internet-patia

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internet-patia
INTERNET-PATIA
Un rapporto
sulla dipendenza dal web
SOMMARIO
PREfAzIoNE – federico Tonioni ........................................................................ Pag. 5
CAPIToLo PRIMo
INTERNET E LA SUA EVOLUZIONE .................................................
1.1. La solitudine della tastiera .................................................................................
1.2. I social network ...............................................................................................................
1.3. I giochi, le scommesse, l’azzardo .............................................................
1.4. I siti pornografici ...........................................................................................................
1.5. La pedofilia on line .....................................................................................................
1.6. I siti violenti .........................................................................................................................
CAPIToLo SECoNDo
INTERNET E LA DIPENDENZA ...................................................................
Introduzione ........................................................................................................................................
2.1. La letteratura scientifica sul tema:
dai primi studi alle acquisizioni recenti ............................................
2.2. Varie tipologie di dipendenza dalla Rete .........................................
2.2.1. Dipendenza dalle relazioni virtuali ......................................
2.2.2. Dipendenza dal sesso virtuale ....................................................
2.2.3. Dipendenza da cyber pornografia .........................................
2.2.4. Dipendenza dal gioco in Rete: i videogame .............
2.2.5. Dipendenza dal gioco in Rete:
il gioco d’azzardo patologico ......................................................
2.2.6. Dipendenza da commercio compulsivo
in Rete: il trading online ....................................................................
2.2.7. Dipendenza da commercio compulsivo
in Rete: lo shopping e le aste online ...................................
2.2.8. Dipendenza dal controllo delle email ...............................
2.2.9. Sovraccarico cognitivo: l’Information overload ......
2.3. Verso la dipendenza ...................................................................................................
2.4. I soggetti a rischio ........................................................................................................
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CAPIToLo TERzo
LA PREVENZIONE E LA CURA ................................................................... Pag. 87
3.1. I primi sintomi avvertiti dall’internauta
e dai familiari ..................................................................................................................... “ 87
3.2. fattori psicofisici che inducono alla dipendenza .................. “ 94
3.3. fattori sociali e ambientali che favoriscono
la dipendenza ...................................................................................................................... “ 98
3.4. Comportamenti a rischio ..................................................................................... “ 104
CAPIToLo QUARTo
L’AZIONE SOLIDALE DI CONTRASTO
ALLA INTERNET-PATIA ..........................................................................................
4.1. Il ruolo della famiglia ..............................................................................................
La scuola e la media education .............................................................................
4.2. Il ruolo della famiglia ..............................................................................................
Il servizio sanitario nazionale e gli ambulatori
per la cura della dipendenza .....................................................................................
4.3. Dipendenza da Internet e SSN ......................................................................
L’esperienza pilota nell’area pistoiese ........................................................
3a. L’esperienza del Policlinico Gemelli di Roma ........................
3b. L’esperienza dell’ospedale Villa Santa Giuliana
di Verona ..................................................................................................................................
3c. L’esperienza pilota nell’area pistoiese ................................................
3d. L’esperienza del Dipartimento
Dipendenze Patologiche della ASL di Bari ..................................
L’iniziativa della Chiesa cattolica
4.4. La formazione dei giovani attraverso i genitori
e gli educatori
Il sistema dei media (web, televisioni e giornali)
CAPIToLo QUINTo
ESPERIENZE DI INTERNET-PATIA
E CASI DOCUMENTATI
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PREFAZIONE
di federico Tonioni
Internet ha rivoluzionato la comunicazione dando vita, per la prima
volta, ad una rete di contatti globale ed accessibile a tutti. Questo strumento interattivo consente di svolgere molte attività del quotidiano
con un notevole risparmio di tempo e risorse.
Costituisce una integrazione della nostra realtà, ma può divenirne
un’alternativa, un mondo parallelo.
Questa nuova realtà rende possibile un’esplorazione senza punti di riferimento né spaziali (si può navigare senza meta, senza scopo) né temporali. Il tempo, mentre navighiamo, non è più scandito dai parametri
della vita reale. In quest’ottica è inevitabile che venga sottratto tempo
alle relazioni vissute in famiglia. È questa la prima fonte di preoccupazione per molti genitori che colgono in questo comportamento non una
risorsa ma un segnale che indica la difficoltà di loro figlio ad avere relazioni in un mondo reale. Disorientati i genitori tendono a reagire imponendo restrizioni, punizioni o ricatti che si rivelano poco utili. Si può
essere indotti a mettere in atto atteggiamenti di controllo, contribuendo
ad aumentare la distanza dall’adolescente che non accetta di buon grado compromessi o controlli sovraimposti, specie se a sua insaputa.
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É utile relazionarsi rispettando lo spazio e l’intimità dei ragazzi, domandando incuriositi cosa stia facendo o pensando ricevendo così risposte più
o meno soddisfacenti le nostre aspettative. Ciò che non viene detto appartiene alla sfera dell’intimità che ognuno di noi ha diritto a proteggere. I
genitori, anche spinti dal desiderio di colmare la distanza, possono sorvegliare di nascosto i loro figli. L’atto di spiare contiene in sé un pregiudizio
di colpa, inducendo un’alterata percezione e interpretazione di ciò che si
osserva. Ciò può contribuire ad un ulteriore allontanamento dovuto ad
un’interpretazione distorta della realtà, frutto della posizione da cui si
guarda. Spesso controllare è più dannoso per chi lo attiva piuttosto che
per chi inconsapevolmente lo subisce. Così guardare di nascosto può dare
l’illusione di prestare le dovute attenzioni ai nostri figli, quando in realtà
può contribuire ad un’ulteriore perdita di intimità nei loro confronti.
Di fatto si assiste, tramite lo sviluppo della rete virtuale, ad una moltiplicazione esponenziale delle relazioni con il gruppo dei pari a discapito
della comunicazione con la generazione precedente, quella dei genitori.
D’altro canto, durante l’adolescenza è comune sperimentare la sofferenza, il trasgredire le regole e il sentirsi incompresi, spesso il parere di un
amico assume un valore superiore rispetto a quello di un famigliare.
Relazionarsi con un adolescente significherà prima di tutto accettare che
possa essere così distante e che non sempre è possibile attirare la sua attenzione. Come quando connesso a internet ci appare completamente
impermeabile al resto del mondo, suscitando in chi lo osserva preoccupazione per una condizione che è, invece, vissuta come perfettamente
normale dal ragazzo stesso. Spesso il tentativo di impedire o mettere limiti alle ore di connessione, in risposta magari al tempo sottratto allo studio, genererà una reazione di difesa aggressiva da parte dell’adolescente.
La rete ha indotto modificazioni nel modo di vivere e di pensare, favorendo una riduzione delle relazioni personali vissute vis à vis aumentando, di contro, quelle web mediate che assumono sembianze patologiche solo se non sono più in funzione della realtà ma tendono a sostituirla. Ciò che appare normale per chi è nato e cresciuto nell’era digitale genera in noi prima diffidenza che curiosità, perché da sempre
l’ignoto desta allarme e preoccupazione.
Porre l’attenzione sul concetto di psicopatologia web mediata, nato all’interno dell’esperienza clinica svolta presso il Policlinico Gemelli di
Roma, è servito a separare la dipendenza patologica comportamentale
da quelle forme morbose “espansive”, caratterizzate da dinamiche disfunzionali complesse, che lasciano pensare ad acquisizioni di basi
mentali diverse, quelle di bambini e adolescenti nativi digitali.
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I cambiamenti evolutivi, generati dalla diffusione di internet, possono
presentarsi come un paradosso. Come detto, si assiste ad un aumento
delle possibilità di comunicare tra coetanei tramite la rete, ma si complicano le relazioni con i genitori. D’altro canto per la prima volta nella
storia dell’evoluzione umana, il ruolo genitoriale, che propone l’adulto
come riferimento, è spesso inficiato dal fatto che si è meno competenti
dei nostri figli nell’ambito del cyber spazio. Per dirla con Nicholas Negroponte, fondatore e il direttore del Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology: “io, come voi, appartengo ad una generazione che non è nata nel mondo globale, che conosce anche un prima
del computer ed è cresciuta al di fuori di certi input nei quali sono invece immersi i nostri figli che rappresentano una nuova civiltà, descrivendo, una divisione assoluta tra chi è digitale e chi non lo è, quelli che
io chiamo i senza tetto digitali sono molto intelligenti, molto bravi, di
solito sono persone benestanti di quarant’anni o più, ma hanno un problema: sono giunti in questo paese troppo presto. Queste persone imparano dai loro figli” (Negroponte, 2010).
Questa evoluzione ha ampliato la normale distanza generazionale, fondamentale per ogni adolescente per crescere e definire la propria identità, tale per cui il livello contro-transferale sembra essere caratterizzato
non tanto, come era stato per noi, da vissuti di conflitto ma da sentimenti di vuoto o addirittura assenza. In questa nuova visione evolutiva,
se il processo di crescita acquisisce caratteristiche patologiche, spesso
si assiste al configurarsi di veri e propri stati di dissociazione emotiva.
Essere “nativi digitali” significa vivere in un mondo dove i riferimenti
spazio-temporali appaiono molto modificati. Il concetto di spazio si è
rivoluzionato a tal punto che sembra invertirsi, per cui ciò che è concretamente distante può apparire vicino ed al contrario ciò che è potenzialmente vicino sembra lontanissimo. Il tempo digitale, a sua volta, risulta
essere molto più intenso, tende a sovrapporsi: pensiamo al multitasking
e quindi alla possibilità di fare più cose insieme. Tale caratteristica tende a favorire la compulsione proprio perché viene ridotta l’attesa e di
conseguenza anche la nostra capacità di attendere. È in questa nuova
ottica che cerchiamo di comprendere i nostri pazienti, i quali presentano una dissociazione sia con il corpo inteso concretamente che a carico
dell’identità, e cerchiamo di capire il significato di quadri caratterizzati
dal passare tutto il tempo disponibile su internet, nella maggior parte
dei casi compromettendo l’andamento scolastico o universitario. Spesso è presente un incremento dell’ideazione paranoide e una difficoltà a
riconoscere e gestire le emozioni che va ad inficiare le relazioni inter7
personali vis à vis fino ad arrivare ad un progressivo ritiro sociale. La
maggior parte si presenta come ragazzi razionali e logici con una difficoltà specifica nel riconoscere e vivere le proprie emozioni: faticano a
sentirle come proprie e a dargli un significato, un nome e, di conseguenza, valore. Vi è, come detto, un’assenza di rapporto con il corpo e
con le sue funzioni, tanto da rendere difficile il solo potersi immaginare
in un’attività sportiva o nella sessualità. L’aggressività è spesso coartata o rimossa e tende ad esplodere solo se sentono minacciate le ore di
connessione. Presentano spesso storie di separazioni e conflitti affettivi
mai elaborati, a volte hanno anche subito atti di bullismo. Sono ragazzi
che esprimono e ricercano nella rete il loro bisogno e la loro difficoltà
di interagire con gli altri, evidenziando una tendenza all’interattività,
che li differenzia dagli adulti. Sembrano avere una famelica necessità
di relazioni che può però al tempo stesso essere negata comportando il
rischio del ritiro sociale. L’adolescenza è per tutti coloro che la vivono
un momento in cui il sentimento di solitudine è molto profondo e questo spinge chi lo vive a cercare di compensarlo all’esterno, nel gruppo
dei pari che in questa fase rappresenta il vero punto di riferimento fondamentale per la costruzione dell’identità propria che si acquisisce al di
fuori di regole ed esempi genitoriali che non possono essere accettati.
Attraverso la comunicazione online, pensiamo ai social network o ai
giochi di ruolo, le conferme e la necessità di rispecchiarsi, necessarie
per la formazione di una propria identità, avvengono in un ambito più
protetto rispetto alle relazioni dal vivo. Si possono avvertire in misura
minore le naturali incertezze o difficoltà nel relazionarsi così da permettere ai ragazzi che si sentono inadeguati la possibilità di rendersi
competenti oltrepassando le proprie insicurezze. È così che il monitor
assume una funzione di barriera contro gli stimoli emotivi avvertiti come troppo forti. In questo senso la rete può funzionare da stampella e
quindi essere funzionale alla crescita o come rifugio, in cui gli spunti
emotivi non riescono a diventare esperienza e da una potenziale evoluzione si può regredire fino all’instaurarsi di una condizione patologica.
Di fatto le relazioni web-mediate sono parziali, non mettono in gioco la
persona nella sua interezza, come avviene dal vivo, ma consentono di
favorire l’espressione di certi aspetti e di nascondere ciò che viene avvertito come non presentabile. Se l’utilizzo di chat, social network o
giochi online non possono essere inquadrate come dipendenze patologiche perché rappresentano un nuovo modo di comunicare tra aspetti
parziali nostri con quelli altrui, ci si può però alienare dalla realtà o, come nelle psicosi, mettere in atto le uniche relazioni possibili. In questo
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senso l’hikikomori, una grave condotta di ritiro sociale sviluppatasi in
Giappone, ci appare come la conseguenza di un fallimento nelle relazioni dal vivo in un particolare ambiente, che genera la necessità di isolarsi, nella propria stanza, e di comunicare con il mondo esterno solo
tramite la rete in una condizione di alienazione mentale ed impoverimento affettivo. Tale fenomeno si è espanso, in forme attenuate, come
possibile manifestazione di una difesa, ad eccezione delle condizioni
psicotiche primarie, in cui la relazione con l’altro non viene inficiata
ma al contrario viene favorita, come se fosse un nuovo modo di stare al
mondo. Il progressivo ritiro può nascere come risposta all’impossibilità
di tollerare gli stimoli emotivi che l’interazione con la realtà comporta.
Come detto, stati di tensione emotiva, come l’aggressività, sono difficilmente tollerabili e vengono più spesso negati, vissuti come non propri e fonte di pericolo dal quale è necessario difendersi. Il ritiro sociale,
in questo senso, ci appare funzionale a proteggere il ragazzo dal mondo
esterno ma anche da se stesso. Ci troviamo di fronte a cambiamenti socioculturali tali per cui essere genitori oggi è un compito davvero arduo
e la possibilità di considerare patologici i comportamenti dei nostri figli
è spesso la conseguenza del fatto che questo nuovo modo di stare al
mondo ci risulta incomprensibile. Inoltre, la capacità di avere fiducia e
la conseguente possibilità di lasciare lo spazio vitale, necessario ad
ognuno per crescere, spesso si avverte come sensazione di essere assenti nei loro confronti. Sarà allora importante non solo comprendere le
paure dei nostri figli ma anche e soprattutto dare un posto dentro di noi
ai loro pensieri e alle loro angosce.
I giovani che manifestano un progressivo ritiro sociale, alla stessa
stregua dei giovani che soccombono di fronte ad esperienze di umiliazione e vergogna, presentano una specifica difficoltà nella percezione
e gestione delle emozioni, in particolare ad usare in modo costruttivo
l’aggressività che viene talmente tanto coartata da potersi esprimere
solo attraverso esplosioni di rabbia. Una sana aggressività non solo ci
fa sentire vivi e reali ma è anche necessaria per conquistare e difendere
il nostro spazio nel mondo e per permetterci di esprimere il nostro
punto di vita. Questa diventa rabbia se non ha tale possibilità. La rabbia può seguire due strade; può essere trattenuta e quindi determinare
condizioni depressive e ritiro sociale o essere scaricata all’esterno attraverso comportamenti antisociali. Da qui sembra trarre origine la
possibilità di essere vittima o persecutore.
Anche all’interno della rete e quindi del mondo virtuale si è manifestato il fenomeno del bullismo detto appunto cyberbullismo. Si presenta
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come in stretta continuità con il bullismo classicamente inteso ma con
caratteristiche qualitativamente diverse e conseguenze spesso fuori
controllo. L’aggressività è esponenzialmente aumentata online; ciò
che nella vita reale limita la manifestazione di istinti e quindi comportamenti è la presenza fisica dell’altro, che nel mondo virtuale non è
presente. Pensiamo alla facilità con cui alziamo i toni in un litigio telefonico rispetto ad un contrasto dal vivo. Inoltre l’assenza del corpo
permette una comunicazione che non tiene conto del linguaggio non
verbale e di conseguenza tende a favorire la disinibizione, l’incremento dell’aggressività e la sessualizzazione nelle relazioni. Altra differenza è data dall’assenza degli adulti che, insieme alla condizione di
anonimato consentita da internet, favoriscono il manifestarsi di istinti
senza provare sentimenti di colpa. Le conseguenze di questo fenomeno hanno un alto potenziale di condurre ad esiti drammatici anche perché la visibilità è senza confini. Se per esistere un atto di bullismo necessita sicuramente di vittima e di persecutore, la presenza degli spettatori è essenziale affinché questo si compia. E proprio chi assiste che
può inconsapevolmente esacerbare la violenza anche tramite un’osservazione silenziosa o può interrompere l’atto tramite un’intromissione
diretta o più semplicemente voltando le spalle alla scena.
Se un atto di bullismo, un insulto o un pettegolezzo, cioè tutto ciò che
può rappresentare fonte di imbarazzo e vergogna per chi lo subisce,
entra nel mondo virtuale diviene visibile a tutti. È questo un altro
aspetto che la rete comporta, cioè l’impossibilità di fuggire, quella
possibilità che magari ci ha permesso di risolvere una “brutta figura”,
andandocene. Appare evidente come questo non possa verificarsi nel
mondo virtuale in cui un video caricato, una foto o un insulto scritto rimangono li, sempre visibili a tutti, generando nel “malcapitato” protagonista sentimenti di dolore profondo, incapacità di stare con gli altri
e conseguenti dinamiche di ritiro sociale.
Per un genitore, che osserva dall’esterno, può capitare di confondere
un normale litigio tra giovani con un episodio di bullismo. Sarà allora
importante capire come nostro figlio ha vissuto tale evento; d’altronde
conoscere i nostri figli non significa sapere tutti i pensieri che essi fanno o nascondere il bisogno che abbiamo di compartecipare alla loro
esistenza ma piuttosto consiste nell’accettare che questo legame presenti delle distanze, necessarie alla crescita dei ragazzi, impegnati nell’arduo compito di costruire la loro identità, e a noi, che per continuare
a crescere, dobbiamo rinunciare all’illusione di poter creare il mondo
a nostra immagine e somiglianza.
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CAPIToLo 1
INTERNET E LA SUA EVOLUZIONE
di francesco Giacalone
1.1. La solitudine della tastiera
La comunicazione sociale è oggi sostenuta da moderni strumenti che
consentono di superare le barriere e i vincoli di tempo e di spazio e, fra
i nuovi modi di comunicare, internet è certamente uno dei mezzi che
offre maggiori opportunità.
Tra atteggiamenti sociali di attrazione e diffidenza, il popolo di navigatori quotidiani è cresciuto e comprende ormai ogni razza ed ogni età
e, grazie alla rete, i bambini trovano nuove opportunità di gioco e i
giovani, gli adulti e perfino gli anziani si informano, comunicano,
commerciano e sperimentano se stessi attraverso la cosiddetta comunicazione virtuale.
Ma come tutti gli strumenti di comunicazione, anche la rete non è
esente da cattivi usi e da abusi che, negli ultimi anni, hanno portato ad
osservare nel campo della salute mentale, una moderna forma di dipendenza, definita internet-dipendenza.
Nel 1995 infatti lo psichiatra americano Ivan Goldberg ha introdotto
l’espressione “Internet Addiction Disorder” (I.A.D.) prendendo come
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modello di riferimento il gioco d’azzardo patologico. Questi sono i
principali sintomi da lui individuati come caratteristici dell’I.A.D.:
• bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere soddisfazione;
• marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano internet;
• sviluppo, di agitazione, depressione e pensieri ossessivi su cosa accade on-line;
• necessità di accedere alla rete per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
• impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di internet;
• dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete;
• impossibilità di interrompere l’uso di Internet di fronte a problemi
sociali, fisici e lavorativi.
A partire dall’osservazione e dallo studio di casi clinici dalla lettura di
storie autobiografiche narrate da internet-dipendenti e dai risultati di
questionari specifici compilati da un’utenza che avverte sintomi di dipendenza dalla rete, sono state descritte, come ricordato dalla psicologa Monica Monaco, esperta di patologie legate al web, tre categorie di
elementi che contribuiscono
all’insorgere della sindrome da dipendenza da internet: le psicopatologie predisponenti, i comportamenti a rischio e le potenzialità psicopatologiche proprie della Rete.
Relativamente alle psicopatologie predisponenti , va sottolineato che le
dipendenze dalla rete rappresentano spesso un ulteriore tassello che
configura il quadro clinico di persone che presentano una precaria stabilità emotiva o in cui sono già presenti altri disturbi psicologici quali, ad
esempio, depressione, disturbi bipolari o anche ossessivi-compulsivi.
In questi casi, infatti, il ricorso ad internet sembra strettamente collegato ad un tentativo di compensare le difficoltà relazionali reali, ricercando nella rete amici o relazioni sentimentali attraverso una via più
veloce e che consente di superare delle insicurezze che, invece, sono
amplificate dalle quotidiane relazioni faccia a faccia.
Il contatto sociale attraverso chat, comunity ed e-mail, infatti, se utilizzato con prudenza, si configura come un utile strumento per superare le difficoltà di comunicazione, in quanto consente di mettersi in gioco mediante una graduale conoscenza che, tuttavia, non è esente da rischi connessi al cattivo uso e all’abuso.
Questa prima considerazione riguarda da vicino tutte le persone con
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certi tipi di disagio psicologico, le quali dovrebbero moderare l’utilizzo di Internet e riflettere (o essere guidate a riflettere) sui bisogni che
la Rete talvolta crea l’illusione di poter soddisfare (in questi casi, infatti, non mette in relazione, ma illude di essere in grado di relazionarsi) e sugli aspetti della propria personalità e sulle insicurezze che bisogna invece affrontare gradualmente, poiché la necessità di comunicare
deve essere appagata imparando a farlo realmente, piuttosto che accontentandosi di compromessi.
La rete, ricca di potenzialità e opportunità di informarsi, conoscere e
confrontarsi, risponde molto bene ai bisogni anche di persone che non
hanno mai avvertito alcun disturbo psicologico, le quali non sono
esenti dalla possibilità di divenire vittime dei propri stessi bisogni, attraverso dei comportamenti rischiosi di eccessivo consumo, talvolta
associati ad una complementare riduzione delle esperienze di vita e di
relazione reali. L’abuso nell’utilizzo delle informazioni disponibili in
rete, infatti, può portare ad un sovraccarico cognitivo che satura il cervello, riducendo l’attenzione razionale; contemporaneamente il conseguente isolamento sociale sostiene il ricorso ad Internet per cercare
occasioni di socializzazione virtuale che possono sconvolgere i delicati equilibri dell’identità, creando la possibilità di sperimentare ruoli e
parti del Sé altrimenti non sperimentabili nella vita reale che, tuttavia,
accrescono il numero di ore trascorso on-line, con il risultato che si
può finire incollati ad una sedia e ad un monitor per giornate intere, rinunciando a salutari e reali esperienze di vita. Alla base di un ricorso
frequente alla Rete da parte di alcune persone che non mostrano segni
psichiatrici è stata riscontrata spesso una tendenza comportamentale
definita solipsismo telematico , ossia la propensione ad eleggere il
web come luogo di rifugio in cui appartarsi per trovare sollievo da
problemi quotidiani, secondo una modalità che potenzialmente potrebbe aumentare le possibilità che la Rete conquisti fette sempre più
ampie del tempo delle proprie giornate.
Si aggiunge a tutto questo che la Rete, in virtù delle sue enormi risorse,
possiede delle cosiddette potenzialità psicopatologiche, quali la capacità
di indurre sensazioni di onnipotenza, come vincere le distanze e il tempo, o cambiare perfino identità e personalità, si comprende come sia necessario utilizzare questo potente strumento rimanendo padroni di tutte
le proprie capacità razionali di controllo del proprio comportamento.
Al di là delle diverse componenti che possono contribuire ad originare
i diversi casi di rete-dipendenza, la caratteristica costante che fa da
sfondo ad ogni dipendenza da internet è la capacità della rete di ri13
spondere a molti bisogni umani, consentendo di sperimentare dei vissuti importanti per la costruzione del Sé e di vivere delle emozioni
sentendosi, al contempo, protetti.
Internet, infatti, annulla lo spazio e consente ciò che nella realtà non si
può realizzare o che si può fare in molto tempo, viaggiando per ore ed
interagendo più lentamente e spesso in strutture diadiche o in piccoli
gruppi. Le chat, invece, abbattono le frontiere e consentono di parlare
con gruppi numerosi in stanze che la realtà difficilmente rende disponibili, consentendo spesso discorsi paralleli, solo virtualmente possibili. Inoltre, le comunity più stabili creano, più o meno vere, sensazioni di appartenenza, rispondendo ad un grande bisogno umano e consentendo di esercitare quella che è stata definita la moratoria psico-sociale, ossia l’allenamento ai ruoli e alle interazioni che sospende le
conseguenze e quindi le responsabilità, le scelte e i vincoli definitivi.
Nelle stanze virtuali si può sperimentare la propria identità in tutte le
sue sfumature, cambiando l’età, la professione e perfino il sesso di appartenenza, ascoltando le reazioni degli altri e maturando delle convinzioni, attraverso il confronto con altre personalità più o meno reali.
La recita nel teatro on-line diventa perfino dichiarata. Il gioco di ruolo
viene infatti esaltato ai limiti della fantasticheria e in cui, all’ombra del
personaggio che si interpreta, si possono tirare fuori, rimanendo al sicuro, perfino gli istinti più crudeli.
I rischi sono quelli legati ad ogni situazione che consenta di far emergere e di soddisfare i bisogni più profondi e inconsapevoli: si sperimentano parti di sé che potrebbero sfuggire al controllo, soprattutto quando si
dispone di uno strumento di comunicazione che consente di rimanere
uomini e donne senza volto, una condizione che potenzialmente può
favorire la comparsa di comportamenti guidati da una minima morale.
Per i più giovani in età di sviluppo e per alcuni soggetti predisposti, il
rischio è che l’abuso della rete per comunicare crei confusione nella
distinzione tra reale e virtuale (soprattutto nel senso di Sé), che non sia
più facile comprendere cosa fa parte di Sé realmente e cosa è possibile
sperimentare solo virtualmente, poiché ciò che è concesso in Rete non
ha le stesse conseguenze che si produrrebbero nella realtà. In considerazione di ciò, soprattutto i bambini e i giovani dovrebbero limitare il
tempo trascorso su Internet ed integrare delle esperienze di comunicazione reale, al fine di evitare di sviluppare delle abilità emotive e sociali prevalentemente attraverso questo strumento tecnologico che, in
questo caso, risulterebbero estremamente limitate o deformate rispetto
a quelle poi richieste per adattarsi nella vita reale.
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Più recentemente per individuare e distinguere i segni di rete-dipendenza dal consumo non patologico di internet, si fa riferimento ad alcuni comportamenti, che rappresentano indicatori qualitativi o quantitativi di differenza tra normalità e patologia e che hanno permesso di
distinguere 3 tappe nel percorso verso la forma più stabile della dipendenza patologica dalla retei.
La prima tappa verso la rete-dipendenza o fase iniziale è caratterizzata
dall’attenzione ossessiva e ideo-affettiva a temi e strumenti inerenti
l’uso della rete, che genera comportamenti quali controllo ripetuto
della posta elettronica durante la stessa giornata, ricerca di programmi
e strumenti di comunicazione particolari, prolungati periodi in chat.
La seconda tappa o tossicofilia è caratterizzata dall’aumento del tempo trascorso on-line, con un crescente senso di malessere, di agitazione, di mancanza di qualcosa o di basso livello di attivazione quando si
è scollegati (una condizione paragonabile all’astinenza). Inizialmente
ciò era accompagnato anche da un notevole aumento delle spese, che
spesso rappresentava un lieve fattore di inibizione della tossicofilia,
oggi pressoché irrilevante, date le numerose possibilità di rimanere a
lungo collegati a basso costo. Restano, tuttavia, importanti indicatori
di tossicofilia il malessere soggettivo off-line e l’abuso on-line, spesso
anche nelle ore lavorative e nelle ore notturne, in cui si è disposti a rinunciare anche al sonno.
La terza tappa o tossicomania è la fase in cui la rete-dipendenza agisce
ad ampio raggio, danneggiando diverse aree di vita, quali quella lavorativa, delle relazioni reali e quella scolastico-lavorativa e in cui si rilevano problemi di scarso profitto, di assenteismo scolastico-lavorativo e di isolamento sociale anche totale.
Dalla classificazione precedente, è facile intuire che più sono presenti
comportamenti tossicomanici, che indicano la cronicizzazione e l’aggravamento del disturbo, più difficile e lungo potrebbe risultare ripercorrere a ritroso la via della guarigione, tornando verso un utilizzo non
patologico della Rete.
Un’altra importante distinzione che viene operata nella descrizione
della sintomatologia associata alla rete-dipendenza concerne la differenziazione tra: condizioni on line e condizioni off line.
Nella prima classe di sintomi si fanno rientrare in genere i comportamenti relativi all’abuso del tempo in rete (in genere anche 60-70 ore
settimanali); nella seconda categoria si comprendono invece i sintomi
di ansia e irrequietezza, nonché le predette problematiche relazionali,
lavorative o scolastiche che permangono tra un collegamento ed un al15
tro, accompagnando il corteo sintomatologico che caratterizza la sindrome multimediale.
Così come hanno fatto discutere i principi-guida adottati inizialmente
per la diagnosi della retomaniaii, sono state numerose anche le critiche
ai cosiddetti gruppi di auto-aiuto on-line, uno dei primi metodi utilizzati, soprattutto in America, allo scopo di fornire un supporto per superare il problema della rete-dipendenza.
Tale modalità di trattamento, infatti, è paragonabile al trattamento di
un tossicodipendente con la sua stessa droga e sembra non aver avuto
sempre successo, se non esclusivamente come momento iniziale per
condividere insieme la presenza di un problema da affrontare con decisione, ma lontano da un computer e da un modem.
Al contrario sono sempre più diffusi utili test e questionari on line di
autovalutazione del proprio rapporto con la Rete, che possono rappresentare un punto di partenza per rendere consapevole il problema che
spesso è vissuto a lungo in modo non disturbante.
Il passo successivo dalla consapevolezza può essere un aiuto professionale individuale o una condivisione reale del problema con un
gruppo omogeneo, anche attraverso delle riflessioni guidate sulla necessità di superare le eventuali insicurezze che possono essere alla radice del ricorso ad Internet per socializzare.
Infine, la prevenzione rimane un utile strumento per tutti, con speciale
attenzione ad alcune regole nell’utilizzo di Internet da parte di chi già è
coinvolto in un disagio psicologico. Pertanto, in quest’ultimo caso, occorre ricordare: che occorre limitare la quantità di tempo trascorso quotidianamente on line (non più di una o due ore), possibilmente non instaurando un’abitudine quotidiana che deve essere a tutti i costi rispettata e che è importante integrare le attività on line con simili attività
reali (es. acquisti, svaghi o relazioni sociali), poiché in tal modo non si
trasforma la Rete nello strumento privilegiato di relax, di evasione e di
contatto con se stessi. Inoltre è bene ricordare che la socializzazione
reale non deve mai essere totalmente sostituita da quella virtuale e che,
nel caso in cui si avverta una necessità coatta e incontrollabile di collegarsi ad Internet, occorre chiedere un aiuto competente.
Le modificazioni psicologiche prodotte nell’individuo che diviene dipendente dalla rete sono:
• perdita delle relazioni interpersonali;
• modificazioni dell’umore;
• alterazione del vissuto temporale;
16
• cognitività completamente orientata all’utilizzo compulsivo del
mezzo;
• tendenza a sostituire il mondo reale con un oggetto artificioso con il
quale si cerca di costruire un proprio mondo personale e in questo
caso virtuale (feticismo tecnologico);
oltre ai problemi di tipo psicologico si assiste in molti casi alla presenza di veri e propri sintomi fisici come tunnel carpale, dolori diffusi
al collo e alla schiena, problemi alla vista ecc. I sintomi fisici sono una
conseguenza del protrarsi di lunghi periodi di attività in rete in situazioni poco ergonomiche.
La dipendenza da internet si sviluppa solitamente verso una specifica
applicazione che funge da esca per il soggetto che sviluppa la dipendenza. La dipendenza da internet è un termine ampio che racchiude in sè
una serie di comportamenti problematici che possiamo raggruppare in:
•
•
•
•
•
Dipendenza da cybersesso
Dipendenza cyber-relazionale (o da social network)
Dipendenza da gioco d’azzardo e shopping compulsivo
Ricerca di informazioni
Dipendenza da giochi on-line
Chi soffre di dipendenza cybersessuale è solitamente impegnato in attività che prevedono la visione, il download e l’acquisto di materiale
pornografico online. I siti porno hanno conosciuto uno sviluppo enorme e ad oggi rappresentano la forma di commercio elettronico più redditizia. Proprio per questo l’offerta di materiale è talmente varia e ampia che il dipendente può trovare in rete una inesauribile fonte di contenuti per la propria ricerca di soddisfacimento.
Le persone affette da dipendenza cyber-relazionale trascorrono una
grande quantità di tempo all’interno di Chat Room, servizi di Instant
Messaging o Social Network impegnandosi in relazioni online che
molto spesso portano a veri e propri adulteri. Le conoscenze fatte su
internet divengono presto più importanti di quelle offline e questo tipo
di dipendenza (che colpisce maggiormente il genere femminile) porta
spesso ad un deterioramento nei rapporti con amici e famiglia e problemi coniugali.
Per Dipendenza da gioco d’azzardo si intendono quei comportamenti
compulsivi che portano le persone ad impegnarsi in attività nelle quali
si trovano a spendere quantità eccessive di denaro come gioco d’az17
zardo o trading on line. Le persone che hanno problemi con questo tipo di comportamento passano molto tempo in casinò virtuali e siti per
scommettere.
L’abbondanza di dati disponibile sul web ha creato un nuovo tipo di
comportamento compulsivo caratterizzato da eccessiva navigazione e
ricerca all’interno di database online. Le persone affette da questo tipo
di problema spendono molto tempo in rete nel cercare e successivamente nell’organizzare informazioni di vario genere.
Se già dagli anni ’80, giochi come campo minato o solitario iniziavano
a costituire dei problemi per quelle organizzazioni i cui lavoratori passavano gran parte del tempo impegnati in questi giochi, lo sviluppo di
giochi interattivi online e dei giochi di ruolo ha fatto aumentare esponenzialmente i fenomeno. Le persone caratterizzate da questa dipendenza conducono una “vita parallela” all’interno del gioco assumendo
una seconda identità. Caratteristica di questa dipendenza è il pensare
costantemente a fatti avvenuti, a strategie e personaggi dei giochi anche quando si è offline.
Internet rende più semplice e rapida la comunicazione, può divenire
un luogo dove coltivare la propria passione e incontrare persone che la
condividano, può aiutare a creare relazioni. oggi però per molti soggetti, il rischio è di farne l’unico mezzo di legame con il mondo.
La dipendenza da internet non coinvolge solo i ragazzi più giovani, ma
si estende ad una popolazione molto più ampia, toccando gli adulti di
tutte le età.
Come abbiamo visto, la dipendenza da internet riguarda numerose tematiche diverse per età, sesso, interessi. La rete permette di cercare e
di trovare esattamente ciò di cui si sente il bisogno: relazioni amicali,
amorose, giochi di ruolo, scambi commerciali, forum e informazione
giornalistica. Il rischio è che l’infinita offerta della rete riesca da sola
a saturare la domanda di riconoscimento dell’ essere umano, soddisfacendolo in ogni suo aspetto e non lasciandogli lo spazio per desiderare
altro e altrove. Nei prossimi paragrafi saranno descritti nel dettaglio le
varie forme di dipendenza associate all’abuso di internet.
1.2. I social network
L’avvento di internet e l’uso che le persone ne hanno fatto nel corso
degli anni, lo hanno reso un compagno onnipresente nelle vite di gran
parte di noi. La tecnologia oggi, più di ogni altra epoca storica, si adat18
ta e segue questo trend: non solo computer portatili sempre più maneggevoli, ma ora anche smartphone e tablet garantisco l’accesso al
web ovunque ci troviamo. È possibile usufruirne comodamente da casa o in ufficio o a scuola. Non c’è più bisogno di andare in edicola a
comprare il quotidiano per sapere cosa accade nel mondo o andare in
biblioteca per fare una piccola ricerca. I social network permettono di
comunicare in tempo reale a qualsiasi distanza ci si trovi e con qualunque parte del mondo. Così facendo si sono diminuite le distanze e le
informazioni vengono scambiate istantaneamente e si può sempre essere aggiornati sui fatti di cronaca, su eventi culturali o anche semplicemente su come sta un nostro amico o parente che vive lontano.
Più di un miliardo di persone nel mondo hanno un account e circa la
metà comunicano regolarmente con Twitter. Il primo grande merito
dei social network è indubbiamente quello di aver facilitato la comunicazione: basta avere la connessione a Internet per parlare in tempo reale con persone dall’altra parte del globo e grazie alle webcam addirittura vederne il volto.
I social network rappresentano un aggregatore di persone che cercano
e vogliono mantenere contatti con vecchi e nuovi amici, condividendo
foto, video e contenuti della propria vita.
La dipendenza da social network è molto diffusa e, come avviene nelle
altre dipendenze, è causa di alcuni problemi. Gli atteggiamenti di uso
ed abuso di questi siti web ed il loro perpetrarsi, fino addirittura alla
dipendenza, sono innescati e portati avanti da meccanismi psicologici
e neurologici di piacere, soddisfazione, affettività ed autostima. A livello celebrale vengono rilasciate maggiori quantità di sostanze psicoattivanti e a livello mentale si creano meccanismi e schemi ricompensatori che portano al riutilizzo continuo e sempre maggioreiii.
Inizialmente ad essere letteralmente rapiti dai social network sono i
giovani: moltissimi ragazzi in Italia sono considerati a rischio di dipendenza da social network, visto che trascorrono da 2 a 3 ore al giorno sui vari profili disponibili in Internet. Secondo una recente ricerca
otto adolescenti su dieci sono connessi a un social network e aggiornano continuamente il profilo.
Nel 2008 la diffusione di facebook è stata così esponenziale da posizionare l’Italia al primo posto della classifica mondiale dei paesi con
maggiore percentuale di incremento utenti. In pochi anni facebook e
divenuto uno dei dieci siti maggiormente cliccati e frequentati del
web, acquisendo in breve tempo milioni e milioni di utenti in tutto il
globo. Purtroppo però, accanto alle caratteristiche positive di visibili19
tà, aggregazione, condivisione, recupero di vecchie conoscenze ed
amicizie e nascita di nuove, sono comparse anche delle note assai negative, in particolare legate a problemi e, sempre più spesso, veri e
propri casi di dipendenza. I giovani, i quali trovandosi in una fase della vita in cui non hanno ancora delle certezze, né un’identita definita,
passano la maggior parte del loro tempo sul web perdendo così ogni
contatto con la realtà ed anche la voglia di vivere i rapporti in maniera
più concreta e “umana”. ora non solo gli adolescenti ma anche gli
adulti sono a rischio di dipendenza da social network. Se sommiamo il
tempo trascorso ogni giorno con il computer, internet, cellulari e tv arriviamo a una media di 8-9 ore al giorno passate con uno schermo. Rimane spesso poco tempo per dedicarci ad attività rilassanti e curare le
relazioni personali. Il rischio di ammalarsi di videodipendenza e tecnostress è concreto.
La dipendenza dai social network sembra essere dovuta al forte senso
di sicurezza, di personalità e di socialità (in una società sempre meno
connotata dai contatti sociali) che tale forma di siti sono in grado di
fornire. L’ assuefazione dai social network potrebbe essere causata
dalla fermezza e dalla socialità che questi siti sono appunto in grado di
fornire grazie alle loro infinite applicazioni. Come le altre dipendenze,
porta le proprie conseguenze e i propri problemi. Quelli più riscontrati
a causa di questa patologia sono l’emicrania (l’effetto più diffuso), la
tachicardia e una ipersudorazione. Purtroppo questa dipendenza si sta
diffondendo a macchia d’olio. Ansia, depressione, stress sono decisamente degli elementi gravissimi e da tenere in considerazione.
Quando si attraversa un momento di difficoltà, il computer e le sue risorse illimitate possono ridurre notevolmente lo stato di disagio sperimentato, l’ansia o il senso di solitudine, offrendo opportunità di svago
e alleggerimento della mente (un veloce calmante che devia dal problema vissuto in quel dato momento). Si rischia in questo modo di instaurare un circuito vizioso per cui, ogni volta che si è in una situazione conflittuale, si preferisce tornare a distrarsi creando una dipendenza, non una soluzione al problema – che invece permane ed, anzi, viene così alimentato. Un altro elemento può essere la preesistenza di
un’altra condizione di dipendenza (ad esempio alcol, droghe o gioco
compulsivo; difficoltà relazionali; fobie o isolamento sociale). Certamente è molto difficile valutare se e quando un uso eccessivo del web
si trasformi in un problema vero e proprio. Molti giovani e meno giovani passano ormai una quantità significativa di ore sul computer senza per questo sviluppare forme di dipendenza. Quello che diventa un
20
segno della eventuale presenza di un “problema” riguarda il modo in
cui l’uso di internet riduce la qualità relazionale e interattiva dell’individuo nella sua quotidianità.
Si parla di amicizia data e di amicizia richiesta, ma le amicizie che si
creano sui social network non sono reali e spesso le due persone non si
sono mai conosciute veramente e magari non si conosceranno mai nel
futuro. I network sociali “funzionano” mascherando le personali ansie, preoccupazioni, sbalzi d’umore e il proprio senso di disistima e di
solitudine. In tal modo le richieste di nuove amicizie risultano quasi
un riempimento, una conferma e/o un rafforzamento del proprio ego.
Tra gli utenti dei social network si hanno spesso più “amici” che si associano alla propria pagina personale con i quali non si ha un reale
rapporto interpersonale di amicizia. Ciò provoca una distorsione del
senso dei veri rapporti amicali e a sua volta una vera e propria dipendenza da amicizia o amicodipendenza, laddove non si riesce più a
staccarsi dal web alla compulsiva ricerca di nuove condivisioni e al
controllo di possibili richieste o messaggi da nuovi possibili amici. In
rete si trovano tantissime informazioni molte delle quali sono sbagliate: gli adulti devono insegnare ai ragazzi a scegliere quelle giuste; nei
luoghi di socializzazione virtuali non si sa mai con certezza con chi
abbiamo a che fare e gli incontri, spesso, possono essere sgradevoli.
In realtà tutte queste dinamiche psico-emotive personali ed interpersonali si basano su qualcosa di virtuale, dando in tal modo sicurezze ed
autostima fittizie, ben presto raggiunte da pericolosi sintomi di dipendenza, isolamento sociale e conseguente menomazione delle principali sfere vitali come quelle lavorativa, familiare, sociale, affettiva.
La prima conseguenza è il rischio di non avere più tempo per le relazioni interpersonali vere e proprie, concentrandosi solo su quelle on line. Ne risente il rapporto diretto e il confronto sia fra amici che fra
coppie. Infatti si è completamente persa la bellezza che contraddistingue il guardarsi mentre ci si confronta e il far trasparire le proprie
emozioni tramite la mimica facciale, aumentando anche la possibilità
di mentire e mantenere la relazione ad un livello più distaccato e freddo. Alcuni soggetti tralasciano o dimenticano di fare cose necessarie,
anche cose fondamentali per la vita di tutti i giorni. Ritardano i pasti o
si dimenticano di mangiare, di bere, di dormire, saltano gli appuntamento o arrivano tardi al lavoro o a scuola. Più inclini a sviluppare
questa dipendenza sono le ragazze adolescenti, che subiscono la pressione sociale di essere costantemente presenti in rete e di curare la loro
immagine virtuale. ogni trattamento inizia con la completa astinenza
21
da social network. Il distacco fisico ha portato inoltre molte persone a
volersi e potersi costruire una nuova identità a proprio piacimento,
non rispecchiando quella che è davvero nella realtà. Questo ingrediente può essere anche visto come un vantaggio, per tutte quelle persone
che per proprie caratteristiche hanno difficoltà a comunicare e a creare
dei rapporti. Spesso si perde la cognizione del tempo, si passano ore
sul computer senza rendersene conto, si dimentica di svolgere attività
importanti, nei casi più gravi anche di nutrirsi o provvedere alla cura
di sé. Tutto quello che riguarda internet diviene la sola fonte di energia
e soddisfazione, mentre si perde lentamente interesse per il mondo circostante. In poche parole, quando l’uso smodato del computer e di internet compromette le normali attività di tutti i giorni – il lavoro, la
scuola, le uscite sociali – e soprattutto le relazioni affettive e la capacità di instaurare legami stretti e duraturi nella vita reale, allora siamo
probabilmente alle prese con una situazione entrata in fase di disagio.
Un altro svantaggio portato da questi social network è quello della
perdita della privacy in quanto i siti sono organizzati in modo tale da
poter condividere tutto della propria vita, da semplici foto ricordo a
pensieri profondi,intimi e privati, letti da chiunque abbia la possibilità
di accedere al contatto. Diventa soggettivo scegliere cosa pubblicare e
a chi dare la possibilità di scoprirlo ed eventualmente commentarlo. Si
affrontano anche gli eventuali effetti negativi, per gli utenti che affidano le loro informazioni personali alla rete. Al rischio relativo alla privacy, si aggiunge il pericolo del cosiddetto “furto di identità”: è facile
creare identità fittizie, appropriarsi del nome di un’altra persona e addirittura dell’identità, grazie ai dati anagrafici pubblicati sul sito.
Quando per scelta l’individuo non è connesso o quando la connessione
non è possibile, si presentano allora seri sintomi psicologici come ansia, pensieri fissi, depressione, attacchi di panico, paura (ad esempio di
non avere più informazioni o collegamenti e di stare o rimanere da soli), problemi di sonno, insicurezza, suscettibilità, etc., così come tutte
le conseguenze psicologiche negative tipiche delle dipendenze. Ad essi si aggiungono problemi sociali, familiari, affettivi e lavorativi quali
ritardi o assenze a scuola o a lavoro (con la sua possibile perdita), graduale isolamento, distorsione dei rapporti affettivi e sociali, disgregazione dal gruppo familiare ed amicale.
Anche a livello fisico possono subentrare molteplici problemi: la dipendenza da social Networks può facilitare o associarsi ad altre tipologie di
dipendenza connotate dall’utilizzo disfunzionale del web come la dipendenza da internet o la dipendenza da contenuti pornografici online.
22
Come tutte le dipendenze, per uscire dal circolo vizioso, che la dipendenza da internet crea, è necessario rinforzare le proprie strutture interne (in questo caso spesso riguardano l’autostima) e sostituire alle
vecchie strategie che creano la dipendenza, delle nuove più funzionali.
È importante, ad esempio, regolare il tempo che si passa su internet, limitarne l’uso e confinarlo in momenti precisi della giornata, oppure
dedicarsi ad esso solo dopo aver svolto compiti necessari.
Utile è cominciare a impegnarsi in attività alternative che possano fornire delle soluzioni sane alle sensazioni di noia e solitudine (attività
sportive o hobby di vario genere). Si deve imparare ad usare i social
network e non a “farsi usare” da loro. Possiamo usarli per coltivare i
nostri interessi, riallacciare i contatti con alcune persone delle quali si
pensava aver perso completamente le tracce. Inoltre si può considerare
un ottimo strumento per fare nuove amicizie e nuove conoscenze e
quindi ampliare la propria rete sociale. Ricorrere poi all’aiuto di una
terapia, soprattutto nei casi più gravi, è fondamentale per sostenere ed
aiutare la persona ad uscire dalla dipendenza da internet in modo stabile e duraturo nel tempo.
La dipendenza dai social, sembra infatti trovare spiegazione scientifica nella sindrome del “like”: ad ogni notifica segue un rilascio di dopamina, sostanza coinvolta nelle dipendenze.
Un “mi piace” sotto la foto postata pochi secondi prima sul social
comporterebbe una scarica nell’ organismo di dopamina, il neurotrasmettitore alla base dei fenomeni di dipendenza. L’assuefazione da
facebook funziona quindi esattamente come qualsiasi dipendenza da
droga. Una parte degli utenti dichiara di connettersi e navigare continuamente sul social spinto dal senso di appagamento derivato dal consenso sociale raccolto sul profilo tramite i “like”.
Secondo un indagine condotta da Skuola.net in collaborazione con la
Polizia Postale, 1 ragazzo su 3 è sempre connesso. Ebbene, adolescenti inclusi, l’Italia si classifica con una somma di 21 milioni di utenti in
vetta ai Paesi con maggiore dipendenza da facebook: la percentuale
che fa conquistare alla nostra Nazione questo primato è dell’86%, vale
a dire che quasi 9 italiani su 10 sono incalliti frequentatori del social.
Solo una piccolissima parte di chi rimane perennemente connesso tuttavia, ha la consapevolezza di vivere una vera e propria dipendenza, e
non mancano coloro che dichiarano di subire certi effetti ipnotici che
i social provocherebbero. E poi ci sono anche quelli che, sebbene in
minima percentuale, trovano in facebook il bicchiere in cui affogare i
dispiaceri della vita personale. Ma in cima alla classifica resta l’esi23
genza di ottenere una facile popolarità, fatta di consensi plateali, e legata a doppia mandata ad un mero esibizionismo del proprio ego. I più
a rischio dipendenza sono proprio gli utenti con maggiore popolarità,
e quindi più esposti ai famosi “like”.
Se è vero, infatti, che questi moderni strumenti virtuali aiutano a mantenere i contatti con persone fisicamente distanti - e talvolta servono
anche a crearne di nuovi - è altrettanto vero che essi modificano la relazionalità e l’emotività dei loro utenti più assidui.
I cambiamenti suscitati, dunque, dall’uso di un social network dipendono, ovviamente, dalle specifiche caratteristiche di ciascuno di esso.
Twitter, ad esempio, potrebbe stimolare alla formulazione di frasi brevi, alla sinteticità e magari anche all’ironia. Effetti decisamente più
controversi e potenzialmente più dannosi sembra, invece, avere, l’utilizzo frequente di facebook, il social network più diffuso al mondo.
La maggior parte dei profili facebook, in effetti, è costruita “ad hoc”
per magnificare - e talvolta perfino fingere - la propria felicità. Ciò
provoca una sorta di “spirale dell’invidia” dato che gli altri utenti,
guardando l’altrui felicità, sono spinti a trasmettere, a loro volta,
un’immagine fittizia di sé stessi, suscitando ulteriore invidia ed alimentando il circolo vizioso.
Le alterazioni emotive provocate da facebook ed altri social network,
però, non riguardano solo l’invidia. Gli individui che ottengono più
“like” dai propri contatti sarebbero maggiormente inclini ad una perdita dell’autocontrollo e a modifiche radicali dei propri comportamenti, derivanti proprio dall’eccessivo utilizzo del mezzo sociale.
Il distacco dai social network, inoltre, è reso ancora più complicato dal
fatto che essi provocano dipendenza. ogni volta che riceviamo un “Mi
Piace”, o un “Retweet”, il nostro organismo rilascerebbe una piccola
scarica di dopamina, il neurotrasmettitore che, regolando il nostro senso di gratificazione, è coinvolto nei fenomeni di dipendenza. La problematica è talmente seria e diffusa che diversi psicologi ed istituti di
sanità mentale si stanno specializzando nella cura delle dipendenza da
social network.
Come fare, allora, ad evitare questo vortice di dipendenza, invidia e
malinconia? Bisogna per forza abbandonare facebook e gli altri social, rinunciando, di conseguenza, anche ai loro aspetti positivi? Non
necessariamente. I Social Network sono strumenti potenti e, come tali,
se usati correttamente, possono portare vantaggio ed utilità. Vale la pena, quindi, provare ad utilizzarli minimizzando i loro effetti negativi.
Per cercare di sottrarsi agli effetti oscuri dei social network è sufficien24
te seguire alcune semplici regole. La prima cosa che bisogna fare è
monitorare il tempo che si passa su facebook e gli altri social. Se ci si
trascorre più di un’ora al giorno - soprattutto in mobilità, da smartphone o tablet- allora è il caso di fermarsi a riflettere seriamente sul proprio rapporto con il social networking. Controllare freneticamente i
social network o altre attività compulsive correlate possono essere altrettanto sintomatici di una problematica.
Una volta riconosciuta l’esistenza di un problema con i social network, bisogna mantenere la calma; la disintossicazione deve essere
elaborata in modo lento e graduale, per evitare ricadute. Il metodo per
ridurre drasticamente il tempo speso sui social network e che aiuta ad
avere un rapporto più sano e sereno con essi, è il seguente: prima di accedervi, bisogna soffermarsi a riflettere sull’utilità che possono arrecare in quel momento e sul loro costo/opportunità.
Prima di aprire facebook o Twitter per leggere le notizie (raramente)
interessanti che contengono, sarebbe utile pensare: “è questo il modo
migliore per impiegare il tempo libero? Non è forse meglio leggere un
libro, fare un po’ di ginnastica oppure chiamare un parente o un amico?” Tante volte, grazie a queste brevi riflessioni, si può utilizzare il
tempo in modo più costruttivo ed edificante, evitando di incappare
nelle diverse controindicazioni provocate dall’artificiosità dei rapporti
sociali digitali.
Se proprio non si riesce a resistere all’impulso di aprire freneticamente
i social network, comunque, è sempre bene ricordare che le immagini
che essi trasmettono, la maggior parte delle volte, non sono autentiche. Tenerlo a mente può aiutare ad avere un rapporto più sereno con
il social networking, senza rischiare le controindicazioni rilevate dai
diversi studi scientifici realizzati.
I social network sono diventati inoltre la principale destinazione su Internet, con una permanenza media mensile che supera le sei ore per
italiano. Se un uso moderato dei social media inferiore al 20% del
tempo lavorativo (circa due ore al giorno) può produrre un aumento di
produttività, il superamento di questa soglia può quindi nascondere un
vero proprio «disturbo di dipendenza da Internet» che ha un impatto
significativo sulla produttività individuale e sulla dimensione relazionale.
In pochi anni facebook e divenuto uno dei dieci siti maggiormente
cliccati e frequentati del web, acquisendo in breve tempo milioni e milioni di utenti in tutto il globo.
Anche molti personaggi dello spettacolo, importanti e conosciuti poli25
tici di spicco hanno aperto la loro pagina personale su facebook e su
altri diffusissimi social network (ad esempio l’obsoleto MySpace). In
tal modo si è ancor più acceso ed alimentato l’interesse e l’adesione a
tale forma di collegamento e condivisione sociale.
I social-media esercitano dunque un forte controllo su molti di noi. Siamo così impegnati a documentare le nostre vite da diventare ansiosi.
Questa nostra relazione con i social-network è in parte quindi una vera
e propria dipendenza e in parte ossessione. Siamo sempre in attesa di
qualcosa, così il nostro cervello rimane in allerta, rilasciando fiumi di
neurotrasmettitori che ci costringono ad un costante stato di ansia.
Utilizzare le connessioni online in modo positivo è possibile e può
aiutare a essere maggiormente consapevoli del tempo speso e dell’attenzione dedicata a scrutare le reti sociali: in un rapporto sano, è
l’utente a decidere e non i social-network.
È importante prendere “lunghe pause” dalle nuove tecnologie e allenarsi a superare la necessità di eseguire una costante scansione della
rete. Quando si è a lavoro, in viaggio o in un momento di vita sociale
è opportuno mantenere il telefono in modalità silenziosa e controllare
gli aggiornamenti poche volte nel corso della giornata.
Confrontarsi con gli altri è nella nostra natura; ma è opportuno ricordare che sui social media, nella maggior parte dei casi, le persone rappresentano sempre sé stessi e la loro vita nel modo migliore, distorcendo di fatto la realtà.
1.3. I giochi, le scommesse, l’azzardo
Il gioco d’azzardo, anche nel nostro Paese, ha assunto dimensioni rilevanti, seppure non ancora ben definite, e una forte spinta commerciale
facilmente percepibile dalle innumerevoli pubblicità che sempre più
sono presenti sui media. Il gioco d’azzardo on line, come ovviamente
nella sua classica accezione, porta con sé un rischio che, in particolari
gruppi di persone ad alta vulnerabilità, può sfociare in una vera e propria dipendenza comportamentale. Questa condizione è ormai riconosciuta come un disturbo compulsivo complesso e cioè una forma comportamentale patologica che può comportare gravi disagi per la persona, derivanti dall’incontrollabilità del proprio comportamento di gioco, e contemporaneamente la possibilità di generare gravi problemi
sociali e finanziari oltre che entrare in contatto con organizzazioni criminali del gioco illegale.
26
Il gioco d’azzardo patologico è una malattia sicuramente evitabile,
prevenibile, curabile e guaribile.
Il cosiddetto “gambling” compulsivo viene, da alcuni studiosi, considerato un “equivalente depressivo”, vale a dire un comportamento che
sta al posto di una depressione negata (che solitamente compare quando il giocatore smette di giocare). Non è ovviamente di facile comprensione quanto di questo elemento depressivo sia dovuto a vicende
relazionali ed affettive e quanto influisca l’elemento psicobiologico.
Lungo il continuum tra gioco d’azzardo ricreativo e gioco patologico,
in relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco d’azzardo, sono state distinte invece le seguenti tipologie di giocatoriiv:
1. il giocatore sociale che è mosso dalla partecipazione ricreativa,
considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi e
sa governare i propri impulsi distruttivi;
2. il giocatore problematico in cui, pur non essendo presente ancora
una vera e propria patologia attiva, esistono dei problemi sociali da
cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco;
3. il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in
un comportamento distruttivo che è alimentato da altre serie problematiche psichiche;
4. il giocatore patologico impulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco d’azzardo
sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza.
Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l’impulso per
il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si
accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o
totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L’autoinganno e il
ricorso a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione
di strumenti di controllo del senso di colpa e innestano ed alimentano
un circolo autodistruttivo in cui, se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”, se vince si giustifica affermando che “è il
suo giorno fortunato e deve approfittarne”, sottolineando una temporanea vittoria che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore.
Sul versante psicoanalitico l’ipotesi più promettente e suggestiva prende in considerazione l’elemento di sfida alla casualità sotteso al comportamento compulsivo del giocatore patologico, il tentativo ossessiva27
mente messo in atto di sconfiggere la brutale indifferenza del caso, inseguendo la sensazione di avere la dea bendata dalla propria parte.
La sfida al caso, la scommessa con il fato introduce il giocatore in una
dimensione spazio-temporale assolutamente speciale. L’elemento oggettivo viene messo tra parentesi (le perdite che si fanno sempre più
ingenti non destano la preoccupazione che meriterebbero) ed il giocatore è assolutamente convinto che l’azzardo finalmente pagherà e tutto
ritornerà a posto; l’elemento soggettivo della “fiducia” non viene
compensato dal dubbio in una distorsione che è al contempo cognitiva
ed emotiva ed assume valore difensivo rispetto ad una considerazione
più realistica della propria implicazione nel gioco e nelle perdite.
Il giocare compulsivamente on-line, cioè seguendo un irresistibile impulso a continuare, avendo smarrito la capacità di smettere, è considerato un sintomo, che alla stregua di altri sintomi segnala un disagio o
malessere di personalità e, ad un altro livello protegge da disastri peggiori ed in quanto tale non va rimosso con operazioni di “chirurgia psichica” ma compreso nel suo significato. Un intervento che si preoccupi solo di eliminare il sintomo favorisce spesso, però, fenomeni di
“migrazione” (il giocatore che smette di giocare e, ad es. inizia a bere,
o fumare cento sigarette al giorno o a passare con il rosso ai semafori
non evidenzia un buon risultato clinico).
La funzione protettiva del sintomo deve essere sempre tenuta presente
e la dipendenza da gioco va inquadrata in rapporto alla soggettività del
giocatore, alla sua struttura di personalità, storia affettiva, relazioni interpersonali significative, fase del ciclo di vita.
La dipendenza da gioco si colloca tra i disturbi del controllo degli impulsi ed è caratterizzato dall’incapacità di resistere alla tentazione
“persistente, ricorrente” di giocare somme di denaro elevate.
Nella ludopatia il vero senso del gioco, ovvero creatività, apprendimento di regole e ruoli, viene completamente e trasformato in schiavitù, ossessione, ripetitività.
La diffusione globale del gioco d’azzardo trova conferma nella stessa
etimologia della parola “azzardo” che deriva dal francese “hasard” ,
una parola a sua volta di origine araba e derivante dal termine “azzahr” che designava il “dado”, uno dei più antichi oggetti a cui si lega
la tradizione del gioco sociale di scommessa.
Le conseguenze più dirette della patologia si rilevano, dunque, nel deteriorarsi delle attività personali, familiari e lavorative.
È possibile che il soggetto che soffre di dipendenza da gioco metta a
repentaglio anche una relazione affettiva significativa, il lavoro o delle
28
opportunità scolastiche solo per perseguire nel gioco d’azzardo. Spesso, infatti, continua a giocare nonostante gli ingenti sforzi per controllare, ridurre o interrompere il comportamento.
La stragrande maggioranza delle persone dipendenti dal gioco d’azzardo on-line sembra ricercare in tale pratica l’avventura e l’eccitazione
che vengono soddisfatte puntando cifre di denaro sempre più elevate.
È opportuno ricordare che, ormai tutti i siti di scommesse online allettano i giocatori “regalando” a chi si iscrive ricchi bonus di partenza,
che a volte arrivano persino ad alcune centinaia di euro. Poi si può
avere “la sfortuna” di centrare vincite incoraggianti nei primi tentativi.
In una settimana, per esempio, poche decine di euro giocati possono
fruttare anche migliaia di euro e questo alimenta le illusioni. Il risultato è quasi sempre sconvolgente: in un anno anche un impiegato o un
operaio può arrivare a “bruciare” dai dieci ai cinquanta mila euro, frutto del proprio stipendio, di risparmi, di prestiti, o delle stesse vincite
accumulate in precedenza.
Nel tentativo di recuperare il denaro puntato e perso, il soggetto sarà
costretto in una corsa continua, a giocare cifre sempre più alte, al fine
di annullare la perdita o una serie di perdite.
Quando le possibilità di ottenere prestiti si esauriscono, il soggetto vittima della dipendenza dal gioco può ricorrere, per ottenere denaro, anche
a comportamenti antisociali quali la contraffazione, la frode o il furto.
Molte persone, affette da gioco d’azzardo patologico, possono essere
altamente competitive, energiche, irrequiete e facili ad annoiarsi. Inoltre sembrano essere eccessivamente preoccupate dell’approvazione
altrui e sorprendentemente generose.
La diffusione della dipendenza da gioco d’azzardo è influenzata dai
media e dalla disponibilità e dal grado in cui tale pratica è legalizzata,
con tassi elevati in entrambi i sessi.
oltre a decine e decine di siti web legali, ovvero regolarizzati dai Monopoli di Stato, proliferano sale gioco on line, fuori dal controllo dello
Stato, con un conseguente incremento esponenziale del fenomeno, sia
negli adulti che negli adolescenti.
Molte persone, affette da ludopatie, soffrono anche di altri disturbi, tra
cui il più comune è la depressione, ma anche alcuni disturbi di personalità caratterizzati da impulsività, quali il disturbo borderline e il disturbo narcisistico di personalità.
Il nome ludopatia infatti viene quindi utilizzato espressamente in relazione al gioco d’azzardo. È una malattia riconosciuta da più di trent’anni anni a questa parte e a livello mondiale.
29
È sempre più assimilata alle dipendenze patologiche da droghe e alcol
e non esiste una linea di demarcazione tra chi gioca in modo sociale e
chi lo fa in modo patologico. Si tratta di un continuum con zone intermedie di gioco a rischio o gioco problematico.
Inoltre, un ambiente familiare in cui gli aspetti materiali sono enfatizzati rispetto agli aspetti emotivi è un fattore di rischio. In Italia poi oggi abbiamo il grosso problema dell’offerta massiccia che rappresenta
un pericolo.
Chiunque di noi dal mattino alla sera è bombardato da messaggi: radio, tv, banner su internet, giornali invitano in qualche modo al gioco.
La crisi economica inoltre fa impennare il problema: meno risorse si
hanno e più si è propensi a rischiare. Sicuramente c’è un rapporto inversamente proporzionale con la condizione di benessere. Per questo
il gioco è una malattia sociale: giocano di più le persone meno istruite
e con minore reddito.
Il marcatore dell’ingresso nella patologia è costituito dalla rincorsa delle perdite. Il giocatore che non si rassegna di fronte a una perdita significativa e cerca di rifarsi sempre col gioco. Il passaggio a un livello grave è il superamento del confine della legalità: comportamenti illegali,
truffe, furti, ammanchi sul luogo di lavoro sono tutti segnali forti.
Le dipendenze da droga, alcol, pornografia e gioco d’azzardo sono
molto più simili tra loro di quanto pensiamo per come trasformano le
vite degli individui. Il criterio diagnostico principale è quello di trascurare le proprie normali occupazioni. Un altro sintomo è l’aver bisogno di giocare sempre di più per ottenere lo stesso piacere cioè una vera e propria assuefazione.
I segnali con cui, sempre più spesso si identificano i malati di ludopatia possono essere brevemente elencati:
• Il coinvolgimento sempre crescente nel gioco d’azzardo (ad esempio, il soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare modi per procurarsi il denaro con cui giocare).
• Il bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato.
• L’irrequietezza e l’irritabilità quando si tenta di giocare meno o di
smettere. Il soggetto in questi casi ricorre al gioco come fuga da problemi o come conforto all’umore disforico (ad esempio, senso di disperazione, di colpa, ansia, depressione). Quando perde il soggetto
ritorna spesso a giocare per rifarsi (“inseguimento” delle perdite).
30
Chi è affetto da ludopatia spesso mente in famiglia e con gli altri per
nascondere il grado di coinvolgimento nel gioco o può arrivare a compiere azioni illegali (ad esempio, reati di falso, truffa, furto, appropriazione indebita) per finanziare il gioco. Non solo: i soggetti che giocano, prevalentemente su internet, perdono relazioni importanti, il lavoro, opportunità di formazione o di carriera a causa del gioco.
Il gioco d’azzardo patologico on line è una delle prime forme di “dipendenza senza droga” studiate che ha ben presto attratto l’interesse
della psicologia e della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, al punto che si comincia a riparlarne in relazione alle
sue conseguenze sulla salute ed in particolare sull’equilibrio mentale
che questo tipo di problema è in grado di produrre.
Per molte persone, infatti, numerosi giochi d’azzardo tra quelli elencati sono piacevoli passatempi, in taluni casi occasionali e in altri abituali, ma anche in quest’ultimo caso non significa che il gioco sia necessariamente patologico, dal momento che non è la quantità il fattore discriminante del problema. Il giocatore compulsivo, infatti, si pone lungo un continuum che conta diverse tappe dai confini spesso sfumati
che vanno dal gioco occasionale, al gioco abituale, al gioco a rischio
fino al gioco compulsivo. Di conseguenza, il gioco d’azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale
perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre
più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita.
Lo stato mentale di un giocatore patologico è pertanto estremamente
diverso da quello di un giocatore anche assiduo non patologico e si caratterizza per il raggiungimento di uno stato similare alla sbornia, con
una modificazione della percezione temporale, un rallentamento o perfino blocco del tempo, che nasce da una tendenza a raggiungere uno
stato alterato di coscienza completamente assorbiti, fino ad uno stato di
estasi ipnotica, dal gioco. Talvolta questa condizione della mente è favorita da un reale consumo di alcolici o di altre sostanze, associato al
gioco, che alimenta la perdita di controllo della propria condotta.
