Dal 14 luglio al 13 novembre «David Bowie is» si potrà visitare nelle

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Dal 14 luglio al 13 novembre «David Bowie is» si potrà visitare nelle
Cultura | David Bowie in mostra
Dal 14 luglio al 13 novembre «David Bowie is» si potrà visitare
nelle sale del Museo di arte moderna di Bologna
Ricordando
Duca
Bianco
il
David Bowie torna a raccontare la sua e la nostra vita. L’eccezionale retrospettiva sulla carriera
dell’artista inglese sbarca a Bologna, unica tappa italiana, prima di approdare in Giappone
nel 2017. Ha già avuto quasi un milione e mezzo di visitatori. «Giocoso, ironico, criptico
oppure provocante, l’impatto che David Bowie ha avuto e continuerà ad avere
sull’arte dei nostri tempi è veramente sconfinato»
di Stefano Marchetti
amaleontico e caleidoscopico. Esploratore della
musica, ma soprattutto di se stesso. Come un
fulmine creativo, David Bowie ha attraversato
più di quarant’anni della nostra vita, trait d’union fra
due secoli e due millenni: musicista, artista, attore,
produttore, «è stato un visionario capace sempre di
sperimentare guardando avanti, sollevandoci dalla
C
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quotidianità ed espandendo i nostri orizzonti», è il pensiero di Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente
dell’Istituzione Bologna Musei. Affascinante per il suo
glamour eppure a tratti anche decadente, magari
audace ed eclettico, e tuttavia perfino misterioso, proprio come un «uomo che cadde sulla Terra», il Duca
Bianco ci ha lasciato il 10 gennaio, due giorni dopo il
Fotografia originale
per la copertina dell’album
«Earthling», 1997.
Cappotto Union Jack disegnato
da Alexander McQueen
in collaboratione
con David Bowie.
Foto di Frank W Ockenfels 3
Cultura | David Bowie in mostra
«The Archer»,
Station to Station tour, 1976.
Foto di John Rowlands
© John Robert Rowlands
«La mostra non propone
un modello, ma un processo
creativo», indica Laura Carlini
Fanfogna, direttrice dell’Istituzione
Bologna Musei. «Vedremo la ricerca
inarrestabile a cui Bowie si è dedicato
per tutta la vita. E in questo
si può leggere un messaggio chiaro:
ognuno è incoraggiato a esplorare
e a scoprire il proprio talento,
la propria passione,
anche nel quotidiano»
suo 69° compleanno e dopo l’uscita dell’album «Blackstar», suo ultimo atto, ma la sua
impronta resta inconfondibile nella musica,
nello stile e anche nell’immaginario: «Perché David Bowie è stato uno dei performer
più pionieristici e influenti dei nostri tempi,
un musicista innovatore e un’icona culturale», fa notare Victoria Broackes del Dipartimento di Teatro e performance del rinomato Victoria and Albert Museum di Londra.
Proprio lei, insieme a Geoffrey Marsh, ha
firmato quella che si preannuncia come la
mostra-evento dei prossimi mesi a Bologna,
«David Bowie is», eccezionale retrospettiva
sulla carriera dell’artista inglese, con più di
300 oggetti selezionati nel suo sterminato
archivio e proposti in un allestimento quasi
teatrale, ad altissimo tasso di tecnologia,
«come un concerto», sorride Victoria. La mostra ha debuttato con straordinario successo a Londra nel 2013 e ha iniziato quindi un
tour internazionale, toccando Chicago, San
Paolo del Brasile, Toronto, Parigi, Berlino,
Melbourne e Groningen in Olanda. Dal 14
luglio al 13 novembre sarà allestita nelle
sale del MAMbo, il Museo di arte moderna
di Bologna che ha battuto concorrenti come
Milano, Roma e Mantova: sarà l’unica tappa italiana dell’esposizione e l’ultimo appuntamento in Europa, prima di approdare
poi in Giappone nel 2017. «E siamo felici
che possa essere presentata al MAMbo, un
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Cultura | David Bowie in mostra
courtesy the David Bowie Archive, Victoria and Albert Museum, London.
Uno degli scatti per la copertina
di «Aladdin Sane», 1973.
Foto Duffy.
The David Bowie Archive
and (under license from Chris Duffy)
Duffy Archive Limited
Due immagini
di «David
Bowie is»,
la retrospettiva,
ad altissimo
tasso
di tecnologia,
sull’artista
inglese,
con più
di 300 oggetti
selezionati
nel suo
sterminato
archivio
museo che, come il nostro, guarda con attenzione ai linguaggi artistici anche trasversali», rimarca la curatrice
londinese.
