Capitolo 4 - Confindustria

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Capitolo 4 - Confindustria
4.
BORSA E RIFORME DELLA
CORPORATE GOVERNANCE
4.1
Gli scandali Enron, Worldcom e altri : come e perché
Introduzione
Gli scandali Enron, Worldcom e i numerosi altri che hanno caratterizzato le cronache finanziarie nell’ultimo anno - di cui si fornisce una breve
descrizione nel riquadro alla fine di questo paragrafo - hanno avuto un fortissimo impatto sull’opinione pubblica, non solo negli Stati Uniti, ed hanno aperto un ampio dibattito circa le cause immediate e più remote del fenomeno. In questo capitolo tale dibattito viene affrontato alla luce dell’evoluzione del capitalismo finanziario statunitense negli ultimi decenni e del
contributo della teoria economica. Diamo inoltre conto delle modifiche recentemente apportate alle regole della corporate governance (d’ora in avanti CG) negli Stati Uniti e in Europa.
Può essere utile tentare un riepilogo dei fenomeni per categorie generali. I fatti sui quali la cronaca finanziaria ci ha tanto intrattenuto negli
ultimi mesi sono — in un elenco il più possibile sintetico — i seguenti:
— manipolazioni dell’informativa contabile allo scopo di trasmettere
dati sulla salute di alcune società, già «star» del periodo di euforia della
borsa, tali da permettere il proseguimento della corsa al rialzo;
— evidenziazione dell’inaffidabilità del sistema dei controlli (in primis,
società di revisione contabile e consigli di amministrazione) che avrebbero
dovuto prevenire le frodi contabili;
— evidenza su comportamenti dei top manager tesi semplicemente alla massimizzazione della propria remunerazione nelle diverse forme in cui
questo era possibile (tanto tramite le stock options che con l’utilizzo di beni aziendali), anche in presenza di situazioni di chiara difficoltà aziendale,
per quanto occultate all’esterno con le modalità sopra richiamate;
— cooperazione ai comportamenti sopra citati e, soprattutto, alla rappresentazione al pubblico di situazioni aziendali migliori dell’effettivo, da
parte dei soggetti che svolgono di fatto un ruolo di certificazione della qualità delle società quotate, primi fra tutti gli investment bankers; i cui analisti finanziari venivano impiegati come strumenti di supporto alle esigenze
commerciali delle case di appartenenza; le cui operazioni di Ipo venivano gestite utilizzando un potere di mercato discrezionale (l’allocazione delle azioni) in modo da cementare le relazioni con i manager migliori clienti.
Nonostante l’evidente gravità e negatività di quanto sopra enunciato,
qualche commento è opportuno per cogliere come mai il manifestarsi di questi fenomeni sia risultato tanto inquietante per l’opinione pubblica americana.
Un fenomeno
nuovo?
Il fenomeno delle frodi finanziarie è per sua natura tale da non potere essere totalmente e definitivamente sradicato da nessun sistema economico. Anche negli Stati Uniti, non si può affermare che nella seconda metà
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degli anni Novanta si sia assistito al suo ritorno dopo un lungo periodo in
cui era stato totalmente assente. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni,
le frodi si erano manifestate con il carattere idiosincratico che in un sistema sano ci si attende; erano state cioè il risultato di comportamenti di individui isolati che si erano posti fuori dalle norme per accelerare il proprio
successo personale. Il manifestarsi di frodi di questo tipo è qualcosa che
può essere statisticamente previsto e contenuto entro entità — tendenti a
zero — tali da non pregiudicare il funzionamento del sistema, che può essere mantenuto tramite un mix di strumenti preventivi e punitivi di cui un
mercato finanziario sviluppato come quello americano sembrava dotato in
misura più che sufficiente.
Nella seconda metà degli anni Novanta, invece, ciò che ha profondamente impressionato è il carattere di sistematicità con cui il fenomeno delle frodi si è manifestato. Quest’aspetto può essere pienamente apprezzato
pensando non solo e non tanto in termini statistico-quantitativi (quante società quotate americane sul totale sono state coinvolte da scandali) quanto
piuttosto ponendo attenzione alla concentrazione temporale dei casi e alle
loro affinità di carattere qualitativo. I casi in oggetto hanno interessato prevalentemente società che svolgevano quelle attività economiche «nuove» e
citate ad emblemi della vitalità dell’economia americana, che erano state
maggiormente interessate dalla crescita vorticosa dei corsi, per le quali era
oggettivamente più difficile — se non altro per l’assenza di schemi d’analisi collaudati — la comprensione dei driver del loro valore economico e, quindi, era massimamente importante poter fare affidamento sul ruolo dei soggetti certificatori dell’informazione e, più in generale, sulla correttezza del
comportamento del management. Il pubblico degli investitori, cioè, è stato
tradito proprio sui fronti in cui il tradimento poteva essere più carico di
conseguenze negative; è facile capirlo se si pensa che è comunque molto difficile mascherare uno stato di cattiva salute di un’impresa manifatturiera
che non riesce a vendere i suoi prodotti. Ma come si può capire la situazione di un trader di energia se i suoi conti sono contraffatti? Quindi un
primo aspetto di sistematicità è che gli scandali non hanno riguardato a caso — si ponga — una banca, un’impresa automobilistica, un’impresa di grande distribuzione ecc., ma si sono concentrati su grandi imprese della new
economy.
Ulteriore aspetto di sistematicità: i vari scandali non sono stati frutto
di frodi da falsario isolato, ma sono stati resi possibili da quella che è sembrata una rete estesa di complicità e/o omissioni. I manager ricevevano consulenza «tecnica» da parte di revisori e investment bankers che non si assumevano la responsabilità del risultato finale, consapevoli di operare per un
risultato sostanziale inaccettabile, ma preoccupati solo di trovare giustificazioni formali del proprio comportamento. Gli investment bankers si guardavano bene dall’utilizzare l’informazione in proprio possesso per pilotare l’adeguamento dei corsi azionari alle realtà economiche societarie, ma anzi si
adoperavano per favorire il collocamento di titoli a prezzi massimi. I consigli di amministrazione evitavano di porre domande scomode ai Ceo di carisma e di successo, e avallavano qualunque piano di remunerazione di qualsivoglia entità. Gli investitori istituzionali assistevano con piena informazione alle tendenze che si affermavano in materia di remunerazione dei manager senza esprimere critiche. Essi accettavano inoltre valutazioni societarie implicanti tassi di crescita di lungo periodo dei dividendi chiaramente
incompatibili con qualunque ipotesi di crescita del sistema minimamente
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realistica1. Gli scandali finanziari si sono potuti verificare per il congiunto
manifestarsi di questi elementi; non sono il frutto di singoli individui che
separatamente in qualche momento decisero di «scappare con la cassa».
Infine, l’ultimo aspetto di sistematicità da sottolineare è quello riguardante la collocazione temporale del fenomeno; i fatti fraudolenti si sono sviluppati nell’arco temporale compreso tra la fase finale del «toro» degli anni Novanta — quando molti pensavano che le quotazioni di borsa avessero
raggiunto livelli insostenibili, anche se ciò difficilmente veniva ammesso
pubblicamente — e lo scoppio della bolla speculativa; in un certo senso erano sì il frutto di comportamenti individuali volti al perseguimento del personale tornaconto con metodi inaccettabili, ma anche una risposta patologica di interi settori del sistema finanziario americano alla prospettiva di
un ritorno alla normalità che si preannunciava doloroso.
Per concludere su questo aspetto, quindi, il carattere di sistematicità
degli scandali spiega la rilevanza del fenomeno, non tanto nel determinare
la caduta delle quotazioni 2001-2002 — dopo tutto, il fattore fondamentale
che spiega quest’ultima è soprattutto da rinvenire nel riadeguamento a parametri di valutazione accettabili dopo l’«esuberanza irrazionale»2 — ma nel
mettere in crisi le certezze che sembravano acquisite negli anni Novanta
da parte della società americana sulla bontà del proprio sistema di sviluppo. Sistema fondato sull’allocazione delle risorse da parte della borsa, sulla fiducia negli esiti di un mercato sempre più capace di autoproteggersi e
quindi bisognoso di una mano regolatrice sempre più lieve — si vedano alcune notazioni che verranno poste nel seguito in merito al ruolo della Sec
— e in cui i valori della business community diventavano sempre più valori di larga accettazione nella società. Questo clima ideale è parso fortemente
scosso dai fenomeni in oggetto e sembra tornato ad insinuarsi, sotto forma
di dubbio, un sospetto che era stato certezza per larga parte della società
americana nella prima parte del XX secolo: ossia quello di un conflitto naturale e quindi da controllare tra le tendenze spontanee del big business di
Wall Street e gli interessi più vasti del popolo statunitense. Dell’esistenza
di tale conflitto era convinta larga parte dell’opinione pubblica al tempo del
New Deal, e tale convinzione portò al radicale processo di regolamentazione del mercato borsistico il cui modello è stato esportato poi in tutto il mondo; ma l’opinione dominante pareva radicalmente mutata negli ultimi anni.
Dopo queste notazioni sull’impatto del fenomeno oggetto di questo scritto, è giunto il momento di spendere qualche parola sulle sue cause.
Le cause
immediate
Le cause immediate — le ragioni del collasso dei meccanismi di controllo — sono state ampiamente descritte e dibattute, e nel seguito vengono richiamate. Sulle cause più remote — quanto i fenomeni siano dovuti
ad alcuni aspetti di più vasta crisi del sistema su cui si reggono le grandi
corporation americane, e in particolare di come si regola il conflitto tra azionisti e manager — si tratterà più avanti.
I principi
contabili
Un primo punto che è stato sollevato riguarda le regole contabili e di
verifica della contabilità. Con riguardo alle regole contabili, si è parlato di
1 JENSEN, M.C. (2002), Just say no to Wall Street. Corageous CEOs are putting a stop to
the earning game and we will all be better off for it, Journal of Applied Corporate Finance,
vol. 14, n. 4, Winter.
2 SHILLER, R.J. (2001), Irrational Exuberance, Broadway Books.
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un carattere eccessivamente precettistico del sistema dei principi americani, in contrasto con un approccio più basato sui criteri fondamentali dei
principi Ias (International Accounting Standards). La questione è in realtà
rilevante quasi esclusivamente nel caso Enron; in quel caso si cercò nell’insieme dei precetti americani il cavillo che consentisse di nascondere ingenti quantità di debito dal bilancio consolidato, in modo che lo si potesse
sostenere conforme alle regole. Il caso ha pesato molto nella discussione che
ha visto contrapposti i principi contabili americani con gli Ias, perché quel
singolo caso non si sarebbe potuto verificare o, meglio, non si sarebbe potuto tentare ex-ante di giustificare sulla base dei principi Ias. Non sembra
però che in tutti gli altri scandali la questione sia risultata rilevante; e la
possibilità di distinguere nettamente tra un approccio di precetti e di principi è oggetto di dibattito. Tutto sommato non sembra che le caratteristiche del sistema di principi contabili americano siano una delle cause più
rilevanti di quanto accaduto nella generalità dei casi.
I controlli
contabili
Diverso è il discorso per ciò che concerne invece il sistema dei controlli
contabili, cioè la revisione esterna. In questo campo ci sono evidenze di rilevante entità in merito alla tendenza da parte delle società di revisione a
utilizzare la certificazione del bilancio come punto di entrata in relazione
con le maggiori società, alle quali poi offrire servizi a maggior valore aggiunto e che spesso vengono a pesare, in termini di fatturato, molto più dei
servizi tradizionali. Nel corso del 2001, i compensi pagati alle società di revisione dalle 30 società del Dow Jones Industrial Average sono stati pari a
725,7 milioni di dollari, per ben il 73% relativi a servizi diversi dall’auditing di bilancio. Di qui la riluttanza a compromettere la relazione con atteggiamenti non accomodanti nel campo della certificazione del bilancio, e
comunque la minore attenzione alle problematiche di questa.
Si tratta di un punto sulla cui effettiva importanza sembra esservi consenso unanime. Nel caso Enron è stato provato che l’ufficio di Houston della Arthur Andersen era totalmente dipendente, per la sua profittabilità, dai
contratti con la Enron stessa; i partner incaricati della revisione erano quindi troppo minacciati da una rottura di una relazione per non assumere quegli atteggiamenti che ex-post sono risultati chiaramente «troppo collaborativi». Non sorprende quindi che il Sarbanes-Oxley Act — il recente provvedimento che riforma le regole della CG negli Stati Uniti e di cui si dirà approfonditamente più avanti (cfr. par. 4.3 in particolare) — si sia incamminato su un sentiero analogo a quello già percorso in Italia, prescrivendo l’incompatibilità della revisione con la fornitura di altri servizi che non siano
puramente accessori ad essa e la periodica rotazione dei revisori.
L’inefficienza
dei controlli
interni
Il verificarsi degli scandali contabili indica però, secondo molti, l’inefficienza non solo dei controlli contabili esterni, ma anche — o addirittura
ancor prima — quella dei controlli interni. Per comprendere il punto bisogna tenere conto della tipica struttura proprietaria della grande impresa
americana, caratterizzata, come noto, da un azionariato frammentato e, di
fatto, controllata da manager non proprietari o proprietari di piccoli pacchetti azionari3. Che in tale situazione possa insorgere un problema di mancata rispondenza dei manager agli azionisti, è un fatto di cui già da alme-
3 LA PORTA, R., LOPEZ-DE-SILANES, F., SHLEIFER, A., VISHNY, R., Corporate ownership
around the world, Journal of Finance, vol. 54.
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no due decenni vi era piena consapevolezza (cfr. par. 4.2). Una delle risposte era stata la sottolineatura del buon funzionamento del consiglio di amministrazione (CdA) come strumento di controllo dell’operato del management. Di qui l’insistenza sulla presenza di una maggioranza di amministratori indipendenti dal management stesso (cioè non esponenti del management o ex-manager, e non legati per via di altri rapporti economici con
il management o la società); sull’articolazione del consiglio di amministrazione in comitati, e sulla particolare sottolineatura dell’importanza dell’audit committee, avente la funzione specifica di monitorare l’attendibilità
dei bilanci e il sistema di controllo interno; sulla presenza di una funzione
di internal auditing dotata di un largo grado di autonomia rispetto al management, e rispondente direttamente al consiglio di amministrazione, e in
primo luogo all’audit committee4.