Per chiarire le caratteristiche diagnostiche del gioco patologico, è molto importante altresì distinguere il “vizio del gioco ” dalla “malattia
del gioco ”, sottolineando anche che spesso esiste una tendenza ad
usare il primo termine per designare impropriamente comportamenti
patologici. La distinzione è estremamente importante perché permette
di individuare una delle caratteristiche fondamentali del gioco d’az31
zardo patologico, disturbo siglato in psichiatria G.A.P.: la perdita di
controllo sul proprio comportamento, che invece nel vizio è un comportamento volontario, che può essere controllato ed eventualmente
interrotto da una persona che, tuttavia, lo mette in atto con volontà e
consapevolezza delle connotazioni negative attribuite ad esso da un
punto di vista morale.
In generale, secondo i criteri classificatori tradizionali della psichiatria, si può sintetizzare che si è in presenza di gioco d’azzardo patologico quando esiste un comportamento persistente, ricorrente e disadattivo di gioco d’azzardo, intendendo in quest’ultimo caso che il gioco è
in grado di avere delle pesanti ricadute negative sulla vita personale,
sociale e lavorativa del giocatore. È opportuno anche distinguere le fasi di progressione del gioco d’azzardo patologico , in cui un giocatore
si può muovere sia sul versante dell’aggravamento del problema che
della possibile risoluzione dello stesso. Più precisamente sono state individuate le seguenti tappe:
• fASE VINCENTE: caratterizzata dal gioco occasionale e da vincite
iniziali che motivano a giocare in modo crescente, spesso grazie alla
capacità del gioco di produrre un piacere e di alleviare tensioni e stati emotivi negativi;
• fASE PERDENTE: connotata dal gioco solitario, dall’aumento del
denaro investito nel gioco, dalla nascita di debiti, dalla crescita del
pensiero relativo al gioco e del tempo speso a giocare;
• fASE DI DISPERAzIoNE: in cui cresce ancora il tempo dedicato
al gioco e l’isolamento sociale conseguente, con il degenerare dei
problemi lavorativi/scolastici e familiari (divorzi, separazioni) che
talvolta ha generato anche gesti disperati di tentativi di suicidio;
• fASE CRITICA: in cui nasce il desiderio di aiuto, la speranza di
uscire dal problema e il tentativo realistico di risolverlo attraverso il
ritorno al lavoro, nonché i tentativi di ricucire debiti e problemi socio-familiari;
• fASE DI RICoSTRUzIoNE: in cui cominciano a vedersi i miglioramenti nella vita familiare, nella capacità di pianificare nuovi obiettivi e nell’autostima;
• fASE DI CRESCITA: in cui si sviluppa maggiore introspezione e
un nuovo stile di vita lontano dal gioco.
Numerosi studi hanno cercato di individuare i fattori di rischio che
predispongono a diventare “giocatori d’azzardo impulsivi” o perfino
32
“gioco-dipendenti”, ricorrendo a tre aspetti, generalmente ritenuti in
interazione fra loro:
• ASPETTI BIoLoGICI: relativi a fattori principalmente neurofisiologici, ancora non ben dimostrati, ossia allo squilibrio che si potrebbe determinare nel funzionamento del sistema di neurotrasmettitori
cerebrali atti a produrre serotonina, una sostanza chimica cerebrale,
responsabile di un equilibrio affettivo-comportamentale, che nei
giocatori patologici scenderebbe sotto i livelli comuni rispetto alla
media;
• ASPETTI AMBIENTALI-EDUCATIVI: inerenti sia l’educazione
ricevuta e quindi l’ambiente evolutivo caratterizzato da situazioni
problematiche e da una tendenza a stimolare e ipervalorizzare le
possibilità di felicità legate al possesso del denaro, sia la presenza di
difficoltà economiche legate ad esempio allo stato di disoccupazione che sembra un particolare fattore di rischio per l’insorgenza della
ludomania;
• ASPETTI PSICoLoGICI: che talvolta sembrano più connessi alla
presenza di tratti di personalità lussuriosa e avara di denaro, talvolta
connessi al bisogno di riuscire a dimostrare un controllo sul fato e
sul caso, come simbolo del controllo sul mondo che sfugge ad una
regolarità.
Le fasce più a rischio sono, tra le donne, le casalinghe e le lavoratrici
autonome dai quaranta ai cinquant’anni e, tra gli uomini, i disoccupati
o i lavoratori autonomi che hanno un frequente contatto col denaro o
con la vendita ed un’età intorno ai quarant’anni.
Il problema principale, per chi ha davvero bisogno di aiuto, in casi di
ludopatia, è che all’interno delle grandi città non esistono più luoghi di
aggregazione, il welfare sta arretrando e le famiglie diventano sempre
più segmentate, allargate, distanti. In una società come quella di oggi
che ha puntato tutto sulla produttività, prevale la frammentazione sociale e familiare.
Secondo le stime del Codacons in 8 anni si è registrato un aumento del
450% del volume d’affari dei giochi d’azzardo, che vale 70 miliardi e
che corrisponde a oltre il 4% del Pil. In un periodo di crisi finanziaria
la popolazione, dunque, si aggrappa a qualsiasi sogno, qualsiasi bugia
e nella maggior parte dei casi ad una vera e propria utopia.
33
1.4. I siti pornografici
La cyber-porn addiction, ovvero la dipendenza da pornografia on-line, è
una ricerca compulsiva di appagamento sessuale tramite la fruizione di
materiale pornografico on-line (immagini e video) e la comunicazione
attraverso chat erotiche. Il porno-dipendente da web tende a mantenere
per molte ore il livello di eccitazione, per far calare e liberare l’eccessiva
tensione, rabbia, stress e dimenticare tutti i suoi problemi. Al momento
del calo della tensione subentrano la repulsione, disagio, malessere per
gli stimoli pornografici e la sensazione di essere schiavi di un meccanismo che toglie la libertà. Il soggetto avverte l’esigenza di porre fine alla
dipendenza, ma (come per tutte le dipendenze) la compulsione prenderà
nuovamente il sopravvento. Nella cyber-porn addiction, l’interattività è
completamente assente, in quanto la persona è sola con lo schermo e le
immagini impresse su di esso. Nel dipendente si riscontra una semi-impotenza o impotenza totale nell’atto con un partener reale.. Il soggetto
ottiene il piacere fisico solo attraverso la visione di materiale pornografico, è incapace di controllare, limitare o sospendere la fruizione di materiale pornografico; non riesce più a vivere senza.
La mente del cyber-porn addict, è passiva, non libera d’immaginare
poiché, visionando materiale pornografico, quest’ultimo si appropria
della fantasia dello “spettatore”, stereotipandole alle sue immagini. Il
mondo virtuale permette di scegliere a piacimento la propria identità e
caratteristiche, favorendo processi di dissociazione. È un’emergenza
poco appariscente perché consumata in silenzio e in solitudine, ma intacca rapporti di coppia, la capacità dell’individuo di avere relazioni
sane e, in casi gravi, affrontare e vivere la realtà. Si sperimenta un’onnipotenza che nessuna relazione con una persona “vera” può dare.
La dipendenza da pornografia on-line, non è legata a problemi sessuali o
ad una carenza di partner o di attività sessuale, poiché può caratterizzare
infatti chi è single, in coppia, senza distinzione d’età, sesso, status economico e sociale. Vari sono i problemi che comporta la porno dipendenza,
sia dal punto di vista sessuale che da quello psicologico e socialev.
Dal punto di vista sessuale i problemi possono essere:
• Appagamento sessuale compulsivo prolungato e controllato (finalizzata a massimizzare il piacere della visione pornografica);
• calo quasi assoluto del desiderio sessuale verso il partner, con una
forma di fastidio per il suo corpo;
• semi-impotenza o impotenza totale;
34
• predisposizione al sesso solo attraverso la visione di materiale pornografico;
• condizionamento a guardare le donne reali esclusivamente come
corpi pornografici.
Dal punto di vista psicologico e sociale, come abbiamo detto prima, la
porn-addiction modifica in modo negativo e profondo tutti gli aspetti
della vita di un individuo: lavoro, amici, famiglia e amore. Le conseguenze, che non si presentano contemporaneamente in tutti i soggetti
essendo variabili da persona a persona e più o meno accentuate a seconda del livello di dipendenza, possono essere molteplici. Tra quelle
in comune con altre dipendenze possiamo citare:
• Stress fisico
• Deterioramento considerevole delle relazioni sociali, separazione
dai parenti, isolamento
• Diminuzione della memoria a breve termine e di sintesi
• Diminuzione delle abilità intellettive quali intuito, astrazione, sintesi, creatività, concentrazione
• Diminuzione del rendimento lavorativo e scolastico, calo delle prestazioni fisiche e sportive
• Diminuzione e alta irregolarità del sonno
• Aumento dell’ansia, senso di frustrazione, nervosismo e pessimismo
• Intrattabilità e noia
• Disorientamento progettuale, ovvero l’incapacità di fare scelte importanti e/o cambiamenti
• Disgregazione dell’immagine di sé, attraverso l’interiorizzazione
del giudizio negativo di sé
• Tolleranza, poiché la persona necessita di dosi sempre più forti con
degenerazioni in parafilie varie
• Carenza di autostima, tristezza, malinconia, depressione, irrequietezza ed isolamento sociale
• Pericolosa tendenza verso altri comportamenti di fuga
Tra le conseguenze specifiche della dipendenza dalla pornografia possiamo citare:
• incapacità d’innamoramento profondo con grave ripercussione sulla
relazione di coppia;
• snaturamento di relazioni sessuali dove la persona cerca di ricreare
con il suo partner uno schema pornografico.
35
L’uso e l’abuso, fino alla vera e propria dipendenza, del porno è una
dinamica psico-sociale recente e strettamente collegata ai nuovi mezzi
di comunicazione, in particolare internet, sempre più veloci, illimitati
e alla portata economica e spazio-temporale.
La rete, con la sua possibilità distributiva veloce, ovunque ed in qualsiasi momento, ha contribuito all’aumento della pornodipendenza fornendogli in specifico caratteri di discontrollo e di compulsione.
Sul web l’offerta di pornografia è sconfinata e molto spesso essa ha
costi molto bassi, inoltre è accessibile ad ogni orario di qualsiasi giorno e a tutti quanti, visto che non vi sono particolari password o restrizioni per accedervi.
L’abuso e la conseguente dipendenza dal porno, il quale può dunque
divenire una droga, si manifestano con una serie di comportamenti simili ad una vera e propria dipendenza da sostanza, comprese assuefazione, astinenza, sintomi e problematiche psichici, relazionali, fisici,
familiari, lavorativi, sociali, etc.
Dunque un problema con implicazioni psicologiche, ma anche sociali,
affettive, familiari, emotive, sempre più pericoloso e che riguarda
sempre più persone.
La pornodipendenza non va confusa con la dipendenza da attività sessuale, e non rappresenta una sorta di risposta psicopatologica a problemi sessuali o a carenza di partner o di attività sessuale.
La modalità di visione di materiale pornografico, tuttavia, assume nel
tempo caratteristiche compulsive e di discontrollo. La persona non
riesce più a controllare e a rendersi conto del tempo trascorso e che
trascorre nella consultazione di immagini e filmati pornografici, e
tende sempre più a ripetere le azioni di visione in modo appunto compulsivo.
Pensieri e comportamenti ripetitivi, legati gli uni agli altri, legano la
pornodipendenza al disturbo ossessivo-compulsivo. Vi è allora una
sorta di annullamento, o comunque di patologico sconvolgimento, a
livello degli spazi e dei tempi, delle primarie necessità psicologiche e
fisiche come dormire, mangiare, bere, e dei vari contesti vitali, come
quelli lavorativo, sociale, familiare, ed affettivo-relazionale. Dunque
la pornodipendenza influenza in modo fortemente negativo tutti i molteplici aspetti della vita della persona; oltretutto a ciò si devono aggiungere problematiche psichiche personali.
La dipendenza dal porno può infine scompensare e modificare, anche
di molto, i ritmi sonno-veglia e la fase del sonno, apportando in tal
modo sonno disturbato, possibili incubi e/o sogni, con contenuti legati
36
alla dipendenza e alla modalità virtuale di usufruire di immagini, filmati e rapporti con altre persone.
Non esiste però un profilo psico-emotivo del possibile pornodipendente e tali fattori sopra citati non sono quindi unici e assolutamente
determinanti.
Vi sono infatti altre concause come la caratteristica e la capacità attrattiva e di piacevolezza che contraddistingue la fruizione della pornografia (proprio come l’uso e l’abuso di alcol o di nicotina).
L’uso e l’abuso, fino alla vera e propria dipendenza, del porno è una
dinamica psico-sociale recente e strettamente collegata ai nuovi mezzi
di comunicazione, in particolare internet, sempre più veloci, illimitati
e alla portata economica e spazio-temporale.
La rete, con la sua possibilità distributiva veloce, ovunque ed in qualsiasi momento, ha contribuito all’aumento della pornodipendenza fornendogli in specifico caratteri di discontrollo e di compulsione.
La pornografia è in sostanza una falsa e violenta rappresentazione della realtà. Prima dell’avvento di internet l’offerta e la possibilità di consumo di pornografia aveva dei limiti oggettivi, per cui non si verificava il fenomeno della dipendenza, intesa, questa, nell’accezione corrente della letteratura psicanalitica.
Le particolari modalità di offerta di pornografia da parte di internet
hanno trasformato un consumo che poteva essere controllabile, in un
consumo compulsivo ed assolutamente incontrollabile.
L’offerta di pornografia su internet è praticamente infinita e comprende tutta la gamma delle possibili forme di pornografia (dalle immagini
di tipo televisione/famiglia a immagini di aberrazione completa).
È un’offerta a costi bassissimi (praticamente il costo della linea adsl)
ed è accessibile a chiunque abbia il minimo di conoscenza cibernetica.
È senza limitazione di orario. Tutti i vari filtri in commercio per impedire l’accesso ai siti pornografici sono praticamente inefficaci, nel
senso che è facile aggirarli.
La pornografia su internet, quindi, può diventare una droga che crea
una dipendenza. Una tragedia che riguarda milioni di persone nel
mondo ed ha assunto ormai la caratteristica di problema sociale.
In Italia solo adesso si comincia a parlarne. La dipendenza dalla pornografia, come abbiamo ribadito, non ha nulla a che vedere con la dipendenza dall’attività sessuale ed in nessun modo è una compensazione ad una carenza di questa attività.
La pornodipendenza ha una caratteristica assolutamente orizzontale:
uomini e donne, con partner e senza partner, giovanissimi e persone
37
mature, credenti e non credenti, tutte le fasce economiche e sociali.
Sono tanti gli utenti che fruiscono della pornografia online, che per
molti diventa una vera e propria ossessione, una costrizione che arriva
a rovinare la vita sociale e lavorativa. La forte dipendenza dal porno è
grave: essa rovina letteralmente la vita, causando disagi nelle relazioni, sul lavoro e così via. Altrettanto cruciale, però, è il fatto che i meccanismi che stanno dietro la dipendenza alla pornografia sono completamente naturali.
La proliferazione del porno sulla dipendenza da Internet ha alimentato
la spirale semplicemente perché l’accesso è estremamente facile. Si
stima addirittura che il porno triplicherà grazie ai tablet entro il 2015.
Al fine di capire il problema nel dettaglio, bisogna capire quali sono le
abitudini dei sessodipendenti. Il porno diventa parte della loro vita.
Perdono la voglia di socializzare e anche di avere rapporti sessuali reali, al di là del sesso fruito in maniera virtuale.
Le persone, anche se si rendono conto della propria smisurata dipendenza dal porno, non ne parlano con gli altri, per paura di essere mal
giudicati e perché si sentono orribili, consapevoli di essere intrappolati
in un ciclo auto-gratificante legato al porno, alla masturbazione e all’orgasmo. Una generale mancanza di consapevolezza del problema,
invece, induce i ragazzi a continuare sulla propria strada di piacere,
ignari delle conseguenze. Come qualsiasi dipendenza entra in gioco in
particolare il cervello.
Con un mondo pieno di pubblicità sessualmente suggestive e personaggi nei giochi di fiction e video, non c’è da meravigliarsi che la pornografia è diventata sempre più socialmente accettabile, certamente
all’interno di una sottocultura di adolescenti e giovani. L’avvento di
Internet ha messo a disposizione materiale per adulti: questa è una dura realtà che chiunque con le preoccupazioni sulla dipendenza pornografia deve semplicemente accettare. Sembra che la disassuefazione
dal porno su Internet non sia solo il tentativo di rompere l’abitudine.
Piuttosto, vi è un processo chimico nel cervello che va a svilupparsi. Il
cervello, dunque, andrebbe a fornire una risposta basata su un piacere
intorpidito, classificabile come desensibilizzazione. Inizia tutto dalla
dopamina: se la dopamina è troppo alta per un periodo di tempo abbastanza lungovi, porta la perdita di sensibilità delle cellule nervose.
Il recupero da dipendenza dalla pornografia online e le eventuali patologie correlate (come ad esempio la disfunzione erettile) possono essere portati avanti, ma richiedono grande forza di volontà, determinazione e comprensione di ciò che sta accadendo. Si può iniziare, for38
mattando il PC, ripristinandolo ai valori di fabbrica e impostare dei filtri e-mail e sul browser che blocchino i risultati sessualmente espliciti.
SelfControl per Mac blocca l’accesso a Internet temporaneamente
mentre www.getcoldturkey.com può anche controllare la capacità di
visualizzare materiale per adulti, per evirare ricadute. Anche utilizzare
un adblocker può essere una buona idea per bloccare gli annunci che
appaiono su facebook o altri servizi web apparentemente innocenti.
1.5. La pedofilia on line
Un altro fenomeno da tenere in considerazione, relativamente ai pericoli della in rete, è sicuramente la pedofilia on-line. Gravissima piaga
sociale, anche perché colpisce i minori, nella maggior parte dei casi
bambini e pre-adolescenti. Ci riferiamo al comportamento di pedofili
che utilizzano la rete internet per incontrare altri soggetti attraverso
chat e forum, per alimentare le loro fantasie sessuali deviate, per rintracciare e scambiare materiale fotografico o video pedopornografici e
per ottenere contatti o incontri con i bambini che sono sulla rete.
I ragazzi di oggi, lo sappiamo, vivono immersi nella tecnologia. Sempre più si anticipa il loro ingresso nel mondo del web: socialnetwork,
giochi on-line, blog, mille i modi per essere presenti in un mondo che
non si tocca materialmente ma che è così vicino alle nuove generazioni.
fare amicizia, condividere un interesse, parlare e partecipare alla vita
sociale dei propri amici anche attraverso la rete, è una pratica più che
diffusa ma non sempre comprendendo bene quante persone leggono,
vedono, sanno quel che accade. A partire dall’ottobre 2012 in Italia
viene introdotta una nuova fattispecie di reato che riconosce il carattere di pericolosità dei contatti sessuali on-line tra minori e adulti: l’adescamento.
L’estrema confidenza che i giovani hanno con il Web li conduce talvolta a valicare i confini della prudenza, gli consente di cavalcare la
loro naturale curiosità con maggiore libertà di quanto farebbero nella
vita reale. Chi ha interesse ad avere contatti con minori con l’aberrante
e adulta volontà di indurre gli stessi ad un rapporto a parlarne, a vedere
immagini pornografiche sa che il web è, purtroppo, il posto giusto dove “avvicinarsi” ai giovani, perché sono tutti sempre connessi, liberi e
con la convinzione di essere al sicuro. Quando il contatto avviene a
volte, click dopo click, post dopo post diventa amicizia, poi amore e
39
infine minacce, paura, dolore, vergogna. Questo è l’adescamento: un
lungo lavoro di manipolazione che soggetti adulti compiono sul web
per avvicinare minori, per indurli a fare cose che non sono adatte alla
loro età, per obbligarli a fotografare e filmare il privato che può diventare pubblico, su internet. E quando la forza delle lusinghe si trasforma
in vero e proprio adescamento delle vittime, quando la violenza delle
minacce produce terrore, il silenzio è l’unica strada che si offre ai giovani per affrontare il problema. I genitori spesso non sanno e fanno fatica a capire che tutto quello che i loro figli vivono è frutto di un reato,
di un comportamento sbagliato messo in atto da un adulto, di un azione illegale che si deve perseguire.
In questo processo, ancora in fase di studio in Italia, colui che abusa
“cura” la vittima, la induce gradualmente a superare le resistenze attraverso tecniche di manipolazione psicologica. Il metodo può presentare diverse caratteristiche: ad esempio mediante una subdola opera di
convincimento effettuata attraverso una normale comunicazione (ad
esempio, chat) o supportando questa attività con l’invio di immagini
pedopornografiche al minore. Il fine è sempre lo stesso: cioè quello di
convincere la potenziale vittima della normalità dei rapporti sessuali
tra adulti e minori. Questa tipologia di adescamento, proprio perchè
svolta in maniera “amichevole”, è in realtà molto insidiosa ed è utilizzata soprattutto attraverso lo scambio di sms.
L’attività può durare settimane, ma anche mesi; il minore, infatti, viene
lentamente e gradualmente preparato da parte dell’abusante al loro primo incontro. L’abusante può cercare di manipolare la volontà del minore attraverso strumenti diversi. Per esempio, mostrando un particolare interesse per il minore, facendolo sentire specialevii. L’obiettivo è di
diventare un vero e proprio confidente del minore, condividendo con
lui dettagli molto intimi della sua vita sessuale e delle sue relazioni.
Normalmente l’abusante naviga in pubbliche chat alla ricerca di un minore più vulnerabile; una volta individuato lo invita a chattare in una
private room. Questo nuovo ambiente, la possibilità di usare pseudonimi e l’anonimato, rendono molto facile la possibilità d’introdurre argomenti intimi e soprattutto legati alla sfera sessuale. L’intimità creata nel
tempo risulterà prodromica ad un primo scambio di numeri di telefono
ed infine ad un vero e proprio incontro tra l’abusante e la vittima.
Normalmente l’abusante svolge questa attività con più minori contemporaneamente al fine di arrivare ad incontrarne almeno uno.
È nel cosiddetto “deep” (profondo) webviii che si nasconde la pedofilia
che continua indisturbata la sua opera, estendendo i propri tentacoli
40
ovunque, soprattutto sui social network frequentati da troppi bambini.
I dati presentati dall’associazione “Meter”ix di don fortunato Di Noto
presentano un quado allarmante: l’Italia ricopre ruolo non indifferente
all’interno del panorama della criminalità pedofila in rete con 32 siti e
riferimenti su 1.560 individuati.
La Russia e, dallo scorso anno, anche l’Africa rivestono un ruolo centrale per le reti pedofile che in questi Paesi allocano i loro siti di riferimentox.
I dati, per don fortunato Di Noto, “rappresentano una realtà drammatica e in crescita con rilievi di denuncia che hanno reso visibile le torture sessuali sui bambini in tenerissima età. La pedofilia criminale si
nasconde nel deep web -avverte il sacerdote- e conosce qualsiasi tipo
di canale per produrre e smerciare materiale pedopornografico e la
strisciante cultura pedofilia che normalizza i gravi abusi sui bambini”.
Nel 2013 Meter ha monitorato 6.389 siti, 1.048 tra comunità e social
network. Nel 2012 sono 56.357 i siti pedofili monitorati.
In dieci anni - dal 2003 al 2013 - sono 107.781 i portali pedofili scoperti dai volontari di Meter, che l’anno scorso hanno fornito 735 consulenze telefoniche, mentre il Centro di ascolto e accoglienza si è occupato direttamente di 36 casi. Lieve contrazione delle segnalazioni
sui social network, passate da 1.274 nel 2012 a 1.048.
Il confronto col 2012 mostra una diminuzione nel numero di siti segnalati: i 15.946 dell’anno precedente vengono sostituiti dai 6.389
dell’anno di riferimento evidenziando un calo del 22% circa.
La maggioranza dei domini, come detto, sono allocati in Russia e sono
generici per mantenere l’anonimato (82,15% mentre solo il 9,78% è
costituito da domini specifici). La presenza di comunità pedofile sui
social network è calcolata nel 7,99%, ma questi siti restano tra le piattaforme d’elezione per la propaganda pedofila.
I domini più utilizzati sono.com (1.721, ossia il 55,23%),.lix.in (1.094,
il 33,21%),.net (325),.org (70),.info (34),.onion (26),.biz (19),.tv (4).
Il dominio.lix.it è stato individuato all’interno di una specifica area
geografica che tuttavia non ne permette l’identificazione immediata.
Nel 2013 si riscontra per la prima volta un ruolo predominante dell’Africa nell’alimentazione della rete pedopornografica virtuale, con il
45,75%, seguita da Europa (42,28%), Asia (14,89%), oceania
(3,76%) e America (3,32%).
L’osservazione dei domini della rete per la diffusione di materiale a
contenuto pedopornografico mostra il ruolo principale della Libia.ly
(Africa), con 935 siti segnalati rispetto ai 78 del 2012 e della Russia
41
(Europa) che con le estensioni.ru copre 663 siti segnalati, rispetto ai
571 del 2012. L’Asia è rappresentata in primo luogo dall’India con il
dominio.in (68 siti) seguita dal Giappone (n. 22), l’oceania dalle Isole
Tonga (50) e l’America dagli Stati Uniti (44).
Nel 2013 Meter ha inoltre condotto un’indagine pilota riguardo la diffusione del fenomeno del sexting, ossia l’invio di testi o immagini sessualmente esplicite.
L’autoproduzione e l’autopromozione del materiale in rete da parte di
minori spiega l’ampia diffusione del fenomeno a causa della sua incontrollabilità. Sono gli stessi minori a creare deliberatamente materiale a sfondo sessuale e a metterlo in rete.
I dati mostrano come i bambini già all’età di 8 anni sono entrati in una
mentalità digitale. Collegano le loro azioni, gioco, attività varie a un
bisogno di ‘condividerle’, in maniera virtuale con i loro ‘amici’. Due i
rischi online: aumento dei minori adescati da pedofili; diminuzione
del tempo dedicato ai giochi reali.
È opportuno a questo punto riportare le cinque fasi, comuni alla maggior parte dei casi di avvicinamento fra un pedofilo e la sua vittima:
• la prima fase, denominata friendship forming stage è quella in cui
l’abusante inizia ad instaurare un rapporto con il minore e, nella
maggior parte dei casi, si fa inviare una sua foto.
• Segue la fase chiamata Relationship forming stage in cui l’adulto
inizia a prendere informazioni sulla sua vita privata.
• Successivamente, l’abusante inizia ad indagare sui possibili fattori di
rischio di essere scoperto, interrogando il minore sulla posizione del
computer, sulla presenza in casa dei genitori e sugli eventuali controlli
da parte loro (tale fase prende il nome di Risk assessment stage).
• A questo punto inizia la vera e propria manipolazione del minore, in
cui l’adulto prima cerca di creare una situazione di intimità per indurlo a confidarsi (Exclusivity stage), poi inizia ad indagare sulla
sfera sessuale del minore (Sexual stage). In questa fase spesso l’abusante mostra immagini pedo–pornografiche con minori sorridenti,
per dimostrare che si stanno divertendo, e talvolta cerca di ottenere
un’appuntamento con il minore. La stessa tecnica di manipolazione
psicologica è impiegata, dopo l’abuso, per ottenere il silenzio della
vittima attraverso il ricatto. Si fa credere al minore che, partecipando
all’atto sessuale, abbia commesso un crimine; oppure lo si minaccia
di mostrare le immagini che lo ritraggono ai genitori o agli amici.
42
Si può dire che il fenomeno (denominato grooming dagli esperti) è
una forma di approfittamento della fiducia di un minore, realizzate attraverso forme di comunicazione a distanza (telefono, sms, chat line,
eccetera), in funzione del compimento di delitti sessuali.
Nella comunità dei pedofili online, secondo le ricerche fin qui condotte, più sono giovani le vittime, più si acquista “prestigio” con gli altri
pedofili, che si sono trasferiti in massa dalla Rete in chiaro nel deep
web, l’Internet dei senza nome e dei senza faccia. I “referenziati”, e
solo loro, hanno il diritto di chattare, di scambiarsi riprese, di mercanteggiare per un pugno di euro abusi sessuali su commissione.
All’interno dei computer dei pedofili si ritrovano quindi non solo materiali pedopornografici ma anche veri e propri programmi di condivisione che consente all’utilizzatore del pc di condividere il materiale
residente sulla memoria fisica con altri utenti della rete.
Le comunità on line di pedofili nascono e muoiono nel giro di pochi
mesi, tranne le più frequentate che durano anche un paio di anni. In
ogni comunità si contano duecento, trecento, cinquecento partecipanti, alcuni saltano di gruppo in gruppo, tutti, ciecamente, inseguono ciò
che possa soddisfare le proprie perversioni.
Le comunità di pedofili sul deep web sono diventate un’emergenza internazionale tanto che la polizia postale italiana lavora con l’fbi e Europol per fermare un fenomeno in costante crescita. Nelle chat ci si
scambia di tutto, riprese di violenze a minorenni, anche piccolissimi,
fotografie di adolescenti.
Le indagini condotte dalla polizia postale nel 2014 hanno portato all’arresto di una decina di italiani, facenti parte di vari comunità on line: professionisti, operai, impiegati di banca, di età compresa tra i 24
e i 63 anni, alcuni sposati, alcuni con figli.
Molti, fra gli utenti coinvolti nelle indagini, avevano pubblicato fotografie con tre minorenni, il più piccolo dei quali di soli tre anni. Bambini di tre anni, di cinque, di dodici, preadolescenti, massimo 14-15
anni, queste sono le fasce a rischio.
Nell’anno 2013 invece sono state arrestate 55 persone, 344 sono state
denunciate, 28mila i siti monitorati dagli agenti della polizia postale.
Con questa attività sono stati cancellati dal web 1.641 siti: portali che
vendevano materiale pedopornografico, frutto di adescamento sulla
rete. Il traffico nell’ultimo anno è crollato del 17 per cento, proprio per
questa transumanza dalla rete in chiaro sul deep web. Ma se uno degli
ultimi siti ad essere oscurato, in Canada, è riuscito ad accumulare 7
milioni di dollari, vuol dire che il mercato dell’orrore è florido e ha i
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suoi sfruttatori, i suoi utilizzatori.
L’utente può barattare il frutto della proprio adescamento con altre foto, altri video e altro materiale. Sempre però aderendo a una sorta di
“decalogo” che rimbalza sulle chat: tra i vari precetti di comportamento per la comunità (“cifrare le mail e i video”, “assicurarsi di non essere spiati”, “portare le referenze per entrare”) annovera la prima regola:
se si viene è intercettati dalla polizia il circuito si deve interrompere
immediatamente.
In questi antri nascosti del web si materializzano anche i “mercanti”
che smerciano i corpi dei bambini come se si trattasse di merce. Per un
video chiedono anche 500-1000 dollari, per le foto meno. Si paga in
bitcoin, la moneta virtuale, ma anche con il moneytransfer. “L’obiettivo di molti è anche arrivare a incontrarsi realmente e partecipare a violenze su altre minori.
Il confine tra il virtuale e il reale è dunque molto sottile. Certe azioni
compiute nel mondo del web, abominevoli dal punto di vista morale,
sociale e psicologico, che hanno come oggetto l’essere umano, tanto
più se minorenne, non possono non avere ripercussioni anche penali.
La legge italiana nella consapevolezza che ogni condotta criminale
contro i minori sia dannosa per il loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale, ha creato una normativa, la legge n. 38 del 6
febbraio 2006, in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
bambini e di contrasto al fenomeno della diffusione della pornografia
infantile anche a mezzo internet.
Con specifico riferimento alla distribuzione telematica di materiale
pedopornografico la legge punisce con la pena della reclusione (da
uno a cinque anni) chi distribuisce, divulga, diffonde e pubblicizza,
anche per via telematica, materiale pornografico, e dunque immagini
ritraenti minori coinvolti in comportamenti sessualmente espliciti. Il
reato viene commesso attraverso la divulgazione via internet di materiale pedopornografico (e non quello di mera cessione dello stesso)
non solo chi utilizzi programmi di “file-sharing peer to peer”, ma anche chi impieghi una “chat line”. Quest’ultima, infatti, è uno spazio
virtuale, strutturato in canali, in cui un solo “nickname” (un nome per
ogni utente), necessario ad accedere alla cartella-immagini o video,
può essere utilizzato da più persone, alle quali siano state rese note
l’“username” e la “password”, che in tal modo possono ricevere e trasmettere materiale pedopornografico
Tale sistema, in particolare, rende possibile trasferire il materiale pedopornografico a molteplici destinatari. E ancora, nel corso degli anni
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la legge italiana ha specificato che la condotta di divulgazione di materiale pedopornografico, che avvenga in via automatica mediante
l’utilizzo di appositi programmi di download da internet, presuppone
comunque che i “files” di cui si compone il materiale siano interamente scaricati e visionabili, nonché lasciati nella cartella dei “files” destinati alla condivisione.
L’utente che, dunque, si dovesse ritrovare senza volontà a visionare
immagini pedopornografiche non può essere ritenuto un soggetto che
consapevolmente ha cercato o raggiunto tali immagini. Tuttavia, in tale caso, per tutelarsi e rimanere estraneo da possibili coinvolgimenti
penali, dovrà evitare prima di tutto di scaricare il materiale, giacché il
download può ritenersi attività equivalente alla condotta del “procurarsi” materiale pedopornografico, e dovrà immediatamente chiudere
la sessione sulla quale sta navigando. Inoltre, l’utente “passivamente e
inconsciamente coinvolto” potrà segnalare il sito che effettua pedopornografia alla polizia postale usufruendo del servizio specifico realizzato all’interno del sito del Commissariato di Polizia di Stato per
venire incontro alle esigenze dei cittadini. In questa pagina è possibile
anche denunciare reati telematici e avere informazioni di carattere generale in materia informatica.
Chi lotta contro la pedofilia on line (operatori della comunicazione,
associazioni o semplici utenti),oggi, grazie alle nuove tecnologie e
grazie al coordinamento fra organismi internazionali e in accordo con
le forze di polizia, può assicurare una vera e genuina attività di contrasto, segnalando e pubblicando articoli, approfondimenti e inchieste
che possono indebolire vere e proprie associazioni criminali che sfruttano bambini ed adolescenti in difficoltà.
1.6. I siti violenti
Internet è, come abbiamo sin qui visto, è fenomeno globale, è un sistema di comunicazione che rompe gli schemi tradizionali di interazione,
diviene il grande luogo della discussione in cui scompaiono le gerarchie esclusive e chiunque ha il diritto di parola e di intervento. Il cyberspazio si regge sull’indipendenza e sulla libertà. La parola d’ordine
è creatività senza imposizione di limiti. Non solo parole e pensieri, ma
anche video, immagini e suoni sono a disposizione di adulti e bambini.
Chiunque può usare la rete per indagare o per conoscere, per curiosare
o per studiare, per giocare o per informare. Gli aspetti positivi sono
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tanti e vanno riconosciuti. La mole di dati, di informazioni che Internet mette a disposizione per gli utenti è ricca, smisurata, vasta e spesso
purtroppo fuori controllo. È proprio qui che nascono le complicazioni.
I problemi determinati da un sistema libero e incontrollato possono
costituire un danno grave per gli individui e in generale per la società.
E Internet da mezzo tecnologico di un’utilità irrinunciabile diventa
strumento di tecnologia violento e pericoloso.
Navigando, infatti, si può inciampare facilmente in siti con immagini
e giochi violenti, siti on-line razzisti e intolleranti. La degenerazione
di questo sistema è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti. Il problema è venuto fuori in tutta la sua gravità con il fenomeno della pedofilia e della
pornografia ma ad oggi questi non sono gli unici fenomeni in costante
espansione.
Ad accrescere i pericoli derivanti dal web possiamo citare i cosiddetti
video virali con contenuti pericolosi.
Video virale è uno dei termini che è entrato a far parte della terminologia legate al mondo di internet, e detto in breve, non è altro che un
video condiviso dagli stessi utenti attraverso videoblog, blog, instant
messenge, email e social netwok, arrivando anche a milioni di visualizzazioni. Questi video, nella maggior parte dei casi, sono registrati
con telecamere a bassa risoluzione e smartophone per ingannare lo
spettatore. Con i casi di video virali che documentano bambini down
picchiati e derisi, risse, aggressioni, violenze sulle donne, molestie a
danno di minori, rapine e furti,il fenomeno si è allargato a dismisura,
portando all’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media il fenomeno in questione.
Perché in rete sembra consentito e lecito pubblicare qualsiasi tipo di
materiale? Sicuramente perchè in rete è più complicato identificare i
colpevoli o i trasgressori e probabilmente perché è più facile sfuggire
a sanzioni e controlli.
I giornali si sono occupati, spesso, di casi di ragazzi che hanno subito
violenze dai compagni di classe, o di piccole bande di criminali che
hanno compiuto furti o aggressioni con un unico intento: pubblicare il
video su internet.
Azioni e reati di questo tipo vengono messi a disposizione degli utenti
attraverso il motore di ricerca Google, alla voce “video divertenti”.
Questi casi conducono ad un’attenta riflessione sul fenomeno del bullismoxi. E non solo. Quando la rete è veicolo di trasmissione di video
ed immagini crudeli, violente, indecenti e perverse, il problema esiste
e non si può continuare ad ignorarlo. Non si vuole con questo demo46
nizzare internet, ma è evidente che esistono lacune e problemi nella
fruizione del mezzo, quali l’anarchia che lo governa, i danni provocati
da una scarsa e lacunosa disciplina del settore, la difficoltà di identificare e punire i trasgressori.
Ma, oltre al singolo video amatoriale, è importante sottolinearlo, esistono e si diffondono giorno dopo giorno, i cosiddetti “shock site”, ovvero
siti web che contengono materiali volutamente atti a offendere o stupire
negativamente il visitatore. Il contenuto di questi siti, a volte limitato a
una singola immagine o animazione, è estremamente crudo e violento.
Il più famoso shock site è stato probabilmente Goatse.cx, disattivato
nel gennaio 2004. In realtà, questi siti diventano veri e propri portali
con tanto di forum di discussione e l’utilizzo come shock site è dovuto
soltanto alla quantità di video e immagini violente e crude presenti,
per lo più riguardanti incidenti, guerre, crimini, esecuzioni e suicidi.
Molti di questi siti, per fortuna, vengono chiusi nel giro di pochi mesi
ma i loro contenuti confluiscono, in parte, all’interno di altri siti o di
social network, vanificando di fatto, il lavoro compiuto delle istituzioni pubbliche.
Molte ricerche hanno dimostrato che esiste una relazione tra l’esposizione a immagini violente e i comportamenti distruttivi e violenti di
bambini e ragazzi. Queste immagini anche se non inducono automaticamente comportamenti devianti, che sono collegati a situazioni familiari, sociali e culturali a rischio, rendono comunque i bambini meno
sensibili rispetto alle conseguenze della violenza nella vita reale.
Azioni violente come insulti, risse, minacce, ricatti e perfino pestaggi, aggressioni a mano armata e stupri, solo perché viste di continuo
sul web, possono far perdere all’adolescente il senso della loro reale
gravità.
La riduzione dell’esposizione dei giovani ai media violenti dovrebbe
essere considerata un importante aspetto della prevenzione della violenza.
Esiste la relazione tra la violenza dei media e il comportamento violento, come usare un’arma da fuoco o da taglio contro qualcuno, commettere rapine o compiere aggressioni aggravate o sessuali.
Quando i siti web violenti vengono visitati dai ragazzi la probabilità di
comportamento violento cresce.
I giovani che navigano sui siti internet in cui compaiono “persone reali
che combattono, sparano o uccidono”, hanno una probabilità maggiore di comportamento seriamente violento rispetto a coloro che non visitano questi portali.
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La tendenza a un comportamento violento aumenta anche col numero
di media violenti che un giovane “consuma”, ma l’effetto di tv, film,
musica, giochi o cartoni animati sul web è inferiore rispetto a quello
della violenza su Internet che ha per protagonisti persone realixii. La
natura interattiva del web potrebbe spiegare la sua maggiore influenza
rispetto ad altri tipi di media.
Internet, dunque, necessita di una disciplina giuridica uniforme ed efficace, perché è troppo imponente il ruolo che esercita nella vita di tutti i giorni. Internet va governato quando si superano i limiti della decenza e del buon senso. Giovanni Sartori, politologo e studioso dei
cambiamenti della società e del diritto, sostiene che sono numerose le
preoccupazioni che riguardano una disciplina giuridica della rete. «Si
tratta di voci provenienti dai governi interessati a controllare la rete a
fini di polizia (prevenzione del crimine e in particolare del terrorismo), a censurare alcuni tipi di informazioni (materiali attinenti alla
pedofilia, alla pornografia, all’incitazione all’odio etnico o razziale,
alla propaganda nazista, ecc.), a controllare il dissenso politico e sociale. Altre voci, ancor più forti, sono giunte dalla comunità degli affari, e hanno richiesto (e ottenuto) facilitazioni per il commercio elettronico, la protezione di marchi e segni distintivi, l’energica tutela
della proprietà intellettuale. Infine, voci motivate dalla preoccupazione per i diritti di libertà hanno richiesto la protezione della privacy
on-line, la conservazione delle utilizzazioni libere (fair use) dei prodotti culturali (la conservazione dei CD cultural commons), e più in
generale la garanzia che Internet rimanga un ambiente nel quale
esercitare in sicurezza diritti civili, sociali e culturali».
Ma non è così facile trovare consensi su una regolamentazione della
rete. Infatti molti sono coloro che si oppongono perché ritengono che
Internet debba conservare la libertà che lo contraddistingue, perché
garantisce l’anonimato, perchè è il mezzo più vicino ad una concezione ampia di libertà d’espressione e di democrazia. Inoltre la sua mutevolezza e la sua dimensione estesa rende difficile prevenire e limitare.
È anche per le peculiarità del mezzo che diviene estremamente difficile l’applicazione della normativa riferita ai mass-media tradizionali.
Allo stesso tempo però non si può nemmeno considerare la rete come
una sorta di zona franca lontana da qualsiasi controllo giuridico. Soprattutto quando a sottrarsi alle sanzioni sono i responsabili di crimini
informatici, di violenze e di truffe. È opportuno avere una maggiore
chiarezza circa la responsabilità degli operatori Internet o Provider
cioè i fornitori dell’accesso a Internet. Per questi soggetti si pongono
48
oggi diverse questioni di responsabilità rispetto a violazioni compiute
sulla Rete in prima persona o da parte d’utenti che fanno uso delle loro
piattaforme tecnologiche e dei loro servizi. Il problema sorge in merito alla responsabilità penale piuttosto che a quella civile. Ma la responsabilità penale è personale. Questo principio normativo, sancito
dalla nostra Costituzione, si scontra, come sopra menzionato, con la
difficoltà e quasi impossibilità di identificare il soggetto, al quale viene garantito tramite internet l’anonimato e la possibilità di agire a distanza non importa dove si trovi. Esiste in ogni caso il problema della
veridicità dei dati che l’utente ha dato al momento della registrazione.
Come è possibile individuare l’autore dell’illecito se questo non ha alcuna intenzione di farsi riconoscere? L’ISP (Internet Service Provider)
in questo caso ha responsabilità differenti a seconda che sia esso il responsabile dell’illecito, e qui l’individuazione e la sanzione è certa.
Ma esiste anche una responsabilità concorsuale all’illecito, in quanto
presuppone che l’ISP sia a conoscenza del fatto che qualcuno compie
illeciti attraverso la propria infrastruttura tecnologica ed abbia consapevolmente fornito l’accesso a dati illeciti immessi da altri. Il giurista
Gianluigi zarantonello, sul sito www.comunitazione.it dice che «anche ammettendo che il Provider sia a conoscenza di tali illeciti, quali
sono i suoi margini di intervento? Parte della dottrina sostiene che se
l’ISP è a conoscenza del contenuto illecito delle pagine ospitate è un
suo preciso dovere l’eliminazione dei contenuti illeciti attraverso
l’oscuramento e la cancellazione delle pagine incriminate. Questa
ipotesi però non pare attuabile in virtù del fatto che il Provider stesso
non ha l’autorità di eliminare qualcosa che, dal punto di vista del diritto di proprietà, non gli appartiene, visto che il contratto di hosting (o di
altro tipo di servizio) tutela la proprietà intellettuale dell’utente finale.
Una disciplina adeguata deve partire quindi anche dalla collaborazione degli stessi operatori. Solo così si può arrivare a formulare una disciplina chiara e trasparente circa gli obblighi in capo a operatori di rete riguardanti la divulgazione di contenuti illeciti e la verifica di materiale pubblicato dai propri clienti/utenti. In questo modo si potrebbe
garantire la collaborazione con l’autorità giudiziaria per combattere i
responsabili dei siti con contenuti illegali.
La proliferazione di gruppi sui social network con il solo scopo di condividere filmati cruenti porta all’attenzione non solo la divulgazione
di contenuti violenti su siti nati “ad hoc”, ma anche la pubblicazione
su Twitter o facebook. fermo restando che i social network sono luoghi dove le persone possano discutere apertamente ed esprimere le
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proprie opinioni, non è permesso promuovere o pubblicare contenuti
violenti e minacciosi. Se da un lato è vero che facebook è una piattaforma che consente di condividere eventi che avvengono nella vita e
nel mondo circostante, è altrettanto vero che tutti i contenuti visivi
inappropriati trovati sul sito vengono rimossi con notevole ritardo. Sono vietate le immagini di violenza sadica contro persone o animali e le
rappresentazioni di violenza a sfondo sessuale, ma questi non vengono
filtrati preventivamente.
Per inviare una segnalazione e aiutare facebook a identificare un contenuto specifico, deve essere l’utente ad utilizzare l’apposito link per
“allarmare” i gestori.
Ricordiamo, inoltre, che due adolescenti su dieci, nel nostro Paese, visitano siti o pagine dei social network con contenuti violenti. È uno dei
dati che emerge dall’indagine sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, realizzata da Eurispes e dal Telefono Azzurro. fra i
ragazzi che usano giornalmente internet il 19,3% ammette di aver visitato siti che incitano alla violenza, il 12,1% siti che incitano a commettere un reato e il 13,1% siti che invitano all’odio contro gli stranieri.
Dalla ricerca risulta anche che solo il 4,3% degli adolescenti non usa
internet. Il 23,4% degli intervistati naviga per un ora al giorno, il
32,2% da una a due ore, un 22,8% da due a quattro ore e il 16,2% oltre
le quattro ore.
Quando un adolescente trascorre molto tempo davanti al pc molto
spesso in famiglia ci sono dei problemi reali, tangibili, che possono
quindi destabilizzare i ragazzi e portarli verso fenomeni di devianza.
Talvolta alcuni genitori permettono ai figli di impiegare il loro tempo
libero sul web semplicemente per “ignoranza” in merito al danno che
un abuso può comportare; altre volte per disattenzione o per altri problemi legati alla sfera sociale.
Ci sono genitori che utilizzano il pc come “anestetico”, tenendolo
sempre acceso come la tv. La dipendenza da contenuti nocivi può essere molto dannosa per la crescita dei ragazzi e per i rapporti che instaurano con i compagni di scuola e i professori.
La presenza di un adulto con cui poter commentare scene o immagini
viste sul web è estremamente importante. È necessario il “filtro” ossia
la mediazione dell’adulto e al sua funzione di “decodificatore” soprattutto quando il bambino è esposto a immagini non adatte alla sua età.
La presenza di un adulto in questi casi può mitigare gli effetti negativi
di ciò che il bambino vede sul web, permettendogli di comprendere
grazie a spiegazioni adeguate alla sua età il significato di certe scene.
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È quindi necessario garantire al minore un clima di confidenza, sincerità e dialogo tra genitori e figli in modo tale da creare un rapporto più
sincero, diretto alla comprensione di ciò che, semplicemente, non si
conosce o di cui si ha curiosità.
La stessa scena violenta inoltre può avere effetti diversi a seconda del
momento di vita che attraversa il bambino. Un ambiente affettivo e
culturale poco contenitivo o deviante naturalmente accentua e rinforza
gli effetti negativi derivanti dall’esposizione a immagini violente. I
bambini spesso tendono a ripetere ciò che hanno emozionalmente provato e mentalmente acquisito nei giochi con i coetanei e negli atteggiamenti in casa e a scuola. Altri bambini invece dinanzi a scene di
violenza possono provare una tale paura da sentirsi incapaci a reagire
fino a scegliere per se stessi il ruolo di vittime già rassegnate a subire
la violenza dei più forti.
Un’importante regola da seguire è stabilire uno spazio ben definito per
il pc all’interno della casa, e soprattutto non regalare smartphone o tablet già all’età di sette o otto anni.
occorre organizzare con i propri figli un programma giornaliero che
deve prevedere diverse attività e stabilire anche il tempo che si può
trascorrere su internet. Si tratta di creare uno spazio fisico e mentale
sul quale il bambino possa contare per trovare una risposta attiva a interrogativi, curiosità a bisogni affettivi che talvolta cerca di soddisfare.
Tutti gli adulti che ruotano attorno ad un bambino devono essere coinvolti. I genitori devono quindi mettere a disposizione del tempo comune per creare una rete sociale di sostegno e di alleanze sulla quale i
bambini possano contare e sentirsi tutelati.
NOTE
Monaco M., La dipendenza da internet. Dalla comunicazione alla comunicazione
virtuale, www.benessere.com
ii
Cantelmi T. e al., 2000, La mente in Internet. Psicopatologia delle condotte on-line,
Padova, Piccin
iii
Puglia C., La dipendenza dai social network, www.cristinapuglia.it
iv
Monaco M., La dipendenza dal gioco d’azzardo, www.benessere.com
v
Dati riportati sul sito www.siipac.it, Società italiana intervento patologie compulsive
vi
Caruso D., http://tech.attualissimo.it
vii
Menichetti S., www.pillole.org
viii
Di Corinto A., Pedopornografia, nell’abisso del deep web, www.repubblica.it
i
51
ix
x
xi
xii
www.associazionemeter.org
Natale R., Pedofilia online: scoperti 32 siti italiani, server occultati in Russia e
Africa, www.key4biz.it
Giostra S., Immagini crudeli, violente, indecenti e perverse: quando internet è fuori
controllo, www.spaziodi.it
Informazioni tratte dal sito.www.reuters.com
52
CAPIToLo 2
INTERNET E LA DIPENDENZA
di Claudia Di Lorenzi
Introduzione
L’evoluzione tecnologica degli ultimi decenni ha visto la diffusione di
tecnologie e dispositivi che hanno cambiato profondamente il modo di
comunicare e relazionarsi fra gli individui. Ciò che generalmente viene sperimentato, e che alimenta la diffusione e l’uso di tali strumenti,
consiste in un amplificarsi delle potenzialità dell’individuo che trova
in Internet e nei dispositivi tecnologici e digitali degli insostituibili
“facilitatori”. Navigando fra le autostrade del World Wide Web l’utente acquisisce facilmente informazioni e conoscenze prima accessibili
solo attraverso una ricerca articolata, lunga e talvolta assai complessa:
in molti casi, nell’era pre-Internet, quei “dati” non sarebbero mai stati
raggiunti. Inoltre, la Rete, anche grazie alla diffusione recente dei social network, ha accorciato le distanze fra gli individui facilitando la
comunicazione interpersonale, ora più accessibile, rapida e frequente:
col passare del tempo i network digitali, come i sistemi di messaggistica immediata, hanno offerto alle persone ulteriori piattaforme di relazione, facilitando l’instaurarsi e l’intensificarsi degli scambi. Tutto ciò
53
ha avuto ripercussioni concrete pressoché in ogni sfera dell’agire
umano, al punto che oggi la maggior parte delle attività - dall’intrattenimento, allo studio, al lavoro - si può svolgere sia offline che online.
Tuttavia, parallelamente alla diffusione di Internet e delle new technologies, si è assistito alla comparsa di forme di abuso talvolta talmente
gravi da sfociare nella dipendenza, compromettere il benessere psichico e fisico dell’individuo, ed incidere negativamente nella sfera delle
relazioni sociali e familiari, nei contesti lavorativi e sul piano economico. Il facilitatore si è così trasformato in un fattore di disturbo, un
ostacolo, una tossina.
Si parla al riguardo di “dipendenze tecnologiche”, una porzione della
famiglia delle cosiddette “nuove dipendenze”, o “new addictions”, ad
indicare quelle che non sono legate ad una sostanza ma a comportamenti e attività lecite e socialmente accettate. Pensiamo anzitutto alla
dipendenza da Internet che si declina in forme molteplici a seconda
che sia generica o specifica, e chiama in causa in particolare i social
network, le chat, il gioco d’azzardo online, i siti pornografici, i giochi
di ruolo, lo shopping e il trading online, la ricerca eccessiva di informazioni. Ma anche alla dipendenza dalle apparecchiature digitali come cellulari, smartphone, tablet, computer, pc portatili e playstation.
Condizioni che – anche grazie al proliferare di studi scientifici - un numero crescente di psicologi e psichiatri definisce come vere e proprie
patologie, anche se la comunità scientifica al momento non si è ancora
espressa in modo unanime. L’interrogativo di fondo è il seguente: è
l’abuso della Rete che genera patologie, o le varie forme di dipendenza da Internet si sviluppano a partire da un substrato già patologico e
ad esso danno espressione? Certamente alcuni individui presentano
caratteristiche psicologiche che predispongono allo sviluppo di una
dipendenza da Internet, ma è anche possibile che in assenza del comportamento di abuso tali potenzialità “negative” restino latenti e dunque inespresse. Per il momento l’ultima edizione aggiornata del DMS,
il più diffuso Manuale Statistico-Diagnostico dei disturbi psicologici e
psichiatrici, ovvero il punto di riferimento più accreditato per tutta la
comunità scientifica internazionale, cita solo l’“Internet Gaming Disorder”, ovvero i disturbi indotti dal gioco online, trascurando tutte le
altre forme di dipendenza dalla Rete. Inoltre, l’Internet Gaming Disorder è descritto non come una patologia “ufficiale”, ma solo come una
54
“condizione che richiede ulteriori studi”. Tuttavia le emergenze scientifiche in favore della diagnosi di vere e proprie patologie indotte
dall’abuso di Internet sono crescenti e si parla di una potenzialità psicopatologica plurima propria della Rete. Ma andiamo con ordine.
2.1. La letteratura scientifica sul tema: dai primi studi
alle acquisizioni recenti
Il primo studioso che parlò di Internet Addiction Disorder (IAD) fu,
nel 1995, uno psichiatra della Colombia University di New York, il Dr.
Ivan Goldberg (Goldberg, 1995) che indicò i criteri diagnostici utili al
riconoscimento del disturbo e propose di introdurre la nuova sindrome
proprio nel DSM. Secondo Goldberg la presenza di almeno tre dei seguenti criteri, nell’arco temporale di un anno, identifica l’esistenza di
un disagio clinicamente significativo indotto dall’abuso di Internet:
• il bisogno di aumentare progressivamente la quantità di tempo trascorso in Rete per ottenere la stessa soddisfazione iniziale, che pian
piano si va affievolendo;
• la difficoltà ad esercitare un’azione di controllo sul tempo trascorso
online, rispetto alle intenzioni iniziali;
• l’interruzione (o la riduzione) dell’uso prolungato di Internet causa
– nei giorni successivi all’interruzione del comportamento e fino ad
un mese – sintomi come agitazione psicomotoria, ansia o pensiero
ossessivo circa ciò che sta accadendo in Rete, fantasie o sogni su Internet, movimenti volontari o involontari di battitura a macchina con
le dita;
• i sintomi di astinenza dal web vengono alleviati facendo nuovamente ricorso alla Rete;
• interruzione o riduzione significativa di attività sociali, lavorative o
ricreative a causa dell’uso di Internet;
• utilizzo della maggior parte del tempo in attività correlate con Internet (acquisto di libri on line, ricerca di nuovi siti, creazioni di file,
ecc.);
• l’uso di Internet continua nonostante la consapevolezza che esso induca persistenti o ricorrenti problemi fisici, sociali, occupazionali o
psicologici, come perdita del sonno, difficoltà coniugali, ritardi negli appuntamenti del primo mattino, negligenza nei doveri professionali e sentimenti di abbandono.
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Va detto che Goldberg inizialmente intese i suoi lavori e la sua proposta come una provocazione rivolta alla comunità scientifica, e non si
aspettava di ricevere dai suoi colleghi l’interesse e l’apprezzamento
che invece gli fu manifestato: codificando per la prima volta l’IAD
aveva dato riconoscimento e voce al disagio di migliaia di persone e
aperto il dibattito scientifico sulle modalità di diagnosi, prevenzione e
cura.
Ne seguirono numerosi studi, fra cui quelli pioneristici della statunitense Kimberly Sue Young, docente di Psicologia all’Università di
Pittsbourgh, in Pennsylvania, oggi riconosciuta fra i massimi esperti
mondiali del fenomeno. Già nel 1995 la studiosa fondava nella città di
Bradford il primo “Center for Internet Addiction”, e nel 1996 diede il
primo riconoscimento ufficiale al disturbo, proponendone i criteri diagnostici nel corso di un intervento al 104.mo meeting annuale della
American Psychological Association, a Toronto, in Canada (K.S.
Young, 1996).
Per l’occasione la studiosa presentò i risultati di uno studio che metteva in luce l’uso differente che fanno della Rete soggetti dipendenti e
non-dipendenti. Secondo l’indagine, i 396 soggetti dipendenti presi in
esame trascorrevano online un quantitativo di tempo otto volte superiore rispetto ai 100 soggetti non-dipendenti con cui erano stati confrontati. Inoltre i primi presentavano un incremento progressivo del
tempo di collegamento, coerentemente col fenomeno di tolleranza che
si presenta nelle tossicodipendenze. Un’ulteriore differenza tra i due
gruppi era rintracciabile nelle attività svolte in Rete: i dipendenti facevano un uso maggiore delle chat-room e dei giochi di ruolo virtuali
mentre i non-dipendenti usavano prevalentemente il servizio di posta
elettronica e la ricerca di informazioni. Tuttavia l’elemento che più distingueva i due gruppi risiedeva nella ricaduta dell’uso di Internet sulla vita quotidiana: mentre per i non dipendenti la Rete costituiva una
risorsa, per i dipendenti essa sembrava causare una serie di interferenze rintracciabili in diversi ambiti della sfera personale.
fu Kimberly Young a precisare anche il primo programma di cura delle dipendenze da Internet, elaborato su basi empiriche e di comprovata
efficacia rispetto a diverse forme della patologia, e ad elaborare il questionario diagnostico IAT (K.S. Young, 1998) - composto da 20 domande - che rintraccia l’esistenza del disturbo laddove sono presenti
almeno cinque fra i seguenti sintomi:
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• pensare ad Internet anche quando non si è online e/o anticipare la
prossima sessione di collegamento;
• sentire il bisogno di usare Internet per un tempo sempre più prolungato al fine di raggiungere la stessa soddisfazione;
• sforzarsi senza successo di controllare, ridurre o interrompere l’uso
di Internet;
• sentirsi inquieti, lunatici, depressi o irritabili quando si tenta di ridurre o interrompere l’uso di Internet;
• rimanere on-line più a lungo di quanto originariamente previsto;
• mettere a repentaglio o rischiare di perdere una relazione affettiva o
di lavoro, e occasioni di formazione o di carriera a causa di Internet;
• mentire ai familiari, al terapeuta, o ad altri per nascondere l’entità
del problema, ovvero quanto tempo si trascorre su Internet;
• usare Internet come uno strumento per fuggire dai problemi o per alleviare sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione.
La studiosa individuava anche altri sintomi correlati ai precedenti, fra
cui una intensa sensazione di euforia mentre si è coinvolti in attività su
Internet; sentimenti di colpa, vergogna, ansia, o depressione dovuti al
comportamento di abuso; conseguenze fisiche come l’aumento o la
perdita di peso, mal di schiena, mal di testa, sindrome del tunnel carpale; la rinuncia ad altre attività piacevoli.
A conclusioni diverse giunse Viktor Brenner, che condusse un’inchiesta online su un campione di 185 persone (Brenner, 1996). L’Autore
scoprì che l’80% dei soggetti intervistati presentava almeno cinque
dei segni d’interferenza dell’uso di Internet nel funzionamento della
vita quotidiana, tra cui incapacità di amministrare il tempo, perdita del
sonno e dei pasti, etc., e che circa il 17% utilizzava Internet per più di
40 ore settimanali, con una media che sfiorava le 6 ore al giorno. Per
effettuare tali rilevazioni Brenner aveva elaborato un questionario ad
hoc, l’Internet Usage Survey, che costituiva il primo tentativo di valutazione degli effetti psicologici indotti dall’uso di Internet. Sulla base
dei risultati raccolti, l’Autore concluse “normalizzando” i segni di interferenza rilevati nella maggior parte dei soggetti, e ridimensionando
il potenziale patogeno della Rete.
L’osservazione di comportamenti patologici nell’uso del web trovò
sostegno negli studi condotti dall’inglese Mark Griffiths (1997), i quali mostrarono che le dipendenze da prodotti tecnologici, tra cui Inter57
net, condividono con le dipendenze da sostanze sei caratteristiche essenziali:
• la “dominanza”, secondo cui l’attività o la droga dominano i pensieri e il comportamento del soggetto, assumendo un valore primario
tra tutti i suoi interessi;
• “alterazioni del tono dell’umore”, che vedono l’inizio dell’attività o
l’assunzione della sostanza provocare cambiamenti nel tono dell’umore, come un aumento di eccitazione o una maggiore rilassatezza come diretta conseguenza dell’incontro con l’oggetto della dipendenza;
• la “tolleranza”, che porta al bisogno di aumentare progressivamente
la quantità di droga o l’attività per ottenere l’effetto desiderato;
• “sintomi d’astinenza” fra cui malessere psichico e/o fisico che si
manifesta quando s’interrompe o si riduce il comportamento o l’uso
della sostanza;
• “conflitto”, ad indicare che il comportamento dipendente genera
conflitti interpersonali tra il soggetto e coloro che gli sono vicini, e
conflitti intrapersonali interni al soggetto stesso;
• “ricaduta”, che identifica la tendenza a ricominciare l’attività o l’uso
della droga dopo averla interrotta.
Corposa è poi la letteratura sul tema che proviene dall’Asia, ed in particolare da Corea e Taiwan, dove il fenomeno ha fatto la sua prima
comparsa ed ha interessato vasti strati della popolazione.
In Italia, il primo ad occuparsi dell’impatto della tecnologia digitale
sulla mente umana è stato lo psichiatra Tonino Cantelmi, che introdusse l’espressione IPR, Internet Related Patology, per definire una serie
di disturbi appartenenti alla categoria delle patologie correlate all’uso
di Internet, come la dipendenza da gioco d’azzardo on line, da cyberrelazioni e da una quantità eccessiva d’informazioni. Cantelmi è autore insieme a Massimo Talli del primo articolo sul tema apparso in Italia, pubblicato dalla rivista scientifica “Psicologia Contemporanea”
(Cantelmi, Talli, 1998): qui “l’lnternet Addiction Disorder (IAD) è definito come “una dipendenza concreta” che “provoca problemi sociali
e relazionali, una sorta di patologia caratterizzata da sintomi che potremmo definire astinenziali e problemi economici. Se all’inizio
l’utente avverte solo il bisogno di aumentare il tempo trascorso a navigare in Rete, con il passare del tempo s’instaura, in modo subdolo, la
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consapevolezza di non poter più riuscire a sospendere, o quanto meno
ridurre, l’ uso di Internet”.
I lavori di Cantelmi stimolarono numerosi studi e pubblicazioni sullo
IAD, e oggi esiste una nutrita letteratura anche di matrice italiana sul
tema. Secondo lo psichiatra Vincenzo Caretti (Caretti, 2000), la dipendenza patologica da computer sarebbe solo la prima fase di un disturbo assai più grave: Caretti parla di “Trance Dissociativa da Videoterminale”, una forma di dissociazione collegata ad una dipendenza patologica dal pc e dalle sue molteplici applicazioni che è caratterizzata,
durante o dopo un lungo collegamento in Rete, da alterazioni temporanee dello stato di coscienza, depersonalizzazione e sostituzione del
senso dell’identità personale con una identità alternativa. Alcune caratteristiche specifiche di Internet, quali l’anonimato e l’assenza di
vincoli spazio-temporali, offrono all’individuo la possibilità di vivere
un’esperienza simile al sogno: tali esperienze finiscono per assumere
un ruolo dilagante nella vita del soggetto e quest’ultimo viene catturato dal gioco o dall’attività informatica a cui si dedica fino al punto di
perdere il controllo di sé e della situazione. Secondo l’Autore si tratta
di una condizione difensiva che nasce da una psicopatologia pregressa, come per esempio la fobia sociale.
In Italia sono sorti negli ultimi anni anche centri di diagnosi e cura dello IAD, fra cui l’ambulatorio guidato dallo psichiatra federico Tonioni, presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, che
si occupa prevalentemente di adolescenti e delle loro famiglie. “I nostri giovani pazienti passano connessi ad Internet tutto il tempo disponibile – racconta il Dr. Tonioni in una intervista disponibile online hanno nella maggior parte dei casi compromesso il proprio iter scolastico o universitario, presentano stati dissociativi prima rispetto al corpo fisicamente inteso e poi a carico della propria identità, e manifestano un incremento dell’ideazione paranoidea, una difficoltà specifica
nel vivere le emozioni e quindi la comunicazione non verbale, fino ad
un progressivo ritiro sociale”. Rispetto ai fenomeni dissociativi connessi all’uso di Internet Tonini evidenzia che essi si correlano con
maggiore frequenza a specifiche attività svolte in Rete: “tutto ciò che
nel web veicola emozioni è molto più dissociante. Quando io veicolo
informazioni, ovvero scrivo su Internet, controllo la mia posta elettronica o faccio altro a livello cognitivo, non a livello emotivo, mi accorgo del tempo che passa, mi stanco, voglio fare altro e il mio Io è vigile,
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non sono dissociato dalla realtà, e mi accorgo anche del tempo che
passa. Se invece vado a veicolare emozioni, come quando gioco online, vado sui social network o chatto, o passo da un link all’altro di una
cosa che mi emoziona, come può essere il video di una canzone su
you-tube, allora mi dissocio, non sono concentrato ma assorto, mi devono chiamare due volte, mi ridesto sempre seccato, e soprattutto mi
rendo conto che anziché mezzora è passata un’ora”. Sulla eziologia
del disturbo, nel suo “Quando Internet diventa una droga” (2011), federico Tonioni spiega che la dipendenza da Internet “ha una genesi
complessa, spesso multifattoriale che si sviluppa in un contesto di sostanziale infelicità, una sorta di depressione mascherata, che si appropria di atteggiamenti compulsivi, e che porta ad un progressivo ritiro
sociale. Genericamente si potrebbe definire una malattia delle emozioni, o meglio della comunicazione emotiva. I suoi presupposti si radicano nella mancanza di continuità nel vissuto affettivo che lega ogni
bambino all’ambiente in cui è chiamato a crescere”.
