Emiliano Gennaro - primo intervento (FRANKENSTEIN)

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Emiliano Gennaro - primo intervento (FRANKENSTEIN)
ETICA E TECNICA NEL FRANKENSTEIN DI MARY SHELLEY
Di Emiliano Gennaro matr. 963193
In questo progresso scorsoio
non so se vengo ingoiato
o se ingoio1
Il romanzo di Mary Shelley vede la sua prima stesura nel 1818 (edito in tre volumi) in forma
semianonima con prefazione di Percy Shelley, la seconda, sulla scia del successo della prima
riduzione teatrale nel 1825, curata da William Godwin, padre di Mary, e quella definitiva (in due
volumi) nel 1831. Frankenstein rappresenta uno snodo cruciale del romanzo gotico e della
letteratura moderna europea: la creazione del più significativo e popolare dei moderni simboli del
terrore e l’archetipo, ancora oggi valido, della relazione uomo-conoscenza nell’epoca della
modernità e della contemporaneità scientifica. Frankenstein è un uomo di scienza che mira a
superare ed allargare i confini della conoscenza umana, dominando la fenomenologia della vita e
della morte, della creazione e della distruzione, rispondendo alle paure millenarie della specie
umana. Frankenstein è la proiezione delle paure e dei desideri più remoti dell’uomo: la paura della
morte e il potere della conoscenza suprema, quella capace di creare la vita.
Io mi detti molto da fare a pensare a una storia […] Una storia che parlasse alle misteriose
paure sepolte nella nostra natura, e che risvegliasse brividi di orrore2
Il Frankenstein di Mary Shelley ha prodotto una storia che per prima fissa gli elementi della
moderna concezione del corpo umano e della sua violazione, del suo divenire assemblaggio di parti
da sistema armonico rispecchiante la traccia del divino. Il corpo umano di Victor Frankenstein è sia
un terreno stabile per gli esperimenti in un tempo di cambiamenti rapidi come mai prima, sia un
fragile, limitato ricettacolo che desideriamo fare, disfare e rifare; e da questa prima incredibile
creazione il mito di Frankenstein si riproporrà nel rapporto postmoderno dell’uomo con la
tecnologia, nel cyborg, nel robocop, nel trapianto di organi ed arti, nelle amputazioni e negli innesti
1
2
A. ZANZOTTO, epigramma, In In questo progresso scorsoio, Milano, Garzanti, 2009, p. 10 M. SHELLEY, prefazione in Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno, Milano, Rizzoli, 1987, traduzione di Bruno
Tasso
di silicone, nella body-art, negli esperimenti genetici di clonazione fino alle nuove vite artificiali
simulate nei programmi stile “A-life”.
Che cosa accade in Frankenstein? La domanda evoca un plot abbastanza semplice. Un uomo, uno
scienziato, crea un essere vivente che, divenuto mostruoso, si rivolta contro il suo creatore. Vi sono
molti motivi nel romanzo, ma il motivo portante del mito di Frankenstein è centrato sul
conseguimento e sull’uso della conoscenza, sul potere che la conoscenza può conferire, un potere
drammatizzato dalla creazione della vita. Tuttavia l’opera risulta essere di tipo problematico e
presenta un reticolato di rara complessità che ha dato adito alle interpretazioni ed alla letteratura
critica più contrastante. Nel romanzo di Shelley la creazione del Mostro avviene in una dimensione
puramente materiale e scientifica, con l’assemblaggio di varie parti che convergono nella creazione
di un unico corpo. Parallelamente l’opera vede la mescolanza di vari livelli tematici e narrativi;
quello mitologico, quello psicologico, quello politico, quello scientifico, quello miltoniano, in una
dimensione di polisemicità che inscrive il romanzo in un ipotetico Canone della modernità.
LIVELLO STRUTTURALE NARRATIVO.
Frankenstein fu pubblicato
prefazione di Percy Shelley, cui
per la prima volta nel 1818 in tre volumi e corredato di una
segue la seconda edizione del 1823 curata dal padre di Mary,
William Godwin, ed infine la terza e definitiva edizione del 1831 con testo completamente
riveduto su cui si basano tutte le edizioni e le traduzioni successive. La complessità poco sopra
accennata si evidenzia già ad un livello epidermico-strutturale e di meccanismi narrativi.
