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Departimento di Architettura Navale, del Mare e dell’Ambiente —————— Facoltà di Ingegneria Università di Trieste COMPLEMENTI DI PROPULSIONE NAVALE Giorgio Trincas A.A. 2009-10 II Indice 1 Metodi di previsione della potenza 1.1 Filosofia progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Approcci ingegneristici . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.1 Metodi numerici . . . . . . . . . . . . . . 1.2.2 Metodi analitici . . . . . . . . . . . . . . . 1.2.3 Metodi statistici . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Previsione della resistenza . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Resistenza totale della carena nuda . . . . 1.3.2 Metodologie di previsione della resistenza 1.3.3 Scafi plananti . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.4 Rapporto resistenza–dislocamento . . . . 1.3.5 Correlazione modello–nave . . . . . . . . 1.3.6 Modifica dei metodi di previsione esistenti 1.3.7 Resistenze aggiunte . . . . . . . . . . . . . 1.3.8 Parametri di forma e resistenza . . . . . . 1.4 Previsione della potenza . . . . . . . . . . . . . . 1.4.1 Catena delle potenze . . . . . . . . . . . . 1.4.2 Potenza alle prove . . . . . . . . . . . . . 1.4.3 Margine di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Accoppiamento elica-carena-motore 2.1 Accoppiamento elica–motore . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Punto operativo dell’elica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Elica a passo fisso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.2 Eliche a passo variabile . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Approccio classico al problema propulsivo . . . . . . . . . 2.3.1 Curve di funzionamento dell’elica . . . . . . . . . . 2.3.2 Scelta della potnza massima continua e diagramma 2.4 Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche . . . . . . . 2.4.1 Codice di ottimizzazione . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 Applicazione della programmazione nonlineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 3 3 4 4 6 6 8 13 14 15 16 17 20 22 22 24 27 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 47 48 49 51 53 53 59 64 65 69 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Previsioni sperimentali della potenza 3.1 Prova di autopropulsione . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Metodo Continentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Attrezzatura sperimentale e scelta dei modelli . 3.2.2 Conduzione delle prove . . . . . . . . . . . . . 3.2.3 Determinazione dei coefficienti propulsivi . . . 3.2.4 Effetti del carico dell’elica . . . . . . . . . . . . 3.3 Metodo Britannico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.1 Prove con variazioni di carico . . . . . . . . . . 3.3.2 Valutazione delle prove con variazioni di carico 3.4 Metodo Ibrido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Metodo ITTC 1978 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.1 Fattori che influenzano la previsione al vero . . 3.5.2 Procedura ITTC . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5.3 Evoluzione del metodo . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 84 86 87 88 91 95 98 99 101 103 106 106 110 118 119 -1 0 Capitolo 1 Metodi di previsione della potenza Uno dei compiti più importanti a livello progettuale è soddisfare i requisiti di velocità di una nave. Una volta definite,le forme di carena, occorre determinare la potenza motore che consenta alla nave di soddisfare i requisiti operativi. La conoscenza della potenza richiesta perchè la nave raggiunga la velocità massima richiesta consente di scegliere l’apparato motore (o di verificarne l’adeguatezza se il motore è imposto a priori dall’armatore), di determinare la quantità di combustibile richiesto per una prefissata autonomia, e di rifinire la stima del peso e del baricentro della nave. Molta parte della letteratura disponibile per la previsione teorica delle prestazioni di una nave è dedicata alle metodologie ed alle procedure basate su formulazioni che descrivono matematicamente i risultati di prove su modelli. Negli ultimi decenni sono stati sviluppati vari metodi numerici, implementati in codici commercializzati o disponibili presso numerose vasche, univerità e centri di ricerca. Tuttavia, la loro accuratezza previsionale della resistenza totale, ma soprattutto dell’interazione elica-carena è per ora ancora lontana da essere ingegneristicamente accettabile. Occorre perciò ricorrere ancora ai metodi sperimentali. Quello che soprattutto serve ai progettisti è conoscere l’affidabilità applicativa dei risultati sperimentali. . Allo scopo vengono riassunte le metodologie base di previsione della resistenza e dei coefficienti propulsivi, nonché le tecniche di correlazione tra i risultati sperimentali e le prestazioni al vero. 1.1 Filosofia progettuale Il processo progettuale utilizza tradizionalmente le prove su modelli come il mezzo definitivo e più affidabile per prevedere le prestazioni idrodinamiche di una nave. Ma spesso i modelli costruiti sono geometricamente alquanto differenti dal piano di costruzione dal quale è derivato l’input di calcolo, per cui non c’è motivo di pretendere previsioni più accurate di quanto lo sia la rappresentazione della carena stessa. Un altro aspetto è che, confrontando prove di diverse vasche 1 1 – Metodi di previsione della potenza sullo stesso modello, si possono registrare differenze nei risultati superiori a quelle attribuibili agli errori tecnologico–costruttivi. Ragion per cui, anche se vengono richieste le prove su un modello che sia più o meno rappresentativo della geometria di carena della nave al vero, il progettista esperto sarà restio a credere che qualsiasi prova su un modello possa essere utilizzata come uno strumento assolutamente affidabile per prevedere le prestazioni di una nave al vero. Non viene qui trattato tanto l’aspetto delle incongruenze tra i risultati ottenuti da diverse vasche sperimentali sullo stesso modello, né quello delle differenze tra risultati sperimentali e prove al vero, quanto il fatto che, per le navi convenzionali, i calcoli su base statistica possono fornire le previsioni di potenza di una nave pressoché con la stessa affidabilità garantita dalle prove sperimentali. Per molte tipologie di navi, le previsioni empirico–statistiche di resistenza e propulsione costituiscono per il progettista uno strumento utile quanto le prove sperimentali Molta della confusione esistente al riguardo deriva dall’utilizzo improprio del termine ‘qualità’. Quando ci si riferisce alle soluzioni tecniche, la qualità viene spesso confusa con la ‘precisione’. La nozione assai diffusa è che una risposta più precisa abbia una maggiore qualità. Ma questo accade assai raramente. Ad esempio, nel progetto concettuale, quando le dimensioni del motore e l’entità dei consumabili sono previsti con un margine del 5%, che senso ha calcolare il volume di carico con la precisione dell’1%? Se il dislocamento totale è stimato con un margine del 5%, perché calcolare il peso dell’acciaio scafo con estrema precisione? Quando viene consegnata una nave che probabilmente è leggermente diversa da quella prevista in sede progettuale, c’è da chiedersi se una maggiore o minore accuratezza nella previsione di potenza costituisca un fattore dirimente per l’armatore. Il progettista deve comprendere gli effettivi obiettivi progettuali Nessun armatore è realmente interessato al fatto che la potenza sia prevista per via teorica o per via sperimentale, ma vuole sapere quale sarà l’effettiva potenza motore richiesta alle prove o in una certa condizione di servizio. Purtroppo non esiste alcuna metodologia del tutto affidabile che possa garantire l’accuratezza delle previsioni al 100%. L’unica regola di buon senso da seguire è che qualunque procedura di previsione di potenza deve essere applicata dai progettisti in maniera coerente. Non tutti i metodi sono appropriati per qualunque tipologia di nave e per tutte le sue condizioni operative, per cui è necessaria una comprensione esatta dell’obiettivo desiderato, cosı̀ come una conoscenza tecnica del metodo adottato. Il progettista deve conoscere diversi metodi di previsione È opportuno e necessario considerare gli obiettivi progettuali relativi alla previsione di potenza nel quadro della definizione del sistema nave complessivo. Un’accurata analisi delle prestazioni dell’elica non può contribuire a fare crescere l’affidabilità del progetto se la valutazione della resistenza di carena è meno precisa. Analogamente, trascurare la resistenza delle appendici di uno scafo planante può degradare enormemente l’affidabilità della previsione. 2 1.2 – Approcci ingegneristici Quanto all’utilizzo di metodi numerici, una previsione della resistenza e dei coefficienti propulsivi può essere ritenuta accurata se si è in grado di rispondere positivamente ad alcune domande chiave quali: • È affidabile il codice disponibile? Sono implementate le correzioni opportune? • Sono state considerate tutte le componenti di resistenza? • La previsione di potenza corrisponde alle prestazioni al vero? Occorre correlare la previsione per garantire maggiore affidabilità? 1.2 Approcci ingegneristici Viene trattato per ora solamente il problema della previsione della resistenza e dei coefficienti propulsivi, anche se, ovviamente, le prestazioni dell’elica costituiscono un fattore critico nell’analisi complessiva del sistema propulsivo. Per quanto riguarda la resistenza ed i coefficienti propulsivi, esistono tre approcci principali alle procedure di calcolo che possono essere utilizzate per prevedere le prestazioni di velocità di una nave: due metodi di previsione derivati empiricamente sulla base di prove sperimentali su modelli e di misure al vero, ed un metodo che consiste in un’analisi puramente numerica. Ovviamente, esistono metodi ibridi che combinano vari aspetti di questi tre tipi. Ognuno di questi tre metodi è a suo modo utile, come descritto in Tabella 1.1. Confronti qualitativi ← − − − − −− Codici numerici di flusso − − − − − − −− Serie sistematiche Tabella 1.1. 1.2.1 Grandezze quantitative − − − − −− → Metodi statistici Metodi di previsione Metodi numerici Negli ultimi quindici anni si è molto discusso della cosiddetta ‘vasca numerica’, ossia dei metodi CFD (computational fluid dynamics). Sicuramente arriverà il giorno in cui molti dei risultati ottenuti da prove effettuate, ancora oggi, nelle vasche sperimentali saranno ricavabili affidabilmente mediante calcoli numerici, comprendendovi le previsioni di resistenza, di manovrabilità, di generazione di onde, di tenuta al mare, le prestazioni in acque ghiacciate e/o in bassi fondali, nonché il confronto delle prestazioni idrodinamiche variando elementi geometrici di dettaglio della carena e/o delle loro appendici. Ma tale traguardo è ancora lontano. Lo stato dell’arte dei codici numerici non consente al progettista di prevedere la resistenza totale di carena con un’affidabilità ingegneristica sufficiente, ma solamente di effettuare analisi comparative. Comunque, mediante l’utilizzo dei metodi numerici il progettista può visualizzare il flusso e le caratteristiche della resistenza d’onda di varianti competitive di carene e di diverse sistemazioni delle appendici. 3 1 – Metodi di previsione della potenza I codici numerici possono offrire attualmente solamente una visione comparativa dell’effetto sulla resistenza della variazione dei parametri di carena 1.2.2 Metodi analitici Gli altri due metodi di previsione empirica, basati su serie sistematiche e sull’analisi di dati misurati su modelli e/o al vero, possono essere codificati facilmente. Utilizzando tecniche di analisi statistica, dette di regressione multipla, si può ridurre una quantità finita di risultati di prove sperimentali o di misure al vero in un’espressione numerica, utilizzando un certo numero di parametri di carena come variabili indipendenti. Queste espressioni possono essere utilizzate per prevedere le prestazioni di nuovi progetti di carena sulla base di quanto è stato misurato su un gruppo di navi esistenti. Per mantenere quanto più alta possibile l’accuratezza di queste equazioni, l’insieme dei dati empirici sono stati spesso raggruppati in serie di carene similari, le cosiddette serie sistematiche di carena. Ad esempio, una ben nota serie di carene di navi da carico - la Serie 60 - è costituita da una singola carena madre e da un gruppo di carene similari dove la forma base, il raggio del ginocchio, la svasatura di prora, il semiangolo d’ingresso, ecc., hanno più o meno gli stessi valori. Nella generazione di una serie sistematica, vengono fatti variare in maniera sistematica i parametri principali di forma - L/B, B/T , CP , ecc. - per potere determinarne l’effetto sulla resistenza in acqua calma. L’accuratezza del valore di resistenza calcolabile per una generica carena può essere più che soddisfacente, se la carena in esame è molto simile alla carena madre della serie. I metodi basati su serie sistematiche sono i più adatti per valutare gli effetti prodotti sulla resistenza d’onda da variazioni delle dimensioni principali e dei coefficienti di carena La debolezza di una serie sistematica si presenta quando la carena da progettare cade al di fuori dei limiti di definizione della serie. La capacità di valutare carene differenti da quelle delle serie sistematiche è ciò che rende i metodi empirico–statistici cosı̀ attrattivi. 1.2.3 Metodi statistici I metodi empirico–statistici utilizzano varie combinazioni di forme di carena insieme ai risultati delle relative prove sperimentali e di eventuali misurazioni al vero. Mentre non sono in grado di valutare gli effetti sulla resistenza prodotti dalla variazione di un singolo parametro, questi metodi offrono una migliore previsione quantitativa della resistenza rispetto al metodo basato sulle serie sistematiche. Idealmente, si cerca di suddividere la resistenza nel maggior numero di componenti, valutando ognuna indipendentemente dalle altre. Incorporando quanti più dati è possibile di misure su modelli e su navi al vero, gli effetti della variazione di ogni parametro possono essere conglobati nella formula finale, generando uno strumento di previsione molto generale. 4 1.2 – Approcci ingegneristici Quando le forme di carena non sono affinate completamente, i metodi statistici offrono le previsioni più affidabili relativamente alle prestazioni idrodinamiche È naturalmente importante ricordare che, come i metodi numerici, i metodi empirico–statistici non vanno visti in alternativa alle prove sperimentali. Non possono né eliminare la sperimentazione né garantire una maggiore accuratezza rispetto a queste ultime. Sono semplicemente un mezzo economicamente efficace per prevedere la resistenza ed i coefficienti propulsivi con una precisione di ordine di grandezza pari a quella delle prove su modelli. La sperimentazione sarà sempre necessaria per ‘spingere lo sviluppo’ delle conoscenze. I metodi statistici si fondano sulla storia passata per prevedere il futuro. In tale contesto, tali metodi, derivati empiricamente, possono godere della fiducia dei progettisti per tre buone ragioni: 1. Il primo motivo dipende dalla manipolazione numerica dei dati che avviene nel processo statistico di regressione. Mentre una prova su modello può essere in qualche modo inaccurata, o incapace di rappresentare esattamente l’effetto di una particolare variazione di un parametro di carena, essa viene ‘fittata’ con i risultati di altre prove durante la regressione matematica, minimizzando cosı̀ l’effetto della prova qualitativamente insufficiente. In altre parole, il processo statistico si autoregola. 2. In secondo luogo, una regressione sviluppata correttamente deve presentare come variabili indipendenti, ossia come parametri di input, grandezze scelte con cura sulla base di precisi indicatori statistici. In un’equazione di regressione bene strutturata, nessuna variabile indipendente dipenderà da o sarà direttamente correlata ad un’altra variabile. Un’analisi rapida della validità della regressione può essere effettuata confrontando il numero dei punti di misurazione ed il numero delle variabili indipendenti nell’equazione di regressione. La regola statistica è che, se N V è il numero delle variabili nell’equazione di regressione, e se N D denota il numero dei punti sperimentali, deve essere N D > N V (N V + 3)/2 È buona norma fornire i valori della correlazione statistica, per consentire all’ingegnere navale di valutare la qualità della corrispondenza dei dati originali nell’equazione risultante. Questo uso della correlazione e dell’analisi degli errori può rassicurare circa la validità statistica delle espressioni risultanti. 3. Infine, anche in presenza di espressioni statisticamente accurate, la massima precisione delle previsioni può essere garantita solamente se il metodo di previsione statistica è stato validato. Questo punto va sottolineato, se il progettista vuole prevedere la resistenza con molta precisione mediante metodi statistici. Come detto, i calcoli teorici non sono l’obiettivo in sè. Poiché l’obiettivo di una previsione progettuale è quello di fornire valori che rappresentino le prestazioni di una nave al vero entro tolleranze accettabili, essa deve essere strutturata e, quindi, validata mediante i seguenti passi sequenziali: 5 1 – Metodi di previsione della potenza 1. utilizzare un metodo statistico che contenga anche dati di prove al vero; 2. correlare la previsione ad una prova sperimentale o alle prove in mare della nave in progetto o di una nave gemella. I metodi statistici possono assicurare risultati affidabili se sono stati validati sulla base di misure di prestazioni al vero 1.3 Previsione della resistenza Un codice utile ed affidabile di previsione della potenza richiede di essere consistente e strutturato in maniera modulare, soprattutto per quanto riguarda i calcoli di resistenza e propulsione dove l’esperienza personale spesso guida la scelta relativa ai moduli di calcolo più adatti alla tipologia di nave in esame ed al regime idrodinamico, nonché al loro modo di applicazione. Ogni routine del codice di calcolo dovrebbe essere disponibile come sorgente, per potere essere modificata e/o aggiornata se l’utente lo ritiene necessario. Tale libertà, comunque, può portare ad una certa confusione se tutti i segmenti del codice non sono strutturati e validati attentamente. Allo scopo vengono presentate le metodologie più adeguate a risolvere tutti gli aspetti del problema ed a ridurre al minimo la possibiltà di errori derivanti da incompatibilità tra approcci storicamente differenti. Un codice di calcolo completo per la previsione di potenza deve includere assolutamente una valutazione della resistenza della carena nuda e delle sue appendici in acqua calma. Dovrebbe comprendere anche il calcolo delle resistenze aggiunte per vento e mare ondoso che possono insorgere periodicamente nelle reali condizioni operative. Infine, non può essere ignorata l’influenza del propulsore, condiderato sia isolatamente che in congiunzione con la carena. Per assicurare i migliori risultati, la metodologia della procedura di previsione della potenza deve essere compresa completamente e controllata in ogni sua parte 1.3.1 Resistenza totale della carena nuda Quando una nave naviga in acqua calma, è soggetta ad una forza che agisce in direzione opposta alla sua direzione. Questa forza è la resistenza opposta dall’acqua al moto della nave, che viene definita resistenza totale della nave RT . È la forza di resistenza che è utilizzata per calcolare la potenza effettiva della nave. La resistenza di una nave in acqua calma è funzione di molti fattori, compresa la velocità nave, le forme di carena (immersione, larghezza, lunghezza, superficie bagnata di carena, ecc.) e la temperatura dellacqua. La resistenza totale di carena aumenta al crescere della velocità.come mostrato in Figura 1.1. Si osservi che la curva della resistenza non è lineare. Infatti, la resistenza è proporzionale alla 6 1.3 – Previsione della resistenza velocità secondo la potenza nma , dove n varia dal valore 2 alle basse velocità ed aumenta fino ad un valore intorno a 5 alle alte velocità. In Figura 1.1 è mostrata anche una ‘cresta’ nella curva della resistenza totale. Questa cresta non è un errore, ma un fenomeno comune a quasi tutte le curve di resistenza nave. Figura 1.1. Curva tipica della resistenza totale di carena Sono molte le componenti che si combinano a formare la forza di resistenza totale ache agisce su una carena: gli effetti viscosi dell’acqua sulla carena, l’energia richiesta per creare e mantenere le onde di prora e di poppa, e la resistenza che l’aria oppone al moto di avnzamento della nave. In termini matematici la resistenza totale può essere scritta come RT = RV + RW + RAA dove RT RV RW RAA : : : : resistenza resistenza resistenza resistenza totale di carena viscosa d’onda causata dall’aria calma Figura 1.2. Componenti della resistenza di carena 7 1 – Metodi di previsione della potenza La Figura 1.2 mostra come l’entità di ogni componente varia con la velocità nave. A basse velocità domina la resistenza visocsa, mentre ad alte velocità la curva della resistenza totale si impenna drammaticamente verso l’alto quando la resistenza d’onda diviene prevalente. 1.3.2 Metodologie di previsione della resistenza La metodologia da impiegare nella previsione della resistenza della carena nuda deve essere scelta a partire dalle caratteristiche fondamentali di forma. Le diverse tipologie di veicoli marini seguono principi fisici differenti. Il regime idrodinamico di una nave detta sostanzialmente il criterio che guida la scelta della tecnica più appropriata per prevedere la resistenza della sua carena nuda. In altri termini, per stabilire la metodologia più opportuna per calcolare la resistenza al moto, la nave in progetto va classificata in base al modo con cui la carena è sostentata verticalmente quando è in movimento. Se il peso di una nave è bilanciato interamente da forze di spinta idrostatiche, la sua carena è detta dislocante. Uno scafo sostentato principalmente da pressioni idrodinamiche sul fondo è detto scafo planante. Gli aliscafi sono sostentati dalla portanza prodotta dalle ali, mentre gli scafi sostentati dall’aria (hovercraft) utilizzano la pressione aerostatica prodotta esternamente. Una metodologia adeguata va sviluppata nel tempo, in quanto nessuno è in grado di disporre di un approccio onnicomprensivo. Purtroppo, esistono metodologie sistematiche ed affidabili per prevedere adeguatamente la resistenza al moto solamente per le carene dislocanti monoscafo e per gli scafi plananti. Questo è dovuto a fatti economici ed a situazioni storiche, in quanto gli armatori, i progettisti ed i costruttori hanno privilegiato queste tipologie di navi, permettendo l’accumulo di una enorme mole di dati sperimentali e di misure al vero. Negli anni le metodologie di previsione della resistenza per questi due tipi di carene hanno visto grandi sviluppi, ma gli approcci più utili sono riconducibili ad una delle tre modalità seguenti: • metodo basato sui coefficienti di resistenza (C), per le carene dislocanti; • metodo basato sul rapporto resistenza–dislocamento (R/∆), sia per le carene dislocanti sia per gli scafi plananti; • metodo basato sullo stato di equilibrio dinamico, per gli scafi plananti. Tutte queste metodologie sono state limitate, in un modo o nell’altro, dalla realtà fisica che vuole che il rapporto tra volume di dislocamento e viscosità dell’acqua non possa essere scalato facilmente dalla dimensione modello a quella della nave al vero. Sono stati effettuati vari tentativi per applicare correzioni e fattori di correlazione in maniera tale che la resistenza di una nave possa essere pronosticata affidabilmente in base a prove sperimentali su un suo modello. Non è stato finora possibile sviluppare una procedura universale, cosı̀ che queste correzioni sono applicate a volte in maniera inappropriata con conseguente inaccuratezza dei risultati. I tre metodi suddetti per la previsione della resistenza vengono suggeriti non perché siano definitivi, ma piuttosto come tecniche disponibili che riflettono il know-how attuale. In futuro, altri metodi potrebbero dimostrarsi più appropriati, ma data la mole di prove sperimentali disponibili per l’utilizzo di questi metodi, è ragionevole preventivare metodi basati sulle medesime 8 1.3 – Previsione della resistenza impostazioni logiche. Le tecniche statistiche disponibili, basate sulle suddette metodologie di previsione della resistenza della carena nuda, descritte qui di seguito e tutte implementabili al computer, sono sintetizzate in Appendice A per le carene dislocanti ed in Appendice B per le carene semidislocanti e gli scafi plananti. Metodo dei coefficienti di resistenza di ‘modelli geosim’ Il mezzo più popolare per esprimere numericamente le componenti di resistenza delle carene dislocanti è sicuramente costituito dal metodo dei coefficienti di resistenza di modelli geometricamente simili (modelli geosim), quali il coefficiente di resistenza totale CT , il coefficiente di resistenza residua CR , il coefficiente di resistenza d’attrito CF , il coefficiente di resistenza d’onda CW , il coefficiente di resistenza viscosa CV ed il coefficiente di resistenza di forma Cf . Questo sistema non è adatto per le carene plananti, mentre tutte le prove sperimentali realizzate su carene dislocanti definiscono la resistenza sostanzialmente mediante questo metodo. Va osservato che tra i coefficienti non è compresa la resistenza dell’aria, in quanto la forma adimensionale della resistenza totale, o di una sua componente, è il prodotto di una prova su modello, e la maggior parte dei modelli non presenta sovrastrutture. L’equazione base assume la forma C= 1 2 R ρS V 2 dove C R ρ S V : : : : : coefficiente di resistenza, resistenza, densità di massa dell’acqua, superficie bagnata di carena, velocità della nave. Questi coefficienti sono calcolati utilizzando la superficie bagnata come grandezza rappresentativa delle dimensioni della carena. Come verrà descritto più avanti, non sempre questo approccio può fornire la migliore base teorica per decifrare alcuni aspetti della resistenza, anche se ha dimostrato di essere un metodo affidabile e di semplice utilizzo. Relazioni numeriche, adatte ad essere implementate in un programma di calcolo e che determinano statisticamente la superficie bagnata a partire da semplici parametri di forma, come potrebbe essere utile nel progetto concettuale, sono riportate in Appendice C. Le metodologie di previsione della resistenza della carena nuda per gli scafi dislocanti hanno visto l’evoluzione da un metodo basato sul coefficiente di resistenza totale CT a quello basato su un’analisi bidimensionale, dove la resistenza d’attrito RF viene separata da quella totale RT , lasciando la cosiddetta resistenza residua RR a conglobare la resistenza d’onda, la resistenza di pressione viscosa e la resistenza per formazione di vortici. Questa suddivisione ha consentito una migliore descrizione della reale composizione della resistenza di carena, individuando la componente d’attrito in funzione della velocità, della viscosità dell’acqua e della superficie bagnata, 9 1 – Metodi di previsione della potenza mentre la componente di resistenza residua dipende dalla velocità, dalla densità dell’acqua e dal dislocamento. La dipendenza della resistenza d’attrito dalla velocità e dalla viscosità viene espressa in forma adimensionale mediante il numero di Reynolds Rn = VL ν dove Rn V L ν : : : : numero di Reynolds, velocità della nave, lunghezza della nave, viscosità cinematica dell’acqua. L’individuazione di valori appropriati del coefficiente di resistenza d’attrito CF deve essere ovviamente basata su Rn. L’evoluzione storica di questo coefficiente è stata piuttosto tranquilla, se paragonata alle controversie sorte intorno ad altri aspetti del problema della resistenza al moto. Sono state derivate linee d’attrito utili alle applicazioni navali, in base a prove su lastre piane e su modelli di carena di varie forme e di diversi livelli di rugosità. Le considerazioni teoriche dovute a Prandtl e von Kárman portarono allo sviluppo di una forma teorica per il coefficiente di resistenza d’attrito A √ = log(Rn·CF ) + B CF Nel 1947 l’American Towing Tank Conference (ATTC) decise di raccomandare il metodo di Schönherr (1932), il quale aveva analizzato una grande mole di dati sperimentali alla luce dell’equazione precedente. Molte prove sperimentali svolte nei due decenni successivi utilizzarono questo approccio per determinare la componente di resistenza d’attrito all’interno dei metodi basati sull’analisi bidimensionale. Si decise di adottare la formulazione di Schönherr 0.242 √ = log(Rn·CF ) CF per la previsione della resistenza d’attrito nelle navi convenzionali. Come noto, tutti i metodi a base sperimentale utilizzano un coefficiente di correlazione vasca– mare, CA , nel trasferimento al vero dei risultati modello. Questo coefficiente, tipicamente pari a 4 ·10−4 , varia a seconda del tipo di nave e delle dimensioni del modello. Negli anni ’50, con la comparsa di navi più grandi e con modelli sperimentali relativamente più piccoli, fu osservato che il coefficiente adottato nell’utilizzo della curva di correlazione dell’ATTC, necessario a validare le previsioni di resistenza nave derivate dai dati modello, era talvolta nullo o addirittura negativo. Ciò fu attribuito al fatto che la curva di correlazione d’attrito di Schönherr aveva una pendenza eccessivamente ripida ai bassi numeri di Reynolds che si hanno su navi lente e sui piccoli modelli. 