Al riguardo, non si può negare che tali modalità di controllo interno
non hanno rappresentato efficaci strumenti di prevenzione e successivamente di tempestivo affronto dei problemi, in molti dei casi di scandali finanziari verificatisi. Nella generalità dei casi, è apparso che nei consigli di
amministrazione — anche se dotati di un congruo numero di amministratori indipendenti — prevalesse un atteggiamento di passività nei confronti dei potenti e carismatici Ceo; che gli audit committee non abbiano avuto
alcun ruolo nell’emergere degli scandali contabili, nella maggior parte dei
casi esplosi in seguito a inchieste giornalistiche o in presenza di situazioni
di dissesto finanziario non più occultabile; che anche le funzioni di internal
auditing siano state strumento di controllo meno efficaci di quanto era lecito attendersi, anche se almeno in un caso (Worldcom) la scoperta di una
frode è partita da una segnalazione dell’internal auditor (ma vi è stato chi
ha argomentato che, anche in quel caso, l’internal auditor ha avuto la forza di scoperchiare il problema solo dopo che dubbi e critiche diffuse nei confronti del Ceo Bernie Ebbers avevano iniziato a circolare in risposta al peggioramento dei risultati economici).
Di conseguenza il dibattito su come prevenire in futuro il manifestarsi
di analoghi fenomeni si è soffermato in notevole misura sulle possibilità di
miglioramento del funzionamento dei CdA e, più in generale, degli strumenti
di controllo interno. Si tratta, comunque, di un campo in cui è lecito chiedersi quali siano in effetti i limiti intrinseci di determinati strumenti. Che,
qualora vi sia un controllo di fatto dell’impresa da parte di manager non
azionisti, sia utile un CdA indipendente dal management, sembra fuor di
dubbio; anche in una visione pessimistica della questione, bisogna ammettere che un CdA così composto sia meno inutile di un CdA formato dai manager stessi o da loro consulenti. Che amministratori non manager siano in
grado, nella generalità dei casi, di disporre dell’informazione necessaria per
prevenire i problemi, piuttosto che per affrontarli tempestivamente quando
essi si manifestano, è fatto su cui invece è lecito dubitare. Il giudizio sull’efficacia dello strumento «consiglieri di amministrazione indipendenti» dipende quindi in buona parte dalle aspettative, ed è lecito chiedersi se in alcuni casi non si fosse ecceduto nell’attendersi determinati risultati da esso.
Non si può comunque trascurare che in molte altre società americane, diverse da quelle toccate dagli scandali, i board of directors sono stati negli
anni recenti tutt’altro che inerti nel monitorare l’operato dei Ceos, giungendo in molti casi — cui la stampa finanziaria non ha mancato di dare risal4 JOHN, K., SENBET, L. (1998), Corporate Governance and Board Effectiveness, Journal of
Banking and Finance, vol. 22, n. 4.
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to — alla loro sostituzione; il che va notato e porta ad argomentare non tanto nel senso di una generale inefficacia dello strumento, quanto piuttosto di
un processo di adeguamento della prassi effettiva alla best practice che può
essere giudicato ancora insufficientemente diffuso. Ciò non di meno, l’attenzione sempre più acuta verso la necessità di un controllo attivo del CdA e
verso l’effettiva indipendenza della maggioranza degli amministratori non
potrà che rappresentare un momento di miglioramento degli assetti di governo dell’impresa americana. A sua volta, la presenza di consigli più attivi
e attenti, di audit committees inquisitivi nei confronti dei direttori finanziari e dei revisori esterni, non potrà che creare un clima più favorevole all’affermarsi del giusto grado di autonomia degli internal auditors.
La
remunerazione
dei manager
Il ruolo di consiglieri di amministrazione indipendenti e vigili sarà centrale anche nel controllo della remunerazione dei manager. Si tratta di un
altro grande fattore causante, secondo l’opinione ormai consensuale degli
osservatori, dei fenomeni in oggetto. Le remunerazioni dei manager erano
cresciute nel giro di 10-20 anni giungendo a livelli assolutamente notevoli
e, soprattutto, era cresciuta in modo drammatico la parte della remunerazione legata alla performance azionaria (stock options e strumenti analoghi); un noto studio5 ha quantificato la crescita in termini reali della remunerazione dei manager tra 1980 e 1994 nel 136% in mediana e 209% in
media, a fronte di una crescita alquanto più moderata dei salari medi, ma
è comunemente ammesso che il vero boom delle remunerazioni si è avuto
negli anni successivi (si vedano alcuni casi nella scheda allegata). È curioso notare come la diffusione di tale modello retributivo avesse guadagnato
rapidamente spazio negli anni Novanta proprio come strumento di controllo
del potenziale conflitto azionisti-manager6, mentre è oggi diventata un bersaglio di forti critiche e vista come momento di inasprimento di tale conflitto. Tali strumenti venivano giudicati non molto tempo fa come necessari per far assumere ai manager i comportamenti e la mentalità dei «proprietari» (gli azionisti); dopo gli scandali, essi vengono inclusi tra i principali imputati nel generare comportamenti short-termistici e finalizzati al
trasferimento di ricchezza dai manager agli azionisti, piuttosto che alla
creazione di valore.
Il drammatico ribaltamento del giudizio su tali strumenti è in larga
parte addebitabile agli eccessi nel loro impiego. In pratica, essi erano diventati, piuttosto che strumenti per collegare su diversi esercizi il compenso del manager al risultato per l’azionista, dei puri e semplici strumenti —
in un mercato caratterizzato da balzi spropositati e irragionevoli delle quotazioni — per consentire il rapido arricchimento dei manager; e la situazione di generale irrazionalità del mercato è stata determinante per l’ingenerarsi di effetti controproducenti delle remunerazioni stock-based, tanto
quanto la loro eccessiva elargizione. Non è stato dunque sorprendente che,
con tali entità delle cifre in gioco, i manager abbiano pensato soprattutto a
cavalcare la bolla azionaria con gli strumenti a loro disposizione, un po’ come hanno fatto tutti gli altri operatori del mercato; fino a giungere a cercare di ritardarne lo sgonfiamento in tutti i modi, anche abbellendo i risultati contabili. In vari casi — Enron in primo luogo — vi è la prova che
5 HALL, B.J., LIEBMAN, J.B. (1998), Are Ceos really paid like bureaucrats?, Quarterly Journal of Economics, agosto.
6 JENSEN, M.C., MURPHY, K.J. (1990), Ceo incentives: it ‘s not how much you pay, but how,
Harvard Business Review, n. 3.
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il redde rationem è stato ritardato di qualche tempo proprio per permettere l’esercizio di alcuni blocchi di opzioni a prezzi ancora favorevoli — vietando nel frattempo la vendita di azioni della società al fondo pensione
aziendale, con conseguente giustificata indignazione di dipendenti e non.
L’operato
degli
investment
bankers
L’ultimo singolo fattore causante dei fenomeni è stato infine individuato nel comportamento degli investment bankers. L’imputazione ad essi
rivolta è anche in questo caso quella di avere pensato piuttosto a cavalcare la bolla in un’ottica di breve periodo anziché a svolgere con integrità le
funzioni da cui dipende il loro patrimonio reputazionale. L’esempio più evidente e più pubblicizzato è quello relativo all’impiego degli analisti finanziari c.d. sell-side. È uso, negli Stati Uniti come altrove, offrire come servizio
accessorio ai clienti delle divisioni di brokeraggio delle investment banks —
cioè a chi paga commissioni per comprare e vendere titoli — studi indipendenti sul valore delle azioni. Il livello di approfondimento di tali studi e la
loro qualità sono stati tali che negli anni le opinioni degli analisti delle investment banks, in alcuni casi considerati e remunerati come vere e proprie
«star», divenissero largamente ascoltate e, quindi, estremamente influenti
sul prezzo dei titoli stessi. È provato che il possesso di questa posizione di
influenza è stato utilizzato dalle investment banks come strumento per ottenere contratti di consulenza presso le imprese emittenti titoli o coinvolte in
operazioni di M&A. La promessa implicita era che l’impresa che si affidava
all’investment banker avrebbe poi avuto un occhio di riguardo da parte dei
suoi analisti. Inutile sottolineare quanto ciò potesse essere gradito a manager determinati a favorire in ogni modo la crescita delle quotazioni, e quanto fosse invece radicalmente decettivo nei confronti degli altri attori del mercato, in primo luogo gli investitori chiamati ad acquistare i titoli.
È da notare che tali fenomeni si sono verificati proprio nel periodo in
cui si è assistito negli Stati Uniti al riformarsi di conglomerati finanziari
plurifunzionali di dimensioni gigantesche, in seguito al disfacimento di una
legislazione che per decenni aveva imposto la segmentazione dell’industria
finanziaria tra diverse tipologie di attori. Questa era stata emanata negli
anni Trenta proprio per porre rimedio ai conflitti di interesse tra le varie
funzioni allora svolte dagli intermediari, per esempio la funzione di collocamento titoli e quella di commercial banking. Le manifestazioni di conflitto di interesse dell’intermediario finanziario di cui si discute oggi non
sono le stesse di settanta anni fa, ma presentano parecchi punti di analogia. Esse comunque dimostrano come non si sia superato il problema di fondo, cioè l’incapacità degli intermediari finanziari polifunzionali a darsi da
soli quei limiti di comportamento necessari per la vitalità del mercato. Proprio la convinzione della maturità acquisita dal mercato, della sua capacità
di premiare i comportamenti virtuosi e punire quelli scorretti, era stata tra
i fattori che avevano indotto a permettere il superamento della legislazione degli anni Trenta, ritenuta necessaria in un mercato ancora rudimentale ma, oggi, sorpassata.
Le cause
di fondo
Quest’ultima notazione induce a sottolineare l’importanza di guardare non solo alle cause immediate — il comportamento dei manager favorito da determinati sistemi retribuitivi, le pecche dei sistemi contabili e di
revisione, le insufficienze dei sistemi dei controlli societari, l’operato degli
investment bankers — ma anche alle questioni di fondo sottese dall’improvviso emergere di questo fenomeno degli «scandali societari».
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Il primo punto che si impone all’attenzione è l’effettiva capacità del
mercato dei capitali di attribuire ai titoli prezzi vicini ai loro valori intrinseci, come fino a dieci anni fa si riteneva fosse. I fatti hanno dimostrato come i mercati azionari mondiali siano stati in balia per molti mesi di una
bolla speculativa generalizzata7. Ex-post è quindi fin troppo facile osservare che molta della fiducia che si riponeva sulla capacità del mercato ad autoregolarsi era esageratamente concessa, perché i meccanismi su cui si faceva affidamento per il comporsi dei vari conflitti di interesse richiedevano
il funzionamento di un mercato efficiente, cioè capace costantemente di attribuire ai titoli azionari i loro valori intrinseci. Se il mercato azionario fosse stato un termometro del tutto affidabile del corretto valore dei titoli, i
manager non avrebbero potuto così facilmente manipolare i prezzi con trucchi contabili a volte banali; se gli operatori si fossero comportati come imparziali valutatori delle società, anziché come soggetti tesi a cavalcare la
bolla finchè essa era in atto, i manager non avrebbero percepito l’impellenza del continuare ad alimentare i consensi pubblicando previsioni di crescite a due cifre su orizzonti indeterminati. Se i soggetti certificatori — intendendo il termine in senso lato, comprendendo cioè sia i revisori contabili che gli investment bankers — fossero stati attenti al mantenimento del
capitale reputazionale più che ai profitti di breve periodo, secondo quanto
la teoria economica prevede, non avrebbero privilegiato l’adesione ai desiderata delle parti forti del momento rispetto alla tutela degli interessi dei
loro clienti ultimi.
Questa notazione ha implicazioni forti, perché oramai da molti anni gli
assetti del mercato finanziario americano si indirizzavano verso l’attenuazione della presa delle istituzioni stabili di controllo e, in primo luogo, del
sorvegliante pubblico e dei limiti da esso posti, ponendo piuttosto affidamento nei controlli e negli impulsi forniti dal sistema dei prezzi espressi
dal mercato stesso e dalla concorrenza tra gli operatori in esso presenti. La
maggiore criticità con cui bisogna oggi guardare all’efficienza del mercato
nel prezzare correttamente i titoli e di conseguenza nel determinare il corretto comportamento degli operatori, riporta alla ribalta il ruolo di istituzioni come la Sec, che non a caso oggi è criticata per avere assecondato la
tendenza dell’epoca8 e avere dato l’impressione di pensare più a rendere superfluo il proprio ruolo per favorire il dispiegarsi delle forze di mercato,
piuttosto che a indagare sul manifestarsi di comportamenti perseguibili e
a reprimerli (dimenticando la regola d’oro di ogni struttura di controllo, secondo cui quando il livello di attività di un sistema cresce tumultuosamente,
crescono anche vertiginosamente le possibilità che in esso si manifestino disfunzioni).
Alla luce di questa prima considerazione di carattere fondamentale va
collocata l’altra domanda sulle radici delle crisi, che ha giustamente assunto
una posizione centrale nel dibattito sul «dopo-Enron», cioè la domanda sul
complessivo grado di attitudine del sistema americano a governare la contrapposizione di interessi tra azionisti e manager (il «problema di agenzia»
per antonomasia in campo finanziario; cfr. par. 4.2); domanda che traina
l’ulteriore quesito sulla desiderabilità della diffusione del modello americano, piuttosto che del mantenimento del modello prevalente in Europa con7 Come del resto era già stato argomentato prima dello scoppio della bolla, si veda il libro di Shiller citato in nota 2.
8 Le presenti note sono state scritte prima delle dimissioni del Chairman della Sec, W.
Pitt.
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tinentale e altrove, di controllo del management da parte di azionisti forti
(se non addirittura di identificazione del management con questi ultimi).
