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Esposizione precoce alla cannabis in età adolescenziale e
dimensioni positive e negative della psicosi
N.C. Stefanis1, P. Delespaul2, C. Henquet2, C. Bakoula3, C.N. Stefanis1 & J. Van Os2,4
University Mental Health Research Institute (UMHRI), Atene, Grecia,1 Department of Psychiatry and Neuropsychology,
South Limburg Mental Health Research and Teaching Network, EURON, Maastricht University, Maastricht, Olanda,
2
First Department of Paediatrics, Athens University Medical School, ‘Aghia Sophia’ Children’s Hospital, Grecia3 e
Division of Psychological Medicine, Institute of Psychiatry, Londra, Regno Unito4
Abstract
Obiettivi: studiare l’effetto che un’esposizione precoce alla cannabis in età
adolescenziale produce sui sintomi positivi e negativi della psicosi.
Tipologia: indagine trasversale condotta nell’ambito di uno studio di coorte attualmente
ancora in corso.
Contesto: studio di coorte sulla popolazione generale promosso dal governo greco.
Partecipanti: 3.500 giovani greci di 19 anni
Misurazioni: i soggetti partecipanti hanno compilato un test di 40-item denominato
Community Assessment of Psychic Experiences – CAPE. Scopo di tale test era valutare
le dimensioni positive sub-cliniche (paranoia, allucinazioni, grandiosità, sintomi di
primo rango) e le dimensioni negative della psicosi e la depressione. E’ stato altresì
considerato l’uso di altre droghe.
Risultati: L’uso della cannabis è stato positivamente associato alle dimensioni positive e
negative della psicosi, indipendenti tra loro, e della depressione. A seguito di un
adattamento per le dimensioni negative della psicosi, svaniva del tutto l’ipotesi di
un’associazione tra cannabis e depressione. L’iniziazione all’uso di cannabis produceva
un effetto maggiore in soggetti con meno di 16 anni piuttosto che in soggetti con più di
15 anni, indipendentemente da una frequenza d’uso nell’arco della vita. La presenza di
ansia associata ad esperienze produttive non evidenziava alcune influenza
sull’associazione tra cannabis e psicosi, stando ciò ad indicare che l’auto-medicazione
avrebbe potuto fornire una spiegazione scarsamente plausibile dell’associazione
cannabis-psicosi.
Conclusioni: I risultati acquisiti avvalorano l’ipotesi che la cannabis contribuisca al
livello di espressione della psicosi nella popolazione generale. In particolare,
un’esposizione precoce in età adolescenziale potrebbe far aumentare il rischio di
insorgenza di dimensioni sub-cliniche positive e negative di psicosi, ma non di
depressione.
Parole chiave: cannabis, CAPE (Community Assessment of Psychic Experiences),
psicosi, schizofrenia
Introduzione
E’ ampiamente documentato in letteratura che la cannabis aumenta il rischio di incidenza
dei disordini psicotici e, al tempo stesso, di una prognosi peggiore in soggetti affetti da un
disordine psicotico già manifestatosi, indipendentemente dall’assunzione di eventuali altre
droghe, con tratti della personalità premorbosa stati psicotici prodromici [1-6].
Maggiore è il lasso di tempo intercorso tra l’assunzione di cannabis e l’insorgenza del
disordine, maggiore è l’effetto che ne deriva [4], con livelli di rischio particolarmente alti
in soggetti che hanno cominciato a farne uso in età adolescenziale [3]. Soggetti con una
preesistente vulnerabilità alla psicosi potrebbero rilevare una maggiore suscettibilità agli
effetti psicosi-indotti della cannabis rispetto a soggetti non vulnerabili [4,7].
Inoltre, dagli studi finora condotti [4,5,7 -10] si evidenzia il potente effetto che la cannabis
produce sulle esperienze psicotiche positive non-cliniche, le quali mostrano una
prevalenza maggiore rispetto ai disordini psicotici diagnosticati con il DSM o con l’ICD e,
al tempo stesso, un livello di continuità con stati psicotici più gravi quali la schizofrenia
[11]. Secondo uno studio, l’assunzione di cannabis era altresì indipendentemente correlata
alla dimensione negativa della psicosi non-clinica; secondo un altro studio, invece, si
evidenziava un’associazione negativa con l’anedonia introversiva, che peraltro si riteneva
attingesse alla dimensione psicotica negativa [12]. In nessuno studio effettuato emergeva
un’associazione con la dimensione depressiva [7, 12], mentre un ampio studio condotto
sulla popolazione ha evidenziato un’associazione positiva tra cannabis e stati di
ansietà/depressione [13], fatto questo non riportato in altri studi simili [14].
