I nuovi farmaci: dalle sostanze di origine vegetale - Ulisse

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I nuovi farmaci: dalle sostanze di origine vegetale - Ulisse
http://ulisse.sissa.it
DATA
DI ARRIVO:
17 marzo 2006
19 ottobre 2006
PUBBLICAZIONE: 10 novembre 2006
ACCETTAZIONE:
I nuovi farmaci: dalle
sostanze di origine vegetale
alla genomica
Tullio Giraldi
Dipartimento di Scienze Biomediche, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università di Trieste
E-mail: [email protected]
ABSTRACT: Dal diciannovesimo secolo a oggi i principi attivi vegetali hanno avuto una rapida evoluzione che ha
permesso di arrivare a nuovi farmaci. Si tratta di studi all'intersazione tra la chimica, la botanica e la
medicina. Nella ricerca di nuovi farmaci, continua ancora oggi la ricerca di principi attivi di origine
naturale.
PAROLE CHIAVE: Botanica, genomica, biologia molecolare.
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I nuovi farmaci: dalle sostanze di origine
vegetale alla genomica
Era circa il 1840 quando in Inghilterra cominciò a diffondersi la notizia, riportata da missionari operanti
nella zona meridionale della Nigeria, riguardante l’esistenza di un rito chiamato esere. I colpevoli di stregoneria,
e gli accusati di più tradizionali crimini quali l’omicidio, venivano costretti ad ingoiare una minuscola fava. Se
l’esito era la morte, come si verificava piuttosto frequentemente, ciò significava la colpevolezza del reo. Quando
invece l’imputato vomitava la fava e sopravviveva, veniva considerato innocente e posto in libertà; coloro che
sopravvivevano superando manifestazioni tossiche di varia gravità venivano posti in vendita quali schiavi. La
fiducia della popolazione locale nel potere divinatorio dell’esere era tale che spesso persone accusate in maniera
da essi ritenuta ingiusta chiedevano di essere sottoposti al rito per poter dimostrare la loro innocenza. La
tossicità della fava è tale che meno di metà di essa è in generale sufficiente per uccidere un uomo; la tossicità
varia con il grado di maturazione, ed è probabile che gli amministratori del rito dell’esere scegliessero fave più o
meno mature, e quindi tossiche, per ottenere il verdetto desiderato. L’ingestione della fava era anche una scelta
popolare in caso di duelli, con la divisione della fava in due metà che dovevano poi essere ingerite da ciascuno
dei due contendenti, che spesso morivano entrambi.
Possiamo immaginare come i missionari valutassero negativamente l’esere quale rito pagano. Allo stesso
tempo, possiamo immaginare anche il loro desiderio di venire in possesso di alcune fave per poterle inviare in
patria agli esperti del Giardino Botanico dei Kew Gardens o ad Edinburgo, come già avevano fatto altri
viaggiatori prima di loro nel caso del caffé dall’Africa, della corteccia dell’albero della china dal Perù e della
noce vomica dall’Estremo oriente. Sebbene l’ottenimento delle fave fosse reso arduo dagli ostacoli frapposti dai
governanti locali, timorosi di perdere l’esclusività dell’amministrazione della giustizia, il Reverendo Hope
Waddel, della Missione Nigeriana nell’Old Calabra della Società Missionaria Scozzese, riuscì nel 1855 ad
inviare in patria alcune fave, che vennero chiamate fave del calabar e che permisero con qualche difficoltà al
tossicologo Robert Christison di Edinburgo la coltivazione della pianta che venne battezzata Physostigma
venenosum.
