Maria Luisa Busi

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Maria Luisa Busi
Maria Luisa Busi
Sui teleschermi si presenta sempre serissima, ma garantisco che talvolta sorride. Va in onda in grande spolvero, con abiti ricercati, anche se non griffati, raramente
con gli orecchini, comunque dopo una robusta seduta di trucco e parrucco. Alla riunione di sommario del
Tg1, invece, arrivava sempre vestita in modo dimesso, con occhiali scuri e aria sofferta, quasi che tutti i
mali del mondo si fossero riversati su di lei. È la Maria
Luisa Busi che ho conosciuto io, con la quale ho tentato, vanamente, di lavorare per quattro anni e mezzo.
Alle riunioni interveniva di rado. Magari per segnalare qualche iniziativa di comitati di donne antimafia,
manifestazioni di don Ciotti o eventi che riguardassero il tema su cui mi è parsa più appassionata: la follia,
il disagio mentale, la legge Basaglia.
Al mio arrivo al Tg1, nel maggio 2002, decisi di non
fare alcun giro di colloqui coi colleghi prima di presentare il piano editoriale. Mi limitai a incontrare vicedirettori e capiredattori per avere un po’ il polso della
situazione e avvertii tutti che non volevo affrontare alcun caso personale prima di essere nella pienezza dei
poteri. Ciò nonostante, Maria Luisa superò il fragilis117
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simo filtro della mia segreteria e mi si sedette di fronte
per fare quattro chiacchiere. Fu un colloquio surreale,
davvero irresistibile.
La prese alla lontana, dicendo che avevamo delle
amicizie comuni, persone che entrambi stimavamo.
Per esempio Claudio Accardi, ottimo corrispondente
da Gerusalemme, che era scomparso di recente.
Iniziò: «Sai, Claudio mi stimava tanto e so che anche
tu, a parte qualche incomprensione, gli sei stato amico».
«Certo» risposi «l’ho conosciuto negli anni Settanta
quando lavorava nel Psi, poi è diventato un eccellente giornalista di politica internazionale e ci siamo frequentati per anni anche fuori dal lavoro.»
«Purtroppo Claudio è morto...»
E io mestamente: «Sì, purtroppo non c’è più».
La Busi rilanciò : «Io ero molto legata a Paolo Frajese,
un collega eccellente, un vero maestro. Sai, mi stimava
e so che avevate grande affetto reciproco».
E io: «Assolutamente sì, mi onoravo della sua amicizia e dei suoi consigli professionali. Paolo fu tra i
pochi che ebbe la gentilezza di darmi suggerimenti
o muovermi appunti ai miei esordi televisivi. Sapevo
che lo faceva a fin di bene e in buona fede».
Lei: «Purtroppo è morto».
E io, di rimando: «Sì, purtroppo. E come l’hanno trattato poi. Gli hanno tolto la conduzione del Tg1 delle 20
e mandato a Parigi, dove aveva difficoltà a piazzare i
suoi reportage, ma lui ha dimostrato ancora una volta tutta la sua grandezza. E alla vigilia della pensione
hanno traccheggiato perfino sull’ipotesi di farlo proseguire in una collaborazione con la Rai. Una vergogna di cui Zaccaria era perfettamente a conoscenza».
E lei: «Eh, Paolo non c’è più».
Così inizia e finisce l’unico scambio a tu per tu fra
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Maria Luisa Busi e il sottoscritto durante la mia non
breve direzione del Tg1.
Di scontri pubblici, invece, ne avemmo diversi. Ogni
sera, alle 19.01, quindi dopo i titoli del Tg3, mi faceva
sapere attraverso i colleghi dell’impaginazione o incrociandomi nei corridoi, che era il caso di fare qualcosa sul tal processo di mafia, sull’assemblea dell’associazione magistrati di Siracusa, piuttosto che su una
tavola rotonda su temi etici delle acli di Belluno. Uno
strazio che si ripeteva solo nella settimana in cui a condurre era lei (nei giorni successivi chi la vedeva mai...),
perché tentava di inserire sempre argomenti pesanti,
anche se fuori dal contesto delle notizie del giorno. E
dire che il mio Tg1 non ha brillato né per leggerezza
né per gossip, al di là di quel che hanno raccontato critici televisivi che quel tg1 non l’hanno mai guardato.
I conduttori, Busi inclusa, non avevano reagito molto
bene al mio piano editoriale che metteva gli anchor sullo stesso piano degli altri giornalisti. Ho detto al Tg1 (e
ovunque io abbia fatto telegiornali) che quel che conta
è il prodotto collettivo. Non è un volto che fa il successo di un tg ma l’insieme dei servizi, la completezza, la
tempestività. Questa mia affermazione li faceva terribilmente incazzare, anche perché annunciavo chiaro
e tondo che quando non erano di turno mi aspettavo
realizzassero comunque dei servizi per il Tg1. I conduttori “anziani” facevano pesare il fatto che “prestavano il loro volto”, ci mettevano la faccia, e io ribattevo
che con quelle risorse professionali e i mezzi a disposizione il Tg1 non avrebbe potuto mai perdere, chiunque lo avesse condotto.