Il romanzo mostra infatti una struttura di tipo epistolare mutuata molto probabilmente da Samuel
Richardson, autore del romanzo epistolare Pamela, o la virtù premiata che ebbe notevole influenza
sulla letteratura sentimentale e romantica successiva, che mostra una struttura concentrica in una
sorta di incastro a bambole russe. C’è un contenitore esterno rappresentato dallo scambio epistolare
tra il capitano Robert Walton e la sorella, Mrs Saville, di cui si fa menzione esclusivamente come
mera destinataria passiva delle lettere del fratello. Le lettere di Walton a loro volta contengono la
narrazione di Victor e poi quella del Mostro, che opera una narrazione di secondo grado,
raccontando anche le vicissitudini della famiglia De Lacey, con una graduale penetrazione nel
profondo dell’oscurità e delle paure che contraddistingue tutta la narrativa gotica. La forma
epistolare permette alla Shelley di esprimere i sentimenti ed i pensieri più intimi attraverso una
regolazione ed una rielaborazione operata dalla scrittura, lasciando intenzionalmente Frankenstein e
il suo Mostro tragicamente isolati nella loro solitudine, rivolti unicamente l’uno contro l’altro, l’uno
specchio dell’altro, mentre il capitano Walton ha un’interlocutrice, la signora Saville, nella quale il
lettore si rispecchia: anch’egli è passivo fruitore della storia narrata. Da questo punto di vista la
narrazione gotica della Shelley prende a prestito3 la strumentazione del romanzo “realista” (anche
se com’è noto questo termine designerà un certo tipo di narrativa solo nella seconda metà
dell’ottocento) per aumentare il proprio tasso di credibilità: il romanzo gotico utilizza una
narrazione in qualche modo oggettivizzante tessendo il sublime e l’orrorifico in meccanismi di
credibilità narrativa. Inoltre questa complicata struttura narrativa, studiata per aumentare la dose di
realismo, aumentare il gioco delle attese e della suspance, crea una moltiplicazione dei soggetti
narranti e permette all’autrice di creare una “distanza di sicurezza” da ognuno dei personaggi,
nessuno dei quali risulta essere un narratore più credibile degli altri e nessuno dei quali permette
un’identificazione con l’autrice: è per questo che gran parte della critica4 proiettano la figura
dell’autrice in quella passiva di Mrs Saville. Il gioco di narrazioni a incastro si configura infine
anche come vera e propria azione metalinguistica: Frankenstein è una storia gotica, è la scrittura di
un mito dell’immaginario moderno, ma è anche una storia di Narrazione, ed in questo senso è
significativo che tutti i personaggi, in special modo il Mostro, siano in grado di ergersi ad entità
narranti. La valenza metaletteraria dell’opera è così evidente che nel corso della storia viene fatta
una vera e propria operazione di Canone con la citazione diretta ed indiretta dei punti di riferimento
letterari (ma anche storico-culturali) dell’autrice, un canone molto vicino ad opere che saranno punti
di riferimento per i romantici:
I dolori del giovane werther di Goethe, la ballata del vecchio marinaio, di Coleridge, il paradiso
perduto di Milton, un richiamo diretto all’inferno dantesco, le vite di Plutarco e Ruins of Empire di
Volney (fiosofo e orientalista francese che visse a cavallo tra sette e ottocento), oltre che la
perturbante presenza del mito faustiano di Marlowe che attraversa ed impregna una buona metà del
romanzo.
L’ambientazione della vicenda al polo, il personaggio di Robert Walton, l’inseguimento perenne tra
Victor ed il suo Mostro richiamano chiaramente il poemetto la ballata del vecchio marinaio ed
anticipa i temi dell’epico scontro tra l’uomo e il suo doppio-selvaggio (penso al capitano Acab e a
Moby dick o alla discesa selvaggia in Cuore di Tenebra) . I personaggi di Walton e Victor
sembrano configurarsi l’uno come specchio dell’altro ed appaiono come chiaro riferimento alla
figura prometeica o di Ulisse: essi sono a tutto tondo degli ulissidi, dei personaggi che riprendono la
3
Questa posizione di “utilizzo dei meccanismi della narrazione “realista” ” è stata esposta dal Prof. Capoferro nel suo
seminario del 28/03/2014
4
Cfr. C. CORTI, Sul discorso fantastico. La narrazione nel romanzo gotico, Ets Editori, Pisa, 1989, pp. 118119
figura dell’Ulisse dantesco che si spinge al di là dei limiti del conoscibile e viene per questo punito.
Ma lo sono alla luce della modernità: il moderno Prometeo non è un’eroica figura mitologica che
sfida la collera divina, egli non appartiene più alla dimensione mitologico-letteraria bensì a quella
materiale e scientifica (sintomatico a questo proposito il passaggio dl capitano Walton che
abbandona la sua passione letteraria e la sua vocazione poetica per abbracciare la moderna scienza e
la navigazione): il prometeo moderno non è più figlio dell’epos, bensì della tecnica.
Walton nel suo incontro con Victor dirà ben presto allo scienziato “I would sacrifice my fortune,
my existence. My every hope to the furtherance of my enterprise. One’s man life or death
were but a small price to pay for the acquirement of the Knowledge wich I sought5”, il quale
metterà in guardia il navigatore dal rischio di una simile follia: “Unhappy man! Do you share my
madness? Have you drank also of the intoxicating draught? Hear me, let me reveal my tale,
and you will dash the cup from your lips6” ma poi condannerà senza appello lui e la sua ciurma
(ribadendo la sua condizione ontologica prometeica-ulissianica) nella scelta di fermare la traversata
artica e fare ritorno a casa.