Il principio attivo dell’esere, chiamato eserina o fisostigmina, si dimostrò da subito dotato di potenti
proprietà tossiche e terapeutiche, che vennero inizialmente osservate dallo stesso Christison ingerendo piccole
porzioni della fava. Il fatto che a dosi minute rallentasse notevolmente la frequenza dei battiti cardiaci, indusse il
farmacologo americano John Uri Lloyd nel 1897 a proporne addirittura l’uso per l’esecuzione indolore di
condannati alla pena di morte. Allo stesso tempo furono rapidamente identificati usi terapeutici, quali l’efficace
impiego come antidoto nell’avvelenamento mortale da atropina nel caso di bambini che avevano ingerito i frutti
delle piante contenenti atropina e scopolamina. Di notevole interesse è stata nel 1934 la scoperta da parte di
Mary Walzer che la miastenia gravis, malattia caratterizzata da sintomi di debolezza muscolare analoghi a quelli
osservati nell’intossicazione da curaro, poteva essere efficacemente trattata con l’eserina. Questi usi
dell’eserina, e dei suoi derivati sviluppati successivamente, continuano sino ai giorni nostri.
L’episodio riguardante l’eserina è emblematico per illustrare lo straordinario periodo iniziato nel secolo
decimo nono. A quel tempo, infatti, risale l’identificazione della potente azione di nuovi principi attivi isolati dal
mondo vegetale, con interessanti episodi di ricercatori che effettuarono intelligenti osservazioni originali sulle
loro azioni tossiche e curative. In maniera certamente non esaustiva, può essere citato quale esempio l’iniziale
osservazione da parte di William Withering nel 1775 dell’azione degli estratti della digitale su alcune malattie
cardiache, con efficacia tale che i principi attivi della pianta successivamente identificati sono ancora oggi
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irrinunciabili presidi terapeutici. Ed ancora può essere citata la dimostrazione da parte di James Lindt nel 1754
dell’efficacia degli agrumi nella prevenzione e trattamento dello scorbuto, grave condizione che si era sino ad
allora verificata nei marinai durante navigazioni di durata prolungata, con formidabili implicazioni riguardanti lo
sviluppo della marineria oltre a quelle propriamente sanitarie.
Nasce quindi, con l’isolamento, la purificazione e l’identificazione della struttura chimica dei nuovi
principi attivi, il periodo della sperimentazione obiettiva dei medicamenti, e del loro impiego razionale nella
terapia clinica umana.
Ad alcaloidi e glucosidi provenienti dal mondo vegetale, vengono ad aggiungersi vitamine e sostanze
inorganiche come il ferro e gli ioduri, che faranno sì che malattie come la pellagra, il rachitismo, alcune anemie,
ed il gozzo e cretinismo da condizioni endemiche diventino sostanzialmente un ricordo di tempi passati.
La ricerca di nuovi principi attivi si è poi estesa ai tessuti dei mammiferi, consentendo la nascita della
moderna endocrinologia e la disponibilità di preparati ormonali per l’impiego in terapia. Tra le sostanze di
origine naturale, non può inoltre non essere almeno ricordata la nascita nel periodo della Seconda Guerra
Mondiale con la penicillina dell’era degli antibiotici, riguardante quei principi attivi prodotti da micro-organismi
che hanno costituito una straordinaria rivoluzione terapeutica.
Accanto alle sostanze di origine naturale, molecole non esistenti in natura sintetizzate dai chimici hanno
un ruolo altrettanto importante. Vale in tal senso l’esempio costituito da Paul Ehrlich, considerato
universalmente il padre della chemioterapia. E’ leggendario l’episodio della sua perseveranza nell’aver
sperimentato l’azione anti-infettiva di numerosi derivati arsenobenzolici, finché poté constatare assieme al suo
diligentissimo allievo giapponese Hata che il composto numero 606, chiamato poi Salvarsan, era efficace nel
trattamento della sifilide. La tenacia di Ehrlich è ulteriormente dimostrata dalla puntuale prosecuzione del suo
lavoro, con l’identificazione del composto numero 914, denominato Neosalvarsan, che soppiantò
vantaggiosamente il suo predecessore. Con pieno merito, Ehrlich ricevette nel 1908 il premio Nobel per la
Medicina condiviso con Metchnikoff. Era aperta così la strada alla chemioterapia, e più in generale all’impiego
nella cura delle malattie umane, anche non infettive, di molecole prodotte in laboratorio.