Si può argomentare che i fatti in oggetto mettono in luce non un radicale fallimento del modello americano, quanto piuttosto la sua naturale imperfezione e instabilità. Il problema dell’assetto di governo della grande impresa ha con ragione preso un posto centrale nella riflessione economica, la
quale è portata naturalmente a cercare di individuare un modello ottimale. Ma la stessa teoria economica ci informa che poi, in molti problemi, non
è fattibile nella realtà la soluzione di first-best, ma solo soluzioni di secondbest; e di queste ce ne può essere spesso più di una, ciascuna caratterizzata da pregi e difetti. A ciò consegue che diverse soluzioni second-best possono essere la «meno peggiore» soluzione di un problema al mutare delle
circostanze. Il problema dell’assetto di governo della grande impresa è probabilmente un problema di questo tipo.
Negli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta la soluzione che concretamente si dava al problema di agenzia era — implicitamente — il lasciare le briglie sciolte a un management che perseguiva la stabilità e la
crescita dell’impresa piuttosto che la massimizzazione del valore azionario.
Il modello fu posto sotto accusa quando si ravvisò in tale assetto una delle cause di perdita di dinamismo dell’economia americana rispetto ad altre,
in particolare a quella giapponese9. Molti osservatori videro quindi con favore fenomeni come il diffondersi dei takeover ostili e dei sistemi di retribuzione stock-based (con riguardo a questi ultimi lo slogan era «se non vuoi
che il Ceo si comporti come un burocrate, perché lo remuneri come un burocrate?»). È difficile affermare che il diffondersi di tali fenomeni, con la
conseguente costante attenzione alla creazione di valore azionario, sia stato qualcosa di negativo, un errore da rigettare; al contrario, pare che questo nuovo clima abbia contribuito non poco alla rivitalizzazione dell’economia americana. In altri termini, il cambiamento del modello è stato una risposta adeguata all’evoluzione di situazioni storicamente date. Piuttosto, si
può argomentare, ciò che è stato eccessivo è stata la fiducia cieca nelle virtù
dell’assunzione a dosi sempre più massicce di una medicina che inizialmente
si era dimostrata efficace. L’ulteriore evoluzione del sistema fa emergere
circostanze non previste e induce alla ricerca di equilibri diversi; che forse,
nelle attuali circostanze storiche, vogliono dire — si consenta la formula un
po’ banalizzante — sistemi di incentivi che producano manager un po’ più
scrupolosi anche se un po’ meno carismatici.
La lezione va appresa per rifuggire dall’errore di pretendere di trovare sistemi di governo della grande impresa ottimali in ogni tempo e sotto
ogni latitudine. Se si vuole comparare la situazione americana con quella
europea, bisogna riconoscere che è vero che nell’assetto di governo della
grande impresa europea sono solitamente assenti molti degli elementi visti
in precedenza. È vero che la presenza di azionisti stabili, non motivati esclusivamente dall’accrescimento del prezzo di borsa dell’azione, di manager non
messi in condizione di arricchirsi improvvisamente in relazione all’andamento della borsa, e di regolatori fermi ad una visione più tradizionale della loro funzione, sono tutte condizioni che hanno reso meno possibile un’ondata sistemica di scandali quali quelli americani, che in effetti non si sono
9 HOLMSTROM, B., KAPLAN, S.N. (2001), Corporate Governance and Merger Activity in the
United States: Making Sense of the 1980s and 1990s, Journal of Economic Perspectives, vol.
15, n. 2.
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manifestati se non in termini alquanto più attenuati rispetto a quanto si è
visto negli Stati Uniti10.
Si può per questo concludere che il sistema europeo sia migliore di quello americano? Un’affermazione così categorica — nella linea di ragionamento che si è delineata — avrebbe poco senso. Il sistema europeo, così come quello americano, rappresenta uno dei possibili equilibri di second best, anch’esso, oltre che con i suoi pregi, con i suoi costi, che non possono essere approfonditi in questa sede. Può darsi che al momento rappresenti la
soluzione migliore alle situazioni storicamente e geograficamente date11.
Può darsi che esso sia caratterizzato, come spesso si dice, da un’eccessiva
tendenza alla stabilità e da eccessivi timori verso la distruzione creatrice12.
Piuttosto, un atteggiamento disincantato verso il confronto Stati Uniti/Europa induce ad una considerazione di un qualche rilievo pratico; data
la diversità tra le due sponde dell’Atlantico delle condizioni dei sistemi di
governo della grande impresa, non bisogna dare per scontato che sia necessario importare in Europa in modalità «copia-carbone» le soluzioni che
vengono oggi proposte negli Stati Uniti. Un esempio è quello delle problematiche relative alla remunerazione dei manager. Negli Stati Uniti si pensa a regolamentare i compensi stock-based, dandone maggiore informazione — il noto dibattito sull’opportunità di inserire le stock-options come costi in conto economico — ma soprattutto evitando compensi eccessivi. In
Europa, invece, il livello di tali compensi è comparativamente molto più basso e soprattutto la remunerazione è molto meno sensibile alla performance, tanto che non sembra da escludere che in molte situazioni possa essere
opportuno un sensibile aumento della remunerazione incentivante, anche
se ciò portasse a un aumento del livello dei compensi attesi. Un altro esempio è quello del ruolo degli amministratori indipendenti. In una situazione
di scollamento tra proprietà delle azioni e controllo dell’impresa come quella americana, la maggioranza degli amministratori indipendenti e l’attribuzione loro di una vera e propria preminenza sul management appaiono,
alla luce di quanto visto, essere indispensabili. In presenza di azionisti di
maggioranza forti sembra difficile (ed anche discutibile da un punto di vista di efficienza economica) che amministratori indipendenti, cioè non legati agli azionisti di maggioranza e al management da questi espresso, possano essere i responsabili ultimi della scelta e della conferma o rimozione
del management. In Europa assumeranno quindi solitamente un ruolo diverso da quello loro attribuito negli Stati Uniti, e, in particolare, la loro presenza si giustificherà per l’esigenza di controllo del potenziale conflitto tra
azionisti di maggioranza e di minoranza, con tutti i problemi che ciò apre
su quanto e come potranno essere efficaci in questa veste. D’altra parte,
uno degli assunti spesso ripetuti dai vari «codici di CG» è che «one size does
not fit all»; il che vale tanto per le imprese, ciascuna delle quali è tenuta a
un’autonoma assunzione di responsabilità in materia, tenendo conto delle
10 Il maggior caso di dissesto europeo è quello di Vivendi; esso presenta alcuni punti di
analogia con quelli elencati nella scheda allegata, come il fatto che la società era entrata con
un ritmo serrato di acquisizioni in settori più coinvolti nel boom borsistico, e l’identificazione
della società con il — a suo tempo — carismatico Ceo J.M.Messier; manca però completamente l’aspetto della frode contabile o della distrazione di beni aziendali. Queste si sono manifestate in Europa, ma solo nel caso di imprese di minore dimensione (alcune piccole società
tedesche del Neuer Markt, Lernout & Hauspie in Belgio, Freedomland in Italia).
11 ROE, M.J. (2000), Political foundations for separating ownership from control, Stanford
Law Review, vol. 53.
12 PAGANO, M., VOLPIN, P. (2001), The political economy of finance, Oxford Review of Economic Policy, vol. 17.
160
lezioni che gli avvenimenti impartiscono, quanto per i diversi sistemi economici, giuridici e politici, chiamati ad interrogarsi continuamente sull’insieme di assetti e di comportamenti che meglio possono spronare la performance delle proprie imprese.
I PRINCIPALI SCANDALI SOCIETARI NEGLI STATI UNITI
Di seguito si riassumono, in ordine cronologico, i nomi delle aziende coinvolte nei principali casi di «scandali finanziari» occorsi nel 2001/02 negli Stati Uniti. Si noti che si fa riferimento a casi
di frode, e non a casi di dissesto aziendale, accompagnati magari da pesanti critiche sull’operato dei
Ceo — come, sia pur sull’altra sponda dell’Atlantico, si presenta il caso di Vivendi e del suo Ceo
Messier — ma in cui non sono riportati precisi comportamenti illegali del management.
Enron
È «il caso» per eccellenza, il primo in ordine cronologico tra quelli riguardanti grandi aziende
che erano state sulla cresta dell’onda nel mercato «toro». Impresa elettrica, che nel corso degli anni Novanta si era trasformata, sotto la guida del Ceo Kenneth Lay, da tradizionale produttore di
elettricità al principale trader di contratti finanziari sull’energia. L’impresa ha dovuto portare i libri in tribunale in un crack da 63 miliardi di dollari (allora un record, successivamente superato
da Worldcom), per motivi legati al cattivo andamento della sua gestione operativa, cogliendo gli operatori di sorpresa perché l’entità reale del suo debito era stata occultata, concentrandone larga parte in particolari unità giuridiche del gruppo (special purpose vehicles, generalmente società di persone create dai top manager) che secondo i principi contabili americani potevano non essere ricomprese nell’area di consolidamento di bilancio. Il dissesto di Enron ha causato quello del revisore Arthur Andersen che, pur essendo del tutto al corrente della pratica, l’ha totalmente avvallata;
immediatamente prima dello scoppio dello scandalo, Arthur Andersen distrusse tutta la documentazione del suo rapporto con Enron. Tra il 1999 e il 2001 il Ceo Kenneth Lay ha guadagnato 246,7
milioni di dollari, di cui solo 25,3 per stipendi e bonus, essendo il resto dovuto a vendite di azioni
e profitti sull’esercizio di opzioni; altri sette dirigenti della società ottennero guadagni superiori a
50 milioni.
Worldcom
Società di telecomunicazioni, grande acquisitrice tramite operazioni di M&A, e altro beniamino degli investitori durante il «toro». Il fallimento di Worldcom, determinatosi nel 2002, è attualmente il record di tutti i tempi dato che «vale» oltre 103 miliardi di dollari. Lo scandalo ruota attorno alla discussa personalità del suo fondatore e Ceo Bernie Ebbers, accusato di avere creato un sistema di gestione completamente incentrato sulla sua figura e priva di adeguati contrappesi in termini di responsabilità e poteri gestionali. Quando nel 2000 e 2001 la redditività iniziò
a non corrispondere alle attese degli analisti, lo stesso Bernie Ebbers si adoperò per produrre uno
smaccato falso in bilancio, capitalizzando come attivo fisso alcuni costi operativi correnti. Dopo la
scoperta della frode, gli utili dei due esercizi sono stati rideterminati (diminuiti) per oltre 9 miliardi di dollari.
Global Crossing
Gestore di servizi per reti di telecomunicazione internazionale, fallito nel 2001 a causa dell’insufficiente sviluppo del traffico e quindi dell’impossibilità di recuperare finanziariamente gli ingenti investimenti in reti di cavi in fibra ottica. Le indagini seguenti hanno dimostrato che Global Crossing si impegnava con il suo concorrente Qwest in scambi di capacità di trasmissione con contratti
di pari importo, senza effettuare scambi di denaro o di servizio, ma solo per rappresentare un fatturato più elevato. Tra il 1999 e il 2001 il Ceo Gary Winnick guadagnò 512,4 milioni di dollari (pressochè interamente da vendita di azioni, dato che stipendi e bonus furono solo 2,8 milioni).
161
Tyco
È il principale caso, tra quelli qui elencati, per cui si può parlare di vero e proprio furto. Tyco è un conglomerato «stile GE», anch’esso cresciuto molto rapidamente tramite acquisizioni negli
anni Novanta, il cui Ceo Dennis Kozlowski è accusato di varie distrazioni, come l’autoattribuzione
di un assegno di 170 milioni di dollari senza alcuna comunicazione al consiglio di amministrazione, guadagni con vendite illecite di titoli per 430 milioni di dollari, ecc. Durante il mese di ottobre
2002 si è appreso che la Sec sta considerando l’incriminazione dei revisori di Pwc coinvolti nell’accaduto.
Adelphia communications
Uno degli ultimi scandali esplosi (giugno 2002). Adelphia, una delle maggiori tv americane via
cavo, ha portato i libri in tribunale in aprile per l’impossibilità di sostenere debiti per circa 20 miliardi di dollari. Azionista di maggioranza della società è la famiglia Rigas. Poco dopo il fallimento, sono state scoperte pesanti distrazioni per uso personale di beni aziendali da parte del presidente e fondatore John Rigas e del figlio Timothy, direttore finanziario: in primo luogo, «prestiti
personali» a proprio favore per 3,1 miliardi di dollari.
Acln
Si tratta di un caso molto recente (ottobre 2002) e di importanza minore rispetto a quelli precedentemente elencati, ma interessante per la sua caratteristica di «truffa assoluta» sfuggita a tutti i controlli. Si tratta di una società cipriota per il trasporto di automobili di lusso nel Corno d’Africa. In quattro anni dall’Initial public offering (Ipo) il corso del titolo aveva raggiunto 50 dollari,
passando dal Nasdaq al Nyse (superando quindi esami supplementari della borsa e della Sec). Dopo che un giornalista finanziario si accorse che qualcosa non quadrava, si scoprì che la società denunciava ricavi del tutto inventati, elencando conti correnti e contratti inesistenti. Il bilancio era
certificato dalla Bdo International, quinta società di revisione. La scorsa primavera, alla prima avvisaglia dello scoppio della truffa, i dirigenti di Acln sono spariti nel nulla.
Le banche di investimento
Vari grandi nomi ricorrono come accusati di varie pratiche poco scrupolose evidenziate dalle
inchieste sugli scandali precedentemente elencati. In Enron, diverse investment banks erano coinvolte nella costituzione e nel finanziamento dei veicoli fuori bilancio in cui venne occultato il debito; la posizione più grave è quella di Solomon Smith Barney, affiliata di Citigroup; ma sono toccate dallo scandalo anche Jp Morgan Chase, FleetBoston Financial e Credit Suisse Group.