Etica Tecnica Pathos Thanatos
La Modernità, dunque. Un Prometeo in “camice bianco” che maneggia il fuoco della moderna
conoscenza o che solca il mare nella pretesa di inscrivere le immensità oceaniche ed artiche, un
tempo irraggiungibili per l’uomo e dimora per demoni più o meno pagani, dentro una mappa
cartografica o un sistema cartesiano. Il moderno Prometeo potrebbe essere Galileo, o Cartesio, o
Copernico; il moderno prometeo è un Konrad Dippel armato di attrezzature mediche e manuali
scientifici appena stampati. Il Frankenstein è quindi senza dubbio un romanzo ed un’opera della
modernità scientifica ed è a tutti gli effetti un’opera figlia dell’illuminismo e di quei grandi
stravolgimenti epocali che avevano acceso i propri lumi sulla cultura europea, dei lumi che tuttavia
avevano contemporaneamente proiettato anche le ombre e il soggettivismo che hanno
compartecipato alla diffusione dei movimenti di stampo irrazionalistico. A questo proposito decisivi
elementi di rinnovamento sono certamente state le grandi rivoluzioni scientifiche e culturali che,
dalla seconda metà del Cinquecento in poi, hanno determinato e rivoluzionato l’orizzonte culturale
Europeo. Dapprima Galilei e, più sistematicamente, Cartesio gettano un pesantissimo dubbio circa
5
Sacrificherei la mia fortuna, la mia esistenza, ogni speranza a favore della mia impresa. La vita o la morte di un uomo
sarebbe solo un piccolo prezzo da pagare per acquisire la conoscenza che cerco
6
Infelice! Condividi la mia follia?Ne hai bevuto anche tu di quella dose intossicante? Ascoltami!Lascia che ti riveli la
mia storia e scaglierai via la coppa dalle tue labbra la veridicità delle sensazioni corporee (con le logiche conseguenze che questo ha sulla semantica
del linguaggio degli affetti dell’artista) e della natura stessa della realtà oggettiva che si osserva.
All’assenza di affetti della natura Galilei aggiunge l’assenza delle qualità sensoriali, affermando
che sapori, odori, suoni non sono caratteristiche intrinseche dell’oggetto materiale in sé, ma
costituiscono mera percezione del soggetto senziente
Per lo che io vo pensando che questi sapori, colori, odori ecc. per la parte del suggetto nel
quale ci par che riseggano, non siano altri che puri nomi, ma tengano solamente lor residenza
nel corpo sensitivo, sì che rimosso l’animale, sieno levate e annichilate tutte queste qualità7.
Tutte queste sensazioni sono apparenze soggettive del soggetto vivente: ogni ulteriore legame con
un tu, con un oggetto, viene definitivamente smantellato nella sua oggettività e permane unicamente
la realtà irreale delle qualità sensoriali del soggetto. Questo elemento è fondamentale in quanto
viene messo in discussione il rapporto di rispecchiamento diretto tra oggetto esterno, sensi e
intelletto, ch’era stato viceversa un presupposto “realista” pur discusso ma saldo delle teorie della
conoscenza delle filosofie antiche e medievali, così come delle filosofie umanistiche e
rinascimentali8. La stessa idea del sapere e della conoscenza come corpus unitario viene smantellata
e l’idea di un sapere come organismo vivente viene sostituita da un sapere di tipo modulare9 in cui i
vari aspetti dal sapere sono mobili ed intercambiabili, quasi fossero pezzi assemblabili di un corpus
indefinito e frankensteiniano. E’ questo l’humus in cui si muove lo scienziato Victor e la scrittrice
Shelley: il linguaggio letterario deve caricare su di sé l’esperienza della verità sotto la forma
dell’esperienza del disinganno operata dalla moderna scienza. Su questa via non rimane che il
regresso in quelle regioni primitive del sensibile: il mostro, il selvaggio, l’irrazionale, il discorso
etico-filosofico, anche se strutturato in una dimensione materialista e scientifica. Il passaggio del
giovane Victor dai modelli “antico-medievali”, incarnati da autori come Cornelio Agrippa e Alberto
Magno, punti di riferimento iniziali dello scienziato, alla moderna chimica organica dell’università
di Inglostad è il rispecchiamento dell’evoluzione delle teorie scientifiche da quelle alchemiche,
costruite su un sistema teologico cristiano, a quelle moderne, costruite riflettendo il metodo
scientifico galileiano, dalla figura del Golem e dell’homunculus a quella di un uomo creato
artificialmente in laboratorio. Durante il medioevo si passa da racconti di uomini che modellavano
7
G. GALILEI, Il Saggiatore, in Opere di Galileo Galilei (a cura di F. BRUNETTI), UTET, Torino, 1980, vol. I
8
G. STABILE, scienza e disincantamento del mondo: poesia, verità, nulla in Leopardi, In Leopardi e il pensiero
scientifico, 14-16 maggio 1998 Roma, p. 201
9
Cfr. G. STABILE, puzzle e lego: l’enciclopedia e le sue forme, in Critica del testo: il canone alla fine del millennio,
III/1, 2000 un rozzo simulacro e vi infondevano la vita con l’aiuto del soprannaturale a uomini che costruivano
le loro creature secondo progetti scientifici o pseudoscientifici. Ad Alberto Magno nel 13esimo
secolo fu attribuita la costruzione di un servitore di ottone, mentre l’alchimista Cornelio Agrippa
(che visse nel 16esimo secolo) lascia tra i suoi scritti una sorta di “ricetta” a base di sangue, feci e
sperma su come generare un omuncolo. Ci si sarebbe potuti quindi aspettare che Mary si rivolgesse
all’alchimia o all’esoterismo, al soprannaturale, per trovare il principio animatore della vicenda.
