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Boll. Farmacodip. e Alcoolis., XXIV (3) 2001
Ogni Achille ha il suo tallone. Droghe: pregiudizi e luoghi comuni in un’esperienza di incontro
con adolescenti della periferia ovest di Napoli
Tommaso Pagano*, Enrico Sorrettone**, Paola Chiocca*
Riassunto
Il Ser. T. dell’ASL Napoli 1 (distretto 45), in collaborazione con le istituzioni scolastiche, ha identificato cinque istituti
di scuola superiore per effettuare un intervento di prevenzione.
L’intervento è stato effettuato con le seguenti modalità: 1) incontro con le classi; 2) proposta di un breve questionario;
3) discussione dei risultati; 4) incontri opzionali pomeridiani su argomenti specifici.
In conclusione, l’intervento ha evidenziato che: a) molteplici sono le occasioni di contatto con sostanze psicotrope illegali; b) il comportamento di adolescenti e adulti oscilla fra allarme e sottovalutazione, permissivismo e autoritarismo e si
basa su luoghi comuni consolidati che ostacolano riflessioni e ulteriori azioni.
Parole-chiave: Intervento di prevenzione, Collaborazione con le strutture scolastiche, Luoghi comuni
Abstract
Every man has an Achylles heel: prejudices and common places in a prevention intervention
targeted to secondary school students in Naples
The Ser.T (Drug Addiction Service) of the Naples 1 Local Health Unit (District 45) has, in collaboration with the school
authorities, identified five secondary schools in which to carry out prevention activities.
The activities comprised the following components: 1) meeting with the classes; 2) administration of a brief questionnaire; 3) talking about the results; 4) optional afternoon meetings to discuss specific topics.
The activities showed that: a) the students had many opportunities to come into contact with illegal psychotropic substances; b) the reaction of both teenagers and adults oscillate between alarm and underestimation, and between permissiveness and authoritarianism, and is based on commonplace beliefs that obstruct reflection and further action.
Keywords: Prevention activity, Collaboration with school institutions, Commonplace beliefs
Descrizione dell’intervento
Sulla base delle richieste pervenuteci, abbiamo individuato cinque Scuole Medie Superiori (quattro nella periferia occidentale napoletana di Fuorigrotta e Bagnoli ed una
nel Centro). L’idea era quella di far interagire direttamente
l’esperienza di “vecchi” operatori delle T.D. con gruppi di
adolescenti “normali”, riducendo al minimo le “interferenze” e le “distorsioni” tipicamente indotte dalle ansie educative e di controllo dei contesti scolastici. Ovviamente senza
la sensibilità, l’intelligenza e la disponibilità dei Dirigenti
Scolastici e dei Docenti Referenti non avremmo potuto
sperimentare un momento di confronto, libero e riservato,
con gli adolescenti, inserito, però, nel “contenitore” istituzionale (1).
In ciascun Istituto sono state scelte a caso quattro classi
del penultimo anno di corso e l’intervento si è svolto con le
seguenti modalità:
• una settimana prima dell’incontro un operatore del
Ser.T. (non un docente) contattava la classe, descriveva rapidamente il senso dell’iniziativa e proponeva “l’impegno”
di elaborare brevi testi liberi ed anonimi sul tema dell’uso
e dell’abuso di droghe: domande, esperienze, punti di vista,
commenti, proposte etc.; inoltre, rassicurava i sogg. sul fatto che tali scritti sarebbero stati letti solo dagli operatori
del Servizio e non dagli insegnanti. Gli elaborati raccolti
venivano letti dal conduttore dell’incontro per farsi un’idea
delle più frequenti distorsioni informative e degli aspetti
salienti del senso comune che emergeva;
• gli incontri con le singole classi duravano circa
* Psicologo - U.O. SER.T. Distretto 45 - Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 - Dipartimento delle Farmacodipendenze - Via Terracina 219 - 80125 Napoli - Tel. 081.2547900 - Fax 081.2393960.
** Operatore di strada - U.O. SER.T. Distretto 45 - Azienda Sanitaria Locale Napoli 1 - Dipartimento delle Farmacodipendenze.