Insomma, mi impegnai a far realizzare servizi ai conduttori perché credo che un bravo giornalista debba
anche consumarsi le suole delle scarpe, essere testimo119
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ne dei fatti, e che non si debba fermare alle notizie di
agenzia o del web, ma cerchi e trovi storie inedite da
raccontare. Alcuni andarono di tanto in tanto all’estero,
altri fornirono pezzi per gli speciali. Con Maria Luisa,
al di là di uno speciale (sulla legge Basaglia naturalmente), ci sono riuscito solo una volta in quattro anni
e mezzo. La spedii a Ciampino per il rientro di papa
Giovanni Paolo II da un viaggio internazionale, allora molto sofferente. Fece una diretta e poi più nulla.
Memorabile uno scontro per un motivo assolutamente banale. Le feci notare che aveva condotto con
occhiali grossi e spessi come un monitor. Lei mi rispose piccata che aveva un’irritazione agli occhi, io le dissi che avrebbe potuto farsi sostituire. Finì che ci mandammo poco cordialmente a quel paese. Poi mancò
per un lungo periodo, in quanto aspettava un bambino, e al ritorno non si presentò neppure per salutare. In compenso ricevetti la lettera di uno dei principi
del foro di Roma che mi chiedeva, a nome della Busi,
che fine avessero fatto alcune carte non identificate e
cassette che lei aveva lasciato sulla sua scrivania prima della pausa maternità. Telefonai a questo notissimo avvocato chiedendogli se la lettera fosse frutto di
uno scherzo o se davvero volesse che rispondessi attraverso l’ufficio legale della Rai.
«Penserà mica che io faccia il portiere della Busi?
Se carte e cassette erano così importanti perché non le
ha chiuse da qualche parte? E poi se le dico che non
so neppure quale sia la stanza dove lavora la Busi, lei
mi crede?»
La risposta fu sì. Concordammo che avrei fatto finta di non aver mai ricevuto quella missiva spedita dal
regno dell’assurdo.
Anche io, come poi ha giustamente fatto Augusto
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Minzolini, pensai di utilizzare Maria Luisa non come
conduttrice, ma in altra veste. Le proposi l’ufficio di
corrispondenza di Parigi. Replicò che volevo solo allontanarla dal video. Le ricordai che proprio il nostro
amatissimo Paolo Frajese a Parigi aveva fatto cose
straordinarie, anche semplicemente parlando di baguette, ma fu inutile. Vuoi mettere, tra sette giorni di
video comodi e garantiti al Tg1 e la fatica di un ufficio
di corrispondenza?
Uscita dal tg1 durante la direzione Minzolini ha fatto un programma che ha realizzato ascolti da prefisso telefonico su Raitre. Mi è dispiaciuto? Neanche un
po’. È la dimostrazione che era il tg1 a darle audience, non lei a darne al tg1.
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Giorgino
Quello con Francesco Giorgino è stato uno degli incontri meno interessanti della mia vita. Banale e opportunista, è per me il prototipo del giovanotto in carriera. Ha
ambizioni che superano le sue capacità e avuto occasioni non proporzionali ai suoi meriti. Non si spiegherebbe altrimenti la pubblicazione di manuali di giornalismo sulla cui copertina campeggia la sua foto. E
neppure il fatto che girasse per i corridoi di Saxa Rubra con le sue assistenti universitarie.
Il primo contatto con lui lo ebbi nel 2002, a Sanremo:
ero invitato dalla Rai come direttore del Tg2 ma il mio
nome circolava da tempo per l’Ammiraglia. Simona
Ventura, presentatrice del “Dopofestival”, mi salutò in
diretta e Giorgino, in veste di co-conduttore, non perse l’occasione di sfrontata ruffianeria: «Ecco Mimun,
un grande direttore, speriamo venga presto da noi».
Mi vergognai per lui.
Quando arrivai alla guida del Tg1 me lo ritrovai tra
i conduttori delle 13.30 e notai che si dava molto da
fare da vicecapo della cronaca. Intanto, lo scontro con
parte della redazione arrivava a un punto di non ritor122
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no, col manipolo di agit prop vicini al centrosinistra e
all’Usigrai, impegnati esclusivamente a mettere i bastoni tra le ruote al lavoro del sottoscritto.
E dire che ero impegnato totalmente a far risalire la
china a un Tg1 che avevo ereditato sconfitto da mesi
dalla concorrenza del Tg5 e col morale sotto i tacchi.