La constatazione che la cannabis possa indurre un’espressione non-clinica.di psicosi è
assai rilevante, dal momento che si ipotizza che la cannabis possa incrementare il rischio
di psicosi nella popolazione, a livello di impercettibili alterazioni di stati mentali che
potrebbero generare dimensioni cliniche di sintomi psicotici positivi e negativi.
Considerati i dati relativamente recenti e ancora inconsistenti finora raccolti riguardo
l’effetto della cannabis sull’espressione non-clinica della psicosi, si è cercato di
approfondire l’argomento procedendo alla misurazione delle dimensioni non cliniche
tramite il CAPE (Community Assessment of Psychic Experiences o Valutazione delle
esperienze psichiche in ambito comunitario), già utilizzato in un precedente studio da
Verdoux e collaboratori [7]. Rispetto a quest’ultimo, al fine di verificare se il singolo
effetto indotto dalla cannabis potesse essere specifico ad un particolare cluster o gruppo di
esperienze positive, in particolare più alle allucinazioni che all’ideazione delirante, si è
proceduto ad una suddivisione della dimensione psicotica positiva nei diversi cluster di
allucinazioni, paranoia, grandiosità e sintomi di primo grado [15, 16]. Inoltre, la questione
concernente il rischio sproporzionatamente maggiore di schizofrenia correlata all’uso di
cannabis in età adolescenziale [3] fu presa in considerazione anche per quanto riguardava
le esperienze psicotiche nel contesto non-clinico.
Infine, è stata affrontata la questione della causalità invertita: l’ansia associata ad
esperienze psicotiche induce all’uso di cannabis per poter ridurre l’ansia stessa. Ciò è stato
valutato misurando non solo le esperienze psicotiche, ma anche il grado di ansia ad esse
correlato.
Metodologia
Campione
La Greek Birth Cohort (coorte di nascita) è una raccolta di dati longitudinali, al momento
ancora in corso di attuazione, che si basa sulla National Perinatal Survey (Indagine
Nazionale Perinatale), studio prospettico sulle 11.048 nascite registrate in Grecia dal 1 al
30 aprile 1983 [17]. Lo studio era stato commissionato e approvato dalla National Hellenic
Research Foundation (NHRF), dall’Institute of Biological Research and Biotechnology
(IBRB) e dal National Privacy Principles Board.
Nel 1990, presso le scuole primarie presenti sul territorio greco, si cercò di rintracciare i
bambini nati nel 1983, che avevano ormai compiuto 7 anni, in modo da raccogliere i
questionari precedentemente inviati per posta sia ai bambini che ai loro genitori. Ad
entrambi furono garantiti l’anonimato e la riservatezza delle informazioni fornite. I
questionari esaminati furono in tutto 6.594 e i dati in essi riportati furono incorporati e
confrontati con quelli raccolti nel 1983.
Nel 2001 si tentò nuovamente di contattare questi ragazzi, ormai diciottenni, inviando un
nuovo questionario postale da compilare ad opera dei ragazzi stessi e dei genitori. Le
domande del questionario erano divise nelle seguenti sezioni: amici di famiglia e di
scuola, stato di salute attuale e generale, domande riguardanti stati d’animo, stili di vita,
hobby, atteggiamenti, misurazioni biologiche (peso, altezza, ecc… ), abitudini alimentari e
comportamenti.
Le domande specifiche poste ai genitori vertevano su problematiche familiari, fattori
socio-economici e stili di vita.
In tutto furono spediti 4.675 questionari e ai partecipanti all’indagine, come già detto,
furono garantiti l’anonimato e la confidenzialità delle informazioni in essi contenute. Dei
4.675 soggetti intervistati, 3.016 compilarono il questionario così come loro richiesto,
mentre 716 dei soggetti contattati si rifiutarono di collaborare all’indagine.
In una seconda fase furono raccolti altri 484 questionari debitamente compilati, per un
totale quindi di 3.500 questionari raccolti nel 2001.
Al fine di valutare la rappresentatività del campione, costituito come già detto da 3.500
soggetti, sono stati effettuati diversi test (?2 e t-test), utilizzando le seguenti variabili:
luogo di nascita (zona urbana o rurale), peso e altezza alla nascita, professione del padre,
livello di istruzione ed età della madre, sesso, stato maritale, luogo di residenza
dell’adolescente.