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Articoli
un’ora e mezza (i docenti erano lasciati rigorosamente fuori dell’aula). Il conduttore o “primo attore”, preferibilmente accompagnato da un osservatore o “secondo attore”,
esordiva dicendo: “Tutto ciò che diremo in questa discussione è coperto dal segreto professionale …”. Successivamente il team si presentava mettendo in primo piano la
propria esperienza nel campo delle T.D., ed in secondo
piano il ruolo professionale svolto: “Sono una persona che
si occupa di T.D. da molti anni e faccio lo psicologo (o
l’operatore di strada o il medico o l’infermiere o l’assistente sociale o il sociologo o l’educatore)”, ma non l’inverso:
“Sono un Medico (o uno Psicologo o un Assistente Sociale
etc.) e mi occupo di T.D.”. La differenza è sottile, ma essenziale per la nostra strategia comunicativa che tendeva a
sottolineare la disponibilità dei conduttori del gruppo a
mettersi in gioco autenticamente, utilizzando il ruolo e
l’esperienza come risorsa conoscitiva e non come schema
prevedibile delle aspettative e delle interazioni. A questo
punto il conduttore (o il team) proponeva liberamente il
proprio schema narrativo. Molti sono stati gli spunti proposti: l’intervista simulata, interrotta ogni tanto dalle osservazioni dell’operatore, ad un tossicomane “lucido” che
raccontava le fasi della sua sconfitta esistenziale; che cosa
ho imparato facendo l’operatore di strada; il primo colloquio tra medico e paziente T.D.; la storia d’amore tra una
ragazza ed un ragazzo incontrato in discoteca, poi diventato un T.D.; etc. Ciascun canovaccio, però, era vincolato
dalla rigorosa aderenza all’esperienza professionale dei
conduttori e dal tentativo di attivare utili identificazioni,
sia verso i personaggi raccontati, che verso il punto di vista e la cultura dei narratori;
• i contenuti cognitivi trasmessi si adeguavano il più
possibile a ciò che, scherzosamente, definiremmo la “filosofia” di “Ogni Achille ha il suo tallone”, ovvero ad un
realismo onesto che esclude ogni ottimismo illusorio ed
ogni eroismo terapeutico o ideologico dalla ricetta facile,
ma propone, invece, una sorta di etica della conoscenza e
della tolleranza delle vulnerabilità umane (2);
• il primo incontro si concludeva con una fase dialetticamente informativa e la programmazione degli “impegni”
ulteriori;
• dopo circa una settimana il conduttore tornava nella
classe (sempre lasciando i docenti fuori della porta), proponeva e facilitava la compilazione di un breve questionario
teso ad esplorare la diffusione dei consumi di sostanze psicotrope, alcune distorsioni interpretative dei rischi connessi
all’uso di droghe, i luoghi comuni più frequenti ed i temi
che gli studenti avrebbero voluto approfondire in modo più
specifico;
• a classi riunite in ciascuna Scuola si sono discussi i risultati dei questionari in una sorta di “convegno scientifico” ed organizzati gli incontri pomeridiani e facoltativi sui
temi specifici.
Questa strategia comunicativa permette di inserire progressivamente spunti di riflessione “dissonanti” con le
semplificazione rassicuratorie del senso comune, graduandone man mano la specificità e la pertinenza, in base agli
“impegni” precedentemente assunti dai sogg. ed al loro
coinvolgimento nel problema. Se un consumatore abituale
di cannabis, “assaggiatore” occasionale di extasi e cocaina,
si presentasse all’incontro di approfondimento, solo per
criticare animatamente il povero “esperto” di turno, noi saremmo molto contenti; vorrebbe dire che “ci sta pensando
su” ed accetta la possibilità di dialogare con adulti competenti!
Con le modalità sopra tratteggiate abbiamo incontrato
direttamente 317 studenti (145 femmine e 172 maschi, età
media 17 anni e mezzo). Il lavoro è durato circa quattro
mesi ed ha visto impegnata una “squadra” di tre conduttori
dei gruppi – classe ed otto osservatori che si sono alternati
(tutti qualificati membri dell’équipe del Ser.T. del Distretto
n. 45 della ASL NA 1).
Prima analisi dei dati del questionario
“Secondo te, su 100 giovani della tua età, quanti usano
droghe? (esprimi il tuo parere con una percentuale)”. Questa era la prima domanda del questionario. La media delle
percentuali di consumatori attribuite alla popolazione generale dei coetanei è stata del 62% (per la distribuzione
delle stime si veda Grafico n. 1) La distribuzione di tali stime è notevolmente spostata sui valori alti. Quasi i 2/3 (il
65%) dei sogg. ritiene che più del 50% dei coetanei consuma droghe e ben 1/3 propone stime che vanno da più del
70% al 95%. Questa tendenza a sovrastimare il fenomeno
appare piuttosto stabile e non cambia in relazione a variabili come il sesso, la scuola o i quartieri di provenienza e il
maggiore o minore coinvolgimento personale nella sperimentazione del consumo. Sono rilevabili, però, tra i sogg.
più “esperti”, sia la tendenza a sovrastimare ulteriormente,
che quella a scegliere giudizi più “realistici”.
Questa tendenza a sovrastimare è interpretabile come
un classico bias determinato dalle ben note euristiche della
disponibilità e della rappresentatività (3).