Citigroup Solomon Smith Barney, Merryl Lynch e Goldman Sachs sono i nomi più citati in relazione alla mancanza di tutela dell’indipendenza e obiettività dei loro analisti finanziari sell-side
(quelli i cui studi sono divulgati ai clienti della divisione di brokeraggio), la cui influenza veniva
impiegata a supporto dell’acquisizione dell’attività di consulenza. Un caso spesso citato a titolo di
esempio è quello del prestigioso analista di Solomon, Jack Grubman, specialista di titoli di telecomunicazioni e grande ottimista sui valori di borsa di quei titoli durante il periodo «toro», il quale
in un’occasione consigliò il licenziamento di un analista che metteva in dubbio la sua opinione su
alcune società poi effettivamente fallite.
Goldman Sachs, Solomon Smith Barney e Credit Suisse First Boston sono poi le società accusate da un recente rapporto della commissione parlamentare americana sui servizi finanziari, di
avere usato il loro potere discrezionale nell’allocazione di azioni in sede di Ipo pesantemente sottoprezzati (8 dei 22 Ipo curati da Goldman Sachs studiati dalla commissione aumentarono di prezzo
almeno del 173% nel primo giorno di quotazione), per favorire i top manager (tra i maggiori beneficiari Bernie Ebbers di Worldcom) di società con cui intrattenevano relazioni generatrici di forti ricavi di consulenza.
Potrebbero essere infine citati diversi casi di irregolarità contabili scoperte, anche se non collegate a dissesti aziendali e/o di minore entità; in quelli di maggior rilievo sono coinvolti l’impresa
farmaceutica Merck, il colosso dell’energia, nonché «gemello» di Enron, Dynegy, l’impresa di telecomunicazioni Williams, la Xerox, la società di software MicroStrategy.
162
4.2
Finanza d’impresa e corporate governance:
è in crisi il modello anglosassone?
Introduzione
Come è stato accennato nel capitolo precedente, negli Stati Uniti gli
scandali finanziari hanno spinto vari commentatori a ipotizzare una crisi
strutturale del «capitalismo anglosassone», cioè di quel modello marketoriented che la teoria contrappone all’altro più centrato sul ruolo delle banche (bank-oriented). La crisi del capitalismo anglosassone sarebbe paragonabile al crack del (una volta osannato) modello giapponese — basato su
una strettissima relazione tra il sistema bancario e le imprese — intervenuto a inizio degli anni Novanta subito dopo lo scoppio della bolla speculativa sul mercato di borsa. Proprio a seguito di quel crack, nell’arco di un
decennio — cioè tra fine anni Ottanta e fine anni Novanta — le imprese
giapponesi del settore manifatturiero, che una volta dominavano la world
league delle maggiori imprese internazionali, hanno più che dimezzato la
loro presenza (tab. 4.1).
Nello stesso periodo, le imprese americane hanno conquistato il primato
indiscusso in tutti i settori, in virtù di una redditività (del capitale investito e del capitale proprio) che nel corso degli anni Novanta è stata costantemente e largamente superiore a quella delle imprese delle altre maggiori economie13. Se davvero fossimo in presenza di una crisi strutturale del
modello anglosassone, le imprese americane potrebbero, alla fine di questo
decennio, aver perso la leadership delle maggiori imprese internazionali.
Del grave deterioramento di questo modello, di recente Krugman ha messo in evidenza l’aspetto etico, in particolare il fatto che nell’arco di un trentennio (l’ultimo) il salario medio americano sia salito solo del 10% in termini reali e il compenso dei Ceos da $1,3 milioni (39 volte il salario medio)
a 37,5 milioni (cioè oltre mille volte il salario medio)14.
All’opposto, altri commentatori argomentano che la crisi del modello anglosassone potrebbe essere in realtà l’occasione per una salutare correzione di rotta, attraverso interventi volti a ripristinare la fiducia degli operatori, modificando o rimuovendo i meccanismi che non hanno funzionato, come si è iniziato a fare, ad esempio, con la recente legge di riforma della CG
americana (il Sarbanes-Oxley Act già richiamato nel capitolo precedente). Il
modello, secondo questa tesi, ha mostrato in sostanza tutti i suoi limiti e,
sotto la pressione esercitata dalla bolla speculativa, ha mostrato tutte quelle carenze che una parte (minoritaria) della teoria aveva messo in rilievo.
Oltre alle sanzioni e alle correzioni quello che conta, però, è la capacità del
mercato di sanzionare i comportamenti scorretti al di là della regolamentazione e in questa direzione ci sono numerosi e incoraggianti segnali sia
nel Regno Unito sia soprattutto negli Stati Uniti. L’elemento determinante, il vero fattore di svolta, dovrà essere il ripristino di quella business ethics
che costituisce uno dei pilastri della CG americana; sarebbe questo lo strumento fondamentale che permetterebbe di superare la crisi attuale.
Questo capitolo ripercorre brevemente gli sviluppi teorici più recenti in
13 Per una comparazione internazionale della redditività delle imprese di grande e media dimensione del settore manifatturiero nel periodo 1989-1999 si veda CAPRIO, L., INZERILLO, U. (2002), La redditività delle imprese manifatturiere italiane: un confronto internazionale per settori e classi dimensionali, in Centro Studi Confindustria, «La competitività dell’Italia», vol. II, Le imprese, a cura di Galli, G., Paganetto, L., Il Sole-24 Ore, Milano.
14 KRUGMAN, P. (2002), The Richer, The New York Times, October.
163
Tab. 4.1 — Classifica delle imprese di maggiore dimensione nelle principali economie (1)
Totale imprese
Paesi
N° imprese
1990
Imprese industriali
Fatturato (2)
2000
1990
2000
N° imprese
1990
Fatturato (2)
2000
1990
2000
Francia
42
49
267,07
4,53
711,48
6,77
15
11
160,63
5,47
214,53
7,06
Germania
41
38
418,94
7,22
827,69
7,87
19
10
220,27
7,50
233,66
7,69
Italia
26
28
217,83
3,75
415,96
3,96
9
4
59,03
2,01
53,83
1,77
Regno Unito
89
90
615,86
10,61
920,50
8,75
32
19
322,91
11,00
402,24
13,24
Spagna
12
12
27,00
0,47
98,32
0,94
4
1
10,14
0,35
38,77
1,28
Stati Uniti
329
424
2.362,68
40,70
5.352,07
50,90
86
84
862,25
29,37
1.279,96
42,12
Giappone
333
139
1.987,82
34,24
2.188,60
20,81
142
41
1300,87
44,31
815,76
26,85
Totale
872
780
5.897,21 10.514,61
100,00
100,0
307
170
2.936,10
100,00
3.038,73
100,00
(1) Per ciascuno dei paesi considerati sono state aggregate, sulla base del fatturato, le imprese elencate nella classifica di Business Week tra le prime 1.000 a livello mondiale.
(2) Fatturato in miliardi di dollari; in corsivo l’incidenza sul totale dei sette paesi.
Fonte: The Business Week Global 1000, anni vari.
tema di finanza, crescita e CG e si interroga in particolare sui meccanismi
di agenzia e sul perché il modello di impresa, tipico dei sistemi finanziari
anglosassoni (la public company) sia così poco diffuso nei paesi dell’Europa
continentale.
Il quadro
teorico
La ricerca dei nessi tra sviluppo del sistema finanziario e crescita economica è da sempre oggetto di particolare attenzione da parte degli economisti. Nel corso degli anni Ottanta e soprattutto degli anni Novanta si
è assistito ad un prepotente ritorno di interesse della ricerca economica su
questi temi15; parallelamente il tema della corporate finance è uscito dai
confini angusti dell’analisi su base locale e si è progressivamente spostato
alla comparazione dei sistemi finanziari tra paesi16, fino a riconoscere il
ruolo centrale della CG, della rilevanza dei rispettivi sistemi legali di cui
un paese è dotato e, più recentemente, dei modelli di politica economica.
15 Si veda in particolare: THIEL, M. (2001), Finance and economic growth: a review of
theory and the available evidence, European Commission Economic Papers, n. 158, July ; TSURU, K. (2000), Finance and growth: some theoretical considerations, and a review of the empirical literature, Oecd Economics Department Working Papers, n. 228, January.
16 L’Italia costituisce in parte un’eccezione; negli ultimi anni infatti non sono mancati
studi che hanno indagato e cercato di applicare anche da un punto di vista empirico le indicazioni della teoria nel campo della finanza, del capitale sociale e della crescita locale; si veda in particolare GUISO, L., SAPIENZA, P., ZINGALES, L. (2000), The role of social capital in financial development, Nber Working Paper Series, n. 7563, February.
164
Gli studi moderni sui mercati finanziari hanno inizio con il teorema di
Modigliani-Miller (MM) alla fine degli anni cinquanta17. Muovendo dagli assunti tipici dei modelli di equilibrio generale, di completezza dei mercati e
di informazione perfetta, MM dimostrano che la scelta della struttura finanziaria, in particolare la composizione tra capitale proprio e debito, è irrilevante. Solo la tassazione conta, perché può rendere uno strumento finanziario più conveniente (meno costoso cioè) di un altro. Questo teorema
ha avuto un’influenza tale sulla letteratura in materia che per lungo tempo — complice probabilmente il fatto che nei paesi industriali l’economia
cresceva a ritmi molto sostenuti — l’interesse per gli studi sulla finanza
d’impresa è visibilmente scemato.
Tra le ipotesi alla base del teorema, quella sulle informazioni era particolarmente forte; essa ha iniziato ad essere messa in discussione dalla letteratura sulle asimmetrie informative che fece seguito al famoso lavoro di
Akerlof sulle auto usate18. Il punto centrale è che in una transazione se una
delle due parti è più informata dell’altra, il prezzo al quale avverrà la transazione non sarà quello giusto e al limite la transazione potrà non aver luogo. Un’area dove le asimmetrie informative hanno trovato una formidabile
applicazione è in campo finanziario, in particolare nel mercato del credito
e sopratutto nella relazione tra investitori e manager, grazie soprattutto ai
contributi di Jensen e Meckling (1976) e Diamond (1984)19. In quest’ultimo
caso, se gli azionisti (o i possessori di titoli obbligazionari) delegano al manager i compiti di gestione, sarà appunto il manager ad essere ragionevolmente più informato (su quello che sta facendo, cioè sulla gestione dell’impresa).
Questo crea quei «problemi di agenzia», tra investitori e manager, che
hanno dominato la teoria della corporate finance a partire dalla fine degli
anni settanta. L’emergere delle asimmetrie informative e dei problemi di
agenzia ha il grande merito, tra l’altro, di restituire un ruolo centrale alle
«Istituzioni». Dal momento che i problemi di agenzia risultano da asimmetrie informative, le istituzioni e la regolamentazione che limitano queste
asimmetrie svolgono un ruolo centrale. I problemi di agenzia tuttavia derivano anche — o forse in misura maggiore — dal problema dell’incompletezza dei contratti. Le loro implicazioni sono due: a) ex-post renegotiation e
recontracting (per cui ad esempio gli azionisti che non dispongono di incentivi per motivare il management, possono entrare nel board non solo per
fare monitoring ma anche per cercare di sostituire il management che non
aumenta lo shareholder value); b) danno enorme risalto alla «qualità» dei
sistemi legali di ciascun paese: la conclusione è che «buoni» sistemi legali
sono una importantissima pre-condizione per lo sviluppo di un sistema finanziario efficiente. Gli studi più recenti di conseguenza indagano sulle differenze e poi sull’origine dei diversi sistemi legali (common law e civil law
17 MODIGLIANI, F., MILLER, M. (1958), The Cost of Capital, Corporation Finance and the
Theory of Investment, American Economic Review, n. 48. MODIGLIANI, F., MILLER, M. (1963),
Corporate Income Taxes and the Cost of capital: A Correction, American Economic Review, n.
53.
18 AKERLOF, G., (1970), The Markets for Lemons, Uncertainty and the Market Mechanism, Quarterly Journal of Economics, August.
19 JENSEN, M.C., MECKLING, W. (1976), Theory of firm: Managerial behavior, agency costs and capital structure, Journal of Financial Economics, n. 3; DIAMOND, D. (1984), Financial
intermediation and delegated monitoring, Review of Economic Studies, vol. 51. Jensen e Meckling sono probabilmente i primi a proporre un’applicazione del teorema di Akerlof in campo
finanziario. È tuttavia Diamond a mostrarne tutte le profonde implicazioni per i mercati finanziari.
165
sono i due principali). La finanza di impresa finisce in questo modo per ampliare il suo raggio di azione ai legami tra sistemi legali e finanza e più in
generale ai sistemi e istituzioni politiche.
L’approccio di political-economy alla finanza presenta risvolti di grande interesse per la CG ma si differenzia, anzi prende le distanze, dal filone centrato sui legami tra sistemi legali e sistema finanziario di La Porta
et al. Il punto cruciale è l’assunzione che le leggi non sono immutabili: esse evolvono in risposta all’influenza (pressione) mutevole che i diversi gruppi di interesse possono esercitare; ad esempio manager e dipendenti dell’impresa (workers) possono «concludere» un accordo a svantaggio degli azionisti, gli uni per proteggere i benefici privati del controllo, gli altri per mantenere un sistema di salari elevati dai takeovers di investitori ostili. Questa conclusione risulta in netto contrasto con la teoria di agenzia dell’impresa che vede, come abbiamo visto, i manager agire nell’interesse degli
azionisti e quindi contro (in conflitto cioè con) i dipendenti. Al contrario, invece, il political-economy approach to finance20 giunge ad una conclusione
opposta; esso descrive un modello in cui i manager possono disporre di benefici privati del controllo che cercano di proteggere dall’intervento degli
azionisti. Essi cercano di limitare i diritti degli azionisti e i takeovers che
potrebbero risultare in un cambiamento del management e quindi in una
perdita di questi benefici privati. Per proteggersi il management stimola i
dipendenti ad «alzare» barriere contro i takeovers ostili e in ritorno offre salari più alti e protezione contro i licenziamenti. Il punto centrale è che in
questo approccio gli interessi dei manager sono in linea, non in contrapposizione, con quelli dei dipendenti. Una delle implicazioni è che le leggi e la
regolamentazione (in tema di takeover e protezione degli azionisti) sono il
prodotto di uno scambio (un baratto quasi) e delle coalizioni che si formano tra diversi gruppi di interesse. Leggi e regolamentazioni in sostanza non
possono essere trattati come una variabile esogena (come fanno i modelli
di law and finance) nella determinazione di un sistema finanziario. Una
conclusione fondamentale è quindi che il political-economy approach è chiaramente in disaccordo con il law and finance approach.