Proprio in Italia si è tenuto il primo Congresso Internazionale sugli
“Internet Addiction Disorders”, promosso a Milano, nel marzo 2014,
dall’ ESC Team. Nel corso del convegno decine di studiosi di tutto il
mondo hanno cercato di mettere a punto gli aspetti epidemiologici, patogenetici, diagnostici e terapeutici della dipendenza dalla Rete. Si è
parlato dei fenomeni dissociativi indotti dalla Rete; della correlazione
fra dipendenza da Internet e depressione, impulsività e tratti di autismo; della scarsa percezione fra i giovani dei comportamenti dannosi
assunti sul web e della necessità di promuovere un uso critico della
Rete. Si è poi evidenziato che l’uso eccessivo di Internet rende le relazioni “mono-corporee” e porta a perdere la percezione della fisicità relazionale. Non è mancato un approfondimento sul gioco d’azzardo online, né un’ampia discussione sulle modalità di prevenzione e cura.
Un’analisi globale quella affrontata dagli esperti intervenuti al Congresso, che hanno riservato particolare attenzione agli adolescenti,
sempre più esposti al rischio di IAD per il loro status di nativi digitali.
In definitiva, ciò che emerge dal dibattito scientifico degli ultimi anni
descrive il cyberspazio come un luogo in cui l’individuo può “sperimentare una condizione virtuale di onnipotenza, legata sia al superamento dei normali vincoli spazio-temporali, sia, e soprattutto, alla
possibilità di esplorare differenti aspetti di Sé” (Siracusano, Peccarisi,
1997). In questa prospettiva Internet si presta come “contenitore” del60
le proprie emozioni, uno schermo bianco dove proiettare pulsioni e
fantasie, un contesto relazionale nel quale agire i propri schemi comportamentali tradizionali o sperimentarne di nuovi. In altre parole, il
cyberspazio può essere inteso anche come un’estensione del mondo
psichico individuale, il terreno ideale per esprimere fantasie inconsce,
esplorare differenti aspetti della propria identità e dare spazio a impulsi, condotte trasgressive-regressive, ansie e frustrazioni. Dinamiche
che spiegherebbero fenomeni molto comuni in Rete che hanno a che
fare con la sessualità, l’aggressività e l’assunzione di identità diverse.
Su Internet l’individuo può dunque costruire un universo virtuale parallelo dove dare corpo ad una nuova immagine di sé, percepita come
più gratificante, positiva e funzionale di quella reale: la realtà virtuale
prende il sopravvento e l’identità si fa incerta. Tali dinamiche possono
indurre uno stato temporaneo di coscienza alterata che alcuni autori
assimilano al sogno.
Non di rado tuttavia, questi processi nascondono disagi personali profondi, e la Rete si configura come uno strumento per superare o occultare la sofferenza psichica e la consapevolezza dei propri stati interiori. Secondo alcuni autori (Caretti, 2000) l’abuso di Internet potrebbe
essere considerato anche come co-responsabile di importanti fenomeni dissociativi, quali la depersonalizzazione e la diffusione dell’identità, che accostano le condotte on-line al terreno delle psicosi.
Infine, mentre è difficile argomentare la possibilità che Internet sia in
sé patogena, è più corretto dire che l’esposizione protratta agli innumerevoli stimoli della Rete può, in alcuni casi, fungere da “stressor”
aggiuntivo in soggetti predisposti.
2.2. Varie tipologie di dipendenza dalla Rete
Come emerge dalla breve rassegna sopra illustrata, fin dai primi studi
è apparso chiaro che la dipendenza da Internet potesse esprimersi in
forme variegate. Si distingue anzitutto fra una dipendenza generalizzata, che descrive un sovra-utilizzo multifunzionale della Rete, e una
specifica, legata invece a funzioni e applicazioni. Di seguito le più diffusione declinazioni della dipendenza da Internet.
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2.2.1. Dipendenza dalle relazioni virtuali
La socialità in Internet è senza dubbio uno degli aspetti più affascinanti e coinvolgenti. Tuttavia accade talvolta che il bisogno di instaurare
relazioni amicali o amorose con persone incontrate online porta a trascurare le relazioni reali, a scapito dei rapporti di amicizia e di quelli
familiari: progressivamente il soggetto si isola e finisce per rinchiudersi in un mondo parallelo popolato da persone idealizzate (Cesare
Guerreschi, 2005). I criteri che identificano il disturbo sono i seguenti:
bisogno di passare molto tempo in Rete per instaurare relazioni amicali e/o sentimentali; perdita di interesse nei confronti delle relazioni
amicali e/o sentimentali reali (offline); tentativi ripetuti e falliti di controllare, ridurre o interrompere il protrarsi degli scambi online. In genere i “cyber relational addicts” trascorrono il loro tempo in Rete utilizzando email, social network, chat e newsgroup. Se adulto, il soggetto può arrivare ad estraniarsi dal reale al punto tale da trascurare i suoi
oneri domestici - come nel caso di madri che dimenticano di andare a
prendere i figli a scuola o preparare loro da mangiare – oppure intraprendere sul web relazioni virtuali che poi si concretizzano in vere e
proprie relazioni extraconiugali.
2.2.2. Dipendenza dal sesso virtuale
La dipendenza da sesso virtuale, è uno dei disturbi più diffusi tra coloro che presentano già una dipendenza da Internet. Essa consiste nella
la ricerca ossessiva - compulsiva di instaurare una relazione sessuale
con individui conosciuti in Rete. Queste le attività più diffuse: visionare e/o scaricare materiale pornografico; leggere e scrivere lettere o
storie, scambiare e-mail o annunci per incontrare partner sessuali; impegnarsi online in relazioni amorose interattive con persone dello stesso sesso o del sesso opposto; entrare a far parte di chat erotiche dove
parlare di sesso; praticare attività erotiche o autoerotiche via webcam;
dopo una prima fase di relazione virtuale, concordare e realizzare incontri reali a sfondo sessuale.
I dipendenti da cyber-sex, sono ossessionati da pensieri sessuali e
spinti a compiere atti che possono soddisfare i loro pensieri e le fantasie legate a materiale pornografico o a immagini hard scaricate o visionate in Rete. Le persone affette da questa dipendenza sono spesso
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persone timide, riservate, problematiche nella relazione con l’altro
sesso, totalmente inesperte o insoddisfatte del proprio aspetto fisico:
l’intermediazione del computer e la possibilità di non essere visti e di
interagire con sconosciuti consente loro di superare insicurezze, inibizioni e sentimenti di vergona, e di agire fantasie e pensieri repressi.
Proprio l’anonimato – secondo Kimberly Young – è una delle caratteristiche della realtà virtuale che favorisce lo sviluppo della dipendenza
dal sesso online. Le altre – secondo il modello “ACE” elaborato dalla
studiosa – sono la “convenienza”, in quanto si può attingere al sesso
online anche da casa, e l’”evasione”, in quanto l’esperienza sessuale in
Rete permette all’individuo di abbandonarsi ad sorta di fuga mentale e
di evasione dai problemi della vita quotidiana. Al riguardo, si pensa
che sia proprio questa fuga mentale, piuttosto che la gratificazione
sessuale, a fare da rinforzo al comportamento e a favorire la ripetizione dell’esperienza.
La dipendenza dal sesso virtuale, comporta gravi conseguenze sia nella vita di chi ne è dipendente sia in quella delle persone che lo circondano. La costruzione di un personaggio che occulta la vera identità del
soggetto e l’espressione disinibita di fantasie erotiche portano l’utente
a vivere una realtà parallela più gratificante (almeno in apparenza) e a
sostituirla a volte a quella reale. Ad essere colpito in questi casi è soprattutto il rapporto con il coniuge: la dipendenza dal sesso online provoca litigi, distanza affettiva, tensioni, senso di abbandono. I partner
dei dipendenti vivono una condizione di co-dipendenza: si sentono feriti, sessualmente inadeguati, poco attraenti o sgradevoli, rifiutati e insoddisfatti; perdono autostima e provano sentimenti di rabbia. Talvolta cercano di intervenire per contenere la dipendenza dell’altro. Non di
rado tali dinamiche hanno un impatto significativo anche sui figli, che
vengono lasciati soli da genitori concentrati sui loro disturbi e sulle dinamiche di coppia, ed esposti a tensioni e litigi. Accade che i minori
siano esposti alla visione di materiale pornografico, e che questa esposizione precoce possa interferire con lo sviluppo futuro di relazioni affettive sane ed equilibrate.
Per Kimberly Young, la dipendenza da sesso virtuale è uno dei disturbi
più diffusi tra coloro che sono dipendenti da Internet. Secondo una ricerca di Cooper (1998), il rapporto di uomini dipendenti da cybersex
rispetto alle donne è di 5 a 1, anche se il coinvolgimento delle donne è
in crescita. L’autore spiega che gli uomini si collegano principalmente
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per guardare foto e video pornografici, mentre le donne sono più interessate alle chat erotiche, in quanto amano parlare di sesso e cercano
di interagire con i “partner virtuali”.
2.2.3. Dipendenza da cyber pornografia
Il passaggio dalla pornografia “cartacea” a quella in Internet, ha aumentato le possibilità di appagare “desideri sessuali compulsivi”, fino
ad alimentare nuove patologie. Rispetto alla dipendenza dal sesso online, nella cyber-porn addiction l’interattività è completamente assente, in quanto la persona è sola con lo schermo e le immagini impresse
su di esso: il soggetto dipendente ricerca in maniera ossessiva e compulsiva l’appagamento sessuale tramite la fruizione di immagini e video pornografici on-line. Un comportamento che se da un lato alimenta eccitazione, senso di onnipotenza ed evasione, dall’altro si accompagna a repulsione, disagio, vergogna, senso di colpa e malessere, e
alla consapevolezza di essere schiavi di un meccanismo che toglie la
libertà.
La persona dipendente, in genere, è incapace di controllare, limitare o
sospendere la fruizione di materiale pornografico; trascorre molte ore
al computer ricercando immagini e video che possano offrire eccitazione o gratificazione sessuale, ma è passiva, non libera d’immaginare, poiché il materiale pornografico che visiona si appropria delle sue
fantasie, le invade e alimenta immagini stereotipate. Anche qui si tratta di un’esperienza consumata in silenzio e in solitudine, ma in grado
di interferire sulla capacità dell’individuo di avere relazioni sane e di
portare a termine un rapporto sessuale nella realtà, come anche di intaccare i rapporti di coppia, in quanto la ricerca compulsiva del piacere
attraverso l’autoerotismo può portare alla diminuzione del desiderio
sessuale verso il proprio partner. Il piacere sessuale, associato esclusivamente a materiale pornografico, può favorire la tendenza a considerare persone dell’altro sesso esclusivamente come “corpi pornografici”. Il dipendente ha infatti grosse difficoltà a vivere nella dimensione
reale, concentrarsi sul lavoro, instaurare rapporti di amore e amicizia,
e sperimenta un calo significativo dell’autostima. Si tratta di individui
che mostrano spesso una semi-impotenza, o impotenza totale, nell’atto sessuale con una donna reale.
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L’osservazione clinica individua alcuni fattori che possono favorire lo
sviluppo di una dipendenza da materiale pornografico online. Si tratta
di patologie pregresse, come la depressione o disturbi ossessivo –
compulsivi; di condotte rischiose, come quelle di chi progressivamente si sottrae ad esperienze di vita e relazioni reali; oppure ancora di
eventi di vita dolorosi o sfavorevoli come problemi in ambito familiare o lavorativo. Ad aumentare le probabilità che il soggetto sviluppi
una cyber-porn addiction intervengono poi i fattori che caratterizzano
la Rete, tra cui l’anonimato e l’estrema facilità nell’accesso ai servizi.
Rispetto all’impatto sulla famiglia, Guerreschi spiega che la dipendenza dal cyber-porn porta in alcuni casi all’annullamento dei rapporti
sessuali con il proprio partner e alla perdita delle componenti sessuali
e affettive della relazione: il dipendente è distaccato e isolato, sfrutta
ogni momento libero per collegarsi alla Rete, non ha più interesse per
il mondo reale che lo circonda e nemmeno per le persone che ne fanno
parte. La sua famiglia vive una situazione di co-dipendenza: la scoperta del problema può avere conseguenze emotive molti forti, come
shock, vergogna e confusione, e attivare strategie di controllo e contenimento che risultano controproducenti. Si instaura spesso una relazione genitore-bambino, che genera risentimento nel dipendente, che
continua a mentire. Per i figli, la conseguenza più frequente, anche in
questo caso, si riflette sulla riduzione di attenzione e cure. Anche qui,
può accadere che i figli prendano visione del materiale pornografico,
ne rimangano sconvolti, provino imbarazzo e si arrabbino con il genitore perdendo il rispetto nei suoi confronti. Tali esperienze aumentano
la probabilità che questi bambini fruiscano di materiale pornografico
durante l’adolescenza. La fruizione di materiale pornografico online
può inoltre avere conseguenze economiche non trascurabili per la famiglia, in quanto l’accesso a molti siti è condizionato al pagamento di
una quota tramite carta di credito.
2.2.4. Dipendenza dal gioco in Rete: i videogame
Tra le attività più affascinanti e coinvolgenti che si possono fare in Rete vanno citati certamente i videogiochi. Il mondo dei giochi è da sempre il mondo dei sogni, dove proiettare fantasie e desideri e dove cimentarsi in sfide mirabolanti per trovare conferma del proprio talento
e delle proprie abilità. I videogiochi hanno poi un indiscusso valore
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educativo in quanto favoriscono lo sviluppo di abilità manuali e di
percezione, abituano a gestire gli obiettivi, a prendere decisioni rapidamente e ad affrontare imprevisti e difficoltà, e poi favoriscono l’apprendimento di temi e conoscenze relative alle competizioni giocate.
Tuttavia, con lo sviluppo delle new technologies e la diffusione capillare dei dispositivi digitali, i videogiochi hanno preso sempre più spazio nella vita delle persone, giovani e adulte, a discapito di altre attività che in genere sono praticate nel tempo libero, dallo sport alla frequentazioni di amici, agli hobby più diversi. Accade così che l’attività
ludica si trasforma da fattore ricreativo a elemento di disturbo: il giocatore passa sempre più tempo giocando al pc, su videoterminali o dispositivi digitali, spesso a casa, in totale isolamento, in silenzio, senza
pause e con scarse condizioni di luce, compromettendo rapporti sociali e attività di studio e di lavoro.
A favorire il prodursi di questa condizione sono anche le caratteristiche specifiche del videogioco, quelle che marcano la differenza rispetto al gioco tradizionale:
• Mentre quest’ultimo favorisce la socializzazione, il gioco virtuale è
vissuto in solitudine o nell’illusione di una relazione “a distanza”;
• I giochi tradizionali stimolano l’identificazione con persone reali
mentre nei videogiochi si tende ad identificarsi con personaggi virtuali, spesso dotati di super poteri o di immortalità, con il rischio di
una confusione fra piano virtuale e piano reale e dell’emulazione di
azioni pericolose;
• Se i giochi tradizionali favoriscono il contatto fra le generazioni,
quelli virtuali più spesso le allontanano;
• Mentre nei giochi tradizionali raramente è concepita la violenza, nei
videogiochi essa costituisce uno degli ingredienti che suscitano
maggior appeal, viene incoraggiata e premiata;
• Inoltre, nei videogiochi il meccanismo della sfida contro l’avversario risulta esasperato: il soggetto sperimenta il bisogno di dimostrare
a se stesso e all’“antagonista virtuale” il proprio valore e le proprie
abilità. La sconfitta porta a riscattare la propria autostima minacciata
dal fallimento e a giocare ancora. Talvolta la misura del proprio valore è data dal raggiungimento di un dato punteggio che viene così
rincorso in maniera spasmodica.
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Particolare attenzione va dedicata ai giochi di ruolo online, che più di
altri possono favorire fenomeni di sovrapposizione fra mondo virtuale
e reale. Nei giochi di ruolo il soggetto si relaziona con altri utenti attraverso un “avatar”, un personaggio costruito nei dettagli e nel quale,
spesso, il giocatore proietta il proprio Sé ideale. ogni avatar ha all’interno di una comunità virtuale di giocatori un ruolo specifico e in funzione di quello deve agire e interagire con gli altri utenti. Più il giocatore è in grado di “immedesimarsi” nel personaggio e di incarnare il
suo ruolo, più risulterà abile nel gioco. Più, tuttavia, rischia di idealizzare il mondo virtuale e i suoi attori e di cadere nell’alienazione.
Secondo gli esperti dell’Esc Team – come detto, promotori del primo
Congresso internazionale dedicato all’IAD che si è svolto a Milano
nel marzo scorso - i principali sintomi identificabili nel soggetto dipendente da Videogames sono:
• dedica moltissimo tempo a videogiocare (o lo dedicherebbe se non
gli fosse impedito);
• mostra difficoltà scolastiche e lavorative: tende ad addormentarsi a
scuola, sul posto di lavoro o mentre si svolge altre attività, manca di
concentrazione e ha difficoltà di apprendimento;
• trascura le altre attività (hobby, studio, lavoro, sport, amicizie);
• preferisce il videogiocare piuttosto che passare il tempo con gli amici;
• mostra un ritiro dalle altre attività sociali;
• gioca di nascosto;
• tende ad essere apatico o irascibile quando non può giocare;
• si arrabbia quando viene interrotto mentre gioca, o quando gli si impedisce di giocare;
• tende ad avere pensieri e fantasie focalizzati sul gioco, anche quando svolge altre attività, rivive esperienze trascorse di gioco, valuta e
pianifica le prossime giocate o escogita modi per procurarsi il denaro con cui giocare;
• cerca di procurarsi videogiochi sempre nuovi, o insiste perché glieli
comprino;
• spende somme considerevoli di denaro (se ne dispone) per i videogiochi;
• presenta alterazioni o anomalie nelle abitudini (alimentazione e sovrappeso, igiene personale, funzioni fisiologiche, sonno);
• presenta sintomi fisici quali mal di testa, di schiena, dolori al collo, arrossamenti agli occhi, disturbi della vista, sindrome del tunnel carpale.
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• problematiche psichiche di carattere dissociativo, riduzione della facoltà di critica o scollamento dalla realtà;
La dipendenza da videogiochi comporta fenomeni di tolleranza, per cui
il soggetto è costretto ad aumentare progressivamente il tempo passato
a giocare per ottenere il livello di eccitazione desiderato, e di astinenza
che vede il soggetto manifestare irrequietezza, agitazione, difficoltà di
concentrazione, disturbi del sonno e dell’umore, tremori e pensieri ossessivi riferiti ai videogiochi, quando è impossibilitato a giocare. La dipendenza può inoltre generare stati di ansia, attacchi di panico, e suscitare la tendenza a compiere azioni “illegali” (per es. bullismo) o a mentire in famiglia e con altri per procurarsi i soldi per i videogiochi e per
nascondere il grado di coinvolgimento nei videogiochi.
Secondo Guerreschi la dipendenza da videogames, è causata dello stesso meccanismo cerebrale che sottende le dipendenze da alcool o da
cannabis: il divertimento diventa dipendente se il cervello è continuamente sottoposto a stimoli positivi. Questi stimoli, provocano il rilascio
di maggiori quantità di dopamina nella parte anteriore del cervello, legata alla sensazione del piacere. Se questo processo viene ripetuto
spesso si crea una “memoria” cerebrale legata a quello stato di piacere
e la persona sarà indotta a ricercare sempre più spesso quella sensazione attraverso l’unico comportamento che è in grado di provocarla.
2.2.5. Dipendenza dal gioco in Rete: il gioco d’azzardo patologico
Per “gioco d’azzardo”, o Gambling, si intende quel gioco il cui risultato finale è determinato dal caso. Per la maggior parte dei casi, questa
forma di intrattenimento è vissuta dal giocatore secondo modalità che,
sotto il profilo psicologico-psichiatrico, potremmo definire sane ed
equilibrate. Parliamo dei giocatori occasionali o di quelli costanti, e di
coloro che ne fanno una professione. Tuttavia, in misura sempre crescente, il gioco d’azzardo si trasforma da esperienza ludica in una vera
e propria patologia. Complice l’avvento di Internet che ha moltiplicato
in misura esponenziale le opportunità di gioco e dunque di gratificazione immediata.
La scienza ufficiale ha riconosciuto il gioco d’azzardo patologico come disturbo mentale nel 1980. La nuova edizione del DSM, il Manua68
le Diagnostico Statistico dell’Associazione Psichiatrica Americana
(APA), recentemente aggiornata, lo colloca tra le dipendenze e ne riconosce ufficialmente la “qualità” di disturbo, definendolo non più
“Gioco d’Azzardo Patologico” ma appunto “Disturbo da Gioco d’Azzardo”. Rispetto al giocatore sano che cerca l’aspetto ludico del gioco,
nel giocatore patologico prevale la compulsione che genera forte tensione e un bisogno incontrollato di giocare per mantenere alti i livelli
di “attivazione” (arousal).
Secondo Guerreschi, è possibile distinguere i giocatori patologici in
due categorie (Guerreschi, 2000): i “giocatori per azione”, che ricercano nel gioco una forma di eccitazione, giocando si sentono “vivi” e al
gioco sacrificano rapporti familiari e amicali e attività sociali e lavorative; e i “giocatori per fuga”, che trovano nell’attività di gioco sollievo
da sensazioni di ansia, solitudine, rabbia o depressione, e usano il gioco d’azzardo per sfuggire da crisi o difficoltà. Nel secondo caso il gioco ha un effetto “analgesico”, mentre nel primo produce una risposta
euforica.
Tra i fattori predittivi dello sviluppo della patologia, diversi studi indicano alcuni tratti personologici come la depressione, l’impulsività e la
ricerca di sensazioni forti. Mentre in generale i tratti osservabili nel
giocatore d’azzardo patologico sono i seguenti:
• la mancanza di autocontrollo (che causa comportamenti impetuosi
ed impulsivi),
• la bassa autostima
• il sovraccarico di stress
• la sensazione di solitudine
• la difficoltà a concentrare la propria attenzione
• ansia e irritabilità quando non si gioca e ricorso al gioco per placare
la tensione
• nei casi più gravi sentimenti di angoscia e disperazione, spesso associati condizioni di perdite economiche significative e indebitamento
dovuto alle perdite al gioco
Come anticipato, il Gambling online si distingue dal gioco d’azzardo
offline per alcuni aspetti specifici che alimentano il rischio di dipendenza:
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• la maggiore accessibilità al gioco offerta da Internet - a cui ci si può
collegare stando seduti a casa propria o in qualunque luogo e a qualunque ora - e l’aumento smisurato di casinò virtuali e siti di giochi
on line, aumentano la probabilità di ottenere gratificazioni immediate e invogliano a giocare e a prolungare le sessioni di gioco;
• collegandosi da casa il giocatore on line può controllare la propria
privacy, agire di nascosto e limitare l’esposizione al giudizio altrui
soprattutto in caso di perdita;
• la rapidità tipica dei giochi online ostacola il controllo razionale sul
gioco e la valutazione razionale delle reali possibilità di vincita: più
rapida è la sequenza con cui è possibile puntare o scommettere e più
difficilmente l’individuo riesce ad attivare le funzioni cognitive tese
alla razionale valutazione del rischio e delle conseguenze del gioco;
• il gioco online ritarda la presa di coscienza circa l’esistenza di un disturbo: giocando da casa o in solitudine, e non dovendosi scontrare
con la realtà in modo diretto, il giocatore on line può attuare processi
di negazione che consentono di non prendere coscienza della propria dipendenza.
Infine, va sottolineato che in Italia la mancanza di leggi sufficientemente restrittive e l’incoraggiamento al gioco che proviene dalla pubblicità del gioco d’azzardo costituiscono fattori ambientali che non favoriscono il contenimento del fenomeno.
2.2.6. Dipendenza da commercio compulsivo in Rete:
il trading online
In comune col gioco d’azzardo patologico ha quel mix di eccitazione e di
angoscia che porta il soggetto dipendente a “scommettere” sul buon esito
delle sue operazioni, ma mentre il primo è più facilmente riconoscibile,
la dipendenza dal “gioco” in Borsa, il trading online, resta ad oggi un fenomeno poco conosciuto, difficilmente individuabile e meno soggetto a
riprovazione sociale. Elementi che ne favoriscono la diffusione.
Rispetto ai meccanismi d’azione, il trader compulsivo agisce come un
giocatore d’azzardo. Si fa guidare dall’istinto e dall’emotività, più che
dalle competenze e dalla ragione, non sa mai quando fermarsi, non riconosce i propri limiti e, talvolta, finisce per perdere grosse cifre. Per
poi tentare di recuperarle investendo di nuovo: spinto da una sensazio70
ne d’invincibilità, il trader corre rischi sempre più grandi e prende decisioni sempre più frettolose aumentando il rischio di nuove perdite.
Si innesca così una spirale drammatica che porta l’investitore dilettante o di professione nel tunnel della dipendenza.
Trasferito su Internet, questo processo trova una pericolosa amplificazione: la Rete dà l’illusione di poter tenere sotto controllo i mercati
mondiali a qualunque ora del giorno e della notte e alimenta il senso di
onnipotenza e controllo dell’investitore. Anche qui, la velocità delle
transazioni finanziarie, la solitudine di fronte al computer, e l’estetica
delle piattaforme online di investimento, ricche di luci, suoni e colori
e strabordanti di informazioni – molto simili a quelle dei giochi online
- possono interferire con l’attivazione dei processi cognitivi che consentono la razionalizzazione delle reali possibilità di guadagno e dei
rischi connessi alle operazioni sul mercato. Lo “scalping”, ossia l’effettuazione di velocissime operazioni borsistiche via Internet, sfrutta
le minime oscillazioni delle quotazioni di titoli e azioni anche nell’arco di pochi minuti, aumentando così il potenziale additivo dell’intera
operazione. Il trader dipendente è in molti casi spinto da un mix di
emozioni che non riesce a controllare e che tolgono lucidità a pensieri
e azioni e portano a fare investimenti sempre più rischiosi.
Gli esperti dicono che si tratta di un fenomeno molto sottostimato, in
quanto appannaggio di utenti più colti che ritengono di praticare operazioni finanziarie e di investimento di tipo para-professionale (Daniele La Barbera, 2009). A differenza del gioco d’azzardo infatti, il gioco
in Borsa è inteso come un’attività legittima che dunque più raramente
suscita riprovazione sociale e sensi di colpa nel dipendente. In generale, chi perde molti soldi in Borsa non è considerato un soggetto patologico ma solo un trader che ha fatto un investimento sbagliato. Un
aspetto che ritarda nel dipendente la consapevolezza del problema.
Rispetto al profilo del trader patologico, i dati clinici oggi disponibili
non consentono di rintracciare caratteristiche distintive: si tratta infatti
sia di dilettanti che di professionisti della Borsa, di studenti e di lavoratori impiegati in altri settori. È evidente che coloro che hanno una
maggiore percezione dei livelli di rischio a cui vanno incontro, e riescono a mantenere il controllo anche in condizioni di forte stress, sono
meno esposti alla compulsione rispetto a quei soggetti che più facilmente restano preda dell’emotività.
71
Anche le cause che portano all’instaurarsi della dipendenza possono
essere variegate e sempre combinano fattori individuali a fattori ambientali. Tra questi ultimi, a scatenare un comportamento irrazionale
possono essere eventi inattesi come il crollo improvviso dei listini che
manda in fumo un investimento e causa la perdita di ingenti somme di
denaro.
Il trader compulsivo tende inizialmente a negare a se stesso il problema e a nascondere a familiari e colleghi le proprie operazioni in borsa
e l’entità delle perdite. Quando si accorge di aver bisogno di aiuto e
tenta di diminuire o interrompere la giocate allora sperimenta una condizione di astinenza che esita talvolta in depressione: solo un nuovo
investimento o una giocata al videopoker possono suscitare nuova eccitazione.
2.2.7. Dipendenza da commercio compulsivo in Rete:
lo shopping e le aste online
Per la maggior parte delle persone lo shopping è uno strumento di gratificazione, un modo per darsi piacere facendosi un regalo, per alleviare tensioni e frustrazioni o per risollevare l’umore dopo una giornata
storta o una brutta notizia. In questa chiave l’acquisto ha valore di
compensazione. In alcuni casi tuttavia il comportamento di acquisto
sfugge al controllo dell’individuo e si trasforma in una vera e propria
patologia: è la sindrome da Shopping compulsivo, ascrivibile alla categoria dei Disturbi ossessivo-compulsivi, insieme al già citato gioco
d’azzardo patologico, al trading patologico, ad alcuni disturbi dell’alimentazione e a tutte quelle patologie che hanno a che fare con una problematica gestione degli impulsi.
Nel disturbo da shopping compulsivo il comportamento di acquisto
non punta a produrre benessere ma ad alleviare una tensione interna,
uno stato di malessere intollerabile, e funge non da compensazione ma
da “sterilizzatore del disagio interiore”. I soggetti affetti da questa dipendenza descrivono un profondo senso di vuoto che attraverso l’acquisto si tenta di colmare: il momento dell’azione è catartico e liberatorio e provoca una sensazione immediata di piacere, sollievo, senso
di potere e di riempimento, innalzamento dell’autostima. Ma si tratta
di una soddisfazione fittizia e transitoria, che presto lascia spazio al
72
senso di colpa e ad uno stato di tensione crescente. Solo un nuovo acquisto potrà sciogliere questa tensione, ma l’effetto sarà di nuovo di
breve durata. Si innesca così un circolo vizioso da cui il dipendente
non riesce ad uscire e che può produrre gravi contraccolpi nella sfera
relazionale, familiare e finanziaria dell’individuo. Non sono rari casi
di indebitamento e bancarotta, o di persone che arrivano a rubare per
ottenere denaro da spendere.
Già nel 1994 S.L. McElroy indicava i criteri diagnostici per riconoscere il disturbo da shopping compulsivo:
• frequente preoccupazione o impulso a comprare, esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati
• comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità, spesso oggetti inutili e di cui non si ha reale bisogno, per un tempo più
lungo di quello stabilito
• l’atto del comprare causa stress marcato e interferisce in maniera significativa con il funzionamento sociale e lavorativo, determinando
problemi finanziari (debiti o bancarotta)
• il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.
Alcune ricerche (Lejoyeux et al., 2002) sui pazienti affetti da shopping
compulsivo hanno poi mostrato che tale disturbo spesso si presenta in
associazione, o co-occorrenza, ad altre patologie anch’esse caratterizzate da una inefficace gestione degli impulsi, come il gioco d’azzardo
o l’abuso di sostanze. Secondo alcuni (Black, 1999) infatti i dipendenti dallo shopping ereditano una sorta di vulnerabilità ai comportamenti
impulsivi, per cui se non viene esercitato lo shopping, l’atteggiamento
impulsivo troverà altre vie per manifestarsi. A sostegno di questa ipotesi alcune ricerche descrivo pazienti che migrano da una forma di dipendenza all’altra.
Anche nel caso dello Shopping compulsivo la piattaforma online si rivela un potente amplificatore del disagio: la capacità del web di offrire
una risposta rapida e illimitata a ogni richiesta rende particolarmente
vulnerabili i soggetti incapaci di una sana gestione degli impulsi.
Sono le caratteristiche specifiche del commercio online a favorire l’instaurarsi della dipendenza:
73
• la rapidità dell’acquisto on line (basta un click!)
• la possibilità di reperire in Internet oggetti rari, inusuali o che si trovano dall’altra parte del mondo
• l’eliminazione tramite la Rete dell’intermediazione umana
• l’utilizzo delle carte di credito o di metodi di pagamento alternativi
come il pay pal, che aumenta la facilità di acquisto on line e rinforza
la condotta di tipo compulsivo
• la possibilità di partecipare ad aste online (come quelle che hanno
luogo su e-bay) che aumenta il rischio di sviluppare un comportamento di abuso
• la comodità di acquistare e ricevere a casa la merce
2.2.8. Dipendenza dal controllo delle email
La posta elettronica è considerata oggi come il più diffuso mezzo di
comunicazione dopo il telefono, uno strumento indispensabile per chi
lavora ma anche un “luogo” per coltivare relazioni interpersonali. È
stato invero il primo “regalo” che Internet ha portato nelle case e negli
uffici a tutte le latitudini, e che ad oggi resta il più utilizzato.
Tuttavia, come accade per molte altre applicazioni disponibili su Internet, anche l’utilizzo della posta elettronica può trasformarsi in un
comportamento patologico caratterizzato dalla dipendenza: il soggetto
è indotto al controllo ossessivo delle email e trascorre anche fino a
dieci ore consecutive davanti al monitor del computer con la speranza
di vedere apparire all’improvviso sullo schermo l’indicazione di una
“new mail” in arrivo. Non di rado queste persone sono portate ad aprire numerose caselle di posta elettronica, decine a volte, distinguendole
a seconda dell’uso e della platea dei contatti: una per gli amici, una per
ogni lavoro, una per le persone conosciute sui social, una per le newsletter, etc…e ad aggiornare continuamente lo status della casella in
arrivo. Come accade per tutti gli altri tipi di comunicazione mediata
dalla tecnologia informatica, anche qui si tratta di una comunicazione
priva dei fattori emotivi e dei segnali non verbali che sostanziano la
comunicazione reale: una comunicazione “parziale”, incompleta e
dunque falsata, che tuttavia può offrire al comunicatore, se lo desidera, una protezione da qualunque investimento emotivo.
Rispetto al profilo della persona dipendente dalle email, si tratta per lo
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più uomini di età compresa fra i 25 e i 40 anni, con carenze comunicative, problemi di emarginazione o difficoltà familiari, che lavorano
quasi sempre in un ambiente informatizzato, magari con turni di notte,
o che vivono in una situazione di isolamento geografico. In questi casi, molto spesso la dipendenza costituisce un comportamento di evitamento, grazie al quale il soggetto si rifugia nella Rete per non affrontare le sue problematiche esistenziali.
Una problematica molto più diffusa di ciò che si potrebbe immaginare. In uno studio condotto da Symantec nel 2006 – rilanciato dal quotidiano Repubblica, nella sua versione online - il 75% degli intervistati
dichiara di non poter fare a meno dell’e-mail, e uno su cinque rientra
nella categoria degli utenti “dipendenti”, che controllano l’e-mail in
maniera compulsiva e si abbandonano al panico se non riescono ad accedervi. L’indagine individua quattro categorie di utenti: i “disciplinati” (49% degli intervistati), che hanno nei confronti della posta elettronica un atteggiamento rilassato; i “dipendenti totali” (21%), che confessano di controllare l’e-mail in maniera compulsiva e sono connessi
a Internet in media 2,6 ore al giorno; i “tecnofobici” (10%), che all’email preferiscono la posta tradizionale e la comunicazione verbale, e,
infine, i “bombardati” (6%), che subiscono l’e-mail e hanno difficoltà
a farvi fronte. Inoltre il 54% degli intervistati controlla l’e-mail prima
delle 9 del mattino (alcuni già alle 6) e la maggior parte effettua l’ultima connessione della giornata intorno alle 17 (ma molti arrivano anche a mezzanotte). Il 72% utilizza la posta elettronica anche in situazioni non lavorative, il 40% in vacanza e il 38% durante le assenze per
malattia.
Come per le altre web-addiction anche quella da email ha un impatto
doloroso sulla famiglia. Il dipendente tende ad alienarsi dal resto del
mondo e dalla realtà, manca alle sue responsabilità di genitore, coniuge e amico, è irascibile e aggressivo se disturbato nelle sue sessioni al
computer.
2.2.9. Sovraccarico cognitivo: l’Information Overload
La navigazione sui siti web offre un’accessibilità senza limiti a informazioni di ogni tipo, tanto che alcune persone finiscono per trascorrere molto tempo nella ricerca e organizzazione di questo materiale e si
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ritrovano intrappolate in vere e proprie abbuffate di notizie. Anche in
questo caso il comportamento di ricerca può trasformarsi in una dipendenza: i clinici la chiamano Information overload, ovvero sovraccarico cognitivo per eccesso di informazioni.
Accade che alcune persone si convincano che per prendere al meglio
le loro decisioni e per acquisire prestigio sociale sia necessario essere
sempre aggiornati su ciò che accade nel mondo e/o in contesti specifici. Spinti da questo convincimento, tali soggetti si cimentano nella ricerca e nell’organizzazione del maggior quantitativo possibile di informazioni, senza considerare che, in realtà, il sovraccarico di informazioni impedisce la corretta selezione e il buon uso delle stesse. Pertanto la diagnosi di Information overload si basa sulla presenza di
questi fattori:
• Bisogno di passare molto tempo in Rete per trovare notizie, aggiornamenti, o altre informazioni;
• tentativi falliti di poter controllare, ridurre o interrompere l’attività
di ricerca;
• mantenimento di questa attività nonostante vengano notati problemi
sociali, familiari ed economici causati dall’eccessiva ricerca di informazioni.
2.3. Verso la dipendenza
Tra coloro che si occupano di patologie web mediate c’è sostanziale
consenso circa il fatto che l’utilizzo patologico di Internet sia l’esito di
un percorso dove fattori personali si sommano a fattori ambientali. Illustriamo qui alcuni dei modelli più accreditati.
Il modello cognitivo-comportamentale elaborato da Davis (1999) descrive lo sviluppo di un uso patologico di Internet, sia specifico che
generalizzato, come frutto di cognizioni problematiche dell’individuo,
che possono combinarsi e trovare amplificazione in una condizione di
isolamento o mancanza di sostegno sociale. Tali cognizioni disadattive sono a loro volta il prodotto della combinazione fra stimoli ambientali/situazionali, stimoli che provengono dall’uso di Internet ed eventuali psicopatologie pregresse dell’individuo (come ad esempio l’ansia sociale).
76
Anna fata (2002) descrive un percorso verso la “Reto-mania” che
muove da una fase iniziale definita come “tossicofilica” e caratterizzata da un incremento del tempo di permanenza in Rete, sensazione di
malessere quando si è off-line, idee e fantasie ricorrenti su Internet in
condizione off-line, partecipazione intensa a chat, forum e gruppi di
discussione o partecipazione passiva agli stessi con funzione di mera
osservazione, collegamenti in ore notturne con perdita di sonno, attenzione ossessiva per la mail-box, etc. A questa fase ne può seguire una
seconda chiamata “tossicomanica” segnata da collegamenti in Rete
così prolungati da compromettere la vita socio-affettiva, relazionale e
lavorativa o di studio.
Anche Lavenia e Marcucci (2004) hanno evidenziano due fasi di sviluppo comuni a tutti gli utenti telematici, nel percorso dalla scoperta di
Internet all’uso attivo della Rete. ognuna caratterizzata da specifici rischi per il navigante:
• fase di osservazione e ricerca: il soggetto scopre l’universo sconfinato di Internet e utilizza giornali, riviste e informazioni online, frequenta casinò e negozi virtuali, si dedica al trading online, e visita
siti pornografici. Un’attività che rischia di sfociare in comportamenti compulsivi perché in Rete, grazie alla rapidità delle operazioni e
all’anonimato, si riduce il controllo sugli impulsi.
• fase relazionale-comunicativa: il soggetto scopre e utilizza chat, forum, MUD e altri giochi di ruolo online, e rischia incontri al buio pericolosi, isolamento sociale e dipendenza, dipendenza dal sesso virtuale, perdita dei contatti reali, sentimenti di onnipotenza. Secondo
gli Autori, le persone più a rischio sono quelle con difficoltà comunicative-relazionali, che si rifugiano nella Rete per sfuggire alle loro
problematiche esistenziali.
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Similare è il modello elaborato da Tonino Cantelmi e colleghi (Cantelmi et al., 2000) che prevede un percorso virtuale caratterizzato dallo
sviluppo di livelli sempre maggiori di dipendenza. Secondo gli Autori,
la fase tossicomaniaca è caratterizzata da una iperfocalizzazione su
applicazioni interattive come chat e MUD (Multi-User Dungeon, ovvero giochi di ruolo online), durante la quale il soggetto si costruisce
progressivamente un’identità sempre più sfaccettata e multipla.
Cantelmi svilupperà in seguito un modello più elaborato (Cantelmi,
Talli, 2007) che muove dal confronto fra l’uso “normale” della Rete e
quello patologico. Nel primo caso l’utente scopre in maniera graduale
un numero crescente di servizi e strumenti disponibili in Rete, per procedere verso l’utilizzo di piattaforme e applicazioni sempre più sofisticate. Nel secondo caso il processo muove nella direzione inversa,
poiché l’utente pur conoscendo l’uso di molteplici strumenti finisce
per restringere progressivamente l’uso che fa della Rete, concentrandosi su temi specifici come il sesso o il gioco d’azzardo. Rispetto al
percorso che conduce verso il comportamento patologico e trasforma
l’utente in un “Rete-dipendente”, Cantelmi individua quattro livelli di
progressione:
• fase d’ingresso nella Rete: l’utente entra in contatto con la Rete,
mediante il web o la posta elettronica. Appare tanto disorientato
quanto curioso di fare nuove esperienze. Sul piano relazionale, stabilisce con Internet un tipo di rapporto “uomo-macchina” (anche se
il soggetto comunica con altre persone, queste passano in secondo
piano rispetto alla fascinazione tecnologica della Rete).
• fase di uso della Rete: l’utente è in grado di utilizzare un’ampia varietà di strumenti e servizi e di muoversi in Rete con sufficiente sicurezza. È consapevole dei pericoli insiti in questa tecnologia. Sul piano relazionale, stabilisce con Internet un tipo di rapporto “uomomacchina-uomo” (la Rete viene percepita come un mezzo di comunicazione).
• fase di abuso della Rete: l’utente comincia a selezionare le applicazioni della Rete che possono maggiormente soddisfarlo e incrementa il suo tempo di permanenza online. Sul piano relazionale, stabilisce con Internet un tipo di rapporto “uomo-macchina-uomo” (il soggetto comincia ad utilizzare la Rete, e quindi anche le persone che
incontra on-line, in modo indiscriminato, ma non ne è ancora consapevole).
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• fase di dipendenza dalla Rete: l’utente restringe ulteriormente l’ambito di utilizzo della Rete, dedicando il suo tempo di permanenza a
pochissime applicazioni e servizi (chat e MUD in particolare). Sul
piano relazionale stabilisce con Internet un tipo di rapporto “uomomacchina” (anche se il soggetto comunica con altre persone queste
vengono percepite come oggetti di piacere).
Il rischio della vera e propria dissociazione è illustrato da Caretti (Caretti, 2000). Come detto nell’introduzione a questo capitolo, l’Autore
parla di una sindrome assai grave, la “Tranche Dissociativa da Videoterminale”, che comporta una alterazione involontaria dello stato di
coscienza, depersonalizzazione e perdita dell’abituale senso di identità personale con possibile sostituzione di questa con un’identità alternativa che influenza quella abituale. Il percorso che porta verso questo
stadio individua tre fasi: dipendenza, regressione, dissociazione. La
dipendenza comporta un iper-coinvolgimento di tipo ritualistico con il
computer e le sue applicazioni; una relazione di tipo ossessivo-compulsivo con le esperienze e le realtà virtuali; una tendenza a “sognare
ad occhi aperti” come modalità prevalente sull’azione nei rapporti reali; una vergogna conscia o inconscia come tratto peculiare di debolezza dell’Io; tendenze fobiche nei confronti della vita sociale. Lo stato di
regressione comporta una tendenza a relazioni immaginarie che compensano le scarse relazioni oggettuali; ritiro autistico; fantasia autistica come modalità difensiva dell’Io. Infine, la dissociazione si caratterizza per labilità dei confini dell’Io; dispersione del Sé; depersonalizzazione, cioè distacco ed estraniamento da se stessi fino alla perdita
del contatto vitale con la realtà.
2.4. I soggetti a rischio
Come detto nell’introduzione a questo capitolo, il dibattito scientifico
sulla dipendenza da Internet non ha ancora trovato una risposta unanime all’interrogativo di fondo: è l’abuso della Rete che genera patologie, o le varie forme di dipendenza da Internet si sviluppano a partire
da un substrato già patologico?
I risultati degli studi effettuati sinora portano a supporre – seppur in
via non ancora definitiva - che l’esposizione prolungata ad Internet favorisca l’espressione di condizioni patologiche pregresse in soggetti
79
predisposti. Al riguardo, chiarisce Cantelmi (2000) “oggi, non è facile
tracciare un quadro delle caratteristiche psicologiche degli utilizzatori
di Internet: soprattutto non è possibile affermare con sicurezza se vi
siano dei fattori predisponenti in grado di sottendere all’abuso di tale
strumento. Certamente la presenza di difficoltà psicologiche (problemi familiari, relazionali, ecc.) o psichiatriche (disturbi di personalità,
fobia sociale, ecc.) costituisce un forte fattore di rischio”.
Secondo la letteratura sull’argomento, particolarmente esposte risulterebbero persone con difficoltà di comunicare in maniera consueta:
soggetti con personalità di tipo ossessivo-compulsivo, o tendenti al ritiro sociale, o con marcati aspetti di inibizione nei rapporti interpersonali. In tal senso lo IAD costituirebbe un comportamento di evitamento: il soggetto si rifugia nella Rete per non affrontare le proprie problematiche esistenziali (Siracusano e Peccarisi, 1997).
Ancora Cantelmi nel suo “Dipendenza da Internet. Anatomia di un
problema” (2007) cita uno studio di Marcucci e Lavenia (2004) secondo cui le personalità con problematiche legate all’uso di Internet hanno in comune il tratto schizoide: gli individui con questo tratto si caratterizzano per la tendenza ad isolarsi e per la difficoltà a formare relazioni sociali stabili. I loro interessi e passatempi di solito aumentano
il loro stato di isolamento in quanto sono più interessati alle cose (oggetti, macchine, ecc.) che alle persone.
Diversi studi mostrano che i soggetti di sesso maschile potrebbero
avere una maggiore propensione a sviluppare una dipendenza da Internet, per via dell’uso particolare che fanno della Rete: si dedicano con
maggiore frequenza e per un tempo più lungo rispetto alle femmine ad
attività che mostrano un elevato “gradiente tossicologico”, come videogames, sesso virtuale, gioco d’azzardo e giochi online in genere
(Scherer, 1997; Morahan-Martin, 2000; Chou, 2000, Ko et al., 2005).
Inoltre, lo studio di Chen e colleghi mostra che i maschi hanno un punteggio più alto su una scala che valuta la dipendenza da Internet (Chen
et al., 2003).
Rispetto alle ragioni che portano un individuo a collegarsi alla Rete, le
osservazioni evidenziano motivazioni variegate: se gli utilizzatori “sani” di Internet sono spinti da bisogni informativi e di intrattenimento,
secondo Cantelmi (2007) alcuni utenti “ammettono di ricorrere al web
80
con l’intenzione di ricercare una nuova eccitante identità, altri sono
spinti dall’esaltante prospettiva dell’anonimato, altri soltanto per ridurre la tensione e lo stress della vita d’ogni giorno, altri ancora con lo
scopo di intraprendere nuove amicizie o solo perché sulla Rete trovano un luogo sicuro e protettivo”.
Secondo Wallace (2000), le persone che ritengono di poter esercitare
un forte controllo sulla propria vita, ovvero coloro che mostrano un
elevato “locus di controllo interno”, sarebbero maggiormente attratte
dalla Rete per le sensazioni di controllo che offre: la possibilità di scegliere i siti da visitare, cosa leggere, cosa scaricare, ecc..
In una intervista disponibile online, Kimberly Young afferma che la
dipendenza da Internet si presenta associata ad altre patologie in più
della metà dei casi, e che “i fattori di rischio includono una storia di dipendenza multipla, condizioni psichiatriche come depressione, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo bipolare, compulsione sessuale e
gioco d’azzardo patologico, o fattori situazionali, come burnout da lavoro, contrasto coniugale, solitudine o abuso infantile”.
Recentemente, uno studio realizzato su studenti universitari italiani ha
inteso verificare l’esistenza di una correlazione positiva fra alcuni tratti di personalità e lo sviluppo di patologie connesse ad Internet. L’indagine è stata condotta su un campione di 190 studenti – di cui 73 uomini e 117 donne, tra i 19 e i 26 anni – frequentanti corsi di diverso
grado in diverse università della Calabria e ha preso in considerazione
i tratti di personalità noti come “Big five”: si tratta di predisposizioni
stabili del comportamento, che non risentono di influenze culturali, e
che nel mondo scientifico e accademico sono ritenuti essere universali, ovvero fattori che possono essere utilizzati per descrivere le diversità tra gli individui. I Big five sono:
• 1. Nevroticismo/stabilità emotiva: riguarda la predisposizione dell’individuo a rispondere emotivamente alle stimolazioni esterne.
• 2. Estroversione/introversione: è il tratto che spiega l’attitudine alla
vita sociale, alla ricerca della compagnia di altre persone e ad un generale ottimismo.
• 3. Apertura mentale/chiusura mentale: indica la varietà di interessi o
i diversi stimoli che suscitano interesse nell’individuo.
81
• 4. Gradevolezza/sgradevolezza: fa riferimento alle capacità di adattamento alle necessità altrui.
• 5. Coscienziosità/negligenza: riguarda la capacità di darsi degli
obiettivi e di rispettarli con metodo e perseveranza.
I risultati dello studio hanno mostrato che i comportamenti di alcuni
studenti erano predittori di una dipendenza, e che in particolare la dipendenza da Internet si correla positivamente con il tratto dell’Apertura mentale, mentre ha una correlazione negativa con i tratti della Gradevolezza e dell’Estroversione. Inoltre, nel campione non sono stati
rilevati casi di dipendenza grave ma solo casi di dipendenza moderata,
che vedono gli uomini più esposti delle donne.
Uno studio sui fattori predittivi dell’IAD realizzato recentemente a
Taiwan (Chang f-C. et al., 2014) ha esaminato i fattori psicosociali
connessi con l’inizio e la persistenza della dipendenza da Internet tra
gli adolescenti. Condotta su 2.315 studenti, dai 15 ai 16 anni, provenienti da 26 scuole superiori di Taipei, l’indagine si è sviluppata secondo due step. Ad una prima analisi il campione è risultato essere
composto per lo più da soggetti non dipendenti, ma l’osservazione
dello stesso campione ad un anno di distanza ha mostrato cambiamenti
significativi. Tra coloro che erano risultati non dipendenti, il 15 %
aveva sviluppato una dipendenza: si trattava di studenti che più degli
altri si erano dedicati ad attività online trascurando le attività scolastiche, che riferivano di uno stato di depressione e che avevano iniziato a
consumare nicotina. Inoltre, tra i dipendenti alla prima analisi, oltre il
63% mostrava dopo un anno il perpetuarsi della dipendenza associata
ad uno stato depressivo e al consumo di alcool. In sintesi lo studio evidenzia che le attività online, la depressione e il consumo di alcool e nicotina sono importanti predittori di iniziazione e di persistenza alla dipendenza da Internet negli studenti più giovani.
Una ricerca di Del Miglio (Del Miglio et al, 2012) ha cercato di verificare la relazione fra dipendenza da Internet e caratteristiche di personalità, utilizzando strumenti di indagine della personalità fra cui il test
MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory), composto da
tredici diverse scale, il questionario dei “Big five”, e l’Internet Addiction Test - IAT. I dati mostrano che la dipendenza si correla positivamente con il numero di ore spese in Rete, anche se tale variabile di per
sé non è sufficiente a spiegare l’instaurarsi del comportamento di ad82
diction. La correlazione è positiva anche con il bisogno di conformismo; con una descrizione idealizzata, irreale di sé e della propria vita;
con atteggiamenti ossessivi; con sensazioni di irrealtà, ritiro sociale,
convinzioni devianti, esperienze insolite, percezioni particolari e deviazioni psicopatiche. La correlazione è invece negativa laddove si registra stabilità emotiva e controllo delle emozioni e della sfera emotivo-pulsionale. Per converso la dipendenza è più probabilmente presente dove si registrano episodi di impulsività, irritabilità e impazienza. In generale – si osserva infine nello studio – “è il gruppo dei soggetti classificato come addicted che vive maggiori problemi clinici”.
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86
CAPIToLo 3
LA PREVENZIONE E LA CURA
di Maria Elisa Scarcello
3.1. I primi sintomi avvertiti dall’internauta e dai familiari
La tecno-evoluzione può essere definita un vero e proprio movimento
evolutivo nel quale il web, indiscusso sovrano, è il “mare” dove navigare senza dimensioni di spazio e di tempo; un mondo in cui la virtualizzazione della realtà esalta appieno i pregi ma anche i difetti dell’uomo. Velocità, ambiguità, ricerca di emozioni e bisogno di infinite relazioni light sono solo alcune delle caratteristiche che meglio emergono
in questa nuova dimensione. Viviamo, senza accorgercene, intrappolati in un mondo eccessivamente tecnologico: controlliamo la posta elettronica, mentre un bip dal microonde ci ricorda che la colazione è
pronta, accendiamo l’auto e automaticamente il navigatore ci consiglia l’itinerario da percorrere, e poi collegati con il nostro inseparabile
Iphone rispondiamo alle nuove e-mail, controlliamo la bacheca e i
post dei nostri social network... insomma trascorriamo intere giornate
accompagnati da un incessante cliccare, chattare,digitare, twittare,
senza dimensioni di spazio e tempo, aiutati dal dinamismo delle connessioni di rete. Nel momento in cui, però, l’uso smodato del compu87
ter e delle sue applicazioni compromette le normali attività di tutti i
giorni (lavoro, scuola, uscite sociali), le amicizie si moltiplicano e si
annullano con un clic, la ludopatia, il sesso, il gioco d’azzardo, diventano realtà quotidiane in rete, vuol dire che si sta manifestando un segno che indica la presenza di un “problema”. Quelli che vengono percepiti come comportamenti comuni e quotidiani sono in realtà delle
vere e proprie “patologie compulsive”, perché escono da un controllo
razionale e tolgono alla persona che ne è vittima la capacità e la libertà
di scegliere se compierli o meno.
Come in tutte le dipendenze, però, esiste certamente un disturbo sottostante, una patologia precedente o anche semplicemente una difficoltà
di relazionarsi con i coetanei (cosa molto comune in adolescenza), per
cui quello della dipendenza da internet è un semplice sintomo che deriva dal bisogno di cercare una sorta di rifugio per non affrontare determinate difficoltà.
Ma a questo punto una domanda è lecita. Quando scatta il campanello
d’allarme e quali sono i primi sintomi avvertiti dall’internauta? La risposta ovviamente è generica nel senso che può variare per ogni singolo caso. Si può comunque affermare che, inizialmente, la dipendenza dalla rete1 è caratterizzata dall’attenzione ossessiva a temi e strumenti circa l’uso della rete, come il controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa giornata, la ricerca di programmi e strumenti
di comunicazione sempre più efficaci e moderni, o ancora l’utilizzo
dei social network. Il rischio maggiore è quello che tale comportamento si tramuti in compulsione; questo perché l’individuo che inizia a navigare nella rete scopre le sue infinite offerte, iper- attivandosi psicofisicamente in risposta ad alcune di esse.
In un secondo momento, vi è il progressivo aumento del tempo trascorso online, con un crescente senso di malessere, di agitazione, di
bassa attivazione quando si è scollegati (condizione paragonabile all’astinenza). In questa seconda fase il soggetto scopre ed inizia ad utilizzare sempre più Social Network, Chat, E-mail, luoghi di incontro
virtuale ed è qui che si conclama la dipendenza dalla rete.
Alcune attività online sono a maggior rischio di divenire vere e proprie
dipendenze (alcuni esempi possono essere lo shopping, il gioco d’azzardo, la visione di materiale pornografico e così via). Esse in rete sono facilitate dall’anonimato e dalla semplicità con cui è possibile praticarle in qualunque momento senza dover uscire di casa e senza esporsi
al giudizio altrui. In questo caso Internet non pone alcun limite all’im88
pulso, che può facilmente tramutarsi in compulsione quando sfugge al
controllo del soggetto, diventando così il centro della sua esistenza.
Infine, nella terza e ultima fase e cioè quando l’uso di internet diventa
abuso si arriva perfino a danneggiare la sfera sociale, familiare, affettiva, scolastica e lavorativa.
I soggetti maggiormente a rischio dipendenza hanno un’età compresa
tra i 15 e i 40 anni, con un elevato livello di conoscenza degli strumenti
informatici. Si possono comunque individuare delle situazioni in cui si è
più predisposti a sviluppare la dipendenza da internet2 e in questi casi il
computer e le sue risorse illimitate possono ridurre notevolmente lo stato di disagio sperimentato, offrendo opportunità di svago e alleggerimento della mente (un veloce calmante che devia dal problema vissuto
in quel dato momento). Si rischia in questo modo di instaurare un circuito vizioso per cui, ogni volta che si è in una situazione conflittuale, si
preferisce tornare a distrarsi creando una dipendenza, non una soluzione
al problema – che invece permane ed, anzi, viene così alimentato.
Nel 1995 lo psichiatra americano Ivan Goldberg3 aveva individuato sette
principali sintomi caratteristici quali: il bisogno di trascorrere un tempo
sempre maggiore “in rete” per ottenere soddisfazione; la marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano internet; lo sviluppo, dopo diminuzione o sospensione dell’uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line; la necessità di accedere alla rete con più frequenza o per più tempo rispetto all’inizio; l’impossibilità di interrompere o di tenere sotto controllo l’uso di
internet; il dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla
rete; il perdurare dell’uso di internet nonostante la consapevolezza di
problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete stessa.
oggi, gli studiosi in materia ne aggiungono degli altri, entrando ancora più nello specifico della quotidianità:
1. non riuscire a consumare un pasto senza usare almeno una volta il
telefono cellulare, inviare sms o mail;
2. dormire con il telefono cellulare accanto;
3. guardare più di uno schermo alla volta, per esempio televisione e
monitor del computer;
4. spedire sms e mail, anche non urgenti, mentre si è con la famiglia;
5. quando si è tutti insieme ed ogni membro della famiglia guarda uno
schermo diverso;
6. avere avuto almeno una discussione con una persona amata sull’utilizzo delle tecnologie;
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7. non andare a lungo fuori casa per divertimento preferendo stare in
casa a giocare col pc;
8. fare il “login” del computer quando si è ancora a letto;
9. leggere o spedire sms o mail mentre si studia, si lavora, in bagno, ecc.;
10.non spegnere mai il cellulare.
La linea di demarcazione del problema della dipendenza da internet è
molto sottile ma è facilmente constatabile dal momento che i soggetti
dipendenti subiscono problemi, da moderati a gravi4. Tali problemi sono
di varia natura e si manifestano in diversi ambiti della vita personale:
– relazionale e familiare: Il virtuale acquista un’ importanza maggiore della vita reale, dalla quale il soggetto tende ad estraniarsi sempre
di più, aumentando le ore di collegamento e di conseguenza trascurando i rapporti sociali e la famiglia. Anche il matrimonio viene
spesso compromesso a causa dei frequenti rapporti amorosi che nascono in Rete e che a volte si concretizzano in vere e proprie relazioni extraconiugali.
– lavorativo e scolastico: L’eccessivo coinvolgimento nelle attività di
Rete distoglie l’attenzione dal lavoro e dalla scuola. Inoltre i collegamenti esageratamente prolungati, anche durante le ore notturne,
portano allo sconvolgimento del regolare ciclo sonno-veglia e ad
una stanchezza eccessiva, che invalida il rendimento scolastico e
professionale.
– della salute: La dipendenza da Internet provoca numerosi problemi
fisici che possono insorgere stando a lungo seduti davanti al computer (disturbi del sonno, irregolarità dei pasti, scarsa cura del corpo,
mal di schiena, stanchezza agli occhi, mal di testa, sindrome del
Tunnel Carpale, ecc.).
– finanziario: I problemi finanziari si presentano principalmente nei
casi in cui il soggetto partecipi ad aste, commercio on-line e gioco
d’azzardo virtuale.
Inoltre, in alcuni casi si può arrivare anche a un vero e proprio disagio
fisico e psichico e nei casi più gravi è possibile assistere anche a fenomeni di Depersonalizzazione e/o Derealizzazione. Questo scollamento dalla realtà dovuto all’abuso o alla dipendenza da internet è abbastanza comprensibile se si considerano alcune caratteristiche della rete
che hanno la capacità di indebolire il normale rapporto con la realtà. In
definitiva, tutto quello che riguarda internet diviene la sola fonte di
90
energia e soddisfazione, mentre si perde lentamente interesse per il
mondo circostante.
Come è possibile notare, l’abuso della rete sviluppa fenomeni psicopatologici che si manifestano con una sintomatologia simile a quella
che si osserva in soggetti dipendenti da sostanze psicoattive.
Infatti, le dipendenze da prodotti tecnologici condividono con quella da
sostanze alcune caratteristiche:
• dominanza: l’attività domina i pensieri e assume un valore primario
tra tutti gli interessi;
• alterazioni dell’umore: nell’uso dello strumento si prova un aumento d’eccitazione o maggiore rilassatezza;
• tolleranza: bisogna aumentare il tempo di uso per avere l’effetto desiderato; sintomi d’astinenza: malessere psichico e/o fisico che si
manifesta quando s’interrompe o si riduce l’utilizzo degli strumenti;
• conflitto: si creano tensioni e liti tra chi utilizza gli strumenti e le
persone che sono vicine, ma la persona che ne fa uso è in conflitto
anche con se stessa, a causa del comportamento dipendente;
• ricaduta: tendenza a ricominciare l’attività dopo averla interrotta.
La internet-dipendenza non è una malattia che si sviluppa improvvisamente: vi è quindi un percorso che l’utente deve compiere prima di entrare nella fase cosiddetta “tossicomanica” correlata a fenomeni psicopatologici. La dipendenza, inoltre, può essere generale, o può essere
focalizzata su una specifica attività. Ad esempio, l’abituale navigatore
di Internet può cominciare a mostrare un interesse sempre più ossessivo nei confronti della sua mail-box e/o di alcuni siti particolari. Le attività in rete che tendono a generare più facilmente la dipendenza nei
giovani sono: chat, blog e giochi online. Negli adulti, invece, sono
molto frequenti anche la dipendenza da pornografia, gioco d’azzardo
online, shopping compulsivo.
I dati allarmanti sull’utilizzo di internet in Italia e nel mondo5 confermano quanto questi siti e/o applicazioni in rete siano particolarmente
frequentati. Infatti, secondo recenti statistiche in merito6, in Italia gli
internet-dipendenti sarebbero circa tre milioni: adolescenti, per lo più,
ma anche tanti adulti under 40. ovviamente la categoria degli adolescenti e dei giovani, i cosiddetti nativi digitali, può essere definita come potenzialmente a rischio; e dato da non sottovalutare è che il fenomeno è stato osservato anche in bambini; per l’esattezza, stando ai dati
91
dell’ambulatorio del Policlinico Gemelli quasi l’80% sono bambini e
ragazzi tra 11 e 23 anni. Considerato che queste dipendenze influiscono in maniera particolare sulla sfera relazionale, è chiaro che sarà proprio su questa che bisognerà intervenire, stimolando la costruzione di
una rete di relazioni reali e concrete rispetto al facile e sicuro “rifugio”
di quella virtuale. Ed è proprio qui che si rende necessario un lavoro
particolarmente attento in termini di prevenzione e un’attenzione particolare da parte di chi vive con i giovani e non solo, in primis il contesto familiare e sociale del diretto interessato. Inoltre, tutti possono
essere toccati dal problema della dipendenza tecnologica: il partner, i
figli, i genitori, gli amici, i colleghi di lavoro o i vicini di casa; indipendentemente dai rapporti tra il diretto interessato e il suo ambiente,
chiunque viva accanto ad una persona che ha problemi di dipendenza
tecnologica si trova confrontato con un dato di fatto a volte difficile da
accettare. Spesso i familiari nel tentativo di aiutare sono diventati a loro volta prigionieri del problema della persona dipendente. È un meccanismo noto e diffuso chiamato “co-dipendenza”, che si instaura parallelamente alla dipendenza e che colpisce soprattutto il partner ma
può coinvolgere anche i genitori, i figli, gli amici e i colleghi di lavoro.
Tuttavia, essa è più frequente tra le donne che tra gli uomini.
Il problema della internet-dipendenza diventa ancor più delicato in
due casi in particolare: nel momento in cui la persona con problemi di
dipendenza ha dei figli oppure se l’internauta è un bambino. Nel primo
caso, per un bambino vivere con un genitore malato significa provare
quotidianamente vergogna, senso di colpa e insicurezza. Lo sviluppo
del bambino ne può risultare turbato e/o correre il rischio di avere anche lui, in futuro, problemi di dipendenze o altri disturbi psicologici.
Nel secondo caso, ovvero per ciò che riguarda i bambini e gli adolescenti che non presentano altre evidenti problematiche, i sintomi percepibili per l’inizio di una “psicopatologia web mediata” possono essere indicati principalmente dalla restrizione dei campi di interesse al
di fuori della rete, dalla percentuale di ore passate al pc e dalla paura
della socializzazione reale; a tal proposito, si potrebbe consigliare ai
genitori di non sottovalutare la necessità di far recuperare loro quella
comunicazione interpersonale non mediata dalla rete.
La questione dei rapporti tra internet e minori non è affatto nuova e
l’importanza di una responsabile fruizione di internet soprattutto da
parte delle giovani generazioni è dovuta a due aspetti: il primo è che i
minori sono “utenti” speciali7, che trovano nei new media i principali
veicoli di valori, visioni della vita e ruoli sociali, prima ancora di aver
92
avuto una esperienza diretta della realtà. Il secondo aspetto è che i minori saranno gli adulti di domani. Ciò significa che essi importeranno
nella società del futuro valori, stili di vita e modelli culturali così come
essi li hanno “appresi” oggi, anche o soprattutto attraverso Internet.
Dal punto di vista psico-pedagogico, da molti anni, psicologi, sociologi, educatori dibattono se e come il pc e le sue applicazioni possano
essere utili o dannosi per i bambini. Dall’osservazione clinica di condizioni psicopatologiche hanno evidenziato8 che, in alcuni casi, il
bambino-adolescente assorbe come valori quelli comunicati da un
mezzo che dall’essere strumento di informazione e di intrattenimento
nel tempo libero, finisce per assolvere alla funzione di educatore, di
“strumento umanizzato”, diviene una compagnia virtuale, talvolta
preferita a quella reale. Alcuni genitori utilizzano internet come strumento sussidiario; ed ecco che se viene a mancare o se si prova a staccare il collegamento al pc o la fruizione di un particolare contenuto (in
primis i videogiochi) si manifestano attacchi di panico equivalenti
all’ansia di separazione dalla madre.
Già in passato molti studiosi in materia hanno pienamente dimostrato
come i processi d’influenza non seguano una forma di imputazione casuale lineare, come da tempo sosteneva la Teoria del modellamento9,
ma piuttosto una struttura a cascata secondo la quale la continua frequenza con cui gli utenti possono venire “bombardati”da contenuti, il
cui livello qualitativo può non essere sempre soddisfacente, arriva a
determinare una complessa sequenza di effetti che come è stato evidenziato in precedenza possono essere di interesse medico, psicologico e culturale.
Numerosi studi sono stati fatti, ad esempio, sull’assuefazione e sull’imitazione della violenza, sulla trasmissione di stereotipi sociali e
culturali, e sull’imposizione di una concezione della vita basata sull’edonismo, la competitività e l’ipocrisia. Questi effetti naturalmente
sono essenzialmente correlati a fattori individuali e sociali che in qualche modo predispongono e favoriscono l’assunzione di questi comportamenti10. Difficile è la tutela degli utenti rispetto ad Internet, giacché una regolamentazione efficace richiederebbe il coinvolgimento di
tutti i Paesi.