Non sono state rilevate differenze significative nella distribuzione delle summenzionate
variabili tra questo sottocampione e la parte restante del campione originariamente
selezionato nel 1983 (P>0,05). In particolare, gli adolescenti del sottocampione e della
restante parte della coorte in esame evidenziavano identiche probabilità di appartenenza ad
un contesto urbano (rispettivamente 66% e 65%).
Sebbene nel sottocampione si registrasse un numero maggiore di adolescenti le cui madri
erano regolarmente sposate al momento della nascita del proprio figlio (99% vs. 97%) e, al
contempo, un numero minore di adolescenti le cui madri non avevano dichiarato il proprio
stato civile (0.05% vs. 0,68%; P<0,0001), la potenziale distorsione (bias) era minima a
causa dell’alta percentuale di madri sposate in entrambi i gruppi. Si può quindi ipotizzare
che non fu introdotta alcuna distorsione tra i due campioni.
Cannabis
Nel 2001, ai soggetti partecipanti, ormai diciannovenni, furono poste le seguenti domande:
hai provato o assunto una delle sostanze di seguito elencate – le opzioni disponibili erano
1) cannabis, 2) estasi, eroina, cocaina, amfetamine, LSD o altre droghe simili. Questa
seconda opzione era considerata come un unico item, vale a dire che le singole sostanze
non venivano considerate separatamente e per la dicitura “altre droghe simili” non
venivano fornite informazioni più dettagliate.
I soggetti potevano rispondere “mai”, “una volta”, “da 2 a 4 volte”, “più di 5 volte”, “uso
abituale (inteso come uso giornaliero o quasi).
La voce cannabis sarà d’ora in avanti indicata come “uso frequente di cannabis nell’arco
della vita”. Inoltre, i soggetti potevano indicare a quale età hanno per la prima volta fatto
uso di cannabis; venendosi così a creare, sulla base anche di quanto riportato in ricerche
precedenti [3], due gruppi distinti: prima dei 15 anni e dopo i 15 anni.
Community Assessment Psychic Experiences (CAPE o Valutazione delle esperienze
psichiche in ambito comunitario)
Gli adolescenti compilarono il test a 40-item CAPE [18,19], strumento che consentiva di
individuare una variazione nelle dimensioni positive e negative di esperienze non-cliniche
di psicosi e di depressione. I criteri esterni e la validità discriminante di tali dimensioni
erano stati precedentemente dimostrati [7,18,19]. Il test CAPE è uno strumento di autovalutazione e si basa fondamentalmente sul questionario a 21-item “Delusions inventory”
ideato da Peters et al (PDI-21) [20]. Questo questionario fu sviluppato per misurare
l‘ideazione delirante nella popolazione generale su una scala dimensionale, ed era a sua
volta basato sul Present State Examination [21], cui Peters e collaboratori (1999)
apportarono delle modifiche, in particolare aggiungendo alle domande la dicitura “come
se” al fine di assicurare l’accettabilità della scala per la popolazione generale. Inoltre, per
poter esaminare le diverse esperienze occorse nell’arco della vita, le domande erano
formulate nel seguente modo: “Hai mai provato/pensato di… .”. Il questionario PDI
poneva domande volte ad accertare in primo luogo la presenza di un’ideazione delirante
(misurata tramite risposta dicotoma “Sì” o “No”), quindi la presenza delle tre dimensioni
dell’esperienza delirante, vale a dire ansia, preoccupazione e convinzione (misurate su una
scala di punteggi da 1 a 5 punti: “per nulla angosciante”, “molto angosciante”; “non ci ho
quasi mai pensato”, “ci ho pensato tutto il tempo”; “non credo che sia vero”, “credo sia
assolutamente vero”).
La versione definitiva del CAPE fu quindi predisposta apportando modifiche e aggiunte al
questionario PDI [18]. Prima di tutto, furono omessi gli item relativi ai deliri mistici
perché si riteneva potessero creare imbarazzo nei soggetti particolarmente religiosi. In
secondo luogo furono omessi o riformulati item che in studi precedenti si erano rivelati
ambigui [22] e, al contrario, furono aggiunti due item sulle allucinazioni uditive. Infine,
furono aggiunti altri 14 item sui sintomi negativi e 8 sui sintomi depressivi; i primi furono
ripresi dalla SANS (Scale for the Assessment of Negative Symtoms) [23] e dalla SENS
(Subjective Experience of Negative Symptoms) [24].