Suo padre, William Godwin aveva scritto Lives of the Necromancers, che comprendeva dei capitoli
su Paracelso (Cornelio Agrippa) e Alberto Magno, e in effetti i due “scienziati” sono i primi punti di
riferimento del giovane Victor (e, molto probabilmente, in un’ottica autobiografica, della
giovanissima Mary) che però ben presto abbandonerà a favore della moderna chimica e della
biologia. In questo senso, simbolicamente, Frankenstein abbandona l’alchimia ed il passato per la
scienza ed il futuro, ed è ricompensato con il suo orribile successo. Per Victor, una volta abbracciata
la nuova scienza, “Darkness had no effect upon my fancy, and a churchyard was to me merely the
receptacle of bodies deprived of life, which, from being the seat of beauty and strength, had become
food for the worm10”. La stessa stimolazione elettrica dei cadaveri, che sarà lo stratagemma
narrativo più utilizzato dalle riletture del Frankenstein per visualizzare la scena della creazione (la
forza elettrica è solo accennata da Victor in un suo ricordo infantile di un albero annichilito da un
fulmine) era una tradizione inaugurata da Giovanni Aldini (nipote di Galvani) nel 1804: i corpi
oggetto di questi esperimenti si agitavano violentemente e si drizzavano persino in piedi come se
stessero per riprendere vita. Ben presto questo tipo di rianimazioni divennero l’attrazione principale
di dimostrazioni tenute da Aldini ed altri suoi colleghi nei teatri di Londra ed Edimburgo,
dimostrando contestualmente il tratto spettacolare-artistico della nuova scienza, le sue potenzialità e
i suoi tratti oscuri. La stessa dissezione dei cadaveri a scopo scientifico fu oggetto di grande
dibattito nell’Inghilterra di Mary, dalla promulgazione del Murder Act nel 1752 a quella dell’
Anatomy act nel 1832 che stabiliva che i corpi dei poveri, che nessuno reclamava, fossero trasferiti
nelle scuole di medicina, fino ai dibattiti sulla vivisezione in epoca vittoriana. Inoltre si ritiene che
fosse giunta all’attenzione degli Shelley i successi di Jacques Vaucanson che aveva fabbricato tre
famosi automi che erano stati mostrati in tutta Europa ed anche a Londra (nel 1742), un suonatore di
flauto, un tamburino e un’anatra che digeriva11.
10
“la tenebra non aveva alcun effetto sulla mia fantasia e un cimitero era solo il ricettacolo di corpi privi di vita che
dall’essere stati sede di bellezza e di forza, eran divenuti alimento del verme” 11
Cfr. J. TURNEY, Sulle tracce di Frankenstein. Scienza, genetica e cultura popolare, Edizioni di Comunità, Torino,
2000. Jon Turney insegna al dipartimento di studi scientifici e tecnologici presso lo University College di Londra. Nel
libro l’autore sostiene che la storia di Frankenstein ha influenzato e continua a influenzare il dibattito scientifico e
Per comprendere la portata e l’adesione alla realtà della tematica frankensteiniana si possono
ricordare, oltre che l’incremento massiccio della sperimentazione su cavie animali in epoca
vittoriana, anche i successivi esperimenti dei sovietici fin dagli anni ’20 del ‘900 di cui si hanno
documenti audiovisivi. I Sovietici si dilettavano con pratiche più sinistre di quelle che una mente normale
potrebbe immaginare: rianimavano singoli organi e parti del corpo delle loro cavie dando vita a
raccapriccianti creature, cani a due teste, pezzi di corpo funzionanti,ed altre creature deformi12 (e il sospetto
che la sperimentazione abbia interessato anche cavie umane appare
plausibile). Ancora più recente è
l’esperimento tenuto nel 2005 a Pittsburgh da alcuni scienziati statunitensi che hanno artificialmente indotto
uno stato di morte nei cani-cavie per alcune ore, per poi resuscitarli, per simulare situazioni cliniche del
paziente. Gli scienziati di Pittsburgh hanno preso un gruppo di cani, hanno svuotato le loro vene e hanno
sostituito il sangue con una soluzione salina a 7 gradi centigradi di temperatura. In questo modo, hanno
indotto negli animali uno stato di morte apparente: niente respiro, nessuna attività cardiaca, nessun segnale
cerebrale. Dopo tre ore in queste condizioni, hanno ripompato il sangue nel corpo delle bestie che, stimolate
con elettroshock e ossigeno per rimettere in moto cuore e polmoni, hanno ripreso a vivere, apparentemente
senza alcun danno agli organi vitali: siamo tuttoggi in pieno Frankenstein!