L’analisi
empirica
Sulla scia di questi sviluppi teorici, l’analisi empirica ha in primo luogo cercato di raccogliere evidenze sul ruolo delle «Istituzioni», cioè di quel
fattore che svolge un ruolo centrale sia nei modelli di agenzia sia nella teoria dei contratti impliciti.
I primi confronti internazionali hanno concentrato l’attenzione sulle
banche, che per loro caratteristica apparivano le Istituzioni meglio attrezzate per superare quelle asimmetrie informative — suggerite dai modelli
di agenzia — tra datori e prenditori di fondi, da un lato, tra investitori e
imprese dall’altro. Si è sviluppato in tal modo un ampio filone di studi che
mette in contrapposizione i sistemi maggiormente orientati al mercato con
quelli invece maggiormente dominati dalle banche (market-and-bank-oriented systems), che in letteratura sono anche noti come «arms-lenght and close relationship systems» quando si vuole mettere in evidenza il (diverso)
grado di separazione tra investitori e impresa. Prendendo a riferimento la
diversa dimensione del settore bancario e del mercato azionario, l’incidenza, tra le fonti di finanziamento esterno, di quelle bancarie o di mercato, la
20 PAGANO, M., VOLPIN, P. (2001), The political economy of finance, Oxford Review of Economic Policy, vol. 17, n. 4, December. Si veda anche PAGANO, M., VOLPIN, P. (2002), Managers, Workers, and Corporate Control, Csef Working Paper, n. 75, September.
166
partecipazione delle banche nel capitale delle imprese, i confronti tra paesi sono stati tradizionalmente rivolti ai sistemi anglosassoni da un lato (Regno Unito e Stati Uniti in primo luogo, con l’aggiunta a volte anche del Canada), ai paesi dell’Europa continentale (Germania in primo luogo) e Giappone dall’altro (tab. 4.2 e tab. 4.3)21.
Tab. 4.2 — Attività di Fondi Pensione, Assicurazioni e Fondi Comuni di Investimento
Attività Totali
in
miliardi
di dollari
Distribuzione delle Attività %
in %
del
Pil
Azioni
Totali
Estere
Obbligazioni
Contante/
Altro
Immobili
Fondi Pensione (giugno 1999)
Usa
Europa
Area dell’Euro
Francia
Germania
Irlanda
Italia
Paesi Bassi
Svizzera
Regno Unito
6,971
3,649
1,421
64,000
294,000
46,000
25,000
607,000
306,000
1,445
76
40
20
4
13
47
2
141
117
101
61
47
29
12
15
69
16
39
27
72
nd
15
13
2
5
44
0
20
9
18
25
36
49
68
45
22
35
54
39
17
14
8
10
18
33
4
1
2
9
8
—
9
13
2
7
5
48
5
25
3
17
30
40
9
65
18
25
61
47
16
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
Assicurazioni (dicembre 1999)
Usa
Europa
Area dell’Euro
Francia
Germania
Irlanda
Italia
Paesi Bassi
Svizzera
Regno Unito
3,958
4,589
2,355
715,000
821,000
41,000
204,000
243,000
219,000
1,631
48
53
36
50
38
49
17
64
83
120
31
31
19
19
22
51
7
18
16
50
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
53
39
41
72
12
31
67
22
38
33
Fondi Comuni di Investimento (settembre 2000)
Usa
Europa
Area dell’Euro
Francia
Germania
Irlanda
Italia
Paesi Bassi
Svizzera
Regno Unito
6,497
2,430
1,852
682,000
239,000
83,000
416,000
89,000
80,000
375,000
79
28
29
48
11
100
36
24
31
28
60
49
39
29
63
nd
36
67
77
82
nd
29
27
14
49
nd
31
56
60
23
11
21
23
16
22
nd
35
17
23
8
29
31
37
54
15
nd
29
15
0
10
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
(a) Il dato degli Stati Uniti è aggiornato al 1999; quello degli altri paesi al 1998.
Fonte: Federal Reserve Bank, W.M. Mercer, MSDW, Oecd, per i Fondi Pensione; Cea, Federal Statistical Relase, per
le Assicurazioni; FEFSI, Investment Company Institute, Oecd, per i Fondi comuni di investimento.
21 EDWARDS, J., FISHER, K. (1994), Banks, Finance and Investment in Germany, Cambridge, Cambridge University.
167
Tab 4.3 — Struttura e fonti finanziarie delle imprese non finanziarie nell’Area dell’euro, Stati Uniti e Giappone (1)
(valori di fine periodo)
Area Euro
Stati Uniti
Giappone
1999
1999
Passività
1997
1998
1999
Struttura finanziaria
(in percentuale delle passività totali)
Totale
100
100
100
100
100
Prestiti
erogati istituzioni monetarie
e finanziarie dell’area euro
erogati da istituzioni non monetarie
e finanziarie
erogati da altri settori dell’area
euro e dal resto del mondo
Crediti commerciali e anticipazioni
Titoli non azionari
Azioni e altre partecipazioni
di cui: azioni quotate
30,0
27,2
23,3
5,4
38,9
21,3
19,5
16,2
—
—
1,9
1,7
1,4
—
—
6,8
10,7
3,1
51,7
19,6
6,0
9,8
2,8
56,3
22,0
5,8
8,3
2,4
62,6
26,3
—
7,8
10,6
70,2
—
—
12,4
9,4
33,8
—
4,5
3,9
3,3
6,1
5,5
Altre passività
Fonti di finanziamento esterno
(dati basati sulle transazioni; in miliardi di euro)
Totale
339,3
489,2
625,0
767,0
–117,8
Prestiti
Crediti commerciali e anticipazioni
Titoli non azionari
Azioni e altre partecipazioni
di cui: azioni quotate
145,0
58,8
12,1
95,5
62,2
230,2
63,6
18,1
173,9
85,8
329,3
68,6
37,3
147,2
89,3
149,7
165,7
255,3
96,5
—
–113,1
-48,3
-11,1
61,7
—
27,9
3,4
42,7
99,8
-6,9
Altre passività
(1) I dati non sono consolidati e comprendono tutti gli strumenti di finanziamento esterno ottenuto dalle imprese
non finanziarie, da altri residenti (incluse le imprese non finanziarie) e dell’estero; le azioni e altre partecipazioni
sono valutate ai prezzi di mercato; indebitamento netto (+), rimborsi netti (–).
Fonte: Bce, Federal Reserve Board e Banca del Giappone.
I sistemi più orientati alle banche erano (si pensava fossero) caratterizzati da un sistema bancario di grandi dimensioni, dalla prevalenza del
finanziamento bancario e da grandi quote di capitale detenute dalle banche. In realtà, la contrapposizione tra sistemi bank-oriented e market-oriented è stata a più riprese contestata (per esempio, Mayer, 1988; Rajan e Zingales, 1995). Basterà qui dire che le quote di capitale nelle aziende detenute dalle banche sono modeste in quasi tutte le nazioni; che sebbene numerosi studi sul Giappone indicavano gli innumerevoli vantaggi che discendevano dall’esistenza di rapporti stretti tra banche e aziende, studi più
recenti ne hanno sottolineato tutti i limiti (per esempio, Weinstein e Yafeh,
1998; Kang e Stulz, 2000); o infine, che mentre il finanziamento bancario
alle imprese era alto in Giappone rispetto a Regno Unito e Stati Uniti, non
lo era in Germania.
168
Anche l’influenza che i sistemi finanziari hanno sulle misure di CG è
poco chiara. Si poteva pensare che rapporti stretti tra banche e imprese
avrebbero influenzato gli incentivi e la disciplina del management, perché
i sistemi con rapporti stretti hanno migliori flussi informativi e una base
più solida per premiare e disciplinare il management. Ma ad essi potrebbe
mancare il forte incentivo e i dispositivi di disciplina del mercato di borsa
(v. Kaplan, 1994). La distinzione dunque tra sistemi più orientati alle banche e sistemi invece più orientati al mercato non appare particolarmente
robusta. Ci sono però due aspetti rispetto ai quali i sistemi finanziari dei
diversi paesi tendono a differenziarsi tra loro: uno è la qualità della «information disclosure», il secondo è quello della relazione tra sviluppo di un sistema finanziario e crescita.
Sul primo punto Rajan e Zingales (2000) mostrano ad esempio che i sistemi finanziari più sviluppati giocano un ruolo speciale nel finanziare le
imprese che posseggono pochi beni materiali22. Questi ultimi possono essere usati come garanzia per ottenere finanziamenti bancari; le imprese con
pochi beni materiali dipendono quindi in misura maggiore da fonti di mercato, che richiedono standards elevati di information disclosure. Sul secondo punto numerosi studi hanno rilevato che i paesi con i sistemi finanziari ben sviluppati — in termini ad esempio di dimensione dei sistemi bancari e delle borse — crescono più rapidamente rispetto ai paesi con sistemi
finanziari più piccoli23. Questa caratteristica è particolarmente evidente
quando si confrontano paesi sviluppati con paesi in via di sviluppo. Mentre
quindi è difficile identificare delle differenze nette nella struttura dei sistemi finanziari delle economie più sviluppate, sembra esistere una forte
relazione tra sviluppo finanziario e crescita nei paesi in via di sviluppo.
Gli sviluppi teorici in tema di incompletezza dei contratti hanno quindi orientato l’analisi empirica verso i confronti internazionali in tema di CG
e controllo dell’impresa, dove sono emerse differenze molto nette anche tra
le economie più sviluppate24. Il risultato più significativo è quello relativo
al confronto tra paesi della struttura proprietaria, che, come è evidenziato
nella tab. 4.4, risulta più dispersa nel Regno Unito e negli Usa e al contrario più concentrata nei paesi dell’Europa continentale.
Per esempio, in Francia e in Germania, in oltre l’80% delle maggiori
170 aziende quotate, vi è un solo azionista che detiene più del 25% delle
azioni e, in oltre il 50% di queste aziende, vi è un solo azionista di maggioranza. Al contrario, nel Regno Unito, solo nel 16% delle maggiori 170
aziende quotate vi è un unico azionista che detiene più del 25% delle azioni, e in solo il 6% vi è un unico azionista di maggioranza. Emerge inoltre
che non solo vi è una significativa differenza nella proprietà tra paesi anglosassoni e dell’Europa continentale, esiste anche una differenza altrettanto forte nella natura degli assetti proprietari; negli Usa e nel Regno Uni-
22 RAJAN, R.G., ZINGALES, L. (2001), Financial Systems, Industrial Structure and Growth,
Symposium on the International Competitiveness of the Swedish Financial Industry, Bank of
Sweden Tercentenary Foundation.
23 Si veda in particolare: KING, R., LEVINE, R. (1993), Finance and growth: Schumpeter
may be right, The Quarterly Journal of Economics, n. 108; LEVINE, R. (1997), Financial development and economic growth: Views and agenda, Journal of economic literature, vol. 35,
n. 2; World Development Report (2002), Building Institutions for Market, The World Bank,
OUP, September.
24 BARCA, F., BECHT, M. (2001), The Control of Corporate Europe, Oxford, Oxford University Press; LA PORTA, R., LOPEZ DE SILANES, F., SHLEIFER, A. (1999), Corporate ownership
around the world, Journal of Finance, vol. 54, n. 2.
169
Tab. 4.4 — Confronti internazionali sulla proprietà delle imprese, 1996
Principali imprese quotate: media
delle quote maggiori detenute (A)
Paesi
in % del capitale
Numero di
imprese del
campione
Proprietà di
azioni
ordinarie da
parte delle
imprese non
finanziarie (B)
Capitalizzazione
di mercato,
imprese
nazionali
(C)
(in % del Pil)
Francia
57.9
680
584
49
Germania
55.9
402
42
28
Italia
48.0
214
254
21
457
00
114
189
014
142
1,3
Stati Uniti
25,4
Regno Unito
14,42
1. Percentuale di azioni dei cinque maggiori azionisti; 2. 1992; 3. Imprese non finanziarie,
1980; 4. 1994.
Fonte: (A): BLOCH, KREMP, E. (Ownership and voting power in France), BECHT, M., BOHMER,
E. (Ownership and voting in Germany), BIANCHI, M., BIANCO, M., ENRIQUES, L. (Piramidal
groupes and the separation between ownership and control in Italy), GEORGEN, M., RENNEBOOG,
L. (Strong managers and passive institutional investors in the UK), BECHT, M. (Beneficial ownership in the United States) in: BARCA, F., BERCHT, M. (2001), The Control of Corporate Europe, Oxford, Oxford University Press. PROWSE, S. (1994), Corporate governance in international perspective: a survey of corporate control mechanisms among large firms in the United
States, the United Kingdom, Japan and Germany, Bis Economic Papers, n. 4.
(B+C): Oecd, Economic Survey: Giappone (1996), Francia (1997); Oecd (1998), Financial Market
Trends, n. 69, Febbraio.
to, le azioni delle imprese quotate sono detenute principalmente da istituzioni, quali fondi pensioni, compagnie di assicurazione sulla vita e fondi comuni, e da singoli investitori. La proprietà è diffusa nel senso che nessuna
istituzione o nessun individuo detiene una grande quota in una singola
azienda. Questo sistema viene descritto come «outsider system» 25.
In Europa, grandi blocchi di azioni sono detenuti principalmente da famiglie (o holding di famiglia) o da altre imprese e molto spesso prendono
la forma di partecipazioni piramidali, di partecipazioni incrociate oppure di
reti complesse di partecipazioni. Come già accennato in precedenza, le partecipazioni bancarie (nelle imprese) sono modeste, mentre quelle del governo
variano molto da stato a stato. A questo sistema viene dato il nome di «insider system».