Dal momento che risultò difficile fare una distinzione tra sintomi negativi e sintomi
depressivi, al PDI furono aggiunti diversi item su sintomi depressivi patognomonici della
depressione, ad esempio sintomi cognitivi di depressione (tristezza, pessimismo,
disperazione, sensazione di fallimento o di colpevolezza) [25].
Il CAPE fu infine ridotto a scale bidimensionali; la prima scala riportava il punteggio
relativo alla frequenza dell’esperienza (misurata su scala da 1 a 4 punti: “mai”, “qualche
volta”, “spesso” e “quasi sempre”, proprio per evitare una possibile distorsione qualora si
opti per una risposta mediana); la seconda scala riportava il punteggio del grado di ansia
(misurato su scala a 4 punti: “per nulla ansioso”, “un po’ ansioso”, “abbastanza ansioso” e
“molto ansioso”). La riduzione delle dimensioni dell’esperienza psicotica fu introdotta dal
momento che la precedente indagine, condotta da Verdoux e collaboratori [22] su un vasto
campione della popolazione generale tramite il PDI-21, aveva evidenziato che molti
soggetti non compilavano debitamente tutte le scale dimensionali di ciascun sintomo.
Le dimensioni del CAPE
Il CAPE fornisce un punteggio globale e un punteggio totale per ciascuna dimensione
(positiva, negativa e depressiva) sommando il numero di risposte positive alla domanda
sulla frequenza; esso fornisce altresì un punteggio relativo all’ansia sommando i punteggi
delle diverse domande su questo item. Fu fissata una soglia conservativa ricodificando un
punteggio “2” (optando per la risposta ”qualche volta” o sentendosi solo “un po’ansioso”)
in “1”.Per poter definire una suddivisione dei cluster delle esperienze positive di psicosi
sulla base dei dati raccolti, è stata effettuata un’analisi fattoriale e delle componenti
principali seguita da rotazione Varimax, da cui sono emersi quattro fattori di esperienze
paranoidi (persecuzione, vodoo, riferimenti a Tv e radio; cospirazione, assumere aspetti
bizzarri, cose con un doppio significato o che sono diverse da quello che sembrano), di
sintomi di primo rango (eco del pensiero, rimozione, trasmissione del pensiero, inserzione
del pensiero, sensazione di essere spiati, sensazione di essere influenzati dagli altri,
telepatia), allucinazioni (sentire voci e rumori) e grandiosità (il sentirsi importanti o
speciali).
La somma dei punteggi dei quattro cluster summenzionati fu ottenuta aggiungendo i
punteggi riportati nei singoli cluster. I quattro cluster della dimensione positiva di psicosi
non furono correlati in maniera significativa (media di Pearson r: 0,31, range 0,19-0.47)
Analisi
Le associazioni sono state espresse come coefficienti di regressione dell’uso di cannabis in
modelli di regressione multipla dei punteggi delle dimensioni continue positive, negative e
depressive. Sono state peraltro aggiustate per 1) uso di altre droghe, 2) altre dimensioni e
3) sesso e livello di istruzione raggiunto (punteggio da 0 a 20, con il punteggio più alto ad
indicare livelli superiori). Ad esempio, nell’analisi regressiva della dimensione negativa,
le associazioni sono state aggiustate per la dimensione depressiva e per le quattro
dimensioni positive, ciascuna delle quali è stata successivamente aggiustata per la
dimensione negativa e depressiva. L’effetto dell’età al momento del primo uso fu valutato
aggiustandolo per la frequenza d’uso nell’arco della vita.
Al fine di valutare il fattore di confondimento per esperienza di ansia associata ad
esperienze psicotiche positive per tutto l’arco della vita, sono state condotte due analisi
separate: 1) associazione tra cannabis e dimensioni psicotiche positive, ad esclusione del
gruppo con esperienze psicotiche positive, senza presenza di ansia in merito a ciascun item
(gruppo con ansia); 2) associazione tra cannabis e dimensioni psicotiche positive, ad
esclusione del gruppo con esperienze psicotiche positive con presenza di ansia per almeno
uno degli item (gruppo senza ansia).
Per poter valutare se gli effetti delle cannabis aumentassero linearmente con la frequenza
di uso nell’arco della vita, sono stati comparati modelli con e senza il quadrato della
frequenza d’uso nell’arco della vita con il “likelihood ratio test” (test del rapporto delle
verosimiglianze).