10 1.3 – Previsione della resistenza Per ridurre l’entità di questo problema, l’International Towing Tank Conference (ITTC, 1957) adottò una nuova curva di correlazione che doveva assicurare una maggiore accuratezza nella determinazione del coefficiente d’attrito ai bassi valori del numero di Reynolds. La curva di correlazione modello–nave ITTC’57 è data dalla formula CF = 0.075 (log Rn − 2)2 Successivamente Hughes (1963), nell’ambito di una differente metodologia di correlazione vasca– mare, propose una variante della curva di correlazione dell’ITTC data da CF = 0.066 (log Rn − 2.03)2 I valori dei coefficienti CR (bidimensionali) ed i valori dei coefficienti CW (tridimensionali) possono essere ottenuti da prove su modelli o da prove al vero, e ridotti in equazioni che li esprimano rispetto al numero di Froude. La metodologia dei coefficienti di resistenza offre un mezzo del tutto generale per prevedere la resistenza, purché applicato correttamente entro i limiti dei dati originali. Per riassumere, alcuni commenti finali. Innanzi tutto, sussistono ancora dubbi e discussioni circa la reale validità teorica dello schema tridimensionale. La ricerca ha dimostrato che l’utilizzo del fattore di forma tridimensionale ha migliorato notevolmente la correlazione tra i risultati su modelli ed i valori di resistenza delle navi al vero (ITTC, 1978) per certe tipologie di nave. Ma ciò non è sempre vero per alcune tra le navi moderne.. La derivazione empirica del fattore di forma è comunque difficile da ottenere con certezza, anche perché spesso richiede un’interpretazione soggettiva dei dati sperimentali. A tutt’oggi non esiste alcun metodo definitivo per calcolare il fattore di forma, ed esistono opinioni differenziate circa la reale influenza delle forme di carena sulla resistenza viscosa (Appendice D). Fortunatamente, molto spesso il contributo della resistenza di forma alla resistenza totale è inferiore rispetto a quelli dovuti alla formazione ondosa ed all’attrito, cosı̀ che un piccolo errore nella stima del fattore di forma non inficia significativamente l’accuratezza l’accuratezza della previsione complessiva. In generale, anche quando il fattore di forma è inaccurato, il sistema tridimensionale offre migliori risultati al vero Va osservato che lo scorporo della resistenza d’attrito dalla resistenza totale può causare una previsione inaccurata nel trasferimento al vero della resistenza totale per le carene dislocanti veloci. Infatti, i ‘coefficienti geosim’ sono basati sulla superficie bagnata, che in queste navi varia con la velocità in quanto la spinta viene generata più dalle forze idrodinamiche che dalle forze idrostatiche. Ovviamente, non è né facile né immediato misurare la superficie bagnata su un modello o su una nave in movimento, cosı̀ che nei calcoli viene utilizzato il valore della superficie bagnata a riposo. Questo limite porta ad una valutazione inaccurata del contributo delle varie componenti 11 1 – Metodi di previsione della potenza di resistenza e ad un’imprecisa estrapolazione al vero dei risultati modello. Ragion per cui, per gli scafi veloci può essere più opportuna un’analisi basata sul rapporto resistenza–dislocamento RT /∆. Ricerche successive hanno portato dall’analisi bidimensionale ad una formula tridimensionale, individuando componenti aggiuntive sia per la resistenza d’onda, sia per quella che viene detta resistenza di forma. Questa componente di resistenza congloba gli effetti viscosi della forma di carena, cosı̀ come l’influenza della separazione del flusso, della formazione di vortici e di altri effetti miscellanei La resistenza viscosa totale include sia la resistenza di forma che la resistenza d’attrito. Sulla base dello schema tridimensionale proposto dall’ITTC’78, il coefficiente di resistenza viscosa CV è definito come CV = (1 + k) CF , dove k è un fattore che tiene conto degli effetti tridimensionali delle forme di carena sulla resistenza viscosa. In tal modo, il coefficiente di forma Cf può essere calcolato come Cf = k CF . che consente di calcolare la componente normale della resistenza viscosa (resistenza di pressione viscosa). La Tabella 1.2 mostra come ogni coefficiente sia legato ad un altro coefficiente, e come i risultati sui modelli vanno correlati a quelli al vero in ambedue i sistemi. Componenti di resistenza di navi dislocanti Bidimensionale Tridimensionale Viscosa CF CV = (1 + k) CF Cf = k CF Tridimensionale CFS < CFM CFS < CFM CVS < CVM CfS < CfM Residua CR = CW + k C F Totale CT = CF + CR Bidimensionale Viscosa Residua CR Relazioni comparative modello–nave CRS < CRM CRS < CRM CWS = CWM Totale CT = CV + CW Tabella 1.2. CTS = CFS + CR CTs = CFs + CfS + CW Relazioni tra ‘coefficienti geosim’ Il termine (1 + k), detto fattore di forma, presenta tipicamente valori tra 1.0 e 1.5. Questo fattore viene ricavato sperimentalmente, sebbene esistano equazioni generali che forniscono valori ragionevolmente accettabili. Le formule utilizzabili sono presentate in Appendice D. Le altre componenti di resistenza - la resistenza residua CR nell’approccio bidimensionale e la resistenza d’onda CW nell’approccio tridimensionale - non dipendono dalla viscosità, per cui il numero di Reynolds non è un parametro di velocità adatto a rappresentare queste componenti. Froude (1888) presentò una ‘legge di confronto’, dove una ‘velocità corrispondente’ - la relazione tra velocità e dimensione lineare della nave - è il parametro che controlla il sistema di formazione 12 1.3 – Previsione della resistenza ondosa. I numeri di Froude possono essere basati sulla lunghezza nave (F n) per le navi dislocanti, oppure sul volume di carena (F n∇ ) per gli scafi plananti, e sono definiti rispettivamente come V Fn = √ gL ; V F n∇ = q g∇1/3 dove Fn F n∇ V g L ∇ : : : : : : numero di Froude lineare, numero di Froude volumetrico, velocità della nave, accelerazione di gravità, lunghezza della nave, volume di carena. La previsione della resistenza di navi dislocanti veloci è soggetta a probabili errori, se si utilizza il sistema dei ‘coefficienti geosim’ 1.3.3 Scafi plananti Una delle differenze principali tra la resistenza delle carene dislocanti e quella degli scafi plananti consiste nel fatto che per le prime le componenti di resistenza sono per lo più additive, mentre ciò non avviene nelle carene plananti. Nel caso delle carene dislocanti, la resistenza d’attrito, quella d’onda, quella di forma, quella delle appendici e quella aggiunta prodotta dagli agenti meteo– marini (onde, vento, correnti), possono essere sommate linearmente per derivare la resistenza totale senza perdere sensibilmente in accuratezza. Nelle carene plananti, invece, la spinta propulsiva serve a superare sia la resistenza all’avanzamento che quella indotta dalla portanza, mentre l’immersione e l’assetto e, quindi, la resistenza risultante, sono influenzati notevolmente dalle forze e dai momenti generati dinamicamente. Ne consegue che per modellare accuratamente la resistenza di una carena planante è necessario che la stessa sia studiata e valutata nel suo stato di equilibrio dinamico. In altri termini, le componenti di resistenza non possono essere calcolate indipendentemente l’una dall’altra, ma devono essere valutate simultaneamente in quanto, ad esempio, l’azione del flusso sulle appendici determina variazioni della geometria di carena e, quindi, della resistenza della carena nuda. Le carene plananti devono conglobare tutte le componenti di resistenza, considerando simultaneamente gli effetti dinamici Le espressioni utilizzate più diffusamente per descrivere questi effetti combinati furono presentate da Savitsky (1964). La resistenza totale, nella condizione di equilibrio dinamico della planata, è composta dalla resistenza risultante di pressione, per cui la carena è spinta verso l’alto incrementando il suo angolo d’assetto, e dalla resistenza d’attrito nell’area di pressione e nella zona degli spruzzi. L’espressione della resistenza totale è 13 1 – Metodi di previsione della potenza RT = ∆ tan τd + RF cos τd dove τd è l’angolo d’assetto in corsa. Questa relazione è teoricamente adeguata per tutti gli scafi nella condizione della planata completa. Il problema consiste ovviamente nel prevedere valori realistici dei parametri incogniti, che sono l’angolo d’assetto e le componenti della resistenza d’attrito. Le relazioni fornite da Hadler (1966), sulla base del lavoro di Savitsky (1964), servono a determinare i valori di questi parametri per superfici plananti prismatiche a cuneo senza svirgolamenti e curvature. Gli stessi algoritmi sono stati utilizzati con successo su carene con forme dal fondo non prismatico e per velocità inferiori a quelle della planata (Blount & Fox, 1976). 1.3.4 Rapporto resistenza–dislocamento Uno dei primi metodi sviluppati per rappresentare i parametri di resistenza della nave (Froude, 1888), ossia il rapporto R/∆ (resistenza per unità di dislocamento), offre al progettista un utile ‘criterio di merito’ per confrontare progetti di carene alternative. I vantaggi e la semplicità di questo metodo derivano dal fatto che evidenzia il vero obiettivo progettuale, che è quello di muovere un certo dislocamento, piuttosto che una superficie bagnata, ad una data velocità. Poiché per le carene dislocanti la componente della resistenza d’onda è fondamentalmente funzione della velocità, è opportuno diagrammare i valori RR /∆ rispetto al numero di Froude lineare. Ciò consente di adimensionalizzare completamente il problema del confronto tra carene alternative, nonché di creare un sistema mediante il quale le prove sperimentali possono essere descritte in maniera sintetica. Per includere tutte le componenti della resistenza, viene utilizzata la resistenza totale descritta dal rapporto RT /∆. Tale rapporto è adeguato per le carene dislocanti, ma soprattutto per le carene plananti. Infatti, a causa della complessità del fenomeno della resistenza nella condizione della planata, questo rapporto è l’unico criterio effettivamente utilizzabile per questa tipologia di scafi. D’altra parte, fin da quando questo metodo fu presentato, le ricerche e gli sviluppi relativi alle carene dislocanti hanno mostrato che la resistenza totale può essere ridotta agendo fondamentalmente sulla resistenza residua (RR /∆) o sulla resistenza d’onda (RW /∆). Questo metodo è stato utilizzato estensivamente per creare banche dati di serie sistematiche e per definire formule di previsione della resistenza nella forma R/∆ rispetto al numero di Froude, √ o rispetto al rapporto dimensionale V / L (Taylor quotient). La maggior parte dei lavori basati su questo approccio utilizzano RT o RR , raramente RW . I metodi basati sui rapporti R/∆, espressi rispetto al numero di Froude lineare,, o rispetto al quoziente di Taylor, offrono un approccio semplice ed affidabile per valutare quantitativamente la resistenza con tecniche comparative 14 1.3 – Previsione della resistenza Una derivazione di questo metodo è quello che utilizza il coefficiente di resistenza di Telfer (1933). Per incorporare la velocità nel coefficiente di resistenza totale, il valore RT /∆ viene diviso per il quadrato del rapporto tra velocità e lunghezza della nave. Il coefficiente di Telfer è definito come: CT L = g·RT ·L ∆·V 2 dove CT L g RT L ∆ V : : : : : : coefficiente di resistenza della nave, costante gravitazionale, resistenza totale, lunghezza della nave, dislocamento della nave, velocità della nave. Coefficienti similari possono essere creati considerando la resistenza residua o la resistenza d’onda, per definire meglio gli indici di merito di carene alternative. 1.3.5 Correlazione modello–nave I metodi finora presentati offrono tre approcci sistematici per definire numericamente le varie componenti di resistenza della carena nuda di una nave. La stessa procedura può esser utilizzata sia per i modelli, sia per le navi al vero. Poiché tutte le relazioni introdotte sono generalmente adimensionali, per prevedere la resistenza nave può essere allettante trasferire semplicemente i valori di resistenza modello dalla nave al vero. Purtroppo il processo non è cosı̀ semplice, e le correzioni che sono state applicate negli anni per affrontare questo problema hanno dato adito a molte discussioni ed a continue controversie scientifiche. Le difficoltà sono dovute sostanzialmente al fatto che, sebbene i piccoli modelli in scala possano essere costruiti con grande accuratezza, è impossibile disporre di un fluido in scala modello. Quindi, grandezze fisiche quali il flusso viscoso, lo strato limite e la separazione, non possono essere modellate correttamente. Queste limitazioni portarono all’introduzione del fattore correttivo nella correlazione modello–nave CA , che permette di rendere più preciso lo scalaggio empirico dal modello alla nave. Contemporaneamente, furono incluse grandezze addizionali che inserivano la rugosità di carena, ossia gli effetti del fasciame non perfettamente liscio, della flora e della fauna marina (fouling), nonché della corrosione. Man mano che le procedure atte a determinare le singole componenti della resistenza divennero più precise, i valori del fattore CA furono variati per riflettere questi miglioramenti. È perciò importante scegliere il fattore correttivo CA che meglio si adatta al metodo scelto per la previsione di resistenza al vero della carena nuda. Idealmente, CA dovrebbe riflettere sia i fenomeni legati alla rugosità di carena, sia il raggiungimento di una maggiore accuratezza relativamente al problema dello scalaggio. Sfortunatamente, i valori del fattore correttivo, quali sono stati derivati storicamente per adattarlo ai metodi passati, sono spesso usati in maniera inappropriata. 15 1 – Metodi di previsione della potenza Raccomandazioni e formule applicabili per la individuazione di valori adeguati di CA sono fornite in Appendice E. Va utilizzato il fattore correttivo che sia rispondente ed adeguato alla metodologia adottata per la correlazione modello–nave 1.3.6 Modifica dei metodi di previsione esistenti Molte tecniche di previsione della resistenza per le navi di superficie, utilizzate ancora oggi, si basano su quelli che potrebbero essere considerati metodi obsoleti, quali sono gli approcci bidimensionali, anziché su metodi tridimensionali. In altri termini, ricorrono ancora alla linea d’attrito ATTC anziché alla linea di correlazione d’attrito ITTC’57. Una migliore correlazione, relativamente ai valori di resistenza della nave al vero, può essere ottenuta riesaminando i risultati delle analisi di prove su modelli, ottenuti con il vecchio metodo bidimensionale, mediante il metodo ITTC. Ciò comporta il reperimento delle informazioni relative alle prove originarie, quali il tipo di linea d’attrito utilizzata e la lunghezza del modello. Gli esempi seguenti utilizzano il metodo dei ‘coefficienti geosim’ che, in generale, sono adeguati anche per altri sistemi. Il modo per modificare questi coefficienti si basa sulla determinazione del coefficiente di resistenza d’attrito CFM , il che può essere ottenuto utilizzando la velocità corrispondente di Froude per calcolare la velocità equivalente del modello. In questo metodo, i numeri di Froude sono uguali tra modello e nave al vero, mentre per correlare la lunghezza modello e la corrispondente velocità il numero di Reynolds per il modello viene calcolato come RnM = VS ·L1.5 M ν L0.5 S dove RnM VS LM ν Ls : : : : : numero di Reynolds, velocità della nave, lunghezza del modello, viscosità cinematica dell’acqua in vasca, lunghezza della nave. Cosı̀, per convertire il coefficiente CR , ottenuto da una vecchia previsione di resistenza, nel coef0 derivato mediante la linea d’attrito equivalente ITTC’57, vanno effettuati i seguenti ficiente CR passaggi sequenziali CTM = CR + CFm(old) 0 CR = CTM − CFM (IT T C 0 57) 0 CR = CR + CFM (old) − CFM (IT T C 0 57) 16 1.3 – Previsione della resistenza Per convertire il coefficiente CR dal sistema bidimensionale al sistema tridimensionale, si può utilizzare un metodo similare CW = CR − k CFM 0 CR = CW + k CFS 0 CR = CR + k (CFS − CFM ) Questo approccio correttivo utilizza la stessa linea d’attrito sia per il modello che per la nave. Se questo non è possibile, la modifica della linea d’attrito va effettuata per prima. Si ricordi anche di utilizzare un adeguato coefficiente CA , come descritto precedentemente. I risultati derivati mediante i vecchi metodi devono essere modificati impiegando la metodologia di correlazione attualmente in uso 1.3.7 Resistenze aggiunte Come è stato osservato, un’analisi completa della resistenza di una nave di superficie deve essere realizzata nel contesto dell’ambiente meteo–marino nel quale naviga. Non è, quindi, sufficiente valutare la sola resistenza della carena nuda in mare calmo. Vanno perciò considerati gli incrementi di resistenza dovuti alle appendici, al vento ed allo stato di mare, nonché quelli che si sviluppano in acque ristrette (bassi fondali, canali, estuari). Le resistenze aggiunte prodotte dalle appendici e dagli effetti ambientali vanno sempre incluse Resistenza delle appendici La resistenza delle appendici è la resistenza causata dalle appendici immerse, quali le eliche, gli alberi portaelica, le alette antirollio, i timoni, i ringrossi, i braccioli, i fori per i bow thrusters e le eliche azimutali, ecc. Tutte queste appendici danno luogo ad una resistenza aggiunta che dovrebbe essere determinata preferibilmente mediante esperimenti sui modelli. Per i timoni questa resistenza può essere calcolata tenendo conto della loro forma, utilizzando coefficienti di resistenza di profili alari di caratteristiche similari e corretti numeri di Reynolds. Le appendici influenzano soprattutto la componente viscosa della resistenza, la cui determinazione è complessa, in quanto le appendici agiscono entro uno strato limite, ma ad un numero di Reynolds che è diverso da quello della carena. Ciò implica uno scalaggio diverso. Poiché l’incremento di resistenza misurato su un modello con le appendici montate non sarebbe scalato al vero correttamente, sono stati sviluppati metodi analiti e metodi numerici per prevedere la resistenza delle appendici, i quali sono poi modificati mediante correzioni empiriche. 17 1 – Metodi di previsione della potenza Prevedere la resistenza dovuta alle appendici è comunque difficile a causa dei problemi di scalaggio tra modello e nave al vero, accentuati dal fatto che le appendici stesse sono molto piccole e, quindi, sono piccoli anche i numeri di Reynolds. Questo vale soprattutto per i braccioli e le linee d’assi libere. Comunque, poiché l’incremento di resistenza aggiunta per appendici può ammontare fino al 20% della resistenza totale per una nave bielica, la sua valutazione è assolutamente necessaria. Alcune vasche hanno adottato la pratica di derivare sperimentalmente l’aumento del coefficiente di resistenza totale modello prodotto dalle appendici, per poi aggiungere metà di questo incremento al coefficiente di resistenza totale della carena nuda della nave. Altre vasche non effettuano alcuna riduzione, aggiungendo tutto il valore dell’aumento di CTM alla resistenza della carena nuda della nave, cosı̀ che i progettisti idrodinamici devono conoscere esattamente la specifica tecnica utilizzata dalla vasca della quale ci si serve. I metodi dettagliati sono basati, in una forma o in un’altra, sulla determinazione del coefficiente di resistenza di una superficie portante appropriata quale può essere un profilo alare. I dettagli relativi alla previsione numerica della resistenza per appendici possono essere ricavati in Appendice F. Resistenza del vento e del mare Il vento e le onde generate dal vento possono contribuire significativamente alla resistenza totale. Anche se non sempre esiste vento ‘reale’, una nave deve superare comunque un vento ‘apparente’, semplicemente a causa del suo moto attraverso l’aria calma. Il calcolo della resistenza aggiunta per vento incorpora l’utilizzo di coefficienti di resistenza, basati su prove empiriche, applicate a formule del tipo 1 Rw = ρ CD A V 2 2 dove Rw CD ρ A V : : : : : resistenza aggiunta per vento, coefficiente di resistenza, densità di massa dell’aria, area della carena e delle sovrastrutture colpite dal vento, velocità della nave. Le derivazioni di questa forma di calcolo della resistenza utilizzano diverse combinazioni delle aree trasversale e longitudinale della carena e delle sovrastrutture, cosı̀ come della direzione del vento reale relativamente alla direzione del moto di avanzamento della nave. Una correzione, spesso sopravvalutata, che viene apportata a questo incremento di resistenza dovuto al vento, è quella che tiene conto del ‘gradiente della corrente libera’ del vento naturale. A causa degli effetti laminari simili a quelli prodotti dallo strato limite su una nave, la velocità del vento in prossimità della superficie è in qualche misura minore dei valori della corrente libera forniti dalle agenzie meteorologiche. Occorre perciò trovare la velocità effettiva del vento che 18 1.3 – Previsione della resistenza agisce sulla carena e sulle sovrastrutture. Un vento, qualunque sia la sua forza, è accompagnato di solito da onde prodotte dal vento stesso. L’analisi teorica della resistenza aggiunta richiede una valutazione dettagliata dei moti nave, che presuppone un’analisi relativamente complessa, almeno quanto quella dei codici di analisi del flusso menzionati in precedenza. È ovvio che esiste una relazione tra i moti nave e la distribuzione spettrale del mare che investe la nave. Inoltre, non andrebbe mai trascurata la presenza di condizioni di sincronismo. Tuttavia, nelle fasi iniziali del progetto è necessario ricorrere a previsioni rapide, seppure imprecise, della resistenza aggiunta in onde, basate su formulazioni empirico–statistiche. Alcuni metodi conglobano l’effetto del vento, per cui è importante non duplicare accidentalmente il suo contributo. Vari metodi per prevedere la resistenza aggiunta prodotta dal vento e dalle onde sono riportati in Appendice G. Merita un commento il metodo di Motte [49] che consente di determinare le curve di perdita della velocità di una nave in onde, ottenute applicando un’analisi di regressione. Le polinomiali di terzo ordine derivate da Motte mettono in relazione la velocità della nave all’altezza significativa d’onda VS ed all’angolo di rotta ψ) come VS = f (H1/3 ,ψ). In generale, qualunque equazione di regressione che descriva la resistenza aggiunta in onde deve essere ricavata per diversi angoli d’incontro tra nave ed onda e per diverse condizioni di carico, individuando le variabili indipendenti che hanno bassa correlazione tra loro. Resistenza in acque basse e limitate La resistenza di una nave è assai sensibile agli effetti di acque basse e limitate. Innanzi tutto, in queste condizioni si evidenzia un’apprezzabile variazione del flusso potenziale intorno alla carena. Se la nave è considerata ferma in una corrente in moto di profondità limitata, ma di larghezza infinita, l’acqua che passa sotto la carena deve accelerare con una conseguente riduzione di pressione e con maggiori valori dell’immersione media, dell’assetto e, quindi, della resistenza. Se in aggiunta l’acqua è limitata lateralmente, come avviene in un fiume o in un canale, questi effetti vengono amplificati. L’affondamento e l’assetto in acque molto basse possono limitare pesantemente la velocità alla quale le navi possono operare senza toccare il fondo. Un’analisi teorica è difficile da svolgere, cosı̀ che analisi empiriche, derivate da analisi sperimentali su modelli, costituisconoo la base dei metodi disponibili per il calcolo della resistenza aggiunta un acque limitate. Questi metodi sono annotati in Appendice H. Effetti prodotti dall’assetto A causa della variazione nella distribuzione di pressione intorno ad una carena per diverse velocità, la nave si solleverà o affonderà e cambierà assetto. A basse velocità si ha generalmente un affondamento ed un leggero assetto prodiero rispetto alle condizioni statiche. Al crescere della velocità il movimento verticale della prora tende ad invertirsi e a velocità relative corrispondenti a F n = 0.30 la prora si solleva apprezzabilmente, la poppa si sovraimmerge e la nave assume un deciso assetto poppiero. 19 1 – Metodi di previsione della potenza Per le forme delle navi mercantili convenzionali, un assetto poppiero statico comporta di solito un incremento di resistenza alle basse velocità ed una diminuzione alle alte velocità. A basse velocità la maggiore immersione poppiera fa sı̀ che virtualmente la poppa divenga più piena con un conseguente aumento della resistenza di forma accompagnata da fenomeni di separazione; al contrario, a velocità elevate questo effetto è più che contrastato dalla riduzione della resistenza d’onda grazie ad un corpo prodiero più fine. In zavorra è di solito necessario imporre un considerevole assetto poppiero per assicurare un’adeguata immersione dell’elica, il che produce effetti simili a quelli appena descritti; ossia, resistenza maggiore alle basse velocità e minore a velocità elevate. Per le navi che probabilmente navigheranno in zavorra per buona parte della loro vita operativa, occorre effettuare prove sperimentali per investigare questi effetti. 1.3.8 Parametri di forma e resistenza I parametri principali di carena che influenzano la resistenza al moto in acqua calma sono L Ã /∇1/3 , B/T , LCB, CX , CP , 12 αE , 21 αR , la curva di pienezza (SAC) e CB . L/∇1/3 . All’aumentare di L/∇1/3 , per un dislocamento costante, diminuisce la resistenza residua. Questo effetto è tanto più significativo quanto più cresce la velocità. A dislocamento costante, per un’assegnata immersione T , la superficie bagnata di carena tende a crescere all’aumentare di L. Questo aumento è più importante della diminuzione del coefficiente d’attrito CF che risulta dall’incremento del numero di Reynolds prodotto dall’aumento della lunghezza. Ne deriva, quindi, un aumento netto della resistenza d’attrito; si ha perció un effetto opposto rispetto alla resistenza residua. Ne consegue che esiste un valore ottimale di L per il quale la resistenza totale RT è minima; in ogni caso, lunghezze maggiori sono favorevoli per le navi veloci e viceversa. Lunghezze elevate sono vantaggiose anche rispetto al comportamento in mare mosso. L/B. All’aumentare di L/∇1/3 , e mantenendo costanti gli altri parametri geometrici, aumenta il rapporto L/B. Tenendo conto dell’effetto suddetto di L sulla resistenza residua, un elevato rapporto L/B è particolarmente favorevole per le navi più veloci, in quanto un aumento della lunghezza nave fa crescere la velocità alla quale la lunghezza della formazione ondosa generate dalla nave è uguale alla lunghezza nave, il che riduce l’impatto della resistenza d’onda. B/T. Generalmente, al crescere del rapporto B/T aumenta la resistenza d’onda, in quanto il volume di carena viene portato più vicino alla superficie libera. Per valori molto elevati del rapporto larghezza–immersione il flusso intorno alla carena tende a disporsi verticalmente anziché orizzontalmente, con conseguente riduzione della resistenza. LCB. Per un assegnato coefficiente di blocco la posizione longitudinale del centro di carena governa la pienezza delle estremità della carena. Quando LCB si muove verso un’estremità, questa 20 1.3 – Previsione della resistenza diviene più piena, mentre l’altra diviene più fine. Poiché su una carena simmetrica la zona poppiera produce meno resistenza d’onda della zona prodiera, traslando LCB verso poppa, diminuisce la formazione ondosa prodotta dalla prora più di quanto cresce quella prodotta a poppa, sebbene qui aumenti la resistenza di pressione. Poiché la resistenza di pressione delle forme fini è bassa, è conveniente arretrare la posizione longitudinale del centro di carena con indubbi vantaggi dal punto di vista propulsivo. Al contrario, la posizione ottimale di LCB va portata avanti nelle navi dalle forme più piene. CX . Sezioni maestre più piene porta a minori CP , il che può dar luogo ad una riduzione della resistenza, tuttavia limitata poiché deve essere graduale la transizione tra la sezione maestra e le estremità della carena. CP . Un aumento del coefficiente prismatico longitudinale porta ad una riduzione di CX e ad una traslazione del dislocamento dal centro nave verso le estremità di carena: variano le onde delle spalle prodiere e poppiere ed i conseguenti effetti di interferenza mutano la formazione ondosa. L’effetto principale di CP è si manifesta nella resistenza d’onda, per cui la sua ottimizzazione non è tanto importante per navi lente, dove viene scelto in base al criterio di avere maggiore portata. Per navi veloci il coefficiente prismatico longitudinale desiderato deve crescere la crescere del rapporto L/∇1/3 . 1/2 αE . Per un’assegnata curva di pienezza il semiangolo d’entrata governa la forma delle sezioni prodiere; in altri termini, influisce sulle forme delle stesse a ‘U’ o a ‘V’. Le forme a ‘V’ tendono a generare una maggiore formazione ondosa. L’effetto del semiangolo di entrata dipende dalla velocità nave: per suoi valori elevati si ha maggiore resistenza a basse velocità, mentre ad elevate velocità si può avere l’effetto contrario. Per valori relativamente bassi di CP ed elevate velocità, è preferibile avere bassi semiangoli d’entrata, che producono sezioni ad ‘U’ e minore resistenza d’onda; ma le sezioni ad ‘U’ hanno più probabilità di subire slamming. 1/2 αR . Grandi semiangoli d’uscita portano a sezioni poppiere a ‘V’ ed a minore resistenza, come avviene nelle navi bielica. Minori semiangoli d’uscita, che producono forme a ‘U’, sono presenti nelle navi monoelica, con un aumento della resistenza contrastata da un incremento del rendimento propulsivo. CB . Per la maggior parte delle navi la resistenza cresce all’aumentare del coefficiente di blocco. Generalmente CB dovrebbe diminuire all’aumentare della velocità di servizio. In navi con velocità moderata, la resistenza può essere ridotta diminuendo il coefficiente di blocco in modo da ridurre il peso dell’apparato motore e dei consumabili. Comunque, una volta fissate le dimensioni nave, un minore coefficiente di blocco significa minore portata netta. Deve essere trovato un equilibrio tra la portata netta e la resistenza, basato su uno studio dell’economia gestionale della nave. Una relazione adeguata tra il coefficiente di blocco ed il numero di Froude può essere espressa dalle relazioni V √ = 0.595 (1.08 − CB ) per la velocità alle prove gL 21 1 – Metodi di previsione della potenza V √ = 0.595 (1.05 − CB ) gL per la velocità di servizio SAC. La curva di pienezza dipende dall’entità e dalla distribuzione di CP , come descritto in precedenza, per cui ha un’influenza similare sulla resistenza. Anche quando siano stati fissati i parametri principali di carena, è possibile variare la distribuzione del volume di carena lungo la lunghezza nave. Per ottenere una riduzione della resistenza, si tratta di scegliere la migliore posizione per la massima pendenza e curvatura. 1.4 Previsione della potenza Una volta valutata la resistenza, si tratta di determinare la domanda di potenza, cosı̀ da potere scegliere il motore principale e progettare il propulsore. Tale processo richiede preliminarmente la previsione delle caratteristiche delle prestazioni del propulsore. 1.4.1 Catena delle potenze Prima di esaminare in dettaglio la previsione di potenza, occorre analizzare il processo di trasmissione della potenza fino al mzzo dell’elica. La Figura 1.3 mostra uno schema semplificato della catena delle potenze. Figura 1.3. Schema semplificato della catena delle potenze Potenza al freno La potenza al freno PB è la potenza prodotta dal motore principale, che trasfome energia termica in energia rotazionale. Per la maggior parte delle navi il motore principale e`‘ un motore diesel. 