«David Bowie is», con il verbo al presente, dunque
«David Bowie è». «Il titolo è un’affermazione, una frase
lasciata aperta, ma anche una domanda a cui è impossibile dare una sola risposta», osserva Victoria Broackes. «Giocoso, criptico oppure provocante, l’impatto
che David Bowie ha avuto e continuerà ad avere sull’arte dei nostri tempi è veramente sconfinato». La mostra non vuole essere una biografia, e non segue rigorosamente una cadenza cronologica, ma ci accompagna
attraverso l’evoluzione dello stile di Bowie, il glam rock
e il plastic soul, il successo commerciale e le sperimentazioni di nicchia, i suoi dischi, i suoi «Heroes», i suoi al-
Il Duca Bianco ci ha lasciato il 10 gennaio, due giorni
dopo il suo 69° compleanno ma la sua impronta
resta inconfondibile nella musica, nello stile e anche
nell’immaginario: «Perché David Bowie è stato uno
dei performer più pionieristici e influenti dei nostri tempi,
un musicista innovatore e un’icona culturale», fa notare
Victoria Broackes del Victoria and Albert Museum di Londra,
che insieme a Geoffrey Marsh ha firmato la mostra-evento
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ter ego e le sue trasformazioni come altrettante personalità, ce ne riporta l’energia e, anche attraverso una
bizzarra «Tavola periodica di Bowie», ideata da Paul
Robertson, dà conto delle reciproche influenze con altri
artisti come Andy Warhol e Sonia Delaunay, per arrivare fino a Lady Gaga o Kate Moss. Rispetto alla prima al
Victoria and Albert Museum, questa tappa bolognese
includerà ovviamente anche gli ultimi lavori di Bowie
come il singolo «Lazarus», con quel video in cui il cantante compare bendato e disteso come in un letto d’ospedale, inquietante profezia. Certo, lungo i decenni
David Bowie è stato anche al centro di controversie e
scandali che in fondo hanno contribuito al mito della
sua figura trasgressiva: «La mostra non propone un modello, ma un processo creativo», indica Laura Carlini
Fanfogna, direttrice dell’Istituzione Bologna Musei.
«Vedremo la ricerca inarrestabile a cui Bowie si è dedicato per tutta la vita. E in questo si può leggere un messaggio chiaro: ognuno è incoraggiato a esplorare e a
scoprire il proprio talento, la propria passione, anche
nel quotidiano». Testi di canzoni scritti a mano, costumi
originali, fotografie, spezzoni di film e video musicali,
disegni di set per i concerti, storyboard e album di
schizzi, tutto dimostrerà come Bowie abbia anche ispirato gli altri a sfidare le convenzioni e a perseguire una
Cultura
L’esposizione non vuole essere
una biografia e non segue
rigorosamente una cadenza
cronologica ma ci accompagna
attraverso l’evoluzione dello stile
di Bowie, il glam rock
e il plastic soul, il successo
commerciale e le sperimentazioni
di nicchia, i suoi dischi,
i suoi “Heroes”, i suoi alter ego
e le sue trasformazioni
loro libertà d’espressione.
Prima di tutto, David Bowie is a London
boy. «La mostra si apre proprio con uno
sguardo ai suoi primi anni e ai suoi primi
passi nella musica», spiega la curatrice. David Robert Jones era nato nel 1947 a Brixton, Londra: aveva sei anni quando con la
famiglia si trasferì a Bromley, nel Kent, e
ben presto venne attratto da tutte le innovazioni nell’arte, nel teatro, nella tecnologia o nella cultura giovanile. The Kon-rads
e The King Bees furono i suoi primi gruppi,
Little Richard uno dei suoi idoli musicali:
nel 1965 il giovane Jones adottò ufficialmente il nome d’arte di David Bowie con cui
intitolò anche il suo primo album, nel 1967.
Nella prima sezione della mostra, comunque, l’obiettivo è puntato particolarmente
su «Space Oddity» del 1969, il primo grande
successo di Bowie: ispirato quasi certamente da «2001: Odissea nello spazio», il film di
Kubrick uscito appena l’anno prima, il singolo venne pubblicato quasi in coincidenza
con lo sbarco dell’uomo sulla luna. E David
si trovò così lanciato nell’universo delle
stelle della musica.
L’esposizione abbraccia l’intero processo creativo di Bowie, che coglieva suggestioni da forme d’arte già radicate così come dai movimenti più all’avanguardia, e
sapeva riferirsi al surrealismo così come al
teatro di Brecht, ai musical del West End e
all’espressionismo tedesco, ma anche al teatro Kabuki giapponese. Su un ideale, perenne palcoscenico, David Bowie ha spes-
Body a righe per Aladdin Sane tour, 1973.