Interpretazione dell’entità dell’effetto
Al fine di favorire l’interpretazione dell’entità dell’effetto e, quindi, di compararla nelle
diverse dimensioni delle analisi di regressione multipla, tutti i coefficienti di regressione
sono stati espressi come deviazione standard (DS) delle unità di variabili dipendenti (‘B’).
In questo modo, se l’entità dell’effetto della” frequenza d’uso della cannabis nell’arco
della vita” su una dimensione positiva è pari a 0,1, ciò significa che coloro che hanno fatto
uso di cannabis avevano un punteggio di DS maggiore in questa dimensione con ciascuna
unità crescente della variabile “frequenza d’uso della cannabis nell’arco della vita” (le
unità erano: mai, una sola volta, da 2 a 4 volte, 5 o più volte, uso sistematico).
RISULTATI
Il campione era composto da un totale di 3.500 adolescenti, di cui il 45% maschi. La
frequenza dell’uso di cannabis nell’arco della vita era pari al 6% (n = 200); “mai”: 94,3%
(n = 3300); “una sola volta”: 2% (n = 70); “da 2 a 4 volte”: 1,4% (n = 48); “più di 5
volte”: 1,5% (n = 51); uso sistematico: 0,9% (n = 31).
Dei 200 adolescenti che fanno uso di cannabis, 52 (26%) avevano dichiarato di averne
fatto uso per la prima volta in un’età pari o inferiore a 15 anni. La frequenza di uso di altre
sostanze stupefacenti era di molto inferiore all’1% (n = 32). Tra le ragazze l’uso di
cannabis (pari all’8% nei ragazzi e al 4% nelle ragazze – ?2 = 25,5, d.f. = 1, P < 0,0001) e
di altre droghe (pari al 1,7% nei ragazzi e allo 0,3% nelle ragazze – ?2 = 16,9, d.f. = 1, P <
0,0001) era molto meno diffuso. La frequenza d’uso della cannabis e la frequenza di uso
di altre sostanze non era correlato al grado di istruzione (per entrambi: Pearson’r = 0,03).
I punteggi medi (tra parentesi i valori di DS) per le diverse dimensioni erano i seguenti:
paranoia 0,20 (0,24); grandiosità 0,20 (0,40); sintomi di primo rango 0,10 (0,17);
allucinazioni 0,02 (0,15); depressione 1,9 (0,5); dimensione negativa 1,8 (0,4). La
percentuale di individui che, data la presenza di un sintomo psicotico, non avevano
riportato una situazione di ansia riguardo a nessuno degli item era pari a: paranoia 17%;
sintomi di primo rango 46%; grandiosità 87%; allucinazioni 54%.
Cannabis e dimensioni di psicosi
L’uso di cannabis con frequenza abituale nell’arco della vita è stato positivamente
correlato a tutti e quattro i cluster o gruppi della dimensione positiva di psicosi (Tabella 1).
Per quanto riguarda le allucinazioni, l’effetto della cannabis si mostrava non lineare, in
quanto la differenza più rilevante si evidenziava tra uso sistematico e tutte le altre
categorie (standardizzato non aggiustato B = 1,38, P = 0,000; aggiustato per uso di altre
droghe, dimensioni depressive e negative, sesso e livello di istruzione: B = 0,34, P =
0,000). Le associazioni furono ridotte ma restarono statisticamente significative anche
dopo aggiustamento per le diverse variabili di confondimento (confounders) (Tabella 1).
Si rilevava una netta differenziazione dell’entità dell’effetto tra i due gruppi che avevano
iniziato ad assumere la sostanza all’età di circa 15 anni, indipendentemente dall’uso di
cannabis con frequenza abituale nell’arco della vita. La differenza era tale che l’entità
dell’effetto dell’uso frequente di cannabis nell’arco della vita era di molto maggiore in
coloro che l’avevano assunta per la prima volta in età adolescenziale (Tabella 2).
Nelle analisi in cui non è stato effettuato alcun aggiustamento, l’uso di cannabis con
frequenza nell’arco della vita era stato correlato sia alle dimensioni depressive che alle
dimensioni negative della psicosi. In ogni caso, l’aggiustamento per la dimensione
negativa abolì l’effetto della cannabis sulla dimensione depressiva mentre l’effetto sulla
dimensione negativa, dopo aggiustamento per la dimensione depressiva, risultò ridotto ma
pur sempre statisticamente significativo (Tabella 3). Per quanto concerne la dimensione
negativa della psicosi, emergeva un rilevante effetto riguardo l’età posseduta al momento
dell’iniziazione all’uso, indipendentemente da una frequenza d’uso nell’arco della vita (età
al momento del primo uso = 15 anni: B = 0,58, P = 0,007; età al momento del primo uso >
15 anni: B = 0,19, P = 0,23).