22 1.4 – Previsione della potenza Per alcune navi è una turbina a gas o un grande motore elettrico: si parla allora di propulsione elettrica. Tranne che nei motori diesel a due tempi e nei mtori elettrici, la velocità del motore principale è tale da richiedere una sua riduzione prima di essere trasmessa all’elica. Potenza asse La potenza asse PS è la potenza all’uscita del riduttore, se questo è installato. Il riduttore è necessario per ridurre l’elevato numero di giri del motore principale al valore minore richiesto dall’elica. È pesante ed ingombrante. I riduttori sono molto efficienti nella trasmissione di potenza, con una perdita limitata da 1% e 2% della potenza installata.tra l’ingresso (PB ) e l’uscita (PS ). La relazione tra PB e PS è detta rendimento del riduttore ηG dato da PS ηG = PB Potenza sviluppata La potenza sviluppata PD è la potenza sviluppata dalla linea d’assi all’elica. L’entità della potenza sviluppata all’elica sarà sempre minore della potenza asse a causa delle perdite nella trasmissione lungo la linea d’asse. Le perdite sono di solito alquanto piccole: 2-3%. Queste perdite avvengono nei cuscinetti, nel reggispinta, nella sua guarnizione e nei cuscinetti interni ai braccioli. Il reggispinta assorbe la spinta assiale dell’elica prodotta dalla rotazione della linea d’assi e trasmette questa forza alla struttura di scafo, il che a sua volta determina un moto di rotazione della nave. I cuscinetti sulla linea d’assi servono a reggere il peso dell’albero dell’elica tra il riduttore e il tubo poppiero. Quest’ultimo e la giarnizione servono a mantenere asciutta lo spazio intorno alla linea d’assi. Le perdite di trasmissione sono dovute sostanzialmente all’attrito e possono essere percepite come calore sui cuscinetti. La differenza tra la potenza sviluppata e la potenza asse è detta rendimento di trasmissione della linea d’assi ed è definita come PD ηS = PS Potenza di spinta La potenza di spinta PT è la potenza prodotta dalla spinta dell’elica. Questa potenza è minore della potenza sviluppata a causa delle perdite insite nella conversione del moto rotatorio dell’elica in spinta assiale. L’elica è il componente meno efficiente nella catena di trasmissione delle potenze. La potenza sviluppata e la potenza di spinta sono legate da una quntità detta rendimento dell’elica. le eliche ben progettate possono presentare un rendimento che va dal 50% per le eliche molto caricate fino al 70-75% per le eliche leggermente caricate. 23 1 – Metodi di previsione della potenza Potenza effettiva Le potenze considerate finora possono essere misurate fisicamente in qualche punto della nave. Comunque, queste potenze non sono utilizzate nelle fasi iniziali del progetto di una carena. La potenza asse e la potenza al freno sono quantità che sono fornite dal costruttore del motore principale. Analogamente, l’entità della spinta che un’elica può produrre è il risultato di calcolo ed analisi. Comunque, a questo punto l’ingegnere navale deve ancora determinare la potenza (PB o PS ) effettivamente richiesta per muovere la nave alla velocità voluta. Questa potenza è determinata introducendo il concetto di potenza effettiva PE , definita come La potenza richiesta per muovere la nave ad una certa velocità senza l’elica La potenza effettiva è determinata misurando la resistenza del modello. In questi esperimenti il modello di carena è rimorchiato in una vasca rettilinea ad un’assegnata velocità misurando l’entità della forza che si oppone al moto della carena. Successivamente i dati di resistenza del modello possono essere scalati al vero. Conoscendo la resistenza totale della nave e la sua velocità, la potenza effettiva della nave può essere determinata utilizzando l’equazione PE = RT ·V 1.4.2 Potenza alle prove Tipicamente, la resistenza è definita in termini di potenza come potenza effettiva PE . Questa potenza è utilizzata per trovare la potenza asse PS attraverso il coefficiente propulsivo globale come PE PS = ηopc Storicamente, nel processo progettuale concettuale e preliminare il coefficiente ηopc è stato stimato attraverso semplici relazioni basate sull’esperienza, quale ad esempio ηopc = 0.84 − N ·L0.5 10000 dove N è il numero di giri al minuto dell’elica ed L è la lunghezza della nave in metri; oppure, attraverso valori scelti soggettivamente, quale ηopc = 0.55 per tutti gli scafi plananti. Poiché questo metodo empirico non può tenere conto dei progressi contemporanei degli apparati motori e delle eliche, e neppure delle differenti caratteristiche di ogni carena, è opportuno applicare l’approccio utilizzato dalle vasche navali nelle prove di autopropulsione nella fase precontrattuale del progetto. Questo metodo richiede la previsione dei coefficienti propulsivi (frazione di scia, fattore di deduzione di spinta e rendimento relativo rotativo) e del rendimento dell’elica isolata. Utilizzando questi valori in combinazione con il rendimento meccanico della linea d’assi, il coefficiente propulsivo globale viene costruito come segue ηopc = ηm ·ηH ·ηR ·η0 24 1.4 – Previsione della potenza dove ηm ηH ηR η0 : : : : rendimento rendimento rendimento rendimento meccanico della linea d’assi, di carena, relativo rotativo, dell’elica isolata. Il rendimento meccanico della linea d’assi ed i coefficienti propulsivi sono ricavati sostanzialmente da formulazioni statistiche e da prove sperimentali su modelli. In generale, i valori in scala modello di questi parametri possono essere utilizzati al vero, anche se può essere introdotta una piccola correzione alla frazione di scia come indicato dall’ITTC (1984), soprattutto perché le prove al vero indicano una sensibile influenza dell’effetto scala sulla frazione di scia e sul fattore di deduzione di spinta. I valori empirici possono essere ridotti numericamente in equazioni di regressione similari a quelle prodotte per la previsione della resistenza. Il calcolo di un valore realistico del rendimento dell’elica isolata è la chiave per ottenere una previsione realistica della potenza asse. La tecnica consigliata è di iterare il numero di giri di un’elica di serie a passo fisso fino a raggiungere l’equilibrio dei giri stessi quando la spinta sviluppata dall’elica eguaglia quella derivante dalla resistenza della nave. La potenza asse deve essere calcolata nello stato di equilibrio dell’interazione tra elica e carena, e non attraverso formule semplificate Quando si utilizzano metodi empirico–statistici in un codice di previsione di potenza, va verificato che le caratteristiche geometriche della nave in progetto siano strettamente compatibili con quelle delle popolazioni che hanno dato luogo alle equazioni di regressione utilizzate; altrimenti si va incontro ad errori significativi. I migliori di questi metodi presentano qualche errore statistico, ed è universalmente accettato che, quando vengano applicati correttamente, i progettisti debbano mettere in conto un ulteriore 5% di probabile margine di errore, valore del tutto accettabile per la maggior parte delle applicazioni.. In ogni caso, esistono tecniche relativamente semplici per migliorare la previsione di potenza ‘ancorandola’ a prestazioni conosciute. Queste tecniche hanno diverse denominazioni, ma generalmente sono riducibili a due tipi, ossia la correlazione e l’estrapolazione di dati sperimentali su modelli. Per migliorare l’analisi. si deve ‘ancorare’ la previsione di potenza a prestazioni note Seguendo le corrispondenti relazioni di velocità di Froude, la correlazione con le misure ottenute da prove su un modello si svolge seguendo questi passi fondamentali: • prevedere i parametri di resistenza (CR , CW , RT /∆, o RW /∆), utilizzando il metodo di previsione adottato; • confrontare quanto la previsione teorica si allinei con i risultati disponibili, memorizzando i rapporti tra i parametri effettivi e quelli calcolati; 25 1 – Metodi di previsione della potenza • diagrammare questi rapporti rispetto al numero di Froude, creando cosı̀ la curva di correlazione da memorizzare; • modificare i parametri calcolati per la carena in progetto mediante la curva di correlazione. I fattori della curva di correlazione’ della U.S. Navy utilizzano il coefficiente CR come parametro di correlazione della resistenza. L’esperienza suggerisce che una correlazione tridimensionale offre i risultati migliori, e che un parametro di merito basato sul dislocamento (R/∆) può in effetti produrre una migliore correlazione quantitativa rispetto ai ‘coefficienti geosim’. Un espediente leggermente differente per prevedere la resistenza di una nave è l’estrapolazione dei dati modello. Naturalmente, ciò richiede che il modello e la carena oggetto di studio abbiano forme molto simili. Tutti i parametri importanti - CP , L/B, il tipo di poppa, ecc. - devono essere quanto più possibile simili. Per estrapolare dai dati modello, il parametro più adatto è RW /∆. È probabile che a fornire i migliori risultati siano la correlazione o l’estrapolazione che utilizzano come parametro di merito la resistenza d’onda Questo metodo è piuttosto utile anche per prevedere i valori della resistenza utilizzando dati di prove al vero di un’unica nave. Anche se viene utilizzato il termine ‘modello’, possono essere creati e utilizzati con successo dati al vero equivalenti. Poiché ciò richiede la previsione delle prestazioni dell’elica, occorre analizzare e scegliere i metodi e le correzioni appropriati. Acquisire e sintetizzare i dati di resistenza al vero può essere effettuato facilmente, sebbene possano esserci problemi di accumulo di errori. La procedura è la seguente: • misurare il numero di giri dell’elica. • utilizzando valori noti o previsti dei coefficienti propulsivi, calcolare la spinta sviluppata dall’elica, quindi la resistenza, ed infine la potenza effettiva. • la potenza effettiva può essere confermata, se desiderato, trasformandola in potenza al freno (utilizzando i coefficienti propulsivi, il rendimento del riduttore, ed il rendimento calcolato dell’elica isolata), che va confrontata con la potenza motore dichiarata o misurata. • calcolare la resistenza della carena nuda rimuovendo i valori previsti di resistenza delle appendici e di resistenza prodotta dal vento durante le prove. • derivare dalla resistenza della carena nuda le componenti della resistenza residua e della resistenza d’onda. Anche se possono essere accumulati errori numerici, questi errori possono essere compensati se sono utilizzati gli stessi metodi di previsione per prevedere la potenza asse. In altri termini, una previsione di potenza basata sulla correlazione di risultati di prove al vero fornirà valori di potenza affidabili, sebbene i singoli parametri possano essere leggermente sbagliati. Infine, per quanto riguarda la misura della resistenza al vero, ci si può riferire all’approccio di Abkowitz (1990). Questo metodo poggia su una serie di prove di manovrabilità della carena e su un insieme di misure ragionevolmente complicate, per prevedere la componente di resistenza residua ed i coefficienṫi propulsivi attraverso un’analisi dell’accelerazione e dell’inerzia di massa. 26 1.4 – Previsione della potenza L’attrattiva di questo metodo poggia sulle affermazioni di Abkowitz relative alla piccola quantità di tempo necessaria ad effettuare le manovre, alla facile disponibilità di reperire l’attrezzatura sperimentale e all’accuratezza raggiunta. I dati delle prove al vero possono essere utilizzate tranquillamente per creare pseudo–prove su modelli 1.4.3 Margine di potenza Esiste un grande numero di fattori ambientali, che tendono a degradare le prestazioni delle navi, e che dipendono dall’operatività delle navi, sia mercantili chemilitari. Per potere rispettare i tempi di arrivo ed altri requisiti operativi, è pratica usuale tenere conto delle perdite di velocità a lungo termine, provvedendo ad una potenza aggiuntiva nella fase progettuale. Questo incremento di potenza è stato definito tradizionalmente margine di potenza o margine di servizio. I metodi utilizzati per stimare il margine di servizio sono i più disparati, come desumibile dalla letteratura scientifica. In generale, sono stati dedotti dai risultati di prestazioni effettive di navi esistenti. Molti di questi metodi sono facili da implementare. Sono semplificati al punto che si dovrebbe essere sospettosi sulla loro validità, alla luce del numero relativamente elevato di fattori coinvolti. Occorre chiedersi se i margini ottenibili con procedure semplificate siano economicamente giustificabili. Il margine di servizio può essere definito come un margine di prestazioni (velocità e potenza), fornito durante il progetto di una nave, che dovrebbe consentirle di muoversi da un porto all’altro in un preciso intervallo di tempo, lungo un periodo imprecisato della sua vita operativa. In altri termini, il margine di servizio deve garantire alla nave di raggiungere una certa velocità media in un certo periodo di tempo. La velocità media è valutata e/o misurata in relazione alla velocità alle prove, ossia con carena pulita, in mare calmo e senza vento, nella stessa condizione di carico (dislocamento ed assetto sono identici). La condizione di carico della nave, il periodo di tempo, la velocità media, e la zona di mare attraversata, sono tutti parametri scelti arbitrariamente e concordati da tutti coloro che partecipano alla scelte decisionali fondamentali sull’utilizzo futuro della nave. I fattori che intervengono nella determinazione del margine di potenza sono discontinui ed incerti. Nella maggior parte dei casi sono nonlineari. Non deve sorprendere, quindi, che la maggior parte dei metodi utilizzati per determinare l’entità del margine di servizio siano semplificazioni di un problema assai complesso. È conveniente suddividere i singoli fattori inclusi nel margine di servizio in due categorie: ambientali e deterioranti. I fattori ambientali includono il vento, lo stato di mare, la nebbia, la corrente, la temperatura e la salinità del mare, il ghiaccio e la profondità. I fattori deterioranti comprendono la corrosione e la sporcizia di carena, la corrosione, l’erosione e la sporcizia dell’elica, la sporcizia, l’erosione, la corrosione, l’usura ed il modo di operare dei macchinari propulsivi. 27 1 – Metodi di previsione della potenza I fattori ambientali sono, nella maggior parte dei casi, al di fuori del controllo del bordo, sebbene siano probabilisticamente prevedibili in sede progettuale. Sono generalmente caratterizzabili come fattori involontari, per cui conviene esprimerli come margini di velocità. Il tempo perso in condizioni meteo-marine avverse può essere recuperato prevedendo di aumentare la velocità in condizioni meteo ottimali. Poiché la nave si troverà ad operare a questa velocità più elevata in mare relativamente calmo, tale velocità dovrebbe essere considerata come la velocità di progetto. I fattori deterioranti sono essenzialmente dipendenti dalla politica di manutenzione del gestore della nave. È conveniente caratterizzare questi fattori come fattori volontari, nel senso che è l’operatore a decidere e ad accettare volontariamente l’entità del deterioramento della nave. Tali fattori possono essere espressi come requisiti di potenza aggiuntiva. Si osservi che la velocità in acqua calma è la velocità massima alla quale la nave deve operare per potere raggiungere la richiesta velocità media di servizio. Molti dei fattori suddetti sono legati l’uno all’altro, come il vento con il mare, oppure, in una certa misura, la flora/fauna marina con la corrosione. Altri possono essere del tutto scorrelati, come nel caso della nebbia, o possono addirittura agire positivamente come è il caso di una corrente favorevole. Uno o tutti i fattori deterioranti possono esistere ad un certo istante indipendentemente dalle condizioni ambientali. Va considerato anche il fattore tempo, in quanto legato al periodo nel quale va determinato un requisito di margine di servizio, L’intervallo di tempo utilizzato può variare considerevolmente, a seconda del tipo di operazione da esaminare. Alcuni operatori saranno influenzati dalla stagione di navigazione, come l’inverno in Nord Atlantico; altri dai requisiti di manutenzione imposti dagli enti di controllo; ed altri ancora da combinazioni pesate di fattori quali stagioni severe dal punto di vista ambientale, valutazioni statistiche del deterioramento temporale della carena e delle eliche, ecc. Troost 1957) osservò che la potenza asse alla velocità di servizio è mediamente superiore del 20% rispetto a quella misurata nelle prove in mare alla stessa velocità. In altri termini, la velocità media di servizio (sustained speed) è definita come la velocità equivalente alla velocità delle prove in mare raggiungibile utilizzando l’80% della potenza massima continuativa. Sulla base dell’analisi dei risultati di prove su modelli di navi da carico, lo stesso Troost concluse che la migliore definizione della velocità di servizio in mare è definibile come: √ VS / LP P = 1.85 − 1.6 CP per navi monoelica √ VS / LP P = 1.89 − 1.6 CP per navi bielica dove Vs è in nodi e LP P in piedi. Oggi la previsione della effettiva velocità di servizio richiede maggiore accuratezza per effetto delle crescenti pressioni economiche sugli operatori, una delle quali è il rispetto stretto dei tempi di viaggio, particolarmente per le navi ro–ro e per le navi container. In altri termini, si tratta di sovradimensionare le prestazioni alla velocità massima per potere garantire la velocità di servizio. 28 1.4 – Previsione della potenza Appendice A Resistenza di carene dislocanti Regressione sulle Bulk Carriers del Grandi Laghi (1973) Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Forme piene, navi monoelica CB = 0.80 − 0.92, L/B = 6.5 − 10.0, B/T = 2.0 − 6.0 Metodologia: 2-D CR , ITTC’57, 60 modelli vari Intervallo di velocità: F n = 0.11 − 0.18 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna Serie BSRA di navi da carico, 1971 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi monoelica con poppa ad incrociatore CB = 0.59 − 0.80, B/T = 2.1 − 6.4 Metodologia: 2-D CR , ATTC, serie di modelli Intervallo di velocità: F n = 0.15 − 0.24 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna Serie 60 di navi da carico, 1971 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi monoelica con poppa ad incrociatore CB = 0.60 − 0.80, L/B = 5.5 − 8.5, B/T = 2.5 − 3.5 Metodologia: 2-D CR , ATTC, serie di 67 modelli Intervallo di velocità: F n = 0.10 − 0.27 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: L’analisi indipendente delle equazioni mostra che la resistenza calcolata è minore dei dati sperimentali, particolarmente alle alte velocità. 29 1 – Metodi di previsione della potenza Metodo di navi mercantili dell’Università di Danimarca, 1986 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi da carico monoelica CB = 0.55 − 0.85, L/B = 5.0 − 8.0, L/∆1/3 = 4.0 − 6.0 Metodologia: 2-D CR , ITTC’57, vari modelli Intervallo di velocità: F n = 0.05 − 0.33 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Il metodo è uno strumento generale nel progetto iniziale di una nave, ma è impreciso per la nave in zavorra Serie di pescherecci UBC, 1990 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Pescherecci dell’Oceano Pacifico CB = 0.53 − 0.61, L/B = 2.6 − 4.0, B/T = 2.0 − 3.0, L/δ 1/3 = 3.0 − 4.5 Metodologia: 2-D CR (Havelock), ITTC’57, 13 serie di modelli Intervallo di velocità: F n = 0.20 − 0.43 Intervallo di errore: Errore medio di CR : 4.6%–6.4% Osservazioni: La base per l’utilizzo della teoria di Havelock è discutibile, poiché un’analisi dipendente dalla velocità, come quella di Havelock, presenta una forma atipica della curva CW /CR per F n < 0.3 Metodo dei modelli di piccole navi di van Oortmerssen, 1971 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Rimorchiatori e pescherecci CP = 0.52 − 0.70, L/B = 3.4 − 6.2, B/T = 1.9 − 3.4, CM = 0.73 − 0.98, iE = 10◦ –38◦ Metodologia: 2-D CR (Havelock), ITTC’57, 93 modelli vari Intervallo di velocità: F n = 0.05 − 0.50 Intervallo di errore: RT < 12% Osservazioni: Il metodo è descritto come strumento generale nel progetto iniziale ed è inaffidabile se il metodo è utilizzato con la nave in zavorra. 30 1.4 – Previsione della potenza Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Grande varietà di carene mercantili e militari CP = 0.55 − 0.85, L/B = 3.9 − 14.9, B/T = 2.1 − 4.0 Metodologia: 3-D CW (Havelock), ITTC’57, 334 navi e modelli vari Intervallo di velocità: F n = 0.05 − 1.0 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna Metodo statistico di Jin, 1980 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Poppe ad incrociatore, carene con forme arrotondate AT /AX = 0–0.74, CP = 0.57–0.76, iE = 10◦ –38◦ Metodologia: 2-D CR , ITTC’57, 87 modelli vari Intervallo di velocità: F n = 0.05 − 1.0 Intervallo di errore: RT < 5.77%, RR < 8.25% Osservazioni: Gli autori descrivono il metodo come strumento generale nel progetto iniziale; mettono sull’avviso circa l’uso del metodo con nave in zavorra. 31 1 – Metodi di previsione della potenza Appendice B Resistenza di carene semidislocanti e plananti Serie YP dell’Accademia Navale Americana (1986) Categoria: Carene semidislocanti Forme di carena: Pattugliatori con poppe a specchio ∆/L = 90 − 160, L/B = 4.0 − 5.2 Metodologia: 2-D CR , ATTC, 6 serie di modelli Intervallo di velocità: F n = 0.10 − 0.60 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: È probabile un errore rilevante se il metodo è applicato al di fuori del campo di definizione della serie. Metodo numerico di Mercier & Savitsky (1973) Categoria: Carene semidislocanti Forme di carena: Scafi arrotondati ed a spigoli, poppe a specchio Ampia gamma di parametri di definizione Metodologia: RT /∆, ATTC, 6 serie di carene arrotondate ed 1 serie di carene a spigoli Intervallo di velocità: F n∇ = 1.0 − 2.0 Intervallo di errore: RT < 10.0% Osservazioni: Alcuni termini dell’equazione possono essere statisticamente ridondanti. Buona correlazione dei risultati entro i limiti dei dati originali, come avviene per i pattugliatori, ma si hanno grandi errori se si è all’esterno del campo di definizione della serie di carena. Questo metodo è stato raccomandato per forme arrotondate di carene dislocanti, sebbene prove indipendenti mostrino grandi errori per carene di incrociatori. 32 1.4 – Previsione della potenza Regressione delle Serie 62/65 (1984) Categoria: Carene semidislocanti Forme di carena: Scafi plananti con poppe a specchio ed elevata alzata di piana Ampia gamma di parametri di definizione L/B = 2.4 − 6.7, alzata di piana 13◦ –37.4◦ Metodologia: RT /∆, ITTC’57, vari modelli Intervallo di velocità: F n∇ = 1.0 − 4.0 Intervallo di errore: Piccolo errore Osservazioni: La Serie 62 e la Serie 65A non sono rappresentative delle attuali forme di carene plananti, ma la Serie 65B riflette una tipica carena a ‘V’ profondo. L’analisi indipendente della regressione è stata descritta come inaccettabile per F n∇ ≤ 3.0 ed inconsistente al di sotto. Metodo di Savitsky modificato (1976) Categoria: Scafi plananti Forme di carena: Carene plananti prismatiche con alzata di piana costante Ampia gamma di parametri di definizione ∆T = 2.0 − 15.0, alzata di piana 0◦ –30◦ Metodologia: Equilibrio dinamico, ATTC, vari modelli Intervallo di velocità: F n∇ > 1.0 − 4.0 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: L’entità del fattore circolare M è considerata troppo elevata per le carene attuali, in quanto sovrastima la resistenza delle carene con L/B > 5.0 esottostima le carene con bassa alzata di piana. Viene suggerito di dividere a metà tale fattore. 33 1 – Metodi di previsione della potenza Appendice C Superficie bagnata di carena Regressione sulle Bulk Carriers del Grandi Laghi (1973) Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Forme piene, navi monoelica CB = 0.80 − 0.92, L/B = 6.5 − 10.0, B/T = 2.0 − 6.0 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Buona correlazione statistica con le carene della banca dati Serie BSRA di navi da carico, 1971 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi da carico monoelica CB = 0.59 − 0.80, B/T = 2.1 − 6.4 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna Serie 60 di navi da carico, 1971 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi da carico monoelica CB = 0.60 − 0.80, L/B = 5.5 − 8.5, B/T = 2.5 − 3.5 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna 34 1.4 – Previsione della potenza Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Grande varietà di carene mercantili e militari CP = 0.55 − 0.85, L/B = 3.9 − 14.9, B/T = 2.1 − 4.0 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna Metodo statistico di Jin, 1980 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Poppe ad incrociatore, carene con forme arrotondate AT /AX = 0 − 0.74, CP = 0.57 − 0.76, iE = 10◦ –38◦ Intervallo di errore: RT < 5.77%, RR < 8.25% Osservazioni: Buona correlazione con i dati della serie 35 1 – Metodi di previsione della potenza Appendice D Fattore di forma Fattore di forma di Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di errore: Osservazioni: Granville Carene dislocanti Uso generale 3–D CW , ITTC’57 Non presentato La formula (1 + k) = 1 + 18.7(CB ×B/L) approssima con buona accuratezza i risultati sperimentali Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Grande varietà di carene mercantili e militari CP = 0.55 − 0.85, L/B = 3.9 − 14.9, B/T = 2.1 − 4.0 Metodologia: 3-D CW (Havelock), ITTC’57, 334 navi e modelli vari Intervallo di velocità: F n = 0.05 − 1.0 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Nessuna 36 1.4 – Previsione della potenza Appendice E Fattore di correlazione modello–nave Equazione di Bowden, 1974 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Utilizzo generale Metodologia: 3–D, ITTC’57 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: La formula CA = 105(ks /L)1/3 − 0.64, con ks in mm ed L in m, è ampiamente utilizzata Metodo di navi mercantili dell’Università di Danimarca, 1986 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Navi da carico monoelica CB = 0.55 − 0.85, L/B = 5.0 − 8.0, L/δ 1/3 = 4.0 − 6.0 Metodologia: 2-D, ITTC’57 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Il metodo è giudicato uno strumento generale per il progetto iniziale Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Carene dislocanti Forme di carena: Grande varietà di carene mercantili e militari CP = 0.55 − 0.85, L/B = 3.9 − 14.9, B/T = 2.1 − 4.0 Metodologia: 3-D, ITTC’57 Intervallo di errore: Non presentato Osservazioni: Derivata per una rugosità di carena di 150 µm e corretta perché i valori risultavano troppo elevati per navi nuove 37 1 – Metodi di previsione della potenza Tabelle di Keller, Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di errore: Osservazioni: 1973 Uso generale Uso generale 2-D, ITTC’57 Non presentato Riflette adeguatamente l’esperienza del MARIN (vedi la tabella seguente) L (m) 50–150 150–210 210–260 260–300 300–350 350–450 CA +0.0004 +0.0002 +0.0001 0 -0.0001 -0.00025 38 1.4 – Previsione della potenza Appendice F Resistenza delle appendici Metodo di navi mercantili dell’Università di Danimarca, 1986 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Semplice percentuale F n = 0.05 − 0.33 Non presentato Il metodo è uno strumento generale per il progetto iniziale. Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti 3-D, ITTC’57 F n = 0.05 − 1.00 Non presentato Valutazione dettagliata di numerosi tipi di appendice. Analisi di Hoerner, 1965 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Uso generale Analisi di resistenza in base al tipo di appendice Illimitato Non presentato Presentata con estensioni da Hadler (1966). Vedi nota 1. Analisi di Peck, 1976 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Uso generale Analisi di resistenza in base al tipo di appendice Illimitato Non presentato Vedi nota 1. 39 1 – Metodi di previsione della potenza Analisi di Kirkman, 1980 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Uso generale Analisi di resistenza in base al tipo di appendice Illimitato Non presentato Vedi nota 1. Metodo di Blount & Fox per scafi plananti, 1976 Categoria: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene plananti Margine basato sulla velocità F n∇ = 1.0 − 5.0 Non presentato Basato su carene plananti a spigoli, bielica Nota 1: I dati sperimentali suggeriscono che i metodi basati sulle formule di resistenza delle singole appendici sovrastimano il contributo dell’appendice per F n < 0.5 e lo sottostimano sensibilmente per gli scafi più veloci (Kirkman & Kloetzli, 1980). L’utilizzo di una velocità d’avanzo può essere giustificata quando un’appendice è situata entro lo strato limite. 40 1.4 – Previsione della potenza Appendice G Resistenza aggiunta per vento e onde Vento Metodo di navi mercantili dell’Università di Danimarca, 1986 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Uso generale Semplice correzione del margine di correlazione F n = 0.05 − 0.33 Non presentato Il metodo viene descritto come strumento generale per il progetto iniziale. Metodo di Taylor per vento prodiero, 1943 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Uso generale Analisi della resistenza di una lastra piana Illimitato Non presentato Valido solamente per vento prodiero. Vedi nota 2. Metodo di Hughes del vento relativo, 1930 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Metodo basato su modelli di navi cisterna, di navi da carico e di navi passeggeri Analisi della resistenza da prove su modelli Illimitato Non presentato Valido per venti da tutte le direzioni. Vedi nota 2. Metodo di Iwai del vento relativo, 1943 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Metodo basato su modelli di navi cisterna, di navi da carico e di navi passeggeri Analisi della resistenza da prove in galleria del vento Illimitato Non presentato Valido per venti da tutte le direzioni; vedi nota 2. 