Questo quadro, tratteggiato necessariamente in maniera episodica, si è venuto a sviluppare portando ai
tanti principi attivi presenti nella Farmacopea, finché si è verificata la vera e propria rivoluzione costituita dalla
nascita della biologia molecolare. Sono così comparsi a partire alla fine del millennio i prodotti biotecnologici,
quali ad esempio proteine umane di cui è stata possibile la produzione in vitro in quantità potenzialmente
illimitata mediante colture di cellule e ceppi batterici sviluppati appositamente con tecnologica denominata DNA
ricombinante. Si è realizzata così la possibilità di trattare malattie umane dovute alla carenza di ormoni di natura
proteica, il cui trattamento con ormoni estratti da animali non era possibile o presentava serie limitazioni.
Esempi in tal senso sono costituiti dall’emofilia, precedentemente trattata con fattori estratti dal sangue umano, e
dal nanismo causato da insufficiente produzione da parte della ghiandola ipofisi di ormone della crescita
(chiamato anche GH o ormone somatotropo), trattato con l’ormone estratto da ipofisi di cadaveri umani; questi
trattamenti erano disponibili in quantità limitatissime ed erano gravati dal rischio di trasmissione di malattie
infettive. Questo progresso riguarda anche i fattori di crescita delle cellule del midollo osseo, tra i quali
l’eritropoietina o EPO. Non si può tralasciare di sottolineare come di svariati e potenti medicamenti sia stato
fatto l’uso improprio e nocivo costituito dal doping sportivo, e che anche i principi attivi di origine biotecnologia
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quali ad esempio EPO e GH non sfuggono a questo destino, risultando per di più notevolmente difficile poterne
dimostrare l’assunzione illecita in quanto identici a molecole già presenti naturalmente nell’organismo.
La rivoluzione costituita dalla biologia molecolare è stata coronata dalla mappatura del genoma umano, il
cui completamento è stato annunciato congiuntamente dai Presidenti Clinton e Blair nel 2000. Grazie
all’identificazione della sequenza dei tre miliardi di basi che costituiscono il DNA umano, è stato anche stimato
in circa 30.000 il numero dei nostri geni, che direttamente o indirettamente costituiscono il bersaglio per l’azione
di nuovi farmaci con un approccio chiamato farmacogenomica. Tra le applicazioni già realizzate con grandi
attese di elevata potenza e bassa tossicità, non sono molte quelle che si sono sinora dimostrate rispondere alla
aspettative. Un notevole progresso terapeutico è stato raggiunto grazie alla molecola sintetica chiamata Imatinib,
in commercio con il nome di Gleevec, che ha rivoluzionato il trattamento di una malattia relativamente rara, la
leucemia mieloide cronica. Per questa malattia è stato identificato uno specifico difetto genetico presente in tutte
le cellule malate, che ha consentito lo sviluppo di questo farmaco che le colpisce selettivamente, risparmiando
nello stesso tempo tutte le altre. Un altro interessante progresso terapeutico è costituito dallo sviluppo
dell’Herceptin, in commercio con il nome di Trastuzumab. Questo farmaco colpisce selettivamente le cellule le
cellule del tumore della mammella che esprimono in maniera elevata un particolare bersaglio molecolare,
risparmiando come l’Imatinib tutte la altre cellule. A differenza dell’Imatinib che è efficace in tutti i pazienti,
l’Herceptin agisce solo nelle pazienti con il tumore della mammella il cui tumore esprime alti livelli della
molecola bersaglio del farmaco, che costituiscono circa un quinto del totale e che possono essere identificate
preliminarmente grazie ad appositi esami di laboratorio. Un diverso approccio è basato sul tentativo di
identificare grazie a tests genetico-molecolari di laboratorio i pazienti individualmente intolleranti a dosaggi
convenzionali di specifici farmaci, con l’obiettivo di individualizzare la loro farmacoterapia sia mediante la
scelta che il dosaggio dei medicamenti impiegati. Numerosi studi sono in corso per sviluppare e determinare la
potenzialità di questi approcci, con grandi attese da parte dei pazienti, dei ricercatori e delle aziende
farmaceutiche interessate.
