutture linguistiche, allo stesso modo lo
scarto tra competenza (conoscenza dei modelli culturali e comportamentali dati da un sistema
sociale) e performanza (pratica attivata dal soggetto sociale, sia esso individuo o gruppo) apre
un varco a un’attività creativa che contiene molti potenziali elementi di innovazione e
trasformazione. Al soggetto, pur se nella condizione di dominato, è riconosciuto un ruolo
attivo, rintracciabile in un’«astuta» attività di produzione e di consumo che si addentra
silenziosa e quasi invisibile tra gli interstizi delle strutture di potere dominanti e che, senza
avere i mezzi per respingerle, riesce tuttavia ad aggirarle, a farsene gioco.
Sono pratiche nascoste, attività che non saltano immediatamente all’occhio dell’osservatore,
in quanto non possiedono spazi propri di azione e non possono contare su una base propria: in
questo senso De Certeau le definisce tattiche, distinguendole dalle strategie. La strategia è
una tecnica che può mettere in campo solamente chi detiene il potere: essa si fonda sul calcolo
di forze isolabili in un luogo ben preciso e, partendo da questo luogo che le è proprio e
rappresenta una mappa d’orientamento, essa può darsi un progetto complessivo, dominando
così il tempo, visualizzando chiaramente i propri confini e identificando con sicurezza i propri
nemici. La tattica è definibile in rapporto alla strategia: è una pratica che non può attuarsi in
un luogo proprio, ma nel luogo dell’altro, di chi controlla e domina; non possiede la capacità
di prevedere, di progettare un piano, perché in assenza di coordinate non può padroneggiare il
tempo e visualizzare gli ostacoli; ciò nonostante, grazie alla maggiore mobilità di spostamento
che la caratterizza, essa riesce a cogliere le «occasioni» che le si presentano e dalle quali
dipende;
“deve approfittare, grazie a una continua vigilanza, delle falle che le contingenze
particolari aprono nel sistema di sorveglianza del potere sovrano, attraverso incursioni e
39
Vedi A. J. Greimas e J. L. Austin.
azioni di sorpresa, che le consentono di agire là dove uno meno se l’aspetta” (1990, p.
73)
La tattica implica dunque un lavoro di straforo fatto di pratiche quotidiane che si insinuano
nelle maglie del sistema attraverso l’astuzia, che è in fondo l’arte del più debole, l’arte
creativa che si manifesta nelle condizioni di marginalità. E in questi spazi marginali ritorna
l’idea di una fase liminale intesa come pura potenzialità, come apertura a mille possibilità.
L’emarginazione è una condizione che nella società riguarda un numero di persone sempre in
aumento:
“sempre più sottomesso e sempre meno partecipe di questi grandi sistemi, l’individuo se
ne distacca senza però poterne uscire, e non gli resta che giocare d’astuzia, escogitare
stratagemmi, scoprire, nella megalopoli elettronica e informatizzata, l’«arte» dei
cacciatori di frodo e dei contadini di un tempo. L’atomizzazione del tessuto sociale
conferisce oggi una pertinenza politica alla questione del soggetto” (1990, p. 21)
Interessante è osservare il legame tracciato tra pratiche individuali e attività politica: le
pratiche infatti si situano come risposte alle forze dominanti e in rapporto ad esse sono altre
forze che scendono in campo e si affrontano nella stessa “arena politica”. In qualsiasi attività
pratica, apparentemente innocua, si cela in realtà un agguato nei confronti di un apparato
ordinatore: la pratica ha le caratteristiche di una performance dagli esiti imprevedibili,
rischiosa perché rimette tutto in discussione, scompone schemi ordinati lasciando spazio ai
più diversi riassembramenti, aggiunge, sottrae, modifica elementi.
L’individuo – come abbiamo visto sostenere anche da Krippendorff nell’elogio dello spirito
critico – ha quindi un enorme potere di intervento sulla realtà politica, sociale, culturale;
spesso non ne è però consapevole, non sa esattamente quale sarà la conseguenza delle sue
azioni. Chi detiene il potere al contrario è convinto di poter dominare la realtà, ma ignora la
forza insita nella circostanza poiché il risultato di una pratica non è prevedibile a priori, ma è
interno al meccanismo di attuazione della pratica stessa.
Tornando nell’ambito di questa ricerca, possiamo cercare di dimostrare in che modo le
dinamiche attraverso cui si svolge il progetto Par Tòt Parata siano più simili a quelle che
caratterizzano una tattica piuttosto che una strategia; questo ci servirà per comprendere
meglio la natura della manifestazione.
Innanzitutto si tratta di un progetto come abbiamo visto nato un po’ per caso, un po’ per gioco
e sviluppatosi un po’ per volta; gli stessi organizzatori non avevano in mente una via ben
precisa da seguire, con obiettivi prefissati, non pensavano che l’evento avrebbe attirato e
coinvolto un numero così elevato di partecipanti e ancora meno che sarebbe stato al centro di
polemiche e dure critiche come è successo nel 2006.
Le attività e i contatti attivati dall’associazione Oltre… sono spesso frutto di un percorso
spontaneo attento a cogliere occasioni e circostanze che spesso si presentano casualmente e di
cui vengono intuite probabili potenzialità. Questo vale ad esempio per il caso della Par Tòt
Parata, sorta sulla base di uno spunto colto in un’esperienza all’estero e successivamente
adattata a un diverso contesto e portata avanti secondo diverse modalità rispetto a quelle della
parata sorella di Bruxelles.
Elementi che ci suggeriscono una vicinanza tra le attività e i laboratori sotto la nostra
osservazione e la definizione di tattica proposta da De Certeau emergono in gran numero: si
tratta di iniziative culturali e artistiche accompagnate perciò da uno spirito di creatività e di
critica che si manifesta sia a livello simbolico, sia a livello pratico, rimettendo in gioco
concezioni e regole; proprio per questo non possono non avere dei risvolti sulla vita sociale e
politica della città (De Certeau propone una definizione polemologica di cultura, nel senso
che essa “dà articolazione ai conflitti e di volta in volta li legittima, spiazza o controlla la
ragione del più forte”). L’arte calata nello scenario urbano attraverso l’appoggio
dell’associazione Oltre… si esplicita attraverso forme performative che, come abbiamo visto,
sono pratiche situazionali (sfruttano occasioni e circostanze da cui dipendono), pratiche che,
pur se pensate a lungo, mantengono per loro intrinseca natura un’alta dose di incertezza e di
imprevedibilità. Questa caratteristica di improvvisazione e adattamento è anche dovuta al
fatto che il lavoro condotto dai laboratori in preparazione alla Par Tòt, le feste di
autofinanziamento e la parata stessa si svolgono dentro spazi che non appartengono loro, ma
sono dati in concessione: spazi privati o spazi pubblici che dovrebbero essere luoghi di tutti,
ma in realtà sono sottoposti al controllo di istituzioni che ne stabiliscono e sottopongono a
norma l’utilizzo (esplicativa a questo proposito è la questione sul percorso della sfilata
discusso per ore durante le Conferenze dei Servizi, sui permessi per occupare piazze,
capannoni, parchi). Anche le tattiche non agiscono in uno spazio proprio, ma nello spazio
dell’altro: troviamo allora un’altra analogia che ci porta a considerare l’attività in analisi come
una tecnica di sopravvivenza attraverso piccole astuzie e stratagemmi; un’attività che non è
sovversiva o legalmente condannabile, ma viene guardata con sospetto perché inventa
modalità alternative di vivere lo spazio e mette in crisi i modelli considerati legittimi.
Camminare attraverso le vie della città da un lato significa essere privi di un luogo, dall’altro
significa cercare di lasciare qualche impronta per avviare un processo di riappropriazione;
l’individuo che percorre lo spazio compie delle scelte e si ritrova circondato da incontri e
occasioni che affronta ogni volta in modo personale e originale.
Il progetto che analizziamo non si limita a eventi visibili una tantum, ma è costituito da una
continua attività quotidiana e silenziosa che passa attraverso canali diversi da quelli formali, si
diffonde nella realtà attraverso dinamiche che propongono nuovi modelli di socialità:
relazioni fondate su valori diversi da quelli dominanti del profitto, dell’economia, come
dimostra la gratuità dei laboratori che permette a chiunque di prenderne parte, da quelli del
consumismo che spesso diventa spreco, come si vede nel ricorso all’autoproduzione e
all’utilizzo di materiali di recupero. Anche la festa della zuppa ha un significato simile,
rappresenta un momento di condivisione comune e sulla scia di De Certeau può essere vista
come una tattica di “arte culinaria” utile “al tempo stesso a organizzare una rete di rapporti, di
bricolage poetici e un riuso di strutture mercantili” (1990, p.10).
Sono pratiche che consentono agli individui di aggirare il sistema senza sottrarvisi, di
mantenere la propria soggettività e le proprie differenze all’interno di un apparato strutturale
che essi incorporano e che sembra assimilarli esteriormente fino a portarli all’omologazione;
sono pratiche che si muovono nello spazio organizzato e controllato dal sistema attraverso
dinamiche che tutelano la diversità di ognuno.
Par Tòt Parata può essere vista come un tentativo di dare voce e visibilità a questa “realtà
sfuggente quanto diffusa di un’attività sociale che gioca con l’ordine che la sovrasta” (1990,
p.22), attraverso iniziative che permettono ai singoli cittadini, alla singole realtà urbane di
conoscere e condividere i propri personali modi di riappropriarsi del sistema esistente. È un
tentativo di dare forza a forme di socialità partecipative che sembrano essere scomparse in
un’epoca che isola gli individui ponendo barriere e rendendo più difficili gli scambi e le
comunicazioni.
3.5 – Par Tòt parata come network
Le iniziative dell’associazione Oltre… si sviluppano attraverso il dialogo con il territorio e
con i cittadini per diventare un cantiere aperto alla partecipazione di tutti e al confronto delle
idee. I vari progetti hanno lo scopo di valorizzare il brulichio ininterrotto di attività
socioculturali che sorgono e si svolgono in continuazione, ma spesso restano nell’ombra.
È importante ricordare che l’associazione ha creato una fitta rete di collaborazioni a livello
locale e internazionale. Nel caso di Par Tòt Parata è stato creato un vero e proprio network
che ha coinvolto nel 2007 oltre 80 realtà cittadine fra associazioni, circoli, centri sociali,
scuole, compagnie artistiche, musicali e teatrali.40 È stato proposto in sede europea un
progetto di gemellaggio tra la parata di Bologna, la parata di Bruxelles e la parata di Belfast
che punta a riuscire ad organizzare una grande parata comune in una delle città nel 2009.
Nell’ambito del Gran Festival Internazionale della Zuppa è stata attivata una collaborazione
con altre associazioni straniere in occasione del progetto europeo di cultura e istruzione 20072008 (Festival internationale de la S.O.U.P.E. – Symbole d’Ouverture et d’Union des Peuples
Européens).
Questa fitta rete di collaborazioni e scambi rappresenta un’importante risorsa per
l’associazione per cercare di evitare un rischio di chiusura e ripiegamento su se stessa. Il
continuo confronto con altre realtà costituisce uno stimolo fondamentale per mantenere quei
tratti di creatività e spontaneità con cui l’associazione è nata. Il network rappresenta una
specie di “trama di un’antidisciplina” che è ciò che De Certeau legge nelle pratiche
quotidiane. Una trama che è in costante costruzione e permette al soggetto di compiere infiniti
percorsi al suo interno, lasciandogli ampi margini di decisione e intervento.
La sensazione di poter esprimere liberamente il proprio modo d’essere e contemporaneamente
sentirsi accettati e viceversa accettare i differenti modi d’essere con cui si entra in contatto
nell’ambito di queste esperienze, emerge dalla parole di molti partecipanti agli eventi
organizzati dall’associazione. Ed è anche ciò che, nonostante le polemiche che hanno seguito
la Par Tòt del 2006, sostengono molti abitanti che hanno semplicemente osservato l’evento
dall’esterno, interpretandolo come un’occasione per rinnovare lo spirito di apertura, tolleranza
e creatività che ha da sempre caratterizzato la città di Bologna.41
40
41
Vedi Appendice.
Vedi i due articoli tratti dal mensile gratuito La Suburbana, riportati in Appendice.
Ricollegandoci a quanto abbiamo detto attorno al carattere situazionale dei concetti di
performance e ritualizzazione, possiamo provare a dimostrare come essi siano centrali in un
progetto che assume la forma di una rete e non di un sistema. Nella rete si può intravedere una
particolare forma di organizzazione che non immobilizza la realtà, che non pone limiti
invalicabili e si presenta aperta e disponibile al flusso di stimoli nei quali è immersa. Le
regole che questa rete segue non sono regole imposte da una qualche struttura esterna, ma
nascono e si modificano all’interno stesso del percorso e mantengono sempre un alone di
indeterminatezza che lascia spazio alla creatività e a possibili cambiamenti.
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Appendice
Conferenza stampa per la presentazione di Par Tòt Parata e Festfestival 2007
6 giugno 2007
Questa conferenza si è svolta presso la sala stampa di Palazzo d’Accursio in presenza di
giornalisti di giornali e radio locali e di edizioni locali di quotidiani nazionali. La
presentazione è stata fatta
da alcuni componenti dell’associazione culturale Oltre… ;
significativi sono stati gli interventi sia di alcuni conduttori di laboratorio, sia di partecipanti e
organizzatori di altre due festose sfilate cittadine collegate alla Par Tòt attraverso un network
europeo: la Zinneke Parade di Bruxelles e la Defilè de la Danse di Lione, le loro
testimonianze e riflessioni hanno contribuito a dare una visione d’insieme all’evento,
dall’interno e dall’esterno.