Negli insider system dove la proprietà è concentrata, i proprietari hanno un incentivo ad essere molto attivi nella gestione dell’impresa; proprietà
e controllo molto spesso coincidono e i problemi di agenzia dovrebbero essere quasi assenti. Ma se risolvono tutta una serie di conflitti tra proprietari e manager, gli insider system ne creano un altro, quello tra grandi e
piccoli azionisti, perché dove esistono azionisti fortemente dominanti, gli
azionisti di minoranza sono a rischio. Gli insider system, quindi, producono
generalmente maggiori benefici a vantaggio di una classe di azionisti a danno di un’altra.
L’esistenza di differenze così marcate tra paesi nella proprietà e nel
25 FRANKS, J., MAYER, C. (1995), Ownership and control, in SIEBERT H. (ed.), Trends in
Business Organization: Do Participation and Cooperation Increase Competitiveness?, Tubingen, Mohr Siebeck, reprinted in Journal of Applied Corporare Finance (1997), n. 9.
170
controllo delle imprese potrebbe riflettere il fatto che l’esistenza di questo
rischio (per gli azionisti di minoranza) è diverso per settori e tipo di attività produttiva. Una governance forte è per alcuni il fattore cruciale, più
dei finanziamenti esterni, per altri è vero il contrario; le imprese mature,
ad esempio, potrebbero dipendere di meno da finanziamenti esterni rispetto alle imprese in rapida crescita26. Le differenze nel tipo di attività delle
imprese, delle industrie e delle economie fanno emergere differenze nella
governance e nel bisogno di finanziamenti delle aziende. Esisterebbe quindi un rapporto di complementarietà tra finanza, governance e attività produttiva, ma è molto più difficile stabilire dove si trova il rapporto tra causa ed effetto.
Una seconda spiegazione di queste differenze tra sistemi finanziari è
emersa nella fase successiva dell’analisi empirica. L’osservazione che negli
insider system il conflitto principale non è tra manager e proprietari ma tra
azionisti di maggioranza e di minoranza, ha spinto a studiare la protezione degli investitori di minoranza. La regolamentazione può essere usata per
proteggere i piccoli investitori in quei sistemi in cui la proprietà è diffusa.
In una serie di articoli in rapida successione, Porta et al. (1997,1998, 2000)27
hanno capovolto il dibattito, affermando che la struttura finanziaria è il
prodotto, e non la causa, della struttura legale. In sostanza, dove la legge
offre poca protezione, gli investitori cercano una protezione diretta acquistando grandi quote; dove la legge offre una forte protezione, invece, gli investitori di minoranza possono investire con fiducia. La struttura dei sistemi finanziari, quindi, è un prodotto dei sistemi legali in cui operano.
Nel complesso, i paesi con origini legali anglosassoni tendono a dare
una migliore protezione agli investitori esterni, mentre i paesi con origini
legali francesi tendono a dare la peggiore protezione. I sistemi finanziari
sono meglio sviluppati in paesi con origini legali anglosassoni rispetto, in
particolare, a quelle con origini legali francesi. Il messaggio è che una forte protezione del piccolo investitore è una precondizione per lo sviluppo dei
sistemi finanziari e che le tradizioni legali rappresentano tutt’ora una importante spiegazione delle differenze di sviluppo finanziario tra paesi.
Le teorie delle tradizioni legali prestano il fianco soprattutto a due critiche. La prima è che non «catturano» talune caratteristiche rilevanti dei
«commercial codes», che spesso sono molto diverse anche in paesi con comuni origini legali, come ad esempio accade tra Inghilterra e Stati Uniti28.
In tema di CG, Barca e Becht (2001) hanno rilevato una presenza di meccanismi (poison pills, legislazione statale) più incisivi negli Stati Uniti che
nel Regno Unito.
La seconda critica è quella mossa dal political-economy approach esaminato nel paragrafo precedente. Dal punto di vista empirico, in particolare, in un’analisi dell’evoluzione dei sistemi finanziari del ventesimo secolo,
26 Secondo Rajan e Zingales (2001) nei primi anni le aziende hanno pochi beni materiali con cui raccogliere finanziamenti esterni e di conseguenza dipendono dal coinvolgimento attivo di un numero ristretto di investitori (i venture capitalists). Successivamente, diminuisce
il bisogno di governance attiva, mentre aumenta il bisogno di fonti esterne di finanziamenti.
27 LA PORTA, R., LOPEZ DE SILANES, F., SHLEIFER, A., VISHNY, R.W. (1997), Legal Determinants of External Growth, Journal of Finance, vol. 52, n. 3; LA PORTA, R., LOPEZ DE SILANES, F., SHLEIFER, A., VISHNY, R.W. (1998), Law and Finance, Journal of Political Economy,
vol. 106, n. 6; LA PORTA, R., LOPEZ DE SILANES, F., SHLEIFER, A., VISHNY, R.W. (2000), Investor
Protection and Corporate Governance, Journal of Financial Economics, vol. 58, n. 1-2.
28 FRANKS, J., SUSSMAN, O. (2001), Financial Innovations and Corporate Insolvency, London Business School, mimeo. I due autori, ad esempio, esaminano in dettaglio l’evoluzione delle leggi sulla insolvenza societaria in Inghilterra e negli Usa.
171
Rajan e Zingales (2000)29 hanno evidenziato che la struttura dei sistemi finanziari all’inizio del secolo era molto diversa rispetto a quella di fine secolo. Questa evoluzione dei sistemi finanziari sarebbe legata più all’ influenza della politica e comunque mal si concilia con l’idea (suggerito dall’approccio della Law and finance) secondo cui i sistemi finanziari sono influenzati dalle origini legali considerate immutevoli nel tempo.
Il problema
di agenzia
Una delle principali lezioni dei fallimenti della Enron e degli altri numerosi scandali finanziari che sono seguiti, è sicuramente che nel sistema
americano le regole di CG — diversamente da quanto descritto in larga
parte della letteratura teorica in tema di CG e crescita — non sono sufficienti ad «allineare» in misura adeguata gli interessi degli azionisti con
quelli (sempre più) divergenti dei manager. In altre parole, il delicato problema di agenzia evidenziato da Berle e Means nel lontano 1933 e che risulta dalla separazione della proprietà dal controllo dell’impresa non ha
trovato una soluzione compiuta; esso ha finito anzi per emergere in tutta
evidenza negli anni più recenti per effetto della creazione della bolla sul
mercato azionario30.
Negli Stati Uniti le regole della CG — the Constitution of a corporation, come a volte è uso riferirsi a esse — costituiscono una complessa combinazione tra la legge federale sulle securities, la regolamentazione sulla
quotazione sui mercati di borsa, la regolamentazione dei singoli stati federali in cui è registrata l’impresa e infine le regole specifiche approvate per
ciascuna impresa dal suo CdA. Queste regole differiscono largamente tra le
imprese in conseguenza delle condizioni imposte dai diversi mercati azionari, dai creditori, dallo Stato in cui è incorporata l’impresa e dal rapporto
tra il CdA da un lato e il management dall’altro.
Nel corso del tempo è poi intervenuto uno spostamento dalle regole poste a protezione degli azionisti alle regole che proteggono il management
dalle scalate ostili31. Come conseguenza i Ceos degli anni Novanta sono stati in grado mediamente di dominare il board dell’impresa; in contemporanea in un numero via via crescente di imprese gli azionisti di maggiore dimensione sono diventati i fondi pensione e i fondi comuni con interessi talmente diversificati che non sempre (o assai raramente?) hanno interesse
nell’influenzare la performance dei titoli azionari in portafoglio. Questi fondi, secondo un giudizio largamente condiviso, avrebbero esercitato con molta (troppa) parsimonia i propri diritti di voto ad esempio per mettere propri rappresentanti nel Consiglio di una data impresa; sono infatti pochi i
board in cui i rappresentanti dei fondi dispongono di quote sufficienti a rappresentare una minaccia credibile per il management, nel senso di poter richiedere una loro sostituzione.
«Non è una sorpresa di conseguenza, come non ha mancato di rilevare
almeno una parte della teoria economica, che negli ultimi anni il numero
dei takeover ostili si è ridotto in misura significativa mentre il compenso
29 RAJAN, R.G., ZINGALES, L. (2000), The Great Reversals: The Politics of Financial Development in the 20th Century, September, mimeo.
30 BERLE, A.A., MEANS, G.C. (1933), Modern Corporation and Private Property, New York,
Macmillan.
31 Il primo cambiamento di policy in questa direzione risale addirittura al 1968 (William
Act), che sostanzialmente aumentava il costo per gli outsider di organizzare una tender offer
e rimuoveva interamente il potenziale legato alla sorpresa. Le modifiche più significative intervengono tuttavia negli anni ottanta nelle legislazioni dei singoli stati e delle relative Corti in risposta a precise richieste del management.
172
per i manager proseguiva la sua scalata verso l’alto terminata in non pochi casi con la bancarotta e scandali finanziari........ Da questo punto di vista, il caso Enron e gli altri che sono seguiti non sono altro che l’inevitabile conseguenza di «innovazioni» in diversi campi (laws, regulations, courts
decisions) con un denominatore comune, quello di avere in buona parte ostacolato il funzionamento efficiente del market for corporate control32», cioè di
uno dei pilastri su quali si regge la CG americana.
Certamente il ripristino della situazione precedente queste innovazioni avrebbe un effetto positivo; aiuterebbe non poco a risolvere i problemi
che stanno alla radice della CG americana ma non li sradicherebbe, perché
— questo punto è stato ricordato nel primo capitolo — la CG americana ha
mostrato carenze anche su altri fronti, dal lato della revisione ad esempio,
ma soprattutto perché il «principal-agent problem» che contraddistingue (o
per meglio dire tormenta) il rapporto tra azionisti e manager presenta delle fondamentali carenze sul piano teorico.
Secondo il modello cosiddetto dell’«optimal contracting» (Ocm), che ha
dominato la ricerca economica su questi temi negli anni Novanta, gli schemi di retribuzione del management nelle grandi imprese a proprietà diffusa sono disegnati con l’obiettivo di minimizzare i costi di agenzia che esistono tra i manager (the agents) e gli azionisti (the principals). In questo
modello, il CdA dell’impresa tende a massimizzare lo shareholder value allineando l’interesse dei manager con quelli della proprietà attraverso un sistema di incentivi che modellano il contratto dei manager, al cui interno le
stock options hanno finito per assumere un ruolo centrale sul finire degli
anni Novanta.
Il punto è che questo modello non solo può produrre (ha prodotto) distorsioni sul piano etico prima ancora che su quello operativo — sia per i
livelli inaccettabili raggiunti dai compensi del management sia perché fornisce al management «huge incentives for bad behavior» — ma soprattutto
mostra profonde carenze sul piano teorico e che derivano sostanzialmente
dall’abilità, ma soprattutto dal potere (power), dell’esecutivo di influenzare
in misura determinante i propri schemi contrattuali di retribuzione. Si è
sviluppato così, sulla scia di un’ampia evidenza empirica, un approccio in
parte alternativo all’Ocm e noto come Managerial Power Approach (Mpa)33.
Il ruolo rilevante che questo approccio gioca nel disegnare la retribuzione
dei manager ha profonde implicazioni sullo studio, la pratica e la regolamentazione della CG.
Il compenso dei manager può molto spesso discostarsi in misura significativa da quello dell’Ocm; a causa di questa deviazione i manager possono ricevere un compenso che è in eccesso rispetto a quello che sarebbe ottimale per gli azionisti. Questo eccesso è denominato rent; per facilitarne
l’estrazione, il Mpa può anche arrivare a stabilire un sistema inefficiente
della struttura della retribuzione, che indebolisce o distorce gli incentivi e
che quindi a sua volta riduce ulteriormente lo shareholder value. Secondo
Bebchuck et al. (2002), l’appropriazione del rent può in linea teorica aver
luogo in tutte le imprese prive di un’azionista di controllo o di maggioranza. Viceversa, sempre in linea teorica, i manager avranno meno potere e
32
MANNE, H.G. (2002), Bring back the hostile takeover, Wall Street Journal, June 26.
veda in particolare: BEBCHUCK, L.A., FRIED, J., WALKER, D.I. (2002), Managerial power
and rent extraction in the design of executive compensation, Cepr Discussion Paper Series, n. 3558,
September. Su questi temi si veda anche PERRY, T., ZENNER M. (2000), Ceo Compensation in the
90s: Shareholder Alignment or Shareholder Expropriation?, 35 Wake Forest Law Review.
33 Si
173
quindi possibilità di estrazione quando è presente un’azionista di grande
dimensione o un numero elevato di quote sono in mano a un investitore
istituzionale. In realtà l’evidenza empirica mostra che il meccanismo di
estrazione del rent può prendere spazio anche in queste ultime imprese, dove il manager è meno potente.
Diffusione
delle public
company
174
L’azione di liberalizzazione dei mercati e le privatizzazioni intervenute nel corso degli anni Novanta nell’area dell’euro hanno favorito in ciascun paese un intenso processo di riorganizzazione in campo industriale e
finanziario, che ha modificato in misura significativa la mappa del potere
economico-finanziario del continente, anche attraverso il ricorso a operazioni di fusione e di acquisizioni. Questo processo, partito in notevole ritardo rispetto al Regno Unito e agli Stati Uniti, ha subito un’accelerazione
con la creazione dell’Unione monetaria; esso è ancora in corso e — anche
a causa del crollo dei mercati di borsa che ha determinato una battuta di
arresto del processo di consolidamento — ben lungi dall’essere concluso. I
profondi mutamenti negli assetti proprietari delle imprese industriali e finanziarie europee hanno portato (con le dovute eccezioni, ad esempio in
Francia) ad una minore presenza dello Stato nell’economia e ad una maggiore — come da più parti auspicato — delle imprese ad azionariato diffuso (le public company), in cui la proprietà delle imprese è diffusa sul mercato tra una vasta platea di azionisti ed è contendibile.
Ciò malgrado, come abbiamo visto nella tab. 4.1, le grandi imprese europee (e in particolare quelle italiane) sono poche e comunque di dimensioni in media largamente inferiore rispetto alle imprese statunitensi.
