Gérard de Nerval, il mistico autore delle «Chimères

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Gérard de Nerval, il mistico autore delle «Chimères
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Gérard de Nerval,
il mistico autore delle
«Chimères»
Che riguardino la storia, l'arte, la letteratura o il pensiero, gli anniversari hanno questa utilità, e forse non la sola: offrono l'occasione di fare
il punto - magari senza parere, fra le righe - sugli avvenimenti attuali.
Il giovane Gérard
Parigi. 25 gennaio 1855, sera. Certo M. Labrunie decide di uscire
dalla casa di sua cugina che lo ospita temporaneamente, lasciandole un
biglietto sul quale scrive "Non aspettarmi. La notte è nera e bianca".
Parigi. 26 gennaio 1855, alba. Un'alba grigia e fredda come solo a
Parigi può accadere. Nell'Impasse de la vieille lanterne, un vicolo cieco
che oggi non esiste più, un uomo sta per aprire la porta del suo laboratorio, si ferma, sente una presenza alle sue spalle. Si volta e scorge,
appeso all'inferriata di un sottoscala, il corpo di un uomo. Corre a chiamare i gendarmi che, dopo aver deposto a terra il cadavere, frugano
nelle tasche del morto. Trovano documenti che provano l'identità del
suicida: si tratta di M. Gérard Labrunie, meglio conosciuto negli ambienti intellettuali con lo pseudonimo di Gérard de Nerval. Si era impiccato appendendosi all'inferriata con un cordone azzurro che portava
sempre con sé, comvinto si trattasse della giarrettiera della Regina di
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Paolo Paganetto
Saba.
Era nato a Parigi 47 anni prima, nel 1808, agli albori del grande periodo del Romanticismo francese, periodo che avrebbe visto, di lì a pochi
anni, emergere l'intensa spontaneità e sincerità di Lamartine, lo stoico
pessimismo, attivo e tenero, di Alfred de Vigny, la potenza e l'arte di
saper imporre il proprio genio di Victor Hugo, la nostalgia elegiaca di
Musset e l'esattezza pittorica di Théophile Gautier.
Il padre, un ufficiale medico al seguito delle armate napoleoniche,
partì per il fronte sei mesi dopo la sua nascita. La madre seguì immediatamente il marito come infermiera volontaria e morì due anni dopo nella
lontana Slesia senza poter rivedere il figlio dato a balia. Il piccolo fu
affidato alle cure di uno zio materno che abitava a Mortefontaine, poco
lontano da Parigi e non distante neppure dal castello di Ermenonville.
Ermenonville era stato l'ultimo domicilio di Jean-Jaques Rousseau e,
tra le sue mura, aveva visto il passaggio di personaggi come Cagliostro,
Messmer, del favoloso conte di Saint Germain. Per anni aveva assistito
a riunioni scientifiche, magiche e misteriose.
In queste atmosfere e nella fornitissima biblioteca dello zio, ateo come
tanti post-rivoluzionari, dove aveva accesso a una grande quantità di
libri non ortodossi, libri di «illuminati», dal Saint Martin al marchese
d'Argens, dal Cazotte a Restif de la Bretonne (inventore dei termini
«comunismo» e «pornografia»), da Marsilio Ficino a Pico della Mirandola
a Swedenborg, Nerval formò la sua educazione.
Nel 1814, scampato dalla ritirata della Beresina e ferito a Wilna, il
padre torna a casa, prende cin sé Gérard e se lo porta a Parigi dove lo
iscrive al collegio Charlemagne, dove fa la conoscenza di Théophile
Gautier che gli sarà amico per tutta la vita.
L'anima
Ho voluto riportare questi brevi cenni biografici giovanili perché è
negli avvenimenti di quegli anni che si devono cercare le radici delle
tensioni di Nerval, che hanno pervaso, spesso velatamente, le sue opere
letterarie e hanno generato probabilmente la sua «malattia» mentale
portandolo infine al suicidio, compendio ultimo della sua vita e del suo
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pensiero. Ho virgolettato «malattia» perché, in realtà, potrebbe non essere stata tale: sarebbe in effetti necessario stabilire se si trattasse di
pazzia (da patiens, e quindi patologia) o di follia come la intendeva, per
esempio, André Breton, il teorico del surrealismo, secondo il quale essa
non esiste, o forse rappresenta solo una maniera d'essere presenti nel
mondo - a ritroso nel tempo, fino alla primordiale «veggenza».
Fin dalla nascita, Nerval si trovò al centro di enormi contrasti: una
primissima infanzia senza la figura della madre, sempre sconosciuta e
desiderata, che presto diventerà più oscuramente la Madre e anzi,
goethianamente, Le Madri. E il mito materno andrà rapidamente a fondersi con l'immagine ancora più complessa della Donna - immagine
sempre ambivalente: assenza-presenza, angelo-demonio, spettro-realtà, santa-fata. E infine, questa Donna dai mille aspetti e dall'unica Presenza, andrà a sua volta a sfociare nell'immagine suprema di Iside, compendio di ogni femminilità amorosa e materna, nonché simbolo radioso
di tutte le altre divinità femminili, volta a volta Artemide e Venere, Ecate
e Balkis (la Regina di Saba), Rosalia santa napoletana e Artemisia,
alchimistica sposa-sorella del re Mausolo, la temibile Pandora e la solenne Sofia: nel sincretismo sentimentale e religioso che starà sempre
alla base del pensiero - anzi sarebbe meglio dire dell'immaginazione - di
Nerval.
E poi le letture giovanili cui prima ho accennato, in aperto contrasto
con la cultura illuministica dominante, ora aggredita dal nascere del
Romanticismo.
E poi i viaggi in medio-oriente sulle orme di Apuleio, con l'approccio a
culture religiose diverse.
E infine, i primi sintomi della follia (a 33 anni). Come ci racconta egli
stesso nell'incipit del terso capitolo di Aurélia (una delle Filles du Feu):
"Qui ebbe inizio per me quello che chiamerò il dilagare del sogno nella
vita reale... Tutto assumeva un aspetto duplice, e senza che il ragionamento mancasse di logica...".
Ecco, il sogno. La tensione di cui ogni bambino è ben fornito e che
l'adulto dovrebbe gelosamente custodire e coltivare.
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Paolo Paganetto
È stata proprio questa, alla fin fine, la grande sfida di Nerval: fondere
il sogno con la realtà, non attraverso convenienti compromessi, ma cercando di modificare la realtà per condurla alle vertiginose altezze spirituali del sogno.
E, infine, l'ultimo grande contrasto: al termine di una notte nera e
bianca, in un buio vicolo cieco ma illuminato da una lanterna, con un
semplice cordone che era appartenuto alla Regina di Saba, incapace di
sostenere ancora la sfida, Nerval decise di fondere la vita con la morte.