La stessa figura di Victor Frankenstein ha delle precise radici storiche nella figura quasi leggendaria del
medico alchimista Konrad Dippel, nato nel 1673 a Darmstad e morto in circostanze misteriose nel 1734
(forse per aver ingerito del veleno) dopo aver passato la propria vita alla ricerca dell’elisir di lunga vita,
violando cimiteri e cercando di dar vita in laboratorio ad un essere mostruoso.
Appare quindi un dato di fatto incontrovertibile che Mary Shelly si muovesse in una dimensione
assolutamente materialistica e fisiologica, lo dimostra che la stessa scelta di assemblare un gigante è dettata
da una esigenza di praticità (gli organi troppo piccoli sono più “scomodi”) piuttosto che da una scelta di
drammatizzazione gotica della vicenda: il soprannaturale Walpoliano, i fantasmi, gli spiriti, i demoni,
personaggi sublimi della narrativa tradizionale gotica sono sostituiti da questo gigantesco totem della
modernità umana, da questo feticcio della conoscenza.
Tuttavia, nonostante questa scelta di tipo materialista, in Frankenstein esiste/resiste/trionfa una fortissima
componente etico-religiosa in cui la distruzione di Victor (e del suo doppio orrori fero) appare inevitabile
poiché l’uomo ha commesso il peccato imperdonabile di proprorsi di superare i confini umani13. In questo è
evidente la comunanza di temi col Vathek di Beckford, che gli Shelley avevano letto: anche nella novella di
Beckford il protagonista siglerà un patto faustiano con il Giaurro per l’acquisizione dei Talismani di
traccia una lunghissima cronaca dell’intreccio tra la metafora frankensteiana e il dibattito scientifico dal 18esimo secolo
fino al contemporaneo dibattito sulle biotecnologie. 12
https://www.youtube.com/watch?v=HgiL4Xsb20g a questo link è possibile visionare un breve documentario
sovietico del 1940 dove vengono mostrati alcuni di questi esperimenti
13
Cfr. M. PRAZ, Frankenstein, introduzione, BUR, 2013
Solimano, simbolo della conoscenza suprema e quindi del potere assoluto sul mondo. La concezione che qui
predomina è ancora quella del trasgressore faustiano, non a caso Ingolstad, la località in cui Victor va a
studiare è la stessa università del Faust di Marlowe, ma nel caso del Frankenstein di Mary Shelley la
componente divina risulta essere assente, non vi è un patto mefistofelico ma “fisiomefistotelico”; il patto è
proposto, siglato e poi rotto da Victor e dal suo doppio demoniaco ma materiale, il Mostro, e la punizione
sembra ricadere non esclusivamente sullo scienziato, ma su entrambi , come fossero due facce della stessa
medaglia, poiché ai tormenti personali e familiari di Victor corrisponde la solitudine angosciosa del Mostro,
il disprezzo degli altri e l’impossibilità di integrarsi col genere umano. Nel mondo “laico” e “materialista”
della scienza contemporanea di Victor non vi è più spazio per la vendetta divina, bensì soltanto per la
“punizione ecologica14” ed al potere divino si sostituisce quello fisico, economico e politico. A questo
proposito risulta essere illuminante un passaggio del romanzo: nel secondo capitolo Victor svela a Robert
Walton il suo intento di creare un uomo artificiale e che anzi lui medesimo è divenuto capace di conferire
vita alla materia inanimata. Quindi Victor si rivolge a Walton in questi termini:
I see by your eagerness and the wonder and hope which your eyes express, my friend, that you expect
to be informed of the secret with which I am acquainted; that cannot be; listen patiently until the end
of my story, and you will easily perceive why I am reserved upon that subject. I will not lead you on,
unguarded and ardent as I then was, to your destruction and infallible misery. Learn from me, if not
by my precepts, at least by my example, how dangerous is the acquirement of knowledge and how
much happier that man is who believes his native town to be the world, than he who aspires to become
greater than his nature will allow15.
Il modo per animare la materia inanimata resta un segreto che Victor non svela a Robert né Shelley rivela al
lettore, e proprio in questo emergerebbe una possibile debolezza del romanzo. Qui, proprio in questo
passaggio, l’esitazione ontologica16 (che in fondo si sovrappone in parte col concetto di “incertezza
intellettuale” proposto da Jentsch, lo psicanalista citato da Freud ne il perturbante) sembrerebbe venir meno,
e, almeno per qualche istante, il carattere di finzione baluginerebbe dal testo: il lettore, specie quello
moderno, può accontentarsi di questa (non)spiegazione? In genere gli autori successivi di romanzi horrorfantascientifici cercano di alzare il velo, sia pure per un momento, ed invece in Frankenstein il mistero
rimane tale, con una certa delusione per il lettore moderno. Tuttavia questa scelta non appartiene solo ad una
retorica dell’indicibile tipica del romanzo gotico per cui almeno una parte della materia viva deve rimanere
avvolta nel mistero, ma anche ad una precisa volontà dell’autrice che colloca la storia in una dimensione
14
Ivi. P. 6 15
“Vedo dalla vostra impazienza, dalla meraviglia e dalla speranza che i vostri occhi esprimono, amico mio, che vi
aspettate di venire informato del segreto di cui io sono a conoscenza; ma ciò non può essere […] Imparate da me, se
non dai miei precetti, almeno dal mio esempio, quanto sia pericolosa la conquista del sapere” 16
L’esitazione e l’accrescimento ontologico sono due meccanismi tipici del romanzo gotico di cui ha parlato il Prof.