41 1 – Metodi di previsione della potenza Nota 2: Si ritiene che i metodi di resistenza del vento derivati da prove su modelli sottostimino significativemente la resistenza aggiunta dovuta al vento delle carene dislocanti in aria calma del 20%–40% e di circa la metà di queste percentuali quando il vento di prora è pari alla velocità della nave. Vento e Onde Metodo di Aertssen per navi portacontainer, 1975 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Navi portacontainers CB = 0.55 − 0.70 Perdita di velocità effettiva: 12 prove al vero F n < 0.25 Non presentato Questo metodo va utilizzato per vento ed onde al di sopra dello stato di mare 5, mentre sottostima il contributo del vento per stati di mare inferiori Onde Metodo di Leibman et al. per piccole navi militari, 1990 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Navi militari con poppa a specchio L/B = 3.0 − 5.0, ∆T = 3.0 − 7.0, Alzata di piana 10-30 Resistenza aggiunta, risultati generati numericamente F n = 0.8 − 1.2 Non presentato Nessuna 42 1.4 – Previsione della potenza Analisi numerica di Fridsma su scafi plananti, 1976 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene plananti Navi militari con poppa a specchio L/B = 3.0 − 5.0, ∆T = 3.0 − 7.0, Alzata di piana 10-30 Uso generale F n = 0.6 − 1.8 Precisione riportata a +20% I risultati sono universalmente ritenuti discutibili Regressione di Hoggard per scafi plananti, 1979 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene plananti Uso generale Analisi della resistenza da prove in galleria del vento Illimitato Non presentato I risultati sono universalmente ritenuti discutibili 43 1 – Metodi di previsione della potenza Appendice H Resistenza aggiunta in acque ristrette Correzione di Schlichting per fondali illimitati, 1934 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Carene dislocanti Uso generale Perdita di velocità effettiva √ Velocità subcritiche V < g h Intervallo di errore: Osservazioni: Non presentato Larghezza illimitata. Discutibile teoricamente, ma buona soluzione ingegneristica Correzione di Landweber, 1939 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Carene dislocanti Uso generale Perdita di velocità effettiva √ Velocità subcritiche, V < g h Intervallo di errore: Osservazioni: Non presentato Discutibile teoricamente, ma buona soluzione ingegneristica 44 1.4 – Previsione della potenza Appendice I Coefficienti propulsivi Metodo di navi mercantili dell’Università di Danimarca, 1986 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Navi da carico, monoelica CB = 0.55 − 0.85, L/B = 5.0 − 8.0, L/δ 1/3 = 4.0 − 6.0 Scala modello, vari modelli F n = 0.05 − 0.33 Non presentato La frazione di scia modello va corretta al vero come ws = 0.7 ws ; può essere corretta al vero anche con la metodologia ITTC’84. Metodo statistico di Holtrop, 1984 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Ampia gamma di carene mercantili e militari CP = 0.55 − 0.85, L/B = 3.9 − 14.9, B/T = 2.1 − 4.0 Misure al vero, modelli vari F n = 0.05 − 1.0 Non presentato Nessuna Metodo dei modelli di piccole navi di van Oortmerssen, 1971 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti Rimorchiatori e pescherecci monoelica CP = 0.52 − 0.70, L/B = 3.4 − 6.2, B/T = 1.9 − 3.4, Scala modello, 66 modelli vari F n = 0.05 − 0.50 Non presentato Correzione al vero con la metodologia ITTC’84. Dati propulsivi di scafi veloci, 1979 Categoria: Forme di carena: Metodologia: Intervallo di velocità: Intervallo di errore: Osservazioni: Carene dislocanti e plananti Carene dislocanti veloci, semidislocanti e plananti Misure al vero F n = 0.50 − 5.00 Non presentato Sono forniti molti valori. 45 1 – Metodi di previsione della potenza 46 Capitolo 2 Accoppiamento elica-carena-motore Nella progettazione del sistema propulsivo di una nave è di grande importanza la corretta combinazione tra motore principale (diesel, turbina a gas), elica e carena. Se il problema della loro interazione non è risolto correttamente, la nave può avere prestazioni scadenti per quanto riguarda: • la velocità alle prove ed in servizio; • l’accelerazione e la frenata; • il consumo del combustibile. La questione dell’interazione non può essere risolta trattando indipendentemente i tre sottosistemi, ma considerando il sistema integrato carena–elica–motore. Il problema è discusso sia per eliche a passo fisso che per eliche a passo variabile, assumendo quale motore principale il motore diesel. Ovviamente se una nave ed il suo sistema propulsivo hanno un solo modo operativo e se si prevede che non varino significativamente le condizioni ambientali, nelle quali una nave si troverà ad operare, l’interazione è relativamente più semplice da studiare rispetto al caso di una nave che presenti diversi modi operativi. Ma ciò accade assai raramente. 2.1 Accoppiamento elica–motore Il problema dell’accoppiamento elica–motore è essenzialmente quello di assicurare che alla velocità nave massima ottenibile l’elica carichi il motore assorbendo la massima potenza disponibile. Se il diametro e/o il passo dell’elica sono troppo piccoli, l’elica non riuscirà a caricare il motore 47 2 – Accoppiamento elica-carena-motore diesel al suo momento torcente massimo disponibile e si perde velocità. Viceversa, un diametro e/o un passo troppo grandi richiedono un momento torcente in eccesso rispetto alla capacità del motore, e ciò impedirà di raggiungere la velocità massima del motore, anche questa volta con una riduzione di velocità della nave. Si può dimostrare che, in generale, riducendo il diametro dell’elica non si ottiene alcun vantaggio, per cui dovrebbe essere scelta l’elica con il diametro massimo possibile, compatibilmente con le luci minime imposte dai Registri di. Classifica. Il problema viene ridotto all’ottimizzazione del rendimento propulsivo scegliendo i più opportuni valori del rapporto di area espansa, del passo e del rapporto di trasmissione del riduttore. Ad ogni combinazione del rapporto di area espansa e del rapporto di trasmissione corrisponde una curva di velocità esprimibile in funzione del passo dell’elica. La velocità massima corrisponde alla situazione in cui la caratteristica potenza del motore - velocità si accoppia esattamente con la caratteristica resistenza della nave - velocità. Variazioni nel rapporto di area espansa o nel rapporto di trasmissione produrranno differenti velocità ottimali, tra le quali andrà individuata la combinazione che produce il valore massimo assoluto del rendimento propulsivo totale. Anche con questa semplice procedura di selezione si può ottenere il passo ottimale corrispondente ad una sola condizione di carico dell’elica. Variazioni del dislocamento, dell’assetto, della condizione idraulica della carena, dei margini che tengono conto delle condizioni meteo–marine, tutte quante influenzano la condizione di carico idrodinamico dell’elica. È del tutto evidente quanto il problema dell’individuazione dell’elica ottimale sia estremamente complesso e richieda l’introduzione di procedure decisionali che tengano conto simultaneamente di numerose variabili e di diversi vincoli progettuali. Se si tiene conto che il rendimento è influenzato dal rapporto di area espansa, dal passo, dal diametro e dalla velocità di rotazione dell’elica, è evidente che la scelta dell’elica ottimale è un problema decisionale multicriteriale. In ogni caso, allo scopo di investigare l’accoppiamento tra motore ed elica, è innanzi tutto necessario avere a disposizione le caratteristiche del motore e le previsioni quanto più possibile accurate della curva di resistenza nave. Le prime sono fornite dai produttori di motori per un intervallo di combinazioni tra potenze e velocità di rotazione; sono normalmente specificati i limiti operativi del motore. Le seconde sono ottenute da previsioni empirico–statistiche, da prove su modelli in scala della nave e da dati di prove al vero, quando disponibili, se la nave appartiene ad una classe già costruita. Questi dati sono spesso riducibili alle caratteristiche che legano il rapporto tra √ resistenza e dislocamento R/∆ alla velocità nave relativa V / gL, per il tipo di forme di carena in esame. 2.2 Punto operativo dell’elica La caratteristica di carico di una nave in termini di resistenza e di velocità è data generalmente in forma quadratica, come R = a·VS2 (Fig. 2.1). Ciò vale solamente per velocità relativamente basse (F n = 0.1 ÷ 0.2), mentre per velocità più elevate la curva si impenna fino a potere divenire una polinomiale di grado compreso tra il terzo ed il quarto ordine. 48 2.2 – Punto operativo dell’elica Figura 2.1. 2.2.1 Andamento di curve di resistenza Elica a passo fisso Il diagramma di funzionamento dell’elica isolata, ossia dell’elica senza tenere conto dell’influenza della carena sul flusso che la investe, fornisce in forma adimensionale i coefficienti di spinta, KT , di momento torcente, KQ , e di rendimento, η◦ , espressi in funzione di una grandezza cinematica, J, detta coefficiente d’avanzo. La Figura 2.2 fornisce tale diagramma per un’elica a passo fisso (fixed pitch propeller - FPP). Il piano di rappresentazione del funzionamento dell’elica isolata, una volta che questa sia stata scelta tra quelle disponibili (spesso un’elica di serie sistematica) o progettata per la specifica carena, può essere utilizzato per ‘trasformare’ la caratteristica di resistenza della nave in caratteristica di carico dell’elica. Figura 2.2. Identificazione del punto operativo 49 2 – Accoppiamento elica-carena-motore A tale scopo, viene assunta in prima approssimazione una curva di resistenza quadratica, che può essere trasformata come segue µ RT = a·VS2 KT ·ρ n2 D4 = → VA T (1 − t) = a 1−w a V2 (1 − t)(1 − w)2 A ⇒ ¶2 → KT = T = a V2 (1 − t)(1 − w)2 A a (1 − t)(1 − w)2 ρD2 µ VA nD ¶2 Se si assumono costanti D, t e w, tale relazione consente di formulare la caratteristica di carico dell’elica come KT = c·J 2 con c = cost. Tracciando la parabole corripsondente sul diagramma dell’elica isolata, l’intersezione con la curva KT dell’elica fornisce il punto operativo J ∗ dell’elica. Si può ora determinare il coefficiente del momento torcente ed il rendimento dell’elica isolata. È evidente che per una curva di resistenza quadratica l’elica avrà un unico punto operativo, indipendente dalla velocità nave; ciò significa che: • J, KT e KQ rimangono costanti; • Q è funzione del quadrato della velocità di rotazione dell’elica; • PD dipende dal cubo della velocità di rotazione dell’elica; • D, VA ed n sono legate da relazioni lineari, essendo J = cost. Quando la curva della resistenza non è quadratica, le relazioni suddette non sono più valide. In tal caso (Fig. 2.3), si possono determinare i diversi punti operativi dell’elica a differenti velocità VS , assumendo localmente una legge quadratica per la resistenza. Ad una certa velocità si avrà una relazione del tipo R = a VS2 ; ad un’altra velocità si assumerà R = b VS2 . Figura 2.3. Andamento locale della resistenza 50 2.2 – Punto operativo dell’elica In base a queste espressioni si può definire la relazione tra KT e J come per R = a·VS ⇒ KT = c·J 2 per R = b·VS ⇒ KT = d·J 2 Si possono ora determinare i punti operativi dell’elica che forniscono i punti cinematici di funzionamento Jc e Jd , ossia l’intervallo cinematico dell’elica (la zona tratteggiata in Figura 2.4), corrispondente all’intervallo di interesse delle velocità nave. Ne deriva che nel caso generale di una curva di resistenza non–quadratica l’elica avrà un intervallo di possibili punti operativi. Di conseguenza, la curva di carico di potenza dell’elica non è più una cubica e non esiste più una relazione lineare tra VS ed n. Figura 2.4. 2.2.2 Differenti punti operativi dell’elica Eliche a passo variabile La Figura 2.5 fornisce le caratteristiche di un’elica isolata a passo variabile (controllable pitch propeller - CPP). Le curve KT ed η◦ sono ora date per diversi rapporti di passo P/D. Si può nuovamente convertire la curva di resistenza di una nave in una relazione tra KT e J, permettendo di definire un certo numero di punti operativi per l’elica, ognuno corrispondente ad una posizione di passo. 51 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Figura 2.5. Diagramma di funzionamento di elica a passo variabile Dopo avere determinato i punti operativi dell’elica sul diagramma dell’elica isolata, mediante l’utilizzo della curva KQ può essere facilmente ricavata la caratteristica di carico dell’elica. Per una nave con elica a passo variabile ed avente una curva quadratica di resistenza, la caratteristica di carico dell’elica avrà la forma data in Figura 2.6. Per ogni rapporto di passo P/D è desumibile una curva che esprime la relazione tra PD ed n. Nel diagramma possono essere disegnate anche le linee continue a velocità nave costante. La curva (tratto–punto), che unisce i valori minimi di PD ad ogni velocità nave, fornisce il rapporto di passo ottimale per assorbire la potenza minima. Dallo stesso diagramma si può ottenere il rendimento massimo per ogni velocità, quando si mantenga fisso il rapporto passo–diametro. Figura 2.6. Passi ottimali di un’elica a passo variabile Va rimarcato che, se l’obiettivo è quello di avere il minimo consumo di combustibile, il rapporto di passo ottimale potrebbe essere leggermente differente da quello per il quale risulta minimo il 52 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo valore di PD . Il prodotto del consumo specifico di combustibile per la potenza di carico assorbita fornisce le curve di consumo di combustibile, il cui minimo può risultare in una certa misura deviato rispetto al minimo di PD . 2.3 Approccio classico al problema propulsivo Le tematiche affrontate riguardano la propulsione navale convenzionale basata sui due seguenti elementi fondamentali: il motore diesel e l’elica. Il concetto di accoppiamento (matching) tra elica e motore vuole significare l’individuazione della combinazione ottimale dei modi di funzionamento di entrambi, in corrispondenza del punto propulsivo al quale la nave dovrà operare per raggiungere la velocità prevista dagli accordi contrattuali tra armatore e committente. La soluzione ottimale del problema propulsivo è data dalla scelta corretta della coppia composta dalla potenza motore, necessaria e sufficiente affinché la nave operi alla velocità contrattuale, e dal corrispondente numero di giri, che deve garantire il funzionamento del motore senza sovraccarichi e stress termo-meccanici. Risolvere correttamente il problema è di importanza fondamentale per soddisfare i requisiti contrattuali: i cantieri ed i progettisti sono molto sensibili al problema della determinazione della potenza da installare a causa delle pesanti penali contrattuali nelle quali si rischia di incorrere quando non si raggiunge la velocità richiesta. Appare altresı̀ evidente che un’eccessiva potenza installata comporti ingombri, pesi e consumi non giustificabili all’armatore. La questione primaria è quella di stabilire correttamente quale sia il punto progettuale dell’elica, il cosiddetto punto progettuale dell’elica (propeller design point), in corrispondenza del quale ottimizzare le caratteristiche del propulsore. Allo scopo, va definita esattamente la condizione di caricazione di riferimento, in termini di carico a bordo, nonché le condizioni esterne di mare e vento, e lo stato di manutenzione della carena e dell’elica. L’attualità del tema è testimoniata, ad esempio, da studi effettuati da Deltamarine, che hanno evidenziato come, per la stessa nave in progetto, tredici cantieri abbiano sviluppato previsioni di potenza differenti fra loro addirittura del 30% (Kanerva, 1996). Il che sottolinea la disuniformità esistente fra i diversi cantieri nell’approccio al problema propulsivo. In questa sezione viene presentata la metodologia classica di approccio al problema propulsivo, sviluppatasi teoricamente per effetto dell’influenza delle maggiori case di produzione di motori diesel navali. 2.3.1 Curve di funzionamento dell’elica Occorre richiamare alcuni principi base di progettazione dell’elica, quanto meno quelli relativi al problema propulsivo, sottolineando la dipendenza del rendimento da alcuni parametri fondamentali del propulsore. Segue l’illustrazione delle curve di potenza dell’elica in diverse situazioni di 53 2 – Accoppiamento elica-carena-motore carico, con particolare attenzione ai principali fattori che determinano l’aumento o la diminuzione del carico idrodinamico sul propulsore. Parametri primari e rendimento propulsivo Come è noto, la progettazione moderna delle eliche è basata sull’adattamento della stessa alla scia della nave: ciò permette di massimizzare l’efficienza del propulsore e di contenere quanto più possibile l’innesco dei fenomeni cavitativi. Fatta questa premessa, è fondamentale considerare l’effetto di alcuni ‘parametri primari’ sul rendimento propulsivo e, quindi, sulla potenza da installare: • Diametro. In generale, ma non sempre, quanto maggiore è il suo valore, nel rispetto dei limiti delle luci poppiere, tanto maggiore sarà il rendimento. Nel caso di bulk carriers e di tankers, che spesso si trovano a navigare in condizione di zavorra, cosı̀ come per le navi portacontenitori e per le ro-ro in condizioni di carico leggero, bisogna garantire progettualmente che l’elica sia sempre completamente immersa, con ovvie limitazioni sulle dimensioni del propulsore. Le formule seguenti possono essere assunte come linee guida di prima approssimazione – per bulk carriers e tankers D < 0.65 T – per ro-ro e porta-containers D < 0.74 T dove D indica il diametro dell’elica, mentre T è l’immersione di progetto. • Numero di pale. Minore è il numero di pale Z, maggiore risulta il rendimento dell’elica isolata. Comunque, per ragioni di robustezza, eliche di navi mercantili soggette ad elevati carichi non possono essere realizzate con tre sole pale. Teoricamente si può affermare che per grandi navi con motore a due tempi si usano quattro pale, mentre per grandi navi con elevata potenza installata ed elevato carico sull’elica (è il caso delle navi portacontenitori) bisogna installare eliche con cinque o sei pale. Come è noto, il numero di pale è deciso fondamentalmente in base all’analisi dei fenomeni vibratori che possono insorgere sulle strutture di scafo a poppavia. • Rapporto di passo. Per raggiungere la massima efficienza propulsiva, per un dato valore del diametro, va scelto il rapporto ottimale P/D, che di nuovo corrisponde ad un certo valore del numero di giri. Se, per esempio, si vuole ridurre il numero di giri inizialmente previsto, il rapporto di passo va aumentato, e viceversa. D’altro canto, sempre volendo ridurre i giri e se l’immersione lo permette, conviene aumentare il diametro dell’elica. Quest’ultima possibilità consente di aumentare il rendimento propulsivo e, quindi, di ridurre la potenza da installare. Nella Figura 2.7, che si riferisce al caso concreto di un crude oil tanker, sono evidenziate le influenze del diametro e del rapporto di passo sulla potenza motore che consente il raggiungimento della velocità di servizio. I valori ottimali del rapporto di passo e del diametro consentono il conseguimento della velocità con minore assorbimento di potenza. 54 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo Figura 2.7. Influenza del diametro e del rapporto di passo sulla potenza motore Curve di carico dell’elica La determinazione delle curve potenza - numero di giri dell’elica è un passo fondamentale nella soluzione del problema propulsivo. Su una di queste curve, infatti, si determina la potenza massima continua nominale (MCR - maximum continuous rating) del motore che permette, successivamente, di procedere alla sua scelta ottimale nell’approccio dell’ingegnere navale. Il punto MCR nominale del motore corrisponde alla combinazione tra potenza massima e velocità massima disponibile. In generale, la relazione fra potenza e numero di giri per un’elica a passo fisso è descritta da una cubica, detta legge dell’elica P = c·n3 dove c è una costante ed n è il numero di giri al secondo. In condizioni normali di servizio può essere richiesta più potenza di quella prevista teoricamente a causa di fattori esterni quali vento e mare mosso, ed anche a causa di fattori endogeni quali sporcizia di carena e deterioramento dell’elica. La potenza è talvolta valutata, in prima approssimazione, in funzione della velocità nave mediante una relazione del tipo P = c·V r . Statisticamente si può affermare che, per navi di grossa stazza e/o operanti ad elevate velocità (navi portacontenitori, navi ro-ro bielica), vale la relazione P = c·V 4.5 mentre per una nave di dimensioni medie e/o operanti a velocità più contenute (navi ro-ro monoelica), vale la relazione P = c·V 4.0 55 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Infine, per navi operanti a basse velocità (tankers, bulk carriers), vale la relazione P = c·V 3.5 Le curve dell’elica si mantengono costanti nel tempo solamente se non variano le condizioni dello scafo e le condizioni meteo-marine. Quando, dopo un certo periodo di servizio, lo scafo aumenta la sua rugosità, lo strato limite è differente da quello della nave con scafo pulito. Conseguentemente, la nave è soggetta ad un aumento di resistenza e si origina un maggiore carico dell’elica: allo stesso valore della potenza motore corrisponde un numero di giri più basso. In Figura 2.8 è mostrato l’effetto delle condizioni meteo–marine sulle curve di carico dell’elica e, quindi, sulla potenza assorbita, nel caso concreto di una nave portacontenitori di piccole dimensioni. Si osservi che qui le curve di carico sono traslate da quelle di mare calmo, semplicemente assegnando ipotetici valori di maggiorazione del carico dovuto agli effetti meteo–marini (3%, 6%). Quando, invece, la nave opera in zavorra, l’elica si trova in una condizione di carico leggero: alla stessa potenza corrisponde un numero di giri più elevato ed una maggiore velocità nave. Figura 2.8. Effetto delle condizioni meteo–marine sulle curve di carico dell’elica Un’ulteriore situazione da considerare è quella della nave in accelerazione, quando il propulsore è soggetto ad un carico maggiore rispetto al caso di navigazione con moto uniforme. Infatti, la potenza richiesta dall’elica aumenta per effetto dell’aumento del momento torcente assorbito dall’elica in accelerazione, mentre ci vuole un certo lasso di tempo prima che l’elica raggiunga il nuovo e più elevato numero di giri. Un esempio relativo a questa situazione e relativo a due accelerazioni della nave è mostrato in Figura 2.9, nel caso di un motore privo di controllo elettronico e di limitatore della pressione di sovralimentazione. Il punto A = M indica l’MCR del motore. 56 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo Un effetto analogo si presenta quando la nave opera in acque di profondità limitata: la resistenza residua della nave aumenta e, come nel caso dell’accelerazione, il propulsore è soggetto ad un carico maggiore rispetto a quello relativo alla corrispondente condizione di navigazione libera. Figura 2.9. Diagramma di carico con nave in accelerazione Un’ultima considerazione va fatta per le eliche le cui pale presentano una forma con accentuato ‘skew–back’. In questo caso, il propulsore è capace di assorbire un momento torcente più elevato in condizioni di maggiore carico. In Figura 2.10 vengono qualitativamente sintetizzati gli effetti dei differenti tipi di resistenza nave sulla potenza continuativa di servizio (CSR - continuous service rating). Al diagramma di carico del motore vengono sovrapposte le curve dell’elica corrispondenti a differenti condizioni di carico. Le curve sono rettilinee, essendo il diagramma in scala logaritmica. Nel diagramma, P D è il punto propulsivo dell’elica: l’approccio classico al problema propulsivo di solito fissa tale punto sulla curva dell’elica come quello relatico all’immersione di progetto ed alla velocità progettuale della nave, nella situazione di scafo pulito ed in assenza di mare e vento (curva 6 ). I vari punti S sono punti di servizio (service points), ovvero punti di funzionamento continuativo del motore in corrispondenza di diverse condizioni operative. Più precisamente: • S0 è il punto che si ottiene quando la potenza motore viene aumentata per il ‘margine per il mare’ (sea margin), in genere del 15%, rispetto alle condizioni operative corrispondenti alla curva di ‘carico leggero’. In assenza di mare mosso e con carena pulita, la velocità 57 2 – Accoppiamento elica-carena-motore della nave ed il numero di giri del motore aumentano in accordo con la curva dell’elica, rispettivamente secondo le relazioni VS ◦ = V ·(1 + SM )1/r nS ◦ = n·(1 + SM )1/r dove V ed n sono rispettivamente la velocità di progetto ed il numero di giri corrispondenti al punto P D. • S1 è il punto di servizio alla stessa potenza di S0, ottenuto però in condizione di carico leggero (zavorra) con carena pulita e con stato di mare nullo (curva 6.1 ); tale curva corrisponde in genere al carico dell’elica durante le prove in mare. • S2 è il punto di servizio ottenuto nella condizione di nave a pieno carico, con carena pulita, ma con una resistenza aggiunta dovuta a mare mosso (curva 6.2 ); in questo caso, per poter mantenere costante la velocità di servizio V della nave, viene fissato un valore di potenza superiore per il sea margin, in genere del 15%, al valore corrispondente al punto P D. Figura 2.10. Effetto dei diversi tipi di resistenza sul CSR • SP è il punto di funzionamento del motore corrispondente alla situazione di carena non più perfettamente liscia ed in presenza di un certo stato di mare; la nave è sempre nella condizione di pieno carico (curva 6.2 ). • S3 è il punto di funzionamento del motore corrispondente ad uno stato di mare particolarmente gravoso. Questa situazione può comportare un significativo aumento del carico 58 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo dell’elica, con conseguente spostamento della curva alquanto a sinistra del diagramma (curva 6.3 ). Si può affermare che il punto S3 è rappresentativo, ma solo qualitativamente o in misura grossolana, del carico dell’elica che si può verificare in diverse circostanze: accelerazione della nave oppure navigazione in acque di profondità limitata. Finora sono state presentate le curve di eliche a passo fisso. Le eliche a passo variabile operano lungo una curva combinata, prodotta da combinazioni prefissate del numero di giri e del rapporto di passo. Questo significa che un aumento del carico dell’elica, in corrispondenza di un certo numero di giri, si traduce in un aumento della potenza richiesta dal propulsore. 2.3.2 Scelta della potnza massima continua e diagramma di carico Qunado sia stata calcolata la potenza massima continua richiesta dal carico dell’elica nella condizione progettuale prefissata, si tratta di scegliere il motore che meglio si accoppia all’elica stessa (approccio dell’ingegnere navale) o di verificare che l’elica scelta nella fase concettuale del progetto sia adeguata rispetto al motore disponibile e/o scelto dall’armatore (approccio dell’ingegnere meccanico). In Figura 2.11 viene presentato il diagramma di funzionamento (layout) di un motore a due tempi, insieme a due curve di carico di un’elica a passo fisso. Tale diagramma è fornito dal costruttore del motore diesel ed indica l’area di utilizzo entro la quale esiste totale libertà nella scelta della combinazione ottimale tra potenza assorbita e velocità rispetto al previsto profilo operativo. Figura 2.11. Layout di un motore diesel 2T Il diagramma di funzionamento del motore è limitato da due curve (L1 − L3 ) e (L2 − L4 ) caratterizzate da una pressione media effettiva costante e da due segmenti (L1 − L2 ) e (L3 − L4 ) corrispondenti ad un numero di giri costante. Il punto L1 rappresenta il valore nominale della massima potenza continuativa del motore. 