In sostanza, pur essendo vero che è in atto una certa convergenza tra
un modello anglosassone — più orientato al mercato e dove sono gli investitori istituzionali ad esercitare il controllo «esterno» dell’impresa — e un
modello europeo — in cui sono le banche e le assicurazioni a giocare un
ruolo centrale — rimangono differenze significative soprattutto dal lato degli assetti proprietari, con conseguenze non indifferenti in termini di crescita dimensionale e di redditività. Nel modello anglosassone, dove la proprietà è contendibile, l’obiettivo degli investitori istituzionali è la massimizzazione del valore per gli azionisti; esistono problemi — come si è visto
in questo e nei paragrafi precedenti — in merito, ad esempio, al reale «attivismo» degli investitori istituzionali, ma certo l’interesse degli investitori
istituzionali coincide grosso modo con quello della generalità degli azionisti, cosa che favorisce lo sviluppo e l’affermarsi di un sistema a proprietà
diffusa. Nel modello europeo, viceversa, la proprietà è mediamente meno
contendibile, le scalate meno frequenti e la massimizzazione del valore per
gli azionisti non è l’obiettivo prioritario. In tutti i paesi dell’area dell’euro,
come dimostrano numerosi studi sulla struttura proprietaria internazionale comparata richiamati nel paragrafo precedente, la normalità rimane la
dominanza dell’impresa con azionariato di controllo, a differenza di quanto
avviene nel Regno Unito e negli Stati Uniti. In Italia questo modello assume caratteristiche tutte sue, con poche e poco grandi imprese nel confronto internazionale, poche imprese quotate — queste stesse caratterizzate da
una struttura azionaria mediamente molto concentrata — e un tessuto produttivo fatto prevalentemente di imprese di piccola dimensione.
Il modello europeo pone un problema allo sviluppo dell’economia dell’area dell’euro. Il controllo familiare, o comunque ristretto, delle grandi imprese può limitarne la crescita perché ad esempio rallenta la partecipazio-
ne delle imprese ai processi di riorganizzazione industriale e finanziaria in
corso e perché non favorisce la quotazione in borsa, necessaria per raccogliere quei capitali utili a finanziare gli investimenti e i programmi di espansione anche attraverso operazioni di fusione e acquisizione.
La larghissima prevalenza, all’interno del tessuto produttivo europeo
(in particolare italiano) del sistema delle piccole e medie imprese può anche avere a che fare con ragioni di tipo culturale ma certamente non può
essere spiegata con una rinuncia a priori a crescere. Al contrario, questo sistema rappresenta la risposta obbligata di mercato a precise condizioni ambientali — in primo luogo alla maggior rigidità relativa del mercato del lavoro, alla sua maggior conflittualità, al più elevato cuneo fiscale e contributivo che grava sul lavoro — che ha determinato a partire dagli anni Settanta, in Italia molto più che in altri paesi europei, la sostituzione di capitale a lavoro.
Può essere indicativo al riguardo una semplice correlazione, illustrata
nella fig. 4.1, che mette a confronto il grado di rigidità del mercato del lavoro, così come misurata dall’Ocse, e la diffusione della public company nei
maggiori paesi industriali.
Al riguardo, Roe (2000 e 2001)34 dimostra come la proprietà diffusa, tipica dei sistemi anglosassoni, richiede precise precondizioni sociali e politiche. Perché possa funzionare il delicato meccanismo di «agenzia», in cui un
azionariato diffuso delega la gestione di un azienda ai manager, occorre che
ci sia una nettissima distinzione di ruoli fra Stato, sindacato e impresa e
che le regole del gioco siano chiaramente definite e uguali per tutti. Tale
Quota % di grandi imprese ad azionariato diffuso
Fig. 4.1 — Rigidità del mercato del lavoro e diffusione delle public companies nelle maggiori economie
Regno
Unito
Correlation = 0,77
Stati
Uniti
Australia
Svizzera
Francia
Canada
Germania
Danimarca
Finlandia
Svezia
Norvegia
Italia
Fonte: Oecd, Employment outlook 1999; LA PORTA et AL. (1999), Corporate ownership around
the world, Journal of Finance, vol. 54.
34 ROE, M.J. (2000), Political Foundations for Separating Ownership from Corporate Control, Stanford Law Review, vol. 53; ROE, M.J. (2001), The Quality of Corporate Law Argument
and its Limits, April, mimeo.
175
meccanismo non tollera ingerenze o intrecci con i poteri pubblici o con banche condizionati dai poteri pubblici; non è compatibile con sistemi nei quali il successo personale dei manager possa dipendere in qualche misura da
considerazioni diverse da quelle dell’efficienza aziendale. Richiede che le decisioni cruciali per la vita di un’azienda, quali quelle relative alle riduzioni del personale o alla chiusura di unità produttive, possano essere prese,
come avviene negli Stati Uniti, in totale autonomia e senza interferenze o
negoziazioni con autorità pubbliche.
Il sistema europeo di regole è assai lontano da questo modello (Cassese
S. e Galli G., 1998)35. Come afferma Roe (2001), «gli strumenti che negli Stati Uniti inducono i manager ad essere ragionevolmente leali nei confronti degli azionisti — trasparenza nella contabilità, compensi basati su incentivi,
regole forti per garantire la primazia degli azionisti rispetto ad altri interessi — sono malviste in strong social democracies». In queste ultime, «la politica preme affinché le imprese si espandano, evitino i licenziamenti, ed evitino di assumere decisioni che potrebbero mettere a rischio l’occupazione».
Questi, secondo Roe, sono esattamente gli obiettivi che si teme abbiano i manager negli Stati Uniti se non adeguatamente controllati e per evitare i quali è stato creato l’intero arsenale di norme e prassi a tutela degli azionisti.
Inoltre vi sono carenze dal lato degli operatori nel sistema finanziario
europeo. All’interno degli investitori istituzionali infatti, lo scarso sviluppo
dei fondi pensione ha una sua propria rilevanza perché non favorisce il decollo di quegli intermediari finanziari, come il venture capital, che in altri
paesi operano attivamente a sostegno delle imprese più innovative e caratterizzate da elevate potenzialità di crescita; l’analisi delle determinanti
di queste differenze mostra che i venture capitalists privilegiano quei paesi in cui sono basse le barriere all’esercizio dell’attività imprenditoriale36.
Questo contribuisce a spiegare perché i paesi europei in questo settore restano indietro rispetto agli Stati Uniti, dove i mercati dei capitali di rischio
sono maggiormente sviluppati, più diversificati e più efficienti (fig. 4.2)37.
Gli studi disponibili suggeriscono un impatto positivo del venture capital
sulle performance delle imprese. In particolare, negli Stati Uniti la disponibilità di tali finanziamenti è stata associata all’elevato numero di nuove
imprese nell’alta tecnologia e nel campo Internet. Molte imprese dell’alta
tecnologia sono state inizialmente supportate dal venture capital.
Conclusioni
Il messaggio che si ricava da questo excursus è che le differenze normative contano, ma conta anche la creazione di un ambiente esterno alle
imprese favorevole allo sviluppo, per norme, fisco, relazioni industriali, giustizia. Recenti studi al riguardo hanno evidenziato il ruolo svolto dalle leg35
CASSESE, S., GALLI, G. (1998), L’Italia da semplificare, Il Mulino, Bologna.
Si veda in particolare BAYGAN, G., FREUDENBERG, M. (2000), The Internationalisation
of Venture Capital Activity, in «Oecd countries: implications for measurement and policy»,
Oecd Sti Working paper, n. 7. A differenza di altri studi in materia, Baygan e Freudenberg
non esaminano solo i dati sugli investimenti del paese di provenienza, ma concentrano l’attenzione sugli investimenti fatti in un paese. I dati del 1999 sugli investimenti dimostrano
che vi sono delle differenze rilevanti tra i paesi europei riguardo alla loro capacità di attirare investimenti di venture capital dall’esterno. L’analisi delle determinanti di queste differenze mostra che i venture capitalists privilegiano quei paesi in cui sono basse le barriere all’esercizio dell’attività imprenditoriale.
37 Escludendo il Regno Unito, la dimensione del mercato europeo del venture capital è di
appena 8 milioni di euro, sette volte meno gli Stati Uniti. Tra il 1995 ed il 1999, negli Stati
Uniti i fondi pensione hanno rappresentato in media il 50% del finanziamento di questi mercati. Questo rapporto era del 36% nel Regno Unito; in Germania, Italia e Spagna oscillava
tra il 7% e il 10%.
36
176
Fig. 4.2 — Investimenti in «venture capital» per start-up
(In % del Pil)
Fonte: Oecd, 2001, Is there a new Economy?
gi sulla sicurezza del lavoro, dalla regolamentazione del sistema pensionistico, del mercato del credito, delle istituzioni che presiedono alla fissazione dei salari, delle dimensioni del settore pubblico, della tassazione d’impresa, nel determinare le dimensioni di impresa. È stato evidenziato che
nei sistemi giuridici più efficienti le imprese in media crescono di più (e
crescono soprattutto quelle che operano in settori innovativi) perché questi
sistemi proteggono meglio gli investitori riducendo i vincoli finanziari alla
crescita; ed è stato evidenziato come le profonde differenze in termini di
certezza del diritto (rule of law) e di assetto efficiente di altri aspetti giuridico-istituzionali siano determinanti fondamentali dello sviluppo dei mercati finanziari. Miglioramenti in questi assetti istituzionali, favorendo lo
sviluppo dei mercati finanziari sono certamente tasselli cruciali per evitare che la crescita delle imprese sia limitata dalle disponibilità finanziarie.
Questo tuttavia non deve significare l’adozione incondizionata di una
struttura azionaria a proprietà diffusa, che non tenga conto del fatto che il
nostro sistema di regole è assai lontano da questo modello. La proprietà diffusa, tipica dei sistemi anglosassoni, richiede precise precondizioni sociali e
politiche. Osservano su questo punto Galli e Paganetto (2002)38: «Perché possa funzionare il delicato meccanismo di «agenzia», in cui un azionariato diffuso delega la gestione di un azienda ai manager, è necessario che ci sia una
chiara distinzione di ruoli fra Stato, sindacato e impresa e che le regole del
gioco siano chiaramente definite e uguali per tutti, che non ci siano interferenze politiche. Non solo in Italia, ma anche nei principali paesi dell’area
dell’euro, queste condizioni sembrano ancora lontane dall’essere realizzate».
In effetti, recenti episodi, in Francia come in Germania, indicano quanto sia
frequente l’intromissione politica nel libero svolgimento delle regole del mercato. Questo richiede che la condivisione delle regole sia altrettanto chiara
anche a livello comunitario per evitare distorsioni della concorrenza.
38 GALLI, G., PAGANETTO, L. (2002), Competitività e struttura del sistema produttivo italiano: una visione d’insieme, in GALLI, G., PAGANETTO, L. (a cura di), La competitività dell’Italia, vol. II, Le imprese, Il Sole-24 Ore.
177
4.3
Le nuove regole del governo societario negli Stati
Uniti e in Europa
Introduzione
I numerosi recenti scandali finanziari che hanno interessato il mercato di borsa americano hanno riproposto, con grande forza, l’esigenza di provvedere a misure di riordino della disciplina societaria e dei mercati finanziari tese a prevenire o affrontare l’insorgenza di simili momenti di crisi.
Il forte impatto sulla pubblica opinione di questi scandali, e il rilievo ad essi dato dalla stampa internazionale, ha favorito l’accelerazione e il consolidamento di discussioni, già in atto da qualche anno, con riguardo agli interventi legislativi necessari. In questa sezione si conduce un confronto delle riforme del diritto societario intervenute negli Stati Uniti ed in alcuni
paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Spagna; cfr. tab. 4.5). La
riforma in atto in Italia viene trattata separatamente nel paragrafo 4.4.
Come si vedrà dal confronto tra quanto avvenuto e in corso negli Stati Uniti e quanto avvenuto e in corso nei diversi Paesi europei, mentre negli Stati Uniti appare netto e deciso l’orientamento del legislatore di voler
favorire e stimolare la trasparenza dell’operare societario, da intendersi come veridicità dell’informazione offerta al mercato, in Europa il confronto
tra i vari ordinamenti, e gli sviluppi a livello comunitario, mostrano una
decisa frammentazione di intenti ed interventi, tesi a disciplinare ora l’informazione, ora i sistemi di amministrazione, ora gli assetti di controllo e proprietà delle società per azioni.
Ulteriore, e importante, differenza tra gli Stati Uniti e il sistema Europa è che negli Stati Uniti l’intervento riformatore è oramai già diventato un dato legislativo compiuto, mentre in Europa buona parte delle discussioni sta ancora seguendo il proprio percorso parlamentare (nella migliore delle ipotesi) oppure è ancora allo stadio di opinioni autorevolmente
espresse in fase di acceso confronto tra le varie parti interessate.
Stati Uniti
I numerosi scandali che hanno interessato il mercato nordamericano
nel corso dell’ultimo anno hanno indotto le autorità di governo ad intervenire tempestivamente con il preciso e dichiarato intento di restituire ai risparmiatori fiducia nell’investimento di borsa e nella regolamentazione dei
mercati finanziari. Le iniziali proposte del Presidente Bush, contenute nel
cosiddetto Ten-point-plan del marzo 2002, sono state recepite e integrate
dal Congresso che, a luglio 2002, ha emanato il Sarbanes-Oxley Act.