Qui di seguito la sbobinatura della registrazione:
Franz: buongiorno a tutti. Parto con dei dati tecnici sulla Par Tòt Parata, poi passeremo a
raccontare la realtà artistica e sociale dell’evento. Quest’anno, per cambiare percorso e per
evitare le polemiche dell’anno scorso, avevamo deciso di partire dal centro e concludere la
parata in periferia, sotto la tettoia “Nervi dell’Atc in via Fioravanti. Purtroppo però l’Atc42 ha
fatto notare troppo tardi che la tettoia “Nervi” era inagibile per un evento di grande portata
come Par Tòt Parata, cioè il numero di persone che sarebbero arrivate lì , stimate intorno alle
3.000, non avrebbero potuto avere un’unica via di fuga, non era sufficiente. Questa cosa è
stata per noi un po’una tristezza, sinceramente saremmo stati ben contenti di arrivare in
periferia e, notate, nonostante il fatto che quando si parlava con i partecipanti ci dicevano:
“Ma come? In periferia? Ma come?”, emergeva la voglia di arrivare come tappa nel centro
cittadino…
Dal pubblico interviene Mazzanti43: eh beh, certo, è più bello.
Franz: Sì, è più bello finire in centro come dice Mazzanti. Dunque… questo però è venuto
fuori all’ultima conferenza dei servizi; e c’è stato un po’ un momento di panico. Abbiamo
iniziato a vagliare tutti gli altri possibili movimenti. Poi è chiaro che una situazione come
42
43
Azienda comunale dei trasporti che gestisce il parcheggio di tettoia “Nervi”.
Claudio Mazzanti è il presidente del quartiere Navile, quartiere che offre il suo patrocinio alla parata.
quella di Par Tòt Parata, anche a livello di come è stata creata, non è che la puoi variare più
di tanto, perché c’è tutta una serie di artisti che hanno pensato le performances lungo il
tragitto, quindi non c’era più il tempo per dire: facciamola andare, non so, verso il quartiere
Porto o da un’altra parte, cioè, ci potrebbe essere quest’altro anno, ma, insomma, sono cose a
cui devi pensare insieme anche a chi la fa la parata. Abbiamo ricercato altre proposte, non le
abbiamo trovate, perché ad esempio arrivare in un parco per noi è una cosa che ci consuma.
“Perché non avete scelto il parco di Villa Angeletti?” Ma perché la nostra volontà, come voi
sapete, come abbiamo raccontato sempre ai giornalisti, è di far finire la festa durante il
giorno, cioè entro la sera; arrivare in un parco invece significa offrire un luogo a chi arriva, un
luogo in cui continuare la festa, per esempio il parco di Villa Angeletti ha avuto tanti
precedenti che non ci sembrava assolutamente il caso di ricalcare 44. Allora con un’idea che
devo dire anche è stata data dal presidente di quartiere45, ha preso forma in sede di Consiglio
Comunale , cioè era più volte stato discusso il fatto che in fondo l’errore famoso era quello di
essere andati a piazza San Francesco e che se ci fossimo fermati in piazza Maggiore e
avessimo considerato l’evento di Par Tòt Parata come uno dei quei tanti eventi che da anni
vengono creati in piazza e che raccolgono anche molte più persone - il concerto di Miriam
Makeba recentemente, quello di Gilberto Gil, insomma attività che richiamano migliaia e
migliaia di persone - con la giusta organizzazione si sarebbe svolto tutto nel migliore dei
modi. Noi in fondo non avevamo tante alternative, se avessimo avuto più tempo, parlo almeno
come associazione Oltre, sicuramente ci saremmo scervellati per trovare un modo di arrivare
in periferia, perché sinceramente anche a livello simbolico ci tenevamo tanto, davvero tanto.
Però insomma abbiamo detto: va bene, allora accettiamo con serenità che la parata finisca in
piazza Maggiore.
Lydia: non avevamo altra scelta…
Franz: non avevamo altra scelta…potevamo scegliere di non fare la parata, però ci sembrava
veramente il colmo. Quindi contiamo appunto fortemente sulla co-responsabilizzazione di
tutte le realtà cittadine. Vale a dire del fatto che, come succede anche a Bruxelles, noi
abbiamo pensato l’evento in modo che si arrivi in piazza Maggiore attorno alle otto, otto e
mezza. E ci sarà un’ora di performance coordinata, perché è stata pensata con tutti gli artisti, e
un finale collettivo: e qui finalmente un primo dato artistico, per non parlare sempre di cose
44
Il parco di Villa Angeletti è stato in passato il luogo d’arrivo della controversa sfilata antiproibizionista , la Street
Rave Parade.
45
Si tratta di Claudio Mazzanti.
noiose… il dato artistico è che, come l’anno scorso ci siamo immobilizzati per cinque minuti,
quest’anno c’è una gran voglia di ritrovare la performance finale. Se l’anno scorso eravamo
tutti immobilizzati, quest’anno saremo in armonia, vale a dire che abbiamo diviso i gruppi
della parata in tre note: una nota bassa, una nota media e una nota alta.
A tutti abbiamo anche distribuito un’armonichina per ritrovare la nota nel momento del gran
finale della parata.
Quindi abbiamo strutturato una forma di cerimonia finale, cerimonia di chiusura… e badate
che anche questa idea ci è pervenuta da uno degli artisti della parata… e questa cerimonia di
chiusura consisterà proprio nel ricreare una grande armonia, tutti i gruppi della parata
intoneranno queste tre note e dopo un grande applauso andrà in scena l’Hera 46… cioè un
grande applauso verso le nove e mezza, nove e quaranta sancirà la fine della parata, il gran
finale collettivo.
Ovviamente le nostre performances hanno un po’ sempre un sapore di utopia , cioè non vi so
dire esattamente in quanti faranno la nota, in quanti una mezza stonatura. Sicuramente per noi
non sarà solamente un insieme di suoni, per noi di Par Tòt Parata sarà sicuramente
un’armonia e con quella finiremo.
E questa performance è stata ampiamente spiegata a tutti i partecipanti, cioè, inutile dire che
continua sempre la grande attività di coordinamento di tutti i laboratori, quindi si va di
laboratorio in laboratorio e si spiega esattamente come si svolgerà la parata. In più abbiamo
messo dei volantini informali che potete vedere in tutta Bologna in cui spieghiamo il
percorso, l’orario e come è nata Par Tòt Parata e come la viviamo e poi chiediamo ai
partecipanti che la parata sia sempre come è nata, cioè di “tòt e par tòt” e non qualcosa
d’altro.
Quindi il nostro massimo impegno per far si che si vada avanti in questo modo.
Io vi dico che sto facendo veramente una gran fatica ad aver messo l’input su queste cose
perché, in realtà, quello di cui mi piace di più poter parlare quando si tratta di Par Tòt Parata
è presentare il coinvolgimento di tutte le realtà che ne fanno parte, che è molto più bello e
molto più interessante.
Per esempio vorrei introdurre, e lascio dire alcune cose anche a loro, innanzitutto Marianna
Allegri che è dell’associazione I Giardini del Guasto che sono in questo momento, secondo
me, uno dei luoghi più avanti di Bologna, perché sono una vera e propria oasi di cultura e di
attività innovative all’interno del comune di Bologna. Probabilmente la conoscete, è proprio
in piena zona universitaria, là dove sembrerebbe impossibile fare qualcosa di diverso, loro
46
Hera, in quanto società che si occupa anche della pulizia di strade e piazze, metterà in azione le sue macchine subito
dopo il finale della manifestazione.
stanno facendo attività per bambini; non è facile, hanno problemi tutti i giorni però vanno
avanti, continuano. Io, per esempio, parlando con Marianna dicevo “beh in fondo anche chi
viene qua trova un luogo che fa ben sperare”.
Anche la Par Tòt Parata non è facile da fare perché appunto quando vai a pensare ai giovani
che consumano gli eventi culturali in un’altra maniera… 3.000 sono quelli della parata, ma in
più tutti gli altri. Non è facile andare avanti a creare eventi culturali in questa maniera, però
vogliamo provarci, perché se no sarebbe troppo facile metter la parola fine.
Lascio la parola a Marianna che spiegherà l’attività del suo laboratorio Par Tòt e di come
coinvolgerà i bambini il giorno della parata.
Marianna Allegri: sì, il punto è rammentare che la Par Tòt non è solo per i ragazzi che sono
normalmente il gruppo più cospicuo, più grande della parata, ma ci sono anche i giovanissimi,
i bimbi di tutte le età a partire proprio da quelli più piccini.
E stanno facendo dei laboratori, quest’anno il tema è l’acqua e il laboratorio si chiama H 2O
del Guash. Un laboratorio che si svolge tre pomeriggi alla settimana ai Giardini del Guasto. Io
che sono mamma di quattro figli vi assicuro che si divertono tutti, di tutte le età, partecipano
sempre molto volentieri.
L’esperienza mia è che c’è sempre molta reticenza ad avvicinarsi al giardino per via della sua
collocazione, insomma ci sono molti preconcetti, molte paure. Effettivamente è un’oasi,
un’oasi da tenere appunto stretta, da difendere perché veramente si respira un’atmosfera
molto bella. Quando finalmente si decide di avvicinarsi, non si vuole più abbandonare. Si
trovano tutti molto bene.
Venite a vederli, a vedere i laboratori. I bambini sono molti e poi ci siamo noi
dell’associazione. Io abito in Via Petroni, quindi potete immaginare che sfogo sia il giardino
del Guasto per i miei bimbi insomma. Sarà il punto di ritrovo di tutti i laboratori, non solo
quelli del giardino, ma di tutti i laboratori per bambini che ci sono stati in preparazione alla
Par Tòt. Da lì tutti i bimbi si muoveranno unitamente alle loro famiglie naturalmente, ci
siamo anche noi che non siamo proprio giovani, tutte le età partecipano alla parata. Lì sarà il
punto di ritrovo, poi da Via Belle Arti si percorrerà Via delle Moline per ritrovarsi in Via
Indipendenza con il grosso della Par Tòt e poi si proseguirà tutti insieme.
Giornalisti: e come saranno vestiti?
Marianna Allegri: ah…venite a vederci!
Franz: …però ho visto delle gonne con delle bottiglie dietro, un carro…
Marianna Allegri: sì, sì, ci sarà questo carro fatto di bottiglie di plastica…
Franz: posso dirlo? Il carro è un carro fatto con una vasca da bagno che abbiamo trovato
nella spazzatura… E’ stata richiesta una vasca da bagno e con questa vasca è stato costruito il
carretto per H2O del Guash.
Marianna Allegri: c’è poi una scala e bisognerà capire come muoversi con la vasca da
bagno.
Giornalisti: e quanti sono i bambini?
Marianna Allegri: ah, tanti! C’è un avvicendamento, perché non c’è da iscriversi quindi non
tutti i bimbi vengono sempre al laboratorio, c’è sempre un movimento di bambini, non si sa
quanti siano precisamente, comunque sono davvero molti.
Giornalisti: e in parata?
Franz: ah, in parata sono oltre cinquanta…
Marianna Allegri: poi questi laboratori sono iniziati nei primi giorni di maggio, quindi, forse
semplicemente con l’inizio del bel tempo, i bambini avevano proprio voglia di avvicinarsi.
Quindi partecipano sempre in tanti.
Giornalisti: e che percorso farete?
Marianna Allegri: via delle Moline e poi arriviamo in via Indipendenza e da lì ci uniamo al
resto della parata.
Franz: e un altro che fa laboratori per bambini invece è Malick Kaire Gueye
dell’associazione Acabas47. Malick non fa un solo laboratorio, ma ne fa due, sei quello che ne
47
L’associazione A.C.A.B.A.S. (Amici del Cuore per dare Aiuto ai Bambini Africani nelle Scuole) si propone di
promuovere l’integrazione sociale e culturale tra Italia e Senegal, con un progetto volto ad aiutare e migliorare la
fa di più tu. Quindi un altro dato: la parata che è anche parata interculturale ma del tutto
spontanea, cioè la partecipazione anche di persone di culture diverse avviene in maniera
spontanea. Malick ci segue fin dalla prima parata e come tutti tiene questi laboratori
gratuitamente, quest’anno ha deciso di farne due: quindi fa un laboratorio di percussioni per
bambini e un altro di percussioni per adulti e il giorno della parata andranno insieme. Siamo
stati tre giorni fa a vedere il suo laboratorio che è il classico esempio laboratorio di
percussioni in cui ci sono in media ragazzi di vent’anni con i capelli rasta, pieni di energia e
di voglia di fare e che gli vai a dire: “la parata si farà così e così altrimenti ci fanno storie” e
loro “ma uffa! E noi dove dobbiamo andare? Insomma vogliamo poi fare festa!” E insomma
gli si spiega, Malick stesso gli ha spiegato come e perché, che tipo di problemi ci sono a
prolungare la festa e il livello di autocoscienza man mano sta diventando sempre più alto.
Lascio la parola a te.
Malick: buongiorno a tutti. Benvenuti. Prima di tutto voglio ringraziare l’associazione
Oltre…, che ha dato la possibilità di stare insieme. Io sono musicista, percussionista
senegalese, da molti anni a Bologna, voglio dire che Par Tòt è qualcosa che siamo tutti
insieme, par tòt. Delle volte le parole non combaciano con i fatti, invece stando dentro questa
Par Tòt voglio dire che parole e fatti combaciano, siamo tutti insieme: bambini, adulti e tutte
le età vengono. Non solo, voglio dire che tengo due laboratori, uno con adulti, come dicevi tu,
e uno per bambini dai tre agli otto anni. Quando vedete loro, vedete quello che è. Voglio dire
che nella cultura, ci sono tre elementi che sono fondamentali: musica, costumi e cucina.