A livello europeo sono molte le proposte avanzate per lottare contro
ogni tipo di attività illecita sulla rete che sia nociva per i minori e per
rendere Internet un mezzo molto più sicuro11. Ma fino ad adesso non si
è formata una linea comune a tutti gli Stati, e rimane la necessità di misure più incisive per contrastare efficacemente le attività illecite e no93
cive per gli utenti: l’obiettivo dovrebbe comunque essere quello di sviluppare uno spazio basato sulla libertà di espressione ma conciliato
con il diritto, fondamentale, alla tutela dello sviluppo fisico, psichico e
morale degli utenti.
3.2. Fattori psicofisici che inducono alla dipendenza
Dipendere significa avere bisogno, necessità, di qualcuno o qualcosa
per soddisfare una propria esigenza vitale: un benessere fisico o un
equilibrio psicologico. ovviamente esistono sia dipendenze sane sia dipendenze patologiche. Sane e naturali sono, ad esempio, la dipendenza
dall’aria, dall’acqua, dal cibo, dalle relazioni sociali, dagli affetti familiari, dalla vita spirituale, nella misura in cui tutto ciò ci consente di poter vivere e accrescere la nostra interiorità. Patologiche sono quelle dipendenze che s’instaurano quando si ricorre sistematicamente ad esperienze fuori dall’ordinario, per evitare ansia, panico o depressione, per
riuscire a mettersi in relazione con gli altri, per mantenere un equilibrio
psicofisico, per sentirsi all’altezza delle situazioni di vita e di lavoro.
Le dipendenze patologiche diminuiscono o annullano il controllo su
noi stessi e sulla capacità di scegliere, compromettendo gravemente la
qualità della nostra vita e quella altrui. Di questo tipo è la dipendenza
da internet che può, in breve, essere definita come l’assuefazione a una
sostanza (Internet e le sue applicazioni) la cui sottrazione induce disturbi fisici e psichici. ovviamente è molto più semplice cadere in questa
trappola virtuale per coloro che convivono già con problemi psichici,
depressione, eventi di vita poco favorevoli, incapacità di relazionarsi e
disturbi del comportamento. Per tutte queste categorie di persone, ma
anche per coloro che sembrano immuni a questo problema, Internet appare come un rifugio perfetto, come la possibilità di idealizzarsi e idealizzare gli altri, come una maschera dietro la quale emozioni e volontà
vengono metodicamente modificate e controllate.
Ma perché questo accade? Nella generalità, esiste una predisposizione
alla dipendenza generata da fattori:
BIOLOGICI:
deficit del sistema neurotrasmettitoriale della ricompensa, fattori ereditari ecc;
AMBIENTALI: pressione sociale e ambiente familiare;
PSICOLOGICI: volontà di autopunizione, necessità di fuga e di eccitazione, ricerca di sensazioni nuove.
94
Esistono poi delle cause precise, principalmente psicofisiche, che possono indurre alla dipendenza e sono: Disagi e disturbi psicoemotivi,
disagi lavorativi, disagi sociali, disturbi alimentari, disturbi d’ansia,
disturbi del sonno, disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, disturbi
dell’umore, disturbi della personalità, disturbi dissociativi, disturbi fittizi, disturbi sessuali e disturbi somatoformi12.
L’area delle nuove dipendenze rappresenta, quindi, un terreno di studio nel quale vengono a confluire aspetti di ordine sociale e culturale,
insieme ad aspetti di ordine psicopatologico e clinico.
Secondo il modello cognitivo - comportamentale della Dipendenza da
Internet (o più correttamente dell’ Uso patologico di internet - PIU) i
pensieri disfunzionali sono al centro dell’eziologia del disturbo13. La
diatesi (ovvero la suscettibilità o la predisposizione costituzionale a sviluppare un certo disturbo) è rappresentata nel PIU da una pre-esistente
psicopatologia, che è ritenuta necessaria per lo sviluppo dei sintomi. Il
fattore di stress è rappresentato invece dall’incontro con Internet o con
alcune nuove tecnologie di Internet, ad esempio la scoperta della pornografia in rete, la prima e-chat, il primo shopping on line o l’e-trading in
borsa. Se la risposta psicologica alla sperimentazione di una nuova funzione di Internet è positiva, essa rafforza la continuità dell’attività per un
meccanismo di condizionamento operante. Dopo qualche tempo anche
stimoli associati come il suono di un computer che si connette a Internet,
la sensazione tattile quando si digita sulla tastiera e l’ambiente in cui è
posizionato il computer possono produrre la stessa soddisfazione attraverso risposte condizionate. Inoltre, secondo questo modello, i soggetti
predisposti alla dipendenza hanno generalmente distorsioni di pensiero
quali ‘eccessiva generalizzazione’ o ‘pensiero tutto o nulla’ riguardo loro stessi ed il mondo esterno. Gli Internet-dipendenti vengono descritti
come più inclini al catastrofismo e all’ansia rispetto alle altre persone.
La fuga dalla realtà e dalle conseguenze percepite del catastrofismo rappresentano così ulteriori motivazioni all’uso compulsivo della rete.
Un’altra importante distinzione che viene operata nella descrizione
della sintomatologia associata alla rete-dipendenza concerne la differenziazione tra:
• condizioni on line
• condizioni off line
Nella prima classe di sintomi si fanno rientrare in genere i comportamenti relativi all’abuso del tempo in rete (in genere anche 60-70 ore
95
settimanali); nella seconda categoria si comprendono invece i sintomi
di ansia e irrequietezza, nonché le predette problematiche relazionali,
lavorative o scolastiche che permangono tra un collegamento ed un altro, accompagnando il corteo sintomatologico che caratterizza la sindrome multimediale14.
Inoltre, tra gli studi condotti in merito, degni di nota, va ricordato il famoso modello “ACE” (acronimo di Accessibiliy, Control and Exicitement), introdotto da Kimberly Young15 che per spiegare i comportamenti ossessivo-compulsivi ha identificato: l’accessibilità, il controllo
e l’eccitazione come i principali fattori facilitanti e/o predisponenti
l’insorgere dei disturbi sopra indicati. Per l’esattezza, il termine accessibilità si riferisce all’introduzione e alla diffusione della Rete che ha
consentito di ridurre enormemente i tempi di accesso ai singoli servizi
(ora alla portata di un click), così da rendere possibile la gratificazione
immediata di ogni più piccolo bisogno e/o vizio; il controllo, invece, è
il controllo personale che l’individuo può esercitare in attività on-line
ed è molto alto, spesso maggiore di quello che è possibile esercitare
nella vita reale. Ad esempio molti siti finanziari consentono la transazione dei titoli presenti in borsa e il controllo, in tempo reale, degli andamenti delle singole quotazioni. Non è da sottovalutare nemmeno il
controllo che è possibile esercitare sulle reazioni delle persone presenti in una chat; e infine l’eccitazione, ovvero come la navigazione in rete può costituire un’esperienza emozionante per l’enorme quantità di
stimoli a cui è possibile sottoporsi. Quello che è possibile fare in Rete,
grazie anche alla possibilità di mantenere l’anonimato, non sempre risulta possibile nella vita reale. Si pensi, ad esempio, al fenomeno del
cybertravestitismo16. I casi più classici di dipendenza da Internet riguardano fondamentalmente tre tipologie di persone. I giovani, che
sono praticamente nati nella tecnologia digitale, i cosiddetti “nativi digitali”, che non hanno un metro di paragone tra il prima e il dopo l’avvento di questa tecnologia, e che eccedono nel suo utilizzo per tutte le
opportunità che mette a disposizione. Le persone oltre i 45/50 anni, i
cosiddetti “immigrati digitali”, per i quali il mondo virtuale è divenuto
un nuovo mondo da esplorare e nel quale si sono persi. Le persone insicure e con disagi relazionali che utilizzano il mondo virtuale per
compensare l’isolamento e la difficoltà a intessere e mantenere relazioni, o che non riescono a mostrare liberamente la propria identità.
Nel mondo virtuale però non acquistano realmente queste abilità, motivo per cui continuano ad aver sempre bisogno di questo “ambiente”
per sentirsi adeguate e in relazione. Entrando più nello specifico, i
96
soggetti maggiormente a rischio presentano problemi psicologici, psichiatrici o familiari preesistenti alla Rete-dipendenza quali: solitudine, insoddisfazione nel matrimonio, stress collegato al lavoro, depressione, problemi finanziari, insicurezza dovuta all’aspetto fisico, ansia,
lotta per uscire da altre dipendenze, difficoltà relazionali; isolamento
sociale e, soprattutto nei più giovani, fobie ed eccessiva timidezza.
Elementi problematici, questi ultimi due, spesso collegati tra di loro,
poiché la timidezza, ovvero quella spiacevole sensazione di sentirsi a
disagio durante incontri sociali, può dare origine ad un eccessivo accumulo di stress tale da provocare veri e propri sintomi fastidiosi, quali: rossore; sudorazione; palpitazioni; secchezza delle fauci; tremori o
formicolii. Questi sintomi peggiorano ulteriormente lo stato di ansia e
fastidio generato, al punto che la persona può iniziare ad evitare qualsiasi circostanza possa portarla nuovamente in quello stato. Quando
questo accade possiamo parlare di vera e propria fobia sociale. Generalmente la timidezza è consequenziale ad un basso livello di autostima. Sono stati individuati anche elementi predittivi contrari a questi
appena menzionati come: l’alta estroversione, il basso grado di conformismo e autodisciplina, soprattutto se accompagnate da scarse capacità di comportamento adattivo17.
È bene precisare però che non tutti gli internauti sono destinati a sviluppare una forma patologica di dipendenza e che la predisposizione
non è solo direttamente connessa a fattori individuali, ambientali e sociali. Anche le caratteristiche della Rete stessa e/o delle sue applicazioni possono catalizzare un disagio preesistente, acuirlo o renderlo
evidente per la prima volta. Basta pensare ad esempio, a come internet
offra la possibilità di poter cambiare l’identità della persona; l’internauta può rapportarsi con altre persone (chat), assumendo caratteristiche psicologiche diverse da quelle abituali, può cambiare l’età, il sesso, il ruolo sociale, lo stato sociale,il paese di provenienza, il lavoro e
mille altre caratteristiche che in genere denotano e contraddistinguono
una persona. o ancora, attraverso un videogame virtuale ci si può immedesimare in grandi eroi e conquistatori, compensando le proprie insicurezze nel tentativo di accrescere la propria autostima. Purtroppo
però, tutto questo genera un’illusoria soddisfazione a cui non si vuole
rinunciare, soprattutto quando alla base regna un’insoddisfazione per
la propria vita reale.
Cadere nella rete della dipendenza da internet, quindi, può essere il risultato dell’interazione di cause complesse e diverse tra di loro che
agiscono in concomitanza di periodi “negativi”. In questi periodi spe97
rimentare delle esperienze capaci di dare piacere su internet può portare a ripetere questo comportamento in maniera sempre più frequente
fino a divenire un abuso vero e proprio. Motivo in più quest’ultimo
che, associato alla tendenza del soggetto a negare il problema, diventa
un grosso ostacolo per riuscire ad uscire da questa nuova malattia.
Avere la forza di riconoscere il problema è il primo passo per iniziare
ad affrontarlo in maniera concreta. Secondo passo è il ricorso ad una
terapia o gruppo di sostegno, fondamentale per uscire dalla dipendenza da internet in modo stabile e duraturo nel tempo.
Internet di per se è uno strumento straordinario in grado di migliorare
la qualità della vita, poiché le esperienze on-line, offrono la grande opportunità di sperimentare se stessi e le proprie abilità relazionali, ma è
necessario utilizzare questo potente strumento rimanendo padroni di
tutte le proprie capacità razionali di controllo del proprio comportamento. È fondamentale conoscere i propri scopi quando ci si mette di
fronte al computer e monitorare le proprie emozioni quando si è in rete. Non è facile per chi è “dentro” il mondo virtuale fermarsi prima di
varcare il limite della patologia; fortunatamente ma anche paradossalmente però la rete stessa offre strumenti che possono essere usati per
valutare il problema prima che si aggravi.
3.3. Fattori sociali e ambientali che favoriscono la dipendenza
L’individuo è un essere sociale il cui comportamento è comprensibile
alla luce del contesto sociale in cui è inserito e quindi in tutto il sistema di relazioni a cui fa riferimento e che oggi appare talmente indebolito da essere considerato l’origine di molte problematiche. Le trasformazioni della nostra epoca, infatti, hanno determinato cambiamenti significativi negli stili di vita individuali e collettivi: uomini, donne,
giovani e adolescenti, super-impegnati, costretti a vivere situazioni sociali, affettive e lavorative di ambizione, di immagine, di efficienza,
spesso in realtà sono persone fragili che non riescono a stare al passo
con un mondo esterno che li induce sempre più a costruire false immagini di se stessi. E così che il bisogno di un rifugio diventa sempre più
impellente rischiando però di rimanere intrappolati in un altro mondo,
quello virtuale, che dà gratificazione immediata, ricette pronte e falsi
conforti. Una nuova ‘realtà’ che genera dipendenza e dalla quale risulta sempre più difficile uscire.
Il fenomeno della web dipendenza sembra essere l’espressione di una
98
stagione culturale nella quale i casi di abuso e di dipendenza appaiono
contrassegnati anche da fattori sociali e ambientali. Prime fra tutti non
annoverabile tra i fattori specificatamente individuali sono le potenzialità psicopatologiche della rete. Nel senso che la Rete, così ricca di
opportunità di informarsi e di conoscere, riesce a legarsi, certe volte
patologicamente, anche alle persone che non hanno mai avuto alcun
disturbo psicologico, le quali possono divenire vittime dei propri stessi bisogni, attraverso dei comportamenti di uso eccessivo che infatti
portano ad una progressiva disgregazione delle esperienze e delle dinamiche della vita reale, spingendo l’individuo verso una sempre
maggiore alienazione sociale ed affettiva. Tra le potenzialità psicopatologiche tipiche della rete vi è quella di indurre sensazioni di onnipotenza, come sopraffare le distanze e il tempo e/o cambiare identità o
nasconderla. oltre alla pericolosa possibilità di fornire emozioni e rapporti interpersonali virtuali senza ruoli, vincoli e convenzioni.
Anche l’evoluzione degli studi continua a confermare che le caratteristiche solitamente associate a questa nuova forma di dipendenza si
possono ritrovare in quei comportamenti che non sono conseguenti
esclusivamente a fattori personali e/o all’utilizzo di sostanze, ma anche ad altri aspetti della vita quotidiana come: il contesto familiare, il
gioco, i rapporti interpersonali, i rapporti con il denaro, con i beni materiali e perfino il lavoro18.
Secondo il modello concettuale di Douglas19 l’uso eccessivo di Internet è determinato da una serie di fattori: Antecedenti: come il trovarsi
in ambienti che permettono l’utilizzo di Internet, l’uso di Internet per
molti anni, la sensazione di essere fraintesi dagli altri, la poca vita sociale e/o la scarsa autostima; fattori motivazionali (Push factors) quali: il sollievo dallo stress, l’effetto relax e la soddisfazione di bisogni
sociali; e infine, fattori di attrattività (Pull factors) rappresentati dalla
disponibilità di applicazioni attrattive come il gioco d’azzardo online,
i giochi e le chat, nonché il facile accesso alle informazioni, la facilità
dell’ interazione sociale e dello scambio di idee su Internet se paragonata ad altri media20.
Entrano quindi in gioco non solo le caratteristiche dell’individuo ma
anche le interazioni, le pressioni ed i modelli sociali; il tutto nella consapevolezza di quanto siano importanti i giudizi, i valori, gli stili di vita della comunità e del gruppo di appartenenza nel determinare la scelta del comportamento da intraprendere.
Nella maggior parte dei giovani malati di internet dipendenza è presente una situazione di solitudine interna solo in parte da considerarsi
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fisiologica. Per il resto essa deve probabilmente leggersi in virtù di
una trasformazione sociale che ha portato al formarsi di un gap generazionale tra adolescenti e genitori non più basato sull’esperienza di
un conflitto bensì sull’assenza ed il vuoto. Nel caso particolare dei
giovani, infatti, sono situazioni di rischio che possono indurre alla dipendenza quelle in cui: viene a mancare l’identificazione primaria con
i genitori; la famiglia non ha energie da investire; i bambini-adolescenti vivono in un clima familiare problematico e violento.
Alcune ricerche21, sembrano dimostrare come il dialogo tra genitori e
figli possa costituire un fattore predittivo capace di far diminuire il rischio di cadere in questo nuovo tipo di malattia. I ragazzi che riferiscono gravi problemi nel rapporto con i genitori hanno una probabilità
doppia di diventare dipendenti patologici. Anche la povertà di stimoli
o esempi di casi dipendenza come il gioco d’azzardo nello stesso contesto familiare o ancora la presenza di un tempo libero non strutturato
possono essere sicuramente forti fattori di rischio22. Rilevanti si sono
mostrati anche gli eventi negativi della vita che creano una vulnerabilità psicologica23. Alcune ricerche24ad esempio hanno individuato nelle vite di molti giovani con problemi di dipendenze il tema del maltrattamento infantile. Questo a dimostrazione del fatto che spesso il particolare tipo di organizzazione familiare può ostacolare, senza consapevolezza o intenzione da parte di alcuno, i tentativi del figlio di realizzare un autentico sviluppo adolescenziale. I genitori, in particolare, influiscono sulla risposta del bambino non solo attraverso le proprie
emozioni ed il proprio comportamento, bensì anche attraverso la capacità di fornire un contesto familiare stabile e rassicurante, in grado di
ascoltare e riconoscere eventuali segni di disagio.
Inoltre, non bisogna sottovalutare la necessità di prestare un’attenzione particolare ai contenuti violenti veicolati attraverso la rete, poiché
l’esposizione costante a tali contenuti, non mediata da alcuna elaborazione parentale, potrebbe essere dannosa, in quanto condurrebbe a:
• manifestazione di comportamenti violenti a causa della tendenza ad
imitare gli atteggiamenti di un modello preso come riferimento;
• disinibizione, intesa come perdita di controllo sugli impulsi aggressivi;
• desensibilizzazione e assuefazione con diminuzione di sensibilità ad
attenzione sulle tematiche legate alla violenza;
• riduzione dell’empatia e della capacità di percepire la sofferenza
sperimentata dalla vittima;
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• percezione di scene violente che accadono in altre parti del mondo
(ad esempio immagini di guerra), come fatti vicini che si stanno
svolgendo nell’immediato;
• il timore di poter subire violenze in tutti gli ambiti della vita.
È bene precisare, comunque, che diversi e numerosi fattori concorrono ad influenzare l’attribuzione di significato dei messaggi violenti disponibili on line: l’età, la personalità, il contesto in cui vive il giovane
navigatore e le risposte cognitive-emotive del sistema degli adulti di
riferimento sono tutte dimensioni che incidono sulla comprensione e
l’elaborazione dei contenuti con cui si è entrati in contatto. Lo stesso
filmato o la stessa immagine a contenuto violento può avere effetti
estremamente diversi sui ragazzi, provocando risposte variegate ed
ogni generalizzazione a riguardo risulta riduttiva e superficiale.
Inoltre, spesso questo materiale può arrivare a rinforzare un comportamento aggressivo già presente; trasformando così l’internauta stesso
in generatore di clamorose ingiustizie. Nel caso particolare dei giovani, spesso il gruppo dei pari diventa un fattore di rischio, in quanto luogo in cui si incontra la dipendenza, ad esempio dai social oppure dai
videogiochi, oppure il luogo in cui si può facilmente restare vittima di
una violenza generata proprio dalla dipendenza telematica. Il gesto
violento, anche estremo, come soluzione ai problemi di stress, di insicurezza e di instabilità sembra essere diventato il segno di un mondo
giovanile incapace di comunicare e di stabilire relazioni durature.
Le tante notizie di cronaca inerenti i casi di cyber-bullismo descrivono
alla perfezione quanto appena affermato e quindi le dinamiche di un
fenomeno sociale complesso in continua evoluzione. Si tratta di una
nuova forma di bullismo che semplicemente cambia volto e si trasferisce in rete; divenendo così l’evoluzione 2.0 delle classiche prepotenze adolescenziali. Può essere definito un nuovo hobby giovanile da
non sottovalutare non solo per le conseguenze mentali, fisiche e sociali che provoca ma anche per l’impatto enorme che ha sul capitale umano e sociale.
Infatti i costi del bullismo gravano sul sistema scolastico e sanitario,
sui servizi sociali e non ultima sull’amministrazione della giustizia.
Minaccia, stalking, diffamazione, diffusione di materiale pedopornografico. Questi sono solo alcuni dei reati che commette il cyber- bullo.
Imputazioni molto gravi che spesso l’aggressore virtuale non pensa
lontanamente di compiere oppure ne è cosciente ma è incentivato
dall’anonimato (convinzione tuttavia illusoria, essendo ormai traccia101
bile ogni comunicazione online). Le conseguenze di questo fenomeno
vengono spesso sottovalutate, prese per ragazzate e non fanno presagire ai genitori o ai gruppi di pari le ripercussioni di questi comportamenti nella vita reale. La loro pericolosità è da mettere in relazione
non solo alla natura stessa degli attacchi ma anche alla possibile illimitata frequenza e permanenza in rete.
Il cyber-bullismo può essere definito senza dubbio una preoccupante
problematica che nasce nel sociale si trasferisce in rete diventando dipendenza, fino a ripercuotersi, come un giro di boa, nuovamente nel
sociale.
Un modo per prevenire simili fenomeni è sicuramente quello di incrementare l’attività di informazione, sensibilizzazione e prevenzione all’interno delle scuole e in ambito familiare. Le regole di buona educazione e convivenza civile vanno estese anche alle relazioni in Internet.
Infatti, non sempre alle esperienze su Internet vengono applicati gli
stessi atteggiamenti prudenziali, manifestati nei confronti delle relazioni interpersonali. La relazione online spesso non facilita la consapevolezza dei rischi; al contrario, rimane più aleatoria, non ha confini
precisi, è indefinita e, di fatto, più difficilmente comprensibile e controllabile. In considerazione di ciò, soprattutto i bambini e i giovani
dovrebbero limitare il tempo trascorso su Internet ed integrare delle
esperienze di comunicazione reale, al fine di evitare di sviluppare delle abilità emotive e sociali limitate e/o deformate rispetto a quelle poi
richieste per adattarsi nella vita reale.
Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che quella attuale è la prima generazione cresciuta in una società nella quale internet è parte integrante
della vita quotidiana; quindi, il problema non riguarda l’alfabetizzazione dei bambini all’uso dei media (in quanto da questo punto di vista
probabilmente alfabetizzare è più necessario per gli adulti che per i
piccoli), ma piuttosto aiutare a colmare la distanza che si è venuta a
creare tra l’utilizzo tecnologico e la capacità di interpretazione culturale della realtà. Una prevenzione efficace parte, innanzitutto, da contesti educativi e familiari capaci di aiutare i minori a prendere coscienza delle emozioni e a saperle esprimere, a trattare i dati personali con
riservatezza e attribuire rispetto alla propria intimità e a quella degli
altri. Il mondo degli adulti deve compiere un lavoro di prevenzione,
potenziando tutte quelle condizioni individuali, familiari e sociali che
proteggono ciascun bambino e adolescente; secondariamente, di
ascolto per comprendere i bisogni e offrire ai minori risposte adeguate
e, infine, perché no, di conoscenza nei confronti di un mondo, quello
102
della Rete, in cui essi stessi possono rimanere intrappolati, poiché ritenuto, ingenuamente, fin troppo sicuro. E comunque a prescindere
dall’età, chiunque soffre di internet dipendenza deve essere responsabilizzato e non protetto e i familiari e gli amici dovrebbero esprimersi
anziché colpevolizzare; solo così si può aiutare la persona dipendente
a prendere coscienza di questa nuova malattia dai sintomi e dalle cause multiple e complesse. L’importanza che viene data al contesto sociale e, in primis, alla famiglia non deve però essere letta come il tentativo di cercare un colpevole, quanto piuttosto come il desiderio di
capire, dare un senso e prevenire le manifestazioni di profondo disagio, quali sono i problemi di dipendenza.
Nell’ambito del percorso evolutivo e di meccanismi auto-generanti
che portano verso questa nuova forma di dipendenza, è importante
cercare di comprendere i bisogni, i ruoli e gli spazi vuoti che questi
comportamenti vanno a colmare, attraverso interventi che non demonizzino ma che si muovano nei seguenti ambiti:
1. Prevenzione dei comportamenti a rischio e sviluppo di una cultura
centrata su una forma di utilizzo sano e responsabile della rete25;
2. Creazione di ambienti che favoriscano la salute e che siano sicuri,
stimolanti, soddisfacenti e piacevoli;
3. Promozione di valori culturali come il senso di appartenenza, piuttosto che il materialismo e l’individualismo;
4. Sviluppo di una cultura psicologica che significa ascolto di sé e degli altri.
In conclusione, è necessario oltre che doveroso salvaguardare tutti
quegli elementi direttamente connessi alla crescita di una società “sana”, poiché il cattivo uso di questo potente mezzo di comunicazione
porta alla totale penalizzazione della cultura, della crescita civile ed
etica dei cittadini e, in particolare, dello spirito critico e della creatività
dei minori, i quali non dispongono ancora degli strumenti per un’interpretazione critica dei contenuti del mezzo stesso.
3.4. Comportamenti a rischio
La Rete, è uno strumento ricco di potenzialità ma possiede anche caratteristiche allettanti che possono facilmente rappresentare fattori di
rischio per lo sviluppo di una vera e propria dipendenza dalla rete.
103
Bisogna distinguere, però, i segni di rete-dipendenza dal consumo non
patologico di Internet, e a tal proposito alcuni studi in materia26 hanno
permesso di individuare dei comportamenti che rappresentano indicatori qualitativi o quantitativi di differenza tra normalità e patologia,
portando così all’identificazione di 3 tappe nel percorso verso la forma
più stabile della dipendenza patologica dalla rete:
1. Prima tappa o fase iniziale: Caratterizzata dall’attenzione ossessiva e ideo-affettiva a temi e strumenti inerenti l’uso della rete. Questa fase genera comportamenti quali: prolungati periodi nei social
network, controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa
giornata, ricerca di programmi e strumenti di comunicazione particolari.
2. Seconda tappa o tossicofilia: Caratterizzata dall’aumento del tempo trascorso on-line, anche nelle ore lavorative e nelle ore notturne,
oltre a un crescente senso di malessere, di agitazione, di mancanza
di qualcosa o di basso livello di attivazione quando si è scollegati
(una condizione paragonabile all’astinenza).
3. Terza tappa o tossicomania: fase in cui la rete-dipendenza agisce
ad ampio raggio, danneggiando diverse aree di vita, quella delle relazioni reali, quella scolastico-lavorativa in cui si rilevano problemi di scarso profitto, di assenteismo scolastico-lavorativo e di isolamento sociale anche totale.
È bene precisare che le persone coinvolte nella rete della dipendenza
possono appartenere alle più diverse categorie sociali, economiche e
anagrafiche. Inoltre, la dipendenza essendo, oltre che generale (utilizzo del pc e delle sue applicazioni), anche focalizzata su specifiche attività può contenere dei rischi a seconda delle suddette attività e dell’età dell’internauta.
Negli adulti, ad esempio, sono molto frequenti la dipendenza da pornografia, gioco d’azzardo online e shopping compulsivo; disturbi,
questi, sempre più in espansione e insidiosi, perché meno riconoscibili
rispetto a una dipendenza da sostanza. Le persone che vivono questi
disturbi provano una grande sofferenza e spesso diventano dipendenti
per acquietare un malessere psicologico, un senso di vuoto27. Nella generalità, i comportamenti tipici attraverso i quali è possibile riconoscere questi tipi di dipendenza, a cui vanno incontro soprattutto persone
adulte, sono: l’incapacità di resistere all’impulso di mettere in pratica
un comportamento; la sensazione crescente di tensione prima dell’ini104
zio dell’atto o quella di perdita di controllo durante l’atto; i tentativi ripetuti di ridurre, controllare o abbandonare il comportamento; la reiterazione dell’atto nonostante la consapevolezza che possa causare o aggravare problemi di ordine sociale, finanziario, psicologico o psichico. I comportamenti che caratterizzano, invece, nello specifico le singole ‘attività online’ sono i seguenti: Nel caso della dipendenza da
pornografia, il dipendente da sesso presenta una grave difficoltà a vivere il sesso naturalmente, come una relazione intima con uno scambio di piacere. La relazione diventa, invece, di tipo ossessivo. I comportamenti che un dipendente sessuale può mettere in atto sono diversi: rapporti sessuali con prostitute o con persone anonime, esibizionismo, acquisto di materiale pornografico, utilizzo di servizi erotici telefonici o su internet. La compromissione di una vita di relazione sana è
notevole, così come sono rilevanti anche gli effetti sui processi mentali: l’intrusione di pensieri e fantasie non volute può impedire la concentrazione su una normale occupazione.
Lo shopping compulsivo, invece, è una attività che implica comportamenti significativi quali stress, interferenze con il funzionamento sociale e lavorativo, disagi familiari e coniugali e gravi problemi finanziari. Inoltre, lo shopping patologico, a differenza delle comuni attività di acquisto, è un’attività che viene svolta prevalentemente da soli,
una sorta di piacere privato.
Secondo il dr. Lorrin Koran, direttore della Stanford University, lo
shopping si configura come un disturbo del comportamento quando si
verificano queste condizioni:
• Quando il denaro investito per lo shopping è eccessivo rispetto alle
proprie possibilità economiche;
• Quando gli acquisti si ripetono più volte in una settimana;
• Quando gli acquisti perdono la loro ragione d’essere: non importa
che cosa si compri, ciò che conta è comprare, soddisfare un bisogno
inderogabile e imprescindibile;
• Quando lo shopping risponde a un bisogno che non può essere soddisfatto, per cui il mancato acquisto crea pesanti crisi di ansia e frustrazione;
• Quando la dedizione agli acquisti compare come qualcosa di nuovo
rispetto alle abitudini precedenti.
La caratteristica dello Shopping Compulsivo è, infatti, proprio quella
di “acquistare per il piacere di acquistare”, per abbassare il livello di
105
tensione cresciuto a dismisura e non importa se l’oggetto acquistato è
inutile.
Il gioco d’azzardo patologico, infine, nel DSM-IV viene definito come
un “comportamento persistente, ricorrente e maladattivo, tale da compromettere le attività personali, familiari e lavorative”. La modalità
del disturbo può essere regolare o episodica e il decorso del disturbo è
cronico.
Nell’adolescenza, invece, le dipendenze più frequenti sono relative ai
videogiochi (principalmente giochi di ruolo) e ai social network.
I videogiochi rappresentano l’evoluzione tecnologica delle diverse
forme di gioco e possono indurre effetti positivi: come la stimolazione
delle abilità manuali e di percezione, ma un loro abuso può essere pericoloso e quindi fare insorgere i seguenti rischi:
• sovrappeso: causato dalla sedentarietà;
• difficoltà scolastiche: dovute al poco tempo dedicato allo studio e alla scarsa concentrazione, perché distratti dal desiderio di giocare;
• isolamento e tendenza all’introversione: perché i videogiochi sostituiscono i rapporti personali e le relazione sociali.
Svariati studi sono stati condotti in tutto il mondo per cercare di capire
gli effetti dei videogames sugli appassionati giocatori e, in particolare,
sui più piccoli. Ad esempio, un considerevole studio ormai storico della Iowa State University ha associato il rischio dipendenza da videogiochi a sintomi depressivi, ansia e disturbi della socialità. Sintomi,
questi, indotti dall’uso dei videogiochi e dalla condizione di dipendenza che si è creata con il tempo, e non necessariamente legati al carattere o al temperamento del soggetto. Nello specifico, i ricercatori, guidati da Douglas Gentile28, in collaborazione con colleghi di Singapore
e Hong Kong, hanno analizzato la condizione di 3 mila bambini americani appassionati di videogames, definendoli giocatori patologici
(giocavano in media 20 ore a settimana). Per stabilire questa condizione, i ricercatori hanno utilizzato il famoso DSM-IV29, un riferimento
bibliografico imprescindibile per ogni psichiatra.
Altro notevole esempio di caso di studio in merito è quello condotto
dai ricercatori dell’Università di Ghent in Belgio, secondo i quali giocare spesso può contribuire a modificare la struttura interna del cervello, favorendo un aumento di “materia grigia” in un’area nota come
“striato ventrale”, zona in cui risiede il “centro del piacere” e della “ricompensa”. Per la precisione, dai risultati dello studio che hanno effet106
tuato su 150 ragazzi 14enni è stato riscontrato che le differenze nel
cervello di un giocatore erano le stesse di quelle presenti nei cervelli di
chi era dipendente da droghe, alcol e gioco d’azzardo.
Purtroppo, l’uso dei giochi in rete e soprattutto della modalità Multiplayer è sempre più diffuso fra adolescenti. Una particolare tipologia
di videogioco molto usato da giovani e meno giovani sono i MUD:
(Multi-User Dungeon: che in inglese significa letteralmente “prigioni
sotterranee multiutente”) ovvero giochi di ruolo virtuale, che permettono la condivisione dell’esperienza ludica grazie alla navigazione
contemporanea di più utenti all’interno di una stessa realtà virtuale
(comunicazione sincrona). L’anonimato, i camuffamenti e le atmosfere fantastiche che caratterizzano il MUD costituiscono un fattore di rischio, consentendo un facile accesso a soggetti malintenzionati. L’interattività non si limita solo agli spostamenti, poiché quasi sempre gli
utenti possono combattere con altri giocatori o con personaggi controllati dal computer, acquisire particolari poteri, dialogare fra loro, discutere strategie comuni, allearsi. I comportamenti a rischio più comuni riguardano principalmente l’isolamento sociale, la confusione tra
realtà e fantasia che spesso rende ancora più difficile la percezione dei
possibili rischi, l’insorgere di disturbi fisici (ad es. obesità e problemi
alla vista) ed il possibile manifestarsi di comportamenti violenti e aggressivi.
La dipendenza dai social network è un altro tipo di problematica che
riguarda soprattutto i giovanissimi e l’elemento base che rende la rete
sociale uno spazio virtuale molto eccitante e dinamico è la chat, ovvero la “chiacchierata” che può avvenire tra due o più partecipanti, trasmettendo dei messaggi in tempo reale via computer. Attraverso le
chat si cercano occasioni di socializzazione virtuale ma può entrare in
relazione con qualsiasi tipo di persona (a prescindere dall’età, dal genere e da altre caratteristiche sociali e sociologiche). La differenza della chat rispetto alla conversazione reale è la non compresenza fisica
degli interlocutori, i quali tuttavia si scambiano una serie di informazioni personali. È molto raro che un adolescente entri in una chat per
assistere silente: generalmente lo fa per intervenire attivamente all’interno di una o più conversazioni. I rischi a cui si può andare incontro
sono quelli legati ad ogni situazione che consenta di far emergere e di
soddisfare i bisogni più profondi e inconsapevoli: una condizione che
potenzialmente può favorire la comparsa di comportamenti guidati da
una minima morale. Inoltre, i contenuti affrontati e il linguaggio usato
possono non essere adatti allo sviluppo psichico di bambini e adole107
scenti e non essendo certi, ad esempio,dell’identità degli interlocutori
non si possono conoscere le loro reali intenzioni e questo dipende
principalmente dalla mancanza di elementi paralinguitici e visivi, che,
invece, permetterebbero di ottenere elementi aggiuntivi rispetto all’identità del proprio interlocutore. Tutti questi elementi fanno sì che
la chat costituisca un ambiente particolarmente favorevole per soggetti malintenzionati che possono avvicinare una possibile vittima, indurla a comunicazioni e comportamenti inadeguati (ad esempio, di natura
sessuale, violenta, razzista), molestarla e tentare di incontrarla fuori
dalla Rete.
La possibilità di celarsi dietro l’anonimato, l’estrema facilità con cui è
possibile comunicare con persone in qualsiasi luogo del mondo in
tempo reale, senza limiti, né confini, la facilità di accesso e di uso della Rete, la presenza di navigatori giovani all’interno dei servizi elettronici più usati, sono caratteristiche che rendono Internet un luogo molto
usato dai pedofili per i loro scenari di azione. Tra i pericoli in cui possono imbattersi bambini e adolescenti in Rete, quello dell’adescamento è uno dei più gravi. È importante sottolineare che il pedofilo nelle
sue attività on line non è facilmente identificabile poiché non si distingue dagli altri navigatori per qualche caratteristica tipica.
Se il pericolo maggiore per un bambino o un adolescente può derivare
dall’incontro diretto con soggetti malintenzionati conosciuti in chat, in
questo stesso “luogo” il giovane navigatore può essere anche vittima
di cyberbullismo e/o di flaming. Nel primo caso si tratta di una nuova
forma di bullismo che semplicemente cambia volto e si trasferisce in
rete. Rispetto al bullismo tradizionale, quello cyber mette in pratica lo
stesso tipo di prepotenza e comportamento aggressivo, ottenendo però
effetti maggiori a causa dell’elevato numero di persone che possono
essere coinvolte e della forza mediatica dei moderni mezzi virtuali che
vengono utilizzati (internet, social network, e-mail, cellulare); la vittima, infatti, non subisce alcuna forma di coercizione fisica ma psicologica che, a volte, può portare a conseguenze disastrose. Tra gli effetti
più o meno gravi è indispensabile riflettere sulla nascita di stati di depressione, ansie, paure, frustrazioni, bassa autostima, problemi scolastici, problemi emotivi e di socializzazione con i compagni, cefalea,
ricorrenti dolori addominali, problemi di sonno, iperattività, abuso di
alcol e fumo e, nei casi più estremi, idee suicide come anche recenti
casi di cronaca hanno mostrato.
Quando si parla di flaming, invece, ci si riferisce ad una comunicazione violenta ed offensiva, molto spesso volgare, che è tipica dell’intera108
zione on line. Si tratta di un comportamento, tipico di alcuni giovani e
adolescenti, che mostra la propensione ad accendere “risse digitali”,
usando un linguaggio scurrile all’interno di chat, forum, mailing list. Il
flaming può suscitare nel bambino o nell’adolescente diverse reazioni:
divertimento, indignazione, disagio, imbarazzo, timore, vergogna,
rabbia e offesa.
Infine, non si deve sottovalutare la presenza in Rete di materiale potenzialmente traumatico per soggetti in età evolutiva. In primis, vi sono le immagini pornografiche e pedo-pornografiche, i messaggi equivoci e le offerte di natura sessuale, cui un bambino può accedere anche
solo utilizzando i motori di ricerca: la stessa ricerca di cartoni animati,
cantanti e attori, può condurre a foto e/o filmati di tipo pornografico,
dal momento che spesso sono mascherati da file con nomi ingannevoli. Bisogna aggiungere, oltre ai contenuti violenti e di natura sessuale,
altri contenuti altrettanto pericolosi che spesso non sono oggetto della
medesima attenzione. Ne sono un esempio, l’istigazione all’odio e al
razzismo, la pubblicità di tabacco e alcool, la valorizzazione dell’estrema magrezza, il mito dell’arricchimento facile ed il ricorso a
comportamenti illegali per ottenere un guadagno immediato. Tali messaggi possono essere particolarmente forti e convincenti soprattutto
per chi, come un giovane fruitore, non è ancora in grado di comprenderli appieno.
Si può quindi affermare che i principali rischi che caratterizzano i social network, e dai quali possono manifestarsi comportamenti illeciti,
sono riconoscibili in tre categorie: i contenuti, i contatti, i commerciali(ad es. i bambini potrebbero ricevere offerte online di prodotti o servizi che possono esporre loro e le loro famiglie a minacce alla privacy,
a frode o a furti d’identità).
ovviamente, per evitare di incorrere in determinati comportamenti di
rischio che possono portare al circuito vizioso di qualsiasi tipo di dipendenza da internet è necessario:
• regolare il tempo che si passa su internet, poiché la problematica
psicopatologica collegata alla distorsione del tempo è l’alterazione
spazio temporale prodotta nel soggetto che rimane collegato per
molte ore, talvolta per giorni, fino all’insorgere di veri e propri stati
deliranti;
• rinforzare le proprie strutture interne (in questo caso spesso riguardano l’autostima) e sostituire alle vecchie strategie che creano
la dipendenza, delle nuove più funzionali;
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• impegnarsi in attività alternative che possano fornire delle soluzioni sane alle sensazioni di noia e solitudine (attività sportive o
hobby di vario genere).
Si comprende quindi come sia necessario utilizzare questo potente
strumento, rimanendo padroni di tutte le proprie capacità razionali di
controllo del proprio comportamento. Internet può essere un ottimo
alleato, è vero, ma ricordate: nessuna dipendenza è nostra amica.
NOTE:
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Rif. Modello Cognitivo-Comportamentale dell’utilizzo patologico di Internet -PIU
di Davis R.A. (1999)
Vedi Cap. 3 Par. 2
Psichiatra Americano. Nel 1995 fu il primo a definire il costrutto di Internet Addiction.
Rif. Kymberly Young: (una delle prime autrici che si è interessata a questo fenomeno). È psicologa, direttrice del Center for on-Line Addiction ed editorial board
di CyberPsychology and Behavior, è docente di Psicologia presso l’Università di
Pittsburgh.
In Europa gli utenti di Internet costituiscono una media del 70%. In Cina l’80% dei
bambini già alle elementari naviga sul web per oltre 3 ore al giorno e il 7% mostra
sintomi di dipendenza. La Corea è il paese che vanta il tasso più alto del mondo per
l’uso di internet e vanta un triste vantaggio di qualche anno sull’impatto sociale che
le tecnologie hanno. (statistiche ISTAT).
Il 75,7% dei ragazzi tra I 12 e I 14 anni si collega ad internet tutti i giorni, il 37,2%
di questi rimane collegato per meno di 1 ora, il 47,2% da 1 a 3 ore, mentre il 17,2%
per più di tre ore.
A.Dorr: Tv and Children. A special medium for a aspecial audience. Sage, Usa,1986.
Si veda Morcellini Mario, Passaggio al futuro. formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media, franco Angeli, Milano 1997.
Secondo la quale ad un determinato stimolo doveva corrispondere necessariamente
una specifica risposta. Questa è la Teoria formulata da Albert Bandura, psicologo
canadese. La sua teoria risulta una delle più rilevanti per la sua estesa analisi dei fattori individuali e contestuali che determinano il funzionamento della personalità.
Vedi Cap. 3 par. 3-I comportamenti a rischioIstituzione di un numero verde europeo per indicare le fonti di informazione disponibili e i sistemi di filtraggio funzionanti con un sistema di simboli di riconoscimento
comuni o di messaggi di avvertimento riguardanti la fascia d’età.
Il termine “somatoforme, deriva dal greco “soma” (corpo, fisico) e dal latino “forma”
(aspetto, forma) e si riferisce a quei disturbi che presentano manifestazioni fisiche
come i disturbi organici, pur derivando in realtà da cause psichiche.
Davis-2001Cantelmi T., Talli M., 1998
K. YoUNG: psicologa statunitense, fu una delle prime a sostenere l’esistenza della
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IAD,direttrice del Center for on-Line Addiction ed editorial board di CyberPsychology and Behavior, è docente di Psicologia presso l’Università di Pittsburgh)
Alcuni internauti abusano delle possibilità offerte dall’anonimato in Rete, assumendo
innumerevoli identità fittizie, anche in rapporto all’età ed al sesso
Dickson-2002Rif. Lavanco e Croce, 2008.
Rif. Douglas, 2008.
Rif. Istituto Beck-terapia-Cognitivo comportamentale
Rif.Liau, Khoo e Ang, 2005
Rif. Moore 2000, Blaszczynski 1990
Rif. McCormick 2011
Rif. Petry 2005
Rif. a Lavanco e Croce-2008
AA.VV., 1998
Rif. Rosa Mininno,maggiore esperta in Italia delle problematiche inerenti i compratori compulsivi.
Ricercatore, famoso per le sue ricerche empiriche sugli effetti dei videogiochi violenti,proponendo 3 nuovi studi che vanno a colmare i vuoti più significativi nella
letteratura sul tema.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, noto anche con la sigla
DSM derivante dall’originario titolo dell’edizione statunitense Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzato da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo,
sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca.
BIBLIOGRAFIA:
G. Nardone, f. Cagnoni, Perversioni in rete, Ponte delle Grazie, 2002
federico Tonioni, Quando internet diventa una droga, Einaudi 2011
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Block, J.J., Issues for DSM-V: Internet Addiction. American Journal of Psychiatry
2008
Cantelmi, T., Del Miglio, C., Talli, M., D’Andrea, A. La mente in Internet. Psicopatologia delle condotte on-line, Padova, 2000
Caretti V. Psicodinamica della Trance Dissociativa da Videoterminale. In: Cantelmi T,
Del Miglio C, Talli M, D’Andrea A, eds. La Mente in Internet. Padova 2000
Pravettoni G., Beria A., Guberti S.Internet: bisogno, paure, opportunità. In Psicologia
contemporanea 2004
AA.VV., La realtà del virtuale, Laterza, Bari.1998
CARETTI Vincenzo, LA BARBERA Daniela, (ed.), Le nuove dipendenze: diagnosi e
clinica, Roma, Carocci Editore, 2009;
111
LUCCHINI Alfio, CICERoNE Paola Emilia, Oltre l’eccesso. Quando internet, shopping, sesso, sport, lavoro, gioco diventano dipendenza, Milano, franco Angeli, 2011.
K. S. Young,Presi nella Rete, Intossicazione e dipendenza, Calderini, Bologna 2000
G.Lavenia, “Internet e le sue dipendenze”, franco Angeli Editore, Milano 2012
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www.netaddiction.com/net_compilsions.html
www.psychoinside.it
www.psychomedia.it
www.psychiatryonline.it
www.istitutobeck.com
www.capsico.com
www.internetaddiction.com
www.virtual-addiction.com
www.nostos.it
www.psicologi.it
www.medicitalia.it
www.siipac.it
112
CAPIToLo 4
L’AZIONE SOLIDALE DI CONTRASTO
ALL’INTERNET-PATIA
di Cinzia Groppi
4.1. Il ruolo della famiglia
I nati dopo gli anni ’80 hanno incontrato il web fin dalla prima infanzia;
i loro genitori, al contrario, l’hanno conosciuto in età già adulta. Un’importante conseguenza di ciò è il sostanziarsi, in primis, di una “convivenza analogico-digitale” nell’ambito della famiglia, che si estende poi
al resto della collettività intesa come sfera socio-relazionale.
In altra parte del presente volume abbiamo evidenziato il diverso atteggiamento nei confronti della rete e delle relazioni sociali tenuto dai
cosiddetti “nativi digitali” - altrimenti chiamati “generazione 2.0” - rispetto a quello degli “immigrati digitali”1, riportando alcune considerazioni della Dr.ssa Young, fondatrice e direttrice del Center for onLine Addiction di Bradford, PA, Stati Uniti2 e uno dei massimi esperti
mondiali di questa patologia.
Appare pertanto evidente come la famiglia rivesta, riguardo l’utilizzo
della rete, un’importanza cruciale, specialmente perché si trova ad es113
sere il luogo primo dove la “convivenza analogico-digitale” si forma e
si sviluppa. Dallo sviluppo normale e non conflittuale di tale convivenza dipende la salute psicologica e comportamentale dei vari membri della famiglia.
Il ruolo giocato dalla famiglia, dalla relazione genitori-figli in particolare, è stato ed è tuttora oggetto di vari studi vòlti ad evidenziare sia
l’influenza fondamentale che essa ha nella salvaguardia e protezione
da situazioni anomale o dannose per i figli, sia la responsabilità di riconoscere precocemente, qualora si verifichino, comportamenti riferibili a vera e propria dipendenza. In pratica la famiglia sembra essere il
principale crocevia deputato alla prevenzione e al riconoscimento precoce (early detection) dell’Internet Addiction Disorder (IAD).
In un’interessante ricerca americana3, che analizza il peso relativo della funzione educativa svolta dalla famiglia da un lato e dalla scuola
dall’altro nella prevenzione di comportamenti di abuso4, emerge che il
“capitale sociale familiare”5 riveste un’importanza predominante rispetto al “capitale sociale scolastico”6 nel plasmare le decisioni dei figli adolescenti. Infatti i ragazzi con alto livello di capitale sociale familiare e basso livello di capitale sociale scolastico presentavano una
minore incidenza di uso di alcol o marijuana, rispetto a quelli con livello basso di capitale sociale familiare.
Un recente studio7, inoltre, mostra che tra i soggetti che avevano sviluppato una IAD erano significativamente più presenti problemi di
malfunzionamento familiare rispetto a chi utilizzava internet in maniera non patologica. Entrambi i lavori citati suggeriscono di tenere in
considerazione la famiglia in fase di progettazione di interventi di prevenzione dei disordini comportamentali cyber-correlati.
Infine, la rivista Computers in Human Behavior ha pubblicato nel
2014 una review della letteratura concernente quegli studi sulla popolazione cinese che hanno tenuto in considerazione i correlati familiari
della IAD8; nei 42 lavori reperiti emerge costantemente la maggiore
presenza di insoddisfazione delle relazioni familiari fra i ragazzi con
IAD, le cui famiglie sono descritte come poco organizzate, né coese e
adattabili, i genitori sono percepiti come più punitivi, meno solidali,
calorosi, coinvolti; nei 42 lavori esaminati, inoltre, i soggetti affetti da
IAD sono risultati più spesso figli unici o con genitori divorziati. Tuttavia, si rileva nella review, la famiglia è raramente al centro di interventi di prevenzione e trattamento. La rassegna, di matrice cino-statu114
nitense, nel sottolineare la larghissima diffusione dell’uso di Internet
in Cina (nel 2011 risultano essersi connessi 513 milioni di cinesi, per
una media di 19 ore la settimana - 30 minuti in più del 2010 - con i più
alti livelli di utilizzo da parte degli adolescenti), paventa uno sviluppo
endemico di IAD, presso strati sempre più vasti di popolazione.
Profiling familiare e fattori predittivi della dipendenza da internet
Anche sui “profili familiari” che prevalentemente pongono i giovani a
maggior rischio di sviluppare una IAD esiste un recente settore di ricerca che tenta di rintracciare i cosiddetti fattori predittivi, utilizzando
una moltitudine di test o questionari specifici9.
Il fattore più spesso citato è lo stile o tipo di attaccamento10 che il figlio ha sviluppato nei confronti delle figure genitoriali di riferimento.
In uno studio condotto dalla Artvin Çoruh University11 si rileva un uso
problematico di internet in quei ragazzi con tipo di attaccamento ansioso o evitante, diversamente da coloro che ai test mostrano un tipo di
attaccamento sicuro, hanno una positiva autopercezione e nessun problema a stabilire relazioni con i coetanei. Similmente in un lavoro serbo (la Serbia registra una percentuale di utilizzo di internet superiore
alla media europea)12 un basso livello di autostima, scarsa autoefficacia e introversione sono risultate le caratteristiche dei soggetti con uso
patologico dei social network.
Da Taiwan13 pervengono medesime rilevazioni – difficile clima familiare e scarsa autoefficacia – ma riferite alle situazioni di dipendenza
da smartphone14. Anche un’errata strategia di coping15 sembra correlare con la probabilità di sviluppare una IAD16, ma in questo caso gli
studiosi sono più propensi a considerare la IAD un sintomo di una patologia psichiatrica o disordine psico-sociale sottostante.
Stato dell’arte dei programmi internazionali di prevenzione della
IAD
Kimberly Young ha pubblicato, al termine del first International Congress on Internet Addiction Disorders (Milano, marzo 2014), alcune
interessanti riflessioni conclusive17; i punti salienti, in tema di prevenzione della IAD, sono:
– il mondo si è globalizzato anche per quanto concerne la questione
dell’abuso di internet, che è presente in qualsiasi paese in via di sviluppo
– il problema dell’abuso di internet, più che a scuola, si presenta a casa
115
– i vari paesi in cui il fenomeno IAD si è manifestato hanno programmi di contrasto adattati alle proprie caratteristiche politiche e socioculturali:
– in Corea il governo ha definito un Master Plan I, concepito da più
ministeri, per prevenire e curare la IAD; si forniscono test per valutarne il rischio e il personale specializzato è largamente presente in
tutto il paese per affrontare le situazioni più a rischio; da poco è stato
inoltre proposto un Master Plan II per le dipendenze da cellulare
– in Giappone e Germania i governi hanno approntato dei “campi di
digiuno da internet” per bambini ritenuti a rischio
– in Cina esistono campi di rieducazione in stile militare
– in Italia, a Roma e Milano, si sperimentano programmi alternativi
per gli adolescenti, come la teatro-terapia, che sfrutta le emozioni e
con la quale si fanno agire, in vivo, gli avatar dei giocatori online,
mediante la creazione di un gruppo di pari
– la francia più che sulla dipendenza da internet focalizza l’attenzione
su programmi per tutte le famiglie per l’apprendimento precoce delle tecnologie informatiche e del loro corretto uso; ci si concentra
cioè su cosa i genitori devono fare a casa quando introducono tali
tecnologie ai propri bambini
– negli Stati Uniti non ci sono politiche per la prevenzione precoce
nell’infanzia e c’è un ritardo circa i programmi di prevenzione rivolti alle famiglie
osserviamo che tutti i paesi riconoscono l’utilità del web, la grande capacità di adattamento che hanno i bambini e gli adolescenti ed i vantaggi per le loro carriere e le future prestazioni lavorative. Ma quand’è che
un giovane deve essere considerato troppo giovane per essere introdotto ad internet? È necessario che internet costruisca precisi segnali di avvertimento per i genitori? E cosa esattamente i genitori devono sapere
per prevenire, a casa, l’insorgere di una IAD nel proprio figlio?
Circa la prevenzione, le tematiche emergenti sono di ordine culturale,
sociale e familiare.
Sul piano culturale si consideri che i disturbi da IAD si manifestano in
modo diverso a seconda delle origini (anche etniche) e della matrice
socio-culturale in cui si sviluppano; occorre pertanto prevedere un
adattamento dei programmi all’assetto culturale dell’area in cui si attuano.
116
Sul piano sociale si assiste all’affidamento sempre più precoce ai bambini di dispositivi mobili altamente tecnologici: ciò necessita di un’attenta riflessione se mantenere o meno i figli più a lungo connessi col
mondo relazionale reale, prima di introdurli al mondo del web.
A proposito della famiglia è necessario fornire ai genitori strumenti e
conoscenze utili per comprendere le nuove tecnologie e conseguentemente il tipo di approccio ad esse da parte degli adolescenti; questo
può aiutare gli adulti nella gestione domestica condivisa del web.
Serge Tisseron18 condensa nei suoi studi i tre punti di vista culturale,
sociale e familiare e sostiene che la prevenzione deve primariamente
realizzarsi in famiglia e molto più precocemente possibile. Si ricorda
che nel 2007 ha sostenuto una campagna contro la televisione per i
bambini di età inferiore ai tre anni, contribuendo alla decisione, da
parte del Ministero della Sanità francese, di rendere obbligatoria la segnalazione su tutti i canali televisivi della pericolosità della televisione sui bambini piccoli, compresi tanti programmi considerati superficialmente adatti ai bambini di questa fascia d’età. Altresì ha promosso
un atteggiamento parentale, durante la fase adolescenziale dello sviluppo psichico, che tenga conto dell’importanza delle relazioni che il
figlio stabilisce con le diverse forme di immagine, del modo in cui le
nuove tecnologie cambiano (non necessariamente peggiorano) le sue
relazioni con gli altri e come lui considera il tempo nel virtuale confronto al tempo nel reale.
Nel suo recente articolo Détox numérique: halte à l’intox!19assume
una posizione critica rispetto alle pratiche correnti di “disintossicazione digitale”, che ritiene inutili sia perché ritiene che i trattamenti per la
internetpatia debbano essere collettivi e non individuali, sia in quanto,
dopo la fase di detox l’individuo rientra inevitabilmente in una società
permeata da internet e dalla tecnologia. Quello che a suo parere è molto più importante ed efficace è il supporto educativo familiare all’interno della casa20.
Uso corretto e coerente del web vs uso pervasivo e compromissione sociale. Implicazioni per i programmi informativi, di prevenzione ed early detection destinati alla famiglia
La domanda da porsi è: a quale punto l’utilizzo del web diviene patologico? Qual è il crinale con cui si può fare la distinzione tra uso rego117
lare ed uso malato? Qualcuno ha tentato una definizione quantitativa:
il tempo settimanale trascorso navigando in rete. Ma questo parametro
non tiene conto della qualità e del tipo di rapporto utente-web; esistono casi in cui occorre navigare per ore alla ricerca di informazioni e
ciò non necessariamente implica l’avvio di una internet-dipendenza.
Kneer e colleghi hanno valutato invece il “tempo-persona” trascorso
in rete21: i casi analizzati, tutti gamers online, presentavano un’età media di 22 anni ed il tempo globalmente trascorso a giocare in rete assommava a oltre 10 anni; ciò corrispondeva a circa il 50% dell’intero
arco vitale (dalla nascita!) dei soggetti esaminati. Il dato è impressionante, ma non fornisce risposte alla nostra domanda iniziale.
Altri hanno messo a fuoco le variazioni di comportamento che presentano i soggetti che abusano del web. Tali variazioni, si nota, possono
presentarsi sia in soggetti che stanno molto tempo connessi, sia in soggetti che usano internet per tempi ridotti.
Sono state fatte distinzioni anche su quali attività prevalenti l’adolescente svolge in rete, evidenziando come quelle che sembrano più un
riempitivo del tempo o un’opportunità di mostrare un falso sé idealizzato (avatar) correlano maggiormente con il rischio di dipendenza.
Infine alcuni studiosi chiedono di indagare sulla cosiddetta “personalità pre-morbosa”, su quale fosse, cioè, il profilo personologico del ragazzo nell’epoca precedente l’uso improprio di internet.
Non c’è ancora oggi univocità di interpretazione del fenomeno IAD e
delle cause del suo insorgere, se ambientali (gruppo dei pari, il branco), intrapsichiche individuali (introversione, inadeguatezza, ecc.),
culturali (è di moda, fa tendenza, non si può “rimanere indietro”) o familiari (comunicazione difficile o assente, interesse/disinteresse reciproco, ecc.).
Al contrario sembra esserci un unanime consenso sulla preminenza
della funzione educativa del genitore; ciò comporta il dovere di porre
l’accento su una “idonea preparazione” dello stesso ad ingaggiare col
figlio una comunicazione alla pari, in cui ciascuno esponga serenamente le proprie ragioni, i propri credo, le proprie verità. Si immagina
una formazione speciale del genitore, assumendo che prima di auto118
considerarsi un educatore “corretto”, ha appreso i meccanismi della
rete, ne ha visti vantaggi e svantaggi, risorse e pericoli.
Se neppure queste considerazioni rispondono alla domanda che ci eravamo posti all’inizio, allora significa che il nostro contributo sarà stato
efficace: forse non è importante, infatti, sapere in quale preciso minuto
il figlio può diventare schiavo della rete, né quale preciso sito sia particolarmente pericoloso… È fondamentale invece l’aver compreso
l’importanza della reciprocità del rapporto con lui, il calore che questa
comporta, l’umanità viva che anche quel “piccolo uomo” propone e la
richiesta di presenza adulta non asfissiante che silenziosamente pretende, prima di immergersi in modo sano e non nevrotico nel mondo
virtuale.
NOTE:
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Vedi in Capitolo 4, Dipendenza da Internet e SSN
http://netaddiction.com
M.J. Dufur, T.L. Parcel, B.A. McKune. Does Capital at Home Matter More than
Capital at School? The Case of Adolescent Alcohol and Marijuana Use, Journal of
Drug Issues. November 8, 2012
non è questa la sede per argomentare il peso dell’istituto scolastico negli interventi
preventivi, non essendo questo il tema del presente contributo e per il quale si rimanda ad approfondimenti specifici di settore
Il “capitale sociale familiare” è definito come l’insieme di relazioni che legano i genitori con i figli in termini di fiducia, comunicazione, impegno attivo dei primi nella
vita dei secondi e viceversa
Il concetto di “capitale sociale scolastico” è riferibile all’insieme di relazioni che si
instaurano tra la scuola e gli studenti in termini di capacità della scuola di creare un
ambiente positivo per l’apprendimento, di coinvolgimento degli studenti, di etica
degli insegnanti e della loro capacità di ascoltare e soddisfare le esigenze dei singoli
alunni
Senormanc Ö., Senormanc G., Güçlü o. et al., Attachment and family functioning
in patients with Internet addiction, General Hospital Psychiatry 36, 2014
W.Li, E.L. Garland, M.o. Howard, Family factors in Internet addiction among Chinese youth: A review of English- and Chinese-language studies, Computers in
Human Behavior 31, 2014
Prevalgono, tra i questionari utilizzati, tradotti in varie lingue e validati in diversi
paesi, il f.A.D. (family Assessment Device), l’ECR-r (Experiences in Close Relationship Questionnaire-r), la Subjective Well-Being Scale
Gli odierni studi sull’attaccamento prendono le mosse dai lavori di Bowlby e Ainsworth risalenti agli anni ‘70; oggi si considera l’attaccamento un sistema dinamico
di atteggiamenti, comportamenti ed eventi che contribuiscono alla formazione di
tipi diversi di legame tra due o più persone tra loro connesse in modo significativo
119
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
(peculiarmente la famiglia). Per approfondimenti vedi J.Bowlby, Attaccamento e
perdita 2, Bollati Boringhieri, Torino, 2000 e M.D.Ainsworth, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Raffaello Cortina, Milano, 2006
H. odacı, o.Çıkrıkçı, Problematic internet use in terms of gender, attachment styles
and subjective well-being in university students, Computers in Human Behavior 32,
2014
J.S. Miloševic-Dordević, Psychological predictors of addictive social networking
sites use: The case of Serbia, Computers in Human Behavior 32, 2014
S.I. Chiu. The relationship between life stress and smartphone addiction on taiwanese university student: A mediation model of learning self-Efficacy and social selfEfficacy, Computers in Human Behavior, 2014
La dipendenza da cellulare è menzionata nel capitolo 4, Dipendenza da Internet e
SSN. Si consideri, per completezza di informazione, che in Cina sono in uso social
network solo cinesi e l’uso dei social network più conosciuti nel mondo occidentale,
come facebook, Twitter, è vietato (http://money.wired.it/tecnologia/2012/03/14/cinasocial-network-19413.html). Tali social cinesi, come Weibo - l’equivalente cinese di
Twitter - sono soggetti ad azioni di controllo da parte delle autorità governative; una
recente normativa prevede inoltre che ogni utente che si registra ad un social deve
fornire le proprie vere generalità ed è quindi vietato l’uso di nickname (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/16/liberta-digitali-continua-repressione-cina-lultimo-nemico-delle-autorita-pechino/178035/)
Con coping si intende l’insieme di strategie consapevoli, mentali e comportamentali,
che un individuo mette in atto per fronteggiare una certa situazione stressante o conflittuale; in generale una strategia di coping positivo è adattativa o costruttiva e conduce a minimizzare o tollerare o risolvere la situazione di stress o conflittuale,
diversamente da una strategia di coping negativo, che è maladattativa e conduce ad
aumento dello stress
Vedi T. Jie, Y. Yizhen, D. Yukai, M. Ying, z. Dongying, W. Jiaji, Prevalence of internet addiction and its association with stressful life events and psychological symptoms
among adolescent internet users, Addictive Behaviors 39, 2014; e anche D.Kardefelt-Winther, Problematizing excessive online gaming and its psychological predictors, Computers in Human Behavior, 2014 (Department of Media & Communications
della London School of Economics and Political Science)
K. Young, Reflections on the first International Congress on Internet Addiction Disorders - Cultural and Clinical Perspectives (http://netaddictionrecovery.blogspot.it/)
Psichiatra, psicanalista e psicologo, docente alla Université de Paris V - Sorbona
S. Tisseron, Détox numérique: halte à l’intox!, pubblicato online da Huffingtonpost
il 21-7-2104, http://www.huffingtonpost.fr/serge-tisseron/detox-numerique-halteintox_b_5616246.html?utm_hp_ref=tw
“Changer nos habitudes quotidiennes, ensemble: Si les technologies numériques
ne produisent pas d’addictions, elles peuvent produire en revanche de très mauvaises
habitudes, autant individuelles que sociales. Et encore plus si celles-ci sont partagées
par les proches, les amis ou les collègues de travail. C’est pourquoi la solution à ces
pratiques excessives n’est pas individuelle, mais collective. Et le premier groupe
concerné est évidemment la famille. Cela commence par le fait de prendre le repas
du soir sans télévision ni téléphone mobile, par la décision de couper le Wifi familial
le soir à partir d’une certaine heure, et par un contrat passé entre les membres de la
famille pour déposer son téléphone mobile sur la table du petit déjeuner à côté de
son assiette au moment du coucher. Autour des technologies numériques, personne
ne tient seul la solution de ses excès. Il n’y a de solutions que liées aux communautés
dans lesquelles chacun s’inscrit, dont la plus importante est pour beaucoup d’entre
nous la famille.”, in S. Tisseron, Détox numérique: halte à l’intox!, pubblicato online
da Huffingtonpost il 21-7-2104, http://www.huffingtonpost.fr/serge-tisseron/detox-
120
21
numerique-halte-intox_b_5616246.html?utm_hp_ref=tw
J. Kneer,S. Glock, Escaping in digital games: The relationship between playing motives and addictive tendencies in males, Computers in Human Behavior, Volume 29,
issue 4, 2013
121
La scuola e la media education
di Domenico Infante
4.2. Alcune considerazioni
Gli italiani sono sempre più vicini a internet e ai social network; le famiglie con accesso a Internet dalla propria abitazione sono passate dal
55,5% dello scorso anno al 60,7 per cento del 2013. In aumento il numero di chi possiede un PC: nel 2012 lo si trovava nel 59,3 per cento
delle famiglie mentre ora siamo arrivati al 62,8. Al web sono collegati
in totale 15 milioni e 138 mila nuclei familiari, di cui ben 14 milioni e
893 mila possiedono una connessione a banda larga. Questi sono i dati
essenziali che emergono dal Rapporto ISTAT 2013 su cittadini e nuove tecnologie. Resta alto l’uso dei social network: gli utenti di facebook e Twitter sono aumentati di cinque punti percentuali rispetto allo
scorso anno. Nella sua rilevazione l’ISTAT analizza anche i nativi digitali, che vivono una socialità sempre più forte e dinamica: l’81,7%
degli utenti, a partire da quelli che hanno solo sei anni, si sono collegati a internet per spedire o ricevere mail. Tuttavia i dati non sono omogenei sia sul territorio nazionale che nelle fasce della popolazione. Le
differenze più marcate restano quelle di genere e di generazione, perché se il 59,7% degli uomini italiani possiede e utilizza un PC, lo stesso dato al femminile scende di dieci punti percentuali (49,3%). Anche
l’età vuole la sua parte: le famiglie più tecnologiche sono quelle con
almeno un minore, mentre solo il 12,7% dei nuclei over 65 dispone di
una connessione Internet. Queste poche considerazioni sono essenziali e chiarificatrici per far capire qual è la situazione dell’uso di internet
in Italia dalla quale scaturiscono dati allarmanti di internet-patia soprattutto nella fascia giovanile della popolazione.