Capoferro durante il suo seminario del 26/03 etica e filosofica. La stessa famosa scena con la descrizione del Mostro occupa in fondo solo un paio di
paginette all’interno dell’intero romanzo ed il Mostro è descritto soprattutto per via indiretta, usando parole
che denotano la reazione del narratore e dei personaggi disgustati di fronte alla sua deformità piuttosto che
dei termini chiari e dirette che descrivano la materialità corporea del Mostro. Non è un caso che i termini che
andranno via via a designare il Mostro saranno epiteti come “demone”, la sua voce sarà simile a “ululati
bestiali” e il carattere materiale della creatura lascerà il passo ad un’aura malefica. E’ per questo che,
nonostante tutto, il Mostro di Frankenstein sembra non essere una forza che risiede nella natura, né nel
corpus sociale, quanto un mostro che risiede nell’immaginario umano. Ci troviamo, malgrado tutto,ancora in
un’area di sicurezza, o di speculazione filosofica.
L’altro grande mito rielaborato dal Frankenstein è certamente il mito biblico della creazione, che riprende il
tema miltoniano, affrontato dal Mostro a seguito della lettura del Paradiso Perduto. Il Mostro prende per
buona la storia raccontata da Milton ed opera un processo di identificazione tra la sua condizione e quella dei
protagonisti della vicenda, immedesimandosi prima in Adamo e poi in Satana. Inizialmente egli si sente
proprio come un Adamo, un essere unico e diverso da tutti gli altri, ma ben presto si rende conto che il vero
Adamo è accompagnato da una compagna, è amato dal suo Creatore, mentre lui vive nella profonda
solitudine. Subito dopo la sua attenzione ricade sulla figura di Satana: Il Mostro si trova a spiare la famiglia
di Lacey e di fronte a quella beatitudine in cui nonostante tutto vivono avverte una profonda invidia, la stessa
che prova Satana nei confronti della felicità umana. Ma anche in questo caso Il Mostro avverte come la sua
condizione sia ontologicamente solitaria, poiché anche Satana era, nonostante tutto, accompagnato dagli altri
diavoli nella sua eterna perdizione.
Molti critici avevano affermato che Milton, operando una conciliazione della teologia cristiana e delle nuove
tendenze razionalizzanti del suo tempo ed elevando in qualche modo Satana ad una sorta di eroica e sublime
figura ribelle, aveva operato una dissacrazione della materia sacra, e la Shelley sembra prendere parte a
favore di questa dissacrazione proiettando una certa dose di solidarietà al Mostro e a Satana, quasi fossero
entrambi l’emanazione del senso di colpa umano.
Tuttavia ci accorgiamo che la materia mitologica è rielaborata alla luce della modernità scientifica e
materialistica: ci troviamo di fronte ad un Prometeo privo di Giove, un Faust privo di Mefisto, un Adamo
senza Dio e, nonostante il tema etico persista e resista (e trionfi), i ruoli sembrano confondersi e fondersi tra
di loro. Il ruolo di buono e cattivo non è delineato, vittima e carnefice, schiavo e padrone si alternano, la
stessa “punizione”, lo stesso tragico destino investirà sia Victor che la sua Creatura, che, simbolicamente si
ricongiungeranno alle estremità del polo per poi morire quasi simultaneamente.
ALTRI LIVELLI – CENNI.
Il tema del viaggio è caratteristico del genere gotico e riprende da una parte le imprese dei cavalieri erranti,
dall’altra le escursioni effettuate in continente da parte degli aristocratici nel Grand Tour, il viaggio di
formazione. Il Grand Tour è direttamente omaggiato dall’autrice del Frankenstein sia nel racconto di Victor e
del suo disperato inseguimento tra le montagne e le lande desolate della Russia e dell’Europa, sia
nell’ambientazione del primo incontro tra Victor ed il Mostro nelle alpi Svizzere che tanto avevano
affascinato la giovane Mary. Anche l’assassinio di William, fratello minore di Victor può essere un accenno
di tipo autobiografico: William era il nome del secondogenito di Mary scomparso prematuramente in tenera
età, la cui morte fu fonte di ispirazione per alcune revisioni del romanzo.