Si ricorda che le euristiche sono processi cognitivi subrazionali (o irrazionali), largamente inconsapevoli e quasi automatici che, pur permettendoci giudizi rapidi e talvolta corretti, producono errori sistematici di valutazione. Se ad es. ci
viene chiesto di stimare la probabilità di un certo evento, difficilmente prenderemo in considerazione tutti gli aspetti salienti che intervengono nella genesi del problema esaminato,
ma ci faremo guidare solo da quelli più disponibili (per familiarità, vividezza percettiva, coinvolgimento emotivo
etc.); infine tali aspetti più facilmente richiamabili tenderanno a diventare quelli più rappresentativi dell’evento.
Evidentemente la connessione tra giovani e droghe rende molto disponibile il collegamento, facilitando la tendenza a sovrastimare il fenomeno. In ogni caso, va sottolineato
che questa amplificazione non realistica della diffusione
del consumo di droghe tra i coetanei è essa stessa un fattore di rischio in quanto attribuisce al gruppo di riferimento
generazionale una sorta di norma largamente condivisa
che, ovviamente, promuove una significativa pressione
verso il conformismo. (“Se tutti (o quasi tutti) fanno così e
così, perché io dovrei fare diversamente?”).
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Successivamente abbiamo chiesto di stimare la percentuale di consumatori di sostanze illegali nel proprio gruppo
di amici e conoscenti. Solo il 13% dei sogg. ha risposto che
nella propria comitiva non circolano sostanze (12% dei M
e 15% delle F) (Grafico n. 2) La media delle percentuali di
consumatori attribuite ai gruppi effettivamente frequentati
è del 30% e la forma della distribuzione è spostata su valori molto più bassi di quella precedente (Grafico n. 3). Va
osservato, però, che circa il 30% dei sogg. sostiene che 4
amici su 10 consumano (occasionalmente, saltuariamente o
abitualmente) sostanze illegali, il 14% propone stime che
vanno da 7 su 10 a 10 su 10.
Ai 276 sogg. che hanno affermato che nella loro comitiva circolano sostanze illegali (l’87% del campione) abbiamo chiesto quali droghe effettivamente “girassero”, le
risposte si sono distribuite nel modo seguente:
- solo cannabis (e suoi derivati)
28% 78
- cannabis + cocaina
40% 112
- cannabis + cocaina + extasi (ed altri “speed”) 14% 38
- cannabis + cocaina + extasi + eroina (e cobret) 13% 35
- cannabis + cocaina + extasi + eroina +
5% 13
allucinogeni
Tot.
100% 276
Come si vede la cannabis è stata citata nel 100% dei casi e la distribuzione è quasi perfettamente cumulativa, nel
senso che, ad es., quel 5% di sogg. che menziona gli allucinogeni tende ad affermare che anche l’eroina, l’extasi, la
cocaina e, ovviamente, la cannabis “girano” nel proprio
gruppo (e così via).
Va sottolineato che questo dato non si riferisce agli “assaggi” o ai consumi effettivi (saltuari o abituali), bensì alle
occasioni di incontro con le varie sostanze nelle comitive
di amici e conoscenti. Ad es., in un gruppo di 10 o 15 amici solo 2 o 3 potrebbero aver “assaggiato” anche la cocaina
o l’eroina.
Tuttavia questo dato corrobora le ipotesi sulle frequenze relative della diffusione dei vari tipi di sostanze nella fascia d’età da noi considerata, conferma, inoltre, quel pregiudizio a favore della cocaina che abbiamo frequentemente riscontrato durante gli incontri con le classi.
Il 54% del campione riferisce di esser stato “vicino
ad assaggiare” sostanze psicotrope illegali (il 60% dei
M ed il 47% delle F). Mentre il 35% (38% dei M e
31% delle F) afferma di “aver assaggiato almeno una
volta” (Grafico n. 4)
Di questi 110 “assaggiatori” 25 (circa l’8% dell’intero
campione) sono andati oltre la cannabis ed hanno sperimentato anche la cocaina, mentre 7 (poco più del 2% di
tutti i sogg.) si sono concessi anche l’extasi e l’eroina.
Il 15% dell’intero campione (20% dei M e 10% delle F)
ammette un consumo abituale (Grafico n. 5). Circa la metà
dei consumatori abituali (l’8% dell’intero campione) dichiara di assumere cannabis tutti i giorni o più volte a settimana, la cocaina una o due volte al mese e più raramente
l’extasi o l’eroina; mentre l’altra metà riferisce consumi
meno frequenti, ma ripetuti, delle stesse sostanze.
Dunque, 170 sogg. affermano di esser stati “vicini ad
assaggiare”, tra questi 110, circa i due terzi, hanno “effetti-
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vamente assaggiato”; infine poco meno della metà degli
“assaggiatori” (precisamente il 44%) si autodescrivono come consumatori abituali.
È come se su 10 adolescenti esposti alla “provocazione
dello stimolo”, 6 o 7 cedono almeno una volta, 3 o 4 continuano ad “accettare la provocazione”, e forse 1 o 2 rischiano di “costruire una dipendenza vera e propria”.
