Il progetto “Big Society”
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Il progetto “Big Society”
Il progetto “Big Society” di David Cameron Primo Ministro della Gran Bretagna Dopo un paio di mesi passati a Downing Street, mi sembra che gli affari di governo si dividano in due categorie: le cose che, per quanto impopolari, un Primo Ministro deve fare nell’interesse nazionale, come ridurre il debito, e quelle che fa per passione, perché lo entusiasmano fin da quando si sveglia al mattino, perché lo guidano e perché crede davvero che faranno la differenza per il Paese che ama; e la mia grande passione è costruire una Big Society. Chiunque sia stato attento a ciò che ho detto in questi anni, lo sa. Ne ho parlato quando concorrevo per la leadership dei conservatori, quando sono stato eletto, negli anni in cui sono stato all’opposizione, durante la campagna elettorale e quando ho salito i gradini di Downing Street. Non so esprimere il mio entusiasmo per quello che finalmente stiamo facendo, dopo tutto il tempo passato a parlarne; oggi, colgo l’opportunità di spiegare quali passi concreti abbiamo intenzione di fare per trasformare in realtà la Big Society. Un’idea efficace per un cambiamento culturale Prima di scendere nei dettagli, permettetemi di spiegare brevemente cos’è la Big Society e perché è un’idea tanto efficace; si può chiamarla liberalismo, rafforzamento, libertà, responsabilità sociale. Io preferisco chiamarla Big Society. La Big Society riguarda un immenso cambiamento culturale in cui le persone, nella vita quotidiana, a casa propria, nei propri quartieri, sul posto di lavoro, non devono per forza rivolgersi a funzionari pubblici, alle autorità locali o centrali per trovare risposta ai propri problemi, ma si sentono libere e abbastanza forti da poter sostenere se stesse e la comunità in cui vivono: sto parlando di chi fonda nuove scuole, delle imprese che investono sulla formazione al lavoro, degli Enti di beneficenza impegnati nel recupero di chi ha violato la legge. Si tratta di un’emancipazione; la più grande, radicale ridistribuzione di potere dalle élite di Whitehall agli uomini e alle donne comuni: questa è evidentemente un’idea carismatica. Per anni, al cuore del governo, c’è stata la convinzione che, per migliorare la società, bisognasse gestirla dal centro, cioè da Westminster. Ma non funziona; siamo il Paese con il debito pubblico più alto del G20 e, negli ultimi dieci anni, molti dei nostri problemi sociali più urgenti sono peggiorati, invece che migliorati. È ora di 57 Il progetto “Big Society” 58 fare qualcosa di diverso, di decisivo, per non sprecare denaro in un costoso e inefficiente sistema burocratico calato dall’alto. La Big Society è questa soluzione differente e audace: in altre parole, se si desidera un reale cambiamento sul lungo periodo, si ha bisogno di persone che si uniscano e collaborino, perché tutti sono coinvolti in questa situazione. Come farla diventare realtà Sorge allora la domanda su come costruire la Big Society. Certo non è schiacciando un bottone che la si può realizzare nel nostro Paese, e non si dovrebbe neanche essere così ingenui da pensare che, una volta che il governo si sarà fatto da parte e farà di meno, allora la società fiorirà magicamente e farà di più. La verità è che c’è bisogno che il governo ci aiuti davvero a costruire la Big Society; ciò significa un approccio completamente nuovo alle istituzioni e all’attività di governo. Per molto tempo il metodo con cui si è governato – dall’alto in basso, con troppa burocrazia e controlli – ha indebolito il senso di responsabilità, l’iniziativa locale e l’azione civile, mutando molti volonterosi lavoratori del settore pubblico in fantocci delusi e stanchi a servizio degli obiettivi del governo; trasformando degli individui abili e capaci in passivi destinatari dell’aiuto statale con poca speranza in un futuro migliore e, infine, facendo sì che comunità vivaci diventassero cloni scialbi e anonimi le une delle altre. Bisogna ripensare radicalmente il governo, partendo dai vertici. La regola di questo governo dovrebbe essere che una cosa va fatta se suscita la partecipazione della comunità, mentre non va fatta, se la soffoca. I tre grandi punti del programma della Big Society sono i seguenti. Primo, l’azione sociale: il successo della Big Society dipenderà dalle decisioni quotidiane di milioni di persone su come usare