59 2 – Accoppiamento elica-carena-motore All’interno dell’area del diagramma, racchiusa dalle quattro curve, esiste completa libertà di scelta dello specifico MCR (il punto M P del diagramma). Tale punto rappresenta la potenza massima richiesta dal cantiere o dall’armatore per il funzionamento continuativo del motore. Scelto il punto M P , e purché la linea d’assi e gli ausiliari siano dimensionati in maniera congruente, il punto MCR specifico costituisce la potenza massima alla quale è ammissibile un carico fino al 105-108% da un’ora a dodici ore. La curva identificata dal numero 6 è la curva di ‘carico leggero’ dell’elica, già descritta in precedenza. Questa curva può essere ottenuta mediante calcoli teorici oppure tramite sperimentazioni in vasca. A questa curva appartengono i punti P D, il propeller design point, e P D0 , che rappresenta un punto alternativo di ottimizzazione dell’elica, il quale, a differenza del primo, congloba tutto oppure una parte del ‘margine per il mare’. La curva 2 del diagramma è la curva di ‘carico pesante’ dell’elica che descrive il funzionamento del propulsore quando la carena e la superficie dell’elica non sono più completamente lisce e/o in corrispondenza di un certo stato di mare. Secondo i costruttori di motori diesel, questa curva si ottiene a partire dalla curva 6 tramite l’applicazione di un certo heavy running factor, fHR , oppure specularmente, la curva 6 viene ricavata dalla curva 2 mediante un light running factor, fLR . Quest’ultimo coefficiente è definito dalla relazione fLR = nlight − nheavy ·100 nheavy Il valore di questo fattore viene stabilito in base all’esperienza; comunque un valore ragionevole varia fra 3% e 7%. Ovviamente la curva di ‘carico pesante’ si trova nella zona a sinistra del diagramma. Sulla curva 2, applicando e conglobando il sea margin, si ottiene il punto di servizio continuo (continuous service point - SP ). Nell’approccio classico il sea margin è un valore percentuale della potenza corrispondente al punto P D; tale valore è stabilito a priori e tradizionalmente viene fissato al 15%, anche se in certi casi può raggiungere il 20% o il 30% della potenza P D. Infine, sulla curva di ‘carico pesante’, applicando il margine per il motore (engine margin) al punto SP , si ottiene M P , ossia il punto di potenza massima continua del motore per la propulsione, che guida la scelta del motore. Il margine per il motore è un valore percentuale della potenza SP al CSR. È un valore suggerito dalla casa costruttrice del motore, ma fissato dal progettista in accordo con l’armatore, e va considerato come un’ulteriore margine operativo di sicurezza; normalmente assume valori fra 10% e 15%. Quando si prevede l’installazione di un alternatore–asse, al fine di determinare correttamente l’MCR specifico, va considerata l’ulteriore domanda di potenza. Il diagramma di carico (Figura 2.12), relativo ad un motore a due tempi con elica a passo fisso, definisce i limiti di potenza e di numero di giri che preservano il motore da possibili sovraccarichi durante il funzionamento continuativo. Il punto O è il punto di ottimizzazione di alcune caratteristiche meccaniche del motore: in corrispondenza di questa potenza e di questo numero di giri 60 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo vengono regolati il rapporto di compressione e gli istanti di apertura/chiusura degli iniettori in relazione con la pressione dell’aria di sovralimentazione: O è il punto di matching del motore con la turbosoffiante. Viene raccomandato che il punto di ottimizzazione O si trovi sulla curva ‘pesante’ dell’elica ed all’interno del diagramma di layout del motore. La potenza motore corrispondente al punto di ottimizzazione varia fra 85% e 100% dell’MCR; nel caso di motori privi del sistema VIT (variable injection timing) le pompe d’iniezione non possono essere ottimizzate a carichi ridotti, per cui si raccomanda che il punto O coincida con l’MCR. Figura 2.12. Diagramma di carico del motore Il punto A rappresenta il 100% della potenza e del numero di giri. È un punto fondamentale del diagramma di carico: viene definito come il punto appartenente alla curva dell’elica che passa attraverso il punto di ottimizzazione O del motore (curva 1 ), e che corrisponde ad una potenza equivalente all’MCR: Il punto A normalmente coincide con l’MCR specifico. Se si prevede l’utilizzo di un alternatore–asse, il punto M (MCR) può essere sistemato sulla curva 7, alla destra del punto A. Quando si prevede che il motore della nave in progetto si troverà ad operare frequentemente in situazioni di sovraccarico, conviene spostare il punto di ottimizzazione O verso la parte sinistra del diagramma di carico; in questo caso il punto A ed il punto M non saranno più coincidenti. La curva 3 rappresenta il massimo valore del numero di giri accettabile per il funzionamento continuativo del motore. Il limite è fissato al 105% del numero di giri del punto A, anche se, durante le prove in mare, può essere esteso fino alla ‘curva 9’ corrispondente al 107% di A. Quest’ultima possibilità non esiste nel caso di un motore a quattro tempi; infatti, in questo caso non è possibile superare il 100% del numero di giri. Per una nave che monta un motore a quattro tempi accoppiato con un’elica a passo variabile, l’ultimo incremento della velocità nave 61 2 – Accoppiamento elica-carena-motore viene realizzato tramite l’ultimo aumento del rapporto di passo (si raggiunge l’ultima tacca della curva combinata). Ritornando al motore a due tempi, si può in generale affermare che il massimo numero di giri può essere fatto coincidere con il 109% dei giri nominali del punto L1 (Figura 2.11). La ‘curva 4’ rappresenta il limite in corrispondenza del quale il motore ha a disposizione una sufficiente quantità d’aria per la corretta combustione: a sinistra di questa linea il motore sperimenta uno stress termo-meccanico. Si tratta di una limitazione della coppia formata dal momento torcente e dal numero di giri. La ‘curva 5’ è la linea del massimo livello di pressione media effettiva che può essere accettato durante il funzionamento continuativo. La ‘curva 7’ rappresenta la massima potenza ottenibile dal motore durante il funzionamento continuativo. La ‘curva 8’ è il limite massimo per il funzionamento del motore in condizione di sovraccarico. Il motore può funzionare all’interno della zona di sovraccarico racchiusa dalle curve 4, 5, 7, 8 solamente per un limitato periodo di tempo (si raccomanda di non utilizzare il motore all’interno della zona per un periodo superiore ad un’ora ogni dodici). L’area inscritta nelle curve 4, 5, 7, 8 è, quindi, quella destinata all’operatività continua del motore, senza alcuna limitazione. In particolare, la zona racchiusa dalle curve 4, 1 è quella destinata alle operazioni, senza limiti temporali, in bassi fondali, oppure durante le accelerazioni della nave, oppure in presenza di un certo stato di mare. Il rispetto dei limiti è assicurato da dispositivi elettronici quali il limitatore del momento torcente ed il limitatore della pressione dell’aria di sovralimentazione. Determinazione della potenza massima continuativa Sono riportati alcuni esempi di calcolo, suggeriti da una casa costruttrice di motori diesel, e basati sull’approccio classico al problema propulsivo. • Elica a passo fisso In questo caso è stata utilizzata un’elica a pale fisse ed è prevista l’installazione di un alternatore–asse mosso dal motore principale. Quest’ultima caratteristica richiede che la potenza di servizio del motore incorpori l’ulteriore potenza asse necessaria alla produzione di energia elettrica. Anche quando non si abbiano variazioni nella resistenza nave, la presenza di ausiliari produrrà, comunque, curve di carico la cui variazione si farà sentire sul motore principale. Trascinare un generatore coassiale significa che il carico totale imposto al motore principale è la somma del carico idrodinamico dell’elica cui va sommato il carico prodotto dal momento torcente richiesto dall’alternatore. La curva di ‘servizio pesante’ del motore considera questa ulteriore domanda di potenza (Fig. 2.13). La ‘curva 1’ viene fatta coincidere con la curva dell’elica che passa per il punto M (MCR); su questa curva viene fissato il punto O di ottimizzazione del motore. Il punto ottimale O 62 2.3 – Approccio classico al problema propulsivo è rappresentativo della potenza alla quale viene tarato il turbocompressore ed alla quale vanno adattati la fase del motore ed il rapporto di compressione, e per la quale è garantito il minimo consumo specifico del combustibile. Il punto ottimale va sistemato sulla curva 1 del diagramma di carico, in modo che la potenza ottimale corrisponda all’85-100% della potenza relativa al punto M . Se non vengono esplicitate richieste specifiche, il motore verrà ottimizzato intorno al 90-92% della potenza massima continua lungo la curva dell’elica. Il punto di riferimento A (100% della potenza e 100% dei giri) è dato dall’intersezione della ‘curva 1’ con la retta orizzontale passante per M (in questo caso i due punti coincidono). Figura 2.13. Accoppiamento elica-motore con FPP ed alternatore-asse • Elica a passo variabile Si utilizza un’elica a passo variabile e viene presentata sia l’alternativa che prevede l’installazione dell’alternatore–asse sia quella che non lo prevede. La curva combinata include il ‘margine per il mare’ e corrisponde alla situazione di nave a pieno carico. Viene raccomandato l’utilizzo di una curva combinata ‘leggera’ come illustrato in Figura 2.14 (linea tratteggiata). In questo modo si ottiene un maggiore margine operativo del motore, indispensabile quando la nave si trova ad affrontare condizioni meteo-marine avverse. L’area tratteggiata indica l’intervallo dei giri del motore (fra 96.7% e 100%) per l’utilizzo dell’alternatore-asse nel caso in cui venga installato. Il punto di servizio S può essere collocato in qualsiasi punto all’interno dell’area tratteggiata. Il procedimento di calcolo utilizzato nel caso di eliche a 63 2 – Accoppiamento elica-carena-motore passo fisso può essere esteso alle eliche a passo variabile funzionanti in accordo con la curva combinata. Figura 2.14. 2.4 Accoppiamento elica-motore con CPP ed alternatore-asse Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche Per effetto dei recenti aumenti del prezzo del combustibile, è nuovamente attuale l’ottimizzazione delle caratteristiche propulsive dell’elica navale con lo scopo primario di diminuire i consumi. Sebbene nella maggior parte dei casi le eliche delle navi moderne siano progettate come eliche adattate alla scia, servendosi di codici di calcolo basati sulle teorie della linea portante e della superficie portante, nelle fasi iniziali del progetto la scelta delle loro caratteristiche geometriche e cinematiche fondamentali va sottoposta a metodi di ottimizzazione utilizzando i risultati di prove sistematiche su modelli. La formulazione del problema dell’ottimizzazione è resa abbastanza semplice grazie alla disponibilità di espressioni polinomiali per i coefficienti di spinta e di momento torcente dell’elica isolata, derivati da analisi dei risultati ottenuti da prove sperimentali su varie serie sistematiche, quali la Serie-B di Wageningen, la Serie Gawn, la Serie KV, la Serie SK, ecc. Le espressioni polinomiali forniscono la possibilità di risolvere matematicamente la determinazione delle caratteristiche ottimali dell’elica per qualsiasi caso ingegneristico. Parecchi autori hanno ottenuto una soluzione al 64 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche problema dell’ottimizzazione - tra gli altri Sabit (1976), Markussen (1977) e Triantafyllon (1979) - ma le procedure proposte da questi autori non forniscono una soluzione completa al problema, poichè sono basate sulla sola ottimizzazione delle caratteristiche dell’elica isolata, senza tenere conto delle variazioni dei fattori propulsivi (frazione di scia, fattore di deduzione di spinta e rendimento rotativo-relativo) in dipendenza del carico dell’elica. È noto che, soprattutto a causa della variazione significativa del fattore di deduzione di spinta al variare del carico dell’elica, il valore massimo del rendimento propulsivo non corrisponde al valore massimo dell’elica isolata. Il risultato è che l’elica progettata per fornire il massimo valore di η◦ potrebbe non garantire il valore massimo del rendimento propulsivo. In questi casi, l’elica potrebbe operare in un intervallo di coefficienti d’avanzo a destra del valore massimo della curva del rendimento, dove questo decresce drammaticamente. Questo problema è di grande importanza nel caso di ottimizzazione del diametro dell’elica, in quanto il diametro è direttamente legato al coefficiente di carico. Nel processo della sua determinazione iterativa dovrebbe essere precisa la valutazione dei fattori propulsivi. Ciò impone di effettuare le prove di autopropulsione con il ‘metodo britannico’, che consente di stimare i fattori propulsivi in un ampio intervallo di carico dell’elica. 2.4.1 Codice di ottimizzazione Il codice PROPOPT permette la selezione ottimale di alcuni parametri iniziali dell’elica, quali il numero di giri, il diametro ed il rapporto di passo-diametro P/D, per un ventaglio abbastanza vasto di possibili situazioni di calcolo. Nella fase iniziale del progetto è essenziale determinare i suddetti valori, per potere in seguito svolgere una più approfondita analisi mediante metodi specifici (teorie vorticali della linea portante e/o della superficie portante, metodi a pannelli, metodi RANS, ecc.). Il codice PROPOPT è stato sviluppato proprio per la fase iniziale del progetto dell’elica, con l’intento di fornire uno strumento rapido ed efficace. Va intesa l’importanza della conoscenza dei parametri iniziali: un errore nella loro determinazione falserebbe anche le successive analisi più approfondite. L’obiettivo dell’ottimizzazione è quello di massimizzare il rendimento dell’elica isolata η◦ , essendo quest’ultimo una componente fondamentale del rendimento quasi–propulsivo ηD = ηH · η◦ · ηR · ηS Il codice si serve di databases di polinomiali (equazioni di regressione) del coefficiente di spinta e del coefficiente del momento torcente di eliche appartenenti a serie sistematiche. L’ottimizzazione viene eseguita con il metodo di Fibonacci, sia nel caso di ottimizzazione monodimensionale del rapporto P/D o del coefficiente d’avanzo (punto propulsivo), sia nel caso di ottimizzazione bidimensionale di entrambi i parametri suddetti. Va precisato che, nel caso di ottimizzazione del coefficiente d’avanzo, essendo noto il valore della velocità d’avanzo VA , vengono ottimizzati alternativamente il diametro o il numero di giri a seconda di quale sia il parametro fissato e di quale sia il risultato richiesto. Il codice permette anche di effettuare calcoli di analisi (verifica), dove non viene eseguita ovviamente alcuna ottimizzazione. 65 2 – Accoppiamento elica-carena-motore In tutti i casi, al termine dell’esecuzione, il codice fornisce la velocità della nave, la spinta T , il momento torcente assorbito Q, la potenza sviluppata all’elica PD , la potenza effettiva PE , il passo, il diametro ed il numero di giri. I dati adimensionali stampati sono il rapporto P/D, il coefficiente d’avanzo J, il coefficiente di spinta KT , il coefficiente del torcente KQ , il rendimento di elica isolata η◦ , ed il valore minimo del rapporto AE /AO calcolato secondo l’approccio di Keller. Chiaramente, a seconda dei casi, alcuni di questi risultati verranno calcolati e stampati, mentre altri vengono semplicemente riportati essendo stati assegnati in ingresso. Si è ritenuto necessario aggiungere al codice principale una procedura che permetta il calcolo del diametro massimo ammissibile, in relazione alle luci poppiere. Sono state utilizzate relazioni tratte da Registri di Classifica. Di seguito vengono presentate le diciotto opzioni di calcolo contemplate da PROPOPT. Per facilitare l’illustrazione dei casi concreti, questi sono suddivisi in tre classi: quella che parte dalla conoscenza della spinta (Naval Architect Approach), quella che presuppone la selezione preventiva del motore (Marine Engineering Approach), e quella che congloba diversi casi di verifica (diametro e giri sono noti). Approccio dell’ingegnere navale All’interno di questa categoria risiedono le problematiche progettuali inerenti alla determinazione del diametro, del rapporto P/D ottimale e del numero di giri in modo che l’elica sviluppi la spinta nota, necessaria alla propulsione della nave alla richiesta velocità di progetto e/o di servizio. In questa categoria di casi la spinta o la potenza effettiva sono sempre dati in ingresso, mentre il numero di giri ed il diametro possono essere un valore in input oppure in output. In alcuni casi la spinta viene determinata a partire dai valori noti della resistenza e del fattore di deduzione di spinta, relativi alle velocità esaminate. Saranno i progettisti, o la situazione progettuale contingente a determinare la scelta del caso all’interno dell’approccio dell’ingegnere navale (naval architect approach). Il programma calcola, inoltre, il momento torcente e la potenza PD assorbiti dall’elica dietro alla carena e corrispondenti al punto progettuale considerato. Vengono presentate le varie possibilità di calcolo: • Caso 1: Le variabili note sono la spinta, il diametro, alcune velocità di calcolo con i relativi coefficienti propulsivi (la frazione di scia w, il fattore di deduzione di spinta t, il rendimento rotativo relativo ηR ). Il calcolo produce il numero di giri ed il rapporto di passo ottimali. • Caso 2: Le variabili in input sono la spinta, il diametro, il rapporto P/D, alcune velocità con i coefficienti propulsivi. Vengono calcolati i giri e la potenza. In questo Caso le caratteristiche geometriche fondamentali dell’elica sono note, ma si vogliono determinare i giri ai quali farla funzionare: ciò risulta utile per la scelta del motore ed eventualmente per la scelta del riduttore. • Caso 3: I dati in input sono la spinta, il numero di giri del motore, la velocità di progetto unitamente ai coefficienti propulsivi. Il programma fornisce il diametro ed il rapporto P/D ottimali. Questa è la situazione nella quale si conoscono i giri del motore da installare a 66 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche bordo, mentre l’obiettivo del calcolo è la coppia di valori (D e P/D) che massimizzino il rendimento del propulsore. • Caso 4: Le variabili in ingresso sono la potenza effettiva, il diametro, alcune velocità di analisi con i relativi coefficienti propulsivi. Vengono richieste almeno tre coppie di punti (velocità, potenza effettiva); in seguito il programma costruisce la curva cubica di potenza, indispensabile per il prosieguo dell’analisi. I risultati sono il numero di giri ed il passo dell’elica. Nella pratica questa situazione si può presentare a partire dalle prove sperimentali di resistenza in vasca, oppure in seguito ad una previsione della PE mediante metodi analitici o statistici. • Caso 5: I dati richiesti per iniziare l’analisi sono la potenza effettiva (anche in questo Caso sono richiesti almeno tre coppie velocità - potenza effettiva per costruire la cubica), il numero di giri ed alcune velocità, insieme ai relativi coefficienti propulsivi. Il calcolo fornisce il diametro ed il passo dell’elica. Si tratta di una situazione similare alla precedente, ma in questo Caso il numero di giri rappresenta un dato noto, mentre il diametro compare come risultato. Approccio dell’ingegnere meccanico L’approccio dell’ingegnere meccanico (marine engineering approach) consiste nella determinazione del diametro o del numero di giri e del rapporto P/D dell’elica a partire della conoscenza della potenza sviluppata, o del momento torcente, e della velocità d’avanzo. In ambedue i casi si considera l’elica dietro alla carena) Una situazione pratica ed esplicativa di questa categoria di problematiche potrebbe essere quella della commissione ad un cantiere della costruzione di una nave, avendo l’armatore già deciso, oppure addirittura acquistato, il motore da installare. In questa situazione il numero di giri e la potenza sono dati in input, mentre si vogliono determinare le caratteristiche fondamentali ed ottimali del propulsore da accoppiare al motore. Seguono le possibilità fornite da PROPOPT: • Caso 6: Sono noti la potenza sviluppata, il diametro, le velocità di calcolo con i relativi coefficienti propulsivi. Il programma fornisce il numero di giri ed il passo ottimali. Questo Caso risulta utile per l’eventuale scelta del riduttore. • Caso 7: Le variabili d’ingresso sono la potenza sviluppata, il diametro, le velocità di calcolo con i relativi coefficienti propulsivi ed il rapporto P/D. I risultati del calcolo sono il numero di giri e la spinta. • Caso 8: I dati in input sono la potenza, il numero di giri e la velocità con i relativi coefficienti propulsivi. In questo Caso i risultati sono i valori ottimali del diametro e del rapporto P/D. Sono noti tutti i dati fondamentali del motore e si vogliono trovare le caratteristiche ottimali dell’elica. • Caso 9: Sono noti il momento torcente, il diametro, il rapporto di passo e le velocità con i coefficienti propulsivi. PROPOPT calcola il numero di giri, la potenza e la spinta. In questo Caso non è nota la potenza sviluppata, ma è noto il valore del momento torcente assorbito 67 2 – Accoppiamento elica-carena-motore dall’elica (situazione che potrebbe verificarsi a partire da dati risultanti da sperimentazioni in vasca). In generale si tratta di una situazione similare a quella contemplata dal Caso 5. • Caso 10: Le variabili di ingresso sono il momento torcente, il numero di giri, il rapporto P/D, e la velocità con i coefficienti propulsivi. In output risultano la spinta, il diametro, e la potenza. Problemi di verifica A questa categoria, proposta dal programma PROPOPT, appartiene una serie di casi nei quali sono noti il numero di giri ed il diametro del propulsore; talvolta è conosciuto anche il rapporto di passo, altrimenti questo rappresenta l’ultimo parametro da determinare dell’elica. In questi casi il programma permette verifiche ‘a posteriori’: infatti queste opzioni di calcolo vanno selezionate una volta note le caratteristiche generali dell’elica e del motore, allo scopo di validare calcoli precedentemente compiuti e/o compiere le ultime analisi inerenti ai parametri considerati dal programma: • Caso 11: Sono noti il diametro, i giri, la potenza effettiva in funzione delle velocità, le velocità con i coefficienti propulsivi. Viene fornito il rapporto di passo. Questa situazione di calcolo può fornire delle prime ed approssimative indicazioni sulle coppie passo-giri costituenti la curva combinata (nel Caso di un motore a quattro tempi ed elica CPP). Per ottenere indicazioni su un certo numero di coppie della combinata è necessario eseguire il programma variando, volta per volta, il numero di giri. • Caso 12: I valori in ingresso sono il diametro, i giri, la potenza sviluppata e le velocità con i relativi coefficienti propulsivi. Si ricavano i valori della spinta e del passo. In questa circostanza si verifica che la spinta risultante sia effettivamente quella che il propulsore deve sviluppare. • Caso 13: I valori in input sono il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la potenza sviluppata. Il programma fornisce la velocità e la spinta. Questa opzione permette di verificare la correttezza dei parametri dell’elica e del motore relativamente alla spinta ed alla velocità di progetto. • Caso 14: Le variabili note sono il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la spinta. Vengono forniti la velocità e la potenza sviluppata. Si tratta di una situazione similare alla precedente, in questo Caso però la potenza e la velocità sono l’oggetto della verifica. • Caso 15: Sono noti il diametro, il numero di giri, il rapporto di passo e la velocità con i coefficienti propulsivi. I risultati di questa analisi sono la potenza e la spinta. Si tratta chiaramente di una importante situazione di verifica per la conferma di calcoli e sperimentazioni pregresse. • Caso 16: I dati richiesti sono il diametro, il numero di giri, la velocità con i coefficienti propulsivi. Il programma fornisce il valore ottimale del rapporto di passo. Va segnalato come in questo Caso non venga richiesto alcun dato inerente alla spinta o al momento torcente, ovvero alla potenza: questo calcolo fornisce il valore del rapporto P/D che massimizza il 68 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche rendimento di elica isolata. Si tratta di una situazione teorica che produce come unico risultato il miglior’ valore del rapporto di passo corrispondente al valore del coefficiente d’avanzo (D, n, VA sono dati in ingresso, dunque J è noto). • Caso 17: I valori in ingresso sono il diametro, i giri, la spinta e le velocità con i relativi coefficienti propulsivi. Si ricavano i valori della potenza e del passo. Si tratta di un Caso di verifica analogo al Caso 11, però ora è la potenza sviluppata ad essere oggetto delle analisi. • Caso 18: In questo Caso sono noti il diametro, il numero di giri, il rapporto P/D e la velocità di analisi con i relativi coefficienti propulsivi. Questo Caso permette il calcolo dei coefficienti adimensionali della spinta e del momento torcente per l’elica della serie sistematica selezionata; successivamente viene calcolato il rendimento dell’elica isolata: questa opzione di calcolo permette di valutare la variazione del rendimento η◦ al variare del valore del coefficiente d’avanzo. 2.4.2 Applicazione della programmazione nonlineare In tutti i casi contemplati nelle due classi del Naval Architect Approach e del Marine Engineering Approach, il problema dell’ottimizzazione implica una funzione obiettivo (il rendimento dell’elica isolata) e/o dei vincoli che sono troppo complicati da manipolare utilizzando i classici metodi analitici basati sui metodi del calcolo differenziale. Tra i metodi numerici disponibili per la minimizzazione/massimizzazione di funzioni nonlineari, o più precisamente tra i metodi di eliminazione , viene adottato il metodo di Fibonacci. Viene fornita la filosofia base della maggior parte dei metodi numerici di ottimizzazione per inquadrare le modalità di soluzione. Per tutti i metodi di programmazione nonlineare viene prodotta una sequenza di approssimazioni successive verso la soluzione ottimale secondo lo schema seguente: 1. partire da un punto iniziale di tentativo x1 ; 2. trovare una direzione adeguata Si0 (inizialmente i = 1) che miri alla direzione generale del . minimo (o del massimo); 3. trovare un’appropriata lunghezza di passo λ∗i per il movimento lungo la direzione Si0 ; 4. ricavare il nuovo valore approssimato xi+1 come xi+1 = x1 + λ∗i ·Si0 (2.1) 5. verificare che xi+1 sia ottimale: se lo è terminare la procedura, altrimenti porre un nuovo i = i + 1 e ripetere iterativamente la procedura dal passo 2. La procedura iterativa indicata nell’equazione (2.1) è valida nei problemi di ottimizzazione soggetti o meno a vincoli. In base all’equazione (2.1), si può capire che il rendimento di un metodo 0 di ottimizzazione dipende dall’efficienza con la quale sono determinate le quantita λ∗i e Si . Se f(X) è una funzione obiettivo da minimizzare/massimizzare, il problema di trovare λ∗i si riduce alla determinazione del valore λi = λ∗i che minimizza/massimizza f (xi+1 ) = f (xi + λi·Si0 ) = f (λi ) 69 2 – Accoppiamento elica-carena-motore per valori prefissati di xi e Si0 . I metodi che consentono di trovare λ∗i nell’equazione (??) sono detti metodi di minimizzazione/massimizzazione monodimensionali proprio perchè f diviene funzione della sola variabile λi . Metodo di Fibonacci Il metodo di Fibonacci può essere utilizzato per trovare il minimo oppure il massimo di una funzione di una variabile, anche nel caso di una funzione discontinua. Questo metodo, come molti altri metodi di eliminazione, presenta le seguenti limitazioni: • l’intervallo iniziale di incertezza, all’interno del quale risiede il punto ottimale, deve essere . noto; • la funzione che deve essere ottimizzata deve essere unimodale nell’intervallo iniziale di incertezza; • con questo metodo è impossibile trovare l’esatto punto ottimale; sarà noto solamente l’intervallo finale di incertezza; tale intervallo finale può essere reso piccolo quanto si vuole aumentando il numero di iterazioni; • il numero di valutazioni (sperimentazioni sulla funzione) da effettuare deve essere fissato a priori. Questo metodo utilizza la sequenza dei numeri di Fibonacci, per realizzare le sperimentazioni sulla funzione. Questi numeri sono definiti come F1 = F2 = 1 Fn = Fn−1 + Fn−2 n = 3,4,5, . . . (2.2) In pratica tutti i numeri della serie, dal terzo in poi, vengono calcolati come somma dei due numeri precedenti. Procedura Nella seguente trattazione il generico simbolo Lj è usato per indicare l’intervallo di incertezza rimanente dopo un numero j di iterazioni (sperimentazioni), mentre il simbolo L∗j è utilizzato per denotare la posizione della sperimentazione corrente. Sia L0 l’ intervallo iniziale di incertezza, definito da a ≤ L0 ≤ b, e sia n il numero totale delle sperimentazioni da condurre. Si definisce L∗2 = Fn−2 L0 Fn e si collocano le prime due sperimentazioni sui punti x1 ed x2 che sono situati ad una distanza pari a L∗2 da ciascun estremo di L0 . Ne risulta 70 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche x1 = a + L∗2 x2 = b − L∗2 = a + Fn−1 L0 Fn Viene scartata, quindi, una parte dell’intervallo grazie all’ipotesi di unimodalità della funzione, ottenendo un minore intervallo di incertezza L2 dato da µ L2 = L0 − L∗2 = L0 Fn−2 1− Fn ¶ = Fn−1 L0 Fn avendo ancora una sperimentazione da compiere al suo interno. La sperimentazione verrà effettuata ad una distanza Fn−2 Fn−2 L∗2 = L0 = L2 Fn Fn−1 da una estremità, e L2 − L∗2 = Fn−3 Fn−3 L0 = L2 Fn Fn−1 dall’altra estremità. La terza sperimentazione sulla funzione in esame viene effettuata all’interno dell’intervallo L2 . Le due sperimentazioni correnti sono svolte ad una distanza pari a L∗3 = Fn−3 Fn−3 L0 = L2 Fn Fn−1 da ciascun estremo dell’intervallo L2 . Di nuovo l’ipotesi di unimodalità della funzione permette di ridurre l’intervallo di incertezza ad L3 , dato da L3 = L2 − L∗3 = L2 − Fn−2 Fn−2 Fn−3 L2 = L2 = L0 Fn−1 Fn−1 Fn Questo processo di scarto di un certo intervallo e di posizionamento della nuova sperimentazione nel rimanente campo di incertezza può essere iterato. La posizione della j ma sperimentazione è L∗j = Fn−j Fn−(j−2) Lj−1 (2.3) mentre l’intervallo di incertezza alla fine della j-esima sperimentazione è Lj = Fn−(j−1) L0 Fn Il rapporto fra l’intervallo di incertezza rimanente dopo aver condotto j sperimentazioni delle n previste e l’intervallo iniziale di incertezza diviene Fn−(j−1) Lj = L0 Fn 71 2 – Accoppiamento elica-carena-motore e per j = n, si ottiene F1 1 Ln = = L0 Fn Fn Il rapporto (Ln /L0 ) permette di determinare n, il numero richiesto di sperimentazioni, per ottenere la voluta precisione nella determinazione del punto ottimale. Utilizzando questo metodo di ottimizzazione, l’ultima sperimentazione deve essere posizionata con una certa cautela. Dall’equazione (2.3) si ottiene F0 1 L∗n = = Ln−1 F2 2 Quindi, dopo aver condotto (n−1) sperimentazioni e dopo aver scartato l’intervallo appropriato ad ogni passo, l’intervallo rimanente conterrà una sperimentazione, precisamente in corrispondenza del suo centro. Comunque anche la sperimentazione n-esima finale deve essere collocata al centro dell’intervallo di incertezza. Risulta che la posizione dell’n-esima sperimentazione sia la stessa di quella (n − 1)-esima, il che è vero per qualsiasi valore di n. In questo modo l’n-esima sperimentazione non produce nessuna nuova informazione rispetto alla precedente: per questo motivo l’ultima sperimentazione viene collocata molto vicino all’ultima sperimentazione valida. Il procedimento appena descritto viene utilizzato anche in altri metodi di ricerca (metodo dicotomico). In questo modo si ottiene l’ultimo intervallo di incertezza entro il valore (1/2)(Ln−1 ). 72 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche Appendice Ottimizzazione geometrico–cinematica dell’elica Sono descritte le procedure fondamentali di calcolo contenute nel programma PROPOPT, tralasciando la trattazione dettagliata delle procedure di I/O e di ausilio ai calcoli. All’avvio del programma l’utente deve selezionare la serie sistematica di eliche sulla quale verranno effettuati le indagini. Eseguita questa operazione, durante le analisi, il programma calcola i coefficienti di spinta, del momento torcente ed il rendimento dell’elica isolata secondo le formule di regressione della serie scelta. Il vantaggio di utilizzare un codice aperto è quello di poter aggiungere nuove formule di regressione del coefficiente di spinta e del momento torcente, riferite ad una nuova serie sistematica o ad una qualsiasi elica in fase di analisi. Il menu del programma presenta quindi le diverse opzioni di calcolo (casi). Ciascuno dei casi si contraddistingue dagli altri mediante undici indicatori (flags) che determinano quali siano i valori noti, quali le variabili incognite e quali i termini di confronto fra le varie iterazioni all’interno del programma. I valori assunti da ciascun ‘flag’ sono letti al momento della selezione del caso e rimangono costanti durante tutta la fase di calcolo; essi sono: • INFL: indica quali coefficienti calcolare durante l’analisi. Il ruolo di questo ‘flag’ è quello di indicare quale spproccio utilizzare, se quello del ‘carenista’ tramite le formule KT (J), oppure quello del ‘macchinista’ mediante le regressioni KQ (J). Se INFL è uguale a ∅ il programma calcola il coefficiente di spinta KT ; se è uguale ad 1 il coefficiente del momento torcente KQ ; se è uguale a 2 il rendimento dell’elica isolata; quest’ ultima situazione si verifica solamente nel CASO 16 (cfr. paragrafo. • OUTFL: indica quale coefficiente calcolare come termine di confronto. Ad esempio, se OUTFL è uguale a 4, tale termine sarà il rendimento η◦ che viene ricalcolato ad ogni iterazione e successivamente confrontato con il precedente valore allo scopo di ottenere il massimo: tale situazione si verifica nei casi di ottimizzazione bidimensionale e per il CASO 16. Negli altri casi verrà calcolato un coefficiente di spinta o un coefficiente del momento torcente. Una visione maggiormente chiara del ruolo di OUTFL verrà fornita nel prosieguo della trattazione. • NST: può assumere il valore 1 oppure ∅. Quando NST è uguale ad 1 significa che il caso in esame prevede un’ottimizzazione bidimensionale del coefficiente di avanzo e del rapporto passo–diametro; grazie a questo ‘flag’ vengono utilizzate le due procedure di ottimizzazione FIB1D e FIB2D. Alternativamente, il caso contempla un’ottimizzazione monodimensionale, o di uno dei termini del coefficiente d’avanzo, o del rapporto di passo. Gli altri indicatori sono DFL per il diametro, NFL per il numero di giri, VFL per la velocità nave, TFL per la spinta, CRVFL per la curva della potenza effettiva, PFL per la potenza sviluppata, PODFL per il rapporto di passo, QFL per il momento torcente. Ciascuno di essi assume il valore 1 quando la variabile indicata è nota, oppure vale ∅ quando è incognita. 