Africa, la sua musica è percussioni; delle volte sentite dire in giro “è solo rumore, rumore”
beh, sono contento di avere una cultura che ha dei rumori, almeno cambio, c’è qualcosa di
diverso, non sono le solite cose che si sentono. Io non voglio annoiare nel ripetere le cose,
siamo tutti insieme, non solo tutti insieme, vengono tutti rispettati, perché entrando dentro
questa Par Tòt si vede che c’è rispetto. Vai dentro e vedi il mondo, vedi di tutto: Africa,
Brasile… di tutto, tutto il mondo è dentro. Si vede che è uno spettacolo molto importante. Noi
vogliamo restare rispettati e insieme, siamo belli perché siamo diversi. La nostra diversità è la
bellezza. Grazie di tutto.
Franz: grazie Malick. Adesso vorrei veramente far parlare tutti. Volevo solamente far dire
alcune cose ai nostri ospiti che vengono dall’estero. Anche questo qui è un altro grande
orgoglio che abbiamo: quello di aver creato degli scambi internazionali ormai fissi, sempre in
struttura e il funzionamento di una scuola elementare di Thies, cittadina senegalese vicina a Dakar e luogo natale di
Malick Kaire Gueye.
maniera informale. Stiamo ospitando in questo momento venticinque persone venute da
Bruxelles. Come ogni anno c’è qui Matteo Segers, direttore della Zinneke Parade di Bruxelles
e Philippe del collettivo Boite à clous, a capo appunto di quel laboratorio di cui vi dicevo
prima, che veramente quest’anno è stato la chiave di volta della Par Tòt Parata perché sono
favolosi nel loro modo di coinvolgere e di lavorare. La differenza rispetto agli altri anni è che
stanno facendo non solo uno spettacolo, ma un laboratorio, cioè sono venuti qua prima per
fare un laboratorio, per coinvolgere quindi ragazzi italiani nel loro laboratorio. Poi lascio la
parola a loro, ma vi dico anche che quest’anno abbiamo chiamato anche quelli della Defilè de
la Danse di Lione. Quindi quest’altra parata che viene fatta ogni due anni a Lione,
estremamente bella e grande come la Zinneke Parade di Bruxelles. Loro hanno fatto un
gemellaggio con il gruppo di samba, i Sambaradàn, tenuto da Luana Redalié, e in questo
momento sono ospitati a casa loro, sono anche loro venticinque e loro sono venuti invece con
uno spettacolo, una coreografia di danza e percussioni che ci faranno vedere in parata.
Lydia: naturalmente l’anno prossimo quelli di Sambaradàn andranno a Lione perché c’è
scambio.
Franz: ovvio, abbiamo la nostra collaborazione anche con un’altra parata che è quella di
Belfast, noi siamo stati là la scorsa estate, loro non sono potuti venire, il prossimo anno
avremo anche Belfast. Matteo se vuoi dire due cose…
Matteo Segers: si, grazie a Francesco, un ringraziamento all’associazione Oltre…, ma anche
alla città di Bologna per accogliere noi tutti belgi di Bruxelles, della Zinneke. E’ molto
importante per noi stare qua, perché sono già tre anni che c’è un partnerariato BruxellesBologna; la parata di Bruxelles si chiama Zinneke, c’è stata un’evoluzione nel comportamento
dello spettacolo perchè da voi in Italia c’è un po’ più di spontaneità ed è molto importante che
noi direttori della Zinneke possiamo vedere come si fanno le cose qui in Italia. Le cose a
Bruxelles cambiano anche con questa idea che fate voi qui alla Par Tòt, è bellissimo, per noi
veramente la Par Tòt è una piccola sorella, ma è di più di una sorella, è anche una sposa…
aspettiamo qualche anno per fare un matrimonio ufficiale, però per noi adesso è molto
importante stare qui in Italia. Volevo solo dire che a Bruxelles il lavoro che facciamo noi è un
lavoro politico, politico perché lavoriamo con quartieri dove non c’è cultura. Siamo stati due
mesi fa al Simposio e abbiamo visto che a Bologna c’è realmente, e mi pare anche in Italia, un
problema di democrazia, perché si vede che la cultura non è più adesso nelle mani dei
cittadini, la cultura pare che è nelle mani dei politici. Perciò un’organizzazione come la Par
Tòt sarebbe per noi un’organizzazione tipica per fare cultura insieme, per ricordare che la
cultura è importantissima per tutti, bambini, adulti, vecchi, per fare le cose insieme e farle
così in modo migliore. E’ molto importante per noi che se c’è un’idea di lavorare insieme
culturalmente, c’è anche un’idea di lavorare assieme sull’etica e la politica che vogliamo fare
nel mondo. Dunque volevo dire che abbiamo fatto un altro progetto che abbiamo proposto
all’Europa, di lavorare con Bruxelles e Bologna, nel 2009 speriamo di fare un incontro più
grande con tanti artisti per una parata e vedremo in quale città.
Franz: abbiamo fatto un progetto europeo. Cultura 2007
Matteo Segers: volevo dire che anche quest’anno ci sarà in Par Tòt un po’ di immagine di
Bruxelles. Abbiamo aiutato gli artisti di Boite à clous a fare un incontro con gli organizzatori
della Par Tòt perciò loro tengono un laboratorio, Philippe è il direttore artistico e ci spiegherà
un po’ cosa fanno qui. Speriamo che sabato farà bello, speriamo che ci sarà grande festa e
speriamo di andare sempre avanti a fare un bel progetto europeo con italiani e belgi e tutto il
mondo.
Aline traduce Philippe : allora io mi chiamo Philippe e lavoro alla Boite à clous, che è un
collettivo. Si dice che sono il direttore perché voglio solo io fare lo spettacolo, ma invece c’è
posto per tutti… Noi abbiamo fatto la Zinneke e lì abbiamo scoperto che si ha paura di fare
aperture anche ad altra gente di altre culture ed è stata un’esperienza molto importante.
Veniamo alla Par Tòt con la stessa idea, non è che vogliamo fare più bella la parata, ma
vogliamo incontrare la gente, condividere le cose e portare le esperienze sperando di
trasmetterle ai partecipanti. Comunque vogliamo fare tante cose belle, siamo arrivati qui con
tanto cartone, tanto scotch e adesso non c’è più né scotch, né cartone, ma ci sono un sacco di
marionette in costruzione, una lumaca gigante, un cavallo gigante… e vengono così fuori
spontaneamente tanti animali. La nostra storia è che siamo venuti dal nord e siamo scesi qui
in Italia per scoprirne la bellezza, il sole e tutte queste cose.
Lydia: e lei è Aline Claus, è qui con noi da più di un mese e ci dà una mano per il Festfestival e la Par Tòt. Lei è una marionettista.
Aline traduce Philippe: siamo contentissimi perché c’è un sacco di gente che è venuta al
nostro laboratorio e c’è un ambiente proprio bellissimo, c’è un’atmosfera di festa ma anche di
lavoro, per mettere insieme le cose. Siamo contenti anche per l’accoglienza.
Franz: prima di lasciare la parola a Claudio Mazzanti, voglio lasciar dire due parole ai nostri
amici di Lione.
Portavoce del gruppo di Lione: a Lione come a Belfast, a Bologna, a Bruxelles, a
Barcellona, a Bordeaux esiste una grande parata che è legata alla Biennale della Danza. E’
una parata che raccoglie 3’000-4’000 partecipanti e 200’000-300'000 spettatori. La sfilata
porta avanti come prima cosa la danza, ma ci sono anche laboratori per un anno e mezzo di
grafica, costumi, musica; ma la danza è al centro. Il nostro gruppo mette insieme diversi tipi
di danza come danza urbana, danza latina e altre ancora. Il nostro fine è quello di mettere
insieme tutti questi stili diversi e di creare uno spettacolo di meticciato culturale, quindi un
po’ come avviene anche a Bruxelles e a Bologna.
Franz: io adesso taglio un po’ perché se no anche per voi diventa tardi. Lascio la parola a
Claudio Mazzanti e a Lydia. Claudio è presidente del Quartiere Navile, quartiere che ha dato
il patrocinio per Fest-festival e parata, e ci ha seguito da vicino in tutto il nostro iter, anche
l’anno scorso nei momenti difficili come voi ben sapete, ma anche nei momenti più belli. C’è
anche Daniele48, anche lui una delle persone da sempre vicine.
Claudio Mazzanti: sarò velocissimo. Naturalmente la collaborazione con il quartiere nasce
un po’ di anni fa, c’è stato un crescendo; le iniziative sono state bellissime, stupende per cui
anche quest’anno abbiamo partecipato all’iniziativa. Abbiamo ritenuto come quartiere di
continuare nonostante le vicende in cui l’anno scorso è stata coinvolta la Par Tòt Parata e
credo che l’aver mantenuto sia da parte nostra che da parte dell’iniziativa ben ferma questa
scelta, sia una dimostrazione dell’importanza di quest’evento. Già il fatto di vedere tante
realtà europee che collaborano con molta gente veramente ci fa solo che piacere per la
tradizione di Bologna. Una questione che purtroppo sconta sempre e comunque questo tipo di
eventi è la capacità economica, il reperimento di risorse per poter poi fare questi eventi.
Anche quest’anno ci si è riusciti, chiaramente bisognerà far si che questo tipo di realtà
riescano comunque sempre a trovare poi la strada per essere attuate perché sono situazioni di
48
Daniele Gentile è un tecnico del quartiere Navile.
ricchezza importanti per gli abitanti, per i cittadini, per tutti quelli che si avvicinano a una
realtà come questa che porta in strada una grande parte di quella che è la tradizione culturale
errante delle nostre popolazioni; delle popolazioni non solo bolognesi, come ben qui si vede,
ma di tutta Europa.
Questo è lo spirito con cui noi quartiere abbiamo sempre dato una mano e aiutato questo tipo
di eventi, perché riteniamo che riqualifichino in modo significativo il territorio della città.
Lydia: la Par Tòt parata viene apprezzata perché attiva tutti questi contatti con altre realtà
europee e la creazione di un network le dà visibilità. Così il Fest-festival corre il rischio di
passare in secondo piano. Il Fest-festival comunque lo facciamo per l’ottavo anno e
quest’anno la provincia non ci ha dato certezze e quindi noi francamente non sappiamo ancora
se la situazione economica del Fest-festival , se ha soldi, questo lo dobbiamo ancora vedere.
Comunque lo facciamo ancora per quest’anno, dopodichè si vedrà. E abbiamo dato un nuovo
titolo perché comunque noi siamo in periferia fin dall’inizio con il Fest-festival, nel quartiere
Navile a Corticella. Si chiama quest’anno Fest-festival VIIIª edizione Bologna Playa Popular.
Con l’aiuto di Aline e di altri che si occupano dell’allestimento, volevamo giocare su questo
allestimento, sull’ironia, su come la periferia può diventare un luogo comunque accogliente e
piacevole e quindi accogliere tutti gli eventi in programmazione, che io in questo caso vi direi
trovate nella cartella stampa, dove ci sono tutti gli spettacoli, i concerti, tutto quello che noi
riusciamo a fare. Ci sono anche quattro artisti che vorrei sottolineare in particolare vengono
dal Venezuela49, sono già venuti quattro anni fa quando il Fest-festival lo facevamo ancora
allo Zonarelli50. Noi siamo molto contenti di poterli accogliere nuovamente e dobbiamo dire
che noi come Fest-festival non potremmo mai permetterci un gruppo del genere dal punto di
vista economico se non fosse attraverso il canale di amicizie. Al Fest-festival molti artisti
vengono perché ci tengono, però il Fest-festival non riesce mai ad avere abbastanza. E questo
dipende dal peso che uno dà a un certo tipo di cultura, dopodichè uno sceglie che cosa si può
o non si può fare nella città. Il Fest-festival secondo noi non trova sempre abbastanza
sostegno.
È arrivata anche Emi. Lei lavora in Comune al settore immigrazione, al Fest-festival lei è un
perno. Quest’anno la cucina si chiama “la maga delle spezie” perché appunto la nostra maga è
Emi. Poi c’è Anna che anche quest’anno organizza il Fest-festival. Vorrei dire che tutta la
gente che lavora al Fest-festival fa volontariato, e questa è proprio una delle questioni che ci
49
Si tratta della compagnia di danza venezuelana “Sarta de cuentas”.
È un centro culturale del quartiere San Donato. Ospita durante tutto l’anno attività di vario genere organizzate da
diverse associazioni.