Il 50% degli intervistati (58% dei M e il 42% delle F)
afferma di aver bevuto alcolici fino ad ubriacarsi almeno
una volta; mentre solo il 3% riferisce di usare o aver usato
psicofarmaci su prescrizione medica (4).
Alla domanda su quanto è difficile procurarsi sostanze
psicotrope illegali nel proprio quartiere di residenza il 66%
risponde che è facile o comunque possibile con qualche
difficoltà (Grafico n. 6).
Su tale aspetto la differenza fra maschi e femmine è
piuttosto significativa: il 50% dei M risponde “facile” a
fronte del 28% delle F, solo il 16% dei M risponde “non
so”, mentre le F “non sanno” nel 41% dei casi.
Il 45% degli intervistati (il 50% dei M ed il 40% delle
F) dichiara di conoscere personalmente almeno un T.D.
Durante la somministrazione del questionario abbiamo ben
esplicitato che, per conoscenza personale, intendevamo
una relazione non superficiale con la persona ritenuta T.D.
(amico, parente, partner, vicino di casa etc.).
A ciascuno dei 144 sogg. che hanno risposto affermativamente, abbiamo chiesto di descrivere tale conoscente
con i primi tre aggettivi che venivano in mente. Sono risultate un totale di 326 risposte distribuite in 137 voci lessicali diverse. Gli aggettivi più frequentemente citati sono stati:
“stupido”, “debole”, “incosciente”, “insicuro”, “ignorante”,
“scemo”.
Abbiamo aggregato gli aggettivi per somiglianza semantica, ne sono risultati cinque raggruppamenti, poi abbiamo chiesto ad alcuni “giudici” di valutare la coerenza
interna di tali insiemi e di denominarli. L’accordo non è
stato problematico.
Area semantica
Psicologistica ingenua prevalentemente
affettiva
(debole, insicuro, fragile, bisognoso di
affetto, etc)
Frequenza
35%
Deficit cognitivo e/o educativo - sociale,
incapacità di controllo
(stupido, incosciente, ignorante, stronzo, etc)
34%
Rifiuto morale e scelta volontaria colpevole
(ladro, bugiardo, irresponsabile, inutile,
vizioso, etc.)
15%
Simpatia trasgressiva
(simpatico, sicuro di sé, squarcione, coraggioso,
atipico etc)
12%
Rifiuto estetico
(sciatto, malandato, brutto, deperito etc)
4%
Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
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Nessuno dei sogg. è inseribile prevalentemente in una
sola delle aree semantiche delineate, si manifesta, invece,
una compresenza di caratterizzazioni, talvolta contraddittorie. Anche i consumatori abituali non si differenziano in
modo significativo dal dato generale.
Sembra che la conoscenza personale di un tossicomane
non modifichi l’assetto del senso comune prevalente, ovvero le semplificazioni che sovrastimano i fattori “di personalità”, “cognitivo – sociali” o “volontaristici”, ma sottostimano le complesse interazioni processuali tra effetti delle
sostanze sul cervello, situazioni, stili di consumo e variabili psicosociali, che concorrono a far virare un consumatore
a rischio verso “il destino” del tossicomane. Del resto è potentemente rassicurante attribuire l’evoluzione di una tossicomania a fattori preesistenti “chiari e distinti” (psicologici, biologici, educazionali, familiari, valoriali, sociali etc).
Abbiamo chiesto di mettere in ordine, da quella ritenuta
più pericolosa a quella giudicata meno pericolosa, le sostanze psicotrope illegali. Non abbiamo voluto usare precodificazioni ingenue, del tipo “leggere” e “pesanti”, “nuove” e “vecchie”, “up” e “down”, “dipendenza fisica”, “dipendenza psicologica” etc., per evitare che la maggiore accessibilità delle categorizzazioni prevalenti favorisse risposte altamente stereotipate.
La valutazione della maggiore o minore correttezza
delle risposte è stata fatta da due “giudici” esperti in base
al criterio delle “potenze” differenti delle varie sostanze
nell’indurre precoci comportamenti di craving e dipendenze croniche (Grafico n. 7).
Un buon 45% dei sogg. risponde in modo corretto o abbastanza corretto, mentre il 55% è incerto, scorretto, molto
scorretto o non risponde; se consideriamo solo i consumatori abituali la percentuale di giudizi corretti e abbastanza corretti sale significativamente al 64%. Evidentemente la maggior familiarità con le sostanze favorisce la capacità di elaborare in modo più realistico le informazioni pertinenti. Come al solito, le ragazze sono state più “brave” dei ragazzi.
Ad un’analisi qualitativa delle risposte incerte, scorrette
e molto scorrette gli errori di gran lunga più frequenti sono
risultati la sottovalutazione della pericolosità della cocaina,
la distinzione tra eroina e cobret e l’equiparazione tra cannabis, extasi ed allucinogeni.