tempo, energie e anche denaro per cause vicine a loro; perciò il governo non può rimanere neutrale, ma deve favorire e sostenere una nuova cultura di volontariato, filantropia e azione sociale. Secondo, una riforma dei servizi pubblici. Dobbiamo liberarci della burocrazia centralizzata che spreca i soldi e mina il morale. Al suo posto, dobbiamo garantire ai professionisti molta più libertà e aprire i pubblici servizi a nuovi soggetti come Enti benefici, organizzazioni sociali e imprese private, per conseguire una maggiore innovazione, diversità e rapidità nel rispondere ai bisogni pubblici. Terzo, il rafforzamento delle comunità; dobbiamo creare comunità grintose, gruppi di vicinato che si facciano carico del proprio destino, che capiscano che, collaborando insieme, possono plasmare il mondo che li circonda. Metodi e strumenti Se questi sono i tre punti programmatici per la Big Society, ci sono altrettanti strumenti per stimolarli. Primo, il decentramento: dobbiamo spostare il potere dal governo alle amministrazioni locali e non dovremmo fermarci a questo, ma andare oltre, a quello che Phil Redmond ha chiamato «nano-livello» delle comunità, ovvero i quartieri e i singoli cittadini. Secondo, la trasparenza: va da sé che, se si vuole che le persone giochino un ruolo maggiore nella nostra società, bisogna informarle. Per esempio, pubblicando i dati precisi su quando e dove si commettono i crimini nelle strade, possiamo mettere la gente nella condizione di non dover per forza aspettare l’aiuto della polizia, ma di andare oltre, e di prendere l’iniziativa, per esempio organizzando la sorveglianza, un circolo giovanile o un doposcuola nelle zone del quartiere da cui si capisce che iniziano i problemi. Il successo della Big Society dipenderà dalle decisioni quotidiane di milioni di persone su come usare tempo, energie e anche denaro per cause vicine a loro; perciò il governo non può rimanere neutrale, ma deve favorire e sostenere una nuova cultura di volontariato, filantropia e azione sociale. Terzo, fornire i fondi: riteniamo che chi offre un servizio pubblico vada pagato. Questo incoraggia a valorizzare contemporaneamente denaro e innovazione. Tuttavia, il potenziale problema è che si potrebbero escludere le organizzazioni più piccole, perché non hanno il capitale sufficiente per iniziare a lavorare. Il governo ha, dunque, un ruolo cruciale nell’eliminare questo scarto e, su più vasta scala, nel coinvolgere i capitali privati e gli investimenti nei progetti sociali. Come già detto, creeremo una banca della Big Society, per aiutare a finanziare imprese, enti benefici e gruppi di volontariato attraverso intermediari. Oggi posso dire che sarà istituita usando ogni penny dei conti dormienti nelle banche e nelle società di mutui di tutta l’Inghilterra. Queste risorse che nessuno rivendica, utilizzate per gli investimenti privati che stimoleremo, permetteranno alla banca della Big Society di rendere disponibile, nel tempo, centinaia di milioni di sterline in finanziamenti ad alcune delle nostre organizzazioni sociali più dinamiche. Spingere il potere verso il basso Ma oggi voglio concentrarmi sul primo di questi strumenti: il decentramento. Quando giro per il Paese e parlo ai sindaci, agli operatori sociali e agli attivisti locali mi è chiaro che c’è un reale desiderio di soluzioni, di prendersi più responsabilità e avere un maggior controllo. Allora chiedo loro: «Che poteri volete? Cosa vorreste poter fare?». È attraverso queste domande che si arriva ad avere così tante idee innovative come quelle di questa coalizione: nuovi poteri alle comunità locali per prendersi cura di parchi, biblioteche, uffici postali; più potere per pianificare aspetto, grandezza, forma e interpretazione delle future aree residenziali; poteri che permettano alle comunità di generare l’energia che consumano e di organizzare riunioni operative con la polizia. Queste idee sono segni del più radicale spostamento di potere dal governo centrale ai quartieri. Siamo qui oggi ad annunciare qualcosa di veramente entusiasmante. Non molto tempo fa quattro zone del nostro Paese – Eden Valley in Cumbria, Windsor e Maidenhead, Sutton, e anche Liverpool – sono venute da noi, dicendo: «Vogliamo più potere e più controllo. Se ne è parlato abbastanza; adesso datecelo». È quello che stiamo per fare. Queste quattro comunità all’avanguardia costituiranno il grande banco di prova di questo cambiamento, il primo territorio in cui un potere vero e ultra-locale diventa realtà; ed ecco creata la Big Society. 