Immaginare un mondo in cui l’accesso al web sarà una pratica di tutti e
di tutti i giorni, così come usare oggi l’energia elettrica, vedere la funzionalità internet integrata negli oggetti, connessi nell’internet delle
Cose, consentendo alle persone di immagazzinare e condividere informazioni con il mondo circostante in tempo reale, grazie ai dati presenti
nei cloud, non è difficile e non lontano dalla possibile realtà. Questo
scenario scaturisce dal report di Pew Research “15 Theses about the
Digital future” che restituisce l’immagine di come sarà la nostra vita
digitale fra 25 anni, in base all’opinione di diversi esperti del web. (1)
122
“Peraltro, in maniera molto schematica, possiamo considerare tre grandi tipologie di interventi di Media Education: quello che privilegia
l’aspetto della comprensione dei messaggi mediali e del sistema delle
comunicazioni di massa (orientamento rivolto alla formazione di conoscenze), quello eminentemente finalizzato al potenziamento della fruizione corretta e consapevole degli strumenti del comunicare (orientamento rivolto alla formazione delle abitudini) e quello che si preoccupa
soprattutto di insegnare le modalità di produzione di messaggi originali
nei diversi linguaggi possibili (orientamento rivolto all’affinamento
delle capacità espressive e alla formazione di abilità)”. (2)
Detto questo, quali problemi si pongono oggi nell’educazione delle
classi giovanili, affinché si predispongano delle generazioni per il futuro che possano affrontare il web come la grande opportunità del XX
secolo e non come un’ulteriore patologia che si va ad aggiungere alle
tante altre che questa nostra società postmoderna ci consegna irrimediabilmente? Può la scuola giocare un ruolo importante in questo senso? Può la scuola affiancare efficacemente la famiglia, debole e sempre più fragile a cui rimane sempre la responsabilità ultima dell’educazione dei figli, nel sostenere e aiutare le nuove generazioni ad affrontare il web del futuro con atteggiamento consistente? È quello che cercheremo di capire in queste poche riflessioni.
I cambiamenti tecnologici nell’epoca attuale
“L’esistenza di ciascuno è il risultato dell’incontro del proprio Io con
le condizioni in cui vive, legata alle cose e alle persone con cui si stabiliscono legami o anche soltanto rapporti fugaci”. Questa affermazione di Vittorino Andreoli, permette di individuare profili di uomini
nuovi in ambienti nuovi. Nuove maniere di vivere rispetto al passato,
poiché è cambiato l’ambiente in cui l’uomo si è posto. Nuove, anche
se non vi sono stati segni di modificazioni genetiche. Il primo studio
controllato sulla modificazione del comportamento umano, a seguito
di una radicale trasformazione dell’ambiente, è stato condotto da Margaret Mead. L’antropologa americana aveva portato con sé a New
York alcuni individui che avevano vissuto fin dalla nascita in Nuova
Guinea, in uno schema di esistenza identico a quello di trentamila anni
fa. Ebbene quelle persone, che senza questo “esperimento “ sarebbero
rimaste legate ad un’esistenza lontana nell’archeologia del tempo,
hanno assunto nuovi comportamenti e cambiato costumi operando in
pochi mesi un salto di storia e di età impensabile. (3)
123
Insomma, l’ambiente è fatto di luoghi e di persone, ma anche dei nostri sentimenti che finiscono per costituire un unicum originale e mutevole. Queste trasformazioni, secondo Vittorino Andreoli, possono
essere di due tipi: lente oppure acute. Nel primo caso si chiamano anche ordinarie, nel secondo, invece, rivoluzionarie. Uno degli elementi
sociali innovativi che hanno modificato il regime e lo stile di vita delle
persone è internet, in particolar modo dei nativi digitali che stanno vivendo un’epoca di trasformazioni rivoluzionarie. (4) Sta di fatto che,
nelle epoche trascorse, nonostante tutti gli sconvolgimenti intervenuti
nella vita vissuta dagli uomini come l’avvento della scrittura (con lo
scetticismo di pensatori come Platone), della stampa a caratteri mobili
(con la paura dei custodi della cultura), del treno (con i timori degli
scrittori “apocalittici”), della televisione (con la preoccupazione di
moltissimi sociologi), siamo riusciti a conviverci senza troppi problemi. ora siamo all’era di internet e, anche se con qualche difficoltà, certamente impareremo a conviverci certi che l’umanità ha saputo sempre affrontare e risolvere i problemi.
Piuttosto, si pone oggi un problema di educazione e qui dipende dalle
scelte che gli adulti vorranno compiere nel difficile compito di educare le nuove generazioni trasmettendo valori e competenze sempre salvaguardano il rapporto tra libertà e limiti con l’obiettivo sempre chiaro
di puntare sulla loro crescita nell’autonomia. Tuttavia Jonah Lynch aggiunge: “Il lavoro dell’educatore, del padre e della madre consiste in
questo: deve saper vivere un ideale convincente per sé e poi proporre
questo ideale ai propri figli o studenti. Certo, alla fine saranno loro a
decidere - ma se non ricevono una proposta accattivante e realizzabile
- si smarriranno più facilmente”. (5)
Pertanto, l’unica via percorribile è quella della libertà, orientata da un
grande ideale. E ancora Lynch dice:” L’ideale deve essere bello:deve
avere una forza attrattiva, deve essere più conveniente delle alternative. E deve essere possibile, perché altrimenti si tratterà solo di un’illusione, poco diversa da qualunque droga, e se non lascia presto il posto
a qualche altro ideale più gretto, finirà per inghiottire la parte migliore
della nostra umanità”. A tal proposito, Neil Postman davanti a qualsiasi dispositivo tecnologico, su un video di Youtube, suggerisce di porsi
tre domande: 1. Che cosa promette questa cosa, quali problemi mi risolverà? 2. Mi interessa la sua promessa? Ho davvero questi problemi? 3. Quali altri problemi mi creerà? (6)
124
Effetti di internet sulle persone
“Non penso più nel modo in cui pensavo prima. Me ne accorgo soprattutto quando leggo. Di solito mi risultava facile immergermi in un libro o in
un lungo articolo. La mia mente si lasciava catturare dal racconto o dalla
complessità di un ragionamento e trascorrevo ore nei meandri di un testo
anche molto lungo. oggi non ci riesco quasi più. La mia concentrazione
comincia a scemare dopo una o due pagine. Divento irrequieto, perdo il
filo, comincio a cercare qualcos’altro da fare… L’immersione profonda
che prima mi risultava naturale oggi è diventata una lotta”. (7)
Queste affermazioni di Nicholas Carr mettono in crisi la validità di alcune tesi di scienziati i quali sostengono che gli strumenti sono neutrali in quanto dipende da come vengono usati: se sono usati in maniera
morale e con perizia sono buoni diversamente sono cattivi e ciò vale
per internet. “Il problema è che a questo punto si tende a operare un
passaggio ingiustificato. Cioè, si tende a pensare che, trattandosi di un
mezzo neutrale, sarà soltanto l’utente a usare la tecnologia. Ma questo
non è vero: è anche la tecnologia a usare l’utente. ogni strumento ha
un impatto su chi lo usa. Sapendo ciò che sappiamo ora della neuroplasticità, questa affermazione non ha più il senso vago di un’opinione
filosofica: si tratta della crescita o della recisione, del potenziamento o
dell’indebolimento, di dendriti tra neuroni, e della riprogrammazione
di gruppi di neuroni per nuovi lavori”. (8)
In pratica ogni tecnologia porta con sé un mutamento del rapporto con
il mondo, una facilitazione di certi aspetti di quel rapporto e una complicazione di altri. Ciò è precisamente non neutrale, dal momento che
tutto dipende da quali aspetti della vita sono facilitati e quali ostacolati
e in che misura ne siamo condizionati. A questo punto Lynch individua due strumenti tecnologici che circondano la nostra vita: il cellulare e la televisione. Il cellulare elimina gli spazi perché con esso puoi
essere rintracciato sempre; da quando ci sono i cellulari gli appuntamenti si possono prendere in maniera facile e flessibile. ora si può lavorare ovunque e non c’è più distinzione tra abitazione e ufficio.
ovunque ti puoi trovare con il cellulare e quindi connesso con il mondo e, quindi, in qualche maniera ad esserci sempre per gli altri che ti
chiamano e ti coinvolgono nelle cose più disparate. Il cellulare, dunque, ci usa facendoci fare ciò che vuole lui anche se è sempre una nostra scelta. Poi c’è la televisione che ha “un rapporto complicato con la
verità” – sostiene Lynch – “ha una sembianza di oggettività, ma si sa
125
che è facilmente manipolabile. Basta cambiare il punto di vista, i colori, la luce, e di colpo tutto cambia. La cura della luce e del trucco, costanti del lavoro televisivo, rendono il mondo dentro lo schermo un
mondo iperrealistico, più reale del mondo reale”. (9) Ed ormai più del
50% dei giovani seguono la televisione, attraverso le varie modalità
tecniche di fruizione, tramite internet. Tutto si complica, le varie forme di nuovi media si compenetrano ulteriormente grazie al loro comune DNA della tecnica digitale, tutto diventa più complesso, per l’uso
da parte dei giovani, ma ancor più agli adulti, immigrati digitali, che
devono provvedere alla loro formazione e educazione.
Conseguenze della mancanza di media education
La mancanza di una sistematica pratica di educazione ai media, sia attraverso i curricoli scolastici che attraverso una rete diffusa e competente del mondo culturale e associativo, fa sì che questo tipo di formazione si realizza solo in poche parti d’Italia, in particolare al Nord, ad
opera di alcune università e attraverso alcune associazioni del settore
tra le quali il Med ed anche l’Aiart. Certamente una siffatta situazione
fa sì che la maggior parte dei giovani in Italia acquisisca in proprio la
capacità dell’uso dei nuovi media senza, ovviamente, avere quel necessario bagaglio culturale che li metta in condizione di utilizzarli con
discernimento correndo i minori rischi possibili.
Al di là dei possibili danni che un uso intenso del telefonino può procurare al cervello, essendo questo strumento di fatto un piccolo forno
a microonde attaccato all’orecchio, oppure della capacità sommamente diseducativa che avrebbe, secondo alcuni, la televisione, od ancora
della presunta migliore coordinazione che si avrebbe tra occhio e mano con l’uso dei videogiochi, salvo poi mettere in conto un forte calo
di attenzione, sta di fatto che una pratica intensa di detti strumenti potrebbe portare serie conseguenze a livello neuronale per cui, alla distanza, si potrebbe perdere alcune importanti attitudini a favore di altre. facciamo l’esempio del multitasking; fare molte cose contemporaneamente (telefono, PC, televisione, saltare da un link ad un altro)
comporta l’acquisizione di una maggiore attenzione, ma questo tipo di
attenzione è diversa da quella della lettura profonda di un libro e tende, invece, a ridurre la capacità di concentrazione.
Può essere molto illuminante leggere alcune riflessioni di Nicholas
Carr tratte dal suo libro Internet ci rende stupidi?: “Non penso più nel
126
modo in cui pensavo prima. Me ne accorgo soprattutto quando leggo.
Di solito mi risultava facile immergermi in un libro o in un lungo articolo. La mia mente si lasciava catturare dal racconto o dalla complessità di un ragionamento e trascorrevo ore nei meandri di un testo anche
molto lungo. oggi non ci riesco quasi più. La mia concentrazione comincia a scemare dopo una o due pagine. Divento inquieto, perdo il filo, comincio a cercare qualcos’altro da fare (…). L’immersione profonda che prima mi risultava naturale oggi è diventata una lotta”. (10)
Tale fenomeno, presso i giovani, che usano per lunghe ore del giorno
internet tramite cellulare, tablet o Pc, trova un’accentuazione pericolosa, tenuto conto che questa sorta di allergia alla lettura lunga, alla concentrazione o alla riflessione riguarda tutti i giovani unitamente alla
capacità di seguire con l’occhio movimenti rapidi. Carr nel 2008 ha
compiuto uno studio in cui una telecamera ha seguito i movimenti dell’occhio di 6000 studenti nativi digitali scoprendo che la maggioranza
di essi non legge in maniera lineare. I ricercatori hanno concluso che
l’immersione digitale ha alterato anche il modo in cui viene assimilata
l’informazione. I giovani non leggono una pagina dopo l’altra ma saltellando di qua e di là. Ciò favorisce la frammentazione e la superficialità. Siamo, quindi, nell’era di facebook. Tra giovani si usa dire “stasera ci vediamo su facebook” e si chatta poi dalla propria cameretta più
volentieri che se si uscisse.
Cosa significa vivere rapporti umani attraverso uno schermo piuttosto
che di persona? Che cosa è facebook? È un mondo parallelo in cui rifugiarsi, essere qualcun altro senza dover investire emotivamente. facebook è uno dei tanti social che oggi fungono da “piazze” per incontrarsi, costruire vetrine dove esporre se stessi e la propria vita, e tenersi
in contatto. I social network rispondono a un desiderio profondo: il desiderio di comunione. Ma che tipo di comunione si instaura attraverso
i social? La comunione con i cosiddetti “amici” e si fa a gara per averne quanti più possibile: 150, 300, 500, 1000 e chi più ne ha più ne vanta e più ne vorrebbe avere. Tra gli amici ci sono ex coniugi e fidanzati,
amici e colleghi, c’è di tutto e con molta scioltezza, nella solitudine
della camera, si confessano sentimenti, emozioni, falsità e cose peggiori. Ci viene in aiuto ancora una volta Jonah Lynch: “L’inferno, per
quanto ne so io, deve essere una cosa simile. Una solitudine tremenda,
fatta di maschere con niente dietro, senza mai l’esultanza della vera
comunione, quella di cui Tarkovskij parla quando uno dei suoi perso127
naggi dice: «Sei stanco, e non ce la fai più. E d’un tratto incontri nella
folla lo sguardo di qualcuno – uno sguardo umano –, e tutto diventa
improvvisamente più semplice». I social network costituiscono quelle
occasioni di costruire amicizie, di girare il mondo stando dietro un
computer, tutto il giorno, senza uscire più di casa. (11) Sconcertante è
la frase di una ragazza che confessa: «Se non so che cosa è la vita senza tecnologia, come faccio a dire spengo e vivo la realtà per quello che
è? ». Jonah Lynch si interroga: “Il fatto che una ragazza normalissima,
con amici e interessi, si trovasse a dire che i suoi rapporti sono «velati» da facebook, e che non esce quasi più di casa, mi ha profondamente ferito. Soprattutto, però, mi ha ferito la domanda tra le righe: se nessuno educatore mi prende per mano e mi porta a conoscere il mondo
che esiste al di là del computer, come faccio a compiere quel passo?
Chi mi darà il coraggio di affrontare i rischi della vita, quando posso
comodamente nascondermi dietro uno schermo?”. Queste parole terribili sono l’anticamera, spessissimo, di situazioni di dipendenza da internet che può coinvolgere una giovane ragazza ma, indifferentemente
ragazzi, adulti ed addirittura bambini preadolescenti.
La media education nella scuola oggi
Nel nostro Paese manca una politica ufficiale e sistematica in materia
di media education. A partire dalla metà degli anni ’90 il Ministero
dell’Istruzione ha posto l’acquisizione di competenze riguardo alle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione tra gli obiettivi
primari dell’istruzione; tuttavia l’approccio adottato è puramente tecnologico: non si parla dello sviluppo delle capacità critiche degli utenti e manca qualsiasi collegamento concreto con i nuovi media.
Pertanto, le disposizioni previste nei curricoli esistenti risultano insufficienti per affrontare le problematiche che si pongono allo sviluppo
cognitivo e la crescita della personalità delle giovani generazioni e ciò
al fine di far fronte ai rischi di dipendenza che gli stessi giovani corrono conseguentemente al cattivo e irresponsabile uso dei social network e dei nuovi media in generale.
La scuola, fin dai primi anni, dovrebbe promuovere un percorso di attività nel quale ogni alunno, assumendo un ruolo attivo nel proprio apprendimento, dovrebbe sviluppare al meglio le sue inclinazioni, esprimere le curiosità, assumere sempre maggiore consapevolezza di sé,
avviarsi a costruire un proprio progetto di vita. In questo percorso do128
vrebbe avere un posto non secondario l’educazione ai media che allo
stato attuale compare in alcuni casi e solo in un orizzonte prospettico.
Infatti, nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, (12) varato nel settembre del
2012, al termine della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado vengono fissati i traguardi per lo
sviluppo delle competenze relativi ai campi di esperienza ed alle discipline. Gli obiettivi di apprendimento individuano poi i campi del sapere, le conoscenze e le abilità ritenuti indispensabili al fine di raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze. Gli obiettivi di apprendimento vengono utilizzati dalle Scuole e dai docenti nella loro
attività di progettazione didattica. “Il compito specifico del primo ciclo di istruzione è quello di promuovere l’alfabetizzazione di base attraverso l’acquisizione dei linguaggi e dei codici che costituiscono la
struttura della nostra cultura, in un orizzonte allargato anche all’uso
consapevole dei nuovi media. È molto evidente, leggendo bene le pagine interessate, l’assoluta insufficienza delle previsioni sull’educazione alla media education”. Infatti, è previsto l’uso consapevole dei
nuovi media ma non si capisce dove i bambini devono imparare questa
tipologia di uso.
“La diffusione delle tecnologie di informazione e di comunicazione è
una grande opportunità e rappresenta la frontiera decisiva per la scuola. Si tratta di una rivoluzione epocale, non riconducibile a un semplice aumento dei mezzi implicati nell’apprendimento”. “Dunque il “fare
scuola” oggi significa mettere in relazione la complessità di modi radicalmente nuovi di apprendimento con un’opera quotidiana di guida,
attenta al metodo, ai nuovi media e alla ricerca multidimensionale”.
Leggendo queste parole contenute nelle “Indicazioni nazionali”, ci si
rende conto che i riferimenti ai nuovi media costituiscono semplicemente un auspicio affinchè i docenti, per insegnare ai ragazzi nuovi
modi di apprendimento, utilizzando anche i nuovi media, imparino da
qualche parte ad usare le nuove tecnologie in maniera da poter dare
poi, con adeguatezza e competenza, ai loro piccoli discenti.
“Nel processo di apprendimento l’alunno porta una grande ricchezza di
esperienze e conoscenze acquisite fuori dalla scuola e attraverso i diversi media oggi disponibili a tutti, mette in gioco aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni, abilità, modalità
129
di apprendere che l’azione didattica dovrà opportunamente richiamare,
esplorare, problematizzare. In questo modo l’allievo riesce a dare senso
a quello che va imparando”. (13) Anche in questo caso si fa riferimento, peraltro esplicito, ad una grande ricchezza di esperienze e conoscenze acquisite fuori dalla scuola e attraverso i diversi media oggi disponibili a tutti. E allora, tenuto conto che le famiglie, mediamente,
non fanno niente, come devono i ragazzi acquisire “fuori dalla scuola”
le corrette metodologie di uso dei nuovi media e delle tecnologie in generale per poi portarle in classe per migliorare l’apprendimento.
Nel capitolo della Tecnologia, delle “Indicazioni nazionali”, esiste un
riferimento più preciso oltre all’uso delle nuove tecnologie, come già
detto in precedenza, anche alla necessità di avere “un atteggiamento
critico e una maggiore consapevolezza” che dovrebbe svilupparsi ma
che non è assistita nel resto del curricolo di strumenti e prescrizioni
operative che appartengono al campo dell’educazione ai media. Infatti
il testo è il seguente: “Inoltre, per quanto riguarda le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le tecnologie digitali, è necessario che oltre alla padronanza degli strumenti, spesso acquisita al di
fuori dell’ambiente scolastico, si sviluppi un atteggiamento critico e
una maggiore consapevolezza rispetto agli effetti sociali e culturali
della loro diffusione, alle conseguenze relazionali e psicologiche dei
possibili modi d’impiego, alle ricadute di tipo ambientale o sanitario,
compito educativo cruciale che andrà condiviso tra le diverse discipline”. In realtà, tutte le sollecitazioni in tema di educazione ai media
provenienti dalle “Indicazioni nazionali” andrebbero successivamente
tradotte e concretizzate nel curricolo di istituto, che è lo strumento del
quale ogni scuola si è dotata in virtù della propria autonomia ma che
temiamo che resti un documento sulla carta nella maggior parte delle
scuole italiane. In definitiva, la cultura della scuola ha, di fatto, avviato una incorporazione delle tecnologie applicandole all’interno delle
proprie pratiche didattiche, ma non ha dato sufficiente spazio per una
riflessione teorica propriamente medio-educativa che più di ogni altra
azione didattica, consente di formare le giovani generazioni all’uso responsabile dei media. È una rivoluzione digitale che dovrà compiersi e
che deve coinvolgere la pubblica amministrazione in generale, compresa la scuola, formando coloro che operano come i docenti i quali
devono lavorare sulle nuove generazioni. La scuola, pertanto, non può
sottrarsi da questa nuova sfida educativa: deve farsi carico di integrare
l’educazione ai media tra le azioni formative proposte.
130
Un’esperienza di media education nelle scuole
Presso il Centro Scolastico Giovanni Paolo II di Melegnano la Media
Education è una disciplina trasversale alle altre, integrata nelle diverse
attività proposte dalla scuola. Si tratta di un’esperienza di grande valore formativo, costruita insieme al CREMIT, sotto la supervisione
scientifica del prof. Pier Cesare Rivoltella. (14) In questo caso, la Media Education non è un semplice intervento fornito da esperti esterni e
fine a se stesso, ma diventa una disciplina trasversale alle altre, integrata nelle diverse attività proposte dalla scuola ed entra a tutti gli effetti nel curricolo scolastico.
Di seguito riportiamo uno stralcio del Progetto che si sta sperimentando a Melegnano:
La sperimentazione, che è stata attivata dall’anno scolastico 20082009 ed è tuttora in via di esecuzione, parte dal primo anno della
Scuola dell’Infanzia fino al terzo anno della Scuola Secondaria di I
grado. Durante questo percorso di ricerca-azione sulla Media Education gli studenti e i docenti sono accompagnati da figure esperte nel
settore: i media educator che sono anche gli osservatori e i documentaristi del percorso secondo il protocollo di monitoraggio delle attività sperimentali stabilito dall’equipe di progettazione.
La proposta educativa non si sofferma a fornire solo la conoscenza
dei linguaggi mediali, ma attraverso la realizzazione di prodotti multimediali gli alunni imparano anche ad interagire con i media e a
creare, a loro volta, nuove forme di espressione e di comunicazione.
L’obiettivo è quello di formare dei cittadini attivi e responsabili in
grado di dare un contributo culturale alla società, partecipando così
alla costruzione dei significati.
Il progetto di Media Education avviato presso il Centro Scolastico
Giovanni Paolo II si può definire innovativo principalmente per tre
motivi.
1. Nell’Istituto è stato attivato un curricolo di Media Education che si
estende dalla Scuola dell’Infanzia fino alla Scuola Secondaria di I
grado.
2. La sperimentazione prevede la presenza stabile di un media educator (ME.M, Media Educator Manager) all’interno della scuola con
131
funzioni di coordinamento e supporto ai docenti e di ricercatori del
CREMIT (ME.C, Media Educator Coach) con il compito di progettare e condurre attività di Media Education in tutte le classi.
3. Il progetto mette in relazione due organismi: la scuola e un centro
di ricerca dell’università.
La proposta dell’Aiart di Media Education
L’obiettivo che si pone la Media Education è quello di offrire alle nuove generazioni chiavi di lettura per un’interpretazione corretta dei
mezzi di comunicazione al fine di far nascere una maggiore consapevolezza dei rischi che si possono correre tramite una fruizione sbagliata. Per le considerazioni fatte in precedenza è evidente che un ruolo
importante e significativo nell’educazione ai media dovrebbe essere
svolto dalla Scuola, inserendo tra le materie d’insegnamento non tanto
l’attitudine tecnica a servirsi degli audiovisivi, che in qualche maniera
c’è, quanto il loro uso serio, critico e responsabile. In questa direzione
si è mossa l’Aiart con la raccolta di oltre 60.000 firme per varare una
proposta di legge d’iniziativa popolare, tendente ad inserire nei programmi della scuola l’educazione ai media, facendo recuperare all’Italia un gravissimo ritardo rispetto a molti Paesi. La situazione arretrata dell’Italia sulla Media Education si può dedurre da uno studio coordinato dall’EAVI (European Association for Viewers Interests).
Questo lavoro, pubblicato nell’ottobre del 2009 e portato avanti grazie
al supporto del Ministero dell’Educazione Nazionale francese, dall’Università Autonoma di Barcellona, dall’Università Cattolica di
Louvain (Belgio) e dall’Università di Tampere (finlandia), punta a
chiarire il concetto di alfabetizzazione riguardo ai media, formulando
degli “strumenti” per la sua misurazione in tutta Europa. La situazione
in Europa è molto differenziata perché si trovano Paesi che costituiscono delle eccellenze (come la Slovenia), altri come il Belgio che
hanno integrato la Media Education nei curricula a diversi livelli in
base alle reti scolastiche, altri come il Regno Unito dove c’è ancora
molto da fare perché l’apprendimento dei media viene inserito nell’ambito dello studio della lingua madre, come la finlandia, la francia, l’olanda che da alcuni anni hanno introdotto un percorso di sensibilizzazione, l’olanda e la Spagna, dove però la maggior parte delle
attività si focalizzano solo sulla formazione degli insegnanti. Alcuni
elementi, tuttavia, inducono a ritenere che questa situazione stia cambiando e che la media education sia destinata ad assumere un ruolo più
importante nell’ambito dei programmi di studio.
132
Pertanto, la proposta di legge dell’Aiart, che è stata messa a punto con
il contributo determinante del MED (Associazione Italiana per l’educazione ai media e alla comunicazione), è composta da soli quattro articoli in cui si prevede di avviare l’inserimento dell’insegnamento di
Educazione ai media nella scuola primaria e secondaria di primo grado con specifici percorsi di formazione degli insegnanti. Inoltre ogni
istituzione scolastica deve individuare al proprio interno almeno un
insegnante per la partecipazione ai suddetti percorsi. (15)
In definitiva, per poter concretamente esercitare una cittadinanza piena ed attiva è indispensabile acquisire nuove competenze. È necessario, in particolar modo, che le nuove generazioni sviluppino capacità
avanzate di pensiero critico per riuscire a decifrare e comprendere i
messaggi trasmessi dai nuovi mezzi di comunicazione.
BIBLIOGRAFIA
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Things_wearable_tagging_social_cloud_223627.html
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3. Vittorino Andreoli – La vita digitale – 2007
4. Ib.
5. Jonah Lynch – Il profumo dei limoni – 2011
6. http://www.youtube.com/watch?v=49rcVQ1vfAY
7. Nicholas Carr – Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro
cervello. 2011
8. Jonah Lynch – Il profumo dei limoni – 2011
9. Ib.
10. Nicholas Carr – Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro
cervello. 2011)
11. Jonah Lynch – Il profumo dei limoni – 2011
12. http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/prot5559_12
13. Ib.
14. http://www.fedtm.it/DettaglioProgetto.aspx?BSMDETNEWS=68&CNT=HST
15. http://www.aiart.org/ita/web/item.asp?nav=1918
133
Il servizio sanitario nazionale e gli ambulatori
per la cura della dipendenza
di Cinzia Groppi
4.3. Dipendenza da Internet e SSN
Il termine IAD (Internet Addiction Disorder) è stato coniato nel 1995
da Ivan Goldberg, psichiatra della Columbia University di New York1;
con il suo lavoro “Internet addiction: the emergence of a new disorder” del 1996 la psicologa U.S.A. Kimberly Young2 ne ha poi descritte
le caratteristiche cliniche; la stessa, nel 2013, ha fondato e dirige il
Center for on-Line Addiction per la diagnosi e cura del disturbo. In
Italia il primo a focalizzare l’attenzione sul fenomeno della dipendenza da internet è stato lo psichiatra Tonino Cantelmi nel 19983. Il primo
Congresso Internazionale sulla IAD si è tenuto a Milano nel marzo
2014, nel quale studiosi di tutto il mondo hanno cercato di mettere a
punto gli aspetti epidemiologici, patogenetici, diagnostici e terapeutici
di questa “nuova patologia”.
Da questa sintetica cronistoria si evince che la dipendenza da internet
è un fenomeno emerso in tempi relativamente recenti e che il suo preciso inquadramento nosologico, diagnostico e terapeutico è ancora oggi oggetto di studi. A tal proposito, infatti, prima di esaminare il ruolo
del Sistema Sanitario Nazionale nella prevenzione, diagnosi e cura di
tale dipendenza, occorre sottolineare che i due maggiori manuali diagnostici internazionali sui disordini psichici cui i medici fanno riferimento, il DSM-V e la International Classification of Diseases, ancora
oggi non includono espressamente la IAD nell’elenco delle malattie
classificate. Nella fattispecie il DSM-V, pubblicato nel maggio 2013,
inserisce la IAD nell’appendice (Sezione III), cioè tra le condizioni
cui è necessaria una ulteriore ricerca ed esperienza clinica prima di poter essere ufficialmente considerata inseribile nell’elenco generale
delle malattie4. Per quanto concerne la ICD la prossima revisione
(IDC-11), di cui è prevista la pubblicazione nel 2017, inserirà nel capitolo V lettera S le cosiddette Behavioral Addictions (Dipendenze
Comportamentali) tra le quali è possibile che verrà annoverata la IAD.
Non esistono quindi criteri comuni per valutare la dipendenza, come
rivela anche la meta-indagine quantitativa Internet Addiction: Meta134
synthesis of 1996-20065, studio condotto da un team di ricercatori internazionali sugli articoli pubblicati dalle riviste scientifiche e dedicati
al tema. Conclusione: c’è un grande vuoto scientifico. Persino le indagini accademiche più autorevoli sono contraddittorie. Il caso emblematico riguarda l’Internet Paradox, realizzato dalla Carneige Mellon
University di Pittsburg6 per descrivere le caratteristiche relazionali degli utenti di internet. La prima versione della ricerca, del 1998, stabilisce una connessione tra l’uso della rete e il peggioramento, nel breve
tempo, dei rapporti face-to-face, con un incremento dei casi di depressione e solitudine. Ma la stessa analisi ripetuta nel 2002 e orientata a
stabilire l’effetto di internet sulle relazioni sociali a lungo termine, rivela che chi naviga e frequenta i social network è più inserito nei circoli, nelle associazioni, nei luoghi di ritrovo del posto in cui vive.
L’unica continuità tra le due versioni dello studio riguarda la tendenza
dei navigatori a una maggiore mobilità: cambiano città più spesso.
Ciononostante il fenomeno della dipendenza da internet risulta non
solo presente, ma in costante aumento a livello mondiale, come dimostrato dal pullulare di indagini epidemiologiche tendenti a valutare la
reale estensione del fenomeno nei diversi strati anagrafici della popolazione generale7,8,9. Si consideri, infatti, anche l’aumento della disponibilità di nuovi sempre più moderni e sofisticati strumenti come gli
smartphone, i tablet e le console per videogiochi, tanto che alcuni studiosi iniziano a parlare anche di dipendenza da smartphone10.
Anche in Italia quindi è attiva la discussione, circa la dipendenza da
internet, per stabilire quando l’utilizzo di internet vada effettivamente
considerato patologico11. Di recente la riflessione si è incentrata sull’uso di internet tramite smartphone: “Come il computer, anche il cellulare rappresenta uno strumento tecnologico sempre più diffuso e sofisticato. Parallelamente al notevole e rapidissimo incremento di accessori e servizi comunicativi disponibili e la moltiplicazione delle
funzioni tecniche (sms, mms, videochiamata, mail, istant-messaging)
si sono trasformate anche le funzioni psico- sociali di questo strumento. Il cellulare ha in parte annullato l’impatto spazio-temporale, emotivo e relazionale, interferendo così nella sperimentazione e nella gestione di molte emozioni e relazioni di base. Il rischio, soprattutto rilevante nei giovani che rappresentano i maggiori utilizzatori dello
strumento, è di affrontare tutte le relazioni interumane in modo ‘surreale’, e che il suo iperutilizzo per la gestione delle relazioni, delle
135
proprie emozioni e degli stati di solitudine si tramuti in una vera e
propria dipendenza. Altro rischio possibile e conseguente all’uso eccessivo del cellulare è la crescita esponenziale dei livelli di stress e di
ansia libera, dovuti in particolare al fatto di poter essere raggiunti e
controllati sempre e comunque, e di poter altrettanto raggiungere e
controllare altre persone in qualsiasi luogo e momento. Si può parlare
di dipendenza quando la maggior parte del tempo e delle energie vengono spesi nell’utilizzo dello strumento, creando in tal modo forti e disfunzionali menomazioni nelle principali e fondamentali aree esistenziali, come quella personale, relazionale, scolastica, familiare, affettiva. Il traffico telefonico quotidiano diventa così esorbitante e prevalente su tutto e su tutti e la persona impiega la maggior parte della
propria vita, o comunque spazi e tempi eccessivi, in attività connesse
all’utilizzo del cellulare. Le dinamiche di dipendenza da cellulare si
possono sviluppare e radicare tanto da presentare fenomeni analoghi
alle dipendenze da sostanze, con comparsa di craving, tolleranza e assuefazione. Altri comportamenti che possono far sospettare una dipendenza da cellulare sono un atteggiamento di intenso attaccamento
verso il telefonino, il rifiuto di distaccarsene anche per poco tempo, ed
il suo utilizzo come unico mezzo di conoscenza e scambio interpersonale. L’eccessivo utilizzo del cellulare ha condotto allo sviluppo di disturbi specifici, quali la ‘sindrome da disconnessione’ e la ‘sindrome
dello squillo o della vibrazione fantasma’.”12
Una delle questioni emergenti risulta, comunque, la “maggior presa”
che il World Wide Web sembra avere sugli adolescenti rispetto agli
adulti. Ciò si spiega con alcune osservazioni della dottoressa Young
sui cosiddetti “nativi digitali”, rappresentati da soggetti nati dopo la
metà degli anni ’80, e sulle differenze tra questi e gli “immigrati digitali”, rappresentati da una popolazione più adulta: i primi sono nati in
epoca già ampiamente digitalizzata, mentre i secondi si sono adeguati
alla tecnologia informatica in età più avanzata, dovendo “riconvertire”
alcuni consolidati comportamenti, relazioni, modalità di ricerca informazioni e di comunicazione. Nel rimandare ad approfondimenti sul
tema13, la tabella che segue offre una sintesi ragionata ed aggiornata
delle iniziali osservazioni della Young, utili sia a focalizzare il tema
della dipendenza da internet nella fascia adolescenziale, soggetto privilegiato del presente volume, sia a comprendere il ruolo possibile del
SSN nell’arginare il prodursi di effetti patologici conseguenti ad un
utilizzo improprio od esclusivo di internet.
136
ADULTI – “immigrati digitali”
Preferiscono parlare al telefono o di persona;
usano sporadicamente il testo scritto
Preferiscono la comunicazione diacronica
Adolescenti – “nativi digitali”
Preferiscono connettersi e comunicare tramite
testo scritto su chat, facebook, twitter, instagram, giochi online, etc.
Preferiscono la comunicazione sincronica e sequenziale
Sono abituati ai manuali d’uso e con passaggi chiari
Non fanno riferimento a manuali d’uso, comprendono intuitivamente
Si incontrano con gli amici preferibilmente
di persona, frequentano locali pubblici, si ritrovano al bar, nelle piazze e non considerano internet un luogo di incontro
oltre a incontrarsi di persona si ritrovano spesso
su internet, nelle chat o sui social network e nei
giochi online
Pensano che il lavoro debba essere costante
e la carriera linearmente progressiva; sono
abituati ad orari e sede di lavoro ben determinati
Utilizzano correttamente le parole della propria lingua sia nel parlato che nello scritto,
argomentando senza vincoli di lunghezza
del messaggio
Raccontano un viaggio al telefono o ne mostrano le foto agli amici creando momenti di
scambio e di confronto
Usano internet per ottenere informazioni
Ritengono che i giovani sprecano online la
propria vita, che quella su internet non sia
vita reale
Eseguono un compito o si gustano un piacere alla volta e vivono la capacità multitasking dei giovani come elemento di distrazione, mancanza di concentrazione o perdita
di tempo
Provano attività lavorative diverse; tendono a
bilanciarsi tra famiglia, amici, attività, lavoro;.
preferiscono orari flessibili, possibilità di fare
lavoro a distanza (dal computer, in remoto) in
qualsiasi luogo: casa propria, un bar, magari durante il weekend
Utilizzano, nella messaggistica istantanea (SMS,
WhatsApp, ecc), parole “stenografate” o simboli
grafici che esprimono emozioni o concetti (emoticon14), facendo rientrare il messaggio nei limiti
imposti dalla chat: es. un tweet corrisponde ad
un massimo di 140 caratteri
Mostrano un viaggio attraverso il “posting”
(pubblicazione) di un album di foto online e
mancano veri momenti di scambio
Usano internet per conoscersi e socializzare, divertirsi, giocare, guardare video, ascoltare musica, mostrare qualcosa, raccogliere informazioni,
partecipare a blog, chat, condividere link, acquistare online o semplicemente fare” net-surfing”
Molti aspetti della vita avvengono online; per
loro internet è reale e spesso più piacevole della
vita offline
Eseguono contemporaneamente spesso efficacemente più compiti o più attività ricreazionali
(multitasking): guardare la TV, inviare SMS,
chattare, studiare
137
Se riferiamo le osservazioni della Young al mondo della scuola vediamo che gli studenti attuali, che sono in gran parte “madrelingua” del
linguaggio digitale dei computer, videogiochi e internet (Net-generation), ricevono l’insegnamento da docenti che utilizzano una lingua
per loro obsoleta, quella dell’era pre-digitale. D’altro canto, se con
l’invenzione della stampa venne rivoluzionato il modo di far circolare
informazioni, arrivando a coprire strati sempre più vasti di popolazione, con l’avvento di internet la velocità nell’accedere, acquisire, fornire, duplicare o condividere grandi quantità di informazioni è così aumentata da creare quello che oggi viene da più parti definito “information overload” (sovraccarico di informazioni). Questo fenomeno si
crea in quanto le persone non possono equivalentemente aumentare la
propria rapidità di immagazzinamento dati per ragioni neurofisiologiche: è come se la mente umana si comportasse come un collo di bottiglia riequilibratore.
Allorquando, infatti, l’individuo sviluppa una formidabile appetizione
verso notizie o attività online, tale filtro equilibratore viene forzato e
ciò può causare nella persona disagio, difficoltà, fino ad evidenze cliniche (nei giovani si suppongono interferenze con lo sviluppo emotivo, intellettuale, fisico e spirituale), che sono più ampiamente descritte
in altra sede del presente lavoro15.
Il SSN si trova ad affrontare, per quanto finora descritto, una problematica complessa a causa di tre ordini di fattori:
• la non definizione del confine tra uso normale di internet e dipendenza da internet (non sono ancora categorizzati precisi criteri diagnostici);
• il diffuso utilizzo del web tra gli adolescenti (nativi digitali) e quello
crescente da parte degli adulti (immigrati digitali), popolazioni diverse sia sul piano anagrafico che di mentalità, cosa che fa prevedere
un diverso approccio in campo informativo/preventivo per le situazioni di utilizzo regolare e in campo di aggancio/terapeutico per le
situazioni patologiche
• la diversa tipologia di dipendenza da internet che può colpire l’individuo, a seconda dello scopo prevalente per cui si connette al web:
tra gli adolescenti tipo gaming, social networking o info-surfing; tra
gli adulti net-compulsion, shop addiction, sex addiction o gambling16
138
A tali complessità nosografiche si aggiungono quelle di carattere organizzativo ed istituzionale. Il riferimento normativo nazionale concettualmente più vicino al tema della dipendenza da internet, in quanto
dipendenza senza sostanze o dipendenza comportamentale, è la Legge
n.189 dell’8 novembre 2012 con la quale il Ministero della Salute individua le norme per la prevenzione, riduzione del rischio e contrasto
al gioco d’azzardo patologico (GAP) e conferisce alle regioni il compito di legiferare su tale materia17. In realtà già in precedenza è possibile reperire, nei Piani Sanitari di alcune regioni, linee di indirizzo relative al contrasto alla ludopatia18. Per quanto a nostra conoscenza non
esiste in Italia una regolamentazione specifica relativa a prevenzione,
assistenza e riabilitazione per i casi di dipendenza da internet.
Se si confrontano le diverse leggi regionali sul GAP, pur senza pretendere di essere esaustivi, vediamo che:
- nel settore della prevenzione, informazione e sensibilizzazione, in
alcuni casi il coordinamento è appannaggio dei comuni, in altri è affidato alle ASL, anche se non sempre viene esplicitato quale servizio
ASL debba svolgerlo (tossicodipendenze? educazione alla salute?
salute mentale?); si incentiva comunque il raccordo collaborativo
con una vasta rete territoriale di soggetti, tra i quali spiccano la scuola e le realtà del terzo settore e del privato sociale. Vero è che certe
regioni accentuano il ruolo del terzo settore (Lombardia ad esempio), mentre altre si limitano a citarne la possibilità di sostegno, erogazione di contributi o eventuali convenzionamenti da parte degli
enti locali o delle Asl (Toscana, Emilia-Romagna);
- sul versante delle attività di cura e riabilitazione, queste tendenzialmente sono affidate dalle regioni ai servizi per le dipendenze. Questi, a livello nazionale non sono strutturati tutti nella stessa maniera:
qualcuno è inserito nelle attività distrettuali territoriali, altri sono inseriti in omnicomprensivi dipartimenti di salute mentale, altri ancora godono dell’autonomia di un dipartimento per le dipendenze. In
ogni caso le funzioni di accoglienza, valutazione diagnostica, presa
in carico e cura, reinserimento sociale e sostegno ai familiari fanno
capo ai servizi sanitari delle ASL (Lombardia, friuli), quasi sempre
in una dimensione strettamente ambulatoriale, anche se alcune regioni, focalizzandosi più sui temi sociali che sanitari, forniscono alle
ASL indicazioni più generali (Piemonte, Lazio);
- le finalità espresse attengono a una cultura del contrasto al GAP
139
(Lombardia) mediante una stretta regolamentazione delle sale gioco
e campagne dissuasive, oppure a una cultura della responsabilità,
del gioco misurato e dell’utilizzo consapevole del denaro (Puglia,
Emilia Romagna), da diffondere attraverso attività di educazione,
informazione, divulgazione e campagne di sensibilizzazione.
A differenza del GAP, per la IAD esiste un sostanziale silenzio normativo; ciò non ha inibito la nascita di progettualità specifiche presso alcune realtà del territorio nazionale, in prevalenza di ambito universitario19. Peraltro anche i Servizi per le Dipendenze (Ser.T.) stanno iniziando a vedere casi di giovani con disturbi riferibili ad un uso improprio di internet e alle attività delle cliniche universitarie stanno gradualmente aggiungendosi esperienze di cura più squisitamente territoriali, alcune delle quali saranno presentate nei paragrafi successivi,
mentre l’esperienza pilota sviluppatasi in area pistoiese verrà sinteticamente descritta al termine del presente paragrafo.
Come detto in precedenza i Ser.T. sono collocati organizzativamente
in modo eterogeneo sul territorio italiano (nei Dipartimenti Salute
Mentale oppure nei Dipartimenti per le Dipendenze o nella Medicina
di Comunità o Distrettuale) e ciò crea vari ordini di problemi:
• non c’è chiarezza su quali siano le specializzazioni mediche e non
mediche che prevalentemente devono occuparsi di IAD (tossicologo? psichiatra? psicoterapeuta? psicologo clinico? educatore? assistente sociale?);
• il cittadino che necessita di assistenza è fortemente disorientato sul dove rivolgersi e spesso alla confusione normativa e a quella strutturaleorganizzativa si aggiunge la carente informazione degli stessi URP
(Uffici Relazioni col Pubblico) della ASL sul dove indirizzare l’utente;
• inoltre si consideri che i Ser.T. sono ritenuti, nell’immaginario collettivo, il luogo per la cura dei tossicodipendenti e su un piano culturale il cittadino non assimila l’utilizzo smoderato di internet ad una
forma di dipendenza; infine i Ser.T. hanno, dal punto di vista del cittadino, una connotazione fortemente stigmatizzante ed accade che si
rinunci ad accedervi, preferendo rivolgersi allo psicologo o allo psichiatra di altro servizio;
• solo in rare occasioni il personale sanitario afferente ai Ser.T. ha usufruito di una formazione ad hoc, e comunque di solito relativa al gioco d’azzardo (come abbiamo visto le leggi regionali hanno regola140
mentato questa patologia), quindi più facilmente riguardante una
popolazione adulta e non di adolescenti.
Anche la scelta del tipo di approccio terapeutico da attuare è funzione
del diverso grado di formazione ed aggiornamento del personale, della
quantità di risorse umane presenti nel servizio e del profilo professionale di appartenenza, della capacità del servizio di organizzare risposte flessibili per orari e articolate per modalità di accesso e di approccio. Di fronte ai casi che si presentano può accadere che un Ser.T. si
trovi ad improvvisare o a mutuare il tipo di trattamento da quelli erogati per il GAP; nelle situazioni di migliore organizzazione interna alcuni Ser.T. attuano il metodo cognitivo-comportamentale o l’approccio sistemico-relazionale o familiare o, infine, la terapia di gruppo.
È pertanto facile comprendere che il panorama nazionale degli interventi in favore di soggetti net-addicted è molto eterogeneo e frammentato.
Anche per quanto concerne gli interventi di prevenzione e promozione
della salute attuati dal SSN sono da registrare carenze di formazione
ad hoc del personale. I programmi di prevenzione di solito vengono
svolti nelle scuole (scuola dell’obbligo e medie superiori); vi prevale
l’approccio mediante questionari anonimi, il Life Skills Training20, il
programma Unplugged21 e la Peer Education22. I contenuti informativi
vertono prevalentemente sui consumi di sostanze e solo più recentemente sull’addiction comportamentale, peraltro con focus prevalente
sul gioco d’azzardo, che però dalle innumerevoli statistiche risulta,
come già detto, più presente tra gli adulti e più estraneo agli adolescenti. Le dipendenze comportamentali quindi non risultano affrontate
specificamente neanche nel campo della prevenzione. Inoltre il contatto esclusivo con le scuole non permette di raggiungere i giovani che
la scuola l’hanno abbandonata, i quali presumibilmente sono più implicati nell’uso di internet e quindi più a rischio di svilupparne una dipendenza. Non si conoscono esperienze nazionali ad estesa copertura
territoriale che raggiungano nei luoghi da loro frequentati quegli adolescenti che ormai hanno lasciato la scuola.
Anche gli interventi di counseling patiscono della stessa frammentarietà e non specificità, salvo quelli nei confronti delle figure genitoriali
che spontaneamente decidono di rivolgersi al servizio pubblico per ottenere informazioni e consigli relativamente ai comportamenti del fi141
glio. Ma anche qui si tratta, comunque, di interventi individualizzati,
in risposta alla domanda dei singoli e non, per quanto a nostra conoscenza, di campagne di informazione e counseling specificamente
orientate ai rischi della dipendenza da internet. Ciò comporta il rischio
che il genitore non arrivi a rivolgersi al Ser.T. in quanto non percepisce
l’uso di internet da parte del figlio come un abuso a rischio di dipendenza, ma anzi ritiene l’ambiente virtuale dei social network o delle
chat sia “congruente” con i comportamenti delle nuove generazioni.
Del resto non è certo cognizione della popolazione generale il fatto
che recenti studi di neurobiologia e neuroimaging23 hanno dimostrato
l’identità dei meccanismi patogenetici che conducono alla dipendenza
da sostanze e alle dipendenze comportamentali. Sono necessarie campagne di informazione capillari, che vadano ad intercettare le famiglie
- ed i genitori in particolare - anche e soprattutto fuori dalle scuole.
Purtroppo tali campagne sono sporadiche in Italia, a causa delle carenze o criticità del SSN sopradescritte.
L’esperienza pilota nell’area pistoiese
di Elena Janniello
Nel periodo 2011-2013 il Ser.T. di Pistoia ha dato vita ad un programma sperimentale di promozione culturale, rivolto agli utenti del servizio, con l’intento di arricchire ed integrare i percorsi assistenziali standard di tipo farmacologico, psicologico o sociale. L’idea aveva preso
le mosse da analoghe iniziative dei Servizi Educativi di alcuni prestigiosi musei internazionali24, da una ricerca sulla collaborazione tra
Musei e SSN in Italia25 e da un programma per tossicodipendenti, denominato “fiamma Pilota”, attuato a partire dall’anno 2010 presso
una comunità terapeutica pistoiese26.
Il laboratorio culturale si proponeva di promuovere la fruizione di
opere d’arte e la condivisione di temi culturali con utenti del Ser.T. Intendeva quindi superare (ma non escludere del tutto) gli approcci all’arte più tradizionali, con un passaggio da una attività a tipo atelier tipica dell’arteterapia - dove il partecipante è chiamato a produrre un
suo manufatto, ad una attività di ricezione di opere27.
Il laboratorio, condotto in collaborazione con due comunità terapeutiche presenti in Pistoia (Centro di Solidarietà e Coop. Sociale Incontro)
si sviluppava in step:
142
• Preparazione di visite guidate ‘ad hoc’ a mostre e musei nel territorio toscano da parte dell’operatore culturale. Le mostre erano selezionate da una équipe composta da medico, educatore, psicoterapeuta e operatore culturale, così che la scelta cadesse su quegli eventi
più consoni al tipo di utenza e agli obiettivi della sperimentazione
• Stampa e diffusione di locandina relativa alla mostra di volta in volta selezionata, con indicazione del giorno previsto per la visita
• 1-2 incontri preparatori con gli utenti, prima della visita, finalizzati a
rendere più attiva la loro partecipazione alla mostra. In tali incontri
si proponevano elementi utili sia ad una piena fruizione della mostra
(utilizzando materiale cartaceo, fotografico, audio-visivo preventivamente preparato e lezioni frontali centrate su un percorso concettuale e propedeutiche alla comprensione della mostra), sia capaci di
evocare nel fruitore momenti emotivi e di conoscenza di sé stesso,
così che la mostra rispecchiasse il suo vissuto storico. Elemento importante degli incontri e delle visite alle mostre era infatti la partecipazione attiva degli utenti stessi
• Visita guidata con condivisione delle emozioni suscitate dalle opere
e discussione di gruppo, compilazione di questionari sulle impressioni ed emozioni provate; utenti in piccoli gruppi di 5-6 persone
• feed-back all’équipe
Elenco delle mostre o musei visitati:
- Museo Marino Marini, Pistoia
- RUGGITo Antonio Ligabue: la lotta per la vita, firenze, Galleria
d’arte moderna – Palazzo Pitti
- Joan Mirò. I miti del Mediterraneo, Pisa, Palazzo Blu
- firenze, Caravaggio e caravaggeschi a firenze, firenze, Galleria
Palatina – Palazzo Pitti
- Visita del Palazzo Vecchio, firenze
- Viaggio in Italia. Sguardi internazionali sull’Italia contemporanea,
Pistoia - Palazzo fabroni
- Jean Dubuffet e l’Italia, Lucca – Lu.C.C.A.
- Museo Alinari, firenze
- Damien Hirst - for the love of God, firenze - Palazzo Vecchio
- Picasso Mirò e Dalì. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità,
firenze - Palazzo Strozzi
- Picasso “Ho voluto essere pittore e sono diventato Picasso”, Pisa –
Palazzo Blu
143
Gli obiettivi del laboratorio culturale erano:
• rendere la fruizione delle varie forme d’arte libera e comprensibile
per tutti (anche per persone “non acculturate”, di diverse estrazioni
sociali o portatrici di qualche forma di disagio psichico) e in modo
più consapevole e partecipato
• trasmettere valori educativi attraverso una socializzazione all’arte
• stimolare il desiderio di ampliare le proprie conoscenze
• promuovere la crescita personale “sostituendo” ai comportamenti
legati alla dipendenza dei comportamenti sani, sicuri ma altrettanto
piacevoli e gratificanti
L’idea di “utilizzare l’arte” come “sostitutivo” sano di comportamenti
di dipendenza scaturisce dalle molte evidenze scientifiche degli ultimi
anni, in particolare il legame tra le droghe ed il fisiologico e naturale
sistema del piacere e della ricompensa, presente in ogni persona. Si
osserva anche che molti degli approcci farmacologici nelle tossicodipendenze hanno come razionale il “sostituire” la sostanza abusata con
un farmaco dalle proprietà simili e similmente gratificanti (vedi il metadone per l’eroina o i cerotti alla nicotina per il tabacco); allo stesso
modo, in certe patologie a carattere psichiatrico, per combattere l’insufficiente produzione cerebrale di neurotrasmettitori gratificanti, la
farmacopea offre medicinali che, avendo proprio la capacità di aumentare l’attività di tali neurotrasmettitori, in fondo si comportano come “sostitutivi” nel fornire il senso di gratificazione deficitario.
L’approccio culturale sperimentato nell’area pistoiese, essendo rivolto
indistintamente a tutti gli utenti del Ser.T., non era centrato specificatamente su persone affette da dipendenza da internet. In ogni caso ai
vari gruppi hanno partecipato soggetti che presentavano più di una dipendenza: in diverse situazioni erano co-presenti una dipendenza da
sostanze ed il gioco d’azzardo oppure, in persone molto giovani, una
net-addiction e un consumo di cannabis o di droghe sintetiche.
I risultati della sperimentazione, che saranno più estesamente descritti
in un prossimo lavoro, sono stati incoraggianti e l’équipe ha apprezzato la costanza e la partecipazione attiva con cui gli utenti hanno frequentato il laboratorio. Il laboratorio, crediamo, ha avuto anche un occhio rivolto al futuro, alla net-generation di oggi (qualcuno la definisce “2.0”) e forse anche a quella “3.0” che verrà. Altri studiosi, socio144
logi, psicologi e psichiatri, stanno iniziando ad esaminare questo tipo
di approccio, conferma indiretta del contenuto innovativo della sperimentazione pistoiese28.
NOTE:
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6
7
I. Goldberg, Internet Addiction Disorder, disponibile al sito:http://aspen.uml.edu/
www/counseling/netdisorder.html.
Young, K. S., Internet addiction: The emergence of a new clinical disorder, Poster
presentato al 104th American Psychological Association Annual Convention, Toronto, Canada, agosto 1996
T.Cantelmi, M. Talli, “I.A.D. Internet Addiction Disorder, Psicologia Contemporanea, 150, 1998
http://www.dsm5.org/Documents/Internet%20Gaming%20Disorder%20
fact%20Sheet.pdf “In the fifth edition of the Diagnostic and Statistical Manual of
Mental Disorders (DSM-5), Internet Gaming Disorder is identified in Section III as
a condition warranting more clinical research and experience before it might be
considered for inclusion in the main book as a formal disorder. A New Phenomenon
The Internet is now an integral, even inescapable, part of many people’s daily lives
But recent scientific reports have begun to focus on the preoccupation some people
develop with certain aspects of the Internet, particularly online games Much of this
literature stems from evidence from Asian countries and centers on young males.
The studies suggest that when these individuals are engrossed in Internet games,
certain pathways in their brains are triggered in the same direct and intense way
that a drug addict’s brain is affected by a particular substance. The gaming prompts
a neurological response that influences feelings of pleasure and reward, and the result, in the extreme, is manifested as addictive behavior. Further research will determine if the same patterns of excessive online gaming are detected using the
proposed criteria. At this time, the criteria for this condition are limited to Internet
gaming and do not include general use of the Internet, online gambling, or social
media. By listing Internet Gaming Disorder in DSM’5 Section III, APA hopes to encourage research to determine whether the condition should be added to the manual
as a disorder.”
S. Byun, C. Ruffini, J.E. Mills, A.C. Douglas, M. Niang, S. Stepchenkova, S. Ki
Lee, J. Loutfi, J-K Lee, M. Atallah, M. Blanton, Internet Addiction: Metasynthesis
of 1996–2006 Quantitative Research, in CyberPsychology & Behavior. April 2009,
12(2): 203-207. doi:10.1089/cpb.2008.0102
R. Kraut, S. Kiesler, B. Boneva, J. Cummings, V. Helgeson, A.Crawford, Internet
Paradox Revisited, in Journal of Social Issues, Volume 58, Issue 1, 2002, pp 49–74
Report sulla internet addiction si producono oramai da tutto il mondo, con una prevalenza di segnalazioni dai paesi dell’estremo oriente: in Corea sono stati descritti
decessi per cause cardiopolmonari avvenuti all’interno di Internet café; in Cina il
13% della popolazione giovanile è considerato Internet-addicted. Gli Stati Uniti e
l’occidente mostrano statistiche simili, con il 9% degli utenti di Internet che nascondono ai familiari il proprio uso non essenziale o non appropriato del web (Jerald
J. Block, Issues for DSM-V: Internet Addiction in Am J Psychiatry 2008;vol.165,
N.3: pp 306-307)
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17
C.Chou, L.Condron, J.C.Belland, A Review of the Research on Internet Addiction,
Educational Psychology Review, Vol. 17, No. 4, Dic. 2005
La ricerca Internet Addiction Disorder: Prevalence in an Italian Student Population,
realizzata nel 2012 dall’ospedale di Cremona, rivela che il 94,19% degli utenti Internet fa un uso normale del mezzo, il 5,01% è moderatamente dipendente, lo 0,79%
lo è seriamente (R.Poli, E. Agrimi, Internet addiction disorder: Prevalence in an Italian student population, in Nordic Journal of Psychiatry, february 2012, Vol. 66,
No. 1: pp 55-59
V. Progetto IAD-U: Valutazione della prevalenza delle dipendenze comportamentali
nell’epoca di internet tra studenti universitari, attivato dal dipartimento Politiche
Antidroga - Presidenza del Consiglio dei Ministri, Direttore Prof. G. Serpelloni
presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Sezione di Psichiatria
di Pisa; i risultati dello studio saranno resi noti nel 2015
A.fata, Internet Addiction Disorder. Una review, 2012 (http://www.psychiatryonline.it/node/2031)
V. il già citato Progetto IAD-U
http://netaddiction.com
Esiste un vero e proprio “vocabolario degli emoticon”; vedi in http://it.wikipedia.org/
wiki/Emoticon
Sinteticamente: sappiamo che la dipendenza si instaura quando la persona presenta
alcuni dei sintomi seguenti: trascorrere una grande quantità di tempo in rete perdendone la cognizione; presenza di irritabilità, aggressività e insofferenza quando si
viene interrotti o quando non si ha a disposizione il web; presenza di uno stato di
euforia durante la navigazione; uso del PC anche in contesti che non lo permettono;
trascuratezza verso gli impegni della vita quotidiana, come studio, lavoro, igiene
personale, amicizie e altre relazioni; comparsa di disturbi fisici quali perdita di peso
per ridotta nutrizione, disturbi del sonno, cefalea, problemi alla vista, enuresi notturna, sindrome del tunnel carpale, ecc. Alcune condizioni preesistenti, quali ansia,
depressione, stress, la presenza di un’altra condizione di dipendenza (alcol, droga,
gioco compulsivo), difficoltà relazionali, fobie o isolamento sociale, sono da considerarsi fattori predisponenti la dipendenza da internet (f.Tonioni, S.Corvino, Dipendenza da Internet e psicopatologia web-mediata, Recenti Prog Med 2011; 102: pp
417-420; vedi anche M.Nicoli, z.formella, Teen internet dependency. A research
conducted among young people in Rome, in Seminare. Learned Investigations,
35(2), 2014, pp 113-124, disponibile su www.ceeol.com)
La IAD racchiude in sé diverse forme e sottocategorie legate alla tecnologia e al
mondo della rete; tra le tante classificazioni proposte citiamo quella di Young: Gaming: dipendenza dai video giochi di rete; Virtual Sex, dipendenza dalla visione e
scambio di materiale pornografico e dalla frequentazione di chat per soli adulti, sesso
telematico; Social Networking, dipendenza dalle relazioni interpersonali virtuali;
Info-surfing, dipendenza dalla continua ed insaziabile ricerca di notizie su internet;
Net-compulsion, dipendenza dallo shopping online, dalle aste online, da eBay, dal
trading finanziario; Gambling, dipendenza dal gioco d’azzardo online, in http://netaddiction.com
La Regione Liguria possiede già, al momento della pubblicazione della L.189, la
L.R. 30 aprile 2012, n.18 Norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico; molte regioni emanano leggi sul gioco d’azzardo nel corso tra il
2013 ed il 2014: Regione Emilia Romagna L.R. del 04 luglio 2013, n. 5 Norme per
il contrasto, la prevenzione, la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico, nonché delle problematiche e delle patologie correlate; Regione
Lazio, L.R. 5 agosto 2013, n. 5 Disposizioni per la prevenzione e il trattamento del
gioco d’azzardo patologico (gap); Regione Puglia L.R. dicembre 2013, n.216 Contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico (gap); Regione Toscana, L.R.
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18 ottobre 2013, n. 57 Disposizioni per il gioco consapevole e per la prevenzione
della ludopatia; Regione Lombardia L. R. del 21 ottobre 2013, n. 8 Norme per la
prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico; Regione Piemonte L.R.
febbraio 2014, n.1; Regione friuli Venezia Giulia L.R. febbraio 2014, n.1; alcune
regioni si trovano al momento in fase di proposte di legge ancora da approvare (Veneto, Campania, Sardegna, Calabria, Sicilia)
Vedi ad esempio PSR Toscana 2008-2010 e Deliberazione Giunta Regionale Toscana
n.860 dell’ottobre 2009
Si citano il Dipartimento di Neuroscienze cliniche dell’università di Palermo, il Policlinico Gemelli di Roma e l’Università D’Annunzio di Chieti
Il Life Skills Training nasce come un programma di prevenzione all’uso e abuso di
sostanze dimostratosi efficace nel ridurre il rischio di abuso di alcol, tabacco e droghe
tra i preadolescenti e gli adolescenti. Il programma è stato sviluppato negli Stati
Uniti dal prof. Gilbert J. Botvin; I principali obiettivi del LST program sono: fornire
informazioni corrette utili per la prevenzione; fornire agli studenti la motivazione e
le abilità necessarie a resistere alla pressione dei coetanei e dei mass media verso
l’uso di droghe. Il LST agisce su componenti personali (immagine di sé e l’autostima), promuove abilità creative di risoluzione dei problemi, gestione dello stress
e della rabbia e sociali (superare la timidezza, costruire nuove relazioni, evitare comportamenti violenti).
UNPLUGGED è un programma di prevenzione scolastica dell’uso di sostanze basato sul modello dell’influenza sociale. Disegnato da un gruppo di ricercatori europei, è il primo programma europeo di provata efficacia; mira a migliorare il
benessere e la salute psicosociale dei ragazzi attraverso il riconoscimento ed il potenziamento delle abilità personali e sociali necessarie per gestire l’emotività e le
relazioni sociali, correggere le errate convinzioni dei ragazzi sulla diffusione e l’accettazione dell’uso di sostanze psicoattive e sviluppare un atteggiamento non favorevole alle sostanze.
La peer education (alla lettera “educazione tra pari”) è un metodo d’intervento utilizzato nell’ambito della promozione della salute e nella prevenzione dei comportamenti a rischio. In essa, alcune persone opportunamente formate (i peer educator)
intraprendono attività educative con altre persone loro pari, cioè simili a loro quanto
a età, condizione lavorativa, genere, entroterra culturale o esperienze vissute. Queste
attività educative mirano a potenziare nei pari le conoscenze e gli atteggiamenti che
consentono di compiere delle scelte responsabili e maggiormente consapevoli riguardo alla propria salute.
D.Candio, f.Alessandrini, G.zoccatelli, G. Serpelloni, Dipendenza da Internet: una
rassegna della letteratura sulle alterazioni funzionali e strutturali documentate dalle
neuroimmagini, in Neuroscienze delle dipendenze: il Neuroimaging, Presidenza del
Consiglio dei Ministri – Dipartimento Politiche Antidroga, Terza Edizione nov. 2012,
pp 479-489
Esperienze dal mondo anglosassone: nel 2006 prende avvio un importante e pionieristico progetto, il Meet Me: Making Art Accessible to People with Dementia, sostenuto dalla MetLife foundation e realizzato dal Museum of Modern Art di New York.
L’intervento è attuato dal Dipartimento Educativo del MoMA in favore di malati di
Alzheimer e loro caregivers; vi si organizzano incontri con questo “pubblico diverso” tracciati da temi preordinati e ritenuti utili in primis al miglioramento della
qualità della vita dei malati e dei loro familiari (riduzione dell’isolamento sociale o
dello stigma, riduzione dello stress), ma pensati anche per coinvolgere i partecipanti
in attività capaci di “risvegliare” emozioni, ricordi, frammenti delle storie della loro
vita, materiale emotivo e cognitivo che “trattiene” le persone con demenza di Alzheimer in contatto con la vita reale e rallenta l’evoluzione della malattia, che di per
sé comporta isolamento dovuto a perdita della memoria, dissipazione dei contenuti
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ideativi e cognitivi, vergogna, imbarazzo (vedi http://www.moma.org/meetme/resources/index#history, sito istituzionale del MoMA, e anche f. Rosenberg, The
MoMA Alzheimer’s Project: programming and resources for making art accessible
to people with Alzheimer’s disease and their caregivers, in “Arts&Health: An International Journal for Research, Policy and Practise”, 1(1), 2009, pp. 93-97). Il 22
marzo 2011 è stato organizzato presso il MoMA un convegno dal titolo Mapping
Perceptions: The MoMA Alzheimer’s, Project Summit con l’intento non soltanto di
presentare i “lavori in corso” del progetto, ma anche di illustrarne la riproducibilità
in altri contesti internazionali: http://www.moma.org/meetme/events/index#mapping. Inoltre in un’esperienza condotta congiuntamente tra fine 2009 e inizio 2010
da diversi enti - Kent & Medway National Human Services & Social Care Partnership Trust, Thanet Psychological Services for older & Home Treatment Service di
Ramsgate in Kent, Department of Applied Psychology in Canterbury, Christ Church
University di Tunbridge Wells, Kent, Department of Art Therapy, oxleas National
Human Services foundation Trust di Londra - soggetti con problemi mentali sono
stati condotti alla Tate Britain di Londra ed invitati ad osservare alcuni dipinti preventivamente selezionati perché ritenuti in grado di suscitare emozioni (vedi S. Roberts, P. M. Camic, N. Springham, New roles for art galleries: art-viewing as a
community intervention for family care of people with mental health problems, in
“Arts & Health: An International Journal for Research, Policy and Practise”, 3:2,
2011, pp. 146-159 e anche D. Shaer, K. Beaven, N. Springham, S. Pillinger, A. Cork,
J. Brew, Y. forshaw, P. Moody, Chris ‘S’, The role of art therapy in a pilot for artbased information prescriptions at Tate Britain, in “International Journal of Art Therapy: formerly Inscape”, 13:1, 2008, pp. 25-33)
E. Janniello, I musei tra terapia e integrazione sociale: esperienze con le ASL, tesi
di laurea in Scienze dei Beni Culturali, Università degli Studi di Pisa, Dipartimento
di civiltà e forme del sapere, abstract in https://www.academia.edu/7370251/Abstract-tesi-I_musei_tra_terapia_e_integrazione_sociale_Le_esperienze_con_le_asl
https://www.academia.edu/8097274/Progetto_fiamma_Pilota (progetto ideato e
condotto da E. Janniello) e http://www.ceispt.org/progetti/5-progetti.html (sito ufficiale del Centro di Solidarietà di Pistoia)
Roberts e Camic chiariscono bene la differenza tra arteterapia e fruizione dell’arte:
“Use of art as a tool within therapy is not a new idea, although it has primarily been
art that has been made by patients and clients rather than art that has been viewed
from gallery collection.” S. Roberts, P. M. Camic, N. Springham, New roles for art
galleries: art-viewing as a community intervention for family cares of people with
mental health problems, in “Arts&Healt. An International Journal for Research, Policy and Practice”, III, 2, 2011, pp 146 e 157
AA.VV., Il ruolo dell’Arte e dell’Ambiente nella cura dei pazienti in ospedale, Atti
del Simposio, 30 novembre 2012, Milano, fondazione Bracco, 2013
148
3a - L’esperienza del Policlinico A. Gemelli di Roma
di Claudia Di Lorenzi
ospitato nel Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma,
presso il Day Hospital di Psichiatria Clinica e Tossicodipendenze,
l’Ambulatorio dedicato alla cura degli Internet Addiction Disorders
(IAD) rappresenta oggi punto di riferimento nazionale nel trattamento
e nella prevenzione delle cosiddette “patologie web mediate”, nonché
un centro d’avanguardia a livello internazionale. Inaugurato nel novembre 2009, l’Ambulatorio è guidato dallo psichiatra federico Tonioni, ricercatore e dirigente medico presso l’Istituto di Psichiatria e
Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Il centro, nato per iniziativa dello stesso Dr. Tonioni, offre un trattamento integrato contro l’IAD, ed in particolare servizi di valutazione
clinica, trattamenti farmacologici, colloqui di motivazione al trattamento riabilitativo, gruppi di trattamento riabilitativo, follow-Up e valutazione degli esiti.