Gli argomenti che i sogg. vorrebbero approfondire si
distribuiscono nel modo seguente:
Il 24% del campione si dichiara molto favorevole o favorevole alla legalizzazione delle droghe “leggere”, tra i
consumatori abituali tale percentuale sale al 67%. Inoltre le
ragazze appaiono decisamente più “conservatrici” (solo il
14% delle F è molto favorevole o favorevole alla legalizzazione, a fronte 32% dei M).
A conclusione del questionario abbiamo chiesto “Quali
aspetti della tua vita personale ti preoccupano di più in
questo periodo?”. In realtà era una “domanda trabocchetto”, ben sapevamo che le risposte avrebbero ricalcato lo
schema narrativo di un oroscopo un po’ disforico: amore,
soldi, insuccessi scolastici, aspetto fisico, salute etc. Eravamo interessati a valutare quanti sogg. avrebbero incluso il
rapporto con le sostanze psicotrope tra le preoccupazioni
rilevanti. Ebbene nessun sogg., neanche tra quelli che hanno ammesso consumi abituali, ha ritenuto di dover segnalare tale problema. Questo dato è ancor più interessante se
consideriamo che il questionario ed il contesto della sua
somministrazione avrebbero dovuto facilitare il richiamo
dei contenuti emotivi e cognitivi connessi al tema specifico. Nonostante gli stimoli da noi offerti, gli studenti sembrano continuare a “recintare” i rischi del consumo di sostanze in “orizzonti” angusti e normalizzanti.
Le differenze nella diffusione del consumo di sostanze
che abbiamo notato tra i vari Istituti sono tutte attribuibili
alla maggiore o minore frequenza di maschi nella popolazione scolastica. Il rischio di cadere in una tossicomania
sembra essere ancora un “privilegio” prevalentemente maschile, così come “l’abilità” a cacciarsi in un qualche disturbo dell’alimentazione, sembra essere una prerogativa
femminile. Eppure questi due percorsi del disagio appaiono accomunati almeno dalla difficile sfida che pongono a
terapeuti e educatori.
Infine abbiamo chiesto di valutare la qualità del nostro
intervento nelle classi mediante un voto “come a scuola”
da 1 a 10. Abbiamo ottenuto la media dell’8, solo il 6% del
campione ci ha dato l’insufficienza e ben il 33% ci ha assegnato 9 o 10.
Considerando che gli adolescenti sono “di manica
stretta” quando hanno l’opportunità di valutare adulti educatori, possiamo esser (da questo punto di vista) più che
soddisfatti.
Riflessioni conclusive
Argomento
Frequenza
Effetti e rischi connessi all’uso di sostanze
c.d. “leggere” (tra le quali i sogg. tendono
ad includere gli “speed”)
29%
Effetti e rischi connessi all’uso di sostanze
c.d. “pesanti”
25%
Terapie, prevenzione e controllo
19%
Cause psicologiche e sociali dei
comportamenti di uso e di abuso
15%
Prevenzione delle MTS e sessualità consapevole
12%
Questa prima analisi dei dati conferma che, attorno ai
17 anni, ragazze e ragazzi, nella comune quotidianità, incontrano molteplici occasioni di contatto diretto con il
consumo di sostanze psicotrope illegali.
Sicuramente, almeno per gli operatori delle T.D., questa non è una gran scoperta, eppure molto spesso noi stessi
siamo rimasti sorpresi dalla “naturalezza” con la quale
emergeva, nella situazione di dialogo che abbiamo proposta, la sovrapposizione tra il normale disagio adolescenziale e le “promesse” del mercato neurochimico.
Forse oggi, neanche l’educatore più rigorosamente paranoide saprebbe distinguere con sicurezza le “cattive com-
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pagnie” da quelle “buone”. I “cattivi” sembrano nascondersi abilmente tra i “buoni”, e talvolta si può esser assaliti
dal fondato sospetto che nelle “cattive compagnie” possa
trovarsi un’inattesa percentuale di “buoni”.
Mentre il consumo si estende e si “normalizza”, adolescenti ed adulti sembrano attardarsi in schemi interpretativi
inadeguati che oscillano tra gli allarmismi spettacolari e le
comode sottovalutazioni, tra i permissivismi non selettivi e
gli impraticabili autoritarismi globali, tra i macrodiscorsi
edificanti ed il balbettio conoscitivo.
A tarda sera o a notte fonda gli adolescenti sperimentano sostanze, osservano effetti, sintomi e comportamenti,
discutono tra loro, filtrano conoscenze scientifiche e pseudoscientifiche, inventano “leggende metropolitane”, corrono rischi. Di giorno tacciono, ascoltando adulti educatori
che fanno strane prediche contro i rischi a base di psicologia e sociologia spicciole o brandelli di conoscenze scientifiche, spesso decontestualizzati o superati. Eppure i discorsi indossati nella notte e quelli esibiti di giorno sembrano
griffati dalla stessa sartoria cognitiva a buon mercato.