La distribuzione dell’uso di cannabis con frequenza nell’arco della vita, in relazione allo
stato di ansia in soggetti con almeno un punteggio positivo in una delle dimensioni
positive della psicosi, era la seguente (alla luce della non linearità precedentemente
osservata per quanto riguarda l’effetto della cannabis sulle allucinazioni – effetto di uso
estremo; e grandiosità – effetto di qualsiasi tipo di uso, l’uso sistematico di esposizione vs.
qualsiasi altro uso fu utilizzato per le allucinazioni e il non uso di esposizione vs. qualsiasi
altro tipo di uso per la grandiosità): allucinazioni correlate ad ansia 11% (n = 5);
allucinazioni non correlate ad ansia 13% (n = 7); grandiosità con ansia 9% (n = 10);
grandiosità senza ansia 10% (n = 71); paranoia con ansia 7% (n = 123); paranoia senza
ansia 10% (n = 39); sintomi di primo rango con ansia 9% (n = 58); sintomi di primo rango
senza ansia 8% (n = 48). L’esame dell’effetto dell’uso di cannabis con frequenza nell’arco
della vita sulla psicosi produttiva, con esclusione di quei soggetti che rivelavano o meno
una condizione di ansia, ha evidenziato che non esisteva alcuna differenza tra questi due
gruppi di individui con sintomi positivi di psicosi (Tabella 4).
DISCUSSIONE
I risultati della presente indagine condotta sulla popolazione generale indicano l’esistenza
di un’associazione tra cannabis e sintomi positivi e negativi di psicosi, indipendenti tra
loro ed a prescindere da un’eventuale stato di depressione. Tale associazione, anche in
linea con il precedente studio, era peculiare alle dimensioni positive e negative di psicosi e
non implicava necessariamente anche la depressione [12, 26].
La prevalenza dell’uso di cannabis (6%) e di altre droghe (1%) mostrava valori più bassi
rispetto agli altri paesi europei e ciò si ipotizzava fosse attribuibile ad una probabile
carenza di segnalazioni spontanee. Dalle indagini condotte in ambito europeo emerge
comunque che, in realtà, in Grecia l’uso di cannabis, con una prevalenza d’uso tra gli
studenti di scuola media superiore pari a circa il 9%, era meno diffuso rispetto agli altri
paesi o, quantomeno, la situazione era tale nel periodo considerato dalla presente indagine
[27, 28]. Non si può escludere che la carenza di segnalazioni spontanee sia riconducibile al
fatto che i questionari furono inviati per posta e che i ragazzi, per paura che i genitori
potessero leggere quanto da loro dichiarato, possano aver taciuto un eventuale uso abituale
di droghe. In ogni caso, se ciò fosse realmente così, il ristretto numero di segnalazioni
avrebbe potuto generare falsi negativi e avrebbe potuto comportare una distorsione o bias
verso lo zero piuttosto che indurre risultati spuri, così come avrebbe anche potuto ridurre
le differenze caso-controllo. L’ipotesi sia di una carenza di segnalazioni spontanee che di
falsi negativi avrebbe quindi avvalorato più che confutato i risultati conseguiti, a meno che
si presumesse che fossero gli adolescenti, assuntori di cannabis e con scarsa
predisposizione alla psicosi, ad evidenziare una maggiore carenza di segnalazioni se
paragonati ad assuntori con un’alta predisposizione alla psicosi. Tale ipotesi sembrerebbe
improbabile dal momento che, ad esempio, nel caso di ideazione paranoie associata ad una
predisposizione psicotica, il summenzionato rapporto con una penuria di segnalazioni
spontanee sarebbe stato inverso.
Le altre limitazioni evidenziate nel presente studio erano riconducibili al fatto che la
misurazione dell’esposizione non era accurata, essendo impossibile effettuare una
valutazione quantitativa della sostanza assunta e non essendo state ben delineate le
categorie specifiche di un uso abituale di cannabis per tutto l’arco della vita. Ad esempio
non c’è assolutamente modo di sapere se la differenza tra “mai” e “da 2 a 4 volte”sia
similare a quella tra “da 2 a 4 volte” e “più di 5 volte”. Inoltre, ai bambini fu chiesto se
avessero mai fatto uso di cannabis con una frequenza riconducibile ad una di quelle
precedentemente indicate, mentre non fu loro domandato per quanto tempo avessero
assunto la sostanza con il tipo di frequenza indicato ovvero quando ne hanno uso l’ultima
volta. Da questa lacuna informativa deriverebbe una minore accuratezza nella misurazione
dell’esposizione, con maggiori probabilità di errore casuale. D’altro canto, però, da ciò
non potrebbero derivare né un errore non casuale né risultati spuri. Dal modo in cui le
diverse opzioni di frequenza erano presentate emergeva chiaramente un aumento dei
livelli di consumo e fu proprio tale constatazione ad essere acquisita e successivamente
sottoposta ad ulteriori valutazioni.