Dall’avvio delle attività, circa cinque anni fa, l’Ambulatorio ha preso
in carico oltre 700 pazienti, di cui l’80% adolescenti dagli 11 ai 24 anni, per lo più di sesso maschile, fruitori di chat, social network e giochi
di ruolo. Il restante 20% è composto da adulti, e nel loro caso il comportamento patologico si traduce in un numero eccessivo di ore trascorse in Internet, navigando fra siti che consentono il gioco d’azzardo
e la fruizione di materiale pornografico: alcuni soggetti arrivano a perdere il posto di lavoro e a compromettere in maniera significativa il
benessere e l’unità familiare. Si tratta di numeri in crescita costante,
visto il dilagare progressivo delle patologie legate all’uso di Internet,
rilevato da studi italiani ed internazionali.
“I nostri giovani pazienti passano connessi ad Internet tutto il tempo disponibile, nei casi più gravi fino a 18 ore al giorno – racconta il Dr. Tonioni - hanno nella maggior parte dei casi compromesso il proprio iter
scolastico o universitario, presentano stati dissociativi prima rispetto al
corpo fisicamente inteso e poi a carico della propria identità, e manifestano un incremento dell’ideazione paranoidea, una difficoltà specifica nel
vivere le emozioni e quindi la comunicazione non verbale, fino ad un
progressivo ritiro sociale. Ci sono capitati ragazzi che al mattino dovevano essere vestiti dai genitori perché non si staccavano più dallo scher149
mo”. Ragazzi che non hanno la consapevolezza di avere un problema,
tanto che “spesso vengono scortati dai genitori presso il nostro ambulatorio dove poi, nella maggior parte dei casi, tornano spontaneamente”.
Proprio il contesto familiare viene chiamato in causa per spiegare la
genesi della dipendenza da Internet. L’esperienza clinica porta federico Tonioni (Tonioni., f., 2011), ad osservare che tale dipendenza “ha
una genesi complessa, spesso multifattoriale che si sviluppa in un contesto di sostanziale infelicità, una sorta di depressione mascherata, che
si appropria di atteggiamenti compulsivi, e che porta ad un progressivo ritiro sociale. Genericamente si potrebbe definire una malattia delle
emozioni, o meglio della comunicazione emotiva. I suoi presupposti si
radicano nella mancanza di continuità nel vissuto affettivo che lega
ogni bambino all’ambiente in cui è chiamato a crescere”. Il coordinatore dell’Ambulatorio romano spiega che “chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma soffrire di meno, e
che la droga per il tossicodipendente come il video poker per il giocatore d’azzardo non sono desideri ma bisogni che a volte travalicano la
forza di volontà e la logica del pensiero. Sviluppare nel corso degli anni una dipendenza patologica significa cercare di sopravvivere ad una
minaccia più grande, che lo stesso dipendente avverte senza però esserne del tutto consapevole. Nella dipendenza patologica, l’inclinazione della nostra naturale tendenza all’assuefazione diventa compulsione e non desiderio, allo scopo di invadere la totalità dei pensieri e tenere lontano dalla coscienza contenuti più dolorosi”.
Per comprendere come si realizza questo distacco dai contenuti dolorosi Tonioni utilizza il concetto di dissociazione emotiva, che per effetto
produce anche una dissociazione mente-corpo: “Quando si trascorre
gran parte dei propri giorni davanti al computer, impermeabili al resto
del mondo, s’innesca un meccanismo di difesa adattivo che implica
l’esclusione dalla propria consapevolezza di emozioni e sensazioni fisiche caratterizzate da sofferenza. Attraverso questo meccanismo dissociativo l’individuo riesce a mantenere l’illusione di un controllo psicologico del proprio Io, mentre contemporaneamente prova una sensazione d’impotenza e di perdita di controllo sul proprio corpo. Difendersi non solo è legittimo ma fisiologico. facendo una considerazione generale, nel mondo degli adulti è naturale scoprirsi dissociati di fronte ad
un trauma importante, così come è altrettanto naturale che in adolescenza di fronte ad un episodio di bullismo o alla paura di un rifiuto si
150
attivi il meccanismo dissociativo. (…) così uno strumento che ci appare onnipotente come il computer può diventare una parte integrante di
noi come unico mediatore delle relazioni con gli altri, divenendo oggetto di dipendenza non per quello che è, ma per la funzione che assolve”.
fra i ragazzi che frequentano l’Ambulatorio del Policlinico Gemelli, il
Dr. Tonioni distingue quelli “antisociali” da quelli “non-sociali”. I primi
si caratterizzano per un comportamento aggressivo che utilizzano come
ritorsione nei confronti del controllo dei genitori. I secondi sono spesso
persone molto fragili che vedono in Internet pressoché l’unico strumento di relazione sociale: qui l’assenza della dimensione corporale mette al
riparo dal rischio di manifestare la propria fragilità con comportamenti
imprevedibili come balbettii, rossori e movimenti goffi, ma favorisce allo stesso tempo un progressivo ritiro sociale che rischia di sfociare in
forme di dissociazione dalla realtà. Il dottor Tonioni definisce questi ragazzi “psicotici”: sul web non giocano a sparare agli zombie ma prediligono le chat dove può accadere che i giovani maschi si fingano donne.
“Queste persone non sono aggressive e hanno spesso problemi di identità - dice lo psichiatra - Internet li aiuta, altrimenti non parlerebbero con
nessuno”. E se i primi collaborano alla buona riuscita della terapia, i secondi sono più resistenti e la terapia a loro rivolta punta più sul sostegno
esterno che su un tentativo d’interpretazione del disagio.
Risulta chiaro che l’intervento sulle dipendenze non può che agire contemporaneamente su due livelli distinti: “qui al Gemelli la terapia consiste in due appuntamenti settimanali: una seduta individuale ed una di
gruppo - spiega il direttore dell’ambulatorio romano - Negli incontri collettivi si agisce sul sintomo che, nel caso degli adulti sono le ore di connessione mentre per gli adolescenti sono il rapporto con le emozioni”.
Gli incontri individuali sono invece l’occasione per rintracciare le ragioni
profonde del disagio: le patologie da dipendenza sono infatti sempre il
segnale di problemi più profondi, che non di rado nascono in famiglia e
sono “espressione di un vuoto che si cerca di colmare con la quantità, con
un consumo compulsivo che diventa una medicina, seppure temporanea”. Inoltre, racconta Tonioni, “Spesso al gruppo ci si giunge col tempo.
I ragazzi che arrivano all’ambulatorio non sanno più gestire il contatto
visivo, tantomeno un confronto diretto con più individui della loro età”.
Decisivi sono pertanto i percorsi terapeutici che coinvolgono tutto il nucleo familiare: “Qui vengono delle volte genitori ansiosi che portano i
151
loro figli e delle volte ci occupiamo anche dei genitori, più spesso dei figli. Ma i figli vengono sempre malvolentieri” racconta il Professor Tonioni. “Prima che curarli ci prendiamo cura di loro, ma solo se tornano
spontaneamente. E tornano spontaneamente i ragazzi che soffrono, dove si vede il dolore mentale connesso al ritiro sociale”. fortunatamente
il percorso di cura dei ragazzi offre buone chance di guarigione: “Con
gli adolescenti – spiega l’esperto – si possono fare anche piccoli miracoli, perché è come mettere le mani nella creta fusa. Spesso l’adolescente
non ha bisogno di fare un percorso chissà quanto lungo ma semplicemente di essere indirizzato su un binario più naturale e fisiologico che
percorrerà poi da solo”. Un percorso che si sviluppa però in maniera assai graduale e che il più delle volte vede l’approdo al contesto di gruppo
solo in una fase terapeutica avanzata: spesso accade che i ragazzi che si
affacciano alla cura per la prima volta non solo appaiono in difficoltà nel
confronto diretto con individui della loro età, ma addirittura fanno fatica
a gestire il contatto visivo. Tonioni racconta la storia di due ragazzini
che “per diverse sedute si sono seduti accanto senza mai guardarsi ma
fissando dualmente la psicologa come se fosse uno schermo”, e che dopo sei mesi giocavano a carte in attesa di cominciare l’appuntamento.
Rispetto alla terapia che coinvolge i genitori dei ragazzi dipendenti, gli
esperti dell’Ambulatorio romano raccontano che accanto al lavoro del
medico importante è anche il confronto che avviene nel gruppo fra genitori o coppie di genitori che si scambiano consigli pratici su come aiutare
i rispettivi figli. E decisivo è ovviamente il confronto genitori-figli: un
dialogo franco che serve a far emergere il disagio del ragazzo e ad accompagnarlo verso la progressiva apertura al mondo, e che muove necessariamente dal riconoscimento di eventuali responsabilità dell’adulto.
Risulta chiaro pertanto che i genitori hanno un ruolo decisivo anche
sul fronte della prevenzione. Spiega il Dr. Tonioni che “il gap generazionale non è una distanza fisica ma è un senso di distanza. Per cui bisogna provare a prevenirlo quando i bambini sono piccoli e magari
compiacersi meno per quanto è bravo il figlio al computer e interessarsi di più di ciò che il figlio fa. A volte basta frapporsi anche solo per un
attimo fra i bimbi e lo schermo, sciogliendo questa sorta di dissociazione che il bimbo ha davanti allo schermo digitale interattivo, per
chiedere semplicemente cosa stai facendo”.
A ben vedere sono in molti, fra i genitori, ad usare il pc come “bambi152
naia”: è il ruolo affidato fino a ieri alla tv. Una scelta che tuttavia penalizza la relazione genitore –figlio, crea distanza e mina lo sviluppo
del bambino. “Quando diciamo che un figlio è al computer e non si vede e non si sente di fatto significa che non lo si pensa, che manca dalla
nostra mente. E questo non fa mai bene, perché sta al posto di quei
momenti di rispecchiamento emotivo che oggi, sempre più facilmente,
i piccolini vivono attraverso lo screen interattivo. Un rispecchiamento
emotivo che invece avveniva, a volte avviene e deve ancora avvenire
naturalmente, fisiologicamente, in maniera sana, con gli occhi di un
papà e di una mamma, e che sostanzialmente accade quando ci si guarda negli occhi e si pensa la stessa cosa. Se si ha uno schermo davanti
è ovvio che questo non accade”. E dove non c’è empatia subentra la
distanza emotiva. Una distanza che tra genitori e figli non può che essere dolorosa e potenzialmente patogena.
A volte – spiega la Dottoressa Daniela Maiuri che presso l’Ambulatorio per gli Internet Addiction Disorders segue i gruppi di terapia collettiva per genitori – la terapia inizia col trattamento dei genitori e solo in
seguito si estende ai figli: padri e madri “arrivano agitati, in ansia. Non
sanno che fare, vogliono che gli diciamo come devono comportarsi”, e
“le mamme si preoccupano più dei padri, sono loro ad andare per prime in terapia”. Talvolta, appunto, le seguono i figli, giovani Internet
addicted, ma solo se “se si riesce ad intercettarli”.
Spesso – racconta ancora la Dr.ssa Maiuri – ci si accorge che il disagio
dei figli nasce da problematiche di coppia tra i genitori o in esse trae alimento. I colloqui terapeutici diventano così un’occasione per affrontarle. Infine, altrettanto proficuo è lo scambio di esperienze che si realizza
fra genitori di ragazzi dipendenti: “Il confronto reciproco fra le persone
che arrivano da me fa anche più di quello che posso fare io”, dice la dottoressa, “si danno un gran sostegno e si scambiano consigli pratici”.
BIBLIOGRAFIA
Tonioni federico “Quando Internet diventa una droga” (Einaudi, 2011)
153
3b - L’esperienza dell’Ospedale Villa Santa
Giuliana di Verona
di Daniela zambonini
Una realtà quasi unica nel panorama della cura psichiatrica nel nord
Italia è rappresentata dall’ospedale Villa Santa Giuliana dell’Istituto
Sorelle della misericordia di Verona.
L’area adolescenti, suddivisa in ricovero e centro diurno ne è il fiore
all’occhiello, tanto che nel 2012 è stata riconosciuta dalla Regione Veneto centro di riferimento nazionale per la terapia psichiatrica degli
adolescenti.
Villa Santa Giuliana è infatti il solo ospedale che opera un percorso
riabilitativo e per questo è classificato “per la riabilitazione psicosociale” un campo in cui opera da ormai 60 anni. Dirige questo servizio
di riabilitazione per adulti e adolescenti Amedeo Bezzetto, psicologo a
capo anche del centro diurno.
Qui, sulle colline veronesi, oltre agli adulti vengono accolti preadolescenti e adolescenti in difficoltà dai 13 ai 23 anni, la fascia di età classificata “adolescenza” dall’organizzazione mondiale della sanità.
Ed è proprio questa specificità a determinare il valore dell’offerta
ospedaliera: i servizi in Italia infatti vengono classificati per “adulti” a
partire dai 18 anni, offrendo purtroppo modalità di cura non a misura
di adolescente ma di adulto, spesso in contesti poco adatti alle esigenze sociali e relazionali di chi si trova in una delle “tappe” tra le più delicate della vita.
La struttura ospedaliera è suddivisa in 4 reparti di degenza, di cui tre
per adulti e uno per ragazzi e ragazze, tutti rivolti a persone che si trovano nella fase post-acuta della malattia, per esempio dimesse da un
reparto ospedaliero o che non hanno necessità di una comunità terapeutica ma che non sono ancora in grado di reinserirsi nel loro contesto familiare o lavorativo.
Si tratta di giovani per lo più spinti dalle famiglie in seguito a forti fallimenti scolastici e relazionali anche se questo non significa che non ci
154
fossero comportamenti “anomali” in precedenza. Per esempio, spiega
Amedeo Bezzetto, “il ragazzo può presentare una criticità nei comportamenti evolutivi, non esce più di casa, può avere squilibri alimentari,
nelle attività fisiche (inesistenti), negli aspetti relazionali e nei comportamenti di tipo sessuale; può essere depresso o compiere atti autolesivi, presentare problemi di tipo psicotico o fare uso di sostanze psicoattive (alcol e droghe). Infine, va male a scuola”.
Ma come vengono trattate qui le “dipendenze da internet”, se così le
possiamo chiamare?
“Per noi la dipendenza da internet può essere sintomo di un quadro di
personalità dipendente – afferma Bezzetto -, oppure di una personalità
con disturbi di tipo affettivo che si lega ad un sistema, in questo caso
internet, con piacere e interesse monotematico”.
“Il problema comunque non è internet ma i bisogni, anche propri della
fase evolutiva che i ragazzi attraversano e che si cerca di soddisfare in
rete, utilizzata come meccanismo di difesa e autosoddisfazione”, continua Bezzetto. “Bisogni di tipo “evolutivo” normali come il relazionarsi, la sessualità, trovano uno strumento lussuoso dal punto di vista
della gratuità del web”. “Certo è che questi ragazzi rischiano molto sul
web, pensiamo per esempio all’impatto della violenza, è elevatissimo
e porta conseguenze dannose”.
È possibile individuare le caratteristiche di chi ha più probabilità di cadere nella rete delle dipendenze da internet? “Nella maggior parte dei
casi sono persone chiuse e presentano una fragilità propria, non hanno
la capacità di ristabilire un equilibrio che si è interrotto oppure non riescono a tollerare il passaggio all’adolescenza e non chiedono aiuto”,
spiega Marco Previdi, psichiatra del reparto di degenza che opera in
sinergia con Bezzetto. Possono qui rientrare anche i problemi di bullismo, per cui il bullo “attacca nell’altro le parti deboli di sé che non riesce a tollerare” tentando di distruggere le proprie fragilità”.
Per questo è così importante l’attività di gruppo tra coetanei, insieme a
tante altre attività proposte in fase di riabilitazione. Ma come funziona
il servizio di cura e riabilitazione psichiatrica in adolescenza? Sono tre
i servizi: ambulatorio (colloqui), centro diurno (attività varie di gruppo) e ricovero (degenza). La prima domanda di aiuto viene accolta
155
dall’ambulatorio. Qui, dopo un ascolto attento, si formula un piano di
lavoro efficace, molto spesso in rete con i servizi sociosanitari di appartenenza ed eventualmente da sostenere nei contesti sociali del ragazzo (famiglia, scuola, parrocchia, gruppi di aggregazione). Lo specialista può quindi indicare un percorso terapeutico di colloqui o richiedere un approfondimento medico oppure un ricovero ospedaliero
– nei casi di ragazzi bisognosi di un luogo protetto perché in gravi sofferenze o a rischio per la vita -, oppure un percorso riabilitativo diurno. “La riabilitazione prevede tutta una serie di attività che sviluppano
la potenzialità e la creatività e che aiutino a far emergere nei ragazzi
tutto ciò che hanno di vitale”, spiega Previdi. Gli adolescenti vengono
infatti coinvolti quotidianamente in una terapia specializzata per loro e
arricchita quindi con modalità comunicative e relazionali centrate sugli interessi del mondo giovanile.
Attraverso l’arteterapia, l’ippoterapia, la musicoterapia, le attività e i
colloqui di gruppo, si cerca di ricostruire quello “strappo” nel normale
percorso evolutivo che ha causato tanta sofferenza e ristabilire - o realizzare ex novo - un legame sano con la quotidianità. L’obiettivo è aiutare a sviluppare il coraggio di affrontare i problemi e le sfide che la
realtà comporta, soprattutto quelle di una realtà che tende ad emarginare. Il percorso riabilitativo può durare diversi mesi, mentre il ricovero fino ad un massimo di tre mesi per la Regione Veneto.
In questo quadro, del ruolo fondamentale della famiglia e dei genitori,
parla Stefania Donà, psicologa e psicoterapeuta presso l’ambulatorio
adolescenti.
“Le dipendenze? I ragazzi vengono abituati ad avere tutto subito, crescono con l’idea che non ci si può annoiare – spiega -, ma annoiarsi fa
parte dello stare insieme. Si vuole la felicità dei figli, ma cos’è realmente? Si crede erroneamente che il figlio non debba mai essere frustrato,
avere dei limiti ma queste sono tutte cose che fanno parte della vita”.
“Dai colloqui con i ragazzi – continua Donà - noto una difficoltà nella
comunicazione in famiglia, non si è abituati a stare insieme genitori e
figli, a fare commenti sulle cose belle, a discutere, alla fatica del dialogo, all’amicizia, allo scambio...al fare le cose insieme”.
Infine, ma non per grado di importanza, l’approccio scolastico. Sareb156
be utile che la scuola intervenisse su quanto accade ai ragazzi? “Sì –
afferma Previdi -, sarebbe opportuno inserire delle ore per discutere di
tecnologie ma parlare veramente, confrontandosi sui valori e la bellezza delle possibilità ma anche sulla pericolosità del web, il che è molto
diverso dal fare la predica”.
“Gli adolescenti hanno bisogno di costruire uno stile personale rappresentativo della propria identità e cercano suggerimenti nel mondo
esterno dove le nuove forme di comunicazione - tv e internet - la fanno
da padroni: l’adolescente imita perché vuole essere come l’altro e fa
con quello che trova”, conclude Bezzetto, “inoltre nella nostra società
la rinuncia è vissuta come sconfitta, perdita”.
Giunti alla conclusione del percorso a Villa S. Giuliana cosa attende
questi ragazzi?
“Manca nel territorio di appartenenza un farsi carico di queste personalità più fragili, un luogo dove possano riprendere a cercare i propri
obiettivi evolutivi, relazionali affettivi e cognitivi – constata Bezzetto
-. Si potrebbero per esempio creare figure di tutoraggio che accompagnino, come un “allenatore in seconda”, qualcuno che abbia un ruolo
sociale in una specifica comunità (sportiva, artistica o altro) e medi tra
gruppo e singoli in difficoltà”.
Quando il percorso a S.Giuliana termina, questi ragazzi non “possono
essere rimessi sulla strada”, è necessaria una convalescenza a casa propria, protetti ma con persone normali a basso impatto di stress in cui il
risultato non sia la prima finalità. E questa non è una società attrezzata”.
Certo, collaborare al delicato processo di formare l’uomo implica responsabilità e impegno. Villa Santa Giualiana a Verona pone al centro
di tutto la persona, la sua sofferenza per alleviarne il dolore e possibilmente, per eliminarne le cause, un impegno perchè l’uomo “conosca e
realizzi sé stesso secondo i valori umani e cristiani”.
L’ospedale Villa Santa Giuliana conta 700 ricoveri l’anno, dei quali
un centinaio riguardano adolescenti. Dal centro diurno adolescenti (14
letti) transitano tra i settanta e gli ottanta ragazzi ogni anno.
157
3c - L’esperienza pilota nell’area pistoiese
di Elena Janniello
Nel periodo 2011-2013 il Ser.T. di Pistoia ha dato vita ad un programma sperimentale di promozione culturale, rivolto agli utenti del servizio, con l’intento di arricchire ed integrare i percorsi assistenziali standard di tipo farmacologico, psicologico o sociale. L’idea aveva preso
le mosse da analoghe iniziative dei Servizi Educativi di alcuni prestigiosi musei internazionali1, da una ricerca sulla collaborazione tra
Musei e SSN in Italia2 e da un programma per tossicodipendenti, denominato “fiamma Pilota”, attuato a partire dall’anno 2010 presso
una comunità terapeutica pistoiese3.
Il laboratorio culturale si proponeva di promuovere la fruizione di
opere d’arte e la condivisione di temi culturali con utenti del Ser.T. Intendeva quindi superare (ma non escludere del tutto) gli approcci all’arte più tradizionali, con un passaggio da una attività a tipo atelier tipica dell’arteterapia - dove il partecipante è chiamato a produrre un
suo manufatto, ad una attività di ricezione di opere4.
Il laboratorio, condotto in collaborazione con due comunità terapeutiche presenti in Pistoia (Centro di Solidarietà e Coop. Sociale Incontro)
si sviluppava in step:
• Preparazione di visite guidate ‘ad hoc’ a mostre e musei nel territorio toscano da parte dell’operatore culturale. Le mostre erano selezionate da una équipe composta da medico, educatore, psicoterapeuta e operatore culturale, così che la scelta cadesse su quegli eventi
più consoni al tipo di utenza e agli obiettivi della sperimentazione
• Stampa e diffusione di locandina relativa alla mostra di volta in volta selezionata, con indicazione del giorno previsto per la visita
• 1-2 incontri preparatori con gli utenti, prima della visita, finalizzati a
rendere più attiva la loro partecipazione alla mostra. In tali incontri
si proponevano elementi utili sia ad una piena fruizione della mostra
(utilizzando materiale cartaceo, fotografico, audio-visivo preventivamente preparato e lezioni frontali centrate su un percorso concettuale e propedeutiche alla comprensione della mostra), sia capaci di
evocare nel fruitore momenti emotivi e di conoscenza di sé stesso,
così che la mostra rispecchiasse il suo vissuto storico. Elemento importante degli incontri e delle visite alle mostre era infatti la partecipazione attiva degli utenti stessi
158
• Visita guidata con condivisione delle emozioni suscitate dalle opere
e discussione di gruppo, compilazione di questionari sulle impressioni ed emozioni provate; utenti in piccoli gruppi di 5-6 persone
• feed-back all’équipe
Elenco delle mostre o musei visitati:
– Museo Marino Marini, Pistoia
– RUGGITo Antonio Ligabue: la lotta per la vita, firenze, Galleria
d’arte moderna – Palazzo Pitti
– Joan Mirò. I miti del Mediterraneo, Pisa, Palazzo Blu
– firenze, Caravaggio e caravaggeschi a firenze, firenze, Galleria
Palatina – Palazzo Pitti
– Visita del Palazzo Vecchio, firenze
– Viaggio in Italia. Sguardi internazionali sull’Italia contemporanea,
Pistoia - Palazzo fabroni
– Jean Dubuffet e l’Italia, Lucca – Lu.C.C.A.
– Museo Alinari, firenze
– Damien Hirst - for the love of God, firenze - Palazzo Vecchio
– Picasso Mirò e Dalì. Giovani e arrabbiati: la nascita della modernità,
firenze - Palazzo Strozzi
– Picasso “Ho voluto essere pittore e sono diventato Picasso”, Pisa –
Palazzo Blu
Gli obiettivi del laboratorio culturale erano:
– rendere la fruizione delle varie forme d’arte libera e comprensibile
per tutti (anche per persone “non acculturate”, di diverse estrazioni
sociali o portatrici di qualche forma di disagio psichico) e in modo
più consapevole e partecipato
– trasmettere valori educativi attraverso una socializzazione all’arte
– stimolare il desiderio di ampliare le proprie conoscenze
– promuovere la crescita personale “sostituendo” ai comportamenti
legati alla dipendenza dei comportamenti sani, sicuri ma altrettanto
piacevoli e gratificanti
L’idea di “utilizzare l’arte” come “sostitutivo” sano di comportamenti
di dipendenza scaturisce dalle molte evidenze scientifiche degli ultimi
anni, in particolare il legame tra le droghe ed il fisiologico e naturale
sistema del piacere e della ricompensa, presente in ogni persona. Si
159
osserva anche che molti degli approcci farmacologici nelle tossicodipendenze hanno come razionale il “sostituire” la sostanza abusata con
un farmaco dalle proprietà simili e similmente gratificanti (vedi il metadone per l’eroina o i cerotti alla nicotina per il tabacco); allo stesso
modo, in certe patologie a carattere psichiatrico, per combattere l’insufficiente produzione cerebrale di neurotrasmettitori gratificanti, la
farmacopea offre medicinali che, avendo proprio la capacità di aumentare l’attività di tali neurotrasmettitori, in fondo si comportano come “sostitutivi” nel fornire il senso di gratificazione deficitario.
L’approccio culturale sperimentato nell’area pistoiese, essendo rivolto
indistintamente a tutti gli utenti del Ser.T., non era centrato specificatamente su persone affette da dipendenza da internet. In ogni caso ai
vari gruppi hanno partecipato soggetti che presentavano più di una dipendenza: in diverse situazioni erano co-presenti una dipendenza da
sostanze ed il gioco d’azzardo oppure, in persone molto giovani, una
net-addiction e un consumo di cannabis o di droghe sintetiche.
I risultati della sperimentazione, che saranno più estesamente descritti
in un prossimo lavoro, sono stati incoraggianti e l’équipe ha apprezzato la costanza e la partecipazione attiva con cui gli utenti hanno frequentato il laboratorio. Il laboratorio, crediamo, ha avuto anche un occhio rivolto al futuro, alla net-generation di oggi (qualcuno la definisce “2.0”) e forse anche a quella “3.0” che verrà. Altri studiosi, sociologi, psicologi e psichiatri, stanno iniziando ad esaminare questo tipo
di approccio, conferma indiretta del contenuto innovativo della sperimentazione pistoiese5.
NOTE:
1
Esperienze dal mondo anglosassone: nel 2006 prende avvio un importante e pionieristico progetto, il Meet Me: Making Art Accessible to People with Dementia, sostenuto dalla MetLife foundation e realizzato dal Museum of Modern Art di New York.
L’intervento è attuato dal Dipartimento Educativo del MoMA in favore di malati di
Alzheimer e loro caregivers; vi si organizzano incontri con questo “pubblico diverso” tracciati da temi preordinati e ritenuti utili in primis al miglioramento della
qualità della vita dei malati e dei loro familiari (riduzione dell’isolamento sociale o
dello stigma, riduzione dello stress), ma pensati anche per coinvolgere i partecipanti
160
2
3
4
5
in attività capaci di “risvegliare” emozioni, ricordi, frammenti delle storie della loro
vita, materiale emotivo e cognitivo che “trattiene” le persone con demenza di Alzheimer in contatto con la vita reale e rallenta l’evoluzione della malattia, che di per
sé comporta isolamento dovuto a perdita della memoria, dissipazione dei contenuti
ideativi e cognitivi, vergogna, imbarazzo (vedi http://www.moma.org/meetme/resources/index#history, sito istituzionale del MoMA, e anche f. Rosenberg, The
MoMA Alzheimer’s Project: programming and resources for making art accessible
to people with Alzheimer’s disease and their caregivers, in “Arts&Health: An International Journal for Research, Policy and Practise”, 1(1), 2009, pp. 93-97). Il 22
marzo 2011 è stato organizzato presso il MoMA un convegno dal titolo Mapping
Perceptions: The MoMA Alzheimer’s, Project Summit con l’intento non soltanto di
presentare i “lavori in corso” del progetto, ma anche di illustrarne la riproducibilità
in altri contesti internazionali: http://www.moma.org/meetme/events/index#mapping. Inoltre in un’esperienza condotta congiuntamente tra fine 2009 e inizio 2010
da diversi enti - Kent & Medway National Human Services & Social Care Partnership Trust, Thanet Psychological Services for older & Home Treatment Service di
Ramsgate in Kent, Department of Applied Psychology in Canterbury, Christ Church
University di Tunbridge Wells, Kent, Department of Art Therapy, oxleas National
Human Services foundation Trust di Londra - soggetti con problemi mentali sono
stati condotti alla Tate Britain di Londra ed invitati ad osservare alcuni dipinti preventivamente selezionati perché ritenuti in grado di suscitare emozioni (vedi S. Roberts, P. M. Camic, N. Springham, New roles for art galleries: art-viewing as a
community intervention for family care of people with mental health problems, in
“Arts & Health: An International Journal for Research, Policy and Practise”, 3:2,
2011, pp. 146-159 e anche D. Shaer, K. Beaven, N. Springham, S. Pillinger, A. Cork,
J. Brew, Y. forshaw, P. Moody, Chris ‘S’, The role of art therapy in a pilot for artbased information prescriptions at Tate Britain, in “International Journal of Art Therapy: formerly Inscape”, 13:1, 2008, pp. 25-33)
E. Janniello, I musei tra terapia e integrazione sociale: esperienze con le ASL, tesi
di laurea in Scienze dei Beni Culturali, Università degli Studi di Pisa, Dipartimento
di civiltà e forme del sapere, abstract in https://www.academia.edu/7370251/Abstract-tesi-I_musei_tra_terapia_e_integrazione_sociale_Le_esperienze_con_le_asl
https://www.academia.edu/8097274/Progetto_fiamma_Pilota (progetto ideato e
condotto da E. Janniello) e http://www.ceispt.org/progetti/5-progetti.html (sito ufficiale del Centro di Solidarietà di Pistoia)
Roberts e Camic chiariscono bene la differenza tra arteterapia e fruizione dell’arte:
“Use of art as a tool within therapy is not a new idea, although it has primarily been
art that has been made by patients and clients rather than art that has been viewed
from gallery collection.” S. Roberts, P. M. Camic, N. Springham, New roles for art
galleries: art-viewing as a community intervention for family cares of people with
mental health problems, in “Arts&Healt. An International Journal for Research, Policy and Practice”, III, 2, 2011, pp 146 e 157
AA.VV., Il ruolo dell’Arte e dell’Ambiente nella cura dei pazienti in ospedale, Atti
del Simposio, 30 novembre 2012, Milano, fondazione Bracco, 2013
161
3d - L’esperienza del Dipartimento
Dipendenze Patologiche della ASL di Bari
di Giuseppe Antonelli
È risaputo che tutti i fenomeni sociali vengono tollerati sino ad una
certa soglia di non preoccupazione sociale. Quello del GAP (Gioco
d’azzardo patologico) o comunemente detta ludopatia presenta una
caratteristica del tutto nuova rispetto ad altre dipendenze che abbiamo
conosciuto nel recente passato (alcolismo, tabagismo, tossicodipendenza). La novità è che questa volta lo Stato e le Istituzioni Centrali
invece di farsi attori di politiche di prevenzione e di deterrenza del fenomeno si fanno promotori se non incoraggiatori di questa nuova povertà anteponendo le esigenze di bilancio a quelle precipue di tutela e
salvaguardia della salute e del benessere psicologico dei propri cittadini. La battaglia di un Paese moderno contro il gioco compulsivo è una
questione di civiltà e le ragioni di bilancio non possono attenuare la responsabilità costituzionale dello Stato che deve ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo
della persona umana” (Art. 3 Co).
Uno “Stato coccodrillo”! Come altro definire uno Stato che da un lato
tollera ed incoraggia la pubblicità sul gioco d’azzardo e dall’altro invita le società del settore ad associare alle diffusive e penetranti campagna pubblicitarie claim in sottovoce che invitano a prestare “attenzione al gioco”. oppure allorquando lo Stato si fa poco esigente nel richiedere alle società del settore i 98,5 miliardi per contenziosi tributari, ridotti poi a 2,5, e infine si accontenta di un accordo transattivo di
appena 618 milioni, pudicamente definito “definizione agevolata” anziché col suo vero nome: condono.
oppure quando per rastrellare risorse per portare in porto il decreto
“salva Roma”, drena queste sottraendole ai Comuni che hanno intenzione di emettere provvedimenti tesi a ridurre la presenza di slot machine negli esercizi commerciali del loro territorio.
Da questi schizofrenici comportamenti istituzionali sembra che l’allarme che sale dalla società di un fenomeno che mina il benessere del
singolo e distrugge la solidità delle famiglie non preoccupi assolutamente i pensieri dei nostri legislatori. ormai l’indotto economico mos162
so dal triste fenomeno raggiunge cifre da doppia manovra finanziaria,
coinvolge una moltitudine di cittadini da far assumere al fenomeno vere e proprie caratteristiche emergenziali, stravolge il normale decorso
delle attività economiche a causa della deriva criminogena che il fenomeno trascina con se. È un fenomeno alquanto complesso che chiama
in causa una serie di soggetti impegnati tutti in una manovra sinergica
ed efficacemente convergente.
La comprensione del fenomeno per poterlo prevenire ed efficacemente contrastare passa attraverso un attento monitoraggio delle motivazioni e delle storie personali dei soggetti che cadono in questo tragico
circolo. È una attenta azione, questa, che viene svolta dagli Osservatori delle Dipendenze Patologiche che normalmente vengono istituiti presso i relativi dipartimenti delle Aziende Sanitarie Locali. È grazie
alle storie dei casi osservati dal Dipartimento Dipendenze Patologiche
messe a disposizione, in modo anonimo, dal Gruppo di Lavoro del Dipartimento Dipendenze Patologiche della ASL BARI, coordinato dal
Dott. Antonio Taranto, che è possibile esprimere alcune considerazioni sulla specificità del fenomeno e su alcune caratteristiche tipiche di
questa dipendenza sia territoriali che sociologiche.
– Non è quantificabile la correlazione esistente con la crisi economica
che le famiglie italiane stanno vivendo ma è evidente che il fenomeno del gioco d’azzardo patologico in tutte le sue articolazioni è in
una fase espansiva. Sempre più numerosi i soggetti coinvolti e la
speranza di dare “una sterzata alla propria vita” viene intercettata da
una efficace quanto subdola “facilità di accesso” e dalla diffusa penetrazione dell’offerta pseudoludica. La facile acquisizione del prodotto ludico e l’immediatezza della eventuale vincita, sono gli elementi su cui poggia una efficace azione persuasiva delle aziende che
gestiscono questa lucrosa attività. ormai non esiste luogo da noi frequentato che non disponga in bella vista e a portata di mano questi
subdoli strumenti che possono “cambiarti la vita”. Edicole, tabaccherie, supermercati, stazioni ferroviari e metropolitane, uffici postali, box in posti nevralgici delle nostre città, sale bingo, sale videolotterie, centri SNAI, a cui si aggiunge la sempre più invasiva modalità online della nuova produzione. Pare evidente che in un “ambiente” così vivace e in presenza di una offerta sempre più spregiudicata
la domanda viene stimolata ed intercettata. Paradossalmente a questa domanda, che è un vero e proprio “grido d’allarme”, la spia di un
163
malessere sociale, si risponda con assecondarla, anzi coccolarla, in
considerazione dell’alta redditività che essa produce.
– È diffusa convinzione che questa dipendenza non conosce differenze sociali ma che “contagia” tutti i ceti e le condizioni sociali. Non
abbiamo elementi per un confronto con altre realtà italiane ma l’analisi delle storie esaminate evidenziano una caratteristica sostanzialmente “classista” del fenomeno. I soggetti e l’umanità coinvolta
quasi sempre provengono da classi sociali non agiate e meno tutelate
e con una “impalcatura” scolastico-culturale piuttosto debole. Sono
gli operai precari, i disoccupati, le casalinghe, i pensionati in perfetta solitudine, i giovani poco scolarizzati ed in cerca di occupazione,
i cd. soggetti marginali largamente intesi, i maggiori fruitori di questi prodotti che grazie al “colpo di fortuna” potrebbero cambiare la
propria vita di stenti e sacrifici. Questo aspetto, é tristemente ironico
ammetterlo, evidenzia un ennesimo “social divide” anche nella dipendenza. Il “dipendente” agiato è un assiduo frequentatore del Casinò mentre il “dipendente” povero si ripiega sulla slot machine del
Bar dello Sport. Ciò accentua la marginalità e la considerazione sociale dei soggetti coinvolti.
– Altro elemento abbastanza diffuso che emerge dall’analisi dei casi
di storie esaminate è che l’iperbole patologica della dipendenza sfocia quasi sempre in situazioni di indebitamento economico che presuppongo il ricorso obbligato a opache società finanziarie o ad usurai. La condizione di indebitamento per senso di vergogna è sempre
tenuta privata, diventa condivisa con il famigliare solo quando questa diventa ingestibile ed esplosiva. Anche gli importi delle somme
“prestate” vanno assumendo livelli sempre più considerevoli raggiungendo numeri impensabili sino a qualche anno fa. Non di rado il
debito contratto prosciuga i risparmi di una vita o dissolve l’attività
artigianale costruita con tanti sacrifici. Quella del ricorso agli usurai
è una strada senza uscita che richiede la gestione dell’incresciosa situazione da parte di mani e Associazioni specificatamente a ciò dedite. Meritoria è in Provincia di Bari l’azione svolta dalla fondazione Antiusura “San Nicola e Santi Medici” presieduta da Monsignor
Alberto D’Urso. La sua azione è stata profetica nell’intuire il pericoloso fenomeno e nel lanciare, sin dal 1995, il grido d’allarme e costituendo, unitamente a Padre Massimo Rastrelli, la Consulta Nazionale Antiusura.
164
– Altra considerazione che è possibile trarre dall’analisi delle storie
esaminate è quella che ci si trova di fronte ad un fenomeno che mostra caratteristiche e “modalità carsiche”. Nel senso che le persone
coinvolte sono progressivamente e “dolcemente” arruolate in questo
giro infernale. La progressione patologica, inizialmente sottovalutata, spiccatamente ludica e diversiva, entra gradualmente nelle vene e
per senso di vergogna o per non compromettere la propria stima sociale o reputazionale viene gelosamente privatizzata. L’insorgenza
di sintomi non più gestibili e occultabili inducono il soggetto a rendere pubblica la dipendenza e solo l’amorevole condivisione famigliare può dimostrarsi un efficace antidoto per l’uscita dal tunnel.
Pare che a differenza di altre storiche dipendenze quella della “guarigione” dalla ludopotia sia quella che annovera un più alto numero
di successi se non sottovalutata sin dal suo sorgere, professionalmente governata e amorevolmente accompagnata. Per questo occorre che la questione non venga socialmente sottaciuta e istituzionalmente sottovalutata. I costi sociali di questa “nuova povertà” si rilevano sempre più considerevoli e uno Stato moderno non può tollerare, peggio agevolare, questa schiavitù sociale legalizzata.
A conclusione di queste sintetiche ed immediate considerazioni non
possiamo esimerci dall’esprimere una forte preoccupazione circa le
dimensioni del fenomeno e la velocità di propagazione che ancorché
indicatore di una strutturale crisi economica è una eloquente spia di un
grande e diffusa solitudine sociale. Condizione questa arginabile solo
con comunità vive e presenti, ricche di iniziative socializzanti, di progettazioni urbanistiche dal volto umano, di intelligenti politiche di inclusione sociale, di coinvolgenti programmazioni culturali e di validi
sostegni all’associazionismo e al volontariato. Enormi, quindi, le responsabilità Istituzionali centrali e periferiche (Ministeri, Regioni,
Ambiti Sociali di zona, Comuni) e delle organizzazioni sussidiarie od
informali dedite a combattere questa moderna piaga sociale. Giova ricordare a tal proposito la grande e preoccupata attenzione che la Chiesa Italiana ha dedicato al fenomeno sin dai primi sintomi, segno evidente dell’urgenza e del grido d’aiuto che saliva dai confessionali ancor prima che dalle diagnosi specialistiche. Con molta efficacia e determinazione il Cardinal Angelo Bagnasco fa notare che “una società
moderna non può assolutamente reggersi sull’azzardo che spinge a
giocarsi tutto sulla fortuna, su un’ipotesi, su una probabilità”. Notiamo che anche nelle Istituzioni sta crescendo la consapevolezza di tro165
varci di fronte ad un fenomeno sociale preoccupante per cui auspichiamo che sempre più Regioni legiferino su questa materia predisponendo norme che coniughino prevenzione, dissuasione e repressione della
dipendenza. Importante ruolo lo possono giocare i Comuni prevedendo alleggerimenti o penalizzazioni tributarie per quei esercizi commerciali che decidono di rimuovere dai loro locali modalità e strumenti dediti al gioco d’azzardo e rendendo più severe le normative per
l’apertura di nuove sale gioco.
A fronte di questa sempre più vasta consapevolezza locale non possiamo non registrare, invece, una insostenibile tiepidezza centrale preoccupata più dell’erario che della serenità famigliare degli italiani.
È una tiepidezza istituzionale che si serve o colpevolmente tollera un
macroscopico inganno lessicale. occorre dire con chiarezza e con vigore che l’azzardo non è affatto un gioco e che le varie e accattivanti
formule (Gratta e Vinci, Vinci Casa, Vivere alla Grande o Win For Life
(con vincita di un vitalizio), o i suadenti spot (Ti piace vincere facile?)
bisogna chiamarle con il loro vero nome: pubblicità ingannevole.
Qui è doveroso quanto necessario un autorevole intervento delle Autorità Garanti (Comunicazioni e Concorrenza e Mercato) e un loro chiaro ed inequivocabile schieramento: dalla parte dei più deboli caduti in
questo baratro e delle loro famiglie che vivono il dramma di questa
nuova povertà che caratterizza l’epoca in cui viviamo.
166
L’iniziativa della Chiesa cattolica
di Domenico Infante
4.4. La formazione dei giovani attraverso i genitori
e gli educatori
La Chiesa è senza dubbio il primo organismo che si è posto il problema
della formazione all’uso dei mezzi di comunicazione da parte degli
utenti, in particolare a quelli più giovani. Non a caso sin dal 1963 il problema è stato posto dai padri conciliari del Vaticano II i quali nel loro
Decreto conciliare Inter Mirifica, (1) al numero, 5 scrissero: “È anzitutto necessario che tutti gli interessati si formino una retta coscienza circa
l’uso di questi strumenti, soprattutto a proposito di alcune questioni oggi particolarmente controverse”. Subito dopo, al numero 10, si parla
della formazione delle giovani generazioni e del ruolo che in questo
campo devono svolgere gli educatori e i genitori nella vigilanza: “Gli
utenti, particolarmente i giovani, si addestrino ad un uso moderato e disciplinato di questi strumenti; cerchino inoltre di approfondire le cose
viste, udite, lette; ne discutano con i loro educatori e con persone competenti, e imparino a formarsi un giudizio retto”. Infine, al numero 16,
si fa riferimento al retto uso degli strumenti della comunicazione sociale
e alla loro diffusione nelle scuole cattoliche e in altri luoghi frequentati
dai giovani: “Il retto uso degli strumenti della comunicazione sociale,
che sono a disposizione di utenti diversi per età e preparazione culturale, esige un’adatta e specifica formazione teorica e pratica di questi ultimi. Perciò le iniziative atte a questo scopo - soprattutto se destinate ai
giovani - siano favorite e largamente diffuse nelle scuole cattoliche di
ogni grado, nei seminari e nelle associazioni dell’apostolato dei laici”.
Grande lungimiranza della Chiesa, continuata con Giovanni Paolo II
che è stato un grande comunicatore ed ha traghettato la Chiesa nell’epoca moderna della comunicazione con intuizioni personali, con
documenti magisteriali, con il dialogo con tutti. Un esempio magnifico di questo dialogo, che è stato un caposaldo della comunicazione
con i giovani e dei giovani nella Chiesa, è stata l’enciclica Redemptoris missio (2) del 1990 nella quale Papa Wojtyla, al numero 37, evidenzia il vero valore del cambiamento indotto dai nuovi mezzi di comunicazione: “Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della
comunicazione, che sta unificando l’umanità, rendendola - come si
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suol dire - “un villaggio globale”. I mezzi di comunicazione sociale
hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale
strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato da essi”. Ed ancora, in passo
successivo, mette bene in evidenza che l’impegno della Chiesa nei
mass media “non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta
di un fatto più profondo, perché l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal loro influsso”. Quindi, siamo di
questo mondo e dobbiamo viverci dentro; questa è la giusta filosofia
della Chiesa rispetto ai mass media e in questa direzione si è mossa anche negli anni successivi, sempre in anticipo e, spesso, con maggiore
efficacia rispetto alla società civile.
Sulla validità dei contenuti dei media e gli effetti che esercitano sul
cuore e nella mente delle persone, ne ha parlato l’Istruzione pastorale
Aetatis Novae, (3) emessa dal Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali nel 1992, la quale, al numero 4, testualmente riferisce:
“Tutto ciò ha importanti conseguenze pastorali. Si può, infatti, ricorrere ai media, tanto per proclamare il Vangelo, quanto per allontanarlo dal cuore dell’uomo. L’intrecciarsi sempre più serrato dei media
nella vita quotidiana influenza la comprensione che si può avere del
senso della vita”. Inoltre, nella stessa Istruzione pastorale non si trascura di evidenziare l’impatto negativo della pubblicità che, andando
in onda in televisione o su internet, ha sempre una valenza negativa
per i valori e gli stili di vita che trasmette, privilegiando il profitto delle emittenti e dei pubblicitari, derivante dagli indici di ascolto o dal
numero di utenti che visitano i siti internet: “È in funzione del profitto,
e non del servizio, che si tende a valutare il suo successo. I motivi di
profitto e gli interessi dei pubblicitari esercitano una influenza anormale sul contenuto dei media: si preferisce la popolarità alla qualità e
ci si allinea sul denominatore comune più piccolo. I pubblicitari oltrepassano il loro ruolo legittimo, consistente nell’identificare i bisogni
reali e nel rispondervi, e, spinti da motivi di mercato, si sforzano di
creare bisogni e modelli artificiali di consumo”.
L’avvento dei social network – ossia il passaggio dal web 2.0 all’internet 3.0 - inserisce nel mondo delle comunicazioni un ulteriore stravolgimento, perché implementa una connessione tra le persone che diventa vera e propria socializzazione della quale, tra gli studiosi, si è
168
sviluppato un forte dibattito per stabilire la qualità e il segno di questo
tipo di rapporto. Duilio dall’osto, (4) nel suo sito web, sostiene che
nell’era dell’internet 3.0 – cioè prossimamente - il web scomparirà del
tutto perché ci sarà un internet delle cose: “In un prossimo futuro – il
futuro di Internet – saranno gli oggetti ad essere connessi tra loro e
con noi. Si parleranno in un contesto sociale dove saranno protagonisti degli interscambi di rete. La condivisione delle informazioni sarà a
livello di condivisione di “esperienze” tra oggetti e persone. Saremo
passati dall’Internet delle persone, all’Internet delle cose. Il futuro è
nella socializzazione del mondo che ci circonda. Un mondo in cui sarà
vacua la differenza tra persone ed oggetti connessi: il mio smartphone
è amico di altri oggetti che condividono, con me, “esperienze”.
zygmunt Bauman, nel suo libro Sesto Potere, (5) sostiene: “La nostra
vita (e ancor più quella delle giovani generazioni) è scissa tra due
universi, “online e offline”, e irrimediabilmente bipolare”. Quindi,
nella vita di ogni giorno, con il nostro navigare in internet e nel nostro
postare e pokare sui social network, si verifica inevitabilmente “una
compenetrazione tra i due universi”. Bauman chiama in causa Josh
Rose che in una sua inchiesta sui giovani, ai quali chiedeva se il postare sui social network li faceva sentire più vicini agli altri o più lontani;
ha ricevuto delle risposte di questo tipo: “Mi sento più vicino alle persone lontane.” ma anche “Ma forse anche più lontano dalle persone
cui sono già abbastanza vicino”. A questo punto Bauman replica dicendo: “Qualcosa si guadagna, qualcosa si perde: ed è molto difficile
stabilire se i guadagni compensino le perdite”. In definitiva: “Ciò che
hai acquisito è una rete, non una comunità”. La conclusione sta in
queste poche considerazioni che seguono. I due mondi, le reti e le comunità, non sono la stessa cosa ma si rassomigliano fino al punto che
spesso si confondono. Tuttavia, “Appartenere a una comunità è una
condizione molto più sicura e affidabile che far parte di una rete, anche se comporta sicuramente più vincoli e obblighi”.
Nel 2009 Papa Benedetto XVI, nel messaggio fatto in occasione della
43^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, (6) metteva in
evidenza proprio il rapporto che viene a stabilirsi tra le persone e le comunità grazie ai nuovi media e che, in definitiva, deve promuovere
una cultura di rispetto, di dialogo e di amicizia: “Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne
169
della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà,
quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani”.
Ed è sulla comunità che insiste la Chiesa nei suoi documenti perché
solo la comunione tra gli uomini fa crescere i cuori e la mente delle
persone. Il Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, nel 2000,
ha stilato un documento dal titolo Etica nella comunicazione (7) che
si occupa profondamente della questione che al numero 2 recita:
“L’impatto delle comunicazioni sociali è fortissimo. Le persone entrano in contatto con altre persone e con eventi, elaborano opinioni e valori. Non solo trasmettono e ricevono informazioni e idee attraverso
questi strumenti, ma spesso la loro esperienza umana diventa
un’esperienza mediatica”. Diversamente, senza un’etica nelle comunicazioni, quelle comunità di persone o i rapporti tra esse, sia online
che offline, possono facilmente deteriorarsi, danneggiarsi, deviati da
valori distorti che vengono diffusi attraverso i vari canali di relazione
che i vari mezzi di comunicazione sociale oggi offrono. Il numero 13
di questo documento è molto chiaro sull’argomento: “I mezzi di comunicazione sociale si possono utilizzare per bloccare la comunità e
danneggiare il bene integrale delle persone, alienandole, emarginandole e isolandole oppure attraendole in comunità negative e incentrate su valori falsi e distruttivi. Possono fomentare l’ostilità e il conflitto, demonizzare gli altri e creare una mentalità del «noi» contro «loro», presentare ciò che è basso e degradante sotto una luce affascinante, ignorare o sminuire ciò che eleva e nobilita”. Tuttavia, questo
tipo di comunità, con tutti i possibili problemi che possono sorgere anche a causa di cattivi messaggi o trasmissioni provenienti dai peggiori
mezzi di comunicazione sociale, hanno dei vantaggi, delle prerogative
che solo i gruppi di persone reali possono avere. zigmunt Baumann,
sempre nel suo libro “Sesto potere”, (8) sostiene che “sulla comunità
puoi contare come su un amico vero, di quelli che «si riconoscono nel
momento del bisogno», mentre le reti esistono soprattutto per condividere svaghi e la loro disponibilità a soccorrerti se hai un problema
che non ha attinenza con l’«interesse comune» raramente sarà messa
alla prova, e se lo fosse difficilmente la supererebbe”.
Peraltro, restringendo il campo di attenzione su internet, il Pontificio
Consiglio per le comunicazioni sociali nel 2002 ha messo a punto il
170
documento Etica in internet (9) che ben chiarisce il punto di vista
della Chiesa in materia. Infatti al numero 15, si cita: “Come abbiamo
visto, la virtù della solidarietà è la misura del servizio che Internet
presta al bene comune. È il bene comune che crea il contesto per considerare la questione etica: «I mezzi di comunicazione sociale vengono usati per il bene o per il male? »”. “Molte persone e gruppi hanno
responsabilità in questa materia. Tutti gli utenti di Internet sono obbligati a utilizzarlo in un modo informato e disciplinato, per scopi moralmente buoni. I genitori dovrebbero guidare e supervisionare l’uso
che i loro figli fanno di Internet. Le scuole e altre istituzioni e programmi educativi dovrebbero insegnare l’uso perspicace di Internet
quale parte di un’educazione mass-mediologica completa, che includa non solo l’acquisizione di abilità tecniche — prime nozioni di informatica e tutto ciò che si supporta ad essa — ma anche l’acquisizione della capacità di valutare in modo informato e sagace i contenuti”.
Un’idea più chiara in merito all’educazione e alla formazione delle
giovani generazioni la troviamo nel messaggio di Papa Benedetto
XVI, dato nel 2007 in occasione della 41^ Giornata Mondiale delle
Comunicazioni Sociali, (10) il quale, al numero 2, dice: “Il rapporto
tra bambini, media ed educazione può essere considerato da due prospettive: la formazione dei bambini da parte dei media e la formazione dei bambini per rispondere in modo appropriato ai media. Emerge
una specie di reciprocità che punta alle responsabilità dei media come
industria e al bisogno di una partecipazione attiva e critica da parte
dei lettori, degli spettatori e degli ascoltatori. Dentro questo contesto,
l’adeguata formazione ad un uso corretto dei media è essenziale per
lo sviluppo culturale, morale e spirituale dei bambini”.
Mi sembra evidente la chiarezza di idee che la Chiesa ha dimostrato,
più dello Stato italiano, a porsi la problematica dell’educazione all’uso
dei media per i cittadini ed in particolare per le giovani generazioni.
Sappiamo bene che questi ultimi soggetti sono capaci, oggi, - perché
nativi digitali – ad usare gli strumenti della moderna comunicazione
ma è l’uso critico e responsabile che manca a loro, cosa che solo le
strutture scolastiche, attraverso i vari curricoli e le varie discipline che
si insegnano, possono con adeguatezza ed efficacia realizzare.
La Chiesa cattolica italiana ha messo a punto nel 2004 uno strumento
utilissimo di pianificazione della comunicazione, ad intra e ad extra,
171
che è il Direttorio Comunicazione e Missione. Quale sia l’intento e
l’obiettivo concreto del “Direttorio” si individua chiaramente al numero 73 quando recita: “Il lettore, il telespettatore, il radioascoltatore, il navigatore della rete internet è il vero protagonista della comunicazione. Chi fruisce dei prodotti mediali può sancirne il successo o
il fallimento. Su di essi, con l’obiettivo di affinarne le capacità critiche
e le aspettative culturali, occorre intervenire per migliorare la qualità
dei media e la loro corretta fruizione. Tutti, e in particolare le nuove
generazioni, dovranno essere in grado di interagire con l’universo dei
media in modo critico e creativo, acquisendo una nuova «competenza
mediale»” per essere a pieno titolo cittadini di questo tempo. Ogni
agenzia educativa dovrà farsi carico di questo compito: la famiglia, la
parrocchia, la scuola, le associazioni”.
In definitiva, la Chiesa cattolica italiana ha ben messo a fuoco la problematica dell’educazione ai nuovi media ben rendendosi conto dei
cambiamenti che sono intervenuti a partire dall’introduzione di internet
con i conseguenti rischi che tutti gli utenti di questo potente strumento
della comunicazione corrono nel suo utilizzo. Questo uso fatto in maniera intensa e, soprattutto, senza conoscerne la filosofia, i meccanismi
economici che lo guidano e quelli commerciali che lo condizionano
può essere assolutamente fonte di problemi grandissimi che spesso,
con percentuali che sono ormai a due cifre, portano gli utenti del web
alla dipendenza patologica. La realtà è che, attualmente, non sono attrezzate le principali e naturali agenzie educative (famiglie e scuole) al
compito di formazione che si rende necessario realizzare e che potrebbe mettere in condizione chi naviga di farlo con prudenza. oggi la
Chiesa è cosciente del fatto che la propria azione formativa può svolgerla solo ad intra e non ad extra. Infatti, attualmente, nella società civile opera, essenzialmente, solo il mondo associativo, che è anche abbastanza scarno e disattrezzato, ed alcune università che riescono a realizzare progetti specifici e sporadici col patrocinio pubblico.
Mi piace concludere con un passo del citato Direttorio Comunicazione e Missione che al numero 81 così definisce, nel campo della formazione ai media, il compito educativo della scuola: “La scuola è anche
il luogo dove la persona diviene a poco a poco autonoma e responsabile. Pur non essendo l’unico, è così importante da richiedere un’attenzione particolare: certo non si educa solo con la scuola, ma nemmeno senza di essa. È suo compito favorire lo sviluppo dell’uomo e
172
della società in tutte le loro dimensioni, attraverso un’attenta opera di
comunicazione intellettuale e uno scambio tra generazioni, che permetta di condividere il patrimonio della tradizione e della cultura,
compresi linguaggi e messaggi dei media”.
BIBLIOGRAFIA E WEBGRAFIA
Decreto conciliare Inter Mirifica 1963
Enciclica Giovanni Paolo II Redemptoris missio 1990
Istruzione pastorale Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali Aetatis Novae
1992
http://www.dallosto.net/wordpress/?page_id=91
zygmunt Bauman e David Lyon, Sesto Potere, Editori Laterza 2013
Papa Benedetto XVI, 43^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2009
Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali, Etica nella comunicazione, 2000
zygmunt Bauman e David Lyon, Sesto Potere, Editori Laterza 2013
Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali Etica in internet, 2002
Papa Benedetto XVI, 41^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2007
Commissione Episcopale Italiana Direttorio Comunicazione e Missione, 2004
173
Il sistema dei media (web, televisioni e giornali)
di Luca Borgomeo
La dipendenza dal web è un fatto; non un giudizio o un’opinione. È un
dato reale che è diventato sempre più rilevante con la crescente e continua diffusione di internet in tutto il mondo. Un dato reale che ha effetti sempre più marcati sulla vita sociale ed economica di quasi tutti
gli uomini e le donne, di tutte le comunità, le aggregazioni sociali, i
Paesi, il mondo intero.
Le dimensioni del fenomeno non possono essere definite con dati certi, sia per la continua evoluzione di internet, la sua inarrestabile diffusione in tutti i ceti sociali, la crescita esponenziale dei soggetti che si
connettono; crescita, peraltro, favorita dallo sviluppo tecnologico del
sistema dei media che ha reso più agevole, semplice, e più economica
la fruizione di internet. Anche se non è possibile definire con nettezza
la dimensione del problema della dipendenza da internet, è tuttavia indubbio che oggi ha una grande importanza sul piano economico e sociale e che, nel contempo, è destinato ad essere sempre più rilevante,
al punto che non sarà più possibile ignorarlo o sminuirne il significato
e, soprattutto, non affrontarlo da parte delle istituzioni (non solo quelle
sanitarie), delle comunità, delle famiglie, delle singole persone, con la
dovuta competenza e professionalità.
Comunque i casi di dipendenza da internet (anche quelli evidenziati
dall’Aiart con questo Rapporto) non possono indurre nessuno a sottovalutare l’entità e la gravità del problema. Inoltre, va rilevato che la dipendenza si manifesta in varie fasi e con intensità diverse; e ciò rende
oggettivamente più complessa l’attività di “monitoraggio” del fenomeno. Va, poi, considerato che non tutti i casi di dipendenza da internet sono resi noti; spesso, per intuibili morivi da parte delle persone
coinvolte (i soggetti vittime di dipendenza e i loro familiari o conviventi) si tende a minimizzare alcuni effetti evidenti di dipendenza o a
mantenere uno stretto riserbo, anche tra amici e conoscenti, su questa
forma particolare di malattia, come, peraltro, avviene per altre patologie che si tengono, quando è possibile, celate.
In altri termini, si può oggettivamente ritenere che il fenomeno della
dipendenza da internet è ben più ampio e rilevante di quanto emerge
da statistiche e dati ufficiali.
174
Ciò rende ancor più incomprensibile – e per certi aspetti preoccupante
– il silenzio dei media, in particolare televisione, quotidiani e ovviamente il web, sui tanti casi di dipendenza che raramente riescono a diventare “fatti di cronaca”, meritevoli di essere riportati dalla stampa
nazionale e dai principali programmi televisivi di informazione. La
notizia di casi di grave dipendenza da internet finisce nelle pagine di
cronaca locale dei quotidiani e delle tv private, legate al territorio. E
ciò avviene soprattutto nei casi in cui la dipendenza dal web (specialmente per il gioco d’azzardo o la violenza di alcuni videogiochi) determina fatti clamorosi di indubbia gravità, come suicidi e atti violenti
inconsulti e disperati.
Il quasi totale “silenzio” dei grandi organi di informazione e delle televisioni sui casi di dipendenza dal web (anche quelli clamorosi!) può
essere determinato da molteplici cause. Limitiamo l’esame a quelle
che da un’analisi attenta e scevra di pregiudizi sembrano essere le
principali: la sottovalutazione del fenomeno e la “preoccupazione” di
non arrecare indirettamente danno al web, disincentivandone la fruizione.
La prima ipotesi (ignoranza o sottovalutazione del fenomeno) è oggettivamente più preoccupante della seconda, in quanto sembra impossibile ritenere che stampa e tv non abbiano informazioni sui tanti casi di
dipendenza e sugli effetti negativi che determinano nella vita sociale.
Il fenomeno – come testimonia anche questo Rapporto dell’Aiart
sull’internet-patia – è troppo diffuso e rilevante per escluderne la mancata conoscenza da parte dei media. Si fa, dunque, più consistente
l’ipotesi che, pur rilevando l’esistenza del problema, ne viene sottovalutata l’importanza, la gravità e l’urgenza, al punto da non fornire ai
lettori e ai telespettatori informazioni che potrebbero essere molto utili
per contrastare o limitare i gravi pericoli della dipendenza da internet.
Si può amaramente concludere che – in molte redazioni di quotidiani
e ti telegiornali – la dipendenza da internet “non fa notizia”! E nel generale giudizio dell’opinione pubblica se un fatto non “fa notizia” o
non è vero, non è reale, o è di scarsa importanza e interesse per i lettori
di quotidiani e per il pubblico televisivo.
L’altra ipotesi, che si può formulare per tentare di trovare una motivazione plausibile al “silenzio” o la “sordina” dei media sui casi di dipendenza da internet, riposa sulla considerazione che tutto il flusso di
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notizie che in ogni momento raggiungono gli utenti dei media, risente
(per usare un eufemismo!) dai possibili effetti, anche economici (pecunia non olet) che può determinare sull’orientamento delle persone
nei confronti della fruizione di alcuni servizi o dell’acquisto di alcuni
prodotti. È innegabile che possa esservi, da parte di quotidiani, tv e
(ovviamente il web) un’attenzione particolare a questi “effetti” per
motivi prevalentemente economici e di potere nel mercato mediatico.
Si è indotti quasi ad escludere questa ipotesi; ma il “silenzio” dei quotidiani e della tv su eventi tragici, direttamente originati da gravi forme
di dipendenza dal web o dai videogiochi) fa riflettere e preoccupare.
Non rimane che ritenere più fondata l’ipotesi che il “silenzio” e la
“sordina” di stampa e tv sui casi di dipendenza dal web sia, purtroppo,
dovuta a ignoranza o sottovalutazione del problema. Ma col tempo,
considerata la continua e crescente diffusione del web e, quindi, delle
malattie indotte dalla fruizione di internet, non sarà più possibile ignorare il problema e, ancor più, “nasconderlo” all’opinione pubblica.
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CAPIToLo 5
ESPERIENZE DI INTERNET-PATIA
E CASI DOCUMENTATI
Introduzione
Dopo aver fornito nella predominante parte ‘teorica’ un inquadramento importante alla trattazione e quindi gli elementi guida per la comprensione aggiornata di questo canale comunicativo, si passa alla cosiddetta parte ‘pratica’ dedicata alla raccolta dei ‘casi dipendenza’, allo scopo, soprattutto, di mostrare in tutta la sua evidenza le conseguenze a cui si va incontro con un uso poco responsabile del web e quindi
la potenza persuasiva di cui quest’ultimo dispone. L’obiettivo, in questa seconda parte, è quindi rivolto, innanzitutto, ad analizzare, esplorare, conoscere e comprendere ciò che il web rappresenta come realtà
quotidiana e lo spazio che questo mezzo di comunicazione riserva ai
diritti della persona, della famiglia, dei giovani ed in particolare alla
tutela dei minori. Il popolo di navigatori quotidiani è cresciuto e comprende ormai ogni razza ed ogni età; internet ha sconvolto non solo il
mondo delle informazioni ma attraverso questo anche tutta l’attività
sociale e gli stili di vita degli individui e ciò in qualsiasi parte del globo; ma come tutti gli strumenti di comunicazione, anche la rete non è
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esente da cattivi usi e da abusi che, negli ultimi anni, hanno talvolta
portato ad osservare nel campo della salute mentale, una moderna forma di dipendenza, definita internet-dipendenza, retomania o anche
Internet Addiction Disorder.