73 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Procedura OPTIM OPTIM è la procedura fondamentale per i calcoli di ottimizzazione ed analisi Calcola l’obiettivo iniziale, il T ARGET , che rappresenta un vincolo peri successivi calcoli di ottimizzazione ed analisi. Quando è nota la spinta, il T ARGET è un coefficiente di spinta; quando è noto il torcente oppure la potenza sviluppata, il T ARGET è un coefficiente del momento torcente. Una volta fissato il valore dell’obiettivo, nelle iterazioni all’interno delle successive procedure, il T ARGET rappresenta il valore da rispettare. Va fatta attenzione nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale del coefficiente d’avanzo e del rapporto di passo: il T ARGET viene posto uguale ad 1, anche se è nota la spinta, oppure il torcente, oppure la potenza. In questa situazione, infatti, lo scopo del calcolo è massimizzare il rendimento dell’elica isolata che idealmente tende al valore unitario e solo successivamente, nella procedura SUBFIB, viene calcolato un vincolo denominato IN T ARGET (coefficiente di spinta o del momento torcente) necessario per l’ottimizzazione del rapporto di passo. Il T ARGET viene posto uguale ad uno anche nel CASO 16, in cui è noto il coefficiente d’avanzo mentre sono incognite la spinta, il momento torcente e la potenza sviluppata. È necessaria un’ulteriore precisazione: quando è nota la potenza effettiva (approccio del ‘carenista’), la subroutine OPTIM svolge un’operazione preliminare. Viene utilizzata una procedura che costruisce la curva della potenza in funzione della velocità. A partire dai valori delle potenze, sono calcolate le corrispettive resistenze, le spinte e, quindi, il coefficiente KT . Quando si affronta un caso appartenente alla categoria dell’approccio del ‘carenista’, T ARGET assume una delle forme seguenti, a seconda di quali siano i dati noti in ingresso: T ARGET = T /(ρ VA2 D2 ) T ARGET = T n2 /(ρ VA4 ) T ARGET = T /(ρ n2 D4 ) Quando, invece, il caso appartiene alla categoria dell’approccio del ‘macchinista’, T ARGET viene calcolato con una delle formule seguenti, a seconda di quali valori siano noti: T ARGET = PD ηR /(2π·ρ VA3 D2 ) T ARGET = PD ηR n2 /(2π·ρ VA5 ) T ARGET = PD ηR /(2π·ρ n3 D5 ) T ARGET = Q ηR /(ρ VA2 D3 ) T ARGET = Q ηR n3 /(ρ VA5 ) T ARGET = Q ηR /(ρ n2 D5 ) Nelle relazioni precedenti, T rappresenta la spinta (kN), PD la potenza sviluppata (kW), Q il momento torcente (kN·m), ρ è la densità dell’acqua (t/m3 ) ed ηR è il rendimento relativo–rotativo. 74 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche Una volta calcolato il valore del T ARGET , vengono utilizzate le procedure di ottimizzazione: • FIB1D: procedura di ottimizzazione e calcolo del rapporto di passo; viene utilizzata direttamente, senza l’impiego di FIB2D, quando tutti i termini del coefficiente d’avanzo sono noti, ovvero nei casi di ottimizzazione monodimensionale del rapporto P/D. • FIB2D: procedura di ottimizzazione e calcolo del coefficiente d’avanzo; viene utilizzata quando è incognito uno dei termini che definiscono il coefficiente adimensionale J oggetto della ricerca. Nei casi di ottimizzazione bidimensionale, FIB2D e FIB1D vengono usate congiuntamente. Procedura FIB1D FIB1D è la procedura di ricerca monodimensionale secondo il metodo di Fibonacci. L’obiettivo della procedura è quello di trovare il valore della variabile indipendente, ossia il rapporto di passo, che permette l’ottenimento del T ARGET , calcolato inizialmente nella procedura OPTIM. Per facilitare la descrizione della subroutine, in Figura 2.16 viene presentato il suo diagramma di flusso semplificato. Figura 2.15. Calcolo dei numeri di Fibonacci La prima operazione svolta dalla procedura è fissare gli estremi A e B dell’intervallo dei valori del rapporto di passo, all’interno del quale ricercare il valore ottimale. Questi sono rispettivamente il valore minimo LP IT = (P/D)min e massimo HP IT = (P/D)max del rapporto passo-diametro, dipendente dalla serie sistematica scelta: A = LP I e B = HP IT . 75 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Successivamente avviene il calcolo dei numeri di Fibonacci F (I) secondo quanto spiegato in precedenza. Il calcolo dei numeri procede iterativamente, come illustrato in Figura 2.15, fino al verificarsi della condizione CHECK ≥ 0.99, con CHECK = (0.001 F (I))/(B − A) Il procedimento di calcolo dei numeri di Fibonacci è assolutamente identico anche all’interno della subroutine FIB2D; quello che varia è il significato di A e B, che in FIB2D appresentano gli estremi iniziali dell’intervallo di variazione del coefficiente d’avanzo J. Nel caso delle procedure FIB1D e FIB2D vengono calcolati diciassette numeri, da F (1) a F (17), con F (1) = F (2) = 1 ed F (17) = 1597; dunque, il rapporto di riduzione fra l’intervallo di incertezza finale e quello iniziale è pari a 1/1597. A questo punto vengono fissati gli estremi LB e U B del primo intervallo di incertezza detto RAN GE come LB = A ; U B = A + 0.001 F (I) con F (I) = F (17) = 1597. Terminata questa fase preliminare, la procedura dà inizio al ciclo di ottimizzazione. Ad ogni iterazione successiva, viene ristretto l’intervallo di incertezza RAN GE = U B − LB e viene calcolato T LB, ossia il nuovo valore del rapporto di passo che, al termine dell’iterazione, potrebbe diventare l’estremo inferiore del nuovo e più piccolo intervallo di incertezza T LB = LB + F (I − J − 1)·RAN GE/F (I − J + 1) dove J è l’indice del ciclo di ottimizzazione, mentre I è l’indice dei numeri di Fibonacci (I = 17). Vi sono ora tre possibilità: quando l’approccio è quello del ‘carenista’, viene utilizzata la procedura di calcolo del coefficiente di spinta KT , mentre quando è quello del ‘macchinista’, viene utilizzata la procedura di calcolo del coefficiente KQ ; altrimenti, viene calcolato il rendimento dell’elica isolata η◦ . Il calcolo dei suddetti coefficienti, o del rendimento, è effettuato in accordo con il valore del rapporto di passo temporaneamente in analisi ed il valore ottenuto è confrontato con il T ARGET . Se il coefficiente KT , oppure KQ , oppure il rendimento η◦ , sono maggiori del T ARGET , allora vengono ridotti al seguente valore: Coef f 1 = T ARGET − |T ARGET − Coef f 1| dove Coef f 1 è il coefficiente di spinta, oppure il coefficiente di momento torcente, oppure il rendimento dell’elica isolata calcolato per il valore del rapporto di passo T LB. A questo punto la procedura ricalcola T U B, ossia il nuovo valore del rapporto di passo che, al termine dell’iterazione potrebbe diventare l’estremo superiore del nuovo e più piccolo intervallo di incertezza: T U B = LB + F (I − J)·RAN GE/F (I − J + 1) Dopo questo calcolo, la procedura esegue per T U B esattamente le stesse operazioni svolte per T LB ed il valore del coefficiente calcolato (KT , o KQ o η◦ ) viene indicato con Coef f 2 . 76 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche Figura 2.16. Procedura FIB1D 77 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Quindi, per ogni singola iterazione del ciclo, verranno calcolati due coefficienti dello stesso tipo (due valori KT , oppure due valori KQ , oppure due valori η◦ ), uno corrispondente al rapporto di passo T LB, uno a T U B. Al termine di ogni singolo ciclo, i coefficienti vengono confrontati con il T ARGET e fra loro allo scopo di ridurre progressivamente l’intervallo di ricerca avvicinandosi progressivamente al valore del T ARGET : se Coef f 2 > Coef f 1 allora il nuovo estremo inferiore dell’intervallo di ricerca del rapporto P/D sarà LB = T LB; altrimenti l’estremo superiore dell’intervallo sarà U B = T U B. L’ultima iterazione produce il più piccolo intervallo di incertezza, al cui interno si trova il valore finale del rapporto P/D, calcolato come media aritmetica fra gli estremi T LB e T U B. Dopo il calcolo finale del rapporto di passo la procedura esegue un ultimo controllo. Quando si verifica la condizione: T ARGET − (Coef f 2 + Coef f 1 )/2 > 0.001 ed il caso selezionato appartiene all’approccio del ’carenista’ o del ’macchinista’, allora il rapporto di passo viene posto uguale a zero. È necessaria una precisazione sul valore assunto dal T ARGET all’interno della subroutine. Nel caso dell’ottimizzazione monodimensionale del rapporto di passo, la procedura FIB1D viene ‘chiamata’ direttamente da OPTIM ed il T ARGET coincide con quello calcolato inizialmente. Quando, invece, FIB1D viene ‘chiamata’ dalla procedura SUBFIB (ciò avviene solo nel caso dell’ ottimizzazione bidimensionale), il T ARGET è un coefficiente di spinta o del momento torcente, calcolato in accordo con il valore del coefficiente d’avanzo temporaneamente in esame e con il valore noto della spinta da sviluppare; oppure del momento torcente che l’elica deve assorbire, o della potenza motore. Procedure FIB2D In questo paragrafo andrebbero descritte contemporaneamente le due procedure FIB2D e SUBFIB, poiché il loro funzionamento è strettamente connesso. Tuttavia, per una maggiore chiarezza nella trattazione, la procedura SUBFIB verrà presentata nel paragrafo successivo. Per ora è sufficiente sapere che permette il calcolo del coefficiente KT , o del coefficiente KQ , oppure del rendimento η◦ , a seconda dell’approccio selezionato. Nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale del rapporto P/D e del coefficiente d’avanzo J, SUBFIB ’chiama’ la procedura FIB1D di ottimizzazione del rapporto di passo e solo successivamente calcola uno dei coefficienti in accordo con il valore ottimizzato del rapporto di passo. La Figura 2.17 illustra il diagramma di flusso semplificato della procedura FIB2D di ricerca bidimensionale, secondo la tecnica di Fibonacci. Il coefficiente d’avanzo rappresenta la variabile indipendente esterna. Per ogni nuovo valore assunto dal coefficiente d’avanzo nella procedura FIB2D, viene attivata la procedura FIB1D per la ricerca del rapporto P/D, ossia la variabile interna. In definitiva, per ogni valore assunto dal coefficiente d’avanzo durante le iterazioni di ottimizzazione in FIB2D, la procedura FIB1D calcola il rapporto di passo corrispondente al suddetto coefficiente ed il più vicino possibile al T ARGET . Gli obiettivi della ricerca sono quindi 78 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche il coefficiente d’avanzo ed il rapporto di passo che rispettino il T ARGET e rendano massimo il rendimento dell’elica isolata. Figura 2.17. Procedura FIB2D Quando il rapporto di passo è noto, la ricerca è monodimensionale: FIB2D diviene la procedura di ottimizzazione del coefficiente d’avanzo mentre FIB1D non viene utilizzata. In questo caso, infatti, viene imposto che i valori superiore ed inferiore dell’intervallo di variazione del rapporto di passo coincidano con il valore noto P/D LP OD = P/D ; U P OD = P/D Il procedimento ciclico di calcolo dei numeri di Fibonacci F (I) è identico a quello descritto in precedenza (Fig. 2.15); anche in questo caso il ciclo di calcolo dei numeri si arresta al valore I = 17, in corrispondenza della quale si verifica la condizione CHECK ≥ 0.99. 79 2 – Accoppiamento elica-carena-motore LJ ed U J sono gli estremi dell’intervallo di incertezza del coefficiente d’avanzo J. Il valore del numero di Fibonacci utilizzato per il calcolo di U J è l’ultimo ottenuto, ovvero F (I) = F (17). L’indice del ciclo di ottimizzazione è K ed il numero di iterazioni è pari ad I − 2, con I = 17. All’inizio di ogni iterazione, successiva alla prima, viene reimpostato l’intervallo di incertezza e vengono calcolati i due valori T LJ e T U J del coefficiente d’avanzo interni all’intervallo e rappresentanti, rispettivamente, il futuro estremo inferiore dell’intervallo, oppure il futuro estremo superiore dell’intervallo. Le formule per il loro calcolo sono presentate in Figura 2.17 e risultano uguali a quelle descritte in precedenza per T U B e T LB. Ad ogni iterazione del ciclo, la procedura SUBFIB viene attivata due volte: la prima volta utilizzando il valore inferiore del coefficiente d’avanzo T LJ, la seconda utilizzando il valore superiore T U J. Nel primo caso la procedura SUBFIB restituisce Coef f 1 che sarebbe o un valore di KT , o un valore di KQ , o un valore di η0 e LP OD; ovvero, il rapporto di passo ottimale in accordo con il valore inferiore del coefficiente d’avanzo T LJ e con T ARGET . Nel secondo caso SUBFIB restituisce Coef f 2 e U P OD. Va sottolineato che LP OD ed U P OD vengono calcolati solamente nel caso di ottimizzazione bidimensionale, quando il rapporto di passo è anch’esso incognito. Quando, invece, il rapporto P/D è noto, LP OD e U P OD sono i due valori tra loro coincidenti che vengono semplicemente passati alla procedura SUBFIB senza alcun calcolo. Prima di incominciare una nuova iterazione nel ciclo di ottimizzazione della procedura FIB2D, vengono confrontati i due coefficienti o rendimenti Coef f 1 e Coef f 2 : se Coef f 2 > Coef f 1 , allora il nuovo estremo inferiore dell’intervallo di ricerca del coefficiente d’avanzo J sarà LJ = T LJ; altrimenti l’estremo superiore dell’intervallo sarà U J = T U J. Al termine dell’intero ciclo di ottimizzazione vengono calcolati il coefficiente d’avanzo ed il rapporto di passo finali, come media aritmetica degli estremi degli ultimi rispettivi intervalli di incertezza. Procedura SUBFIB La procedura in esame è complementare alla procedura FIB2D. Infatti, a SUBFIB vengono ogni volta assegnati i valori temporanei JT EM P del coefficiente d’avanzo, calcolati iterativamente da FIB2D. All’interno di SUBFIB vengono calcolati il valore temporaneo T D del diametro, o il valore temporaneo T n del numero di giri, a seconda di quale fra le due variabili sia quella incognita. Si era osservato che, nel caso dell’ottimizzazione bidimensionale, il T ARGET assume inizialmente il valore 1. Il calcolo del coefficiente di spinta o del momento torcente IN T ARGET , da rispettare solamente nel caso di ottimizzazione del rapporto P/D, è rimandato infatti alla procedura SUBFIB. Si è scelto di indicarlo come IN T ARGET per indicare che il suo valore è temporaneo e dipendente dal valore del coefficiente d’avanzo temporaneamente analizzato: infatti, viene calcolato in accordo con i valori provvisori del diametro T D, o del numero di giri T n. La ricerca bidimensionale è segnalata dal valore unitario dell’indicatore N ST e solo con questo specifico valore viene chiamata la procedura FIB1D. A quest’ultima procedura vengono passati il valore 80 2.4 – Ottimizzazione di eliche da serie sistematiche provvisorio del coefficiente d’avanzo JT EM P ed IN T ARGET , il vincolo dell’ottimizzazione. Il risultato è, come già visto, il rapporto temporaneo P/D, indicato come T P OD. A questo punto la procedura SUBFIB calcola Coef f , rispettando il valore temporaneo JT EM P ed il rapporto di passo T P OD, sia esso il valore temporaneo ottimizzato da FIB1D, o sia semplicemente il valore noto. Secondo quanto già visto, Coef f dipende dall’approccio cui il caso selezionato appartiene. Quando è prevista l’ottimizzazione bidimensionale Coef f è sempre il rendimento dell’elica isolata η◦ . Nel caso dell’approccio del ‘carenista’ e ricerca monodimensionale, Coef f è il coefficiente di spinta; nel caso dell’approccio del ‘macchinista’ e ricerca monodimensionale, Coef f è il coefficiente di momento torcente; nel CASO 16 Coef f è il rendimento dell’elica isolata. Va fatta una precisazione importante: come si è visto dall’analisi della procedura OPTIM, il valore iniziale T ARGET non è sempre un coefficiente di spinta o di momento torcente secondo le definizioni classiche usate nelle formule di regressione delle serie sistematiche T ρ n2 D 4 KT = oppure (2.4) Q (2.5) ρ n2 D 5 bensı̀ assume delle forme differenti a seconda di quali siano i dati noti.Coef f invece, nel caso degli approcci del ‘carenista’ o del ‘macchinista’, è proprio il coefficiente di spinta o di momento torcente secondo le definizioni classiche (2.4) e (2.5). Dunque, per poter confrontare Coef f con T ARGET , è necessaria una trasformazione del coefficiente quale KQ = Coef f /(JT EM P x ) dove il valore dell’esponente x varia fra 0 e 5 e dipende dal caso selezionato in partenza (nel menu iniziale), contraddistinto dall’indicatore OUTFL. Per semplificare la trattazione, nel diagramma di flusso di Figura 2.18 non vengono presentate le diverse trasformazioni per rendere Coef f conforme al T ARGET . Ora è possibile il confronto; quindi, prima di restituire alla procedura FIB2D i valori temporanei di P/D e Coef f , SUBFIB esegue tale ultima operazione per gli approcci del ‘carenista’ e del ‘macchinista’: se Coef f > T ARGET , allora Coef f = T ARGET − |Coef f − T ARGET | 81 2 – Accoppiamento elica-carena-motore Figura 2.18. Procedura SUBFIB 82 Capitolo 3 Previsioni sperimentali della potenza Ancora oggi, il problema della relazione tra forme di carena e potenza da installare a bordo di una nave (previsione di potenza) è risolvibile al meglio solamente ricorrendo ad esperimenti su modelli, sia per quanto riguarda la previsione della resistenza al moto, sia per quanto attiene le problematiche della propulsione. Nell’analisi del problema dell’interazione elica–carena possono essere utilizzati diversi approcci, sia teorici che sperimentali. Al livello attuale delle conoscenze, si fanno preferire ancora le prove sperimentali su modelli, anche se richiedono molto tempo e danaro, soprattutto per ottimizzare le forme di carena. Tuttavia, prima di effettuare prove su modelli, è opportuno e conveniente ricorrere a formulazioni empirico–statistiche, quali sintesi dei risultati di numerose prove sperimentali (banche dati) ed a codici CFD che consentono di valutare, più o meno rapidamente, forme di carena alternative. Questi approcci sono assolutamente consigliabili per progettare al meglio qualunque programma sperimentale. Da oltre un secolo le prove su modelli sono effettuate ed estrapolate al vero in base al metodo di Froude. Ma con la crescita delle dimensioni delle navi e delle potenze motore, e, quindi, dei carichi delle eliche, l’efficienza del metodo di Froude nel fornire dati progettuali affidabili per la nave e per l’elica è divenuta sempre più insufficiente. Gli effetti scala, nonché l’inconsistenza fisica delle previsioni e delle procedure di scalaggio, hanno portato ad accese discussioni scientifiche ed a nuove teorie sull’interazione elica–carena (Abkowitz, 1989; Schmiechen, 1991), purtroppo osteggiate dall’ITTC. Sebbene la disponibilità dei risultati di prove al vero sia quanto mai desiderabile, va detto che le misurazioni relative sono effettuate raramente in maniera adeguata, soprattutto a causa dei costi e di obiettive difficoltà tecniche. Le prove in mare sono realizzate, di norma, in condizioni di assetto anomale, per cui sono di scarso aiuto e di dubbio utilizzo. Ecco perchè le prove sperimentali su modelli continueranno a svolgere un ruolo decisivo nel fornire dati progettuali. Le prove su modelli consentono un esame approfondito del comportamento idrodinamico della nave e producono informazioni su un insieme di parametri decisionali più vasto di quello ottenibile dalle tradizionali misure al vero. 83 3 – Previsioni sperimentali della potenza Il confronto, fornito in Tabella 3.1, tra le grandezze fisiche che sono rilevabili direttamente nelle prove su modello - tutte misurabili - e quelle derivate da prove in mare - non tutte misurabili enfatizza l’importanza assoluta e imprescindibile delle prove su modelli. Grandezza Modello Nave Vw Vm V (GPS o basi misurate) Vs Vn (r,θ) Ve (r,θ) —— difficoltà numeriche Velocità assiale media - nominale - effettiva V̄ V̄am —— Va s Numero di giri nm ns RBH m RBH m + RAP m FD Tm —— —— —— Ts Qm Qs Velocità - rispetto alla terra - nel fluido Velocità nel piano del disco–elica - nominale - effettiva Forze - resistenza senza appendici - resistenza con appendici - forza di deduzione di spinta - spinta Momento torcente Tabella 3.1. 3.1 Grandezze fondamentali della propulsione Prova di autopropulsione Il cuore dell’analisi sperimentale per determinare le prestazioni propulsive di una nave è la cosiddetta prova di autopropulsione Va sottolineato che la tale prova sperimentale non serve a prevedere la potenza motore al punto propulsivo nave, ma per determinare i coefficienti propulsivi, ossia la frazione di scia w, il fattore di deduzione di spinta t ed il rendimento relativo rotativo ηR . In altri termini, tale prova serve a determinare i parametri principali dell’interazione elica–carena. Poiché nella prova di autopropulsione viene conservata l’eguaglianza dei numeri di Froude tra la nave ed il suo modello, mentre viene inevitabilmente trascurata la legge di similitudine di Reynolds. Sebbene sia rispettata la legge di similitudine delle forze tra la nave ed il suo modello, non lo è né per lo strato limite e la scia, né per la resistenza viscosa prodotta dalla perdita della quantità di moto del flusso nella scia. la legge di similitudine né rispetto allo strato limite ed alla scia intorno alla carena, né rispetto alla resistenza viscosa, dovuta alla perdita della quantità di moto del flusso nella scia, Nei classici metodi di estrapolazione al vero delle misure sperimentali su modelli, le correzioni per effetto scala assumono la forma di margini per la potenza e per il numero di giri dell’elica, mentre l’effetto scala sulla resistenza della carena modello è conglobato 84 3.1 – Prova di autopropulsione nella prova di autopropulsione applicando una certa forza di tiro in avanti. Tale forza di rimorchio, che corrisponde all’eccesso del coefficiente di resistenza viscosa del modello rispetto a quello della nave, è assegnata al modello in autopropulsione dal dinamometro della resistenza allo scopo di mantenere la similitudine dinamica delle forze che agiscono sulla carena e sull’elica. Questa forza è la cosiddetta forza di correzione per attrito. Per questi motivi, i metodi teorici moderni di analisi delle prove di autopropulsione devono ricorrere alla correzione per effetto scala del fattore di scia. A tutt’oggi, tale approccio è considerato il più ragionevole ed accurato dalla maggior parte degli scienziati nei laboratori sperimentali di tutto il mondo. Anche il ‘metodo di previsione di potenza’ dell’ITTC è basato su questa filosofia. Tuttavia, questo approccio lascia insoluti alcuni problemi significativi che non sono stati ancora chiariti. Uno è il dubbio legato alla non-considerazione degli effetti scala sugli altri due fattori propulsivi, ossia il fattore di deduzione di spinta ed il rendimento relativo rotativo. L’altro problema, ed è il più importante, è l’inadeguatezza permanente dei metodi finora proposti per la correzione della frazione di scia. Esistono diverse metodologie di conduzione delle prove di autopropulsione, ognuna delle quali presenta vantaggi in certe circostanze e per certe configurazioni del sistema propulivo. In sintesi, sono riconoscibili tre metodologie • Metodo Continentale (prove con variazione di velocità) • Metodo Britannico (prove con variazione di carico) • Metodo Ibrido Nel Metodo Continentale, noto anche come metodo con variazione di velocità, le misurazioni sono effettuate per un certo numero di punti a differenti velocità modello. L’elica modello viene scaricata da una forza costante di rimorchio esterna FD , diversa e costante ad ogni velocità modello, predeterminata con precisione e nota come deduzione per attrito. In ogni condizione la velocità di rotazione dell’elica modello è regolata in modo da fornire una spinta dell’elica tale che la forza di rimorchio corrispondente raggiunga il valore prefissato. Questo metodo consente di analizzare gli effetti dell’interazione tra elica e carena solamente al punto propulsivo, senza fornire alcuna informazione su tale interazione in condizioni differenti di carico dell’elica. Tuttavia, è il metodo più utilizzato per ragioni di costo ed è considerato il metodo classico per eccellenza. Il Metodo Continentale è generalmente limitato a leggere variazioni di velocità per una condizione di carico dell’elica. Le prove sono condotte spesso solamente all’immersione ed all’assetto nave corrispondenti alla condizione progettuale di pieno carico normale. Di più, in questa condizione si ipotizzano condizioni ambientali del tutto favorevoli, che rimandano al concetto di ‘condizioni ideali di prova’, corripondenti alle cosiddette prove al vero. Il Metodo ITTC 1978 rientra in questa categoria. È applicabile solamente quando il sistema propulsivo prevede eliche convenzionali. Il Metodo Britannico è stato concepito per tenere conto delle diverse condizioni di carico nelle quali l’elica verrà a trovarsi durante la sua vita operativa. Tali condizioni saranno certamente diverse da quelle ideali, il che ha un impatto diretto sulle prestazioni propulsive della nave. Occorre conoscere preventivamente la resistenza aggiunta per onde e per vento, gli effetti dei bassi fondali, gli effetti della rugosità della carena e dell’elica. Queste resistenze addittive comportano 85 3 – Previsioni sperimentali della potenza un maggiore carico sull’elica (elica sovraccaricata). D’altra parte, molto spesso la nave si trova in condizioni di caricazione più leggere di quella progettuale (elica sottocaricata). Questo metodo è stato pensato per considerare un campo di carichi dell’elica ad ogni velocità di prova del modello. Allo scopo, l’elica modello è scaricata/caricata di una forza variabile di rimorchio esterna, anche se per ogni condizione di carico, associata cioè ad un certo valore della forza esterna variabile, la prova è realizzata a numerose velocità modello. Ad ogni condizione di carico, la velocità è la stessa in tutte le corse, ma in ogni corsa è applicata una diversa velocità di rotazione dell’elica. In tal modo, tra una corsa e l’altra varia il rapporto tra le spinta e la forza di rimorchio. Il modello è rimorchiato dal dinamometro della resistenza per misurare la forza esterna incognita. Prove speciali con variazione di carico sono la prova di tiro a punto fisso (velocità nulla) e la prova di tiro ad una velocità d’avanzo costante. In queste prove speciali la forza di tiro di rimorchio FD è diretta all’indietro. Il Metodo Britannico è raccomandato per sistemi propulsivi complessi, quali poppe con tunnel, eliche intubate, eliche controrotanti o parzialmente sovrapposte, pod, spintori azimutali, idrogetti, ecc. Il Metodo Ibrido è una combinazione di elementi derivati sia dal Metodo Continentale che dal Metodo Britannico. Come tale, presenta diverse varianti procedurali, tipiche di ogni vasca navale. Al MARIN, una variazione di carico dell’elica ad una velocità fissa è combinata con una variazione di velocità ad una ben definita condizione di carico. Allo IHI è adottata la procedura con modello vincolato, e la prova è condotta variando sia la velocità modello, sia il carico. Al KSRI vengono combinate due modalità: la prima prevede giri fissi dell’elica e velocità variabili del modello di carena; la seconda prevede velocità fissa d’avanzo del modello e giri variabili dell’elica modello. Qualunque sia la procedura adottata nei vari laboratori idrodinamici, il Metodo Ibrido consente di determinare i fattori propulsivi in funzione sia del numero di Froude, sia di differenti condizioni operative della nave. 3.2 Metodo Continentale Se una carena fosse propulsa da un’elica posta a notevole distanza dalla carena, la spinta dell’elica sarebbe uguale alla resistenza di carena. Ma quando l’elica opera proprio dietro la poppa di una nave, si generano interazioni tra elica e carena. Non c’è dubbio che l’elica operante influenza il flusso intorno alla poppa della carena, e che flussi differenti possono causare forze di resistenza differenti. Perciò si deve distinguere tra forza di resistenza RT senza elica, e forza di resistenza effettiva TE con elica operante. Poiché la pressione intorno alle forme poppiere di carena è ridotta dall’azione dell’elica, cresce la resistenza effettiva della nave. Ne consegue che la spinta dell’elica T nella condizione propulsiva diviene maggiore della resistenza RT della carena nella condizione di rimorchio. Questo aumento è detto incremento di resistenza, ovvero dualmente deduzione di spinta. È definito adimensionalmente mediante la frazione di deduzione di spinta t = (T −RT )/T . Su una nave al vero, che avanza con velocità costante Vs , esiste un equilibrio di forze tra la spinta dell’elica Ts , misurabile sul cuscinetto reggispinta, e tutte le forze che producono la resistenza totale. L’elica, che ruota con velocità unitaria ns ed avanza con velocità Vas , genera la spinta Ts . 86 3.2 – Metodo Continentale 3.2.1 Attrezzatura sperimentale e scelta dei modelli L’attrezzatura sperimentale per la prova di autopropulsione può essere quella schematizzata in Figura 3.1. Il modello è impedito nei moti di deriva e d’imbardata. L’abbrivio è limitato dal dinamometro sistemato tra il modello ed il carro di rimorchio. In generale, il rollio è pressoché nullo grazie alla simmetria di tutto il sistema. Il beccheggio ed il sussulto sono sempre registrati durante gli esperimenti. Figura 3.1. Attrezzatura sperimentale per la prova di autopropulsione Il modello di carena dovrebbe essere costruito secondo la Procedura Standard 49-02-01-01 definita dall’ITTC. La condizione di caricazione (dislocamento, immersione media, assetto) del modello nella prova di autopropulsione dovrebbe essere la stessa della prova di resistenza. La stessa configurazione del modello nella prova di resistenza deve valere per le appendici, ossia per i timoni, i braccioli, i tubi di protezione della linea d’assi, i ringrossi, le pinne degli stabilizzatori, le pinne e le alette antirollio, le aperture nella carena quali quelle per gli spintori laterali. Il modello è attrezzato con un motore elettrico montato all’interno del modello e con strumenti che consentono di misurare la spinta, il momento torcente ed il numero di giri dell’elica modello. L’elica modello dovrebbe essere costruita secondo la Procedura Standard 7.5-01-01-01. La sua dimensione è determinata automaticamente dalla dimensione del modello nave e dal suo rapporto di scala. Il che significa dualmente che si deve tenere conto della dimensione del modello elica, ovvero dell’elica di stock, quando si sceglie la scala per il modello di carena. Si dovrebbe utilizzare, comunque, un numero di Reynolds adeguato, per minimizzare gli effetti del flusso laminare durante le prove di autopropulsione. La prova di autopropulsione è effettuata normalmente con un’elica di stock , ossia con un modello di elica disponibile nel laboratorio sperimentale. Di questa elica deve essere disponibile, ovviamente, il diagramma di funzionamento. La scelta del modello dell’elica deve rispettare certi requisiti. Il criterio primario è la scelta corretta del diametro dell’elica modello, il quale deve essere dualmente in accordo con la scala del modello di carena. Lo scarto rispetto al diametro di progetto deve essere contenuto entro il 3%. L’influenza del diametro è decisiva per la corretta valutazione della frazione di scia modello wm . La Figura 3.2 mostra un esempio dell’influenza di diversi diametri dell’elica di stock sulla frazione di scia nel caso di una nave con elevato CB . La deviazione del rapporto di passo P/D dell’elica modello ha una conseguenza irrilevante sui fattori propulsivi. Nella maggior parte dei laboratori idrodinamici del mondo sono accettati scarti fino al 5–10%. 