Disegnato da Kansai Yamamoto.
Foto di Masayoshi Sukita.
© Sukita / The David Bowie Archive 2012
Cultura
David Bowie ha attraversato
più di quarant’anni
della nostra vita: musicista,
artista, attore, produttore, «è stato
un visionario capace sempre
di sperimentare guardando avanti,
sollevandoci dalla quotidianità
ed espandendo i nostri orizzonti»,
ricorda Lorenzo Sassoli de Bianchi,
presidente dell’Istituzione
Bologna Musei
so reinventato se stesso in personaggi (e vite) di fantasia, come quella di Ziggy Stardust, un alieno, un uomo delle stelle, o forse, come raccontò poi Bowie in un’intervista, un umano entrato in contatto con forze da un’altra dimensione: Ziggy, con le
calzamaglie attillate e coloratissime, i capelli rossi come gli stivali, e un’immagine
efebica e androgina, dalla sessualità ambigua, nacque nel 1972 e fu sicuramente
una delle prime icone di Bowie. «Diede uno
scossone alla cultura pop di quel periodo»,
assicura Victoria Broackes. In mostra vedremo il costume originale, disegnato da
Freddie Burretti, che David indossò per
cantare «Starman» alla trasmissione «Top
of the pops» sulla Bbc: dicono si fosse ispirato ai drughi di «Arancia meccanica», ma
lasciando da parte ovviamente la loro violenza. Saranno almeno sessanta i costumi
esposti, dalle creazioni fiammeggianti di
Kansai Yamamoto per il tour seguìto alla
pubblicazione di «Aladdin Sane» del 1973
(e proprio sulla copertina di quell’album Bowie compariva con la famosa saetta dipinta sul volto, l’immagine che è anche il simbolo della mostra) al cappotto con la Union
Jack disegnato dal cantante insieme allo
stilista Alexander McQueen per la cover di
«Earthling» del 1997. Vedremo anche fotografie di Brian Duffy, Terry O’ Neill e Masayoshi Sukita, prove per copertine, estratti da film e performance dal vivo, così come
video musicali, da «Boys keep swinging»
del 1979 alla svolta pop di «Let’s dance»
del 1983, o i design per il set dell’esuberante tour «Diamond Dogs» del 1974. Ritro-
veremo la monocromia del cosiddetto periodo berlinese della seconda metà degli anni ’70, quello in cui Bowie cambiò ancora
volto e divenne il Thin White Duke, l’algido Duca Bianco. Scopriremo anche curiosi
collage di parole ispirati al cut up, il metodo di scrittura ispirato dallo scrittore William Burroughs. Lungo il percorso di visita ci si imbatterà anche in una frase, tratta da «1984» di George Orwell, che sembra
quasi la filosofia di Bowie: «La cosa intelligente è stata infrangere le regole e rimanere vivi allo stesso tempo».
La mostra non poteva che essere spettacolare anche negli allestimenti: «Volevamo che fosse come nessun’altra», aggiunge
la curatrice. Non a caso, il Victoria and Albert Museum si è avvalso della collaborazione della 59 Productions, la società che
ha curato anche l’immagine video della
cerimonia di apertura delle Olimpiadi di
Londra del 2012, così come numerose produzioni teatrali, dalla Royal Opera House
di Londra al Metropolitan di New York. Un
team di creativi ha ideato delle sorprendenti ambientazioni multimediali in cui ci
si potrà letteralmente immergere, anche
perché ogni visitatore sarà dotato di speciali cuffie: avvicinandosi a un oggetto o a
uno schermo, potrà ascoltarne la colonna
sonora, entrando nello sfaccettato mondo
di Bowie.
«Prepariamoci a rimanere fulminati
nella mente e nell’immaginazione», ha detto Virginio Merola, sindaco di Bologna, il
giorno dell’annuncio ufficiale dell’evento:
da quando è in viaggio per il mondo, questa mostra ha collezionato quasi un milione e mezzo di visitatori, e anche sotto le
Due Torri, nei quattro mesi di apertura, si
attendono decine di migliaia di appassionati da tutta Italia, e non solo. «Ora che Bowie ci ha lasciato, questo evento assume
anche un nuovo significato», sottolinea Sassoli de Bianchi. «Non è solo una celebrazione della sua arte, ma anche un omaggio all’uomo, grande nell’affrontare le debolezze
e immenso nella ricerca di sé». Un uomo
«endlessly staging himself», come enuncia
la mostra. Ha portato in scena se stesso,
senza fine. E fino alla fine.
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