Partendo da questa constatazione, il seguente lavoro di ricerca, selezione e raccolta di casi di dipendenza dalle nuove tecnologie web ha il
primario obiettivo di informare, attraverso dati concreti, sulle conseguenze a cui si può arrivare attraverso l’abuso del computer e delle sue
applicazioni. La scelta di 60 casi di dipendenza (provenienti dall’Italia
e dal resto del mondo: Cina, Australia, Svizzera, Torino, Milano, Bologna, Verona, Genova, Pavia, Roma, Latina, Calabria, Sicilia) associati a problematiche quali: gioco d’azzardo tramite casinò virtuali o
siti per scommettitori, giochi di ruolo on line, cyber-relazioni/ Chat
mania, Cyber-pornografia, risiede nel fatto che tutti questi comportamenti, seppur considerati normali abitudini della vita quotidiana, possono diventare, per alcuni individui, delle vere e proprie dipendenze,
che sconvolgono ed invalidano l’esistenza del soggetto stesso e del
suo sistema di relazioni. Inoltre, le suddette problematiche hanno di
recente catturato l’attenzione sia della letteratura scientifica, sia dei
media, in maniera decisamente più massiccia rispetto alle altre nuove
forme di dipendenza, per cui è stato possibile raccogliere molto materiale su cui lavorare. Nello specifico, le fonti attraverso cui è stato possibile reperire i casi clinici di retomania sono innanzitutto le varie testimonianze orali (racconti autobiografici narrati da utenti e testimonianze dirette di psicologi, massmediologi, educatori e familiari degli
internet-dipendenti) sicuramente considerabili fonti fondamentali in
quanto permettono non solo di verificare gli aspetti profondi del tema
trattato ma anche e soprattutto di approfondire aspetti che solo la testimonianza diretta può spiegare, in quanto possiede una maggiore obiettività e credibilità. In particolare attraverso le testimonianze dirette si è
potuta dare maggiore fondatezza a quanto scritto e sono potuti emergere quei processi soggettivi che hanno a che fare con l’elaborazione
di comportamenti, valutazioni e giudizi. Il mondo di internet viene
raccontato da queste fonti in maniera assolutamente obiettiva e il loro
principale scopo è quello di far conoscere, informare e analizzare in
maniera critica uno specchio deformante che è sotto gli occhi di tutti e
dal quale bisogna tutelarsi. ogni singolo caso è un modo per inserire
una finestra di vita reale nella troppa spettacolarizzazione del mezzo e
dei suoi contenuti. Ciò che è stato interessante notare è la totale comunanza e problematicità in tutti i casi raccontati dei fattori sociali, am178
bientali e psicofisici dai quali scaturisce il problema della dipendenza.
La caratteristica costante che fa da sfondo ad ogni dipendenza da Internet è la capacità della rete di rispondere (o illudere di rispondere) a
molti bisogni umani, consentendo di sperimentare dei vissuti importanti per la costruzione del Sé e di vivere delle emozioni sentendosi, al
contempo, protetti. La trattazione di questi fenomeni ha permesso di
svelare e comprendere alcuni aspetti di una realtà così vicina, eppure
spesso così sottovalutata.
Il risultato finale è quello di dare un contributo al miglioramento del
mezzo Internet ma soprattutto un supporto agli utenti, attraverso elementi utili nei quali sono contenuti esempi e dati fondamentali per un
uso critico e responsabile di internet.
Parte Grafica
Tema: Internet-dipendenza
Riferimenti metodologici: analisi quantitativa e qualitativa delle problematiche scatenanti la internet-dipendenza. Nello specifico sono
stati verificati: gli elementi che contribuiscono all’insorgere della dipendenza e le differenti tipologie di dipendenza.
Elaborazione grafica dei risultati
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Attraverso questi grafici, sono state messe in evidenza le differenti tipologie di dipendenza da internet scaturite dallo studio di casi clinici
di retomania. Nello specifico, la maggiore percentuale della dipendenza da chat (Cyber Relationship Addiction)- una vera e propria “chat
mania”- è dovuta principalmente ad una maggiore presenza di casi ad
essa inerenti e quindi più esplicitati dagli utenti. Come è possibile vedere le principali tipologie di disturbo sono dovute a dipendenze da:
Giochi interattivi, chat, spazi chat sessualmente espliciti e cyber-pornografia. All’interno della macrocategoria evidenziata con il nome di
Internet sono stati individuati tutti quei casi in cui gli utenti presentano
disturbi come: Information overload Addiction (ricerca estenuante di
informazioni) o comunque l’abuso del computer e delle sue applicazioni. Tali grafici sono stati costruiti prendendo in considerazione anche il sesso degli utenti. È stato appurato che gli uomini fanno un uso
nettamente maggiore e diverso del mondo on-line rispetto alle donne.
I primi sono più orientati verso videogames, giochi d’azzardo, spazi
chat sessualmente espliciti e cyber-pornografia; le seconde prediligono le chat-room per allacciare amicizie e/o cercare un’avventura romantica. ovviamente i casi dipendenza citati non sono gli unici ad essere presenti nel vasto panorama della dipendenza ma abbiamo preferito mettere in evidenza quelli che hanno avuto una maggiore visibilità
e problematicità.
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CASI DIPENDENZA
(Periodo di riferimento: 1999/2014)
Racconti autobiografici tratti da: Quotidiani,
siti specializzati, social network
Si può smettere di giocare… basta volerlo!
1 - Ciao sono Stefano giocatore compulsivo. Sono un membro dell’associazione giocatori anonimi da circa un anno. Perché mi trovo in questa associazione? Ma sono veramente malato come sento dire?
Ma ho veramente toccato il fondo, come gli altri? Ma soprattutto “DESIDERo VERAMENTE SMETTERE DI GIoCARE”? Questo è il
punto fondamentale: “il desidero di smettere di giocare”.
forse non è il desiderio di smettere di giocare ma quello di smettere di
farmi del male, di autodistruggermi, di isolarmi, che mi ha portato qui.
Ho sempre giocato nella mia vita, ma non sono mai stato attratto dal
gioco d’azzardo; ho frequentato anche i casinò, ma solo a scopo di
compagnia, con amici per passare qualche ora in occasione di viaggi o
visite nei luoghi dove erano presenti. Ho sempre considerato il gioco
d’azzardo come uno spreco di tempo e di denaro; ho sempre creduto e
lo credo tuttora, che la madre di tutti i giochi d’azzardo sia proprio la
Borsa finanziaria, che per assurdo è legalizzata in tutto il mondo
(questa è una mia opinione).
Allora perché mi trovo in questa Associazione?
Innanzitutto preciso che la mia dipendenza è iniziata con i giochi online
e che a parte qualche giocata superenalotto e gratta e vinci, ho sempre
e solo giocato alle slot online. Entrando più nello specifico, credo che
tutto sia cominciato, quel fatidico giorno quando in preda alla noia e
sopraffatto dalla mia curiosità (che riconosco sia la mia peggior nemica), mi sono ritrovato in ufficio di sabato pomeriggio, a girovagare in
internet, da li è partito tutto in un vortice sempre più intenso e sempre
più degenerativo che mi ha portato alla disperazione, all’autodistruzione, all’isolamento totale da tutto e da tutti. Senza mai fermarmi ho elaborato meccanismi mentali, menzogne, falsi alibi e pregiudizi sui quali
ho poi costruito tutta la mi follia. Sono diventato un giocatore compulsivo UN GIoRNo ALLA VoLTA, ora me ne rendo conto, perché UN
GIoRNo ALLA VoLTA sto cercando di recuperarmi.
Ci sono stati molti momenti nella malattia, che pensavo di non avere
alternative, se non quelle di farla finita, solo pensieri fortunatamen181
te, ma che comunque non mi hanno mai persuaso dal continuare a
giocare.
Cosa volevo allora, perché stavo facendo quelle cose? forse mi sentivo solo?
All’inizio quando ho cominciato a frequentare l’associazione, ero
convinto che una delle ragioni della mia malattia, fosse proprio la solitudine; oggi ho riscoperto che la solitudine è invece un bellissimo
momento di meditazione nel quale mi ritrovo soltanto con me stesso,
in pace e serenità e che invece quello che cercavo nel giocare era l’isolamento più totale da tutti e da tutto ma soprattutto da me stesso.
All’ora cosa cercavo? forse per denaro?
Non credo di aver avuto bisogno dei soldi in più di quelli che già guadagnavo lavorando, anche se all’inizio del mio giocare avevo impostato un metodo di gioco, basato proprio sull’investire del denaro a
fronte di vincite, che paradossalmente arrivavano.
Per essere più chiaro, si trattava di giocare stabilendo una spesa di base, tenendo conto anche dei Bonus che i casinò online elargivano per
richiamare l’attenzione. Quindi, con questo presupposto iniziavo a
giocare con una puntata minima e salivo gradualmente, notando che
più la puntata aumentava, più la slot pagava e nel momento in cui la
vincita superava il denaro puntato mettevo all’incasso e cambiavo casinò, tornado a giocare solo il capitale iniziale e incassando la vincita.
Può sembrare strano ma all’inizio riuscivo a gestire la cosa in questo
modo e anche a trarne dei profitti, ovviamente questo non è durato, anche perché con tutta probabilità faceva parte di quei meccanismi mentali e convinzioni che la dipendenza del gioco stava generando dentro
di me.
Io sentivo dentro di me di dover fare qualcosa per fermarmi, sapevo
anche di Giocatori Anonimi, perché in alcuni casino online si trovano
dei collegamenti, ma non mi interessava.
finché un giorno mia moglie mi disse (dopo anni di disagi e sofferenze), tu sei malato, io non ti posso aiutare devi provare a frequentare
questa associazione, per dimostrarmi che vuoi cambiare (questo ovviamente, dopo tante promesse fatte che sarei riuscito a smettere da
solo e che cosi non è mai stato) altrimenti sei fuori dalla nostra vita.
onestamente in quel momento non è che mi interessasse più di tanto,
però forse più per curiosità (questa volta amica), che per amore ho deciso di ascoltare i consigli della mia famiglia e farmi aiutare.
Devo dire che quello è stato uno dei giorni che non dimenticherò mai
più, quando sono arrivato ero un po’ impaurito, chissà cosa sarà, ci sa182
ranno dei dottori, troverò qualcuno che conosco, queste erano le domande e i dubbi che mi assillavano. Successivamente nel corso dell’incontro mi resi conto che la tensione si trasformava dentro di me in
leggerezza, rilassamento, pace e piacere; tutte sensazioni che per molto tempo erano state soffocate dalla malattia. Improvvisamente non mi
sentivo più isolato, unico con l’esclusiva della dipendenza e dopo le
testimonianze, mi riconoscevo in molte di loro con un vero senso di liberazione, vedere e sentire quelle persone, una diversa dall’altra nella
forma e nella mente ma accomunate da un unico desiderio, rinascere,
ritrovare la serenità, smettere di giocare con la propria vita.
Credo che la prima riunione sia il momento più importante per un giocatore compulsivo, per me lo è stato, percepire quell’attrazione fondamentale a motivarmi a ritornare e frequentare, sempre di più con passione e curiosità nel percorso di riscoperta interiore che il programma
di Giocatori Anonimi offre.
Quello che l’associazione mi sta dando e mi sta insegnando è senza
eguali, non si può spiegare a volte come un messaggio, una telefonata,
un caffè con un membro di GA riesca a farmi superare i momenti di
difficoltà del recupero.
oggi ringrazio GA, perché ho potuto riassaporare la vera mia esistenza, il mio Io interiore che avevo soffocato e il piacere di vedere la luce, di sentire il dolore e l’amore. Certo che il percorso sarà lungo ma
sono convinto che ce la posso fare, dipende solo da me.
All’inizio sono arrivato a GA perché DoVEVo fARLo, oggi frequento GA perché VoGLIo fARLo e finché ci sarà questa volontà
dentro di me, con pazienza, costanza e senza fretta, riuscirò a trovare
la serenità mia e di chi mi sta vicino.
La mia vita in una stanza
2 - Genova - «oggi è una bellissima giornata, c’è il sole, sembra che
sia tornata l’estate. E io sono ancora qui, a casa». È questo il primo
pensiero che Claudia ha nel guardare fuori, verso quel mondo che dalla sua stanza, con la porta chiusa a chiave, in certi giorni sembra davvero lontanissimo. Internet è il mondo in cui Claudia, ventiduenne siciliana, così come tanti altri ragazzi della sua età, ha scelto di vivere.
Così impersonale e anonimo da essere rassicurante, così fittizio da non
fare paura come quello vero.
«Mi spaventava affrontare la vita, i primi impegni importanti, come
l’università, gli esami» racconta Claudia «temevo di fallire, così, pian
piano ho lasciato tutto per rifugiarmi nella mia camera e da lì su inter183
net. Parla lentamente Claudia mentre ricostruisce la sua storia e nelle
sue parole, ponderate, quasi centellinate, nella voce spesso trascinata
si sente tutta la sofferenza e insieme il senso di liberazione di chi ha
tante cose da dire ma non sa come farsi ascoltare. «Non volevo deludere gli altri, i miei genitori e in realtà ero proprio io a pretendere troppo da me stessa» prosegue «e per non essere giudicata ho preferito tagliare ogni contatto con il prossimo, con gli amici, con la famiglia, con
tutti». Una scelta estrema, spesso più dolorosa ancora per chi si ritrova
dall’altra parte di quella porta così ostinatamente chiusa. Infatti, «Certe volte era quasi pericoloso provare a entrare nella mia camera» dice
Claudia «dormivo tutto il giorno così la notte potevo navigare per ore
e nessuno doveva disturbarmi, i miei genitori hanno dovuto allontanare da casa i miei fratelli perché erano preoccupati per loro». Insomma
una forma di dipendenza a tutti gli effetti, anche nei percorsi seguiti
per la disintossicazione. Così anche Claudia oggi guarda al futuro con
più fiducia: «Un giorno su cinque mi sento ottimista e penso che ce la
farò, poi, forse, saranno due su cinque». E presto non avrà più bisogno
di contarli.
3 - Maria Teresa, mamma di un ragazzo, oggi ventunenne, descrive la
storia di suo figlio che dall’età di 14 anni ha cominciato a isolarsi nel
suo universo virtuale, apparentemente senza via d’uscita. «All’inizio è
stato difficile capire in quale spirale fosse caduto mio figlio» dice Maria Teresa «stava sul pc di casa, giocava, come tutti gli adolescenti. Poi
ha cominciato a passarci sempre più tempo, soprattutto la notte. Così
ci siamo resi conto che avevamo bisogno di aiuto per riportarlo da
noi». Infine, grazie ad una terapia mirata, graduale e soprattutto, mai
imposta, alla fine, sono riuscita a salvare mio figlio, dice Maria Teresa; adesso «ha un lavoro, tanti amici, una vita normale. Ma senza un
aiuto specialistico non ce l’avremmo mai fatta. Per questo dico ai genitori: non arrendetevi».
‘Liberato’ dalla dipendenza da internet
4 - Mi chiamo Marco e innanzitutto ringrazio Dio per come ha cambiato in modo radicale la mia vita tirandomi fuori da quel mondo di
peccato in cui mi ero immerso. Nonostante sia nato in una famiglia
cristiana e fin da piccolo abbia ricevuto i buoni e sani insegnamenti
della Parola di Dio e nonostante sia sempre stato da tutti visto come un
bravo ragazzo che non faceva del male a nessuno, in realtà non ero a
posto con il Signore, anzi, più il tempo passava e più io mi volevo allontanare da quel mondo in cui ero cresciuto. E per farlo all’inizio del
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2009, appena compiuti 15 anni di età, iniziai a coltivare nuove passioni. Iniziai a passare più tempo sul computer, in particolare su internet
e più precisamente nei social networks. Tutto è iniziato come un gioco
per conoscere gente diversa con cui confrontare le proprie opinioni ma
poi sono stato risucchiato da quell’ambiente e ne sono diventato dipendente.
A questa dipendenza bisogna anche aggiungerci la mia fissazione per
i cartoni animati e i fumetti giapponesi che mi permise di entrare in alcuni gruppi e di fare parte di compagnie poco raccomandabili. Cercavo la mia felicità in qualcosa di immateriale e che quindi potevo o per
meglio dire, credevo di poter manipolare secondo la mia volontà. Ma
succedeva l’opposto. Con il passare dei mesi in quell’ambiente iniziai
a conoscere anche delle ragazze con le quali ebbi delle piccole relazioni via internet. In particolare nel novembre di quello stesso anno iniziai una relazione con una ragazza che portò alla totale rovina della
mia vita. Si trattava di una ragazza che faceva parte di una setta satanica e che era maltrattata dalle persone vicino a lei. Mi feci abbindolare dalle sue parole e quello che sembrava dovesse essere una relazione
come le altre divenne una cosa più o meno seria. Ho il difetto di parlare ad alta voce, ma quella situazione mi portò ad avere un vero e proprio atteggiamento aggressivo nei confronti degli altri. I miei genitori
ovviamente si preoccupavano per me e cercavano, inutilmente, di farmi ragionare. finché anche loro decisero di agire e iniziarono a cercare di togliermi internet e di sorvegliarmi in ogni istante. Ma in ogni caso io riuscivo sempre, magari a volte anche con una bugia, a continuare il mio rapporto con quella ragazza. A dicembre iniziai ad avere dei
problemi a causa della situazione di tensione che si era formata tra me
e la mia famiglia a causa della mia testardaggine e ostinatezza. Iniziai
ad odiare la mia famiglia, arrivai ad odiare anche Dio e a disinteressarmi del mio futuro. Ma presto iniziarono i problemi anche tra me e
quella ragazza. Arrivai al punto di pianificare una fuga di casa per poter stare con lei. Ringraziando Dio le cose tra noi due peggiorarono
sempre di più e, anche grazie all’intervento delle persone vicino a me,
decidemmo di rompere ogni legame. fu così che iniziai il nuovo anno.
Anche se non avevo più quello stretto legame con quella ragazza continuai a sentirla e a frequentare quel tipo di compagnie. Come ho detto
prima ormai quel mondo mi aveva plagiato. Infatti pochi mesi dopo
presi i contatti con un’altra ragazza, in una situazione ancora peggiore.
Quell’anno mi iscrissi al Raduno Giovanile che si svolgeva dal 2 al 4
aprile a Rimini. Io andai con la convinzione che quando sarei tornato
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a casa avrei preso una decisione, cioè avrei deciso di iniziare un nuovo
rapporto con questa nuova ragazza.
Ma devo ringraziare Dio che ha fatto in modo che io una decisione la
prendessi il primo giorno del raduno. Il 2 aprile il Signore parlò al mio
cuore servendosi del pastore che veniva dall’Albania. Era il Presidente
delle Assemblee di Dio in Albania e la sua testimonianza mi colpì. Mi
chiesi come potesse un uomo che aveva passato tutte quelle difficoltà,
rischiando anche di essere ucciso, essere felice. Non vi parlo di quella
felicità che dura un attimo ma una gioia che sembrava essere senza fine. Tutto quello che io cercavo, la gioia e la pace che desideravo, erano lì a portata di mano. Mi ricordai di una cosa che mi disse mia madre
in quel brutto periodo. Mi disse che tutti i culti e gli studi che erano
stati fatti erano tutti per me. Io avevo ignorato tutto per mesi ma ora il
Signore mi aveva fatto capire e decisi che d’ora in poi la mia vita gli
sarebbe appartenuta. Sentii subito una gioia, una pace e una leggerezza meravigliosa.
Alla fine del raduno tornai a casa e accesi il PC. Pochi secondi dopo
dovetti spegnerlo o avrei vomitato. Quindi presi una Bibbia e mi misi
a leggere e mentre leggevo piangevo. Il Signore cambiò in maniera
meravigliosa la mia vita. Bloccai tutti i contatti con la gente che conoscevo prima e a parlai del Signore alle ragazze che avevo conosciuto.
fu in quell’istante che capii che in realtà era tutta finzione. Dio mi liberò da molti brutti siti che visitavo e poco dopo mi liberò anche da
tutto quello che aveva a che fare con manga e anime giapponesi.
Con il passare del tempo le difficoltà ci furono e a volte mi portarono
anche ad avere delle ricadute, ma ogni volta il Signore mi liberava e
mi dava nuove forze per camminare lungo la sua via.
Disintossicazione digitale di una iperconnessa
5 - Possiedo un computer portatile, un tablet e uno smartphone, con
dentro facebook e Twitter. Ho quattro account di posta elettronica che
controllo compulsivamente. Sono iperconnessa e probabilmente soffro di tecno-dipendenza che è una sindrome diffusa e nefasta.
Quando lavoro al computer, cioè sempre, sono terribilmente dispersiva e mi interrompo in continuazione per controllare eventuali nuovi
messaggi, cosa succede su Twitter, se la mia amica Valeria ha scritto
qualcosa sulla bacheca di facebook e se il mondo è in ordine. A volte
penso che, se non ci fosse Internet, la mia produttività sarebbe cento
volte superiore, che sarei molto più efficiente e che forse sarei anche
una persona migliore. Tuttavia, quello che mi inquieta di più, di me
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stessa inghiottita nel vortice della tecnologia, non è il controllo compulsivo delle mail, la vita dentro uno schermo piccolo, il disagio che
mi prende quando sto lontana da una connessione. Tutto questo, pur
essendo chiaro sintomo di disagio, non mi getta in uno sconforto cupo
misto ad ansia.
Quello che veramente mi turba di questo vortice tecnologico, è la totale incapacità di concentrarmi sulla stessa cosa per più di sette minuti e
mezzo. E questo è grave, preoccupante e anche un po’
deprimente.“Prima o poi, quando i sette minuti e mezzo si saranno ridotti a due, mi rivolgerò a uno specialista e forse andrò in una clinica
per disintossicarmi”, dicevo tra me.
Poi ho trovato l’antidoto, lo scudo spaziale, la panacea. “Cosa c’è in
questa scatola, mamma? La possiamo aprire?”. “Certo, apritela. Scopriamo cosa si nasconde lì dentro”. Era un puzzle, da 1.080 pezzi, minuscoli e in prevalenza bianchi. Un’impresa titanica, una follia, un
suicidio.
Dentro quel puzzle ritrovo me stessa, il rumore del mio respiro, i miei
pensieri che si posano, la dedizione totale a un solo scopo. Non mi
succedeva da anni. forse la dipendenza da puzzle può guarirmi dalla
tecno-dipendenza. A come uscire dal tunnel dei pezzettini bianchi,
penserò poi.
6 - Ho provato a cercare su internet ma non ho trovato nulla che mi
aiutasse. Son un ragazzo di 19 anni e la mia dipendenza sono i
Mmorpg (Massive Multiplayer online Role-Playing Games- Giochi
di rete che stanno diventando la mania del momento). È da circa tre
anni che soffro di questa dipendenza, sto perdendo la cognizione del
tempo e se togliessi la connessione avrei una crisi e non so cosa potrei
fare. In rete ho letto che i segni per capire se son dipendente son semplici come ad esempio mangiare al pc per non perdere tempo. I miei
genitori mi vedono talmente preso che accettano questo fatto; solo ora
però mi sto rendendo conto che gli amici online non sono gli amici intorno a me, sto perdendo le cose di mano e non so cosa fare.
Ho cercato su google uno psicologo online perché mi vergogno a parlarne con altri; ho smesso di studiare e la colpa, ne sono certo, è dei
mmorpg. Cosa posso fare? Ciao Luca
7 - Alex, il nome è di fantasia, ha 34 anni e ha lottato per dieci anni
contro la dipendenza dalla rete. Ha iniziato quasi per caso, come tutti,
voleva solo distrarsi un po’ ma la situazione gli è sfuggita di mano.
“La mia dipendenza da internet è iniziata utilizzando il computer di
mio padre per giocare in rete. Trascorrevo tutto il tempo libero al pc e
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andavo a lavorare per pagare la connessione, non vedevo più né i miei
amici né la mia famiglia. Internet era come un rifugio dove mi nascondevo per non pensare ai miei problemi. Soffrivo d’ansia e internet era
un luogo rassicurante perché l’ambiente è limitato e si conoscono limiti e regole. Sono stato super dipendente per sette o otto anni, anche
se la fase acuta è durata quattro anni”.
oggi Alex ha cambiato vita e racconta: “Dopo la cura, utilizzo internet
per lavorare e a casa ne faccio un uso comune come tutti, cerco gli orari del cinema, dei mezzi, biglietti per i concerti. Ho imparato a guarire
dalla mia dipendenza e adesso mi sento meglio”. (fonte: Le matin)
Facebook è la mia malattia
8 - Sono dipendente da internet (e vado dalla psicologa per questo, oltre ad essere stato dalla polizia per pericoli online). facebook dà sicurezza, facebook rende più sicuri i timidi, facebook permette di conoscere tante persone, mentre la realtà si ferma a quelle vicine a te. facebook si può consultare sempre e ovunque. facebook è divertente. facebook è attraente. Nessuno può vincere contro il “Mondo online”,
perché dà a noi stessi quello che da sempre cerchiamo, su internet c’è
tutto. Il malato di facebook è quello che crede di trovare su fb i suoi
veri amici, i suoi migliori amici. Il malato di facebook vede il sito come il suo mondo, dove può sfogarsi e avere libero arbitrio su tutto, dietro un pc è tutto più semplice. Il malato di facebook non vive. Vive
online.
facebook crea dipendenza. E la dipendenza da internet è una cosa orrenda, ti vieta di conoscere nuove persone, ti vieta VERE amicizie
(per quanto le persone online possano essere tue amiche, non le vedrai
mai, e molte spariranno), ti vieta di divertirti, ti vieta di essere veramente felice. È possibile uscirne, ma serve buona volontà e dei genitori (la maggior parte dei malati di facebook sono adolescenti) che approvino la tua uscita. Bisogna iniziare a integrarsi. far parte di un
gruppo, uscire con gli amici, non accendere il pc. Riuscire a capire che
quella non è la vita, quello è solo un passatempo come altri quando i
tuoi amici hanno altro da fare. Riuscire a comprendere che c’è altro
per divertirsi. Socializzare, creare nuove amicizie, uscire in gruppo.
Uscire e Vivere. I social network possono anche dare una spinta di approccio per chi cerca amicizia o la vuole ritrovare, ma quando si supera il confine o meglio non ci si muove più di casa sostituendo la realtà
virtuale a quella fisica, un problema c’è...
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Sette giorni fuori rete
9 - Per cominciare, ordine e organizzazione. Bloccare 3G su iPhone,
spegnere Wi-fi, consegnare iPad a figlio diciannovenne, che provvederà a farlo sparire per una settimana (teatralmente e sadicamente).
Staccare cavo di Rete. Preparare risposta automatica per email. Sarò offline fino a giovedì 16 febbraio 2012. In caso di necessità, scrivete a…
Non solo. Se astinenza dev’essere, astinenza sia: chiudo il mio blog.
Poco prima di mezzanotte, scrivo a 177.833 persone su Twitter: Test di
dipendenza da Internet. Da domani, offline per una settimana (no Tw,
no blog, no mail, no web). Poi vi racconto.
Giovedì 9 febbraio: Appena sveglio, invece di aprire Corriere.it come
d’abitudine, annuncio: «Stamattina si guardano le foto scattate in India»! (28 minuti, con musica pop del Tamil Nadu). Lo so: è l’equivalente delle vecchie proiezioni-con-diapositive, quelle che hanno incrinato tante convivenze. Ma devo distrarmi, a tutti i costi. I familiari capiscono e sorridono: B. avrà una settimana difficile, meglio non contrariarlo.
Per resistere alle sirene della Rete, decido di tenermi impegnato. Prendo cinque appuntamenti a Milano: ore 12.15 (Rosaria), 13.30 (Alberto
e Andrea), 15.30 (Raffaella), 16 (Marco), 17.30 (Ilaria). Mentre mi
sposto per la città, leggero e disinformato, metto continuamente la mano in tasca ed estraggo l’iPhone come se volessi controllare la posta.
Internet, concludo, è anche una questione di gestualità. Ma il pensiero
non regala alcuna consolazione.
Alle 18.30, s’inaugura una mostra fotografica. Mi accorgo di avere la
mente sgombra, ricordo nomi, facce e date. Mancano solo sei giorni:
forse ce la faccio.
Venerdì 10 febbraio: Cominciamo male: sembra che tutti debbano inviarmi email indispensabili. Lo so perché qualcuno telefona; altri ripiegano sugli sms, che diventano la mia linea di comunicazione con il
mondo. Back to 1992! Tra poco avrò le visioni e mi appariranno i Red
Hot Chili Peppers.
Complice il mal di testa – somatizzo? – riesco a combinare poco. L’euforia di ieri è svanita, e a metà giornata mi accorgo di essere nervoso:
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anche perché mio figlio Antonio sembra aver nascosto bene l’iPad.
Lavorare è più difficile. Devo cercare il curriculum di un interlocutore: non posso, Wikipedia e Linkedin stanno in Rete. Devo scrivere il
nome esatto di una cittadina americana, in vista di un viaggio negli
Usa: di solito queste cose le cerco su Google, ma Google è off-limits.
Riapro allora il vecchio atlante, dove in effetti la cittadina c’è.
Sabato 11 febbraio: Stamattina alle otto ho guardato per dieci minuti
Baciami Kate! (film musicale, Usa, 1953) su RaiTre: non è un buon
segno. Il fine settimana, ai fini del digiuno digitale, dovrebbe essere il
periodo più facile: il lavoro si ferma, o rallenta; le mail diminuiscono;
gli amici sostituiscono la posta elettronica con altre attività (gite coi figli, supermercato, hobby, jogging, riparazioni domestiche, visite ai
parenti). Il problema è che il sottoscritto considera il sabato e la domenica momenti ideali per giocare con l’iPad (a letto, in cucina o sul divano).
Eliminando le attività ludiche in rete, tuttavia, resta tempo per altro.
Tra le occupazioni di giornata: leggere attentamente i quotidiani, leggere un articolo di Wired.it La dipendenza dal Web modifica il cervello, e valutare il mio stato mentale. Cito: «Attraverso la risonanza magnetica, è dimostrato che l’incapacità di staccarsi da Internet altera la
struttura di alcune zone cerebrali (come la regione orbito-frontale e il
cingolo anteriore calloso)». Penso: come starà il mio cingolo calloso?
Domenica 12 febbraio: La mia Quaresima 2.0, come ha scritto qualcuno su Twitter (quando potevo vederlo), prosegue. Nella quiete domenicale, i controlli familiari aumentano.
«Dove vai»?
«Come “dove vado?”. Vado in studio».
«Guarda che non puoi usare il computer».
«Il computer posso usarlo. Non posso andare in Rete, è diverso».
«Va bene, ma vengo anch’io. Così, per sicurezza».
Questi dialoghi si ripetono da giovedì: all’inizio mi divertivano, ora
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cominciano a irritarmi. Noto una soddisfazione diffusa nell’impedirmi
di fare le cose e nessuna solidarietà.
Lunedì 13 febbraio: È un vero «stress test», altro che le banche. Tuttavia, alcuni vantaggi sono ormai evidenti. Per esempio: mi accorgo di
essere meno distratto, e la concentrazione risulta facile. È come se
avessi liberato Ram cerebrale. Come succede sotto la doccia o in volo
sugli aerei, due luoghi offline (per adesso).
Non solo: capisco che la posta elettronica condiziona l’umore, portandoci continue informazioni inattese. Comunicazioni, inviti, proposte,
proteste: le nostre giornate — filosofeggio — sembrano partite di
ping-pong, occorre ribattere colpi che arrivano da ogni parte (sotto
forma di mail). Da cinque giorni faccio meno cose, ma ho la sensazione di farle meglio. Scopro nuove attività, come guardare dal finestrino
dell’automobile (invece di approfittare di ogni trasferimento per controllare la posta).
Martedì 14 febbraio: L’idea di vivere senza Internet attrae e spaventa, come certi film o i cannoli siciliani.
Sull’«Herald Tribune» (di carta) leggo The new mantra for tech firm:
All things to all people, all day. Si dice, in sostanza, che l’obiettivo di
Google, facebook e compagnia non è più quello di arricchire le nostre
giornate, ma «possedere ogni nostro momento di veglia ». Preoccupante: ma soltanto da giovedì.
Mercoledì 15 febbraio: Ultimo giorno di esperimento, provo una vaga preoccupazione: perché non sono psicologicamente distrutto da
una settimana di astinenza? Ci si abitua così in fretta alle privazioni? Il
morbo luddista è entrato in me?
Quando internet ti tiene al guinzaglio
10 - Sono Elena, 29 anni, non vedente dalla nascita, desidero raccontare la mia testimonianza di persona che sta lottando tenacemente contro la cosiddetta “dipendenza da Internet” e ne sta uscendo a testa alta;
avevo conosciuto Internet come mezzo di assoluta libertà e autonomia, utile per leggere libri e giornali, per comunicare con amici e conoscenti, per fare ricerche senza bisogno di chiedere aiuto ad altre persone e successivamente per shopping on line e operazioni bancarie;
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Ma di questo concetto di libertà talvolta si abusa talmente tanto, che
alla fine si arriva a crearsi una prigione da cui uscire è molto difficile,
ma assolutamente non impossibile.
Il fenomeno della IAD è molto sentito, spesso in modo allarmistico, ma
nasce da un senso di protagonismo tipico di molti ragazzi che viene accentuato dal fatto che Internet illude di poter avere tutto senza eccessiva
fatica e dove soprattutto ci si illude di poter dire e fare ciò che si vuole,
senza inibizioni, senza temere di essere giudicati o di sentirsi inadeguati.
ora più che mai, quindi, è necessario fare prevenzione perché la netdipendenza non è solo quella di cui si parla nei media, quella cioè dei ragazzi che perdono palesemente il controllo anche dei loro bisogni fisici come mangiare e dormire. La netdipendenza si può nascondere in
ognuno di noi, è subdola, e deriva sempre da un senso di debolezza e
vuoto che già ci appartiene: non serve stare 12 ore su Internet per esserne condizionati, bastano anche soltanto 5 minuti al giorno, o alla
settimana, usati male; almeno, nel caso della dipendenza da relazioni
sociali virtuali com’era il mio caso perché, comunque, la dipendenza
da Internet è una questione davvero complessa in quanto, contrariamente alle sostanze stupefacenti e al gioco d’azzardo, l’uso scorretto
della rete Internet crea dei condizionamenti solo a livello mentale e il
fisico ne risente qualora lo stare in rete condiziona in modo pesante i
nostri ritmi di alimentazione e sonno.
Internet, a seconda di come lo si usa, può o meno risvegliare uno o più
istinti dell’essere umano: dipendenza da sesso virtuale, da gioco, da
shopping, da relazioni sociali, da sovraccarico d’informazione, e così
via ma non fa mai tutto da solo; questa dipendenza colpisce se le si dà
il fianco e, spesso e volentieri, chi è più a rischio è chi crede di esserne
invulnerabile perché “lo conosce” o ci lavora. Come nel mio caso: mai
dire “io non sono a rischio perché conosco il mezzo e lo controllo”;
non è Internet che va controllata, ma se stessi.
La mia storia, in breve, è quella di una persona cresciuta in un ambiente familiare pieno di attenzioni e protezione, com’è giusto che sia ma
forse un po’ troppo accentuate a causa della mia disabilità visiva. Sono
una persona che vive una vita assolutamente normale ed integrata nella società, ma che s’è fatta prendere la mano dalla netdipendenza a
causa di una vecchia paura ora superata di instaurare legami, causata
da un lutto mal assorbito, avvenuto durante la mia preadolescenza.
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Internet ha, in pratica, funzionato un po’ da “tocca sana” per soddisfare almeno in parte un bisogno che mi ero sempre negata: quello di dare
e ricevere affetto e stima dagli altri. Era quello, l’unico mezzo che mi
avrebbe permesso di essere me stessa nell’animo, aiutare le persone,
farmi “voler bene” per ciò che davo virtualmente ma proteggere la mia
identità reale di persona fragile, da attacchi di ogni tipo che credevo in
ogni angolo: “vogliate bene a ciò che vi dico, ditemi grazie ma non legatevi a me perché i legami mi fanno paura e non voglio niente più di
un semplice rapporto via mail” con conseguenti disagi quando non potevo scaricare la posta, creazione di un’identità fittizia, ed inevitabile
sofferenza quando si trattava di vivere nella vita reale.
Ero arrivata a credere di essere ostaggio della mia vita, intendendo
quella reale, invece alla fine ero soltanto ostaggio di me stessa perché
ero entrata in un meccanismo da cui difficilmente riuscivo ad uscire,
fino a quando ovviamente, è stata una persona reale a farmi capire sebbene in maniera forte, che così stavo soltanto andando a toccare il fondo: stavo, di fatto, perdendo degli affetti veri e duraturi, e per cosa?
Per una sorta di avidità affettiva che non mi faceva prendere in giusta
considerazione ciò che, invece, avevo sempre avuto.
Da lì mi sono resa conto della realtà dei fatti: io sono caduta nel tunnel
della Internet Addiction Disorder, perché non la conoscevo. Perché
pensavo di esserne invulnerabile, che fosse una cosa che riguardava
solo i giocatori incalliti o i frequentatori di siti a sfondo sessuale, che
ci volessero ore ed ore su Internet e soprattutto che quando ho trovato
lavoro la condizione di disagio se ne andasse da sola ed invece niente
di tutto questo, anzi, a me è bastato davvero poco per farmi condizionare anche se è servito altrettanto poco per trovare la consapevolezza
di poterne uscire perché, per fortuna, ho avuto delle persone accanto
che sono state in grado di farmi alzare la guardia ma ero arrivata davvero a un passo dal perdere, a vantaggio di quelli virtuali, i rapporti
reali che mi sono costruita con il tempo.
E allora ecco che è nata l’esigenza di parlarne, di creare un progetto
rivolto a tutti, inclusi i disabili che sono soggetti ad altissimo rischio
IAD, in modo che le persone possano comprendere che Internet non
è il diavolo: Internet è uno strumento, una risorsa, ma va usata come
tale.
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Internet non è la soluzione a tutti i problemi, specie quelli di natura relazionale; può essere un mezzo per conoscere e confrontarsi, sì, ma
non il canale senza il quale non si può vivere.
“Per continuare a giocare ho fatto il barbone e picchiato mia moglie”
11 - “La mia vita s’intitola “viaggio all’inferno e ritorno”. Perché io ho
visto l’inferno, l’ho toccato con mano, l’ho persino invocato quando,
allontanandomi dalla fede, chiedevo l’aiuto del demonio. Ma oggi ne
sono fuori”. Le slot machine hanno mangiato una larga fetta dei miei
stipendi per 27 lunghissimi anni.
Nacque tutto per curiosità, giocavo e perdevo; e più giocavo, più perdevo, più aumentava la voglia di rivincita e si allontanava la mia capacità di reagire, di riflettere razionalmente. Con ogni mezzo, anche rubando, racimolavo denaro per andare a giocare “ e per stare lontano
dalla mia famiglia; perché quando entri in quel tunnel vuoi stare solo,
non vuoi essere giudicato; conta solo continuare a giocare. A qualsiasi
prezzo. La moglie di Piero ha solo sospettato. Ma cinque anni fa la realtà nella quale si era cacciato il marito le si è parata davanti: è bastato
chiedere un saldo in banca del conto familiare per capire. Ho reagito
violentemente quando mia moglie ha chiesto spiegazioni. E ho fatto
una delle tante assurdità di cui oggi mi pento amaramente: ho alzato le
mani contro di lei, pur essendo lei una portatrice di handicap. Sono andato via di casa, ho fatto il barbone per due mesi.
Successivamente son tornato a parlarle, chiedendole scusa,; insieme ci
siamo rivolti al medico di famiglia e al parroco che ha celebrato il nostro matrimonio che mi ha subito indirizzato al Cartello “ Insieme contro l’azzardo” che aderisce alla Consulta nazionale antiusura. Da quel
momento la mia vita è cambiata. Da allora condivido il mio problema
con altri ex giocatori, abbiamo formato un gruppo di auto-aiuto, frequentandoci due volte a settimana. Ci ho messo tutta la mia forza di
volontà per abbandonare quelle maledette slot-machine. Da tre anni
non gioco più. E quando concludo il mio lavoro, a differenza di quanto
avveniva in passato, non vedo l’ora di tornare a casa, di stare in famiglia, vivendo con gioia ogni momento. finalmente”.
Dipendenza da internet... sociofobia e asocialità: c’è modo di uscirne?
12 - Che sono dipendete da internet lo capisco da sola perché sarebbe
impossibile non accorgersene.
Mi sveglio e 5 minuti dopo già sono su internet; mi scollego all’una o
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all’una e mezza e se mi sveglio alle 8 di mattina, fatevi un po’ i conti..
Soffro di sociofobia e quando sono collegata a internet mi diverto però
sono anche consapevole del fatto che sto “bruciando” la mia vita davanti a questo computer; ho 19 anni ed è così ormai da un paio di anni;
ho anche abbandonato la scuola. Provo ad utilizzarlo di meno ma non
riesco. Purtroppo non ho amiche e non ho mai avuto un ragazzo in vita
mia. Come uscirne?
13 - Ciao, io posso aiutarti perché mi sono trovato nella tua stessa situazione e ancora non riesco ad uscirne, però penso di aver fatto già un
lungo percorso, e so che la cura per la dipendenza da internet è molto
lunga. Se fai qualche giro su internet, ti accorgi che ci sono dei centri
di recupero per i malati di internet, quindi la dipendenza è considerato
un qualcosa di patologico e addirittura è spesso richiesto il parere di
uno psicologo. Comunque, si può uscirne anche da soli, ma bisogna
avere una grande forza di volontà e soprattutto bisogna cambiare vita.
Se siamo dipendenti da qualcosa è perché la nostra vita non funziona
come dovrebbe, non abbiamo interessi e passioni oppure il mondo
esterno ci fa schifo e perciò ci allontaniamo da questo: internet appare
come il rifugio più bello e comodo, anche se in realtà, è solo apparenza. Il mondo reale sta fuori. Provare ad usare di meno il computer, non
è un mossa intelligente perché non è questo che bisogna fare per eliminare la dipendenza. Infatti il fine della “cura” non è quello di eliminare
le ore trascorse davanti al pc ma eliminare la ‘’dipendenza’’, l’assuefazione. Una persona può trascorrere anche tante ore davanti al computer, ma non esserne dipendente. Una persona è dipendente nel caso in
cui sente la necessità di utilizzare ogni giorno il pc. Perciò, non ti focalizzare sul ‘’ridurre ore davanti ad internet’’.Per ora cerca nuovi interessi, nuovi compagnie, nuovi amici, costruisciti una vita: facendo
esperienze, sicuramente supererai la tua sociofobia. Durante questo
‘’periodo’’ non è che cercherai di trascorrere meno tempo davanti ad
internet, ma ISTINTIVAMENTE ne trascorrerai di meno perché avrai
la giornata più piena e divertente. Capito, quando uso l’avverbio
ISTINTIVAMENTE? dev’essere una cosa NATURALE. Non dev’essere una forzatura o un’imposizione. Se te la senti, puoi leggere anche
qualche libro sulla dipendenza da internet, scoprirai molte cose, sul
tuo carattere, sulle cause, sulle conseguenze ecc. E anche leggere il libro ti terrà impegnata in modo che tu non focalizzi l’attenzione più su
internet, ma su qualcosa di diverso, di più stimolante. Ti auguro tanta
fortuna e in bocca al lupo!
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“Vi racconto cosa vuol dire essere dipendente dai videogames”
14 - “Discutevo con i miei genitori ma alla fine loro erano impotenti.
Mio padre mi ha nascosto il cavo del PC ma pur di ovviare alla cosa ho
utilizzavo il filo del tostapane” racconta il ragazzo che oggi è dispiaciuto per la sofferenza ‘regalata’ ai genitori. “La scuola mi annoiava,
mi interessavano solo i videogames e i giochi di ruolo. Quando iniziavo, non riuscivo più a smettere e arrivavo a perdermi”. Mostravo gravi
sintomi di astinenza: ero molto nervoso al punto di risultare aggressivo. Mi tremavano le mani e mi mordevo la guancia dall’interno della
bocca. Poi ho iniziato a prendere delle pillole per calmarmi”, ha raccontato. Robert ha iniziato a giocare con il pc a otto anni, a dodici era
già dipendente dai giochi di ruolo e durante la settimana giocava fino
a quattordici ore di fila e ci sono stati week-end in cui evitava di dormire pur di continuare le sue battaglie: “Bevevo drink energetici e fumavo molto”. Poi due anni fa lo ha colpito un ictus ma fortunatamente
non ha riportato danni permanenti.
oggi Robert ha risolto le sue problematiche, ha degli obiettivi e sogna
una casa in campagna con la sua ragazza.
Ho vinto la mia battaglia contro lo schermo
15 - Le Matin lancia l’allarme sulla dipendenza dal web: solo in
Svizzera i casi denunciati sono 70 mila. Ecco la storia di Alex, che
ha impiegato dieci anni per vincere la sua battaglia contro lo
schermo.
Ho iniziato ad utilizzare il computer di mio padre, giocavo in rete e così è iniziata la mia dipendenza da internet. Soffro d’ansia e internet è
un luogo rassicurante perché l’ambiente è limitato e si conoscono limiti e regole”. Alex ha iniziato quasi per caso, come tutti, voleva solo
distrarsi un po’ ma la situazione gli è sfuggita di mano.“Trascorrevo
tutto il tempo libero al pc e andavo a lavorare per pagare la connessione, non vedevo più né i miei amici né la mia famiglia. Internet era come un rifugio e io facevo lo struzzo, mi nascondevo per non pensare ai
miei problemi. Sono stato super dipendente per sette o otto anni, anche
se la fase acuta è durata quattro anni”.
oggi Alex ha cambiato vita e racconta: “Adesso mi sento meglio; dopo la cura, utilizzo internet per lavorare e a casa ne faccio un uso comune come tutti, cerco gli orari del cinema, dei mezzi, biglietti per i
concerti. Ho imparato a guarire dalla mia dipendenza”.
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Sono internet dipendente….aiuto!!!
16 - Da quando ho aperto una pagina su facebook passo tutto il tempo
lì, preferisco stare al pc che uscire, e quando esco penso alle persone
che ho conosciuto, alla pagina, se sono aumentati i fans, i link,, Davvero, mi sembra di impazzire, ma non voglio eliminarla, e non so con
chi parlarne perciò lo chiedo qui: aiuto!
Il tunnel della dipendenza ha distrutto la mia famiglia
17 - Lavoro nel settore informatico, quindi con internet. Negli ultimi
due anni un po’ alla volta trascorrendo molte ore al pc mi sono ammalata: sono arrivata al punto che anche se non lavoro sto sempre davanti
al computer. Questo mi causa problemi familiari, trascuro mio figlio,
mio marito, la casa, la famiglia e tutto ciò che è la vita reale. Per me è
impossibile troncare questa situazione a causa del mio lavoro. Inoltre
sono diventata anche dipendente da ciber-relazione mi sono creata un
profilo falso su facebook e spesso anche quando non sono collegata
penso alla mia identità virtuale e alle persone che ho conosciuto in
questo modo. So di essermi malata, perché sono totalmente cosciente
di quello che faccio ma non riesco ad uscirne. Qualcuno sa aiutarmi,
consigliarmi, cosa fare per uscire da questo tunnel che per me è diventata la mia vita e la mia dipendenza.
Il caso di Marta: CyberPorn Addict
18 - “Mi vergogno un po’, non ne ho parlato mai con nessuno e ancora
adesso con me stessa stento a credere di essere dipendente. Sono una
donna e questo complica ulteriormente le cose. Dura da un anno, tutto
iniziò la scorsa estate, avevo da poco iniziato un nuovo lavoro da casa
con il computer, era estate, la città deserta,non avevo ferie e tutti gli
amici erano partiti; non avevo un partner da un po’ e mi misi per gioco
a curiosare sui siti porno e di lì non ho più smesso. Da due mesi ho un
partner con cui ho un’attività sessuale regolare e soddisfacente…ma
quando non ci vediamo “ritorna la mia dipendenza”. Perché è una dipendenza vero?
Mai più un incontro in chat
19 - Salve, sono una donna di 40 anni, vorrei raccontare la mia delusione,dopo aver chattato. Premetto che il mio scopo era solo di fare
qualche chiacchiera e basta. Ho incontrato un uomo,convinta che
avesse 46 anni, che fosse divorziato..e che abitasse a 100 km di distanza; ci siamo scritti, telefonati e per tanto tempo mi ha corteggiata
197
come non mai....(io ingenua). Insistendo per incontrarci, con il suo
modo di fare signorile, educato, mi aveva conquistata per telefono.
Una volta arrivato il momento dell’incontro, sembrava più vecchio
della sua età ma ho pensato che li portasse male..ma ero rimasta attratta soprattutto dalla sua dolcezza e tenerezza. Dopo il primo incontro, ci siamo visti tante altre volte ed io mi sono lasciata trascinare e coinvolgere totalmente. Dopo alcuni giorni ha iniziato a confidarmi di avere 50 anni ma io non mi sono arrabbiata forse perché ero
innamorata. Ma dopo un periodo di intensa frequentazione, con una
scusa banale, è finito tutto ed io devo essere sincera..ci avevo creduto e sperato tanto. È un uomo abituato a chattare, a fare incontri e a
“lasciare” con molta semplicità. ora rimango con la mia delusione e
con tanto amaro in bocca..per essere stata una delle tante
stupide...lasciatami condizionare da un incontro in chat..che mai farò più!!
Tradimento in chat
20 - Salve ho 40 anni da 20 sposata e ho 2 figli, una ragazza di 20 e un
ragazzo di 17. Da bambina sono sempre stata iper protetta dai miei
perché avendo avuto problemi di salute fin dalla nascita avevano paura per me e mi consideravano una bambina debole...sono rimasta incinta del primo figlio prima del matrimonio, nella famiglia di mio marito ho trovato molta ostilità nei miei confronti...io credo perché provengo da una famiglia di origini umili e non benestanti. Credevo che
mio marito mi amasse ma 4 anni fa’ ho scoperto che si sentiva al telefono con una ragazza conosciuta in chat molto più giovane di me; in
pratica una studentessa universitaria. Da quel giorno non sono più stata bene, una insicurezza angosciante mi prende dentro; mi sento brutta
nonostante ancora qualcuno mi guarda, tremo quando devo scrivere in
presenza di qualcuno,(questo mi turba molto perché lavoro in ufficio)
e ho una paura incredibile di rimanere sola, di essere abbandonata. Il
rapporto tra mio marito e la studentessa non è andato oltre le telefonate perché io li ho scoperti ma la domanda che mi faccio dentro è..che
cosa sarebbe successo se non li avrei scoperti? ora ho tanta voglia di
ritrovare la mia serenità e l’allegria di un tempo; sono triste, piango e
non riesco più ad essere sicura in mezzo alle persone. Non so se il mio
sentimento verso di mio marito è amore, sicuramente tanta rabbia,
vorrei che anche lui provasse il dolore fitto che da 4 anni provo nel
cuore. Aiutatemi vi prego....
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‘Ho sprecato la mia adolescenza davanti ad uno schermo’
21 - Roma- «Restavo a casa incollato al pc invece di andare a scuola.
Giocavo fino a notte fonda e non mi staccavo neanche per andare in
bagno». Luca (nome di fantasia) si muove nervosamente fra i corridoi
del primo ambulatorio aperto in Italia che cura la dipendenza da internet al policlinico Gemelli. Per raccontare la sua storia preferisce utilizzare una mail. Lo schermo è stato per tutta l’adolescenza il suo unico
rifugio e riparo e, nonostante abbia deciso di chiedere aiuto al centro,
ancora non riesce a distaccarsene. «Ho toccato il fondo. Dietro quella
voglia di collegarmi a internet ed entrare in un altro mondo, ora penso
ci sia stato un vuoto di sentimenti».
Come liberarsi della “droga” Facebook?
22 - Da un paio di mesi – ormai quasi tutti i giorni – mi domando se
non sia arrivato il momento di cancellarmi da facebook. Non sono ancora riuscito a darmi una risposta, anche se le motivazioni ci sarebbero
e sarebbero veramente serie. facebook nuoce gravemente alla salute.
Io sono un utente molto attivo. Condivido articoli, talvolta anche materiale più privato (foto, riflessioni), partecipo a discussioni. La mia
comunità di ‘amici’ conta oggi 1.338 persone: di queste, una manciata
sono quelle che conosco direttamente, un’altra manciata quelle che
conosco solo virtualmente. Tutti gli altri sono bit: di loro non so nulla,
né mi interessa nulla, eppure nutro il mio ego accettando le nuove richieste di ‘amicizia’ da gente di cui ignoro tutto ma che sono per me
solo un nome, un cognome, una fotina. D’altro canto – mi dico – uno
che vuole fare il giornalista non può boicottare facebook: lì può fare
indagini, capire le tendenze, cercare notizie, persino approfondire.
oggi, però, mi sono imbattuto in questa riflessione di Pierpaolo Capovilla, cantante de Il Teatro degli orrori. Non ho potuto fare a meno di
leggere. ‘Disattivo le mie pagine facebook’, era il titolo della riflessione, che riporto integralmente.
“Arrivederci a tutti nella vita reale, ed in particolare ai concerti “dal
vivo”, appunto.
I social network possono essere certamente utili per rendere possibile
un’interlocuzione fra il singolo e la società, ma ho l’impressione che
siano diventati (forse lo sono sempre stati) dei luoghi dove lo scambio
di idee troppo spesso diventa semplice ostentazione narcisistica. Parlo anche e sopratutto per me stesso, da risultare null’altro che
l’espressione di impulsi sociali dettati da un individualismo egotistico
virulento, di cui mi voglio al più presto liberare. Si ha un bel dire del199
l’importanza politica dei social network in quei paesi dove ancora le
società aspirano alla democrazia e al libero scambio di informazioni
ed opinioni, cosa certamente vera. È altrettanto vero che in una società aperta, i social network diventano l’estensione di un edonismo tutto
interno ai meccanismi più profondi della società dei consumi. Invece
di unire, dividono: invece di farci incontrare, ci chiudono nella privatezza dei nostri avatar. Per come la vedo io, i social network dovrebbero rappresentare un’occasione di democrazia e di diffusione delle
idee, ma non è così: implementano il nostro desiderio di apparire, impoveriscono il linguaggio e con esso l’interlocuzione stessa, rendono
caotica la nostra visione delle cose e del mondo. Dopo lunghe giornate di lavoro, ci rubano il tempo prezioso che ancora ci rimane per dedicarci alla vita vera, nostra e dei nostri affetti, ci spingono verso un
presente interminabile, obliando il passato, nascondendo il futuro. Le
nostre solitudini sono reali: temo che illuderci di emanciparle nella
virtualità della rete, sia un grave e strategico errore relazionale.
Certo, mi spiace per quel “contatto diretto” che il social network mi
ha sempre reso possibile: quel filo diretto fra la mia persona e chiunque voglia dirmi qualcosa, sia quel qualcosa un’espressione di affetto
o di rabbia, un suggerimento o una critica, un contributo o persino va da sé- un bel vaffanculo.
Vi rinuncio a malincuore, lo ammetto: per questo mi riprometto di registrare presto in rete un sito e un blog attraverso i quali mantenere
una qualche forma di relazione diretta fra di noi. È una cosa a cui tengo molto, ma non la voglio più affidare ad un social network, perché
mi ha profondamente deluso: non produce discussione, ma soltanto
chiacchiericcio, riflessioni nervose, frettolose e spesso incivili, piccole e grandi molestie reciproche, spesso associate a quella malignità
tutta italiana che sembra uguale al disagio da sovraffollamento nel
traffico urbano: tutti nella propria autovettura a dileggiare gli altri
sfortunati automobilisti: qualunquismo di fondo, tristezza, angoscia
sociale. Viviamo in un paese dove televisioni, radio e stampa sono sostanzialmente in mano a pochissimi soggetti economico/politici. Il
pluralismo nell’informazione è illusione e spettacolo: lo chiamano
elegantemente info-tainment. I media dettano l’agenda delle nostre
discussioni, del nostro vocabolario, dei nostri pensieri. Ho creduto e
ancora credo che la rete potesse e possa costituire un “contro-potere”
a questo stato di cose, ma temo che il sentiero da percorrere sia ancora lungo. Si dice e si pensa: la comunità virtuale ti permette di vivere
la contemporaneità fino in fondo: senza social network sei tagliato
200
fuori, sei fuori dal mondo. Io credo sia vero l’esatto contrario: i social
network sono parte integrante del problema, non della soluzione.
Spensi la tv vent’anni or sono. Spengo soltanto oggi questo tranello
chiamato FaceBook. Buona vita a tutti, con l’augurio, a voi tutti e a
me stesso, di fare buon uso delle nostre passioni, aspirazioni e desideri, della nostra voglia di cambiare questo paese, e di renderlo più
uguale e più giusto: è una battaglia per niente facile ed irta di ostacoli
spesso così grandi da farci pensare che non valga la pena d’esser
combattuta”.
La nota di Capovilla mi ha fatto riflettere ancora, nonostante da mesi
pensi spesso a facebook. Da quanto tempo sono un utente del social
network? La mia ‘carta d’identità’ dice che vi sono piombato il 21 settembre 2008. Solo iscrizione. Il primo ‘vagito’ l’ho dato dopo 10 giorni postando una foto. Per diversi mesi la mia attività è stata scostante
e rara, poi pian piano si è intensificata, finché nel giugno del 2009 probabilmente ho iniziato a ‘fiutare il pericolo’ e per un po’ sono sparito
dalla circolazione. Ma sono tornato e da allora, quasi tre anni fa, sono
stato un docile e fedele utente di facebook.
Ma come era la mia vita prima del settembre 2008? Bella. Normale.
Semplice. Diversa da ora, di sicuro. Non voglio dire migliore, né peggiore. Avevo solo amici veri, in carne ed ossa. Erano pochi, ma quando
avevo bisogno di loro li chiamavo al telefono o andavo a trovarli a casa. Qualche volta ho utilizzato la mail per comunicare, ma erano casi
estremi. Non avevo una buona opinione di chi scriveva ‘e mail’, pensavo che il telefono esistesse proprio per rendere ‘presente un’assenza’. Gli ‘eventi’ li leggevo sui manifesti, al massimo me li diceva qualche amico. Uscivo di più, anche, credo. Quando tornavo a casa dal lavoro, che era più o meno lo stesso di ora, in una redazione di un giornale, non mi sognavo neppure di accendere un computer.
Andavo a correre più spesso. Andavo in bicicletta più spesso. Mi appassionai anche al tennis. Parlavo con persone in carne ed ossa e non
con un decodificatore di impulsi elettronici. Ho imparato il significato
della parola ‘chat’ solo quando mi sono iscritto a facebook, mai prima.
Stare lontano da Internet non mi faceva nessun effetto: oggi so che andrei in crisi di astinenza. Ero più creativo, avevo un colorito migliore,
dovevo impiegare il tempo libero sapendo che non c’era il rifugio di un
altro mondo, quello di facebook, a soccorrermi. oggi non è più così:
sono anche io chiuso in questa grande gabbia. Che è una gabbia, ma ti
fa pensare che quelli ‘out’ siano quelli fuori, i pochi amici residui che
mi dicevano ‘io facebook non ce l’ho. È una gabbia nella misura in cui,
201
è vero, raramente su facebook si producono discussioni approfondite.
Il suo stesso meccanismo fagocita tutto ed è raro che uno ‘status’ si sviluppi in più di una dozzina di commenti, sempre tra i soliti ‘amici’. È
assai più frequente, invece, che anche buoni contenuti svaniscano dopo
pochi minuti nel dimenticatoio. In più alimenta piccole e morbose discussioni, gelosie, invidie. Ci allontana, più che avvicinarci, e lo fa traendoci nel tranello di farci sentire parte di un grande gruppo di ‘amici’.
facebook ha favorito la circolazione di informazioni, ma la carne, la
pelle, il sangue sulle strade, non erano quelli di profili virtuali. Le rivoluzioni non si fanno con facebook, si fanno mettendoci il corpo. Si
dice che ognuno debba vivere nel suo tempo. Questo è il temnpo di
facebook, ma inizia a starmi stretto. Bisogna che prenda in considerazione l’idea di mandare in malora questa maledetta gabbia.
Sognando di essere famosa: la storia di Alma
23 - Alma (nome di fantasia), studentessa asiatica di 16 anni e di fede
musulmana,inizia, un po’ per emulazione delle sue coetanee che atteggiandosi con vestiti e trucchi hanno avuto più successo di lei con i ragazzi, un po’ per gioco un po’ con il pallino di diventare presto famosa
per riscattarsi dalla vita grigia in cui si sente intrappolata, a chiedere
alle sue amiche di scattarsi foto, i famosi “selfie”, per realizzare un calendario particolare, da lei definito “goliardico”. Lei stessa si propone
di apparire con immagini seminude.
Contattata da un falso procacciatore di modelle, Alma viene invitata a
spedire foto in costume o in pose particolari in cambio di un impiego
redditizio. In breve tempo la ragazza è presa sempre più dal vortice
della notorietà e allettata dalla prospettiva di un facile guadagno.
Alma non si è fatta scrupolo a inviare foto, cedendo a richieste sempre
più ardite, ricevendo in cambio alcune piccole utilità, quali ricariche
telefoniche, che sono arrivate anche a centinaia di euro al mese.
La storia si è complicata quando la ragazza è diventata oggetto di ricatto da parte del falso procacciatore di impiego che le ha chiesto di
spedirgli video hot per evitare la pubblicazione, anche tramite social
network, di fotomontaggi in pose oscene che le avrebbero certamente
creato più di qualche imbarazzo tra le amicizie, sia reali che virtuali,
per non parlare poi dei problemi familiari, anche in considerazione
della sua appartenenza religiosa.
Il tutto è terminato quando l’uomo è stato denunciato e la famiglia, avvisata di quanto stava accadendo ha compreso la situazione che si era
creata e ha vigilato sul futuro di Alma.
202
I nuovi media, che da un lato aprono nuovi orizzonti ma spesso agevolano atteggiamenti illeciti da parte di chi sa approfittare delle facili illusioni che possono essere ingenerate in ingenui. Di sicuro Alma ha
capito, a proprie spese, che bisogna essere più guardinghi nel divulgare i propri dati personali, specie le proprie immagini.
La dipendenza da Facebook ha distrutto la mia famiglia
24 - Salve, sono una mamma e soprattutto moglie disperata,ho 36 anni, sono dinamica e allegra, già divorziata da un precedente matrimonio; mi sono risposata lo scorso anno dopo 8 anni di convivenza. Mio
marito, 44 anni, sta tutto il giorno al computer, in piccola parte per lavoro, in gran parte per giocare su facebook e per aggiornare un suo sito sindacale (creato da lui).
Lavora come infermiere al 118, in una centrale operativa dove sta al
computer (ha un turnetto di 7 ore: mattina, pomeriggio, notte) e si porta il suo computer portatile. Quando sta a casa si sveglia la mattina e
accende i suoi 2 computer (portatile e fisso) poi fa colazione... poi torna al computer e alterna le sue cure igieniche tra una cliccata e l’altra,
così arriviamo a pranzo, mentre mangia si alza di continuo per cliccare, nel pomeriggio dorme a seconda del turno lavorativo e poi torna al
computer… così fino a cena dove mentre mangia clicca e il computer
rimane acceso fino a tardi. Sono quasi sicura che non mi tradisce chattando con qualcuna/o, ma non ha più attenzioni per me (anche se sono
9 anni che è così, ma ora è peggiorato notevolmente),non ha attenzioni
nemmeno per nostra figlia di 5 anni!! Non esce mai con me, se non
perché costretto. Io ho sempre cercato di coinvolgerlo, senza ottenere
risultati, allora ho chiesto dei limiti di orario nell’utilizzo del pc.
Mi sono resa ridicola, vorrei spaccarlo il computer ma lui andrebbe subito a ricomprarlo,a spese della famiglia. Anche i rapporti sessuali si sono ridotti notevolmente (ci sono stati anche episodi di disfunzione erettile). C’è una soluzione? Io ci discuto continuamente, l’ultima litigata di
sabato scorso mi ha costretta ad andare via di casa con mia figlia per 4
giorni (ci siamo tirati anche oggetti davanti alla bimba) e lui non ci ha
cercate, quando sono tornata per parlarci, stava al computer e non voleva parlare, se gli avessi staccato la luce mi ha detto che mi picchiava (sono incinta all’ottavo mese).Non è un cattivo uomo ma arido, è un ottimo
amante, dipende in tutto da me (non mi aiuta in casa, ne’ paga bollette,
ne’ fa’ la spesa… faccio tutto da sola e io pure lavoro, faccio l’infermiera ma ora sto in maternità). Gli ho detto di allontanarci ma ha detto che
non se ne va’. ora sto a casa con lui ma non ci parliamo, è dura!!!
203
Quando il trading diventa dipendenza
25 - Milano- «La notte facevo fatica ad addormentarmi. Aspettavo
solo che facesse mattino per collegarmi e fare i primi ordini. Durante il lavoro poi, appena potevo, tornavo a casa a controllare l’andamento delle azioni. Compravo, vendevo, speculavo. Arrivavo a
muovere più di diecimila euro al giorno. Qualche volta andava bene, qualche altra meno. Ma alla fine mi sono trovato senza più un
soldo». Ho cercato di nascondere la realtà ai miei familiari ma mia
moglie si è subito resa conto che qualcosa non andava. Inizia a chiedere aiuto a psichiatri, psicologi e anche al SerT (il Servizio tossicodipendenze che aiuta anche i malati di gioco d’azzardo). Ma, nel
migliore dei casi, si sente rispondere: «Signora, suo marito sta benissimo, ha solo fatto degli investimenti sbagliati». Qualcuno addirittura le consiglia di divorziare. Intanto però la situazione finanziaria della famiglia precipita. È il mese di marzo del 2007, quando
tocco il fondo. Un ribasso del titolo Tenaris e il mio conto in banca
si svuota: in pochi anni ho dilapidato 150 mila euro. «fu allora che
mi resi conto della gravità della situazione; d’accordo con mia moglie decisi di intestarle quanto restava dei miei risparmi, e di affidarle la gestione del conto corrente». Ma a quel punto per reazione
all’astinenza da Borsa, cado in depressione. Appena recupero dei
contanti li vado a giocare al videopoker o al gratta e vinci. Nel mese
di ottobre, mi ricovera al San Raffaele di Milano. Una scelta obbligata, considerata la gravità del mio problema. «Per quindici giorni,
mia moglie e mio figlio si davano i turni per sorvegliarmi. Dopo il
ricovero, fabio ho iniziato un ciclo di sedute di psicoterapia con cadenza settimanale e ora mensile. oggi sto cercando faticosamente
di ricostruirmi una vita.
Dipendenza da PC e pornografia, come fare?
26 - Salve,
sono un ragazzo di 25 anni, ritengo di essere molto fortunato nella vita
perché lavoro, sono stimato e ho una famiglia fantastica. Unica pecca
nella mia vita: non ho mai avuto una ragazza (neanche baciata), e sento che la mancanza di una donna col passare degli anni diventa sempre
più frustrante. Mi vergogno molto di questa cosa, tanto che ho cominciato a mentire a famiglia e amici a riguardo.
Solo oggi per caso ho visto un video su TED in cui si parla in maniera
scientifica (e non religiosa) di dipendenza dalla pornografia, e mi sono
reso conto che effettivamente il porno costituisce una parte troppo im204
portante della mia vita, che gli ho sempre dedicato troppe risorse, che
l’uso che ne faccio non sarà smodato ma sicuramente è al di sopra della media, e anche di questa cosa mi vergogno molto.
Voglio risolvere questo problema, voglio amare una donna vera, ho
tutte le energie e le risorse per migliorare me stesso, ma non ho mai
trovato la forza di volontà. È possibile che la soddisfazione avuta dalla
cyberpornografia negli anni abbia assopito la mia naturale tendenza al
raggiungimento di obiettivi e al miglioramento? Devo uscirne... ma da
dove comincio? Con un taglio netto con la pornografia e il PC? È necessaria una terapia? Grazie
“Il gioco online sta danneggiando il futuro di mio figlio”
27 - Mio figlio ha quasi 21 anni e io non so più cosa fare... da settembre è all’università in un’altra città e tutto sembrava andare bene, aveva qualche amico, una ragazza, frequentava i corsi ed io ho sperato che
la sua dipendenza dai giochi di ruolo on line fosse finita...ma mi sbagliavo...tornato a casa per le feste di natale ha passato 20 giorni di fila
davanti al pc, e pensare che aveva portato 5 o 6 libri in valigia per cominciare a studiare ma non ha fatto nulla. Ha trascorso notte e giorno
attaccato al pc. Mi dice che non riesce a studiare; gli ho consigliato di
andare in biblioteca per essere lontano dal pc e riuscire a concentrarsi,
ci ha provato per un po’, però alla fine non ha dato nessun esame. ora
la situazione è peggiorata, passa le giornate in casa a giocare e anche
la notte, e cosa ancora più grave: non ammette di avere un problema e
si innervosisce se gliene parlo.