87 3 – Previsioni sperimentali della potenza Figura 3.2. Esempio di variazione della frazione di scia con il diametro dell’elica Quanto al rapporto di area espansa AE /A0 , la dovuta attenzione al numero di Reynolds critico (Rn > Rncr ) limita l’effetto negativo di una sua deviazione rispetto al valore prescritto. Infine, un differente numero di pale Z non determina effetti significativi sui fattori propulsivi. 3.2.2 Conduzione delle prove La procedura di esecuzione delle prove prevede sequenze ben precise. Prima di ogni corsa, va scelta la velocità modello e va calcolata la forza esterna di rimorchio al carico predefinito. La forza FD di correzione d’attrito risultante è applicata al modello di carena in connessione con il carro di rimorchio. Questo è accelerato fino alla velocità desiderata, mentre il numero di giri dell’elica modello è fatto crescere contemporaneamente finchè il modello è propulso liberamente alla stessa velocità. A questo punto, dopo un breve periodo di corsa stazionaria, sono effettuate le misurazioni. La spinta dovrebbe essere misurata sulla linea d’assi. Il dinamometro che la misura è sistemato generalmente sul modello tra il motore elettrico e l’elica. La forza esterna di rimorchio dovrebbe essere applicata lungo la stessa retta d’azione della forza di rimorchio negli esperimenti di resistenza, ossia verticalmente all’altezza della linea d’assi e longitudinalmente sul centro di carena, per evitare effetti artificiali di assetto. Il momento torcente dell’elica modello è misurato mediante un dinamometro, cercando di minimizzare le perdite d’attrito della linea d’assi. Il numero di giri dell’elica modello dovrebbe essere costante quando si effettuano le misurazioni. È essenziale raggiungere lo stato stazionario del numero di giri per avere une velocità stazionaria del modello di carena. Sebbene nei modelli a più eliche i giri dovrebbero essere uguali per ogni elica, la spinta ed il momento torcente dovrebbero essere misurati separatamente. I numeri di giri del motore elettrico, che muove l’elica, sono regolati in modo tale che la velocità del modello sia 88 3.2 – Metodo Continentale uguale alla velocità media del carro di rimorchio durante ogni corsa. Per evitare lo sviluppo di forze nocive di accelerazione e decelerazione durante le misurazioni, è bene, a causa della potenza limitata dell’elica modello, non alterare la velocità di rotazione durante ogni corsa, una volta che questa sia stata fissata per l’assegnata velocità del carro. Piccole differenze di velocità tra modello e carro possono essere eliminate regolando la velocità del carro. La spinta ed il momento torcente forniti dalle vasche navali sono quelli netti al mozzo dell’elica, ossia la spinta Tm depurata dall’influenza del peso e dell’inclinazione della linea d’assi, ed il momento torcente Qm depurato dalle resistenze passive lungo la linea d’assi. È opportuno seguire alcune raccomandazioni. Nelle prove standard commerciali di autopropulsione, il modello è provato per un insieme di almeno dieci velocità, ad intervalli di circa 0.5 m/s. Dovrebbero essere effettuate prove ripetute ad ognuna delle differenti e numerose velocità di prova. L’intervallo di velocità è compreso tra la velocità minima e quella massima, alle quali sono richiesti i dati della propulsione. Il campo delle velocità di prova dovrebbe essere esteso di almeno 5% al di sotto ed al di sopra dei valori minimo e massimo d’interesse. Durante ogni corsa vengono registrate la spinta dell’elica Tm , il momento torcente Qm , la velocità di rotazione dell’elica–modello nm e la velocità del modello nave Vm . La prova di autopropulsione può essere eseguita al punto di propulsione modello, nel quale la spinta dell’elica deve vincere la resistenza totale RTm del modello, oppure al punto di propulsione nave facendo sviluppare all’elica la sola spinta necessaria a vincere la resistenza totale della nave RTs riportata in similitudine alla scala modello. Si sa che in termini di coefficienti di resistenza è CTs = CTm − [CFm − (CFs + ∆CF )] (3.1) per cui al punto di propulsione modello il modello è sovraccaricato, in aggiunta alla spinta ricevuta dall’elica, con un carico FD , definito correzione d’attrito e calcolato come 1 FD = ρm Sm Vm2 ·[CFm − (CFs + ∆CF )] 2 (3.2) ovvero 1 FD = ρm Sm Vm2 ·[(1 + k)CFm − (CFs + ∆CF )] 2 dove k è il fattore di forma. Tale carico compensa la differenza tra il coefficiente di resistenza d’attrito del modello e della nave. La condizione di equilibrio al punto propulsivo modello è data da Tm = RTm − FD 89 3 – Previsioni sperimentali della potenza Concettualmente sembrerebbe preferibile la prova al punto di propulsione nave, che è riferita ad una nave di dimensioni prestabilite, in quanto al punto di propulsione modello l’elica lavora ad un carico idrodinamico superiore a quello della nave al vero. Ma il procedimento basato sul punto di propulsione modello permette di tenersi al vento ed i suoi risultati sono trasferibili alla nave al vero, indipendentemente dalla sua grandezza. La legge generale di similitudine che regola il fenomeno impone che le caratteristiche di funzionamento dell’elica modello e dell’elica al vero rispettino l’eguaglianza dei numeri di Froude, di Strouhal, di Eulero e di Reynolds; dovrebbe essere KT KQ η0 " V 2 nD p Va D , , =f a , gD Va ρVa2 ν # in quanto sono trascurabili gli altri numeri adimensionali. Come noto, in acqua libera occorre rispettare fondamentalmente le leggi di similitudine geometrica e cinematica, e operare in accordo con la legge di similitudine di Froude, in base alla quale deve essere √ Vs = Vm · λ [m/s] √ ns = nm / λ [m/s] Ts = (Tm + ∆Tm )·(ρs /ρm )·λ3 [kN] Qs = (Qm + ∆Qm )·CQ ·(ρs /ρm )·λ4 PD = 2πns Qs [kN·m] [kW] dove ∆Tm , ∆Qm : CQ : correzioni della spinta e del momento torcente, dovute alla temperatura dell’acqua nella vasca, ad effetti parete, all’utilizzo di una correzione d’attrito non del tutto corretta, ecc.; costante di calibrazione del momento torcente. Va ricordato che tale modo di trasferimento al vero non è del tutto corretto in quanto sono diversi i numeri di Reynolds in scala modello ed al vero; infatti, la resistenza viscosa del modello è sensibilmente maggiore della resistenza viscosa della nave. Ne risulta una maggiore resistenza totale modello. Nel trasferimento dei risultati sperimentali dal modello al vero, in prima istanza il Metodo Continentale non tiene conto degli effetti scala, della resistenza dell’aria, della rugosità della superficie di carena e delle pale dell’elica, ecc. Per rendere i risultati, trasferiti al vero, adeguati alle condizioni delle prove in mare (trial → t) e di servizio (service, sustained → s), i valori del numero di giri ns e della potenza sviluppata PDs devono essere corretti in base a statistiche derivanti dalle condizioni di prova e di servizio. 90 3.2 – Metodo Continentale Si avrà nst = CNt ·ns nss = CNs ·ns PDst = CPt ·PDs PDss = CPs ·PDs dove CN e CP sono rispettivamente i fattori di correzione per il numero di giri e per la potenza assorbita. 3.2.3 Determinazione dei coefficienti propulsivi Le qualità propulsive di una nave sono determinate dai risultati sperimentali, dei quali sono qui discussi solamente la frazione di deduzione di spinta t, la frazione di scia media assiale effettiva w̄e ed il rendimento quasi–propulsivo ηD . Frazione di scia media La frazione di scia media assiale w̄ è fondamentale per il progetto dell’elica. La corrispondente velocità di scia, Vw , è definita come la differenza relativa tra le velocità d’avanzo della carena, Vs , e dell’elica, Va , che in un campo di flusso omogeneo consentirebbe all’elica, allo stesso numero di giri, di creare una spinta T o di assorbire un momento torcente Q eguali a quelli misurati. Dividendo le due velocità di scia cosı̀ trovate per la velocità modello, si ottengono due coefficienti, determinati rispettivamente dall’identità di spinta wT e dall’identità di momento torcente wQ . La frazione di scia media assiale è, quindi, definita come w̄ = Vs − Va Vs (3.3) Se il numero di giri dell’elica è mantenuto costante, i coefficienti d’avanzo Jv = Vs nD e J= Va nD dove J è il coefficiente d’avanzo dell’elica, derivato dalla prova di elica isolata, mentre Jv è il coefficiente d’avanzo della carena, derivato dalla prova di autopropulsione, possono essere inseriti nell’equazione (3.3), che diviene w̄ = J Jv − J =1− Jv Jv (3.4) Di conseguenza, la scia può essere determinata utilizzando un diagramma di funzionamento dell’elica nel quale le curve KTB e KQB dell’elica dietro carena sono disegnate insieme alle curve KT e KQ dell’elica isolata. La procedura è illustrata nel diagramma dell’elica del quale è riportata una finestra in Figura 3.3. In altri termini, la frazione di scia media w̄ è determinata combinando le prove di elica isolata e di autopropulsione, dove il diagramma di funzionamento dell’elica isolata 91 3 – Previsioni sperimentali della potenza è utilizzato come curva di calibrazione della velocità d’avanzo dell’elica. Si può osservare che wT e wQ sono differenti. Tale differenza può essere significativa soprattutto nelle navi monoelica; di norma wT è maggiore di wQ . Questo metodo di determinazione della scia media assiale è sempre molto incerto. L’utilizzo di eliche di diversa geometria, seppure con lo stesso diametro, può produrre risultati differenti. La ragione può essere individuata nel fatto che condizioni di un campo di flusso omogeneo sono confrontate con quelle di un campo di flusso disomogeneo. Forse gli esperimenti di elica isolata potrebbero essere sostituiti da esperimenti nei quali le curve caratteristiche delle eliche dovrebbero essere determinate trascinando le eliche dietro forme standardizzate di modelli di carena. Probabilmente si otterrebbero affidabili banche dati di confronto se si definissero i valori di scia per queste forme. Figura 3.3. Stima della frazione di scia media assiale Fattore di deduzione di spinta Si consideri la Figura 3.4, dove i simboli relativi alle varie forze denotano RBH : resistenza della carena nuda RAP resistenza delle:appendici RAD componenti addizionali di resistenza al vero Tt forza di deduzione di spinta (forza d’interazione tra elica e carena) FD forza di rimorchio esterna 92 3.2 – Metodo Continentale L’equilibrio delle forze a velocità costante è dato dalle equazioni • al vero Ts = Tts + RBHs + RAPs + X RAD Tts = ts ·Ts dove (3.5) (3.6) • in scala modello dove Tm = Ttm + RBHm + RAPm − FD (3.7) Ttm = tm ·Tm (3.8) Il fattore di deduzione di spinta è il rapporto t= Tt T (3.9) La resistenza totale del modello senza elica è ∗ ∗ RT∗ m = RR + RAP m m Figura 3.4. (3.10) Forze e velocità di una nave a velocità costante In analogia con l’equazione (3.7), nella prova di autopropuslione a velocità costante si utilizza la relazione Ttm = Tm − (RT∗ m − FD ) (3.11) Sostituendo questa espressione nell’equazione (3.7) si ottiene la ben nota formula per la frazione di deduzione di spinta t∗∗ = 1 − RT∗ m − FD Tm (3.12) dove la frazione di deduzione di spinta è indicata come t∗∗ per distinguerla dalla più realistica frazione di deduzione di spinta risultante dalle prove con variazione di carico. In base all’equazione (3.12) la frazione di deduzione di spinta è determinata dai risultati delle prove di resistenza e di propulsione effettuate separatamente. In una certa condizione di carico e 93 3 – Previsioni sperimentali della potenza di velocità del modello, l’assetto in corsa può differire notevolmente tra le due prove. Un diverso comportamento dinamico del modello ed un differente flusso intorno alla carena (ed alle appendici) determinano forze di resistenza che non sono confrontabili, per cui è RT∗ m 6= RT m . Poiché nell’equazione (3.12) si utilizza RT∗ m , t∗∗ può contenere imprecisioni che andrebbero considerate seriamente. Il grande scarto dei valori ricavati per t∗∗ su un modello con eliche diverse è stato riscontrato analizzando numerose misure sperimentali da prove sistematiche. Poiché il fattore di deduzione di spinta è funzione della distanza tra elica e carena, ma è indipendente dal carico di spinta e dalla scala modello, si può assumere che sia t = tm = ts (3.13) Applicando questa ipotesi a t∗∗ , tutte le incertezze relative al fattore di deduzione di spinta sono trasferite anche alla nave al vero, il che può produrre valutazioni erronee nella previsione di potenza. Rendimento relativo rotativo Il rendimento relativo rotativo ηR è il rapporto tra il rendimento dell’elica dietro carena ηB ed il rendimento dell’elica isolata η0 J KTB · ηB KTB KQ 2π KQB ηR = = = · J KT η0 KT KQB · 2π KQ (3.14) dove i coefficienti con il pedice ‘B’ sono ovviamente derivati dalle misure di spinta e di momento torcente nella prova di autopropulsione (elica dietro carena). Perciò, se è utilizzata l’identità di momento torcente, il rendimento relativo rotativo può essere desunto dal rapporto tra il valore misurato KTB ed il valore KT corrispondente al coefficiente d’avanzo J nel diagramma di elica isolata. Si avrà ηRQ = KTB KT Se si applica, come avviene più comunemente, l’identità di spinta, si ha ηRT = KQ KQB Se si introduce ηR , il coefficiente di carico di spinta CTh può essere definito come CTh = 8 (RT − FD ) 8 KT T = · = π J2 ρV 2 (1 − w)2 (1 − t)·πD2 ·ηR ·np 1 2 πD2 ρV 2 a 4 dove np è il numero di eliche. 94 3.2 – Metodo Continentale Si suppone che l’effetto scala sul fattore di deduzione di spinta sia trascurabile (ts = tm ). Viceversa, si può presumere che l’effetto scala sia rilevante sulla frazione di scia, specialmente per le navi monoelica: in primissima e grossolana approssimazione si può assumere ws = 0.7 wm nelle condizioni di prove in mare e ws = wm nelle condizioni di servizio. Gli esperimenti possono essere effettuati a diverse condizioni di carico (pieno carico, carico leggero, zavorra, ecc.). Di particolare interesse è la condizione di progetto. Le vasche navali presentano i risultati delle prove di autopropulsione in forma tabulare o in diagrammi. L’output tabulare fornisce, a diverse velocità Vs , il numero di giri Ns , la spinta Ts , il momento torcente Qs e la potenza sviluppata PDs per la nave, alle diverse condizioni di prove in vasca. Inoltre, possono essere forniti il numero di giri e la potenza sviluppata per la nave nelle condizioni della prova in mare e, talvolta, per la nave in alcune condizioni di servizio. Infine, si possono ottenere ulteriori informazioni circa i coefficienti d’avanzo JT (identità di spinta) e JQ (identità di momento torcente), le frazioni di scia media w, i fattori di deduzione di spinta t, i rendimenti di carena ηH , i rendimenti dell’elica isolata η0 , i rendimenti relativi rotativi ηR ed i coefficienti quasi–propulsivi ηD . Rendimento quasi–propulsivo Il rendimento quasi–propulsivo, dove il ‘quasi’ implica che non si tiene conto del rendimento meccanico della linea d’assi PE ηD = (3.15) PD è il rapporto tra la potenza effettiva della carena in acqua calma, ossia la potenza richiesta per rimorchiare la nave alla velocità di progetto PE = RT ·Vs e la potenza sviluppata al propulsore, ossia la potenza che deve essere fornita all’elica PD = 2πnQ dove Q è il momento torcente assorbito dall’elica. Per ragioni analoghe a quelle suddette, il rendimento quasi–propulsivo può essere soggetto a molteplici incertezze ed imprecisioni, se è determinato da prove di resistenza e di autopropulsione condotte separatamente, come avviene nel Metodo Continentale. 3.2.4 Effetti del carico dell’elica L’ipotesi implicita nel Metodo Continentale è che i fattori propulsivi w, t ed ηR siano indipendenti dal carico dell’elica. L’ITTC sostiene che tale ipotesi è del tutto accurata per forme di carena fini con eliche convenzionali. Per navi dalle forme convenzionali, l’analisi di numerosi esperimenti hanno portato molti istituti di ricerca (BMT, BSHC, MARIN, SSPA) a confermare la scarsa influenza del carico dell’elica sui fattori propulsivi. Questa assunzione può valere se si adotta un 95 3 – Previsioni sperimentali della potenza carico standard e se è disponibile un numero sufficiente di dati di correlazione per definire accuratamente il livello di dipendenza dal laboratorio idrodinamico dei coefficienti correttivi CN e CP , rispettivamente per il numero di giri e per la potenza motore. Per eliche convenzionali dietro forme di carena non troppo piene, le vasche navali sono solite adottare un carico standard che, in generale, è maggiore di quello relativo al punto di autopropulsione della nave per la condizione relativa alle prove in mare. La situazione diviene differente quando la frazione di scia e/o il fattore di deduzione di spinta dipendono sensibilmente dal carico dell’elica, come avviene per forme di carena particolari, per propulsori complessi, e per eliche moderatamente o pesantemente caricate. In realtà, in tutti i casi andrebbe considerato non solo il carico dell’elica, ma anche l’interazione tra il flusso intorno alla poppa ed il propulsore. In questo contesto, l’elica esaminata per la condizione di identità di spinta sarebbe probabilmente sottocaricata. Oosterveld (1984) dimostrò che per propulsori complessi, come le eliche intubate, l’identità di KT o di J negli esperimenti di autopropulsione dovrebbe garantire una buona simulazione del comportamento del propulsore. Se si esaminano i risultati di una prova con variazione di carico a velocità costante del modello, si può dimostrare che sulla stessa curva possono essere identificati differenti carichi dell’elica (Fig. 3.5), dove ognuno rappresenta un certo rapporto di similitudine con l’elica al vero. Se non esistessero effetti scala per viscosità, tutti i punti indicati dovrebbero coincidere con il punto di autopropulsione del modello. Come noto, a causa degli effetti prodotti dalla viscosità, la resistenza viscosa della carena, la frazione di scia e l’attrito sulle pale dell’elica sono maggiori in scala modello. Ne consegue che devono essere assunte numerose ipotesi circa la similitudine (media) del flusso e delle forze negli esperimenti di autopropulsione su modelli. Figura 3.5. Punto di autopropulsione e carico dell’elica 96 3.2 – Metodo Continentale Sul punto di identità di spinta il criterio di similitudine è rispettato quando i rapporti tra le velocità indotte dall’elica e le velocità incidenti sono gli stessi per il modello e per la nave. Se si trascura il piccolo effetto scala ∆KT sul coefficiente di spinta KT , si può affermare che l’identità di J corrisponde all’identità di KT e di CT . Ne deriva che in questa condizione il campo di flusso assiale in prossimità dell’elica è simulato in maniera corretta nell’esperimento su modello. A causa degli effetti scala sull’attrito di pala, che influenza soprattutto il momento torcente, il punto relativo all’identità di KQ rappresenta un’elica leggermente meno caricata rispetto a quella considerata nella condizione d’identità di spinta. Nel punto d’identità del momento torcente, la rotazione media nel flusso a valle del disco–elica corrisponde a quella della nave al vero: questa condizione va rispettata se si vuole che siano corretti gli esperimenti condotti sulle appendici (alette rettificatrici di flusso, timoni, ecc.). Nel punto di autopropulsione nave il rapporto tra spinta e forze d’inerzia è uguale per il modello e per la nave. Si suppone che questa similitudine dinamica esista nell’approccio classico, ipotizzando cosı̀ che a questo carico le forze di deduzione di spinta del modello e della nave al vero siano uguali. Al punto di autopropulsione modello, il modello della nave è propulso dalla sua elica e la forza di tiro di rimorchio è nulla. In generale, un carico ancora maggiore è ottenuto quando il modello è provato in una condizione nella quale il rapporto tra spinta e resistenza viscosa è uguale per il modello e per la nave. In questa condizione, si ipotizza che esista una qualche similitudine nel flusso viscoso sulla zona poppiera della carena davanti all’elica. Probabilmente, in questa condizione di elica pesantemente caricata la similitudine del flusso al di sopra dell’elica sarà di difficile decifrazione, in quanto influenzata da fenomeni di separazione. Figura 3.6. Variazione della deduzione di spinta con il carico dell’elica In Figura 3.6 è mostrata la variazione, frequentemente osservata, della deduzione di spinta in funzione del carico dell’elica. Gli effetti scala, se esistono, possono derivare da due cause: • le differenze nel numero di Reynolds, che possono influenzare il campo di flusso a poppa; 97 3 – Previsioni sperimentali della potenza • gli effetti del carico dell’elica, in quanto i carichi sono differenti in scala modello ed al vero, a causa dovuti agli effetti scala nella scia, per quanto riguarda sia la loro entità, sia la loro distribuzione. Quando sono provati due modelli di elica che si comportano differentemente a seconda del carico, si giunge a conclusioni errate quando si effettua l’esperimento con la stessa forza di tiro al rimorchio, se questa corrisponde ad un propulsore sovraccaricato. Il carico di spinta KT /J 2 dell’elica modello differisce dal carico dell’elica al vero di un fattore pari a {(1 − ws )/(1 − wm )}2 nel punto di autopropulsione nave, anche se la previsione della spinta è corretta. Per navi con elevato coefficiente di finezza in zavorra, il quadrato dell’effetto scala sulla scia {(1 − ws )/(1 − wm )}2 può raggiungere valori fino a 2. Ciò dimostra che numerose appendici per il risparmio di combustibile, quali alette, mantelli, statori, ecc., che sono efficienti a carichi elevati, sono probabilmente meno vantaggiose al vero, dove i carichi sono sensibilmente inferiori. Le prove di autopropulsione dovrebbero comprendere almeno una prova con variazione di carico, e non solo nel caso di propulsori non convenzionali. Infatti, è stato dimostrato che la variazione della scia effettiva, variando il carico dell’elica, è causata dall’interazione dei vortici e dello strato limite a poppa con la velocità indotta dall’elica, e che l’esistenza dei vortici del ginocchio non è trascurabile. 3.3 Metodo Britannico È stato dimostrato che la metodologia di prove di autopropulsione con variazione di carico, nota anche come Metodo Britannico, migliora l’affidabilità delle previsioni di potenza basate sui risultati di prove su modelli. Le prove con variazione di carico dovrebbero essere considerate come un’attività indispensabile per un buon progetto. Il termine autopropulsione dovrebbe significare esattamente che, nella condizione progettuale, la spinta dell’elica supera la resistenza del modello senza esercitare alcun carico esterno. In tutte le altre condizioni l’elica è sovraccaricata o sottocaricata. Lo scopo delle prove con variazione di carico è quello di investigare le relazioni tra i coefficienti propulsivi ed il carico di spinta dell’elica in tutto l’intervallo rappresentativo delle condizioni operative dell’elica stessa. Questo sistema di prove sperimentali è fondamentalmente identico a quello delle prove condotte con il Metodo Continentale, in quanto sono misurati i valori della spinta Tm , del momento torcente Qm , del numero di giri dell’elica nm e della forza esterna di rimorchio del modello FD . La resistenza totale RTm è la somma della spinta dell’elica e della forza di rimorchio del modello. La relazione tra RTm e Tm è determinata sperimentalmente variando la spinta da Tm = 0 a FD = 0 (condizione di autopropulsione) a velocità costante. Dall’analisi dei risultati sperimentali si ottiene la relazione tra i coefficienti propulsivi e la spinta dell’elica, che può essere utilizzata per la previsione delle prestazioni di una nave quando le condizioni operative dell’elica sono influenzate da forze esterne come l’aumento della resistenza per mare ondoso, della resistenza dell’aria, nonché della resistenza d’attrito prodotta dalla rugosità di carena. 98 3.3 – Metodo Britannico 3.3.1 Prove con variazioni di carico Le prove con variazione di carico sono necessarie per investigare l’influenza del carico dell’elica sugli effetti dell’interazione elica–carena in diverse condizioni operative e per determinare fattori propulsivi più realistici. La spinta Tm del modello, che avanza a velocità costante Vm , è ridotta da una forza di rimorchio esterna FD , dove la spinta e la forza di rimorchio variano tra i limiti seguenti Tm0 = RTm + Ttm per FD = 0 punto di autopropulsione Tm = 0 per FD = FD0 = Rmp dove RTm : resistenza totale modello con l’elica (operante) completamente caricata, Rmp : resistenza modello con elica scarica (a vuoto), Ttm : forza d’interazione tra elica e carena. La spinta sul modello Tm è funzione di FD , come mostrato in Figura 3.7. Figura 3.7. Variazione della deduzione di spinta con il carico dell’elica 99 3 – Previsioni sperimentali della potenza In base alle equazioni (3.7) e (3.8), l’equilibrio delle forze assiali produce l’equazione Tm = tm Tm + RT m − FD dalla quale si ricava Tm = RT m − FD 1 − tm (3.16) Se si ipotizza, come suggerito da Holtrop (1990), che la resistenza del modello sia costante al variare del carico dell’elica, la differenziazione dell’equazione (3.16) porta a dTm 1 =− dFD 1 − tm (3.17) per cui si può osservare che l’equazione (3.16) è lineare rispetto a FD (con pendenza negativa), almeno nell’intervallo tra Tm0 , dove è FD = 0, e Tm = 0, dove è FD = Rmp . Tuttavia, non si deve attendere che, specialmente ad elevati numeri di Froude, RTm sia del tutto indipendente dal carico dell’elica. L’elica influenza il flusso ed il campo di pressione nella zona poppiera di carena e, quindi, influenza RTm . In virtù del fatto che si assume RTm = cost., il fattore di deduzione di spinta tm terrà conto anche di tutte le altre forze che sono piccole rispetto alle forze d’interazione tra elica e carena, cosı̀ che l’equazione (3.17) rimane comumque valida. Con riferimento alla Figura 3.7, la pendenza di questa funzione lineare è Tm dTm =− 0 dFD Rmp e l’equazione (3.17) fornisce la frazione di deduzione di spinta tm = 1 − Rmp Tm0 (3.18) dove Rmp e Tm0 sono risultati dell’analisi. Durante le prove con variazione di carico, tutte le forze che compaiono nell’equazione (3.18) sono derivate nello stesso esperimento, per cui non si ha alcuna incertezza nei riguardi di t a causa, ad esempio, di un diverso assetto in corsa, come accade, viceversa, per il fattore di deduzione di spinta t∗∗ derivato mediante il Metodo Continentale. Le osservazioni suddette sono valide sia per navi monoelica che per navi con due o più eliche. Per queste ultime le misurazioni e la valutazione dei risultati sperimentali consentono di derivare differenti valori di t per ogni elica, mentre non esiste alcuna differenza per i valori di t∗∗ tra elica ed elica, sempre secondo l’equazione (3.12). 100 3.3 – Metodo Britannico 3.3.2 Valutazione delle prove con variazioni di carico Le prove con variazione di carico sono le prove di autopropulsione che dovrebbero rientrare nella normalità. La forza di rimorchio esterna, che agisce sul modello che si muove a velocità costante Vm , viene incrementata a passi, dalla condizione con FD = 0 fino alla condizione di elica in folle (Tm = 0). Per ciascuna delle np eliche (ν = 1, . . . , np ), sono misurate separatamente le seguenti quantità con ogni valore prefissato di FD : • la velocità di rotazione dell’elica: nmν (FD ); • la spinta sviluppata dall’elica: Tmν (FD ); • il momento torcente assorbito dall’elica: Qmν (FD ). Queste grandezze, la maggior parte delle quali sono campionate sequenzialmente, devono essere armonizzate in accordo con le funzioni caratteristiche dell’elica, come Qmν = f (Tmν ) , n2mν = g(Tmν ) cosı̀ che la tripletta di valori (nm , Tm , Qm ) riflette i punti operativi delle eliche modello. Le P somme di tutte le singole spinte, Tmν (FD ), vengono sottoposte ad un’analisi di regressione che consente di determinare Rmp e Tm◦ dall’equazione di regressione. Per la rappresentazione grafica dei risultati, si preferisce adimensionalizzare le funzioni suddette, come illustrato in Tabella 3.2, in funzione della forma adimensionale di FD , data da XFD = FD /Rmp . Grandezza Spinta Momento torcente Velocità di rotazione Dimensionale P f (FD ) = Tmν (FD ) P g(FD ) = Qmν (FD ) P 2 h(FD ) = nmν (FD ) Tabella 3.2. Adimensionale P YT (XFD ) = [ Tmν ]/Rmp P YQ (XFD ) = 10 [ Qmν /Dmν ]/Rmp P P Yn2 (XFD ) = [nmν Dmν /Vm ]2 = (Jv )−2 Grandezze misurate normalizzate In Figura 3.7 sono diagrammati i valori di Tm , Qm e n2m di un modello bielica rispetto alla forza di rimorchio FD e sono riportate le relative equazioni di regressione. La Figura 3.8 mostra alcuni esempi delle funzioni adimensionali corrispondenti per un modello monoelica con timone di profilo NACA 0018, a quattro differenti numeri di Froude. Oltre le grandezze adimensionali illustrate in Tabella 3.2, sono diagrammate la scia media assiale w ed il coefficiente d’avanzo Jv . La Tabella 3.3 fornisce i risultati delle prove di variazione di carico per un esame comparativo, dove la grandezza Rmp R̂ = ∗ RT è il rapporto tra la resistenza del modello con elica in folle e la resistenza modello nella prova di rimorchio, ambedue misurate allo stesso numero di Froude. 101 3 – Previsioni sperimentali della potenza Per modelli bielica, di norma è R̂ < 1, mentre per navi monoelica è R̂ > 1 (Holtrop, 1990). Sempre dalla Tabella 3.3 si evince che la frazione di deduzione di spinta t ottenuta dalle prove con variazione di carico (Metodo Britannico) è più realistico del velore t∗∗ ottenuto dalle prove di resistenza ed autopropulsione condotte separatamente (Metodo Continentale). Specialmente per navi bielica, lo scarto tra t∗∗ e t è molto alto a causa dell’utilizzo di forze non corrispondenti nell’equazione (3.13). A causa del differente assetto in corsa, le componenti di resistenza dovute all’assetto e le resistenze per appendici sono differenti in ambedue le serie di prove. In genere, per navi bieliche t è maggiore di t∗∗ . Figura 3.8. Risultati di prove con variazioni di carico a diversi F n (nave monoelica) La quantità t0 in Tabella 3.3 è il valore di t dato da una funzione approssimante t(F n) sviluppata per tutti i modelli della Serie–D (Kracht, 1992). Per navi monoelica, le differenze tra t e t∗∗ sono inferiori, i risultati sono più consistenti, e t∗∗ è sempre maggiore di t. Il che vale anche nel caso di una nave sulla quale siano stati installati timoni diversi, per differenti angoli di barra, e per diverse luci tra elica e timone. Infine, in Figura 3.8 è mostrata la frazione di scia media effettiva w̄e in funzione del carico dell’elica e del numero di Froude. I risultati delle prove mostrano una consistente deviazione dalle approssimazioni lineari. 