Di seguito analizzeremo rapidamente alcuni degli spunti problematici incontrati più frequentemente nelle classi.
•
“Mio fratello che studia medicina mi ha detto che
quel ragazzo di Brescia morto per una pasticca di extasi, in realtà doveva avere già qualche problema cardiaco.”
Qui si nota il tentativo di passare da un’attribuzione
causale semplice, monofattoriale e dipendente dal comportamento (la droga) ad un’altra attribuzione altrettanto semplice (il difetto cardiaco), ma più rassicurante
perché naturale ed indipendente dall’azione. Su questi
temi ci è sembrato molto faticoso promuovere tra i nostri sogg. l’utilizzo di strategie cognitive più complesse
capaci di prospettare l’interazione tra più fattori: sostanza, dosaggio, eventuale combinazione con altre
droghe, comportamenti associati al consumo, condizioni fisiche e psichiche preesistenti, situazione ambientale, soccorso mancato, tardivo o improprio etc.
•
“Non è vero, la TV ha detto che quel ragazzo di Brescia s’impasticcava abitualmente, era un tossicomane,
perciò è morto…”
Questo tipo di affermazioni, da un lato ripropongono la
semplificazione, dall’altro implicano che il consumatore
occasionale ed inesperto corre meno rischi acuti del consumatore abituale. Abbiamo trovato molte difficoltà
nell’aiutare a distinguere tra effetti e rischi acuti, subacuti e cronici. Nell’immaginario dei sogg. se una sostanza non induce rapidamente dipendenza e non “brucia le
cellule cerebrali” tende ad esser considerata poco pericolosa. Alcuni sopravvalutano i rischi di costruzione d’una
tossicomania cronica, ma sottostimano i rischi acuti e
subacuti direttamente o indirettamente connessi al consumo; altri, viceversa, si concentrano su come controllare e ridurre i rischi acuti e sottovalutano il rischio di consolidare un’abitudine cronica. È intuibile che sul piano
pratico queste confusioni sono molto pericolose.
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•
“Si dice che le droghe leggere portano dipendenza
psicologica, mentre quelle pesanti dipendenza fisica,
la cocaina induce dipendenza psicologica, allora perché viene considerata pesante?”
Sull’affermazione relativa alla cocaina sembra di ascoltare l’eco di libri ed articoli scritti 10 anni fa. Se poi
s’indaga sul senso implicito della rigida categorizzazione tra “psicologico” e “fisico”, si scopre che i sogg.,
quando usano il concetto di “psicologico”, sembrano
alludere ad una dimensione “aerea”, “leggera”, sentimentalistica, volontaristica ed affidabile ad una decisionalità cosciente sempre possibile. Invece, escludono
dalla “sfera psicologica” processi più “pesanti” come
condizionamento, rinforzo primario, abitudine, inconscio, automatismo reattivo, soglia di sensibilità allo stimolo, craving, etc. A volte si ha l’impressione che i nostri adolescenti considerino una dipendenza “solo psicologica” come un problema inesistente o banale. In
questo modo si tende a dimenticare che fattori psicologici e sociali (complessi o banali) possono promuovere
l’uso di sostanze che alterano sottili equilibri neurochimici i quali, a loro volta, determinano ulteriori conseguenze psicosociali (spesso per nulla banali), in una
“spirale” dove cause ed effetti si rincorrono dinamicamente e livelli di analisi diversi s’influenzano in modo
reciproco. Peraltro, soprattutto nel campo delle dipendenze patologiche, la distinzione schematica tra fenomeni psichici e processi cerebrali è molto problematica
sul piano scientifico (sia psicologico che neurobiologico); oggi si tende a pensare che tutte le sostanze capaci
di indurre comportamenti di abuso abbiano un “bersaglio cerebrale” comune che, però, viene “colpito” attraverso “percorsi” e tempi diversi (5). Riuscire a trasmettere ai ragazzi una ragionevole “mappa” delle somiglianze e delle differenze tra le sostanze, dei diversi rischi connessi al loro consumo e delle complesse connessioni tra mente, cultura e natura, ci pare sia la sfida
che una strategia di prevenzione dovrebbe accettare. Ad
es. si potrebbe cominciare ad uscire dalla metafora del
“leggero” e “pesante”, dello “psichico” e del “fisico”
per tentare di proporre metafore basate sul concetto di
“violenza” o di “coercizione”, maggiore o minore, che
le varie sostanze esercitano sulla qualità della vita mentale e sulla qualità dei desideri delle persone (6).