Lui è lì in quella stanza, io continuo a telefonargli tre o quattro volte al
giorno, a volte cerco di rassicurarlo e spronarlo, altre volte mi arrabbio
e lo minaccio di non pagare l’affitto e che dovrà tornare a casa. Vorrei,
se è possibile, capire come mi devo comportare per riuscire ad aiutarlo; è sempre al pc, per uscire di casa devo spronarlo. Adesso la mia domanda è: devo lasciarlo stare o devo fare qualcosa per aiutarlo? Mi fa
rabbia sapere che ha tante qualità e si perde l’occasione di fare quello
che gli piace per il gioco; inoltre, mi preoccupo per la sua salute, almeno quando era a casa mangiava a orari regolari e si riposava abbastanza; adesso, invece è completamente immerso nel suo mondo virtuale e
non ha orari. Potete consigliarmi una linea da seguire? sono una mamma disperata...grazie per l’aiuto che vorrete darmi. Se lui decidesse di
farsi aiutare a chi dovrebbe rivolgersi?
205
Testimonianze tratte da: quotidiani, siti specializzati, esperienze
cliniche, psicologi, massmediologi, educatori e familiari degli internet- dipendenti
Primo caso in Italia di Intossicazione da Internet
28 - RoMA(1999) - Stato confusionale con allucinazioni e deliri che
hanno richiesto un ricovero: si è manifestato così il primo caso italiano
di “intossicazione acuta” da Internet. È accaduto dopo tre giorni trascorsi quasi ininterrottamente al computer, saltando freneticamente da
un sito all’ altro nella rete delle reti. A individuare il fenomeno è Tonino Cantelmi, lo psichiatra dell’ università Gregoriana di Roma che ha
dato il via in Italia alla terapia per la disintossicazione da Internet.
“Tutti hanno in comune la giovane età (intorno ai 30 anni), una buona
preparazione culturale e l’ essere single”.
Quando la tecnologia mina la salute… (Fonte: sito Nostos.it)
29 - M., 22 anni, universitario, domiciliato a Latina, nel test ha ottenuto un punteggio di 122/125; dall’anamnesi non sono emersi problemi
psicopatologici rilevanti; M. più passava il tempo più aumentava progressivamente le ore passate on-line; diceva di essere ossessionato dai
download; per accelerare tale processo, era dovuto ricorrere ad un
cambio di abbonamento, passando da una normale linea 56K, ad una
velocissima ADSL; tale passaggio comportava dei costi abbastanza
proibitivi, che era riuscito a sostenere evitando l’acquisto di libri di testo, fondamentali per proseguire nei suoi studi accademici. Causa scatenante dei suoi disturbi probabilmente è stata l’annunciata chiusura
del suo programma preferito per lo scambio di file multimediali. Marco è rimasto 36 ore senza mai “staccare”, per cercare di sfruttare al
meglio il tempo rimasto fino alla chiusura del famigerato sito. Superate le 36 ore, si sono verificati nel soggetto in questione, tremori, sudorazione profusa, tachicardia.
Tali disturbi sono regrediti spontaneamente in un periodo di 48 ore.
oltre a questa sintomatologia eclatante, Marco riferiva alcuni deficit
relazionali che erano sempre facilmente riconducibili all’uso del computer (era stato lasciato dalla ragazza, si sentiva ignorato da gran parte
dei suoi amici e non comprendeva il perché). Dopo il ricovero M. viene seguito da uno psichiatra per la terapia farmacologica e per colloqui
individuali associati a incontri di terapia familiare. Segue un nuovo
peggioramento della sintomatologia clinica che lo porta a rimanere
sempre più chiuso in casa; isolato anche dagli ultimi amici, inizia a
206
collegarsi ad Internet. M. inizia a modificare tutti i suoi orari di vita,
rimane alzato tutta la notte per rimanere connesso e va a dormire alle
6/7 del mattino quando gli altri familiari si alzano.
Solitudine e depressione: amici della dipendenza…
30 - D. è figlio unico, universitario ma con scarsi risultati. Si presenta
in consultazione a 23 anni, evidenziando aspetti depressivi legati, a
suo dire, ad un precedente contatto con una ragazza conosciuta in chat
con la quale si è poi incontrato ed ha avuto un rapporto sessuale. Successivamente, D. ha cercato di ricontattare la giovane senza però riuscirci.
Nei colloqui successivi D. inizia a raccontare la precedente relazione
sentimentale con una ragazza con la quale sperava di poter andare a
convivere. Il rapporto successivamente si è interrotto e D. ha iniziato a
trascorrere sempre più tempo in chat cercando chiaramente di trovare
una figura femminile sostitutiva. Bisogna però precisare anche la presenza di un trauma affettivo di D. dalla famiglia di origine. Infatti, elaborando con D. la depressione attribuita alla relazione in chat riusciamo a dare la giusta importanza al precedente trauma affettivo e ad interpretare, sia pur con molte difficoltà, come la fugace storia sessuale
abbia rappresentato il parafulmine di un problema non elaborato. Durante i colloqui emerge una difficile situazione relazionale con i genitori.
Madre e padre sono “terrorizzati” dall’idea che D. possa allontanarsi
da casa.
Dopo alcuni incontri con i genitori alternati a degli incontri individuali
D. inizia a comprendere le difficoltà di svincolo dalla famiglia di origine e l’impossibilità di essere aiutato dai propri genitori che, a loro volta, non avevano mai elaborato la loro autonomia dalla rispettiva famiglia d’origine. Alcuni mesi dopo D. ha ripreso la frequenza universitaria in una città diversa dalla residenza della famiglia di origine ed ha
iniziato ad elaborare in maniera diversa le relazioni con le figure femminile. Durante l’estate ha cominciato un’attività lavorativa saltuaria
ed ha ripreso l’attività sportiva; l’utilizzo della rete è divenuto periferico e oramai trascorrono giorni senza che D. accenda il computer.
Reale e virtuale: due mondi paralleli
31 - La storia a cui accenno è quella di Marco (per questioni di privacy
il nome e la storia raccontata sono frutto della fantasia). Marco ha 17
anni. Da qualche mese, quasi un anno, non stacca lo sguardo dal mo207
nitor del suo computer. A scuola qualche volta va, ma solo quelle rare
volte in cui riesce a svegliarsi. La sua giornata inizia attorno alle 14.00
del pomeriggio, quando si alza e si mette davanti al PC. Termina attorno alle 6.00 della mattina. Tra le 14.00 e le 6.00 cena, qualche volta insieme ai genitori, altre volte da solo di fronte al computer. Le relazioni
face to face con persone sono ridotte al minimo e può capitare che
Marco non veda nessuno al di fuori dei suoi genitori per tre settimane
consecutive. Al computer svolge numerose attività: si diverte con giochi online, guarda serie TV e costruisce video da caricare su YouTube,
dove tra l’altro ha molte visualizzazioni. L’attività che gli prende più
tempo è quella con i MUD, ovvero i giochi in rete con altri utenti. Qui,
Marco, attraverso il suo Avatar, vive una vita parallela e non differenzia più il confine tra il mondo reale e quello virtuale: Marco e il suo
Avatar sono un’unica cosa e così, in rete, può fare incontri anche sentimentali con altri Avatar, conquistare nuovi mondi, provare emozioni
e sensazioni vere. Apparentemente qui trova tutto quello di cui ha bisogno.
Il ritiro di Marco di fronte al computer è stato graduale ma sono state,
probabilmente, le difficoltà a relazionarsi con i compagni di classe e il
sentirsi inferiore a loro subendo anche degli atti bullismo, a farlo rifugiare dietro ad un monitor. La famiglia, che ha sempre considerato la
condotta del figlio meno preoccupante rispetto ad altri comportamenti
adolescenziali (fumare, ubriacarsi, tornare a casa tardi la notte…), ha
cominciato a preoccuparsi solo in seguito all’aumento dell’aggressività di Marco, che in un paio di situazioni, quando il papà ha provato a
staccargli il modem, si è spinto fino ad agiti di violenza non più solo
verbale. In quel momento, i genitori, si sono accorti di avere “un mostro” in casa, incapace di comunicare con loro e di provare qualche
sentimento reale. Quella prigione virtuale, si dicono con grandi sensi
di colpa, è stata in parte costruita anche da loro, quando a 10 anni gli
hanno comprato la prima console e tutte quelle volte in cui non sono
riusciti a imporre dei limiti al suo soggiornare online.
Gioco on line: un hobby trasformatosi in vizio
32 - fabio N. è un ex studente di scienze della comunicazione, che durante gli anni universitari, è rimasto “vittima” dl gioco d’azzardo online. Partito dalla sua cittadina, in Sicilia, ha trascorso circa sei anni, degli otto trascorsi nella capitale, a giocare sui siti di poker on line.
Inizialmente tre o quattro partite al giorno, nel pomeriggio magari dopo lo studio, fino alla sera, per un totale di quattro o cinque ore. In al208
cune giornate però fabio ha ammesso di giocare anche fino a sette o
otto ore. Di solito si inizia con tornei di poker on-line intorno alle 6 del
pomeriggio e spesso si finisce a tarda notte, e talvolta alle prime ore
dell’alba.
fabio gioca da solo, poiché vive lontano dal suo nucleo familiare. Talvolta però invita a casa amici, appassionati di poker, finendo quasi
sempre per partecipare allo stesso torneo on-line, con due o tre computer nella stessa stanza.
Pian piano quello era partito come un hobby si è trasformato in qualcosa di più: fabio ha cominciato a sfogliare riviste sul mondo del poker, ha iniziato a seguire le trasmissioni televisive sulle reti private che
trasmettono le partite dei grandi campioni.
Preso da questa mania per circa sei anni, fabio ha trascurato notevolmente lo studio poiché trascorreva gran parte della sera e della notte
davanti al computer, giocando due o tre tornei contemporaneamente.
Poi ha scoperto anche le slot machine on-line e le scommesse sportive
ed in quel momento si è reso conto che stava osando troppo. Giocare a
poker, alla slot machine e puntare qualche euro su una partita di calcio
su internet si può fare, tutto insieme, nello steso istante, basta lasciare
aperte tre o quattro pagine sullo schermo e giocare anche su siti esteri.
fabio ha lasciato lo studio ai margini della vita e spesso, rifiutava gli
inviti a cena da amici, o trascurava le persone che gli stavano intorno,
preferendo il gioco on-line a tutto il resto.
Un po’ per fortuna, un po’ per una certa abilità nel gioco su Internet (che
è molto diverso da quello reale) fabio non ha mai perso tantissimo in
termini economici. Ha perso moltissimo in termini di tempo. Le ore spese davanti al computer sono state un vero danno per la sua vita privata e
per la sua formazione personale. Nelle giornate in cui è riuscito a vincere anche 1.400 euro al poker, dopo quasi otto ore davanti al terminale la
voglia di giocare aumentava. Così fabio si è ritrovato ad alzarsi al mattino, bere un caffè, e attaccarsi al computer per un’altra giornata intera
trascurando anche la salute. Di pessimo umore, irascibile, nelle giornate
in cui le partite non andavano per il meglio era particolarmente depresso
e rifiutava ogni contatto, anche telefonico, con familiari e amici. Per circa un anno con il poker on-line, è riuscito ad assicurarsi più di 2.000 euro al mese, come un impiego fisso, ma spendendo tutto per far una vita
al di sopra delle reali possibilità economiche.
oggi, a distanza di un paio d’anni, fabio è ritornato in Sicilia, non ha
un lavoro, ma almeno non gioca più, poiché è ritornato a casa dei genitori, che costantemente vigilano su di lui.
209
‘Salvato’ dalla schiavitù del Gioco d’azzardo
33 - Torino- Mio fratello era schiavo del gioco d’azzardo. Stava distruggendo la sua famiglia, oltre che se stesso con il bere e il fumo; arrivò a prendere i soldi messi da parte per il figlio, e a giocarseli. Si rendeva conto che ciò che faceva, provocava sofferenza anche alla sua famiglia e voleva smettere. Si diceva: “Da domani cambierò vita”. Ma
non ci riusciva. Il suo stato di salute peggiorava, vedeva il male che
stava facendo alla moglie e ai figli, si rendeva conto della sua incapacità di liberarsi da quelle catene e così tentò più volte il suicidio ma
senza successo.
“All’epoca”, racconta, “non ero cristiano e non sapevo che il peccato
non è un ‘vizio’, ma è una schiavitù reale alla quale non ci si può sottrarre con le proprie forze. Ero arrivato al limite, non avevo più i soldi
neanche per comprarmi le sigarette; allora presi una pistola e andai su
una montagna, dove intendevo uccidermi. Mi puntai la pistola alla testa ma udii una vera e propria voce che mi diceva: “Non è questo il
modo di risolvere il tuo problema”. Mi guardai intorno, ma non c’era
nessuno. Confuso, mi dissi che non ero neanche capace di togliermi
quella vita che non meritavo. Allora caddi in ginocchio e gridai a Dio:
“Se tu esisti, io so di essere l’uomo più indegno del mondo e di non
meritare nulla, ma se Tu esisti salvami!”.
In quell’istante, sentii come se mi fossero stati tolti da dosso dei pesi
enormi, come se ogni catena fosse stata infranta. Piangendo di gioia,
tornai a casa. Ero sempre sorridente, mi guardavo allo specchio e non
riuscivo a credere al cambiamento che era avvenuto in me.
Il gioco d’azzardo e l’alcool non riuscivo neanche a pensarli, anzi provavo disgusto per essi. La mia famiglia e i miei conoscenti non mi riconoscevano più e si rallegrarono con me. Decisi allora di credere in
Gesù Cristo e dare a Lui la mia vita. Cominciai a frequentare una chiesa evangelica e feci il battesimo.
La mia salute intanto era in gravi condizioni. Il dottore insisteva perché mi sottoponessi con urgenza a un intervento chirurgico al cuore; a
un certo punto mi confessò: “ Tu hai al massimo due mesi di vita”. Gli
risposi che la mia vita era nelle mani di Dio e che anche se fossero stati
due giorni soltanto li avrei spesi per Lui. Gli offrii una copia del Vangelo, ma lui rifiutò sprezzante. Disse: “Se non fosse per noi medici…
altro che il tuo Dio!”. Passarono diversi mesi e un giorno mentre camminavo per strada, vidi il dottore venirmi incontro, sullo stesso marciapiede. Ridacchiando, mi disse: “Hai visto che alla fine ti sei convin210
to a farti operare?” Gli risposi che non mi ero fatto operare. Incredulo
(perché dovevo essere già morto da tempo), mi sollevò la camicia, mi
esaminò attentamente e vide che non avevo segni di sutura sul petto.
Rimase strabiliato e mi chiese: “Hai ancora quel Vangelo?” “Non avevi detto che Dio non esiste?”, gli dissi. “Mi sbagliavo, ora credo. È un
miracolo”, fu la sua risposta”.
“Togliete davanti ai miei occhi la malvagità delle vostre azioni; smettete di fare il male; imparate a fare il bene…Poi venite e discutiamo,
dice il Signore: Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana”. (Isaia 1:17,18).
“Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i
peccati e purificarci da ogni iniquità”. (1 Giov. 1:9)
“Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia”. (Atti 16: 31).
Chi pagherà la mia dipendenza da Internet?
34 - Craig Smallwood, è originario delle Hawaii ed è un appassionato
di Lineage II, un noto gioco di ruolo online pubblicato dalla sudcoreana NCSoft nel 2003. Una passione che, secondo quanto egli stesso afferma, l’avrebbe portato a giocare con Lineage a ritmi ossessivi. Un
totale di oltre 20.000 ore tra il 2004 e il 2009. Circa 11 ore al giorno in
media. oltre 830 giorni solari complessivi. Al punto da perdere quasi
totalmente il contatto con la realtà. Una menomazione a causa della
quale, secondo il giovane, in quel periodo non sarebbe stato in grado
di condurre una vita normale. Entrando più nello specifico, Smallwood nel 2004 inizia la sua nuova vita virtuale nel mondo fantasy di Lineage. Apre tre diversi account, e si lancia in quel mondo digitale popolato da maghi, orchi ed elfi. Ma la situazione, con ogni probabilità,
gli sfugge velocemente di mano perché inizia ad investire la quasi totalità della sua giornata davanti allo schermo. Una condizione che, secondo Smallwood, lo portò a essere “incapace di svolgere indipendentemente le normali attività quotidiane, come alzarsi dal letto, vestirsi,
lavarsi o comunicare con la famiglia e gli amici”.
«Ha dilapidato i risparmi e distrutto la nostra famiglia»
35 - Torino- Questa è la storia di Mario R., 48 anni, di Milano, impiegato nella filiale di una grande azienda di assicurazioni, padre di tre
bambini di 16, 14 e 5 anni. Sofia, la madre dei suoi figli, insegnante alle scuole medie, lo ha lasciato da poco. «Dopo quasi vent’anni di vita
assieme, non ce la facevo più» confida alle amiche: Mario l’ha tradita
211
per anni. Di giorno, di notte, al lavoro, nei fine settimana, in vacanza.
Ma non con qualcuna, o qualcuno. Col computer. «Era sempre stato
un fanatico dei videogiochi, ma tutto è peggiorato una decina d’anni
fa, quando abbiamo comprato quel dannato modem» racconta Sofia.
«Me lo sento ancora nell’orecchio, il sibilo del collegamento telefonico a Internet a notte fonda». Quando lei, assonnata, lo chiamava per
chiedergli che cosa stesse facendo, lui rispondeva che si portava avanti col lavoro arretrato, o che sbrigava la corrispondenza, o che preparava la ricerca scolastica del figlio, fino ad ammettere di aver trovato un
gioco elettronico che lo aiutava a prender sonno .
Superata la crisi del momento, con lui che giura «È la prima volta, non
lo faccio più», lei ha cercato di fidarsi. fino alla successiva bolletta del
telefono. Perchè, ai tempi del modem, i collegamenti a Internet costavano cari come il fuoco: «Quando ne abbiamo ricevuta una ingiustificabile, è stato lui per primo a chiedermi di nascondergli il modem, per
evitare la tentazione». Salvo poi pentirsi e mettere sottosopra tutta la
casa per ritrovarlo, in assenza di moglie e figli.
Dilapidati tutti i risparmi, abbandonato dalla famiglia, Mario l’anno
scorso ha cercato aiuto da uno psicoterapeuta specializzato in tossicodipendenze. E oggi è in grado di raccontare la sua esperienza. «Ho scoperto di avere spostato su Internet e il sesso virtuale una compulsività che in
passato avevo avuto verso sostanze come alcol e droghe, e che altri magari hanno per il cibo o il gioco d’azzardo. Ma Internet è più insidiosa,
perchè offre il vantaggio dell’anonimato, della dimensione Mud (Multi
User Dimension) per sperimentare con una o più identità online, rimuove le barriere geografiche e apre le porte a tutte le culture». Tutto questo
può condurre a una conoscenza più profonda di sè e all’autorealizzazione: ma come in tutte le cose, se si esagera è rischioso.
«Non ho perso il lavoro perchè nelle grandi aziende ci si può perdere
nel computer senza farsi accorgere...E io sono stato capace di dissimulare bene perchè sono multi-tasking». Si vanta quasi, Mario, di questa
sua capacità a fare più cose in contemporanea: giostrando sullo schermo i documenti del lavoro, più siti Web, un videogioco di gruppo, l’instant messenger, l’email e una chat. Eppure recentemente è stato determinato che anche il «multi-tasking» rischia di diventare di per sè una
forma di dipendenza. «Anche adesso che cerco di tenermi lontano dalle chat e dai videogiochi, non riesco a fare una cosa alla volta e mi accorgo che - persino mentre guido - ho bisogno di far scorrere i pollici
sul cellulare in cerca di un numero o digitando un sms». Sarà anche
multi-tasking, ma Mario ammette di aver fatto già due incidenti auto212
mobilistici, perchè intento a comporre o leggere un sms sul telefonino
cellulare anzichè prestare attenzione alla guida. Che cosa sta imparando in psicoterapia sulla sua dipendenza digitale? «È doloroso, come guardarsi davanti a uno specchio senza trucchi: mi tocca fare i conti con me stesso, preferivo il mio alias digitale» ammette Mario. «online ci si idealizza grazie ad attributi spesso inventati. L’anonimato,
abbinato all’atto di scrivere, intensifica le relazioni e permette di creare legami con enorme facilità; ma si tratta di relazioni transitorie, formate tra estranei virtuali, a cui spesso è associato l’inganno (per esempio su età, sesso, razza o vocazione) per impressionare l’altro internauta: tanto è difficilissimo verificare i fatti». Ma il successo reale di
chi popola Second Life, il portale che offre una Seconda Vita, tutta virtuale, insegna che si può vivere online senza fare e senza farsi male.
Non lo consola la spiegazione del suo psicologo, secondo cui ci sono
psicopatologie ben precise che inducono la dipendenza da Internet:
«Mi ha elencato i fattori di rischio, che includono le storie di dipendenza multipla, condizioni psichiatriche come depressione, disturbo
ossessivo compulsivo, disturbo bipolare, compulsione sessuale, gioco
d’azzardo patologico, o fattori situazionali come stress da lavoro, contrasto coniugale o abuso infantile...e per consolarmi ha detto che più
della metà dei casi di Internet-dipendenza derivano da una patologia
associata». Insomma: non è colpa sua, nè di Internet.
E la terapia? «La solita di tutte le forme di dipendenza: primo acquisire la consapevolezza del problema. E poi lavorare con un gruppo di
supporto». Sofia si è rifiutata di partecipare a una terapia coniugale,
però sta valutando la terapia di famiglia per amore dei figli.
Una giornata con coloro che soffrono di dipendenza da internet
36 - La storia di N. è quella di una ragazza cinese che si sveglia alle 14
e va a letto alle 6 del mattino. Ha 17 anni e ha già perso due anni di
scuola. Si è trasferita a Torino con la famiglia ma vive solo di notte
connessa con i connazionali a 8000 chilometri di distanza.
All’inizio papà e mamma sono orgogliosi: N. non fuma, non si è mai
ubriacato. Nessuna notte passata con il cuore in gola ad aspettare il
rientro dalla discoteca. Ma quando provano a staccare la spina del pc N.
diventa aggressivo. Insulti, botte. Una crisi d’astinenza in piena regola.
Racconta N. che la sua giornata è piena, appagante. Partecipa a giochi
di ruolo, scarica le serie tv americane, costruisce video da caricare su
YouTube. Non si sente mai solo. Perché dall’altra parte dello schermo
c’è qualcuno.
213
Districarsi dalla Rete è possibile: un case report paradigmatico
37 - fB è un adolescente maschio, figlio unico; si rivolge all’ambulatorio ASL per le dipendenze per la prima volta all’età di 16 anni, su segnalazione del Servizio Sociale Territoriale, al quale si sono rivolti i
genitori, preoccupati circa alcuni comportamenti del figlio.
Nel corso della prima visita medica fB si presenta taciturno, schivo e
poco incline al dialogo. Il linguaggio corporeo non verbale è contrassegnato da sostanziale chiusura, sfiducia in chi gli sta davanti (occhi
sempre bassi), isolamento, abulia, noia e assenza di aspirazioni o prospettive.
fB ha abbandonato gli studi all’età di 15 anni, al secondo anno dell’Istituto d’Arte. Il momento dell’abbandono scolastico non è stato seguito da ricerca attiva di un lavoro, ma da lunghe giornate trascorse sul
divano di casa davanti alla TV. A nulla sono serviti gli incitamenti dei
genitori, persone che si presentano equilibrate e con un corretto grado
di comprensione e tolleranza. Entrambi lavorano, il padre come operaio, la madre part-time presso una impresa di pulizie, impegnata nelle
sole ore del mattino.
fB non sa dire per quale ragione ha lasciato la scuola; “in fondo, dice,
l’Istituto d’Arte mi piaceva…sono bravo a disegnare…”. Annoto come questo argomento risulti l’unico in grado di risvegliare in fB stimoli al dialogo quando gli chiedo come trascorra la giornata adesso
che non ha più impegni scolastici, racconto di intere giornate trascorse
tra la TV ed il computer, dove passa ore a chattare in un social network, con amici o conoscenti o anche persone delle quali ha accettato
la richiesta di amicizia, pur senza conoscerle fisicamente.
fB mi sembra un ragazzo intelligente, dotato di risorse creative e di
vivacità intellettiva, ma “spento”, come se qualcosa o qualcuno avesse
premuto il tasto “off”.
Decido di inserirlo nel programma “Live Up+1: vivi una vita in più”
(il nome è mutuato da una dicitura, molto nota tra gli adolescenti, frequente nei videogame, ove ha il seguente significato: se uccidi il nemico guadagni una vita in più). Tale programma prevede l’attuazione di
una serie di attività di gruppo che spaziano dalla pratica di vari sport
(free-climbing, pesca, etc.) ad “uscite culturali” ad altre varie attività
creative. Il tutto si svolge preso il Centro della ASL dedicato ai minorenni con problemi di dipendenza. L’obiettivo principe è quello di “risvegliare” nei ragazzi risorse o desideri o passioni sane ora sopite, addormentate a causa della “anestesia emotiva e sensoriale” che le forme
214
di dipendenza con o senza sostanze sono in grado di praticare. In particolare a fB viene proposto di disegnare 12 tavole corrispondenti ai
12 mesi dell’anno, con temi e tecniche di sua scelta (matite, acquerello, collage..) che saranno poi assemblate in un “Calendario Sert” che il
Servizio ha in mente di stampare e distribuire in vista del nuovo anno.
fB si mette al lavoro, ma fa fatica a completare i suoi disegni, tende ad
isolarsi, spesso non si presenta al Centro; dopo circa 4 mesi ha di fatto
prodotto soltanto 3 disegni (i mesi invernali) a china ed acquerello,
che lui giudica non belli, tanto che ci comunica che non intende proseguire in questo impegno. Non vediamo fB per un paio di mesi, quando si presentano i genitori che riferiscono che il figlio, visibilmente
“migliorato” nei comportamenti nel periodo in cui frequentava il Centro, era tornato cupo, assente… sul divano tutto il giorno, davanti a TV
o a PC.
Decido di richiamare fB, invitandolo questa volta a partecipare ad una
attività più di gruppo: il Servizio ha in mente di organizzare una mostra di fotografia artistica; le foto migliori saranno esposte per alcuni
giorni presso uno spazio espositivo messo a disposizione di una libreria del luogo. fB si mostra questa volta più coinvolto, scatta anche alcune foto, ma principalmente si propone come soggetto e come “regista” di scatti speciali fatti da altri. Quando si tratta di disegnare un logo
per la mostra e di pantografarlo a grandezza uomo per appenderlo alla
parete principale, fB si propone subito e lavora intensamente e rapidamente, questa volta non sono presenti svogliatezza, disistima, isolamento. Alla inaugurazione della mostra si presenta con i genitori ed
appare decisamente soddisfatto e partecipe dell’evento.
Da quel momento fB decide di impegnarsi nella ricerca attiva di un
lavoro. Questa attività lo occuperà per svariati mesi; ora fB ha appreso (o riappreso) che ciò che conta sono le proprie inclinazioni, le proprie passioni, le proprie capacità e che è giusto ed utile che queste vengano valorizzate e socializzate.
Adesso fB, ormai divenuto maggiorenne, ha trovato lavoro presso
una nota casa di accessori per la moda. Al momento il suo inquadramento lavorativo è di profilo iniziale, ma si alza tutte le mattine e va
contento al lavoro…Un domani, forse, proporrà qualche suo disegno
che sarà apprezzato e, magari, messo in produzione. Perché anche la
speranza di migliorare la propria qualità di vita è un motore che può
trascinare fuori dall’apatia cui conducono, invece, le varie forme di dipendenza.
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Tecno- dipendenza: causa della mia solitudine
38 - Sarà circa un mese, che il mio ragazzo passa sempre più tempo
davanti al pc.
Viviamo insieme, siamo studenti, abbiamo entrambi 26 anni. Il mio
ragazzo si sveglia la mattina e va al computer; a meno che non si
hanno degli impegni o non si deve uscire di casa sta sempre, ma dico
SEMPRE davanti al pc (quasi sempre collegato su facebook). Quando si stacca dal pc si attacca al cellulare. Ieri sera volevo fargli una
sorpresa e gli ho preparato la cena, io volevo mangiare decentemente, ma no, lui ha voluto mangiare davanti al pc. Prima di addormentarci, abbiamo cominciato a parlare, ma poi abbiamo dovuto smettere perché voleva vedere tramite l’i-phone cosa diceva wikipedia a
proposito della nostra discussione, così è rimasto con il cellulare in
mano e la nostra conversazione è finita lì. Il giorno seguente, al mattino, oltre al buongiorno non c’è stata nessun’altra parola ed ha fatto
colazione davanti al computer. A me non rimane altra soluzione che
fare lo stesso che fa lui, perché mi sento sola e ho bisogno di conversare con qualcuno.
La ludodipendenza nuoce gravemente alla vita di coppia
39 - Gentili psicologi, avrei bisogno di un consiglio: il mio ragazzo,
anche se non è ancora una storia del tutto ufficiale, ha una forte dipendenza da pc. Passa molte ore davanti ai giochi del computer, e non è
propriamente un ragazzino, ha 32 anni. Considerate che è capace di
starci attaccato dalle nove all’una di notte, togliendo quindi tempo al
sesso, alle coccole, a momenti tra me e lui. Ho addirittura scoperto che
gioca anche mentre è in studio (fa il segretario di uno studio di commercialista). La cosa rasenta una vera e propria malattia, ma se solo
accenno all’argomento lui si chiude a riccio e cambia discorso. Dice
che non intende andare da uno “strizzacervelli” e che finché può (ovvero quando gli obblighi di figli e ufficializzazione della storia glielo
imporranno - forse!) allora smetterà. Per ora probabilmente si sente in
diritto di farlo perché la storia non è ufficiale e poi “perché del resto i
nostri amici comuni fanno tutti così”.
Noi per adesso non conviviamo, ci frequentiamo e basta, e anche a distanza visto che abitiamo in città diverse, però ecco, gioca anche le
volte che vado a casa sua, quelle tre ore serali non può togliergliele
nessuno. Non so come altro fare per fargli capire che è un male, per sé
stesso e per la relazione.
216
“Mio marito mi tradisce con la tastiera”
40 - Salve a tutti, mi chiamo Ilaria ho 26 anni e sono fidanzata con un
ragazzo che si chiama Marco. Ho deciso di scrivere un post per chiedervi aiuto e consiglio, dal momento che ha un problema da diversi
anni.
In pratica la situazione è questa. Lui passa molto tempo davanti al
computer; in genere o gioca o guarda film pornografici e a volte mi
racconta che sta davanti al Pc fino alle 5 o 6 di mattina e non riesce a
staccarsene. Ha tentato moltissime strategie, come anche quella di
mettere un Timer e adesso è addirittura arrivato a tranciare il cavo di
internet ma il punto è questo: se non gioca diventa nervoso e sfoga la
sua rabbia su altre cose, per esempio si strappa i capelli (credo soffra
anche di tricotillomania) si cucina cose schifose apposta per stare male, si abbuffa, certe volte mangia troppo o certe volte troppo poco o
niente, fa versi strani; insomma lui dice di stare male per l’astinenza.
Credo che sia una vera e propria droga ormai.
Dal canto mio non ce la faccio più a vederlo in questo stato. Quando
non gioca gli viene in mente di giocare, immagini o suoni dei videogiochi, e perde il contatto con la realtà.
Mi chiedevo... Come mai ci son persone portate alla dipendenza e altre
no? Io per esempio ho avuto qualche problema con certi videogiochi
(Skyrim, fallout, giochi di facebook come The sims social, Rayman,
Diablo 2, Cityville, Nostale, Second Life) ma poi resami conto che
stava diventando un pericolo per me ho smesso immediatamente e
adesso riesco a giocare ad altri giochi senza problemi. Perché io ho
smesso e lui non riesce? Noi abbiamo pensato che la causa di questo
problema deriva dalla totale assenza di contatto sociale, non è che non
ha amici ma proprio nessun contatto sociale. Per esempio quando noi
usciamo non parla mai. Sono sempre io quella che parla e gli dico che
non deve aver paura a parlare, lui mi ha confidato che ha paura che la
gente lo prenda in giro o che pensi male di lui, visto che da piccolo a
scuola è stato vittima di bullismo e molti lo prendevano in giro. Comunque...come posso aiutarlo? fatemi capire perché sinceramente
non ne possiamo più. Grazie mille.
Notti insonni tra computer e sms…
41 - Roma- Le storie di Manuela, francesco e Massimo (nomi di fantasia: lo preferiscono, ndr) ricordano quelle di tanti altri, adolescenti o
adulti, vittime dell’Internet Addiction Disorder: dipendenza patologica da internati con disturbi di comportamento ossessivo verso il web.
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«Notti insonni passate davanti al computer, chattando senza sosta con
ragazze incontrate sul web. Il giorno dopo al lavoro mi sentivo praticamente un fantasma, assente, tanto da non accorgermi delle avance reali, quasi insistenti, di una mia collega». francesco è un ingegnere di 38
anni, bell’aspetto, non gli mancherebbe nulla per conquistare una ragazza. Ma c’è un problema, francesco preferisce filtrare con la tastiera. Poi c’è Manuela, quindici anni, sguardo basso e con i suoi genitori
non comunica più di tanto. Le hanno fatto capire che stava esagerando
con tutti quegli sms, cinque, sei ore di fila al giorno. E poi la volontà di
Massimo, che sta per essere premiata: studente universitario di 26 anni, più forte ormai della sua prima confessione: «Si può dire a qualcuno che bevi troppo, soffri di crisi depressive o altro, ma come fai a raccontare a un estraneo che passi il tuo tempo davanti a un computer?».
Malattia del terzo millennio: sempre più giovani a rischio
42 - Andrea sembra assente: il tempo che trascorre navigando in Internet continua ad aumentare; non vede l’ora di arrivare a casa per collegarsi alla rete perché il suo pensiero è spesso rivolto a ciò che le persone che non conosce si stanno comunicando. Andrea è uno dei soggetti, per la maggior parte adolescenti e giovani, sui quali Internet
esercita un fascino quasi irresistibile.
43 - Michele parla sempre meno. Le conversazioni lunghe lo infastidiscono e pensa che le persone che conosce abbiano perso la capacità di
rispondere in modo sintetico e chiaro alle sue domande. Tutto il tempo
che non trascorre davanti al computer gli sembra sprecato, così spesso
il sabato passa in ufficio. Risultato: è teso e impaziente. Che cosa gli
sta accadendo? Secondo gli esperti si è ammalato. Soffre di un disturbo fino a qualche anno fa sconosciuto, legato alle nuove tecnologie
che, come il computer e Internet, hanno invaso la vita quotidiana e occupano sia il tempo lavorativo sia il tempo libero. I disturbi sono legati
ai nuovi stili di vita: agiscono sulla sfera psichica ma, a lungo andare,
possono debilitare tutto l’organismo.
La mia amica vive solo in chat… come la posso aiutare?
44 - Bologna- Ho un amica, è una carissima amica, anche se è una persona un po’ scontrosa.
Ha molti difetti: è incredibilmente tirchia nonostante sia abbastanza
ricca [al ristorante si beve l’acqua che si porta in borsa...], parla solo di
se ed è viziata all’inverosimile.
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Non sarebbe nemmeno una brutta ragazza se imparasse a valorizzarsi
invece di mettersi cose che le piacciono ma che le stanno malissimo.
Da un po’ di tempo ho notato che soffre di una vera e propria malattia
per internet. Quando viene ospite da me, abbastanza spesso, sta sempre attaccata al mio computer non si siede nemmeno a pranzare con
me, mangia davanti al pc.
Io abito sola e sono disposta ad accettare questo compromesso, perché
ho paura della solitudine...
Adesso però il problema è che lei non trova un ragazzo e si è iscritta ad
un sito di incontri on line; ha conosciuto virtualmente un ragazzo da
qualche settimana [lo ha visto solo in cam e comunque crede come alla bibbia alle cose che gli racconta lui]. Sabato sera le propongo di
uscire ma lei mi risponde che usciva solo se il ragazzo non era connesso in chat. Ragazzo, tengo a precisare, che lei non conosce a parte per
qualche video chiamata su msn. Le altre nostre amiche l’hanno già
esclusa dal gruppo e io sto cercando di fare nuove amicizie. Mi preoccupo per lei, ho paura che rimanga completamente sola e finisca nuovamente in depressione. Qualche consiglio?
Il mio ragazzo ha una seconda vita parallela…
45 - Provo a scrivere a Voi, sono certa qualcuno saprà spiegarmi perché accade questo.
Ho conosciuto il mio ragazzo (la persona più dolce che conosco) in
una chat quasi un anno fa; una sera che non avevo nulla da fare, l’ho
contattato… ero curiosa e da lì abbiamo iniziato a sentirci e finalmente
ci siamo visti…. e così abbiamo iniziato il nostro viaggio.
Da subito ho capito che quello che per me era stato l’episodio di una
sera per lui era la vita… lui vive una vita virtuale! Siamo grandi non
ragazzini, abbiamo entrambi 33 anni, siamo dei professionisti ma lui
non riesce a farne a meno. Gli ho fatto capire che doveva cancellarsi
da quella chat e mi ha detto si, ma ha semplicemente cambiato account. Inoltre è sempre su messenger e mi ha bloccata per averglielo
fatto notare. Lui vorrebbe farmi credere che non si collega più ma io
so che non è così perché mi sono finta una ragazza e ho con lui un semi
contatto. Non esce se non con me, non ha amici e la sua vita è solo chat
e me! In me si rifugia, ci divertiamo, stiamo meravigliosamente bene
insieme, coccole, risate, parliamo tanto e ci desideriamo ma tutto ciò
non gli basta. Dice che la chat è semplicemente un passatempo! Io mi
sto logorando dietro questa storia che inizio a credere sia senza senso
e non voglio fare l’eroina che vuole salvarlo; vorrei solo un amore sa219
no e vero! Cosa devo fare??? Lasciarlo? Si lo farei subito se non lo
amassi così tanto. Grazie per aver letto il mio sfogo….. mi sento così
confusa! Adesso l’unica cosa che credo sia giusta da fare è lasciarlo
andare via per la sua strada! Io non ce la faccio più.
Madre disperata: mio figlio dipendente da World of Warcraft
46 - Australia- Una donna australiana ha deciso di scrivere a un quotidiano per denunciare la situazione di suo figlio, che ha sviluppato una
vera e propria dipendenza da World of Warcraft. La lettera della madre
non vuole essere un atto d’accusa contro i videogiochi, ma un richiamo che sollevi l’attenzione sul problema, troppo spesso sottovalutato
dalle autorità.
World of Warcraft ha trasformato un adolescente di tredici anni in un
malato di computer che salta le lezioni scolastiche e che reagisce con
violenza se allontanato dal suo gioco preferito. o almeno, questa è la
tesi di sua madre, che ha scritto all’edizione australiana del quotidiano
Daily Telegraph per lamentarsi della condotta del ragazzo.
WoW provoca dipendenza? La madre australiana non ha dubbi.
La donna, rimasta anonima, sostiene che il suo “piccolo” è più grande
di lei fisicamente e ha marinato la maggior parte delle lezioni di
quest’anno e anche dell’anno scorso. Dopo aver provato a convincerlo
con le parole ha cercato di smuoverlo fisicamente, senza successo a
causa della stazza del giovane.
“Abbiamo chiesto aiuto alla scuola e i suoi professori gli hanno parlato, ma lui non è assolutamente preoccupato. Abbiamo chiamato perfino la polizia, perchè diventa aggressivo se si prova a portargli via il
computer. Comincia a dare pugni alle pareti, a lanciare oggetti e a minacciare”, si legge nella lettera inviata al quotidiano.
La madre racconta che due anni fa, prima di comprare il gioco, suo figlio era un ragazzo in salute, amante dello sport, mentre ora sta cominciando ad avere leggeri problemi di postura.
L’intento della donna non è demonizzare i videogiochi, ma attirare
l’attenzione e cercare aiuto. “Non si è supportati per questo tipo di
problemi in Australia perchè la dipendenza da computer è una questione relativamente nuova”. fortunatamente in Italia, qualche clinica c’è.
La signora è convinta che si tratti di vera e propria dipendenza. “Abbiamo a che fare con aggressione, rabbia, insulti, spinte e pugni. Abbiamo
bisogno dell’aiuto del Governo, in modo che si possano aprire strutture
specializzate dove curare i bambini affetti da questo problema”.
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L’appello della madre è disperato e arriva dopo aver provato di tutto,
compresi i servizi d’igiene mentale e un colloquio con un giudice. Perfino gli psichiatri hanno consigliato di far ricoverare il ragazzo, perchè
la sua salute sta peggiorando.
Educhiamo i bambini all’uso del computer
47 - Mio fratello è completamente malato di videogiochi; ha 9 anni e
ha ereditato i miei videogames (pc game..Ps3, psp); nonostante la sua
età gioca a ritmi assurdi per un bambino che fa la 3 elementare e i miei
genitori lo lasciano fare. Ho provato a spiegare loro che può essere
dannoso per un bambino cosi giovane ma non mi danno ascolto! Il
problema è che quando gli vengono tolti i videogiochi lui impazzisce..letteralmente (es. urla, gesticola, minaccia, insulta pesantemente
e piange come un neonato). Chi può darmi un consiglio?
Travolta nel tunnel della dipendenza da Facebook
48 - Vorrei portare all’attenzione la storia di Maria, sposata da 13 anni,
madre di famiglia e cattolica praticante. Romena di nascita, si è trasferita a Roma per gli studi universitari, durante i quali ha conosciuto il
marito, Roberto. Dopo aver conseguito con ottimi voti due lauree, una
in filosofia, l’altra in teologia, Maria si rende conto di avere molto più
tempo libero, in parte da dedicare a se stessa, in parte ai due figli e al
marito. Decide di passare il suo tempo libero sul neonato social network “facebook”, del quale le hanno parlato due ex-colleghe: “è un
modo per mantenere i contatti”, pensa. Inizialmente Maria spende pochi minuti davanti allo schermo del computer, ancora non comprende
appieno i meccanismi del social network e si stanca facilmente, inoltre
ha ben altre priorità: i figli, come sempre, sarebbero arrivati a casa nel
primo pomeriggio dopo una giornata scolastica, così preferisce dedicarsi alla preparazione del pranzo. Con il passare del tempo la casalinga impara a controllare il social network, ad inserire post e link sulla
sua bacheca personale, a commentare e condividere le notizie inserite
dalle proprie amiche, ma non si rende conto che sempre più spesso è il
social network a controllarla. Passano poche settimane e Maria non si
accorge nemmeno del tempo che trascorre velocemente mentre è davanti allo schermo. I figli tornano da scuola e non trovano più il pranzo preparato con amore dalla mamma; quando chiedono spiegazioni
vengono “liquidati” con un freddo «ci sono degli avanzi in frigo». Il
disappunto dei figli presto raggiunge anche il marito, costretto a preparare la cena dopo il rientro dal lavoro. La tensione in casa dapprima
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cresce silenziosa e Maria spera che niente e nessuno possano mutare
questa situazione di stasi. Dopo alcuni mesi però Roberto decide di
manifestare il suo disappunto, cercando il dialogo con Maria, ma lei
continua a rispondere in maniera seccata, con frecciatine e parole di
scherno, senza mai staccare gli occhi dallo schermo. Le tensioni ricadono anche sui figli, che si sentono impotenti di fronte alla situazione
che si è creata. La donna è dimagrita, i suoi pasti si riducono a spuntini
che intervallano la frenetica digitazione sulla tastiera del PC. Allo
stesso modo si riducono anche le ore di sonno: la sera Maria va a letto
tardi, spesso preferisce dormire sul divano, mantenendo il computer
acceso, spegnendo solo lo schermo, così che il giorno dopo non perda
nessun aggiornamento dalla cerchia di amici online. Il marito a questo
punto minaccia di interrompere il contratto per la connessione ad internet e la donna, messa alle strette, è spinta a fare un gesto estremo.
All’indomani della litigata Maria prende un volo per la Romania, e
torna a casa della madre. La sua famiglia rimane improvvisamente
senza di lei: i figli tornano da scuola e non la trovano. All’inizio pensano che la madre sia uscita e che sarebbe tornata a breve. La verità
comincia a prendere forma quando il padre dei ragazzi rientra a casa
dal lavoro. Chiede notizie di Maria ai vicini e alle persone che la conoscono, ma nessuno sa nulla e lei non è raggiungibile tramite telefono
cellulare. La notte non rientra a casa e lo stesso nei giorni successivi.
Quando Roberto si abbandona all’idea che la moglie sia scappata di
casa, arrivano per posta i documenti per il divorzio. Lo sgomento e la
frustrazione si impossessano della famiglia, privata ormai della donna,
moglie e mamma. Roberto non può fare altro che rivolgersi ad un prete e pregare. Maria non vuole essere raggiunta dai famigliari, le uniche
notizie di lei arrivano tramite la sua bacheca di facebook, che gestisce
attraverso un telefono cellulare. Trascorrono alcuni giorni e la madre
di Maria, non conoscendo la situazione, comincia ad insospettirsi.
Chiede spiegazioni a Roberto, chiamandolo in Italia e, non appena
viene a conoscenza della fuga della figlia, decide di spingerla delicatamente, senza destare sospetti, ad uscire per rivedere i luoghi della sua
infanzia. Dapprima Maria accetta la proposta di malavoglia, per evitare che anche la madre la incalzi sulla sua ormai evidente dipendenza.
Assieme rivivono i luoghi e i percorsi della sua infanzia e adolescenza
e sempre di più i ricordi e le emozioni prendono il sopravvento. Maria
è turbata: come è possibile che in pochi giorni la sua vita felice sia stata sconvolta? Con molta forza di volontà e il sostegno della madre, la
donna abbandona il cellulare e si prende una pausa da internet per ri222
flettere. Il periodo passato nella sua terra natale le consente di tornare
alle vecchie usanze: la domenica va a messa e poi accompagna la madre al mercato locale. Ripensa alla sua famiglia con nostalgia e decide
di annullare i documenti per il divorzio. Chiama il marito e chiede perdono per tutto ciò che gli ha fatto passare e chiede se la sua famiglia è
disposta ad accettarla nuovamente. La risposta non si è fatta attendere:
ora Maria ama i suoi figli e suo marito ancora più di prima e si dedica
interamente a loro. La dipendenza da internet ormai è un brutto ricordo che le ha insegnato a dare priorità alle cose che veramente contano
nella vita.
“Tradisco mia moglie con la cyber pornografia”
49 - C. è un uomo di 36 anni, sposato da cinque anni e padre di un figlio di tre anni. Lavora come web designer. I suoi problemi con Internet sono iniziati circa due anni fa. Dopo cena C. spesso andava nel seminterrato per portare avanti un po’ di lavoro. A volte gli capitava di
visitare qualche sito o di scaricare qualche filmato pornografico. Ma
dal momento che era una cosa che avveniva raramente e in fondo
“pensavo di non tradire mia moglie”, ha proseguito così per circa un
anno. Navigando in alcuni siti, C. si è avvicinato anche ad alcune chat,
nelle quali ha iniziato a intessere delle relazioni sessuali virtuali con
alcune donne, con le quali si scambiava anche delle foto. ogni giorno
controllava regolarmente, più volte, le sue chat preferite, controllando
chi c’era, flirtando, in attesa dell’appuntamento serale.
L’incontro con le chat è stato l’inizio di un rapido aumento dell’uso di
Internet per scopi sessuali. Nel tempo però anche le chat non sono bastate più e C. ha iniziato a frequentare alcuni siti nei quali è possibile,
previo pagamento con carta di credito o tramite l’installazione di un
apposito programma nel computer, vedere alcune “modelle” fare degli
show erotici in base alle richieste dell’utente. Sebbene non avesse mai
avuto intenzione di andare oltre in queste attività, a un certo punto si è
sentito particolarmente attratto da una di queste donne. Nel giro di tre
mesi, ha speso circa 3500 euro per vedere gli show di questa donna.
Man mano si è sempre più isolato da sua moglie e dalla sua famiglia,
trovando dei modi sempre più creativi per mentire riguardo alla destinazione di tutti quei soldi. Anche il lavoro ha finito per diventare secondario a queste relazioni sessuali. C. è arrivato a essere geloso di
quella modella, all’idea che potesse mostrarsi anche ad altri uomini.
Quando C. si è rivolto a noi, non aveva ancora rivelato nulla alla moglie del suo problema, sebbene lei si fosse ormai da tempo accorta che
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qualcosa non andava, dato il progressivo isolamento e la crescente irritabilità di C, nonché a causa delle continue spese del marito.
La mia famiglia: causa della mia dipendenza
50 - Giovanni viveva una realtà familiare caratterizzata dalla presenza di
una madre invasiva e anaffettiva e da un padre spesso assente, silenzioso
e incline a improvvise esplosioni d’ira. In particolare, uno dei motivi che,
più frequentemente, davano luogo a crisi e scenate, era la difficoltà di
Giovanni nell’avere quella brillante carriera universitaria che i suoi genitori avevano preventivato per lui. Di fronte alle continue critiche della
madre, Giovanni chinava il capo e accettava il rimprovero. Avrebbe dovuto studiare di più e meglio, questo si riprometteva ogni volta. La mamma, in fondo, aveva ragione. Entrava nella sua stanza animato da queste
buone intenzioni e, in maniera del tutto inconsapevole, accendeva il
computer. Il più delle volte, dopo alcune ore, le urla della madre o del padre lo strappavano da un videogioco rompicapo in cui, a suo parere, era
immerso solo da pochi minuti. G. ha attualmente 23 anni, da sei ha abbandonato gli studi in conseguenza di un episodio psicotico che lo ha costretto ad un ricovero obbligatorio durato più di due settimane in rapporto
ad alterazioni del corso del pensiero a carattere delirante e grave alterazione del proprio vissuto corporeo: sente di essere diventato fisicamente
come sua madre alla quale ha sempre assomigliato di carattere.
Mente e corpo invasi dalle storie della Play Station
51 - Alessandro è un ragazzino di 12 anni ricoverato nel reparto di pediatria di un ospedale cittadino per un quadro sintomatologico caratterizzato da nausea, vomito, cefalea; gli episodi sono insorti già da diverse settimane. In presenza di un’obiettività clinica negativa, gli viene programmata tutta una serie di indagini strumentali di tipo neurologico; ma una notte in reparto, verso le due, si alza per andare a chiedere agli infermieri di turno una pillola per dormire, affermando di aver
visto la mamma di un bambino trasformarsi in un personaggio orrendo, e che esperienze simili gli si presentano frequentemente da diverse
notti. Gli infermieri allarmati ne parlano con i medici. Ne emerge alla
fine una storia di estrema tech abuse. Dall’età di 6 anni Alessandro dedica buona parte del suo tempo alla Play Station, fino a trascorrervi
tutte le sue ore libere, contraendo in misura crescente l’attività legata
allo studio. Il sabato e la domenica il discorso non cambia, con la differenza che in questi giorni anche il padre si dedica a tale attività. Anche il genitore sembra condividere lo stesso tipo di passione fanatica
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per i giochi elettronici. Il ragazzo da diversi mesi presenta un’insonnia
grave, la notte la madre gli prepara una camomilla e poi va a dormire,
ma egli spesso la vomita, poi si alza dal letto e si connette di nuovo alla Play Station per un numero indefinito di ore. A scuola va male, egli
stesso riferisce che durante le lezioni molto spesso si ritrova a fantasticare con i personaggi dei videogiochi e a cercare sistemi per passare ai
livelli successivi dei giochi. La sua mente sembra completamente invasa dalle storie della Play Station e dalle strategie per migliorare
sempre più le proprie performance.
“Chat-mania: mi libero dalla noia ma mi ammalo”
52 - figlia di emigranti calabresi, divorziata da anni, con uno splendido unico figlio, cresciuto quasi da solo, sono diventata responsabile
dell’ufficio Private Banking di un noto Istituto di credito dopo aver
dato in ogni occasione il massimo, sempre aggiornata e disponibile,
una rubrica piena di numeri collegata alla rete aziendale per assicurare
la continua reperibilità. Accetto a 60 anni di uscire dall’azienda con un
prepensionamento di 18 mesi.
Mio figlio si sposa. Mi ritrovo a casa sola con mia madre nell’appartamento che durante il periodo lavorativo avevo goduto pochissimo e
che sta per trasformarsi nella mia prigione. Anche il guardaroba mi è
nemico: tutti tailleurs rigorosamente neri o blu; non so indossare altro.
La vita quotidiana all’improvviso è rallentata: uno stanco susseguirsi
di giornate identiche. Dagli ex colleghi neanche un cenno; noto un decadimento fisico e qualche attacco di panico. Mi nutro di televisione:
vecchi telefilms, talk-show e poi la chat nella ricerca di nuove conoscenze spesso senza volto e con false identità, nel tentativo di colmare
la solitudine e ritrovare un ruolo.
Mi salva mia madre che mi dice apertamente che non posso andare
avanti così e mi propone di entrare in un gruppo di volontari che ha
creato un centro di ascolto e una mensa per poveri sotto la guida di un
sacerdote. Ricomincio da qui insieme a persone che vivono la vita reale e non virtuale, volontari che con entusiasmo si dedicano agli altri.
finalmente sto bene: il mio unico obbligo di performance è il sorriso.
So di essere ancora fragile e che dovrò imparare a scrivere un nuovo
capitolo della mia vita, ma sento che ce la farò. P.C.
Il caso di Luca: CyberPorn Addict per 2 anni
53 - Luca è un uomo di 31 anni, sposato da 1 anno e padre di un figlio
di 4 anni. Lavora come commercialista. I suoi problemi con internet
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sono iniziati circa due anni fa. Luca si presenta nel nostro centro per
un problema di impotenza e dopo 3 incontri riferisce che la situazione
peggiorava sempre di più. Ci riferisce delle sue “ trance” pornografiche on line sempre più lunghe e numerose anche se attualmente appare
pienamente appagato da questa “ strepitosa” emozione pornografica.
Al momento oltre al suddetto problema di impotenza, inizia ad essere
infastidito dal crescente senso di colpa che non riesce a spiegarsi. Attualmente Luca è in cura presso un centro di cura specializzato.
Ragazzo milanese ricoverato con il suo computer
54 - Milano- Chissà che cosa avranno pensato medici e infermieri del
pronto soccorso milanese quando, dall’autoambulanza, è scesa una
persona con un aspetto normalissimo, giovane per di più, senza ferite
o traumi, senza flebo “attaccate” o bende e tamponi messi da qualche
parte a frenare emorragie, senza segni esteriori di malattia, senza niente di niente, tranne una particolarità: un computer sotto il braccio come
se fosse un prolungamento del suo corpo. Un computer portatile che,
per mesi e mesi, era stato il suo unico e inseparabile compagno e aveva fatto di lui un «moderno eremita». Si tratta di un ragazzo di 26 anni,
studente universitario, quasi alla fine degli studi, ma con grandi difficoltà a sostenere gli esami, nonostante l’aiuto di insegnanti privati. Un
ragazzo con una personalità dipendente, introverso, timido, anche se
dotato di un certo senso dell’umorismo, con pochi rapporti interpersonali e tendente all’isolamento. Senza una ragazza. Il 26enne si è lasciato sempre più catturare dalla rete fino ad abbandonare le lezioni all’università, a invertire il ritmo sonno-veglia e a uscire dalla sua stanza
solo di notte per aprire il frigorifero e mangiare quello che gli capita
sotto mano. Non trascura, però, il suo aspetto fisico, non è trasandato
nonostante i suoi contatti con la realtà si limitino a qualche telefonata
agli amici». I genitori del nostro moderno eremita cominciano a preoccuparsi: appartengono a un ceto sociale medio-alto (in genere gli hikikomori “nascono” proprio in questi ambienti),e hanno la possibilità
di chiamare a casa uno specialista. Che tenta di penetrare nel mondo
del ragazzo e di riportarlo alla realtà, senza però riuscirci. Il ragazzo
trascorre più di un anno in questa condizione di isolamento. Passa il
suo tempo navigando in Internet alla scoperta di mondi virtuali. Con
un cervello ben vigile, certo, con la possibilità di interazioni sensoriali
con gli altri, ma solo attraverso vista e udito. Manca completamente,
in questi suoi rapporti, l’aspetto emotivo-istintivo». Quella del ragazzo diventa una vita-non vita, senza limiti né di tempo né di spazio.
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Qualcuno, allora, gli parla della possibilità di un ricovero e di una cura
“disintossicante”, così un giorno sente bussare alla sua porta e, benché
sorpreso, di fronte all’invito di un medico, accetta di salire su un’ambulanza. A un patto: portare con sé il computer che tiene aperto anche
nella corsa verso l’ospedale. oggi, con l’aiuto dei farmaci e di una psicoterapia, è riuscito a liberarsi (in parte e con grande fatica) dalla sua
schiavitù.
“Tra slot e scommesse ho perso 250.000 euro.”
55 - Apparentemente non ci sono giustificazioni alla ricerca disperata
di soldi da parte di Antonello. Perché Antonello ha un ruolo di responsabilità in un istituto di credito, un ottimo stipendio e una moglie con
un lavoro a tempo indeterminato. Una situazione familiare economicamente invidiabile, la sua. Eppure, sottrae oggetti di valore alla casa,
dà fondo a tutte le sue risorse e finisce nella morsa degli usurai. Perché, prima o poi, “la grande vincita arriverà”. E servirà a ripagarlo di
quanto, in anni di slot e scommesse, ha perso: 250.000 euro. Almeno
così credeva. “È successo tutto tra il 2010 e il 2012, racconta, intendiamoci: ho sempre giocato ma nel 2010 il mio rapporto col gioco d’azzardo è diventato patologico. E allora sono iniziati i guai. Per cercare
una vincita che non sarebbe arrivata mai, gettavo al vento i miei stipendi, dilapidavo i miei risparmi, e, per nascondere tutto a mia moglie,
chiedevo prestiti anche ad usurai. Mi rendevo conto di entrare a poco
a poco nel tunnel della depressione. Ma pur di continuare a giocare tenevo tutto dentro: mentivo, non dormivo, mi nascondevo, diventavo
irascibile, chiuso nel mio mutismo e nel mio orgoglio, e mi spingevo
verso il gioco compulsivo. Avevo trasformato la mia casa in un inferno, finché mia moglie minacciò di mandarmi via perché i miei comportamenti nuocevano anche alla nostra bambina. È allora che Antonello è spinto a prendere una decisione: “Con una forza d’animo che
ha sorpreso anche me, rivelai tutto a mia moglie”. Che fu forte, mi perdonò ma mi impose di farmi aiutare. Su internet ci imbattemmo nella
Consulta nazionale antiusura e nell’associazione Giocatori anonimi.
oggi esco con pochi spiccioli, così non ho ricadute. In una lettera consegnata a papa francesco, Antonello racconta la sua vicenda, e le tante
preghiere che faceva al Signore per vincere. ora capisco che la mia era
una fede di comodo. Le parole del Papa mi hanno incoraggiato a perseverare in quello che faccio ora. Un paio di volte a settimana presto la
mia opera in un centro di ascolto delle vittime del gioco e dell’usura.
Non mi meraviglio più di nulla; ci chiamano anche magistrati e appar227
tenenti alle forze dell’ordine. La macchia d’olio si allarga e coinvolge
anche gli adolescenti. Ma cosa deve accadere perché chi ci governa se
ne accorga?
Cause che possono indurre alla dipendenza
56 - Torino- M.G. è ormai studente fuori corso al Politecnico di Torino; dopo i primi esami, non ne ha più sostenuti altri. Passa il suo tempo chiuso nella propria camera, connesso con internet per video gioco
in cui lui è un personaggio.
La madre, su suggerimento del medico di famiglia, si rivolge ad uno
psicologo terapeuta che le consiglia di convincere il figlio a presentarsi per intraprendere una cura. Dal colloquio con la madre e, successivamente, con il ragazzo emerge un quadro relazionale complesso. La
dipendenza dai videogiochi sembra coincidere con una crisi depressiva che ha colpito M. G. a seguito della morte del nonno materno il
quale fungeva da supplente genitoriale essendo entrambi i genitori impegnati nel proprio lavoro. Emerge altresì che il ragazzo si ritiene sottovalutato dai genitori i quali mostrano di prediligere la sorella più
giovane che frequenta con successo un’altra facoltà universitaria.
Esteso il trattamento alla famiglia, M.G. smette di dedicarsi in maniera ipnotica ai videogiochi, torna a dare esami, ma esplode il conflitto
con la sorella e il padre.
Vizi e solitudine: alleati preziosi della web- dipendenza
57 - I genitori di A.Y. sono rispettivamente di nazionalità ucraina la
madre e yemenita il padre, espulso per motivi politici dal proprio Paese. Dopo aver girovagato in vari Paesi anche europei, la famiglia approda nel nord Italia (Torino). L’unico figlio di 25 anni è tossico dipendente e ottiene il ricovero presso una Comunità di recupero mentre
i genitori chiedono asilo ma non si integrano né nel mondo lavorativo
né nei rapporti con i vicini. Controllato nell’uso della sostanza o droga, A.Y. passa notte e giorno al pc per connettersi con un sito ucraino
dove ha la possibilità di parlare con qualcuno nella sua lingua madre.
Viene dimesso dalla Comunità senza aver risolto il problema della
droga e senza riuscire a inserirsi in un lavoro benché abbia imparato a
parlare la lingua italiana. Cessata la dipendenza da internet, già in Comunità era emerso un quadro di comorbilità ossia la presenza di più
patologie compresi i disturbi della personalità presenti anche nei genitori.
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Padre di famiglia: “Il gioco d’azzardo ha distrutto la mia vita”
58 - C.R. ha 45 anni, un lavoro sufficiente a mantenere la moglie e due
figli minori. È passato al gioco d’azzardo su internet dopo un periodo
di frequentazione di slot machines. Dopo alcune vincite, continua a
giocare realizzando notevoli perdite, sempre alla ricerca di quella
somma che, a suo parere, gli permetterebbe di possedere quei beni che
nella sua famiglia di origine non aveva mai potuto godere. Il rapporto
con la moglie, già compromesso, si rompe con la separazione: i figli
vengono affidati alla madre. Una nuova compagna sembra volersi
prendere cura di C.R. per cercare di distoglierlo dal gioco d’azzardo.
Inizia un percorso di psicoterapia che non è ancora stato ultimato e dal
quale risulta che la smania di possedere sempre più beni è quasi una
compensazione per la modesta vita della sua infanzia trascorsa prevalentemente con i nonni senza giungere mai ad acquistare una propria
capacità di autogovernarsi.
Solitudine: spia d’allarme della web-dipendenza
59 - L.P. si è trovata nel gruppo degli esodati. Pur non avendo l’assillo
delle risorse economiche, essendo il reddito del marito sufficiente ai
bisogni della coppia, non sa rassegnarsi alla sua attuale condizione. Le
mancano le numerose e-mail giornaliere dei clienti conosciuti nell’attività aziendale e le frequenti trasferte in varie regioni italiane di solito
per incarichi di lavoro. Ha una sessantina di anni e un aspetto gradevole. Il marito ancora in servizio è spesso assente e, comunque, anche
quando è a casa non sembra avere argomenti utili per affrontare la crisi
vissuta dalla moglie. Infatti, L.P. trascorre le giornate e a volte anche
le notti navigando su internet. Trascura la casa, non si occupa della
preparazione dei pasti e non cerca relazioni con altre persone.
Una ex collega sembra essere l’unica a volersi prendere cura dell’amica e tenta di indirizzarla ad attività di volontariato ma, per il momento,
con scarsi risultati.
Trova conforto nella chat e ne diventa dipendente
60 - S.C. è impiegata con incarichi amministrativi in un grande ospedale di Torino. Vive un periodo denso di preoccupazioni: la salute del
vecchio padre vedovo, la ricerca di lavoro da parte dell’unico figlio
che suole presentare “superlaureato ma superdisoccupato”, la difficoltà di apprendere l’utilizzo delle nuove tecnologie richieste per lo svolgimento dell’attività di ufficio che per lei, sulla cinquantina, sembrano
difficili da gestire.
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Con il cambio del direttore sanitario inizia una difficile collaborazione
in ufficio fino al verificarsi di episodi di mobbing. S.C. patisce la situazione, ma non sa trovare né soluzione né persone di fiducia che la
possano consigliare. Va su internet dove crede di poter parlare liberamente dei suoi problemi e trova conforto nella chat della quale non
può più fare a meno. Si crea una dipendenza che la fa vivere in una
condizione di schizofrenia o di dissociazione della personalità di cui
ad un certo punto comincia a rendersi conto. Con l’aiuto di alcune
amiche che le fanno conoscere un Circolo culturale riesce a fare a meno delle chat. Anche in ufficio i rapporti migliorano. Lei stessa confessa di sentirsi liberata dalla dipendenza ossessiva.
Drasticamente immerso nel mondo virtuale
61 - Marco, nel 2007, frequentava il secondo anno di liceo scientifico.
Gradualmente, ha aumentato il tempo dedicato all’utilizzo di videogiochi, su Play Station e, in modo particolare, su computer, arrivando
quasi a trascorrere l’intero pomeriggio, dal ritorno da scuola alla cena,
davanti allo schermo. Ciò ha avuto una ricaduta sul rendimento scolastico del ragazzo, che era comunque particolarmente brillante e, almeno nei primi tempi, riusciva a sopperire dignitosamente alla preparazione a casa con quanto appreso durante le lezioni. Nei mesi successivi, alla fruizione dei videogiochi su CD si è affiancata, in orario serale,
l’assidua frequentazione di siti di giochi di ruolo fruibili esclusivamente on line e l’utilizzo di Msn e dei primi social. I videogiochi on line e i social network hanno in seguito occupato anche le ore pomeridiane. Sono, poi, iniziate le assenze sempre più frequenti. Tutto ciò ha
portato a due bocciature del ragazzo, che, successivamente, ha interrotto gli studi senza conseguire la maturità. oggi, poco più che ventenne, pur avendo drasticamente diminuito il tempo trascorso on line, non
lavora e non studia, trascorrendo le proprie giornate spesso fuori dalla
famiglia e in locali. (Riccardo M. Colangelo/ Aiart Pavia)
Elenco delle province da cui ci sono pervenute, a cura di dirigenti
e iscritti all’Aiart, le informazioni sui casi di dipendenza:
Torino, Brescia, Como, Milano, Pavia, Varese, Verona, Padova,
Genova, Bologna, Rimini, Firenze, Prato, Pistoia, Macerata,
L’Aquila, Roma, Rieti, Frosinone, Viterbo, Napoli, Caserta, Avellino, Potenza, Matera Bari, Brindisi, Reggio Calabria, Messina,
Trapani, Sassari.
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finito di stampare nell’ottobre 2014
Impaginazione, Grafica e Stampa:
STILGRAFICA SRL
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00159 Roma - Tel. 06 43588200 - fax 06 4385693
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