E’ possibile che alcuni adolescenti, al momento della compilazione del questionario, si
trovassero effettivamente in uno stato di intossicazione acuta da cannabis, ma ciò poteva
riguardare solo una minima parte di loro e, più precisamente, quei soggetti che rientravano
nella categoria di uso più frequente.
Essendo il nostro uno studio trasversale, si rivelò più difficile individuare la direzione
dell’effetto. Ad esempio, la cannabis potrebbe generare esperienze psicotiche ma queste, a
loro volta, potrebbero indurre il soggetto ad assumere cannabis per attenuare proprio tali
esperienze. Il CAPE non misura l’età del soggetto all’insorgere dell’esperienza, che
potrebbe peraltro precedere l’assunzione di cannabis. In questa indagine, sono comunque
due i fattori che suggeriscono che la direzione della causalità, almeno in parte, vada dalla
cannabis alla psicosi.
In primo luogo, una variabile longitudinale che riportasse l’età al momento
dell’iniziazione all’uso di cannabis avrebbe comportato una netta discriminazione tra
assuntori precoci e assuntori tardivi, a prescindere da una frequenza d’uso nell’arco della
vita. L’unico modo possibile affinché tale risultato potesse rivelarsi spurio era presumere
che i soggetti con alti livelli di esperienze psicotiche avessero sistematicamente distorto le
dichiarazioni di un uso precedente e/o soggetti con livelli bassi di psicosi avessero invece
distorto le dichiarazioni di un uso più tardivo. Benché non sia possibile escluderla, tale
ipotesi risulta quantomeno improbabile e inconciliabile con la constatazione che tale
associazione persisteva anche dopo aggiustamento per la frequenza d’uso nell’arco della
vita. Un’altra spiegazione possibile è che negli assuntori precoci di cannabis si riscontrava
una diatesi psicotica più grave, indicativa di un’iniziazione precoce all’uso di cannabis ai
fini dell’auto-medicazione. Una analisi eseguita a posteriori, pur prevedendo una
comparazione tra assuntori precoci e tardivi relativamente alla gravità dell’ansia correlata
a ciascuna delle quattro dimensioni psicotiche, non ha comunque evidenziato differenze
significative per nessuna delle dimensioni succitate (da P = 0,58 a P = 0.85). Nondimeno
ciò non consente di ipotizzare una diatesi psicotica più grave negli assuntori precoci,
sebbene non possa essere neanche esclusa.
In secondo luogo, soggetti che avevano sperimentato un numero maggiore di stati di ansia
correlati ad esperienze psicotiche, non mostravano affatto un modello di associazione
cannabis-psicosi diverso da quello di soggetti che non manifestavano ansia e, all’interno
del gruppo degli assuntori, non si rilevava alcuna associazione tra ansia e frequenza d’uso.
Questo fatto suggeriva che la direzione ipotizzata da esperienze psicotiche a cannabis sulla
base dell’auto-medicazione era improbabile e non poteva comunque giustificare tale
associazione nella sua complessità.
L’uso della regressione multipla con un esito a bassa prevalenza, del tipo delle esperienze
allucinatorie (3%), potrebbe produrre risultati imprecisi. Per tale motivo sono state ripetute
le analisi ricorrendo ad una misura binaria per le allucinazioni e ricalcolando l’entità
dell’effetto tramite regressione logistica. Si è proceduto quindi ad una comparazione tra
uso sistematico di cannabis e tutte le restanti categorie di uso nell’arco della vita. E’ stato
evidenziato un medesimo modello di risultati non-lineari con un rischio relativo di
allucinazioni uditive altamente significativo nella categoria superiore di frequenza d’uso
sistematico nell’arco della vita (odds ratio = 6,7; P = 0,000; odds ratio aggiustato < 0 4,3;
P = 0.046).