•
“Mio cugino è stato prima un anno al Ser.T,. poi quasi due anni in comunità terapeutica, si è completamente pulito, è stato bene per sei mesi, ma dopo si è
sporcato di nuovo; evidentemente ha una personalità
debole, viziosa e molto vulnerabile…”
Qui l’attribuzione causale semplificante ricompare nella versione che noi chiamiamo (scherzosamente) il paradigma fisicalista “del pulito e dello sporco”: se neanche una molecola di eroina è presente nella testa di quel
cretino, perché ha ripreso a “sporcarsi”? Tolta la causa,
dovrebbe scomparire l’effetto! Allora la “vera” causa
“profonda” non è l’esperienza con l’eroina. E cosa c’è
di meglio del concetto ingenuo di “personalità”, con il
Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
Articoli
suo statico corteo di aggettivazioni, per concludere rapidamente l’ansiosa ricerca di una ragione? Ciò implica
che una “personalità forte” e poco vulnerabile potrebbe
sfidare anche le sostanze più pericolose senza correre
rischi eccessivi. Inoltre si dimentica che il “cuore” delle
dipendenze patologiche è la profonda sregolazione dei
processi desideranti e delle modalità di ricerca delle
gratificazioni, ciò non è necessariamente in relazione
con la presenza o l’assenza della “molecola nella testa”,
ma alla storia di quella “testa”. Anche il concetto di
vulnerabilità, che spesso abbiamo esplorato durante i
nostri incontri con le classi, tende ad esser rapidamente
ricondotto solo ad un “tratto di personalità” statico, e
non anche ad una condizione variabile che può aumentare o diminuire in base a complesse interazioni tra fattori diversi. (“Se quella volta non sono stato vulnerabile, vorrà dire che anche questa volta posso reggere
quella roba”).
•
•
“Qualche giorno fa c’è stata la giornata contro il fumo (di tabacco), la prof.ssa ed il medico scolastico ci
hanno detto che la nicotina induce forte dipendenza e
che ci sono più morti collegate all’uso di tabacco che
all’uso di eroina, allora perché non si vietano anche
le sigarette? (stesso discorso si può raccogliere a proposito dell’alcol)”.
Questo è un bell’esempio problematico di brandello di
conoscenza scientifica decontestualizzata, oltre che del
radicalismo logico degli adolescenti. Per brandello di
conoscenza intendiamo un’affermazione empiricamente vera che, però, non viene regolata da conoscenze ulteriori, altrettanto vere. Certamente è vero che il tabagista, per alcuni aspetti specifici, assomiglia molto ad un
eroinomane: dipendenza fisica e psichica, astinenza,
craving, resistenza al cambiamento, elevata frequenza
delle ricadute, “bersagli cerebrali” parzialmente comuni
etc. (7). Eppure è certamente vero che la qualità della
vita mentale dei tabagisti è mediamente molto diversa
da quella degli eroinomani, certo non solo per motivi
neurofarmacologici, ma anche storici, culturali e normativi. Tuttavia, è molto probabile che, se scomparisse
per magia tutto il tabacco del pianeta, molti tabagisti si
comporterebbero come gli eroinomani nel tentativo di
accaparrarsi le scorte; mentre fior di laboratori clandestini inserirebbero il gene della nicotina nei semi di lattuga. Eppure le sensazioni raccontate dal tabagista dopo
la prima sigaretta mattutina sono molto diverse da quelle narrate dall’eroinomane (o dal cocainomane) dopo la
“tirata” extra del sabato sera.
“Mio padre si fa un pacchetto e _ di marlboro, 8 caffè
ed un litro di aglianico al giorno, mia madre s’impasticca col prozac, perché io non posso farmi 5 o 6 canne a settimana, un paio di speed ogni 15 giorni, la coca a capodanno e il cobret quando capita?”
Provate a rispondere a questa domanda, senza cadere
nella trappola emotiva e cognitiva ad essa sottesa. Provate a raccontare plausibilmente la differenza e le somi-
glianze tra quel padre quella madre e quel figlio, senza
colludere con il fisiologico radicalismo adolescenziale.
Certo, non potrete usare il criterio puro e semplice del
“danno alla salute” o del “circuito cerebrale specifico”,
perché, epidemiologicamente parlando, le sostanze psicotrope legali possono esser altrettanto (o più) pericolose di quelle illegali.
Forse come adulti educatori dovremmo correre il rischio di interrogarci seriamente su come riuscire a superare
l’inerzia cognitiva con la quale noi stessi continuiamo a
guardare questi temi. Infatti, il lettore paziente, arrivato a
questo punto, si sarà accorto che i luoghi comuni che abbiamo esplorato insieme ai nostri diciassettenni sono simili
a quelli che troppo spesso incontriamo anche tra gli adulti
(noi inclusi). Non c’è da meravigliarsi! In fondo questi giovani sono figli nostri (dei nostri massmedia e dei nostri discorsi). Di notte, alcuni ragazzi usano i luoghi comuni per
accettare i rischi, di giorno alcuni adulti cercano di convincerli del contrario con quegli stessi argomenti!