50
stiamo ponendo. Perchè io ho iniziato dicendo che noi ci stiamo chiedendo il senso del fare,
guardiamo a Lione, guardiamo a Bruxelles. Secondo me qui a Bologna siamo al limite dello
sfruttamento del volontariato, è una situazione tutta italiana, io non sono italiana quindi
conosco anche altre realtà e altre situazioni. Vedo che tutti qui vanno sempre avanti, seguendo
questa mentalità che è quella che conoscono…quindi uno va avanti in questo senso. Io con
questo volevo chiudere: volevo dire, anche come diceva all’inizio Franz, che noi dobbiamo
riflettere in continuazione sulla motivazione, sul perché facciamo le cose. E allora noi
viviamo in questa città, la città in qualche modo è il luogo in cui viviamo, in qualche modo è
nostra; se veniamo da tutta Italia, dal Senegal, dall’Austria o da non so dove, comunque la
città è anche nostra e noi cerchiamo quindi di incidere sul ritmo di questa città. E, se mi
permettete, vi leggo una poesia di una poetessa polacca, che ho trovato poco tempo fa su un
giornale, perché mi piace tantissimo. Lei parla di un presentimento di nuovo ritmo del mondo,
lei parla anche di un nuovo ritmo della città. E lei dice: ‹‹L’unica gavetta è mantenere il ritmo,
la visione dell’armonia, che ci prende tra le sue braccia come bambini, madre innocente di
consolazione››. Noi siamo alla ricerca di questa armonia in una città che è poco armoniosa, in
cui si parla solo di degrado e sicurezza. Noi cerchiamo di riempire i contenuti di sicurezza con
altro: con il coinvolgimento e la partecipazione. Ho chiuso.
Simposio Par Tòt
22 marzo 2007
L’Associazione Oltre… ha organizzato nel marzo di quest’anno un simposio dal titolo
“Ognuno è un artista.51 È possibile fare politica dal basso, ballando insieme e battendo i
tamburi per le strade delle nostre città? È possibile una politica bassa accanto a quella alta,
una politica che non sia arte del possibile e della mediazione, ma che sia arte, cioè
espressione di sé e dei modi di stare con gli altri? È possibile un teatro che sia recitato da
tutti e non proposto da pochi?”
Un evento che si inserisce all’interno del percorso di Par Tòt Parata come momento di
riflessione e confronto sul tema del fare arte e cultura nel contesto cittadino e sul rapporto tra
arte e politica. Per questo sono state invitate a prendere parte alla discussione persone
provenienti da diversi ambiti: professori universitari italiani e non, politici, artisti e operatori
nel settore culturale, organizzatori e partecipanti della Par Tòt Parata, direttori di altri festival
artistici europei. Il convegno è stato un’occasione per mettere a confronto diverse visioni,
diverse esigenze, rendere possibile uno scambio di idee, spunti e proposte e trovare dei
possibili punti di convergenza. L’incontro si è svolto presso la sala Silentium di vicolo
Bolognetti52 e ha ricevuto l’appoggio dell’assessore alla Cultura e Rapporti con l’Università
del Comune di Bologna Angelo Guglielmi.
Ospiti invitati:
Chiara Sebastiani (professore di Scienza delle amministrazioni locali, Università di Bologna)
Alberto Ronchi (Assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna)
Ekkehart Krippendorff (professore emerito di Scienze politiche e relazioni internazionali,
Freie Universitaet Berlin)
Myriam Stoffen e Matteo Segers, ( Organizzatori della Zinneke Parade di Bruxelles)
Goro Osojnik e Anka Pirs Lucignano (Direttori del Festival Ana Desetnica di Ljubiljana)
Moderatore:
Vincenzo Fano (membro dell’associazione Oltre… e professore di Storia e filosofia delle
dottrine politiche presso l’Università di Urbino)
51
“Jender Mensch ist ein Kuenstler”, celebre frase di Joseph Beuys (1921-1986). È un modo per riaffermare il concetto
di “arte totale”, riportando l’esperienza estetica al vissuto quotidiano dal quale nessuno è escluso.
52
Sede del consiglio di quartiere San Vitale.
Mi sembra utile riportare qui di seguito la sbobinatura53 degli interventi del Simposio perché
ci può fornire ulteriori elementi per comprendere l’orizzonte entro cui opera l’associazione
Oltre… e le finalità delle sue iniziative.
Franz54: è possibile fare politica dal basso? Ballando insieme battendo i tamburi per la città?
E’ possibile una politica bassa accanto a quella alta? E’ possibile una politica che non sia
soltanto arte del possibile e della mediazione ma che sia arte cioè espressione di sé e dei modi
di stare con gli altri? Un teatro che sia recitato da tutti e non proposto da pochi?
Che cosa stiamo facendo? Questa è la domanda che vorremmo porci dopo il primo simposio
par tòt realizzato 3 anni fa dal titolo: “quando la strada va in cattedra”…ora di strada ne
abbiamo fatta tanta.
Ognuno è un artista, ogni uomo e ogni donna è un artista. Cercheremo di capire se è vero o
non è vero.
Grazie al quartiere San Vitale, a chi viene da Bruxelles e da Ljubiljana e ai cuochi del
buffet…grazie a Enzo moderatore e scrittore dell’introduzione.
Benvenuti al secondo simposio della Par Tòt: “Ognuno è un artista”.
Enzo Fano55: Grazie agli artisti e a Franz,
entriamo subito nel vivo del discorso, ci saranno docenti universitari, politici, organizzatori e
partecipanti della parata.
Grazie alle parate ospiti di Ljubiljana e Bruxelles
Un applauso per Lydia Buchner, anima cuore corpo tendini muscoli ecc… dell’associazione
Oltre…
Ringrazio Chiara Sebastiani56, sostituisce Paola Bonora57 che non può essere presente a causa
dell’influenza.
Chiara Sebastiani insegna Scienza delle amministrazioni locali a Scienze politiche.
Chiara Sebastiani: Il mio intervento s’intitola Riflessioni non sistematiche, una serie di
domande e riflessioni aperte sui temi che avete proposto.
53
Mi è stata inviata via e-mail dall’associazione stessa.
Francesco Volta fa parte da anni dell’Associazione Culturale Oltre… ed è uno dei principali organizzatori della Par
Tòt Parata.
55
Vincenzo Fano è membro dell’associazione e docente di Storia e filosofia delle dottrine politiche presso l’Università
di Urbino.
56
Chiara Sebastiani insegna Scienza delle amministrazioni locali all’Università di Bologna.
57
Paola Bonora insegna Scienze della geografia presso l’Università di Bologna.
54
Mi dispiace che non ci sia Paola Bonora perché contavo sul suo intervento per collocare la
riflessione sul contesto della città.
Arte, politica e partecipazione non contestualizzati sembrerebbero troppo astratti: dunque arte
e politica nella città. Le riflessioni nascono da una serie di esperienze radicate nella città.
Arte e cultura, cultura e politica assumono un vero significato se si contestualizzano nella
città.
Primo punto: Arte e cultura…mi fermerò di più sul termine cultura che mi permette di calare
l’idea dell’arte in un contesto specifico che è l’arte nella città.
La cultura ha a che fare con la produzione di senso, con tutte quelle cose che riguardano la
qualità della vita urbana, con la ricerca e la produzione di senso nella vita quotidiana, cose che
non hanno a che fare con risposta a bisogni immediati e neanche con la politica intesa come
competizioni tra partiti e gruppi politici.
Seconda riflessione: quale rapporto tra cultura e politica, si può fare politica facendo cultura,
ballando e cantando per le vie della città? Questo spinge a introdurre il rapporto tra politica e
cultura, un rapporto molto complesso e spinoso, cercherò di spiegare il perché…
Partiamo da esempi: cosa significa l’esperienza culturale nella città? possiamo affrontare
l’argomento dal punto di vista della produzione della cultura o da quello della fruizione della
cultura.
Con produzione intendo la produzione di tutte le forme di espressione artistica cioè
produzione di qualcosa che ha a che fare con la ricerca di senso. Non si tratta solo della
produzione di quadri o sculture, ma tutte quelle forme di produzione culturale dal basso…
cultura dal basso : cultura che non gode dei mezzi istituzionali di produzione culturale, non si
appoggia a istituzioni e non ha grandi risorse economiche.
Come esperienza di consigliere di quartiere ho avuto modo di osservare come ci sia una
grande quantità di produzione artistiche che nascono in centri sociali, sale di quartiere, luoghi
d’incontro giovanili. Tra cittadini di vecchia data e nuovi cittadini: iniziative che lasciano
anche il segno sul territorio (manifesti, volantini, piccole performance musicali).
Mi viene in mente una sera che passavo per una via considerata particolarmente degradata.
Un luogo dove si scontrano istanze diverse: chi vuole vivere la notte, chi vuole dormire, chi
ha bambini ecc. in questo luogo c’era, una sera, un gruppo di ragazzi che suonava Jazz soft.
Questi ragazzi erano sicuramente bravi, ma avevano creato una specie di miracolo…avevano
creato un gruppo di ascoltatori ampio ed eterogeneo all’interno del quale si era formata una
specie di simpatia reciproca…Questa microforma di produzione di cultura lascia il segno nel
territorio urbano.
Si parla di produzione di cultura alta come qualcosa di alta qualità e di conseguenza per
cultura bassa s’intende spesso bassa qualità, qualità popolare, di massa, ma non è vero perché
la produzione di cultura dal basso produce dei segni sul territorio che hanno non solo
incidenza ma anche qualità molto alta.
Si produce in questo modo una commistione tra produzione e fruizione della cultura…
La domanda successiva è: qual è il rapporto tra fare cultura e fare politica? Ho provato a
scomporre questa domanda sotto diversi punti di vista: dall’alto, il punto di vista delle
istituzioni e dal basso, cioè di chi ne usufruisce.
Dall’alto significa: qual è o quale dovrebbe essere il rapporto delle istituzioni con la
produzione della cultura? Lascio questa domanda aperta.
Siamo in una situazione in cui dappertutto i governi delle città hanno sempre più cose da fare
e sempre meno risorse che vengono concentrate sul welfare: cioè sui bisogni primari di una
città per garantire ai cittadini una buona qualità della vita.
In questa situazione rischia di passare l’idea che la cultura e la possibilità di produrre cultura è
un bisogno secondario…bisogna evitare che si arrivi alla conclusione che la cultura non sia
considerata un diritto…
Dal basso la si può veder in un altro senso: è possibile che produrre cultura non sia in qualche
modo fare politica?
C’è una grande tradizione di cultura impegnata…ma io mi voglio focalizzare sul punto se fare
cultura dal basso nella propria città ha a che fare con il fare politica.
Qui ci viene in aiuto il concetto di cittadinanza attiva. I ragazzi che suonavano rientrano nel
concetto di cittadinanza attiva, perché quei ragazzi non solo si esibivano ma incidevano sul
territorio e sulle relazioni.
Il concetto di cultura dal basso a che fare con diversi concetti: scoperta del territorio,
comunicazione del territorio e messa in comune del territorio. (es: video, fotografia che danno
una grande espressione artistica alla scoperta del territorio…grande interesse nell’urbanistica,
soprattutto da parte delle donne).
I percorsi di progettazione partecipata sono sempre più attenti a forme di comunicazione
contaminanti con forme di espressione artistica.
Oltre al concetto di cittadinanza attiva attraverso l’interesse c’è la dimensione della festa. In
che modo c’entra la festa con la politica?
La festa ha un ruolo fondamentale: pensiamo ai balli in Francia del 14 luglio, c’è un
riprodursi del patto di cittadinanza e una riappropriazione dei luoghi della città.
Ma ci sono dei rischi da parte di chi vuole impegnarsi in questa attività: dipendenza rispetto
all’autonomia di questi movimenti e mercificazione.
Ossia il rischio di dipendere dalle istituzioni e di confronto con il mercato che portano alla
necessità di creare un equilibrio tra autonomia e dipendenza…
Queste iniziative di cultura dal basso portano a un modo altro di stare insieme, uno sguardo
altro sulla città.
Franz: Vorrei ringraziare Ronchi, assessore alle politiche culturali e giovanili della regione, e
Adagio, presidente del Quartiere san Vitale, che sono arrivati per unirsi alla discussione.
Ferramola58: Vorrei parlare del modello di Barcellona, dove da diversi anni l’istituzione
pubblica catalana organizza direttamente il 70-80 % della cultura della città con la C
maiuscola ma anche con la c minuscola aprendo spazi giovanili e interpretando la cultura
alternativa. La città è molto attiva nel proporre e dare spazio alla partecipazione mentre una
parte della popolazione giovanile si sta ribellando perché rivendica il diritto di fare da sè.
Fino a che punto l’istituzione deve mettersi o lasciare che le cose succedano da sole?
In una società gerontocratica com’è Bologna si è arrivati alla diffusione del termine Degrado
o decoro…termini che sistematicamente si attribuiscono a qualsiasi iniziativa fuori dal
quotidiano.
Adagio - Presidente del Quartiere San Vitale: L’esperienza di Barcellona è difficile da
assumere e sostenere per la nostra città. A Barcellona c’è una grossa rete di cultura dal basso,
ma anche lì, allo stesso modo che a Bologna, ci sono un ampia critica e proteste dei residenti
esattamente come a Bologna.
A Barcellona c’è però la capacità di dare l’immagine di una città molto più a aperta e pronta
al conflitto.
Il conflitto che si crea a Bologna, c’è da dire, è piuttosto un conflitto solo mediatico.
Il modello Barcellona è da tenere in considerazione, inoltre non si può negare che non tutto
quello che dicono i giornali e falso, perché i conflitti negli spazi pubblici esistono. Compito
dell’istituzione è quello di migliorare la possibilità di usufruire degli spazi pubblici.
Chiara Sebastiani: Modello Barcellona, modello Roma.
58
Jonathan Ferramola lavora come giornalista per Radio Città del Capo
Condivido le affermazioni fatte da Jonathan. Ogni città è una storia a sè, il modello
Barcellona è stato un modello strategico della città che ha puntato sulla propria immagine
orientata ai giovani.
Si tratta di politiche per lo sviluppo che possono essere di due tipi: politiche di competizione e
solidaristiche. Le prime guardano all’immagine considerando la città come un unico e le
seconde invece sono volte all’interno della città evidenziando la differenziazione interna.