102 3.4 – Metodo Ibrido Modello Fn R̂ t t0 t∗∗ tipo D12521 D12521 D32523 D52525 D52525 D52525 D52527 D52527 0.432 0.607 0.606 0.345 0.540 0.606 0.432 0.606 0.97 0.99 0.98 0.97 0.97 0.95 0.97 0.94 0.076 0.043 0.060 0.086 0.076 0.081 0.078 0.071 0.077 0.078 0.077 0.073 0.078 0.077 0.078 0.078 0.038 0.058 0.028 0.061 0.056 0.035 0.045 0.069 modelli bielica 2490.1 2490.2 2490.3 2490.4 0.158 0.163 0.207 0.219 1.03 1.01 0.98 1.00 0.118 0.141 0.142 0.151 —– —– —– —– —– 0.158 0.158 0.163 modelli monoelica Tabella 3.3. 3.4 Confronto tra fattori di deduzione di spinta Metodo Ibrido Il Metodo Ibrido è il metodo standard di autopropulsione utilizzato al Krylov Shipbuilding Research Institute (KSRI). Tale metodo combina corse a numeri di ‘giri costanti’ dell’elica modello (n = cost.) e velocità variabili del carro di rimorchio con corse a ‘velocità costanti’ del modello di carena (Vm = cost.) ma con giri dell’elica variabili. La prima modalità consente di ricavare i coefficienti dell’interazione elica–carena in funzione del numero di Froude, mentre la seconda consente di derivare l’insieme delle curve dei coefficienti d’interazione ottenuti a numeri di Froude costanti e carichi dell’elica variabili. Il dinamometro dell’elica, montato come parte della (singola) linea d’assi, misura la spinta Tm ed il momento torcente Qm dell’elica modello. Il dinamometro di rimorchio del carro misura la forza di tiro FD = RTm − Tm + (Tm − TE ) (3.19) che si crea tra il modello ed il carro di rimorchio durante le prove di autopropulsione. Questa forza totale comprende tre componenti: la resistenza modello RTm . la spinta dell’elica Tm e la forza di deduzione di spinta (Tm − TE ), dove TE è la spinta effettiva. Durante la prova di autopropulsione la forza totale Z varia da valori positivi nel campo di sovraccarico dell’elica al valore nullo nel punto corrispondente al modo progettuale, fino a valori negativi nel campo dei carichi leggeri dell’elica. La resistenza del modello in funzione della velocità, ottenuta dalle prove preliminari di resistenza, è utilizzata per calcolare la spinta effettiva TE . Quest’ultima è determinata come differenza tra la forza di tiro Z sul dinamometro di rimorchio del carro e la resistenza del modello RTm . Le prove di elica isolata sui modelli consentono di calcolare i coefficienti d’interazione elica–carena. 103 3 – Previsioni sperimentali della potenza Il fattore di deduzione di spinta è calcolato mettendo a confronto i valori della spinta effettiva e della spinta dell’elica dietro carena come t=1− KE KT (3.20) dove KE = TE ρn2 D4 La frazione di scia media è ricavata, in base all’identità di spinta, come rapporto dei coefficienti d’avanzo dell’elica isolata e dell’elica dietro carena; ossia w= V − Va J =1− V Jv (3.21) Il rendimento relativo rotativo ηR , o meglio il fattore di influenza per iidentità di spinta iQ , è ricavato come rapporto tra i valori del momento torcente dell’elica dietro carena e dell’elica isolata; ossia ηR = iQ = Q(Jv ) Q(J) (3.22) Quando i risultati sulla linea d’assi a dritta ed a sinistra di una nave bielica non sono esattamente identici, il valore finale è preso come media tra i due. Per ottenere la corretta correlazione tra il carico dell’elica modello e dell’elica al vero, il numero di giri è determinato dalla condizione KDEs = KDEm dove s KDEs = Vs ·Ds np ·ρs RTs s e KDEm = Vm ·Dm np ·ρm TEm Le prove di autopropulsione implicano una modellazione parziale, in quanto il modello dell’elica non rappresenta quasi mai il progetto dell’elica finale. Il modello dell’elica presenta di solito similitudine geometrica per quanto concerne il diametro e la luce tra elica e carena. In base all’esperienza accumulata nelle prove di autopropulsione, è ammesso avere piccole deviazioni rispetto all’elica di progetto per alcuni parametri, quali il rapporto passo–diametro, il rapporto d’area espansa, il numero di pale ed il tipo di profili delle sezioni di pala, in quanto producono effetti trascurabili sui coefficienti propulsivi. Quando si stima la prestazione propulsiva di una nave, sono trasferiti al vero, senza alcuna correzione, il fattore di deduzione di spinta t ed il rendimento relativo rotativo iQ . La procedura di scalaggio della scia è basata sull’ipotesi che la componente viscosa della scia della nave wTs sia 104 3.4 – Metodo Ibrido una funzione lineare del rapporto CVs /CVm tra i coefficienti di resistenza viscosa della nave e del modello; ossia µ ws = wm CVs 0.6 + 0.4 CVm ¶ (3.23) dove CVm = (1 + k)·CF0m - coefficiente di resistenza viscosa del modello; CVs = (1 + k)·CF0s + ∆CF0 - coefficiente di resistenza viscosa della nave; CF0 = 0.455 (log Rn)2.58 " ∆CF0 µ ks = 105 LW L - coefficiente di resistenza d’attrito (Prandtl–Schlihting) ¶1/3 # − 0.64 ·10−3 - coefficiente di resistenza aggiunta per rugosità di carena. Negli anni ’60 fu realizzato un confronto tra i risultati sperimentali su modelli ottenuti da tre procedure di autopropulsione: Metodo Continentale, Metodo Britannico ed un Metodo Ibrido utilizzato al MARIN. Furono provate molte serie di modelli di navi con forme di carena e velocità di progetto differenti. La conclusione principale fu che esistono influenze significative della formazione ondosa (numero di Froude) sull’interazione elica–carena; in particolare, sul fattore di deduzione di spinta. Risultò che l’intensità della componente d’onda della deduzione di spinta dipende dal tipo di nave e dal tipo di propulsore. Sulla base dell’esperienza del KSRI nelle prove di autopropulsione e dei risultati di esami comparativi tra differenti procedure sperimentali, si può affermare che i principali vantaggi del metodo ibrido utilizzato nel KSRI sono i seguenti 1. Una tale procedura consente di coprire un ampio intervallo di carichi dell’elica; in pratica, permette di esaminare l’intero campo possibile di variazione nell’interazione elica–carena, corrispondente all’operatività dell’elica dalla condizione di tiro a punto fisso al punto a spinta nulla. 2. È possibile seguire una modellazione parziale dell’elica, il che consente di liberarsi dalla necessità di costruire un modello di elica prima di ogni prova sperimentale, e consente di utilizzare le cosiddette eliche di stock. Questo è un aspetto importante, in quanto spesso l’esatta geometria dell’elica non è ancora determinata quando si effettua la prova di autopropulsione. 3. La combinazione dei due modi consente di ottenere i coefficienti d’interazione elica–carena in funzione del numero di Froude e di trovare l’insieme delle curve dei coefficienti d’interazione a numeri costanti di Froude ed a carichi variabili dell’elica. Utilizzando i risultati ottenuti da questa procedura di prove di autopropulsione, si possono estrapolare i valori di deduzione di spinta dal modo sperimentale al vero. In Figura 3.9 sono illustrati i coefficienti propulsivi di una ro-ro/pax, da 28 nodi di velocità progettuale, espressi in funzione del coefficiente di carico dell’elica KDE . 105 3 – Previsioni sperimentali della potenza Figura 3.9. 3.5 Coefficienti d’interazione elica–carena in funzione del coefficiente di carico Metodo ITTC 1978 Il Metodo ITTC-78 consente di prevedere il numero di giri e la potenza assorbita al vero a partire dai risultati della prova di autopropulsione sul modello, eseguita con il Metodo Continentale. I fattori propulsivi sono ricavati dalla prova di autopropulsione, combinandoli con i risultati della prova di resistenza e della prova di elica isolata. Le previsioni standard dell’ITTC relative al numero di giri ed alla potenza assorbita dall’elica al vero sono ottenute dopo avere corretto i valori modello delle caratteristiche di funzionamento dell’elica isolata, gli effetti scala in base a formule semplici. Le Vasche applicano generalmenmte correzioni proprie al numero di giri (CN ) ed alla potenza assorbita (CP ), prima di fornire i risultati finali di previsione delle prove di propulsione al vero. 3.5.1 Fattori che influenzano la previsione al vero Molti studi sono stati dedicati all’identificazione e dei modi di soluzione dei problemi connessi ai singoli passi della previsione di potenza al vero. 106 3.5 – Metodo ITTC 1978 Fattore di forma Il fattore di forma quale modifica dell’approccio originale di William Froude per l’estrapolazione dei risultati sperimentali su modelli, è stato gradualmente accettato da molti istituti e laboratpri idrodinamici. Studi di correlazione degli ultimi decenni hanno dimostrato che la dispersione dei fattori di correlazione modello–nave CN , CP e CN P risultano ridotti se viene introdotto un fattore di forma nell’estrapolazione dei risultati delle prove di resistenza e propulsione su modelli. Nel metodo ITTC 1978 il coefficiente di resistenza totale CT è rappresentato dalla somma di un coefficiente di resistenza viscosa Cv e di un coefficiente di resistenza residua CR = CT − Cv . Il metodo del fattore di forma è basato sulla linea di correlazione d’attrito ITTC 1957 ed assume che sia Cv = (1 + k)CF dove CF è il coefficiente di resistenza d’attrito di una lastra piana equivalente e (1 + k) è il fattore di forma, ipotizzato indipendente dal numero di Reynolds Rn. L’ITTC raccomanda di determinare il valore del fattore di forma mediante una formula modificata di Prohaska (1 + k) = CT a − F nm CF CF come il valore al limite di CT /CF per F n → 0, ossia estrapolando a F n = 0 i valori misurati di CT /CF nell’intervallo 0.12 ≤ F n ≤ 0.20. L’esponente m e la costante a sono scelti come risultato della migliore interpolazione dei dati sperimentali. Vanno evitati i punti sperimentali relativi a velocità estremamente basse a causa del rischio eccessivo di flusso laminare sul corpo prodiero del modello e misure di resistenza non sufficientemente accurate. Sebbene molte ricerche teoriche abbiano indicato che si ha un notevole incremento del fattore di forma al crescere del numero di Reynolds, ossia passando dai valori modello a quelli al vero, tale effetto non è stato riscontrato nella maggior parte dei dati sperimentali disponibili. Ciò può essere dovuto agli effetti di controbilancimento della tensione superficiale e della separazione del flusso a poppa; ambedue questi effetti tendono ad incrementare la resistenza ed il fattore di forma alle minori scale modello ed ai valori inferiori del numero di Reynolds. In sintesi, finora non esiste alcuna certezza circa un effetto consistente del numero di Reynolds sul fattore di forma. Perciò, fino a prova contraria, è ancora valida l’ipotesi generale che (1 + k) sia indipendente dal fattore di scala. Rugosità di carena L’ITTC 1978 adottò per il margine di correlazione modello–nave CA la formula di Bowden– Davison (1974). Questa formuala, che è basata sull’analisi dei dati delle potenze di navi al vero e di misure di rugosità, include sia l’effetto di rugosità ∆CF , sia correzioni per la correlazione modello–nave ∆CR . È data da CA = (∆CF + ∆CR ) = 0.105(ks /LW L )1/3 − 0.00064 107 (3.24) 3 – Previsioni sperimentali della potenza dove ks è l’ampiezza media della rugosità su una lunghezza d’onda di 50 mm. Se ∆CR è piccolo relativamente a ∆CF , la formula (3.24) sovrastima il valore di CA . Negli anni ’80, furono proposte varie formule alternative, basate su calcoli teorici dello strato limite e su dati empirici derivati da misure in laboratorio ed al vero della rugosità di carena e della resistenza per rugosità. Le formule alternative elaborate volevano tenere conto della diretta dipendenza della resistenza per rugosità dal numero Reynolds e/o dalle proporzioni della nave. Tra le altre, si possono citare le formule di Himeno : ∆CF = 0.000018 (ks /LW L ) Rn0.75 Townsin : ∆CF = 0.044 [(ks /LW L )1/3 − 10 Rn−1/3 ] + 0.000125 Wright : ∆CF = 0.00103 (ks /∇1/3 )0.717 ·Rn0.575 ·(B/T )−0.683 ·(T /∇1/3 )3.758 La Figura 3.10 mostra i diagrammi delle previsioni numeriche ottenute in base alle formule proposte da Bowden–Davison, Himeno, Townsin e Wright, per valori di Rn pari a 108 , 109 e 5·109 . Se si confrontano le curve riportate è evidente che la formula di Bowden–Davison, attualmente adoperata dall’ITTC, dovrebbe essere riesaminata in funzione del numero di Reynolds e della rugosità. Tuttavia, è difficile stabilire quale di queste formule potrebbe costituire un’alternativa alla formula (3.24). Figura 3.10. Correzioni per rugosità in funzione di k/L e Rn Resistenza delle appendici L’influenza delle appendici di carena sulla potenza propulsiva può essere di grande importanza specialmente per le navi con più propulsori. Per determinare la resistenza delle appendici al vero, possono essere utilizzati più approcci, anche se nessuno è del tutto soddisfacente. Esistono 108 3.5 – Metodo ITTC 1978 sostanzialmente tre metodi differenti per trattare la resistenza delle appendici negli esperimenti su modelli. • estrapolazione al vero della resistenza delle appendici modello mediante un fattore costante di effetto scala per appendici β = CAPs /CAPm , oppure estrapolando sulla base del numero p di Reynolds delle appendici RnAP = V SAP /2/ν; • addizione della resistenza delle appendici al vero, calcolata teoricamente, alla resistenza della carena nuda al vero, estrapolata dai risultati delle prove sperimentali; • applicazione del concetto del fattore di forma ai modelli con tutte le appendici installate. Il Metodo ITTC 1978 può essere adattato per prevedere le prestazioni propulsive al vero di navi bielica mediante l’utilizzo del fattore di forma dei modelli con appendici, con valori del coefficiente di correlazione di potenza CP , del coefficiente di correlazione del numero di giri ad identità di spinta CN , e del coefficiente di correlazione del numero di giri ad identità di potenza CN P , simili a quelli di esempi confrontabili di navi monoelica. Rugosità della superficie di pala Numerose indagini hanno mostrato che il rapporto tra gli effettivi parametri di rugosità e la rugosità equivalente della sabbia - usata come riferimento base per la rugosit‘a di pala kP - è piuttosto complessa. Il parametro standard per la rugosità della superficie di pala, kP = 30·10−6 , necessita di ulteriori verifiche sulla base di ulteriori misure di rugosità di superfici di pala e dopo avere effettuato la previsione per i corrispondenti coefficienti d’attrito. Figura 3.11. Confronto tra CDM e CDS Un’altra difficoltà che può insorgere, se si adotta il valore suddetto per il coefficiente di rugosità della superficie di pala, è che, per eliche con piccolo diametro, la correzione delle caratteristiche di funzionamento dell’elica per effetto scala porterebbe a valori ∆CD addirittura negativi. Si veda la Figura 3.11, dove l’ascissa c denota la lunghezza di corda della pala di un’elica al vero. Questa 109 3 – Previsioni sperimentali della potenza ambiguità ha origine nel fatto che la formula adottata dall’ITTC è basata solamente sui dati di eliche di grandi navi monoelica. Se si volesse proporre una nuova formulazione per kP , andrebbero considerate simultaneamente la natura fisica del flusso sulle pale dell’elica e la variazione del coefficiente di portanza in funzione del numero di Reynolds. 3.5.2 Procedura ITTC La procedura standard dell’International Towing Tank Confeterence è quella nota come Metodo ITTC 1978. Per la determinazione delle prestazioni in potenza di una nave al vero, la procedura si svolge secondo i seguenti passi 1. Coefficienti propulsivi modello La spinta T ed il momento torcente Q, misurati nelle prove di autopropulsione, sono espressi in forma adimensionale come T ρn2 D4 KTm = e KQm = T ρn2 D5 Il coefficiente KTm è il dato d’ingresso nel diagramma di funzionamento del modello dell’elica, dal quale sono letti i valori di JTm e di KQm . Si calcolano, quindi, la frazione di scia modello wm = 1 − Jm ·nD V ed il rendimento relativo rotativo ηR = KQm KQ0m Il fattore di deduzione di spinta è ottenuto dalla relazione t= T + FD − Rc T dove FD è la forza di correzione per attrito, data dall’espressione (3.2), mentre Rc è la resistenza corretta per le differenze di temperatura tra la prova di resistenza e la prova di autopropulsione, calcolata come Rc = (1 + k)·CFm c + CR (1 + k)·CFm + CR essendo CFm c il coefficiente d’attrito alla temperatura della prova di autopropulsione. 110 3.5 – Metodo ITTC 1978 2. Resistenza totale nave Il coefficiente di resistenza totale di una nave con carena nuda è CTs = (1 + k) CFs + CR + ∆CF + CAA dove k CFs CR ∆CF CAA fattore di forma coefficiente di resistenza d’attrito della nave calcolato in base alla linea di correlazione modello–nave ITTC 1957 coefficiente di resistenza residua derivato dai coefficienti d’attrito e di resistenza totale del modello come CR = CTm − (1 + k) CFm addendo per rugosità ∆CF = [105(ks /LW L )1/3 − 0.64]·10−3 dove la rugositàdi carena vale ks = 150 µm coefficiente di resistenza dell’aria pari a CAA = 0.001 AT /S Se sulla nave sono installate alette di rollio, la resistenza torale della nave diviene CT S = S + Sbk ·[(1 + k) CF s + ∆CF ] + CR + CAA S essendo Sbk la superficie totale delle alette di rollio ed S la superficie di carena. 3. Correzione delle caratteristiche dell’elica modello per effetto scala Le previsioni di potenza della nave necessitano della conoscenza delle caratteristiche dell’elica isolata in scala modello. Le caratteristiche dell’elica isolata sono ottenute sperimentalmente con un modello idraulicamente liscio, a numeri di Reynolds varianti nell’intervallo 2.5·105 – 8.0·105 . Questi valori di Rn sono generalmente più elevati di quelli presenti nella prova di autopropulsione. Le condizioni operative dell’elica modello non sono per niente simili a quelli dell’elica isolata a causa dei valori relativamente bassi del numero di Reynolds in scala modello. Si tratta, quindi, di correggere la spinta ed il momento torcente al vero tenendo conto degli effetti scala. Le caratteristiche di funzionamento dell’elica al vero sono calcolate a partire da quelle dell’elica modello come segue KTs = KTm − ∆KT KQs = KQm − ∆KQ dove ∆KT = ∆CD ·0.3 P c · ·Z D D ∆KQ = ∆CD · 0.25 111 c ·Z D 3 – Previsioni sperimentali della potenza La correzione per effetto scala della delle caratteristiche dell’elica vale ∆CD = ∆CDm − ∆CDs essendo µ CDm µ CDs ¶ " t 0.044 5 =2 1+2 · − 1/6 2/3 c Rnco Rnco ¶ " # t c =2 1+2 · 1.89 + 1.62·log c kp # Nelle formule suddette c è la lunghezza di corda, t è lo spessore massimo, P/D è il rapporto di passo, mentre Rnco è il numero di Reynolds locale. Tutti i valori sono relativi al raggio r = 0.75R, che non deve essere minore di 2·105 nelle prove di elica isolata. La rugosità di pala viene fissata a kp = 30 µm. 4. Scia al vero Per navi monoelica, la scia al vero è calcolata dalla scia modello wTm e dalla frazione di deduzione di spinta t mediante la formula per effetto scala ws = (t + 0.04) + (wm − t − 0.04)· (1 + k) CFs + ∆CF (1 + k) CFm (3.25) dove l’addendo 0.04 tiene conto dell’effetto del timone che ovviamente è posizionato sul piano diametrale. Per le navi bielica con un singolo timone sul piano diametrale, l’effetto scala del timone sarà molto minore; al limite trascurabile, cosı̀ che si può valutare la frazione di scia al vero come ws = t + (wm − t)· CVs CVm Purtroppo, per navi dalle forme fini, ed in particolare per le navi bielica, la frazione di scia al vero, calcolata con la formula standard (3.25) è maggiore della frazione di scia modello. Poichè questo risultato è in contraddizione con la comprensione idrodinamica dell’effetto scala sulla frazione di scia per questo tipo di navi, si impone che sia ws = wm Questa ipotesi è ragionevole in quanto sulle navi bielica gran parte di ogni disco–elica si trova all’esterno dello strato limite di carena e, di conseguenza, la frazione di scia effettiva sarà influenzata dall’effetto scala meno di quanto accada per le navi monoelica. 112 3.5 – Metodo ITTC 1978 5. Valutazione standard ITTC Il carico dell’elica al vero può essere ottenuto mediante uno dei due metodi - identità di spinta KT T CTs = · 2 2 J 2D (1 − t) (1 − wTs )2 KT0 = J2 µ KT J2 ¶ T · ηRm - identità di momento torcente KQ PD = 3 2 J 2πρD Vs2 (1 − wTs )3 KQ0 KQ = 3 · ηRm 3 J J Si utilizza la resistenza adimensionale KT0 /J 2 , oppure la potenza adimensionale KQ0 /J 3 , a seconda che si sia operato sperimentalmente in identità di spinta o in identità di momento torcente, come valore d’ingresso nel diagramma di funzionamento dell’elica, Si leggono, quindi, il coefficiente d’avanzo JTs e, alternativamente, il coefficiente di spinta (KTs )Q o il coefficiente del momento torcente (KQs )T . Vengono calcolate, quindi, le seguenti grandezze al vero • numero di giri ns = (1 − wTs ) Vs JTs ·D [rps] • spinta dell’elica Ts = KT 2 ·J ·ρD4 n2s ·10−3 J 2 Ts [kN] • momento torcente dell’elica Qs = (KQs )T ·ρ D5 n2s ·10−3 ηR [kN·m] • potenza effettiva 1 PE = CT S · ρ Vs2 ·S ·10−3 2 113 [kW] 3 – Previsioni sperimentali della potenza • potenza assorbita PDs = 2πρ D5 n3s (KQs )T ·10−3 ηR [kW] • rendimento quasi–propulsivo ηD = PE PDs • rendimento di carena ηH = 1−t 1 − wTs 6. Analisi delle prove in mare con correzioni CP - CN Per analizzare i risultati delle prove in mare, si eseguono i calcoli seguenti • Il coefficiente del momento torcente KQs dietro carena è calcolato a partire dalla potenza al mozzo al vero PDt e dal numero di giri al vero nt come KQs = PDt 2π ρ D5 n2t per cui il coefficiente di momento torcente dell’elica isolata risulta essere (KQs )t = ηR ·KQs dove si ipotizza che il rendimento relativo rotativo della nave sia uguale a quello del modello, ossia ηRs = ηRm = ηR • Utilizzando (KQs )t come valore di ingresso, si leggono JT S e KT S dal diagramma di funzionamento dell’elica modello, per poi correggerli per effetto scala avendo determinato la correzione per attrito sulle pale dell’elica ∆CD mediante il metodo di Larbs del profilo equivalente • Si calcolano, quindi, la scia al vero (ws )t come (ws )t = 1 − Jts ·D·nt Vs e l’effetto scala sulla scia come ∆w = wm − (ws )t 114 3.5 – Metodo ITTC 1978 • Il coefficiente di resistenza totale CTs è calcolato dalla relazione CTs = 1 − 2D2 KT · ·(1 − t)·[1 − (ws )t ]2 S J2 mentre la correzione per rugosità ∆CF è data da ∆CF = CTs − (1 + k) CFs − CR − CAA dove si ipotizza che il fattore di deduzione di spinta t e del fattore di forma k siano gli stessi per il modello e per la nave. Le previsioni finali per le prove al vero sono formulate come • numero di giri nt = CN ·ns [s−1 ] • potenza assorbita PDt = CP ·PDs [s−1 ] 7. Previsione per le prove in mare con correzioni ∆CF c - ∆wc In questo caso le previsioni finali per le prove al vero sono calcolate come segue KT T ∆CT S + ∆CF c = · 2 2 J 2D (1 − t)(1 − wT s + ∆wc )2 Utilizzando il valore di KT /J 2 come input, vengono letti dalle caratteristiche di funzionamento dell’elica al vero JTs e (KQs )t e si ricava • numero di giri nt = (1 − wTs + ∆wc ) Vs JTs ·D • potenza assorbita PDt = 2πρ D2 ·n3t · (KQs )t ·10−3 ηRm [kW] Coefficienti di correlazione Negli anni, l’ITTC ha continuato a raccomandare di investigare l’applicabilità del suo metodo a propulsori non-convenzionali ed a navi bielica, soprattutto per quanto riguarda lo scalaggio della resistenza delle appendici e la presenza dei timoni. 115 3 – Previsioni sperimentali della potenza In questo contesto, l’ITTC suggerisce di prestare più attenzione ai fattori ∆CF e (wm − ws ), ovvero (1 − wm )/(1 − wm ), piuttosto che analizzare statisticamente solamente i dati relativi a CP , CN e CN P . Nel Metodo ITTC 1978, la frazione di scia media al vero wTs è calcolata mediante la relazione (3.25). Successivamente si possono diagrammare i valori di wTs ottenuti dalle prove in mare (Fig. 3.12). Quando wm è piccolo e vicino a t (per navi bielica dalle forme fini), ∆w = wm − ws tende a divenire molto piccolo, per cui probabilmente ws risulterà sovrastimato dalla formula (3.25). Questa tendenza comporta una sovrastima dei giri dell’elica e, quindi, maggiori coefficienti di correlazione CN e CN P . Figura 3.12. Tendenze generali di wTm e wTs Tra gli altri, il MARIN ha condotto uno studio statistico sulla correlazione modello–nave, utilizzando il metodo ITTC 1978. L’effetto scala sulla resistenza delle appendici fu incluso applicando, nella maggior parte dei casi, il fattore di forma ai risultati delle prove di resistenza su modelli con tutte le appendici installate. Il ‘Powering Commitee’ del XVII ITTC dimostrò che questa procedura porta più o meno allo stesso livello medio dei coefficienti di correlazione CP , CN e CN P per navi monoelica e per navi bielica. Questi coefficienti sono i rapporti tra i valori dei giri e della potenza misurati al vero ed i valori previsti dagli esperimenti su modelli. In Tabella 3.4 sono riportati in percentuale i risultati dell’analisi di correlazione. L’analisi dei risultati mostra una buona consistenza statistica. Coefficienti Navi Monoelica Navi Bielica Tutte le Navi CP CN CN P 101.0 100.3 100.0 98.5 98.6 99.2 100.2 99.7 99.7 Tabella 3.4. Coefficienti di correlazione per giri e potenza Altri valori sono stati derivati negli anni da numerosi istituti di ricerca e laboratori idrodinamici, applicando approcci differenti all’effetto scala sulla resistenza delle appendici, alla formulazione della rugosità di carena, nonché all’influenza del numero di Froude sul fattore di forma. 116 3.5 – Metodo ITTC 1978 Giri di navi bielica Nel caso di navi bielica, ma anche per navi monoelica con poppe asimmetriche, il numero di giri effettivo dell’elica differisce dai valori misurati sulla linea d’assi. Questo è dovuto alla componente del flusso rotazionale sull’elica, prodotta dai ringrossi e dai braccioli della linea d’assi, oppure dalla poppa svirgolata. Perciò la determinazione degli elementi del rendimento di carena, specialmente quello della frazione di scia, richiedono un esame differenziato. Si deve distinguere tra due differenti numeri di giri, ossia: - n - numero di giri misurato sulla linea d’assi, - ne - numero di giri effettivo dll’elica. Si può scrivere ne = n + ni dove ni indica in qualche modo i ‘giri’ del flusso incidente sull’elica, un valore che non può essere misurato direttamente. L’entità di ni dipende dalle componenti tangenziali del campo di scia cosı̀ come dalla geometria dell’elica. Essa può essere definita e determinata come l’integrale delle componenti tangenziali della scia, considerata su tutto il disco–elica con una funzione peso che dipende dalla distribuzione del carico. Nel caso di navi bielica, esiste un altro modo, assai più valido, per determinare il valore di ni , scambiando ambedue le eliche ed invertendo il verso di rotazione. In prima approssimazione, i ‘giri’ del flusso incidente è uguale, quindi, alla semidifferenza dei numeri di giri delle eliche, quando ruotano verso l’esterno e verso l’interno 1 ni = (nout − nin ) 2 Quando si calcola la frazione di scia effettiva, si entra nel diagramma di fuzionamento dell’elica con i coefficienti di spinta, o di momento torcente, normalizzati rispetto a ne KT = T ρn2e D4 KQ = T ρn2e D5 La formula per determinare la frazione di scia effettiva è J ·ne D w =1− V Infine, i rendimenti di carena e di elica isolata sono calcolati rispettivamente come segue ηH = 1 − t ne · 1−w n ηO = T ·Va 2π n Q 117 (3.26) 3 – Previsioni sperimentali della potenza Non esiste alcuna variazione per quanto riguarda le formulazioni del rendimento relativo rotativo e del rendimento quasi–propulsivo, ossia ηR = ηD = 3.5.3 KQB KQ0 PE = ηH ·η0 ·ηR PD Evoluzione del metodo Lo sviluppo del Metodo ITTC 1978 intendeva inizialmente portare ad una maggiore omogeneità tra le Vasche navali di tutto il mondo ed offrire una solida base teorica ai vari approcci. Quando questo metodo fu introdotto ed implementato, fu utilizzata sostanzialmente una base teorica cosı̀ che l’empirismo potè essere ridotto al minimo. Quando questo metodo fu accettato nel 1978 per effettuare previsioni standard della potenza nave, per varie ragioni non sostituı̀ effettivamente i metodi esistenti, utilizzati dalla maggior parte delle vasche del mondo. La riluttanza ad assorbire il metodo è quasi ovunque riconducibile a questioni pratiche quali la mancanza di esperienza, le difficoltà di determinare il fattore di forma, la carenza di flessibilità del metodo nel trattare navi con appendici e propulsori complessi, nonché a parecchie obiezioni teoriche. Adattamenti successivi, soprattutto nel 1984 e nel 1987, non mutarono nella sostanza la situazione. Le modifiche introdotte riguardarono limitazioni allo scalaggio della scia per navi dalle forme di carena fini e gli effetti del timone, nonché la comprensione degli effetti separati della rugosità di carena; inoltre, l’introduzione del coefficiente di correlazione del numero di giri CN P , mediante il quale sono salvaguardate contemporaneamente sia l’identità di potenza, sia l’identità del numero di giri. Tuttavia, in parecchi laboratori idrodinamici sono stati incorporati elementi dell’ITTC 1978 nella pratica quotidiana. In altri sono utilizzate versioni modificate del metodo. Nella corrente pratica sperimentale esiste un bisogno crescente di metodi più sofisticati della procedura prevista dall’ITTC 1978, anche perché negli anni sono state sviluppate nuove tipologie di carene con rapporti dimensionali a volte inusuali, nuove configurazioni di appendici, e una varietà sempre più vasta di tipi di propulsori. È auspicabile che siano sviluppati metodi di trattazione degli effetti scala delle singole componenti, quando si vogliano determinare i meriti relativi delle varie configurazioni e di diversi tipi di propulsori mediante esperimenti su modelli. Certamente sono necessari l’implementazione di una migliore formulazione della resistenza della lastra piana, un aggiornamento della valutazione dell’effetto scala sulla scia tenendo conto della dipendenza dal carico dei fattori propulsivi, e la trattazione del problema dell’estensione incognita del flusso laminare sulle eliche modello. Inoltre, ulteriore attenzione andrebbe dedicata alla sperimentazione su forme di carena che subiscono severa separazione del flusso. 118 Bibliografia [1] Abkowitz, M.A.: The Use of System Identification Techniques to Measure the Ship Resistance, Powering, Manoeuvring: Coefficients of the Exxon Philadelphia, a Navy Submarine from Simple Trials during a Routine Voyage, Proceedings, 15th ATTC, 1989. 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