Affermare che l’uso precoce di cannabis aumenta il rischio di insorgenza sia di un
disordine psicotico clinico [3], sia di esperienze psicotiche è un dato puramente
informativo. In un contesto recentemente ipotizzato in cui gli aspetti psicologici e
biologici della psicosi [29] vengono contemporaneamente presi in considerazione, è stato
evidenziato che uno stato iperdopaminergico disregolato può provocare un rilascio di
dopamina stimolo-indipendente che potrebbe in qualche modo influire sul normale
processo di attribuzione di significato derivato dal contesto e causare un’aberrante
assegnazione di significato ad oggetti esterni e rappresentazioni interne. Allucinazioni e
deliri possono quindi scaturire da spiegazioni cognitive di queste esperienze alterate. E’
stato altresì mostrato che nella schizofrenia cronica si evidenzia una vulnerabilità
progressivamente maggiore sia ad uno stato psicotico che ad eventuali recidive. La
sensibilizzazione del sistema dopaminergico mesolimbico endogeno, indotta da ripetuta
stimolazione da cannabis [30], potrebbe costituire il meccanismo soggiacente a questa
vulnerabilità acquisita [31, 32], a cui i soggetti che mostrano una predisposizione alla
psicosi potrebbero essere particolarmente suscettibili [33]. La sensibilizzazione della
dopamina dipende dalla fase di sviluppo e si ritiene abbia inizio nell’adolescenza [34].
Percentuali più alte di esperienze psicotiche riscontrate nelle fasce giovanili della
popolazione [35], così come l’apparente effetto della cannabis sull’insorgenza e lo
sviluppo delle esperienze psicotiche, ben si adatta all’ipotizzata insorgenza nella fase
adolescenziale di una potenziale sensibilizzazione alla dopamina. I risultati da noi
conseguiti dimostrano che le allucinazioni sono poche e che la grandiosità risenta
maggiormente dell’ipotizzato effetto sensibilizzante della cannabis, laddove gli altri
sintomi sono correlati alla cannabis secondo un modello dose-risposta.
Il fatto che l’assunzione di cannabis sia correlata sia alle dimensioni positive che alle
dimensioni negative delle esperienze psicotiche suggerisce l’esistenza di un meccanismo
psicotropo di un unico fattore di rischio ma con due esiti diversi. Questa peraltro era simile
al modello di rischio di altri fattori ambientali prossimali quali l’urbanità, che è stato
ampiamente dimostrato come influisca anche sul dominio dei sintomi positivi e negativi di
psicosi [36]. Sebbene l’uso della cannabis fosse associato alla depressione, tale
associazione svaniva a seguito di aggiustamento per i sintomi negativi, mentre il contrario
non era possibile. Ciò spiegava come mai la cannabis, in un precedente studio condotto
sulla popolazione generale, fosse stata correlata ai sintomi della depressione [13] che,
come è noto, denotano un considerevole grado di sovrapposizione con la sintomatologia
negativa della psicosi [25]. In modo simile, la replicazione delle associazioni tra cannabis
e psicosi nei diversi cluster di esperienze psicotiche, siano esse scarsamente o
moderatamente correlate, suggerisce un unico percorso sottostante ma con espressioni
variabili.
In conclusione, i risultati del presente studio mostrano che l’associazione tra cannabis e
schizofrenia, già peraltro evidenziata in precedenti studi, dovrebbe essere interpretata alla
luce della constatazione che la cannabis aumenta il rischio di psicosi nella popolazione, a
livello di impercettibili alterazioni degli stati mentali che formano le dimensioni positive e
negative delle esperienze psicotiche. Si è dedotto che la mancanza di correlazioni
ecologiche tra consumo di cannabis e tassi ufficiali di incidenza di psicosi nella
popolazione sta ad indicare che la cannabis non rappresenta una causa sufficiente di
psicosi [37]. E’ comunque evidente che gli indicatori ufficiali di psicosi riflettono in modo
molto distorto, parziale e inaffidabile la potenza della morbidità della psicosi nella
popolazione [11, 22, 38]. Considerato che gli effetti della cannabis sono individuabili ben
oltre i criteri convenzionali per il disturbo psicotico, occorre effettuare quanto prima
ulteriori indagini volte a stabilire fino a che punto la cannabis possa essere considerata una
causa sufficiente di vulnerabilità alla psicosi nella popolazione generale.
Ringraziamenti ..
Lo studio di coorte in questione è stato finanziato dalla Commissione Europea,
Programma sulla Qualità della vita e la Gestione delle risorse esistenti, contratto n.