INFINITO Giacomo Leopardi: - piccolo idillio composto nel 1819

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INFINITO Giacomo Leopardi: - piccolo idillio composto nel 1819
PICCOLI IDILLI
Leopardi scrive i PICCOLI IDILLI tra il 1819 e il 1821 (5 Piccoli idilli: L’INFINITO, ALLA LUNA, LA SERA DELL
DI’ DI FESTA, IL SOGNO, LA VITA SOLITARIA).
Si tratta di componimenti poetici in endecasillabi sciolti (11 sillabe per verso), in cui sviluppa motivi autobiografici,
sensazioni stati d’animo, avventure dell’io ecc. L’idillio leopardiano è un genere in cui il poeta sintetizza il quadretto
paesaggistico e gli stati d’animo dell’io. Leopardi stesso definisce gli idilli “situazioni, affezioni, avventure storiche del
mio animo”. Lo stile degli idilli è meno eloquente di quello delle canzoni, in essi prevale la poetica dell’indefinito e del
vago, è una poesia che trova il suo m.c.d. nella forza dell’immaginazione.
N.B. 
Idillio: dal greco “eidyllion” = “quadretto. È un breve componimento poetico, di derivazione greca, spesso in forma
dialogica/dialogata, che rappresenta un sentimento amoroso su uno sfondo paesaggistico ameno di tipo bucolico,
pastorale. L’Idillio inizialmente si distingue dall’Ode: Idillio si caratterizza per brevità mentre l’Ode per la propria
lunghezza, e differiscono anche le tematiche. Modello dell’idillio greco è il poeta TEOCRITO, autore di Idilli, in
particolar modo brevi, dialogici, su uno sfondo campestre, bucolico. Teocrito è imitato dai poeti greci successivi e dai
poeti latini (Ovidio, Tibullo, Virgilio). Nel Medioevo e nella poesia successiva l’idillio ha sempre uno sfondo
campestre, bucolico, una atmosfera serena e lo svolgimento di un tema amoroso.
Leopardi scrive 5 Idilli  “situazioni, affezioni, avventure e sentimenti dell’io”.
Idillio nell’uso comune sta per “sereno, tranquillo ecc”.
INFINITO Giacomo Leopardi:
- piccolo idillio composto nel 1819
- unica strofa di 15 versi endecasillabi sciolti
- infinito come funzione immaginativa di fronte alla finitezza del reale
- l’ostacolo della siepe funge da limite ma allo stesso tempo da “motore”, ovvero mette in moto
l’immaginazione  infinito spaziale
- il vento (sensazione acustica)  funge da “motore”, aziona l’immaginazione  infinito
temporale
- esprime perfettamente la poetica del vago e dell’indefinito
1. Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
2. e questa siepe che da tanta parte
3. dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
4. Ma sedendo e mirando, interminati
5. Spazi di là da quella, e sovrumani
6. Silenzi, e profondissima quiete
7. Io nel pensier mi fingo, ove per poco
8. Il cor non si spaura.E come il vento
9. odo stormir tra queste piante io quello
10. Infinito silenzio e questa voce
11. Vo’ comparando: e mi sovvien l’eterno,
12. e le morte stagioni e la presente
13. e viva e il suon di lei. Così tra questa
14. Immensità s’annega il pensier mio:
15. e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Questa collina (colle = il monte Tabor, non lontano da casa Leopardi) solitaria (ermo = solitario
aggettivo molto poetico e ricercato della tradizione letteraria) mi fu da sempre cara ed anche questa
siepe (siepe = per il poeta rappresenta la divisione fra i suoi pensieri e l’eternità) che impedisce la
vista (il guardo esclude) dell’orizzonte più lontano (ultimo = estremo secondo l’accezione latina).
Ma (avversativa, si contrappone a ‘esclude’ del verso precedente: la siepe cioè esclude lo sguardo,
non l’immaginazione) sedendomi e guardando (mirando = è un guardare fantasticando) gli
sterminati (interminati ) spazi al di là della siepe (di là da quella), nella mente (nel pensier) mi
raffiguro (fingo = immagino), silenzi che non si trovano della dimensione umana (sovrumani
silenzi - iperbole) e profondissima quiete (anastrofe), in modo tale che in quegli spazi e in quel
silenzio (ove = aferesi ) per poco il cuore (cor = sinonimo di “sentimento, animo” = apocope +
sincope) non si turba e si smarrisce (si spaura - nel percepire l’infinito vi è una sorta di
smarrimento). E non appena (come) odo stormire (onomatopea) il vento tra queste piante paragono
(vo’ comparando) l’infinito silenzio di quegli spazi a questo rumore (voce – il frusciare del vento
fra le piante): e mi viene in mente (mi sovvien) l’idea dell’eternità [dell’infinito nel tempo], ed il
passato (le morte stagioni = le età passate) e il presente che si fa sentire nelle sue manifestazioni
reali (viva e il suon di lei). In questo modo (Così = comparando l’effimero con l’eterno) in questo
infinito (immensità) il mio pensiero sprofonda (s’annega = si smarrisce fino ad annullarsi): ed è
dolce naufragare in questo mare (naufragar…mare = la metafora del naufragio rende l’idea di un
annichilimento che è però uno smarrimento piacevole. Per il poeta è fonte di dolcezza annullare la
sua coscienza nella vastità dell’infinito).