59 Il progetto “Big Society” 60 Sono aree molto diverse tra loro: rurali, periferiche, urbane. Sono guidate da differenti tipi di persone: deputati locali, consiglieri, grandi leader locali esterni alla politica come Phil Redmond. Hanno idee differenti su come devolvere i fondi alla gente comune, su come sviluppare i trasporti, gestire le attività locali come i pub, portare avanti progetti condivisi, portare la banda larga a tutta la comunità, generare l’energia e, qui a Liverpool, su come stilare un programma di volontariato per tenere aperti più a lungo i musei. Ma hanno una cosa in comune: la garanzia certa che questo governo li aiuterà a realizzare i propri sogni. Per aiutarli, renderemo disponibili ufficiali del Ministero delle Comunità e delle Amministrazioni locali. Se ci sono problemi o ostacoli o impasse burocratiche, loro saranno lì, a portata di mano, per contribuire ad abbatterli e far funzionare le cose. Inoltre, lavoreremo con le comunità per aiutarle a identificare e finanziare un coordinatore per ogni area. Si tratterà di persone preparate, con le conoscenze necessarie a stimolare e organizzare il supporto locale e l’azione comunitaria. Via via che queste quattro zone procederanno con i loro programmi, sorgeranno sicuramente altri problemi: finanziari, legali, burocratici. Sì, ci saranno delle obiezioni a livello locale o da parte di poteri forti. Ma sapete una cosa? Ne siamo felici. Questo processo è tutto rivolto a farci imparare; a spingere il potere verso il basso e vedere cosa accade; serve a far emergere i problemi e vedere come possiamo risolverli. Significa tenersi per mano, dicendoci che non abbiamo tutte le risposte; lavoriamoci insieme. Vuol dire costruire su quello che abbiamo fatto quando eravamo all’opposizione quando, a Windsor e Maidenhead, abbiamo provato politiche sociali come pagare i cittadini per riciclare i rifiuti e puntare sulla trasparenza nelle spese. Se il nostro approccio non è come quello che avete ascoltato dal governo precedente è perché siamo diversi. Questa non è un’iniziativa. Non abbiamo assunto uno zar. Non si tratta di lanciare progetti-pilota, ma di un grande avvicinamento della gente al potere, quel «potere di tutti» di cui ho parlato per anni. La liberal society di cui Nick Clegg ha parlato, il grande cambiamento che questa coalizione vuole apportare. Un potere a servizio dei cittadini Per anni il governo ha continuato a mettere barriere all’azione locale, caricando la burocrazia, innalzando pile di carte e rendendo la vita sempre più dura ai cittadini che vogliono fare la differenza. Oggi, il governo sta dicendo alla gente di Eden Valley, ai cittadini di Windsor e Maidenhead, a quelli di Sutton e di Liverpool: «Cosa stiamo facendo per impedirvi di fare ciò che volete? Come possiamo smettere di ostacolare voi e gli altri?». Ma questo è solo l’inizio; non si comincia e si finisce con queste quattro zone. Voglio che altri guardino avanti, con spirito imprenditoriale e comunitario e che altre aree nel nostro Paese si facciano avanti e chiedano la stessa libertà e lo stesso aiuto. Se avete qualche idea per migliorare la vita, se volete migliorare il quartiere in cui vivete, non pensatelo solamente, diteci cosa volete fare e proveremo a darvi gli strumenti per realizzarlo. Credo fermamente che quello che abbiamo iniziato qui si diffonderà in tutta la nazione, riempiendola di innovazione, iniziativa locale e azione sociale. Conclusione Questa è la mia speranza e anche la mia missione: che la gente, voltandosi un giorno a guardare questi cinque o dieci anni, possa dire: «In Gran Bretagna non hanno solo sanato il bilancio, pareggiato i conti, rimesso in moto l’economia, ma hanno anche fatto qualcosa di davvero fantastico nella società». 61 Costruendo case solide, combattendo la disoccupazione giovanile e incoraggiando le opere di beneficenza a fornire servizi pubblici, la gente in Gran Bretagna ha trovato una soluzione ai grandi problemi sociali. Una buona parte di questa soluzione è costituita dalla Big Society. Credo di avere a che fare con un’idea davvero grandiosa, un futuro entusiasmante per il nostro Paese verso cui quello di oggi spero sia un grande passo avanti. Discorso tenuto il 19 luglio 2010 durante la visita del Premier britannico a Liverpool.