Barcellona ha scelto il primo modello.
Fano: questa domanda sembra fatta apposta per introdurre Ronchi. La Regione ha sempre
seguito con grande interesse le attività dell’associazione. Colgo l’occasione per ringraziare
anche Libero Mancuso, che, se non ha troppi impegni, inviterei a intervenire più tardi.
Ronchi – Assessore alle politiche culturali e giovanili della regione: Buongiorno e grazie
per l’invito. Nonostante la cultura e la politica sembrino essere all’attenzione di tutti, in realtà
gli spazi per discutere di questi argomenti sono sempre pochi.
Per affrontare il discorso bisogna considerare la situazione italiana che è molto diversa da
quella di Barcellona e anche di un qualsiasi medio paese europeo soprattutto dal punto di vista
della politica culturale. In Italia oggi viviamo in una situazione in cui la cultura non ha un
luogo.
Ha sicuramente una connotazione positiva e viene spesso utilizzata dal punto vista del
marketing ma non è, nelle politiche dei partiti e dei governi, al centro di una riflessione: cosa
rappresenta la cultura nel nostro paese, cosa può dare ai cittadini?
La dimostrazione sta nel fatto che durante i dibattiti sulla finanziaria non ci sono stati
interventi relativi alla cultura, né c’è stata una discussione su quale può essere il ruolo della
cultura all’interno della finanziaria. Di questo bisogna prendere atto.
Credo che siano già state date delle risposte.
Due sono le questioni: la cultura è uno straordinario strumento da inserire nelle politiche del
welfare perché attraverso al cultura ci sono le possibilità di un rapporto diverso con i cittadini,
ma anche le questioni relative all’integrazione dei nuovi cittadini per avere una politica di
accoglienza positiva. La seconda questione è venuta fuori con Barcellona: come ci dimostra
questa città, la cultura è uno straordinario strumento di crescita economica che ha il vantaggio
di essere a impatto quasi zero dal punto di vista ambientale. Nel nostro paese questo ha un
significato ancora maggiore perché siamo i detentori del maggior numero di beni culturali e ci
viene riconosciuto un ruolo in questo campo, ma paradossalmente siamo rimasti indietro
rispetto agli altri paesi perché non ci sono politiche e indirizzi precisi che permettano di
sviluppare questo tipo di discorso. Complessivamente la situazione del nostro paese è difficile
perchè ci sono leggi vecchie e arretrate. Non è un problema di quantità delle risorse ma di
qualità, bisogna andare a vedere come si spendono quei soldi per la cultura: è un problema di
qualità e non di quantità.
Esempio. Il nostro paese ha dato i natali al genere musicale della lirica: quando si fa il fondo
unico dello spettacolo, il 65% dei fondi vanno alla lirica, di cui il 45% agli enti lirici; questo
automaticamente , senza discussione, senza avere alcune idea di come gli enti lirici li
spendono e come si rapportano tra loro. La conclusione è che in Italia non c’è circuitazione
delle opere, non ci sono tetti di spesa…
Il resto dei fondi se lo dividono la prosa, i circhi, la danza…L’Italia di fatto non riconosce la
danza come espressione artistica… e infine alla musica detta Extracolta…l’Italia di fatto non
ha riconosciuto il jazz come genere culturale, lo stesso vale per il rock.
Arrivano delle briciole, ma sono briciole.
Il paragone con Barcellona dove ci sono manifestazioni come il Sonaco ecc.. non è possibile.
Siamo fuori dal mondo.
Io credo invece che ci sia la possibilità di sviluppare queste politiche.
La regione Emilia Romagna ha una situazione diversa perché cerca di sviluppare una politica
diversa fatta di un rapporto stretto col territorio e dal tentativo di differenziare l’offerta
culturale guardando i grandi paesi europei.
Per me non esiste la differenza tra cultura alta e bassa…esiste la cultura.
La cultura serve per le cose che dicevo prima: può essere declinata sul terreno del welfare e
dello sviluppo economico.
Noi stiamo cercando di fare questa cosa.
Io ho cominciato mettendo assieme un’associazione di cinema…che poi si è sviluppata e, in
collegamento con le istituzioni locali, abbiamo avuto in gestione un cinema e il progetto è
cresciuto: quindi io credo molto al legame con il territorio e al fatto che le istituzioni devono
rivolgersi ai soggetti operanti sul territorio.
Io sono assolutamente contrario alla politica, che negli anni settanta ha dato anche riscontri
positivi, di intervento diretto sulle attività culturali degli enti pubblici.
Si, è vero, ci sono dei settori in cui gli enti pubblici devono intervenire: ma si tratta del caso di
enti museali e biblioteche.
Dove però esiste una socialità diffusa che può produrre, l’ente pubblico deve solo sostenere le
attività: questo aiuta sia nello sviluppo economico che dal punto di vista del welfare.
Questo si deve fare e questo è quello che io ho cercato di fare nella mia esperienza, poi mi è
capitato di imbattermi nella carriera politica, e su questo vi devo dire anche un’altra cosa…
scusate se non sono ordinato, ma avete messo così tanta carne al fuoco che a me vengono
diversi spunti.
Nel titolo avete dato una connotazione negativa della politica come mediazione, ma invece
questo è quello che la politica deve fare, la politica oggi è diventata un’altra cosa: la politica è
diventata spettacolo, rincorsa dei mass media e quindi spettacolo e ha smesso di fare una cosa
che costa molta fatica, ma è quello che si deve fare e cioè la mediazione. Questo non riguarda
solo la politica italiana ma lo scenario internazionale, gli equilibri internazionali.
Perché è tornata in campo la guerra? perchè è scomparsa la politica come mediazione. È
talmente scomparsa…mi pare che negli ultimi giorni ci sia stata una proposta da parte del
segretario di partito che ha proposto un tavolo di pace per l’Afghanistan…avete visto le
reazioni? È diventata una cosa fuori dal mondo…ma con chi lo fai il tavolo della pace se non
con il nemico che ovviamente sarà molto diverso da te con tutti i suoi difetti terribili? però se
devi fare una pace devi fare una mediazione, se devi mediare devi metterti intorno a un tavolo
e dialogare con loro.
Qui è la stessa cosa, il problema di chi fa le cose e chi le subisce, tra quelli che rimangono
fuori la sera e chi invece vuole dormire, c’è sempre stato, il problema è che è saltata questa
cosa: cioè è più facile dedicarsi a una forma di politica che magari riempie i giornali con voci,
cose, robe varie ecc…
Guardate io non sto parlando di Bologna, non sono di Bologna quindi non posso parlare di
Bologna, perchè è un problema a 360 gradi, perchè la politica dovrebbe fare in modo che ci
sia una mediazione tra le due esigenze in modo che i cittadini imparino a convivere, questo un
tempo si faceva e oggi non si fa più. Va riscoperto questo elemento, certo è meno
spettacolare, più nascosto. È questo il nostro compito.
Sulle politiche culturali, andando più nello specifico, credo che sia compito delle istituzioni
dare delle linee precise d’indirizzo, spiegare quali sono le linee di finanziamento, fare delle
scelte, perchè anche questa questione va precisata. Chi ha una responsabilità politica ha il
dovere di fare delle scelte, gli si deve chiedere di fare delle scelte, nella consapevolezza che
siamo persone e quindi possiamo fare delle scelte sbagliate, poi ci sarà un momento che si
chiama Elezione in cui si può dire ti faccio vedere che hai fatto delle scelte sbagliate. Perchè
chi deve fare delle scelte non può tenere tutte le esigenze sullo stesso piano e rispondere di si
a tutto, perchè in questo modo ci sarebbe una parcellizzazione tale che non si concluderebbe
niente.
Indirizzi, scelte, canali di finanziamento trasparenti sono le cose che vanno fatte in un
contesto complessivo difficile.
Permettetemi un’ultima cosa per far capire come, in questo paese, ormai il significato delle
cose sia confuso: non c’è solo il politico che rincorre lo spettacolo ma anche il comico che
utilizza la politica per i suoi spettacoli. Un esempio: non è una critica a nessuno, ma guardate
che Beppe Grillo ha costruito un sistema per cui attraverso la politica si fa pubblicità e poi
riempie i palasport a 30 euro a biglietto per i suoi spettacoli. Guardate che è così.
Su questo io non sono d’accordo, io sono del parere che occorre avere la capacità di
distinguere, non dico che lui non possa fare politica, lui può fare politica, è giusto anche che
la faccia come cittadino: è l’equivoco di senso, lo scambio dei significati che diventa
pericoloso e nel nostro paese è ormai così. Ho fatto questo esempio per far spiegare che c’è un
elemento di questo tipo che è sia da una parte che dall’altra, abbiamo il problema di rimettere
in ordine la natura delle cose, di ristabilire i ruoli, in modo ovviamente condiviso.
(qualcuno dice qualcosa dal pubblico che non si sente)
Non è male, ho fatto solo un esempio, potevo prendere un altro esempio, ho fatto
quell’esempio lì perchè mi capita spesso di vedere questo tipo di attività: per esempio la
battaglia che ha fatto lui sull’indulto io la trovo terribile, ... ma è normale, per certe cose sono
d’accordo con lui per altre no. Sto semplicemente dicendo che c’è un cambio di senso, una
confusione generale che confonde la prospettiva. É un problema che nel nostro paese c’è in
modo molto forte: e guardate che c’è chi l’aveva scritto tanto tempo fa e si è avverato. Questa
spettacolarizzazione del vivere comune che coinvolge innanzitutto la politica, l’ho detto
prima, questo scambio di senso, questa confusione, è molto pericolosa. E non avendo più
punti di riferimento, non è un caso che poi certe spinte, le spinte populiste sono molto
avanzate nel nostro paese. Questo è un problema che io sento molto. Credo che sia importante
per questo confrontarsi e dare delle definizioni di sapere chi fa cosa e chiamare le persone alla
loro responsabilità rispetto al proprio ruolo; sicuramente in questa spettacolarizzazione si è
persa la consapevolezza che il politico non è onnipotente ma è fallibile. Se uno legge un
giornale rimane sconvolto perchè anche la critica è diventata una figura ... perchè è mediata
fondamentalmente attraverso lo spettacolo. Questa funzione va recuperata, come va
recuperata l’autoironia, cosa in cui voi invece siete molto bravi: bisogna che i politici
imparino un po’ a prendersi in giro, a non prendersi troppo sul serio, perché questo, secondo
me, è un modo giusto di rapportarsi alle persone. Siamo in una situazione strana perché da un
lato c’è una confusione di ruoli e dall’altro c’è l’ergersi sopra un piedistallo.
Per me, e io cerco di farlo quotidianamente, è fondamentale da parte di chi ricopre un ruolo
istituzionale dedicare molto del proprio tempo a incontrare le persone che lo chiedono,
ascoltarle e parlarci. È evidente che questo comporta che si incontrano tante persone e ti
dicono di tutto, ma è lo stesso fondamentale. L’idea del politico che rimane chiuso perchè ha
tanto da fare...ma questo tanto da fare dovrebbe includere il parlare con i cittadini. È
fondamentale. Anche questa è una cosa minimale che si è persa nel corso del tempo, una volta
non era così c’era un dialogo molto più diretto. Ma che cosa si fa? Si scambiano queste cose
con i meccanismi elettorali, per cui si fa un grande parlare di come si va a votare, è come fare
delle scatole e non si parla dei contenuti, per cui sembra che il problema del rapporto della
politica con i cittadini sia dovuto al sistema elettorale, ma il sistema elettorale è un mezzo. Tu
lo puoi cambiare in mille modi, ma se non cambia il costume, se non cambia il modo di fare,
se non si recuperano cose che c’erano in passato, tu puoi fare tutte le leggi elettorali che vuoi
ma non cambia nulla, cambieranno i modi di rappresentanza ma niente di più.
Ci hanno riempito la testa così con la storia del maggioritario, dicendo che ci sarebbero stati
meno partiti ecc.. e qual è il risultato? Che ci sono più partiti e il maggioritario è
incompiuto...questa è la dimostrazione vera che se non c’è un dibattito vero, una riflessione
vera, il meccanismo elettorale è importante, ma rimane una scatola che deve essere riempita
di contenuti. Vi ho preso molto tempo, ho detto molte cose, vi ringrazio tutti e per il tempo
che posso ancora rimanere rimango a disposizione per le domande.
Fano: Io ringrazio l’assessore Ronchi, vi confesso che mi sento un po’ destabilizzato perchè
noi dell’associazione Oltre… pensiamo sempre male dei politici, invece oggi stanno dicendo
delle cose molto belle, molto interessanti e ci fanno sentire veramente vicini a loro. Questo è
destabilizzante devo dire.
Io darei senz’altro la parola a Henry Olama che si era offerto come icebreaker di Ronchi e che
ci propone le sue riflessioni.
Henry Olama59: dato che lei ci ha spiazzato così, magari queste domande le può rivolgere ai
suoi colleghi.
Dicevo che condivido pienamente le sue parole però io faccio anche un po’ l’impertinente. Io
sono un immigrato extracomunitario, non ho il diritto di voto, tutti questi problemi qua... però
alla fine per quale motivo dovrei sentirmi a mio agio dopo quello che ha detto? quello che
dice dovrebbe farmi sentire molto meglio ma invece il problema è che io incontro tutti i giorni
59
Henry Olama è docente universitario.
discriminazioni, chiusure mentali...allora l’esperienza del cittadino è così lontana
dall’esperienza che vive il politico tutti i giorni? l’apertura può essere professata, dichiarata,
ma dall’altra parte c’è l’esperienza che il cittadino vive tutti i giorni, nel lavoro, nell’incontro
con altre persone, forse quest’ultima è così diversa rispetto a ciò che può pensare o pianificare
un politico. C’è proprio questa separazione netta tra la vita del cittadino e l’esperienza del
politico.