Tema: L’infinito è uno dei più noti idilli leopardiani, fu composto nel 1819 ed è una testimonianza
di quel dissidio tra finito ed infinito, tra realtà e ideale, che caratterizza l’uomo romantico.
La poesia descrive il poeta solo sul monte Tabor a Recanati. Una siepe impedisce a Leopardi la
vista di buona parte dell’orizzonte e questo ostacolo suscita in lui una riflessione su ciò che
trascende il reale e fa spaziare nell’immensità. La siepe rappresenta dunque una barriera tra il
mondo esterno e i pensieri del poeta. Essa è il simbolo di tutto ciò che è limitante e limitato e quindi
stimola l’immaginazione e l’istintivo bisogno, proprio di ogni uomo, di infinito (LA SIEPE: a)
ostacolo/limite fisico, b) interpretazione psicoanalitica: è il limite che lo confina nell’odiato borgo
recanatese). Stando seduto a osservare, egli immagina spazi interminabili oltre la siepe, silenzi che
superano ogni possibilità di comprensione da parte dell’uomo e una quiete assoluta dove il cuore
prova quasi smarrimento (“ove per poco il cor non si spaura”).
L’improvviso stormire delle foglie lo riporta alla realtà ma come la siepe gli aveva suggerito l’idea
dell’infinito spaziale così il rumore del vento gli suggerisce l’idea dell’eternità, cioè dell’infinito
temporale.
Le sue riflessioni perdono ogni definizione logica in questo infinito che si estende senza confini
nello spazio e nel tempo. Egli si abbandona dolcemente in questa nuova dimensione annullando la
propria identità  per cui la NATURA è positiva e la RAGIONE negativa (PESSIMISO
STORICO): annullandosi nella natura, l’uomo allevia il proprio dolore.
Forma metrica: Componimento di quindici versi, endecasillabi sciolti. L’uso dei dimostrativi
permette al poeta di giocare tra il finito e l’indefinito, creando una dialettica tra realtà e
immaginazione (questo indica vicinanza, quello lontananza). Il poeta utilizza molte figure retoriche
e termini di origine latina.
I versi dall’11 al 13 sono caratterizzati da un polisindeto (il susseguirsi di 4 congiunzioni:
e…e…e…e).
L’uso dell’enjambement è elevato e contribuisce a dilatare lo spazio del verso.
1827-1829 Leopardi torna alla poesia dopo il periodo filosofico delle Operette morali.
Ormai è approdato al pessimismo cosmico.
- PESSIMISMO COSMICO = La Natura è matrigna, il dolore è nella natura, nella vita stessa, la natura è
indifferente al dolore umano e l’uomo medesimo è destinato al dolore, al disinganno, alla noia, alla infelicità.
- PESSIMISMO STORICO = La Natura è madre benevola e positiva mentre la Ragione è negativa. Le
illusioni hanno una funzione positiva.
1^ pessimismo storico  2^ pessimismo cosmico.
Fasi leopardiane: 1^ erudizione  2^ bello (poesia) PICCOLI IDILLI [pessimismo storico]  3^ vero
(filosofia) OPERETTE MORALI [pessimismo cosmico]  3^ ritorno alla Poesia GRANDI IDILLI e
CICLO DI ASPASIA.
Le poesie di questo periodo mettono il luce il contrasto tra “natura matrigna” e “uomo come materia
pensante”, sono poesie della rimembranza, del ricordo (di cose che non sono più). Il più alto aspetto della
poesia è nel vago ecc.
CANTI PISANO-RECANATESI o GRANDI IDILLI (1828-1830)  sono canzoni (canzoni leopardiane).
- IL RISORGIMENTO,
- A SILVIA
- LE RICORDANZE
- LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA
- IL SABATO DEL VILLAGGIO
- CANTO NOTTURNO DI UN PASTORE…
- IL PASSERO SOLITARIO
IL SABATO DEL VILLAGGIO: canzone leopardiana composta da 4 strofe/lasse di varia lunghezza in cui si
alternano endecasillabi e settenari, con rime, assonanze, consonanze, cesure, enjambement.
Le due canzoni LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA e IL SABATO DEL VILLAGGIO formano una specie
di dittico, in entrambe le canzoni si rappresenta una evocazione della vita del borgo natio (per Fubini si tratta
di apologhi-idilli).
3 momenti del SABATO DEL VILLAGGIO:
- il borgo al tramonto (in sul calar del sole)
- il borgo a sera (già tutta l’aria imbruna)
- il borgo di notte (Poi quando intorno è spenta ogni altra face)
- destinatario  ultima strofa: è il fanciullo.
Moto/stasi (la donzelletta/la vecchia)
La donzelletta è attiva e tutta proietta nel futuro, speranzosa, e piena di illusioni.
La vecchia (seduta) è tutta proiettata nel passato, nel ricordo di ciò che fu ( = è in contrapposizione con la
fanciulla  ciò che la donzelletta è qui ed ora, la vecchierella è stata là e allora molto tempo prima).
Trascorrere del tempo: imbrunire/tramonto  sera (sopraggiungere della sera, l’apparire della luna nel cielo,
il protendersi delle ombre notturne sulle cose)  il suono della campana (segnale acustico)  i fanciulli che
si attardano a giocare, il contadino che torna a casa, il falegname che si appresta a terminare il lavoro
nottetempo  notte  STACCO: penultima strofa  riflessione del poeta  ULTIMA
STROFA/CONGEDO: il poeta si rivolge al fanciullo.

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