Misi alla conduzione del telegiornale della sera Attilio Romita e proprio Francesco Giorgino. Entrambi pugliesi, in dura concorrenza tra loro, avevano in comune
un elemento: stavano sulle palle a gran parte della redazione ed erano ambiziosissimi. A me non dicevano
granché, ma mi sembravano ideali per dare una scossa. Sarei comunque riuscito a riconquistare il primato dell’Ammiraglia. E così fu, perché quel che contava, conta e sempre conterà, è il prodotto, il lavoro dei
tantissimi che confezionano il telegiornale, in prima linea e dietro le quinte, non lo sguardo corrucciato o il
cambio di tono dell’anchor di turno. Dopo tanti anni
di esperienza posso affermare che un tg è molto più
di chi non si vede rispetto a chi si vede e, purtroppo,
raccoglie spesso i premi chi ha fatto di meno. Giorgino me ne combinò una imperdonabile. Per il mio cinquantesimo compleanno mi ero regalato una splendida Ferrari 564, usata, e decisi di provarla con mia
moglie andando a passare un fine settimana a Firenze.
Sull’autostrada venni raggiunto dalla telefonata in cui
mi si avvertiva di una strepitosa intervista di Giorgino che prendeva le distanze da me, dal Tg1 che realizzavo, e anche dal centrodestra, dimentico dei suoi antichi e continui salamelecchi nei confronti del premier
Berlusconi, del suo braccio destro e sinistro Letta e del
portavoce di Palazzo Chigi, Paolo Bonaiuti.
Sul quotidiano “Libero” dichiarava: “I miei rapporti
con Clemente Mimun non sono buoni... io ho un dissen123
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so con lui nel modo in cui ha gestito certe notizie. Ho
contestato i fischi tagliati e gli applausi finti. Per me il
giornalismo è un’altra cosa”. Seguivano alcune riflessioni ideologiche tipo: “Non sono mai stato un berlusconiano”. Il giorno successivo non cambiò il giudizio
su di me ma comparve una precisazione: “Il ragionamento sui fischi era relativo all’intero sistema dei media, quando pone in essere pratiche troppo disinvolte”.
Considerai le dichiarazioni lesive dell’immagine del
telegiornale, per di più in un’intervista non autorizzata
dalla Rai. Morale: addio a una conduzione attribuita il
10 gennaio 2004, incarico che rientra nelle piene prerogative del direttore. Al contrario di quel che si pensa,
il direttore del tg ha pochissimi poteri, uno di questi
è inserire o togliere un conduttore. Nel mio caso non
poteva essere altrimenti, poiché si era interrotto il rapporto di fiducia reciproca.
A quel punto, il comitato di redazione e il sindacato
dei giornalisti parlò di “atto grave, difesa del diritto di
critica e libertà di esprimere qualsiasi opinione da parte dei giornalisti anche sul prodotto che va in onda”.
Il comitato ricordò poi che la conduzione non può essere sospesa “ma solo assegnata o ritirata”. Non ebbi
ripensamenti, a condurre il Tg1 delle 20 sarebbero rimasti Maria Luisa Busi, Attilio Romita e David Sassoli. Ci fu l’assemblea, a cui partecipavano molti degli
stessi che il 6 ottobre 2003 avevano tentato di bloccare
l’approdo di Giorgino alle 20. Ritenevano “sbagliato
disperdere l’identità del Tg1 espressa con la qualità del
prodotto e con i volti storici dei suoi conduttori. Aggiunte immotivate rischiano di declassare il primo tg
italiano”. Ero irremovibile: Giorgino doveva tornare
al suo incarico di vicecaporedattore degli interni. È divertente notare come quando al Governo c’è il centro124
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destra, al Tg1 fingano di essere un telegiornale d’opposizione e sentano l’esigenza di difendere un’identità
che, da diverso tempo a questa parte, può rivendicare il solo Vincenzo Mollica. È interessante notare come
anche Giorgino, da “insopportabile”, si trasformò in
una sorta di icona del centrosinistra, difeso perfino da
Nuccio Fava. A chi mi chiedesse cosa ha portato il prudente giornalista a questo atto di “coraggio”, risponderei banalmente la certezza che alle politiche, magari
anticipate, vi sarebbe stato un cambio della guardia al
governo. Avrà fatto i suoi conti, sarebbe rimasto qualche mese in ombra, ma poi lo avrebbero ricompensato e considerato degno di riprendere il suo posto. Purtroppo per lui dovette aspettare molto.
Dal momento in cui lo sospesi dalla conduzione, cominciai a essere tormentato da chiunque. Tutti spendevano una parola per il “povero” Francesco, isolato,
pallido, smagrito, che voleva spiegarsi con me perché
era tutto un equivoco, lui nella sua Andria, tra gli amici
e il calore della sua splendida famiglia. Ho conosciuto
suo papà, bravissima persona, colpevole come tutti i
genitori, a cominciare da me, di avere un po’ viziato il
figliolo. Non volli mai rivedere Giorgino, né parlargli.
In compenso mi telefonarono in massa: dai frati di Assisi alla Santa Sede, da attori famosi a leader politici.
Fui tormentato, mi dicevano: è pentito, va perdonato.
Mandai a tutti, perché la rileggessero, l’intervista incriminata. Un mese prima di essere fatto fuori dal Tg1
lo ricollocai in conduzione, ma dove l’avevo trovato,
all’ora di pranzo. Buono sì, scemo no.
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