Allora io ho preparato quattro domande: l’omologazione dei modi di pensare e di agire, si sa,
anche un certo conformismo camminano di pari passo con la diffidenza verso tutto ciò che
sembra diverso, quale può essere il ruolo della politica per combattere contro le
discriminazioni culturali e contro le disuguaglianze nell’accesso alla cultura?
Questa è la prima domanda che volevo fare, abbiamo una omologazione imperante che
sicuramente va in una direzione opposta rispetto all’apertura mentale e noi viviamo anche in
un momento, come quello che ha vissuto la Par Tòt l’anno scorso, in cui, questa città, era da
un certo punto di vista un po’ sconcertata, un po’ contro.
La seconda domanda è questa, sempre in riferimento all’accesso alla cultura: le corsie
preferenziali e l’assenza di meritocrazia sono spesso all’ordine del giorno nelle politiche di
accesso alla cultura. Cosa possono fare le espressioni culturali minoritarie spesso allergiche a
condizionamenti politici per uscire dal ghetto in cui le confina la cultura ufficiale?
Chi si ribella, chi non vuole essere condizionato dalla politica si ritrova spesso in un ghetto e
spesso se non reagisce finisce nel dimenticatoio, nessuno può sapere dove finiscono le sue
esperienze. Invece sempre più forte la sensazione che riesce a fare delle cose chi non se lo
merita.
Poi c’è una terza domanda: viviamo in un paese con il maggior numero di siti tutelati
dall’Unesco, ora senza toccare il tema della tutela dei beni culturali, vorrei chiedere un
chiarimento sul fastidio che alcune forme artistiche innovative sembrano dare ai politici. La
mia domanda è la seguente: quali possono essere i riflessi e i benefici dell’arte e della
creatività sulla gestione della cosa pubblica? Lei prima ha parlato dell’arte della mediazione,
sicuramente questo è interessante, abbiamo parlato di Barcellona, ma Barcellona può stare a
Barcellona, parliamo di casa nostra: questo significa che il politico italiano deve imparare a
capire che attorno a lui c’è un ambiente bello, artistico, interessante, che lui lo può far star
bene, vivere meglio, può aiutare a far costruire buoni rapporti con chi è diverso, e questo fa
essere più tranquilli più sereni, più dolci...oggi è inutile parlare di Barcellona, possiamo
prendere tutti gli esempi che vogliamo, ma se la gente è malvagia, non cambia nulla...
Quindi la creatività e l’arte possono cambiare i politici o chi gestisce la cosa pubblica?
Oppure in altri termini, l’arte nelle sue varie espressioni, può rendere il politico più umano?
Quarta domanda e poi ho finito: io arrivo da Milano e la cosa che vedo di più ora e che non si
fa altro che costruire rotonde, supermercati... però il politico costruisce parecchio e lo dice.
Poi il politico si presenta come uno che rincorre, che deve affascinare l’elettore, parlo da
persona che non vota, per questo i politici costruiscono le cose, per esempio a Milano
abbiamo avuto un caso in cui si è costruita una pompa, si è fatta l’inaugurazione e poi il
giorno dopo già non funzionava più. A un certo punto il politico costruisce talmente e
soprattutto insegue la gente nelle sue paure irrazionali, soprattutto nel tema della sicurezza.
I sociologi dicono che l’insicurezza è percepita, questo vuol dire che la gente ha la sensazione
che ci siano molti più delinquenti di quanto non siano nella realtà, infatti i dati dicono tutta
un’altra cosa. Allora come usciamo da questo? Come si riesce a non puntare sul superfluo, a
non inseguire la gente su questo terreno così discutibile? Io mi rendo conto che per il politico
sia più facile, invece è più rischioso non alimentare paure, ma come può farlo?
Ringrazio
Fano: scusatemi io ho dimenticato di presentare Jonathan Ferramola giornalista di Radio Città
del Capo e Henry Olama docente universitario, artista e tecnico. Forse prima della risposta
dell’assessore facciamo un breve giro tra il pubblico per vedere se c’è qualcuno che vuole
aggiungere carne al fuoco.
Pubblico: Buonasera a tutti mi chiamo Carmine Scianguetta, conosco da un paio di anni
l’associazione oltre direttamente e da circa quattro anni conosco la parata. Volevo chiedere
all’assessore. Lei in questo tavolo è il politico della situazione e sono purtroppo arrivato un
po’ in ritardo, e la prima sensazione è che lei stesse facendo autocritica ciò che non fa molto
la politica di oggi, ed è abbastanza condivisibile dal mio punto di vista. Ma è vero anche che è
molto facile per un politico dire cosa non va, ma lei come politico cosa ci porta in questo
tavolo di discussione? È d’accordo nel fatto che la politica deve riacquistare il suo potere di
mediazione dal basso, con il cittadino, insomma quei valori autentici della politica, però,
insomma, in fin dei conti cosa si può muovere direttamente, quali sono i piccoli passi che si
possono iniziare a compiere?
Fano: grazie a Carmine che mi ha pregato d’intervenire anche se doveva essere l’ice breaker
di Matteo e Miriam, comunque ringraziamo per questo intervento aggiuntivo. Ancora qualche
altra sensazione o passiamo la parola all’assessore? Forse puoi rispondere a questi due
suggerimenti.
Ronchi: Quando si parla di argomenti così complessi è ovvio che alcuni passaggi sfuggono
all’interlocutore: io ho provato a dire cosa si sta facendo anche in positivo. Ovviamente io lo
dico dal mio punto di vista, cioè da quello che io sto facendo. Un’attività di cui sono molto
contento e fortunato all’interno della regione Emilia Romagna. Questo è stato possibile
attraverso leggi e triennali di leggi: ho fatto la legge 13 e la legge 37 ch’erano un po’ quello
che ho cercato di dire…cioè cerco di dare degli indirizzi, punto sulla diversificazione
dell’offerta culturale, punto a un rapporto molto stretto con i territori, a un rapporto molto
stretto con le entità di tipo associativo o di altro tipo che sono operatori culturali e possono
produrre cultura all’interno di quei territori, non inseguo gli eventi, ritengo che sia la
diffusione delle cultura la carta vincente di questa regione. Poi se all’interno di questa
diffusione ci sono delle iniziative che hanno anche un grande risalto io sono contento ma non
ho una concezione per cui devono essere programmati degli eventi che abbiano miliardi di
persone festanti altrimenti non è cultura, sono contrario alla concezione italiana per cui
bisogna mettersi il fiore all’occhiello con la grande iniziativa. Cosa che succede molto spesso,
basta guardare al festival di Mantova: sapete quanti festival ci sono oggi in Italia?
Siamo la prima regione d’Italia che ha riconosciuto alcuni generi musicali come cultura e li
stiamo finanziando…Stiamo facendo questo tipo di lavoro. Proprio in questi giorni stiamo
lavorando su un’altra importantissima legge che è la legge 18 legata alle biblioteche e agli
archivi.
A livello regionale abbiamo un quadro positivo rispetto a questo tema e credo che la regione
Emilia Romagna sia una delle più avanzate a riguardo, lo è oggi, ma ovviamente lo era anche
in passato.
Stiamo anche cercando di incrementare questo tipo di lavoro con un obiettivo che è quello di
guardare all’Europa, cercare di assomigliare a queste realtà senza dimenticare di portarsi a
casa un po’ di pregi italiani.
Posso fare un altro piccolo esempio: perché in un teatro inglese c’è un grande concerto di
musica classica e il giorno dopo c’è un altro concerto di musica jazz e il giorno dopo c’è Elvis
Costello e sono tutti contenti? In Italia si fa fatica a portare avanti questo discorso. Abbiamo
bisogno di muoverci da questo punto di vista.
Abbiamo parlato di Barcellona, guardate che Barcellona punta molto su questo: non è che a
Barcellona quando c’è un concerto di musica elettronica dicono “no questa è musica di serie
B, è una cosa per giovani un po’ scapestrati!!” Il grande concerto è una cosa importante, è
tutta cultura e ha un suo livello, noi dobbiamo lavorare sulla qualità.
Io non pretendo che la mia esperienza risolva il problema, anche perché noi viviamo in una
situazione piuttosto complessa e dobbiamo imparare a tirare i file della matassa. Io ho provato
a indicare qualche filo che è la riscoperta di pratiche del passato però aggiornate e guardando
anche fuori, perché no? Per esempio è venuto fuori il tema dell’urbanistica: questo è un tema
importante e affascinante. Bisogna avere la consapevolezza che in Italia ci sono due
concezioni: una dice che il centro della città è una sorta di museo, intoccabile, dove in una
situazione mussale vivono alcuni fortunati, oppure dove alcuni fortunati ricavano tanti
appartamenti perchè, a Bologna come a Ferrara, ci sono un sacco di studenti, allora si possono
fare soldi su questi appartamenti; ma c’è un’altra concezione che dice: no il centro storico
deve essere vissuto, devi tutelare il centro storico, ma fare in modo che venga vissuto cioè ci
deve essere gente che ci vive e le attività non devono essere espulse. Questo è un problema
non di poco conto e vengono fatte delle scelte…sempre perché manca quel pezzo di
mediazione.
Per esempio io non credo che sia una bella idea spostare dal centro le attività dei giovani, per
me non è una grande idea e poi intanto hai una situazione economica che ti fa chiudere i
cinema. Poi il centro storico diventa anche terra di nessuno: se il cittadino lo abbandona, va a
vivere fuori, cosa diventa poi quel centro lì? Io capisco che sia una situazione complessa, ma
bisogna pensarci. Non bisogna porsi nell’ottica di risolvere il problema in maniera
contingente, ma porsi un obiettivo. Certo questo è difficile perché oggi si vede la politica
nell’ottica dei cinque anni, invece bisognerebbe anche qui recuperare quell’ottica che un
tempo c’era di dire faccio cose che vanno anche avanti… che devono rispondere a delle
esigenze che ci saranno anche quando io non avrò più quel ruolo. Queste sono posizioni o
contraddizioni che sono a 40 km l’una dall’altra! Perchè Ferrara fa un festival rock nel pieno
centro, sotto il castello? Sono impazziti? Perchè lì non è mai successo niente? Vuol dire allora
che quelle cose lì si possono fare, che si può utilizzare il centro della città per fare delle
attività. Perché Ferrara fa una cosa come il festival dei Buskers 60? Che sicuramente
conoscerete, dove ci sono migliaia di persone che girano per il centro storico, tutti lì. Sono
tutti matti? No, è una scelta che paga secondo me. Però bisogna avere la consapevolezza che
ci sono due posizioni diverse: anche a Ferrara c’erano quelli che dicevano “bisogna che tutto
sia integro, guai a chi tocca il centro”. È sempre stato così però bisogna anche considerare che
chi viveva nelle nostre bellissime città, per esempio nel rinascimento, ci faceva delle attività,
60
Si tratta di un festival di artisti di strada che ormai da molti anni riempie le strade della città di Ferrara nel mese di
utilizzavano quello che avevano ricevuto, lo modificavano. Io credo che bisogna avere
quest’ottica qua.
Poi io porto il mio contributo, non sto facendo autocritica, perché io personalmente seguo un
mio filone e non ho nemmeno la presunzione di dire che rappresento qualcuno: so qual è la
contraddizione generale e so quali sono i problemi, perché li vivo anch’io. Si dice sempre che
i politici sono tutti uguali, non è vero! Solo che nel sistema della politica spettacolo, i politici
che non sono tutti uguali non si vedono.
Perché c’è anche questo elemento a cui le persone dovrebbero pensare.
Ecco io credo che ognuno di noi potrebbe fare un piccolo passo, ciascuno nel suo ambito con
opportunità diverse: ognuno potrebbe mettere un tassellino che poi si andrebbe a unire agli
altri. Importante sarebbe identificare un linguaggio e degli obiettivi e lavorare insieme su
quelli. L’altro elemento che c’è, infatti, è quello della disgregazione: si fa fatica a confrontarsi
su questi temi in modo approfondito. È fondamentale lavorare sulla curiosità delle persone
perché questo è un altro elemento che si sta perdendo… la specializzazione porta a dire che
un ascoltatore di musica jazz, guai al mondo se va a vedere un concerto di musica classica, o
un ascoltatore di musica rock guai al mondo se va… ecco bisogna lavorare sulla curiosità e
sull’intreccio dei linguaggi per impedire che ciascuno rimanga chiuso nel suo mondo.
Abbiamo un compito: bisogna rimettere ordine nei ruoli, imparare a saper distinguere e a
tentare di richiamare alle proprie funzioni non solo gli operatori culturali ma anche coloro che
hanno dei compiti di gestione del denaro pubblico come sono i politici che hanno ruoli
istituzionale. Per questo bisogna mettersi insieme, condividere dei percorsi e ci si può riuscire.
Siamo arrivati a questo punto perché c’è stata una grande frammentazione dovuta agli
elementi di cui abbiamo parlato, ma io sono ottimista da questo punto di vista perché credo
che si possa fare uno scatto in avanti. Grazie.
Fano: Grazie veramente all’assessore, la mia riflessione è questa, gli spagnoli possono anche
fregarci, tanto ci hanno fregato già su tante cose, ma i ferraresi no! Sarebbe troppo!