Qui la discussione dovrebbe aprirsi.
Certamente abbiamo bisogno di conoscere meglio le
nuove modalità di rapporto tra adolescenti e sostanze
d’abuso (oltre che le “nuove” sostanze e le nuove “leggende metropolitane”). Certamente abbiamo bisogno di aggiornare le nostre “sicurezze” conoscitive, ma abbiamo anche bisogno di proporre, su questi temi, un discorso responsabilmente adulto. Un discorso scientificamente onesto ed umanamente intelligente che, forse, potrebbe esser
anche persuasivo. Un discorso con il quale i ragazzi possano seriamente confrontarsi (e lealmente scontrarsi).
Bibliografia
1) I.T.S. Nautico “Duca degli Abruzzi” (prof.ssa M. Martinelli),
Istituto Statale D’Arte “U. Boccioni” (prof.ssa C. Romano)
I.T.A.S. “V. Emanuele II” (prof.ssa D. Penza), I.T.I.S. “F.
Giordani” (prof. V. ferrante), I.T.C. “M. Pagano” (prof.ssa D.
Pensa).
2) “Ogni Achille ha il suo tallone”, prima di esser il titolo di questo lavoro, era l’incipit di un appunto discusso nel gruppo di
lavoro sulla prevenzione del Dipartimento delle Farmacodipendenze della ASL Napoli 1 composto da operatori dei
Ser.T., del Privato Sociale e del mondo della Scuola, che sta
tentando di costruire una strategia culturale e metodologica
condivisa, proprio a partire dall’idea che ogni discorso, ogni
“certezza” sedimentata nei luoghi comuni nasconde un “tallone” che va continuamente cercato.
3) Nelle scienze cognitive il senso del termine bias (deviazione,
inclinazione, diagonale etc.) potrebbe essere tradotto in italiano come “illusione cognitiva”. Diversamente da un pregiudizio che è un processo prevalentemente storico – culturale ed
emotivo, sempre modificabile in linea di principio; un bias, invece, è una tendenza all’errore valutativo profondamente radicata nel nostro modo di elaborare le informazioni che, come le
illusioni ottico – percettive, non possiamo evitare, ma solo
correggere mediante conoscenze ulteriori. Come agili introduzioni a questo campo si veda Legrenzi P.: Come Funziona la
Mente, Bari, Laterza, 1998 e Piattelli Palmarini M.: l’Illusione
Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
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Boll. Farmacodip. e Alcoolis., XXIV (3) 2001
di Sapere, Milano, A. Mondadori, 1993. Per approfondire le
“bibbie” sono Kahneman D., Slocic P. e Tversky A. 1982:
Judgment under Uncertainty: Heuristics, and biases, Cambridge G.B., Cambridge University Press e Nisbett R. E. e
Ross L. 1980: Human Inference: strategies and shortcomings
of social judgment, Englewood Cliffs, N.J. Prentice Hall (trad.
it. L’Inferenza Umana: strategie e lacune del giudizio sociale,
Bologna, Il Mulino, 1989).
4) Durante la somministrazione del questionario abbiamo notato
che i sogg. tendevano a confondere i comuni antidolorifici antinfiammatori (l’aspirina ed i suoi discendenti) con gli psicofarmaci. Questa overinclusion, per quanto sia comprensibile
tra i profani, è molto pericolosa perché tende a “trascinare” an-
cor di più gli psicofarmaci nella quotidianità (apparentemente)
innocua dell’aspirina.
5) Su questo tema è interessante segnalare il lavoro di Fattore L.
e Fratta W.: Cannabinoidi ed Oppioidi, un Percorso Neuronale
Comune? In “Medicina delle Tossicodipendenze”, anno VII n.
22 – 23, 1999, pp. 49 – 51.
6) Sissa G.1997 le Plisir et le Mal: Philosophie de la Drogue,
Editions odile Jacob, Paris (trad. it. Il piacere e il Male: sesso,
droga e filosofia, Milano, Feltrinelli, 1999).
7) Vetere C.: la Dipendenza da Nicotina: neurobiologia e prevenzione, in Ministero della Sanità, Bollettino per le Farmacodipendenze e l’Alcolismo, anno XXII, n. 4, 1999, pp. 80
– 92.
Grafico 1. Stima consumo tra coetanei
Grafico 2. Circolano sostanze nella tua comitiva?
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Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
Articoli
Grafico 3. Stima uso sostanze nella propria comitiva
Grafico 4. Hai mai usato sostanze?
Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
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Boll. Farmacodip. e Alcoolis., XXIV (3) 2001
Grafico 5. Hai un consumo abituale?
Grafico 6. Nel tuo quartiere è facile reperire sostanze?
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Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
Articoli
Grafico 7. Giudizio sulla differente pericolosità delle sostanze
Ogni Achille ha il suo tallone. Pregiudizi e luoghi comuni tra adolescenti
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