LIVELLO FEMMINILE
Il Frankenstein segna anche una fase di rottura con la tradizione femminista del tempo (1815-1820), iniziata,
com’è noto, proprio dalla madre dell’autrice: gli studiosi vi hanno riconosciuto una sorta di disillusione nei
confronti del movimento femminista, perché i personaggi femminili nel romanzo sono statici e apatici. Tutte
i personaggi femminili del romanzo hanno una macabra fine: La madre di Victor in seguito alla scarlattina
trasmessale da Justine, la cameriera di famiglia, che sarà ingiustamente giustiziata poiché ritenuta colpevole
dell’assassinio di William. La stessa promessa sposa di Victor Elizabeth verrà uccisa, secondo la “profezia”
del Mostro, durante la prima notte di nozze. Proprio per questo alcuni studiosi hanno addirittura trovato nella
“Creatura” i tratti di una figura femminile che non riesce a conformarsi con le richieste della società moderna
e viene trattata quindi come una “creatura” differente
LIVELLO POLITICO
Alcuni studiosi hanno visto nel Frankenstein una sorta di allegoria della lotta di classe nel tempo della
primissima rivoluzione industriale inglese; in questo senso la deformità del mostro non sarebbe altro che
diretta metafora delle mostruosità politico-sociali che avevano investito l’Europa. Questo livello appare
evidente nei momenti in cui assistiamo al Mostro intento a spiare le conversazioni della famiglia De Lacey,
specie nell’istruzione della donna araba da parte di Felix sugli usi e costumi della società occidentale, in cui
viene letto il Ruins of Empire scritto dal conte di Volney nel 1791, in cui Il Mostro viene a conoscenza di
temi della nobiltà e della proprietà ottenendo un’ulteriore conferma circa la sua angosciosa solitudine
essendo lui ignaro della sua creazione, senza denaro, né amici, né alcun genere di proprietà. In questo senso
Mary Shelley riprende i temi del dibattito sulla Rivouzione Francese suggerendo indirettamente che forse la
violenza degli oppressi può essere motivata dalla frustrazione generata in loro dalla totale negligenza e
ingiustizia dei loro “genitori sociali”.
FRANKENSTEIN RACCONTATO DA CAPO: IL FRANKENSTEIN DI JAMES WHALE17
Basterebbero i semplici numeri ad indicare in quale modo la pervasività del mito Frankesteiniano nella
cultura di massa fin, elemento fondamentale, dalla sua prima edizione nel 1818. L’illustrated Frankenstein
Movie Guide compilato nel 1992 da Stephen Jones e il The frankenstein Catalogue di Donald Glut elencano
più di 400 film più o meno basati sullo script di Frankenstein, almeno 50 serie di fiction ed oltre 100
17
Cfr. J. TURNEY, Sulle tracce di Frankenstein, op. cit., CAP II
produzioni teatrali. Nei fumetti, a causa della debordante massa di materiale, l’elenco si ferma a quasi 600
voci singole e oltre 30 serie, senza contare le vignette sui giornali. Alla sua pubblicazione (semianonima) nel
1818 il romanzo fu salutato più o meno come uno scandalo dai recensori (con la lodevole eccezione dell’
Edinburg Magazine di Sir Walter Scott), ma le dure critiche non servirono ad allontanare il pubblico dei
lettori borghesi. Oggigiorno c’è una certa tendenza ad attribuire la diffusa familiarità con Frankenstein
soltanto al potere del cinema del XX secolo, questa tendenza è presto smentita dai fatti. La prima produzione
in palcoscenico del Frankenstein fu messa in scena per la prima volta a Londra nel 1823, Presumption; or the
Fate of Frankenstein di Richard Brinsley Peake, che ebbe un successo sensazionale aprendo la strada sia alla
prima ristampa del romanzo (dello stesso anno) sia ad una serie di ulteriori riduzioni teatrali (14 in Francia e
Inghilterra nei soli 3 anni successivi). La storia della ri-mediazione del Frankenstein è parallela alla storia dei
mezzi di comunicazione di massa e del nascere della società dei consumi che ha rimodulato e rielaborato il
mito frankensteniano, parola questa, che Steven Forry segnala sul Times già dopo appena un mese dalla
prima di Peake. Le esigenze del palcoscenico spinsero i drammaturghi a concentrarsi sullo sfondo gotico,
demonizzando la creatura ed ampliando il laboratorio, a cui spesso venivano conferite forti caratterizzazioni
alchemiche,e l’immagine del mostro fu legata a Frankenstein dai vignettisti politici per tutto il resto del
secolo.
Proprio una di queste produzioni teatrali è alla base del primo film su Frankenstein, del 1910, il cui Mostro
viene mostrato come generato da una sorta di calderone alchemico. Il punto di svolta avviene con le grandi
produzioni hollywoodiane che fissarono indelebilmente l’immagine (o forse lo stereotipo) del mito: il celebre
film di James Whale fu realizzato dalla Universal (che aveva appena registrato un grande successo con
Dracula interpretato da Bela Lugosi) nel 1931 con l’interpretazione di Boris Karlof. Il capo tagliato
orizzontalmente, la cicatrice sulla fronte a sottolineare l’innesto del cervello, il colorito cadaverico, elettrodi
impiantati nel collo, cerone. Questa muta, patetica ma minacciosa figura diventerà l’immagine di
Frankenstein (operando definitivamente l’identificazione del nome con la creatura e non con il creatore) di
quasi tutte le produzioni (di massa e non, di serie A fino alla serie Z) successive.