Adesso io ringrazio Myriam Stoffen e Matteo Segers che sono venuti da Bruxelles e che sono
i direttori artistici della Zinneke Parade che attraversa ogni due anni le vie di Bruxelles e che
in qualche modo rappresenta un modello per la par tot e quindi sono molto lieto che siano qui
con noi. Quindi passerò senz’altro loro la parola, prima parlerà Myriam che parla in francese
e quindi Franz farà la traduzione consecutiva e poi dirà due parole Matteo… che è bilingue,
quindi potrà presentarci le sue riflessioni direttamente in italiano.
Incursioni
Myriam parla in francese e traduce Franz
Franz: Myriam parlerà lentamente per la traduzione. Grazie
Franz traduce Myriam: Vi spiego un attimo qual è il progetto della Zinneke Parade che si
svolge a Bruxelles.
Matteo vi spiegherà invece l’importanza che si dà all’iniziativa degli artisti in questo progetto.
Chiuderò poi con le grandi domande che si pongono sul rapporto con la città, e sul vivere
insieme.
Perché la questione è comunque abbastanza simpatica, cosa stiamo facendo?
La Zinneke è un progetto nato nel 2000 quando Bruxelles come Bologna era città europea
della cultura.
C’erano differenti ingredienti che hanno reso possibile questo progetto. Innanzitutto c’era la
voglia di creare un grande progetto popolare che potesse concentrare tutta l’interculturalità, le
varie anime culturali della città, unire tutto ciò che era frammentato e disunito e che fino ad
allora non era riuscito a lavorare insieme… insomma il concetto di fare rete.
Un progetto che andava al di là del normale contesto istituzionale: partire dal basso per fare
qualcosa di diverso. In effetti tra i vari progetti sociali rimangono spesso dei buchi, ecco quei
buchi rappresentano delle opportunità, cioè i luoghi dove agire per unire.
Concretamente per dare un’idea ecco un po’ di dati sulla Zinneke Parade: dal 2000 ci sono
state quattro edizioni della parata (è una biennale), è una rete orizzontale trasversale.
Questi sono i dati del 2006: quasi 3000 partecipanti, 203 organizzazioni che hanno fatto parte
del partenariato, 246 artisti, 263 animatori artistici e tecnici e 126 workshop.
La Zinneke Parade ha un coordinamento generale e poi una serie di piccoli progetti locali che
si realizzano soprattutto intorno alle organizzazioni di quartiere: le scuole, piuttosto che la
volontà dei singoli cittadini o le famose maison culture che sono una sorta dei nostri centri
sociali che possono essere per donne o per bambini ecc… e poi ci sono gli artisti. Il
coordinamento generale mette insieme queste persone, crea i legami per poi far venire fuori i
progetti e i workshop per la parata.
Per quel che riguarda i finanziamenti, in questo paese così strano che è il Belgio, che ha più
ministri che abitanti, le fonti di finanziamento sono varie e provengono da più parti, la fetta
maggiore viene da Bruxelles Region capital che è quello che in Italia dovrebbe essere in
futuro la città metropolitana.
La maggiore spesa della Region data alla Zinneke viene indicata come riqualificazione sui
quartieri, perché il lavoro capillare realizzato sul territorio è riconosciuto dalla regione come
attività di riqualificazione dei quartieri su cui essa stessa può lavorare.
E poi ci sono commercianti e altre realtà che intervengono nella costruzione della parata.
In conclusione si tratta di un evento artistico costruito con gli abitanti dei vari quartieri e la
collaborazione di una rete di varie organizzazioni, con i quartieri del centro e i quartieri nati
nel XIX secolo con l’industrializzazione.
Si cerca di coinvolgere tutte le realtà presenti nella città: le organizzazioni formali e quelle
informali, gli artisti o persone che s’incontrano e hanno voglia di partecipare al progetto.
Questo è un lavoro che dura due anni costituiti da tanti momenti d’incontro e dialogo tra le
realtà nominate che poi decidono come realizzare la parata. Passo la parola a Matteo.
Franz: Matteo forse ci puoi dire anche cosa significa Zinneke, alcuni lo sanno già ma è
sempre meglio ricordarlo.
Matteo: Allora Zinneke significa piccolo cane. A Bruxelles c’è un piccolo fiume la Zen: due
secoli fa questi piccoli cani bastardi sono stati buttati nel fiume. Quest’idea di miscuglio dei
cani, e delle razze è molto importante per noi perché facciamo un’azione di creatività, per
mettere insieme tutti senza fare una selezione. Ognuno è un artista. I politici non sono
creativi, non sono artisti quindi non possiamo dire che tutti siano artisti.
Cosa facciamo nella Zinneke: lavoriamo con 200 artisti, tutti professionisti e pagati
provenienti da tutte le discipline artistiche: regia, trampoli, improvvisazione. Questo è molto
importante perché vuol dire che non è un progetto che fa musica classica o musica rock, ma
un progetto che abbraccia tutto.
Gli artisti provengono da tutte le discipline e da tutte queste case, come fossero delle squadre,
alcuni provengono da luoghi più istituzionali, come dai musei, altri vengono dalla cultura del
basso…dunque la cosa importante è fare una creazione di partecipatività: ognuno che
partecipa a Zinneke può essere attore della sua creatività. Se abbiamo 200 artisti, lavorano a
fare una trasmissione, una comunicazione della loro capacità di fare arte. Si mettono insieme
con le loro capacità e cercano un modo per coinvolgere tutti i quartieri e tutta la popolazione:
anziani, bambini ecc, tutte le fasce d’età. Un modo per poter lavorare insieme con tutti loro e
renderli artisti, insegnando le loro tecniche. Gli artisti chiedono alle persone: qual è la tua
storia, cosa vuoi fare?
Dunque cos’è la creatività?
La cosa importante è non fare per loro ma fare qualcosa con loro. E importante portare alla
gente l’immaginario degli artisti. Per gli artisti questa è anche un’opportunità di lavorare,
sono pagati e arrivano in un mondo dove anche gli altri sono pagati. Strana storia, come si fa?
A Bruxelles e in altre città se un artista vuole partecipare alla teatro nazionale non può perché
è un mondo chiuso, nella Zinneke c’è un’altra politica, si accettano tutti coloro che vogliano
esprimere la loro arte, si vuole lasciare la fortuna a tutti.
Per gli artisti è un opportunità di incontrare altri artisti: si lavora anche in 13 o 14
scambiandosi idee e quando il lavoro finisce anche il loro proprio lavoro cambia con le nuove
idee.
Zinneke non è solo un’azione politica per le persone a cui ci rivolgiamo ma è anche un’azione
politica per gli artisti.
Questo è un progetto politico nella misura in cui c’è un insieme di passioni che lavorano nel
fare le cose insieme, con la gente.
Non c’è l’idea di fare le cose perché è bello, no, noi facciamo le cose perché vogliamo
cambiare la realtà: quando c’è un laboratorio dove va per esempio un marocchino che ha visto
solo quello che si fa in strada… bene, questo laboratorio cambia le cose. Gli artisti arrivano ad
avere questa sensibilità che è quella di poter cambiare le cose, anche nella cultura: perché non
è che la cultura può cambiare ma è nelle cultura che possiamo cambiare le cose.
Qualcuno di questi artisti un giorno andrà nel teatro nazionale allora lui avrà una visione
diversa e potrà cambiare le cose. Questo è molto importante.
Franz traduce Myriam: Matteo dice che il progetto della Zinneke è un progetto artistico ma
è anche un progetto politico. Cosa significa? Che è un progetto che agisce sulla città e nella
città. È una riflessione vera e propria sulla città e parte dall’idea che ormai l’80% della
popolazione vive negli spazi urbani. Ecco allora che il discorso della Zinneke va proprio a
scoprire che cosa significa vivere negli spazi urbani per creare degli spazi di democrazia nella
città. Nella città siamo quotidianamente portati a scoprire cos’è la diversità sociale e culturale.
Quindi il modo di agire e concepire la città significa proprio vedere come nella città ci
possano essere nuovi spazi di sperimentazione e nuovi spazi di democrazia. Quindi la città è
un luogo di partenza, in tutta la sua complessità.
Si parte innanzitutto da una città come Bruxelles dove la diversità è veramente la regola:
tantissime culture ed etnie differenti, ma a Bruxelles, a differenza delle altre città, non ci sono
ghetti o quartieri di questa o quell’altra etnia, si tratta di un vero miscuglio di popoli e culture
diverse.
Questo ovviamente a livello territoriale, ma a livello mentale e di cultura ci sono delle
profonde differenze, dei muri a volte.
Il problema del nostro Occidente è non documentare sufficientemente queste diversità, non
arrivare a farle emergere.
Quindi è chiaro che è molto bello avere un mosaico di culture ma la cosa difficile è creare un
legame, riuscire a farle convivere e costruire insieme progetti e riprodurre quella che è anche
la metafora della città, cioè vivere insieme.
L’idea fondamentale della Zinneke è rompere queste barriere culturali e sociali cercando di
creare un progetto di unione.
Parlare di mettere insieme diversità culturale non significa prendere il passaporto di ciascuna
nazionalità e poi dopo farle confrontare una con l’altra.
Significa diversità in tutti i campi: diversità generazionale, diversità negli stili di vita…in tutto
ciò che crea diversità. Non si tratta di metter in mostra cose etniche o folcloristiche, ma creare
qualcosa di diverso nell’unione di queste differenze.
Quindi la cosa importante è che tutti quanti quelli che partecipano alla Zinneke portano
qualcosa, ma allo stesso tempo devono spostarsi verso l’altro e contaminare la propria cultura
con qualcosa di nuovo.
Questo ovviamente richiede del tempo, l’incontro tra le persone non nasce dal nulla ma
richiede sempre del tempo: le persone si devono incontrare, discutere e a volte anche piangere
perché l’incontro tra le culture non è mai molto semplice.
Per questo essere concentrati a livello locale, a livello di quartiere diventa molto importante,
perché vanno a lavorare nel concreto e negli spazi anche più piccoli.
Ecco, poi il fatto che dopo un anno e mezzo di lavoro si arrivi a creare uno parata in uno
spazio pubblico significa passare dal locale al mostrarsi nello spazio pubblico e visibile. Il
cittadino ha il diritto di riappropriarsi dello spazio pubblico e il fatto che la parata vada dalle
periferie al centro è una sorta di diritto di tutti di vivere il centro.
La periferia è importante ma è altrettanto importante che non ci sia una sorta di segregazione
nella periferia e che ci sia un’unione e la possibilità di vivere il centro della città.
In tutto questo il ruolo centrale è quello degli artisti, che sono dei professionisti e vengono
pagati, e che sono il punto di contatto con i cittadini.
Il ruolo degli artisti è veramente importante quando si va a parlare e spiegare la Zinneke
Parade perché sono gli artisti che, con la loro portata innovativa e sperimentale, riescono a
rapportarsi con i cittadini proponendo delle visioni di città impensabili.
Una cosa che non c’è nella Zinneke e neanche nella Par Tòt, è quella d’introdurre spazi
pubblicitari. La parata è un luogo d’incontro tra gli artisti e i cittadini, ma non diventa uno
spazio di pubblicità né per le realtà che compongono la parata né per eventuali sponsor.
Franz: Grazie Myriam e Matteo.
Fano: Grazie per la bellissima testimonianza. Vorrei aggiungere che come avete notato il
tavolo di discussione è obliquo, le sedie sono oblique e anche l’intervento delle parate nella
vita politica è obliquo.
…
Chiamerei ora Carmine Scianguetta, educatore e musicista che sarà l’icebreaker di questa
bella testimonianza.
Carmine: intanto come icebreaker vivo una certa crisi d’identità… parlavamo di suggestioni
prima, ecco, una delle suggestioni che ho avuto è quella dei buchi che le istituzioni o le realtà
istituzionalizzate, loro malgrado, offrono e nei quali voi avete scelto di muovervi. Poi dalla
vostra esposizione mi è venuto un certo appetito a pensare a questi buchi. A dei buchi che
offrono tutte queste opportunità… a differenza della Par Tòt è chiaro che la Zinneke, essendo
finanziata, ha altre opportunità e mette in campo una macchina organizzativa più grande… e
l’economia conta parecchio anche nell’organizzazione delle cose. Mi dispiace che non vedo
l’assessore perché sarebbe stato interessante farlo intervenire su questo aspetto.
Una domanda potrebbe essere questa: se la Zinneke nasce come spazio non istituzionale,
come viene considerato questo riconoscimento dalle istituzioni sotto forma di finanziamento?
E poi una proposta se è possibile costruire le statue, le marionette viventi un po’ più leggere.
Grazie.
Matteo: io rispondo sulle marionette. Quest’anno c’è un gruppo di 20 persone provenienti dal
Belgio che verranno a fare marionette pesanti a Bologna.
Franz traduce Myriam: sulla domanda di Carmine noi ci interroghiamo ogni giorno, ma non
ho una risposta definitiva da dare.
Anche quando ci si interroga sugli spazi di apertura, immaginazione… ci si scontra sempre
con un difficile rapporto con le istituzioni. Molto spesso dipende dalla qualità, del tipo di
persone che ricoprono i ruoli istituzionali perché finanziare la Zinneke comporta anche dei
rischi (aggiunge Franz …questo vale anche da noi per la Par Tòt).
Comunque sono sempre momenti di sperimentazione molto particolari su cui si fondano le
richieste di finanziamento. Per esempio la volontà e la creatività di un ragazzo marocchino
che si incontra con un'altra persona proponendo qualcosa d’innovativo… grazie a questa
scintilla molto spesso si richiedono i finanziamenti.