Allo stesso tempo, in Brasile i seguaci della setta religiosa denominata Unio do Vegetal continuano la
loro pratica basata sull’assunzione rituale di una bevanda allucinogena chiamata ayahuasca o hoasca, impiegata
tradizionalmente da secoli dalle popolazioni del bacino Amazzonico. L’ ayahuasca è un’infusione ottenuta da
due piante, la Psychotria viridis e Banisteriopsis caapi; Le foglie della P. viridis contengono quantità elevate di
una sostanza chiamata dimetiltriptamina o DMT, potente allucinogeno con la singolare proprietà di essere
presente fisiologicamente in minute quantità nel cervello dei mammiferi, inclusa la specie umana. La corteccia di
B. caapi contiene invece una sostanza chiamata harmina capace causare una potente inibizione dell’enzima
chiamato monoamminossidasi o MAO, e grazie a tale inibizione viene evitata l’inattivazione della DMT ingerita
con l’ayahuasca consentendone così l’azione psicotropa; è interessante notare che farmaci che inibiscono le
MAO in maniera simile a quella dell’harmina sono correntemente impiegati per il trattamento della depressione.
Ricercatori spagnoli stanno indagando, al di fuori dell’azione allucinogena, le possibili applicazioni terapeutiche
dell’ayahuasca, che sembrano promettenti sia per il trattamento di disturbi depressivi delle tossicodipendenze.
Curiosamente, è interessante ricordare che nel periodo a cavallo della fine del settecento e dell’inizio
dell’ottocento si è sviluppato il curioso fenomeno dell’omeopatia. La paternità della nascita di questa disciplina
è di Samuel Hanemann, che propose il trattamento di varie affezioni con medicamenti basati su diluizioni
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infinitesime di principi attivi di origine naturale, che a dosi più elevate avrebbero essi stessi causato disturbi
simili a quelli così trattati, coniando il popolare motto ‘similia similibus curantur’. Per i due secoli successivi si
svolgerà la polemica tra i fautori ed i detrattori dell’omeopatia. Un serio evento in questa saga è nel 1988 la
pubblicazione nella prestigiosa rivista Nature di un lavoro del ricercatore francese Jacques Benveniste che
sembrava dimostrare una base scientifica per l’omeopatia. La stessa rivista pubblica però qualche mese dopo un
articolo successivo, in cui il prestigiatore professionista James Randy ed il giornalista scientifico investigativo
W.W. Srewart dimostravano, assieme all’Editor John Maddox, l’inconsistenza dei dati di Benveniste. E’ cronaca
recente la pubblicazione sulla prestigiosa rivista medica The Lancet di un editoriale che annuncia la morte
dell’omeopatia, assieme ad un articolo che dimostra come gli effetti di tale disciplina siano attribuibili all’effetto
placebo. Il tutto pochi mesi dopo che Benveniste, licenziato da dall’ente pubblico di ricerca francese di cui era
dipendente subito dopo l’incidente di Nature, e successivamente attivo in un istituto di ricerca privato da lui
fondato con il sostengo economico di un’azienda produttrice di medicamenti omeopatici, decedeva nel 2004
dopo aver subito un intervento cardiochirurgico.
L’esempio dell’ayahuasca è indicativo di come nella ricerca di nuovi farmaci, continui ancora oggi la
ricerca di principi attivi di origine naturale, con l’esame scientifico di approcci tradizionali esotici, quali kava,
mate, neem, ibogaina. Gioca certamente al riguardo in maniera negativa l’impossibilità di proteggere con un
brevetto i possibili usi terapeutici di droghe tradizionali, che previene lo sviluppo richiesto per accertarne
l’efficacia, innocuità ed indicazioni, i cui elevatissimi costi non possono essere sostenuti in assenza di copertura
brevettuale. Da questo punto di vista, alla speranza nei progressi scientifici si affianca anche quella relativa alla
contemporanea evoluzione delle normative nazionali ed internazionali, in modo da consentire lo sviluppo e
l’impiego di farmaci esistenti e di nuovi principi in maniera meno vincolata da implicazioni finanziarie e più
vicina alla richiesta dei tanti soggetti sofferenti.
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