Seguono quindi “la moglie di Frankenstein” “il figlio di Frankenstein” “il cervello di Frankenstein” “la casa
di Frankenstein” rivisitazioni parodiche come il celebre “Frankenstein Junior” (che fu realizzato usando
attrezzature e materiali del Frankenstein di Whale).
La versione di James Whale non è tratta direttamente dal romanzo bensì dal dramma appena messo
in scena con successo a Londra, Frankenstein: An Aventure in the Macabre.
La storia si apre non con Walton ma con Henry (e non Victor) Frankenstein e il suo assistente Fritz,
che riesumano da un cimitero un cadavere da poco sepolto. La scena della creazione, alla presenza
di tutti i personaggi principali della vicenda, avviene dopo che abbiamo visto Fritz rubare un
“cervello criminale” dalla scuola di medicina. Insultato e drogato il Mostro fugge, ritorna nel giorno
delle nozze di Frankenstein (come nel romanzo), per trovare la morte nel fuoco in un mulino a
vento in fiamme.
Le differenze rispetto al romanzo sono lampanti, ma ciò che risulta più interessante sono due
elementi di banalizzazione della storia di Shelley. Nel film di Whale infatti, la catastrofe finale della
morte quasi contemporanea di Victor e del Mostro viene sostituita da un happy-end finale (il
Mostro muore, Henry si salva e può sposarsi con Elizabeth) che da un lato si inscrive nella
tradizione gotica, ma dall’altro costituisce una palese opera di banalizzazione ad uso e consumo
delle mere esigenze di mercato.
La stessa figura del mostro subisce una medesima opera di banalizzazione: nel romanzo di Shelley
abbiamo di fronte un assemblaggio artificiale che costituisce un chiaro esempio di quella “tabula
rasa” di cui parla John Locke; il mostro non ha opinioni innate, è un autodidatta che deve
apprendere tutto attraverso l’esperienza diretta, egli vive uno stato di incoscienza su cui tutto deve
essere ancora scritto. In questo senso egli è anche espressione dell’idea romantica di umana
innocenza associata a Jean-Jacques Rousseau (e ripresa, per esempio, da Leopardi soprattutto la sua
prima produzione lirica e nei primi anni di scrittura dello Zibaldone). Egli è quindi di natura
potenzialmente positiva, agile, istruito e dall’ottimo eloquio, le caratteristiche demoniache e bestiali
emergono solo in un secondo momento. La figura di Boris Karlof è invece un gigante subnormale18,
dai movimenti impacciati, muto, incolto, ontologicamente crudele, ontologicamente cattivo per un
mero scambio di cervelli, un escamotage narrativo tanto banale quanto riduttivo.
Medesima sorte subisce la figura di Victor che viene presentato con lo stereotipo dello “scienziato
pazzo” o del “ricercatore faustiano19” a seconda delle convenienze i cui echi sono rintracciabili nel
Dott. Stranamore di Kubrick, nello scienziato di “Ritorno al Futuro” fino al Dott. House,
protagonista dell’omonima serie televisiva.
Quest’esigenza di riduzione a stereotipi da un lato è insita nelle grammatiche dei moderni media di
massa, che funzionano proprio attraverso l’utilizzo di materiale banale e ben riconoscibile, ma
dall’altro può anche indicare la volontà della società contemporanea di relegare l’immagine
archetipale di Frankenstein in una dimensione di “sicurezza”: quel mostro in fondo non ci fa più
così tanta paura perché è diventato la macchietta di se stesso, i nostri sensi di colpa si dissolvono
nella sua condanna, che esclude, in fondo, la nostra.
18
Vedi fig. 1 19
Vedi fig. 2 Fig.1 Il Dott. Xabaras (anagramma di Abraxas, uno dei nomi del Diavolo) è il principale
antagonista della serie fumettistica Dylan Dog, edita dalla Sergio Bonelli Editore. Qui appare nel
numero 1 (del 1986) intento a sintetizzare un siero, che poi si rivelerà un particolare virus, che
iniettato nei cadaveri riesce a ridestarli, trasformandoli in non-morti
Fig. 2 Il Frank di Carletto il principe dei mostri, serie anime giapponese del 1968 e del 1980, è una
parodia del Frankenstein di James Whale: maggiordomo della casa dei mostriciattoli, è d’animo
sensibile, incline al pianto e si esprime spesso con un linguaggio incomprensibile
BIBLIOGRAFIA CRITICA
C. CORTI, Sul discorso fantastico. La narrazione nel romanzo gotico, Ets Editori, Pisa, 1989
G. GALILEI, Il Saggiatore, in Opere di Galileo Galilei (a cura di F. BRUNETTI), UTET, Torino, 1980
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G. STABILE, scienza e disincantamento del mondo: poesia, verità, nulla in Leopardi, In Leopardi e il
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G. STABILE, puzzle e lego: l’enciclopedia e le sue forme, in Critica del testo: il canone alla fine del
millennio, III/1, 2000
J. TURNEY, Sulle tracce di Frankenstein. Scienza, genetica e cultura popolare, Edizioni di Comunità,
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