Proprio perché c’è difficoltà di creare questa interazione sociale la parata si realizza in due
anni perché è molto lungo il lavoro necessario a creare legami sociali.
(aggiunge Franz: si potrebbe pensare questo anche per la Par Tòt…dato che ogni anno è
davvero una corsa al massacro per gli organizzatori!)
Franz: Sicuramente a Enzo Fano, che è dovuto uscire per una questione importante,
dispiacerà molto non fare questa introduzione, che invece a me fa molto piacere fare.
L’introduzione che faccio è a Ekkehart Krippendorff professore dell’Università di Berlino61,
di cui ho avuto il piacere di leggere due libri: “L’arte di non essere governati” e “Shakespeare
politico”. L’abbiamo chiamato perché questi due libri, per me come anche per Lydia, sono
stati piuttosto sconvolgenti perché hanno un linguaggio e un modo di esprimersi abbastanza
sconosciuto in Italia. Ho una grande curiosità di sentirla e sapere cosa ha pensato di questo
dibattito…forse “ma in che posto sono capitato!!” Non lo so, ma anche questo fa parte del
gioco. Noi l’abbiamo chiamata perché in particolare ci ha sconvolto un suo punto di partenza:
la politica troppo importante per essere lasciata in mano solo ai politici e ai politologi.
Introduco anche la mia riflessione da discussant. Io e Lydia volevamo usare questa frase nella
pubblicità del Simposio andata in onda su Radio Città del Capo con una voce robotica e poi
veramente ci sembrava un atto troppo irriverente e ci siamo quasi autocensurati con
grandissima frustrazione, perché qui in Italia sembra una cosa fuori dalla grazia di dio quando
in realtà in questa frase non c’è niente contro i politici né contro i politologi. Ma forse
contiene solo una ispirazione da dare a politici e politologi sulla necessità di coinvolgimento
della gente.
Sono stato forse un po’ lungo ma lascio la parola a Krippendorff.
Krippendorff: Io devo ammettere un certo imbarazzo. Per prima cosa ho notato che voi siete
qui da più di due ore, una pazienza a cui non sono abituato perchè di solito la gente dopo un
ora e mezzo se ne va. La seconda è più importante, a parte questa introduzione molto gentile
61
Ekkehart Krippendorff insegna Scienze politiche e relazioni internazionali alla Freie Universitaet di Berlino
che avete sentito, io mi sento un pesce fuori d’acqua, perché i discorsi che avete fatto voi sono
molto impressionanti: un modo di prendere coscienza in piazza che mi pare un alternativa o
un’altra tappa dopo la piazza occupata dalle manifestazioni politiche con l’uso di un altro
linguaggio.
Io ho vissuto un paio di anni a Bologna durante gli anni ‘70.
Quello che mi fa un po’ triste è: non so chi ha vissuto gli anni settanta a Bologna, io si, per me
è stata un’esperienza enorme che mi ha formato, allora era nato un movimento Indiani della
città e adesso mi chiedo dov’è finito. Adesso Bologna è una città molto normale e questo
movimento non mi pare che abbia lasciato traccia, dov’è finito?
E se questo è vero allora il progetto al quale state lavorando deve pensare al dopo, a come si
può tradurre il momento di festa in quotidianità? Perché la festa è una cosa, ma tradurre
questo in quotidianità, sapere cosa succede nei giorni feriali! C’è una presa di coscienza?
Come si può fare in modo che questo pensiero politico che c’è dietro la parata diventi
qualcosa di stabile e non di effimero? Si è fatta la distinzione della cultura dal basso e cultura
dall’alto…io non so più molto di cultura dal basso perché non ho più 20 anni, ma ho dei dubbi
sul fatto che la cultura dal basso possa sostenersi senza appoggio. Lo politica culturale di cui
ha parlato il consigliere è molto importante, non si possono dividere le due cose.
Nel ‘75 ‘76 a Bologna mi hanno eletto come rappresentante della scuola di mio figlio che era
molto bella e democratica. Allora avevamo un conflitto: c’era un insegnante completamente
incompetente che insegnava musica e tutti dicevano che non importava tanto insegnava
musica, io ho detto no, perché la musica non era irrilevante o marginale. Era molto strano che
un tedesco dovesse fare in Italia il discorso sulla nascita della musica in Italia e che se si
ignorava questo si ignorava il discorso della cultura, alta o bassa, non lo so. Allora si cantava
anche Verdi in strada… agli altri genitori questo non importava, la musica non era importante
e questo mi sembra abbastanza grave. Per i genitori dovrebbe essere molto importante
prendere in mano l’educazione della cultura a scuola.
Si tratta di un grande patrimonio che non è solo italiano, ma europeo.
Perché per me la cultura musicale è così importante: vi farò degli esempi.
Abbiamo a Berlino un bravissimo direttore della filarmonica che porta nelle scuole questa
grande orchestra insegnando l’uso degli strumenti.
Inoltre lui è andato nelle scuole di periferia dove ci sono turchi, immigrati, persone di colore e
con loro ha realizzato delle iniziative e un video che vi consiglio di andare a vedere si
chiama… In questo video si parla d’integrazione e in particolar modo dell’integrazione di un
giovane africano.
Questo direttore con il suo progetto ha dato a questi ragazzi dignità, li ha integrati. Questo è
l’evento politico. Politico è autonomia…dobbiamo imparare l’autonomia: l’autonomia si può
imparare attraverso la musica…
Un altro esempio: il direttore dell’opera di stato di Berlino ha creato l’asilo musicale perché è
convinto che nella musica si impara disciplina e collaborazione.
Questa scuola non vuole creare dei musicisti ma utilizzare la musica come strumento per
creare un rapporto umano tra la gente, per imparare a vivere insieme.
Ha creato anche un orchestra. La letteratura è un modo di comunicare fra le culture.
L’orchestra è composta da arabi e israeliani.
Io voglio far vedere che con la musica si può ragionare, si può stare insieme e non
ammazzarsi.
Io non voglio dividere tra cultura alta e bassa nell’insieme.
Coloro che si occupano di cultura hanno i loro margini di agire nelle scuole e nelle
università….
Quello che possiamo dimostrare è che il linguaggio culturale è una capacità creativa che poi
paga anche in altri campi.
Letteratura, musica poesia ecc… sono la base per aprirsi.
Abbiamo parlato di curiosità: la cultura ha un linguaggio che per definizione è un linguaggio
curioso che vuole sperimentare coi colori, i suoni e le parole e toccare con nuove formule
estetiche. Questo è un preludio all’invenzione anche in altri campi…abbiamo un grande
bisogno di questo.
La politica ha bisogno di fantasia per creare nuove formule e pensare a dove esse ci possano
portare.
Fantasia e creatività sono molto importanti nella sopravvivenza della nostra specie e nella
convivenza.
Bologna aveva i consigli di quartiere, non so se esistono ancora, quella era la direzione giusta.
Portare la politica alla base. I quartieri erano il punto di riferimento dove tutti andavano.
…
La convivenza si decide nel microcosmo di una città e nel quartiere…
La letteratura può portare alla convivenza …può farci imparare a vivere insieme per questo
bisogna prendere sul serio anche la cultura alta.
Sono impressionato della quantità delle feste che ci sono in Italia, sono veramente
impressionato sulla quantità e qualità delle feste che ci sono in Italia.
Viviamo in una situazione molto particolare in cui si cerca di dare sostanza all’Europa. Ma
finora ne hanno discusso solo militari e banchieri e i politici hanno agito come se fossero le
loro marionette, ma non si è parlato di un’idea culturale di Europa…e in questa dimensione
l’Europa è molto più reale: musica, festival, letteratura ecc. L’Europa non è niente se non è un
progetto culturale.
Vogliamo essere coscienti e non ridurre la cultura a una cosa di classe.
Franz: Adesso Enzo farai tu da discussant.
Fano: Krippendorff ha insegnato nell’università di Urbino dove insegno anch’io, volevo
ricordare questo particolare delle nostre biografie.
Gli indiani metropolitani me li ricordo anch’io e non sono così sicuro che Bologna oggi sia
peggio di allora. Per alcuni versi è migliorata: io, allora diciassettenne, percepivo una Bologna
violenta, che sappiamo dove ha portato e per fortuna oggi non c’è più.
Fenomeni come la Par Tòt, l’associazione Oltre… ecc.. in quel tempo non avrebbero potuto
esistere con il loro modo di fare un opposizione propositiva e festosa. In quel tempo percepivo
una violenza per certi versi anche giusta ma incapace di proporre come invece fanno i
fenomeni di cui stiamo discutendo adesso.
Per quel che riguarda la musica rispetto agli anni ‘70 la situazione nelle scuole è leggermente
migliorata: in quegli anni la musica esisteva solo nelle scuole medie ed era opzionale due anni
su tre.
Oggi è presente nelle scuole elementari, nella scuola media è diventata obbligatoria, nelle
superiori a parte le magistrali non c’è e, questo, è un problema. Sono d’accordo con lei nel
ritenere la musica un linguaggio universale di fondamentale importanza. Molte scuole, quelle
più ricche soprattutto al nord e nella nostra regione, hanno la possibilità di fare dei laboratori
pomeridiani di musica. La situazione è migliorata ma dovrebbe migliorare ancora.
La scuola è rimasta democratica anche se episodi come quello raccontato si ripetono ancora.
Non so se queste cose possono essere utili… magari bisogna anche raccogliere suggestioni
dal pubblico.
Franz: Volevo aggiungere che prima abbiamo sorriso con il presidente del quartiere62, perché
esistono ancora a Bologna i quartieri e sono un necessario strumento di decentramento
altrimenti noi come associazioni diventeremo un po’ matte a confrontarci con i vertici.
Tuttavia nella mia esperienza nell’associazionismo mi è capitato di sentire che alcune
istituzioni locali non vedevano così di buon occhio questa intromissione delle associazioni
culturali, sociali e dei cittadini che ritenevano troppo forte per gli ingranaggi politici. Una
volta ho sentito dire: insomma basta, a un certo punto le associazioni culturali devono anche
capire il loro ruolo, devono fare delle feste, devono preparare delle crescentine, devono
prepararle bene. Questa è una frase che mi ha lasciato un po’ basito…perché questo è quello
che facciamo, alla Zinneke si riconosce il ruolo dell’artista che viene pagato, da noi non solo
non viene pagato ma viene trattato anche come un giullare per la festa che quando deve
proporre e discutere diventa un intruso. Questo non è un discorso generalizzabile, ma come è
stato già detto il politico locale non è una figura generalizzabile, dipende sempre dal valore
della persona. Per quello che penso io non si possono neanche fare generalizzazioni che
riguardano i partiti di appartenenza o quant’altro, ma dipende proprio dalla sensibilità delle
persone. Volevo sapere però che ne pensava lei di questa frase che aveva del ridicolo ma
anche dell’impressionatamente vero.
Krippendorff: La politica è una condizione pericolosa per il carattere perchè offre tanti
stimoli e tante soddisfazioni di essere nel palcoscenico del pubblico…come le star del cinema,
ma solo che le star non possono fare così tanti danni. Per questo bisogna sviluppare dei criteri
per stabilire chi è un politico affidabile.
Io, nella mia vita di politologo, ne ho trovato solo uno che era grande. Lui si chiedeva sempre:
quando prendo una decisione lo faccio per la mia gloria, per fare bella figura nella storia o
lo faccio senza interessi personali? è stato il più modesto che conosco, è stato il presidente
degli Stati Uniti Abraham Lincoln. È possibile avere gente di questo tipo in politica? Fanno
questo mestiere perché vogliono rispettare il loro compito o perché sono affascinati dalla
carica? anche l’assessore Ronchi ha detto che molti suoi colleghi sono attratti dai media da
tutto ciò che da visibilità e risonanza.
La democrazia è autonomia e richiede un impegno molto forte da parte di tutti noi. Ci deve
essere competenza: competenza anche da parte del cittadino.
La competenza del cittadino è la precondizione della buona funzionalità della democrazia,
bisogna essere informati su tutto e tenere d’occhio quello che fanno in tutti i campi.
62
Si tratta di Adagio, presidente del quartiere San Vitale.
Anche l’educazione è molto importante, sapere quali sono i doveri e i propri diritti.
Fano: Chiudiamo in bellezza. Adesso abbiamo l’ultimo intervento, mi scuso con loro per aver
aspettato tanto, li presento si tratta di Goro Osojnik e Anka Pirs Lucignano direttori del
Festival Ana Desetnica di Ljubiljana63. Come si dice “the last but not the least”.
Goro: Ciao,io mi chiamo Goro e sono un attore di TV, teatro e quant’altro, faccio un po’
quello che mi capita per guadagnare un po’ di soldi. L’altra parte del mio lavoro è
l’organizzazione di un festival degli artisti di strada.
Anka: Ciao io sono Anka, non sono un attrice ma giornalista e sociologa aiuto
nell’organizzazione del festival. Ma il mio progetto principale è quello della fiera della cultura
che è un progetto abbastanza lungo nel quale uniamo tutti i gruppi etnici di Ljubiljana. Si
tratta di un evento molto particolare.
Goro: Nel festival io, ovviamente non da solo, mi occupo dell’organizzazione: trovo i gruppi
che vogliono partecipare e insieme formiamo l’idea alla base del festival.
Quest’anno è la dicesima64 edizione…spero che il pubblico partecipi e che condivida con me
la stessa passione.
63
E’ un festival di artisti di strada che per l’edizione di quest’anno ha attivato una collaborazione con gli artisti della
Par Tòt.
64
Si tratta della decima edizione del Festival.