L’intervento normativo di riforma contenuto nel Sarbanes-Oxley Act
conferma la filosofia di regolamentazione dei mercati finanziari che permea la legislazione americana sin dagli anni Trenta con il Securities Act
del 1933 ed il Securities and Exchange Act del 1934, fondata sulla full disclosure, la piena trasparenza del comportamento degli operatori del mercato che consente così agli investitori di assumere decisioni consapevoli di
investimento e disinvestimento. Il Sarbanes-Oxley Act contiene infatti misure tutte tese a rafforzare la trasparenza del mercato attraverso previsioni che assicurino la veridicità delle informazioni fornite. Si stabilisce
una chiara attribuzione e ripartizione di competenze tra coloro i quali
(emittenti, società di revisione, autorità di controllo, analisti finanziari) sono deputati a fornire le informazioni, a verificarne l’attendibilità e a controllare la legittimità del comportamento degli operatori, prevedendo altresì che nell’espletamento di siffatti compiti non interferiscano interessi
178
Tab. 4.5 — Modelli di amministrazione
Modello di
amministrazione
Partecipazione dei lavoratori agli
organi di amministrazione
Esercizio dell’azione sociale di
responsabilità da parte del
singolo socio
Usa
Unitario
No
Si
Francia
Unitario
Per legge, due rappresentanti Si
Lo statuto può adottare dei lavoratori (delegati del coil modello dualistico
mité d’entreprise) assistono alle riunioni del consiglio di amministrazione (senza diritto di
voto), partecipano alle discussioni, sottopongono al consiglio
le questioni risultanti dal comité d’entreprise. Lo statuto
può tuttavia prevedere la nomina di amministratori (o di
membri del consiglio di sorveglianza, ove sia adottato il sistema dualistico) da parte dei
lavoratori
Germania
Dualistico
Si, nel solo Consiglio di Sorve- No
L’assemblea dei soci no- glianza
L’azione nei confronti degli
mina il Consiglio di Soramministratori è esercitata
veglianza, il quale a sua
dal Consiglio di Sorveglianza
volta nomina il Consiglio
di Gestione
Regno Unito Unitario
No
No
Pur non prevista per legge, le
Corti hanno consentito l’esercizio dell’azione sociale al singolo socio a condizioni molto
restrittive
Spagna
Unitario
No
Si
Il socio deve avere almeno il
5% del capitale sociale
Italia
Unitario, con organo di No
controllo interno (collegio sindacale)
Si
Solo nelle società quotate ed
il socio deve avere almeno il
5% del capitale sociale (o minor quota stabilita in statuto) ed essere iscritto nel libro
dei soci da almeno sei mesi
di natura diversa che possano allontanare il comportamento dell’operatore dagli standards richiesti dalla legge. Per la prima volta si configura una
responsabilità anche a carico degli avvocati, i quali, avendo doveri fiduciari nei confronti della società e non degli amministratori, sono tenuti a
riportare a questi ultimi eventuali pratiche scorrette e, se inascoltati, rivolgersi alla Sec.
In questa linea, la riforma ha interessato principalmente le società di
revisione tenute al controllo contabile delle società quotate, l’organizzazio-
179
ne e il funzionamento dei consigli di amministrazione e delle strutture di
governo delle società quotate, alcune puntuali previsioni per migliorare
l’informazione finanziaria da rendere pubblica al mercato e gli analisti finanziari, il tutto accompagnato da un inasprimento delle sanzioni penali e
da un rafforzamento dell’autorità di controllo, la Sec, attraverso l’attribuzione di più consistenti risorse finanziarie per consentirne una più efficace
operatività.
Più in particolare, per quanto riguarda le società di revisione, l’intervento intende assicurare l’autonomia e l’imparzialità di giudizio delle stesse nell’esercizio del controllo contabile, vietando lo svolgimento di attività
diverse dalla revisione nei confronti della medesima società quotata (separando così l’attività di revisione dall’attività di consulenza) e imponendo altresì, in capo alle società quotate, la rotazione quinquennale dei partner della società incaricata della revisione. L’intervento pubblico di controllo sull’operato delle società di revisione, infine, è stato reso ben più penetrante
con l’istituzione del Public Company Accounting Oversight Board, con funzioni di tenuta di un albo delle società di revisione che operano presso società quotate, fissazione di standard di comportamento per le società di revisione, poteri disciplinari e di indagine su società di revisione. Dalla parte dell’emittente, il controllo sull’operato della società di revisione dovrà essere effettuato da un apposito audit committee formato all’interno del consiglio di amministrazione e composto, per intero, da amministratori indipendenti (i quali si reputano tali fintantoché non ricevano compensi per
consulenze dall’emittente, o non abbiano altri rapporti di «affiliazione» con
l’emittente stesso, o con altre società controllate o collegate). Sarà l’audit
committee ad avere l’esclusiva responsabilità di nomina della società di revisione, determinazione del compenso e monitoraggio sul lavoro svolto; ed
è all’audit committee che la società di revisione dovrà riferire delle criticità
riscontrate nell’espletamento dell’incarico di revisione.
Per quanto concerne gli organi di governo delle società quotate, si è voluta accrescere la responsabilità individuale dei componenti, prevedendo misure sanzionatorie specifiche, applicabili al singolo amministratore o direttore generale, in ipotesi di falsità di informazioni o di compimento di pratiche fraudolente. Si è così stabilita: la diretta responsabilità del Chief Executive Officer e del Chief Financial Officer per la veridicità dei bilanci e delle relazioni finanziarie diffuse al mercato (attraverso il ben noto meccanismo del «giuramento», di cui molto ha trattato anche la stampa, il cui effetto è, in buona sostanza, quello di estendere le eventuali responsabilità
penali derivanti dalla falsità non solo alla società persona giuridica di cui
la persona fisica è organo, ma anche alla persona fisica stessa39; l’obbligo
di amministratori e manager di restituire i guadagni indebitamente e illegittimamente percepiti nello svolgimento del proprio incarico; l’interdizione
dagli uffici per amministratori e manager di cui sia provato il coinvolgimento in operazioni fraudolente. Inoltre, al fine di evitare la possibile indebita distrazione delle risorse della società, si è vietata l’erogazione di prestiti da parte della società ad amministratori e manager, salvo casi eccezionali e, comunque, da rendersi noti con tempestività ed immediatezza.
Un’ulteriore categoria di soggetti per i quali il legislatore statunitense
ha inteso intervenire per assicurare e garantire l’autonomia e l’indipen-
39 L’ordinamento statunitense, si ricorda, prescrive che la responsabilità penale possa imputarsi anche alle persone giuridiche.
180
denza di giudizio è costituita dagli analisti finanziari, da sempre considerati, negli Stati Uniti, un importante motore del mercato finanziario in
quanto indispensabile strumento di canalizzazione, oltre che di comprensione, dell’informazione finanziaria proveniente dagli emittenti verso il pubblico degli investitori. Si è così imposto il divieto di licenziamento (o di riduzione retributiva) dell’analista finanziario, allorché ciò sia dovuto ad analisi o pareri espressi dall’analista; e si è altresì stabilito che l’analista debba render noti al pubblico gli interessi, di natura patrimoniale o d’altro genere, che potrebbero influenzarne l’obiettività allorché sia chiamato ad
esprimere un parere su un particolare emittente.
Si è infine intervenuti con misure tese a migliorare l’informazione da
rendere disponibile al mercato, imponendo una più chiara rappresentazione delle operazioni fuori bilancio e di ogni altra operazione capace di incidere sulla situazione finanziaria dell’emittente, e riducendo a due giorni il
termine entro il quale rendere note le operazioni su titoli dell’emittente effettuate da soggetti interni alla società (c.d. inside stock transactions).
Francia
Negli ultimi dieci anni in Francia si è molto discusso dei problemi del
diritto societario e, in generale, degli interventi ritenuti auspicabili per migliorare le regole di governance delle società per azioni, in particolare di
quelle quotate. Il dibattito, nato prima come eco delle discussioni nordamericane, è divenuto mano a mano più serrato ed attuale anche in considerazione della crescente presenza degli investitori istituzionali e dei fondi pensione anglossassoni nelle società francesi40.
Le iniziative negli anni sono state diverse: basti ricordare, anche per
la forte influenza che essi hanno avuto nella recente riforma del diritto societario (la legge di n. 2001-420 del 15 maggio 2001 di Nouvelles Régulations Economiques - Nre), i Rapports Viénot I e II, redatti dalle associazioni patronali francesi rispettivamente nel 1995 e 1999, e, per la approfondita analisi svolta a tutto campo, il Rapport sur la modernisation du
droit des sociétés presentato nel 1996 al Governo dal senatore Marini.
Alle istanze di riforma pervenute da più parti il legislatore francese ha
fatto fronte con la legge di Nouvelles Régulations Economiques del 2001,
una legge di amplissima portata41 con la quale si è intervenuto, in verità
in modo poco organico, su più fronti del diritto societario con lo scopo dichiarato di accrescere la trasparenza e l’efficacia della disciplina delle società per azioni, così anche da contribuire al miglioramento del funzionamento dei mercati di borsa. Al di là degli slogan contenuti nella stessa relazione di accompagnamento42, l’intervento ha finito per essere una «legge
di circostanza» che, pur modificando in più punti il diritto societario, non
ha inciso sull’impianto della societé anonyme originariamente creato con la
40 È interessante notare che un recente studio ha mostrato che gli azionisti non residenti
nelle società del Cac 40 superano oggi il 45% del totale (cfr. Le Monde 15 giugno 2001, p. 22).
41 La legge in effetti contiene disposizioni applicabili a tutte le persone morali: associazioni, società civili, società tra professionisti, società per azioni semplificate, società in accomandita per azioni, società a capitale variabile, società a responsabilità limitata, e società
anonime. Sul punto cfr. per tutti GUYON (2001), Les réformes apportées au droit des sociétés
par la loi du 15 mai 2001 relative aux nouvelles régulations économiques, in Revue des sociétés.
42 La relazione contiene, come molti autori hanno sottolineato, soltanto delle idee di carattere molto generale — quali, ad esempio, «assicurare un migliore equilibrio dei poteri tra
gli organi dirigenti», «dotare le società di meccanismi di funzionamento più trasparenti»,
«rafforzare i poteri degli azionisti di minoranza» — che non trovano però concreta e chiara
applicazione nelle disposizioni, se non per alcuni punti. In questi termini si vedano per tutti
VIANDIER (2001), Sociétés et loi Nre, Paris; GUYON, op. ult. cit..
181
legge societaria del 196643 e sul funzionamento dei mercati di borsa. Molti
passi debbono essere ancora compiuti perché possa dirsi raggiunto il grado
di trasparenza e l’efficacia della normativa che si era auspicato.
Oltre una serie di modifiche tecniche di dettaglio (quali la possibilità
che lo statuto autorizzi l’utilizzo del sistema della videoconferenza o l’ausilio di altre tecnologie per la partecipazione alle adunanze dell’assemblea o
del consiglio di amministrazione, o l’abbassamento dal 10 al 5% della percentuale di capitale necessaria affinché le minoranze possano esercitare determinate azioni che il codice già attribuiva loro), va segnalata la traduzione in legge di alcuni suggerimenti contenuti nei due Rapporti Viénot, in
particolare la possibilità di dissociare la figura del presidente del consiglio
da quella del direttore generale, la ridefinizione dei compiti del consiglio di
amministrazione, la consacrazione del diritto di informazione del singolo
amministratore, e l’introduzione di limiti al numero di mandati che ciascun
amministratore può assumere contemporaneamente per garantire la serietà
della prestazione44.
La limitata portata innovativa della nuova legge è stata nei fatti confermata dalle innumerevoli iniziative cui si è dato impulso anche successivamente alla sua approvazione, iniziative che testimoniano il fatto che la
legge di Nre non ha fornito risposte adeguate alle esigenze manifestate da
più parti.
Il susseguirsi degli scandali finanziari americani ha infine messo in discussione lo stesso modello di governance americano, sino ad oggi considerato di riferimento, contribuendo ad allargare ancor di più il dibattito e sollecitando interventi sui due fronti giudicati centrali per l’attuale discussione: la qualità del governo delle società e l’affidabilità della contabilità, ritenuta, in quanto strumento per garantire la trasparenza, il vero legame
tra la realtà dell’impresa e gli azionisti istituzionali ed individuali45.
Fra le iniziative che meritano essere menzionate vi è quella del recentissimo Rapport Bouton, licenziato lo scorso 30 settembre 2002 da un gruppo di esperti incaricati dal Mouvement des entreprises de France (Medef) e
dalla Association Française des Entreprises privées (Afep- Agref), proprio allo scopo di esaminare una serie di questioni giudicate centrali. Il Rapporto
contiene numerose raccomandazioni che muovono principalmente in tre direzioni: il miglioramento delle pratiche di CG (attraverso la definizione del
ruolo e del funzionamento del consiglio di amministrazione, la presenza di
amministratori indipendenti46, la presenza di comitati speciali all’interno
dello stesso tra cui spicca il comité d’audit, incaricato di fare da tramite fra
i revisori e il consiglio e di verificare la regolare tenuta della contabilità);
l’indipendenza dei revisori della società (commissaires aux comptes), da assicurarsi attraverso la limitazione della durata del mandato, l’obbligo di ri43 La legge societaria del 24 luglio 1966 risulta oggi trasfusa nel Code de commerce a
seguito dell’ordinanza del 18 settembre 2000.
44 È interessante segnalare che su questo punto, peraltro considerato centrale, è già stata presentata una proposta di legge in data 26 settembre 2002 (che è al momento in prima
lettura all’Assemblea Nazionale) diretta ad adattare e modificare nuovamente le regole appena introdotte dalla legge di Nre del 2001.
45 Della vasta portata delle discussioni è stato dato conto ampiamente anche dalla stampa , cfr. sul punto Etats-Unis et Europe repondent à la crise financière en ordre dispersé. Patrons, sybdacalistes, politiques, experts explorent d’innombrables pistes de réflexion, Le Monde 21 septembre 2001, p.18.
46 Secondo l’indicazione contenuta nel rapporto «un administrateur est indépendant lorqu’il n’entretient aucune relation de quelque nature que ce soit avec la société, son groupe ou
sa direction, qui puisse compromettre l’exercice de sa liberté de jugement».
182
nunciare a prestare attività di consulenza a favore della medesima società
presso la quale si svolge il ruolo di revisori, la predeterminazione degli onorari47; la qualità dell’informazione finanziaria e l’importanza delle norme e
delle pratiche contabili.
È allo studio poi, proprio in questi mesi, la presentazione di un progetto di legge48 che riorganizzi e razionalizzi le autorità di controllo francesi, in particolare istituendo un’unica Autorità di controllo sui mercati finanziari (l’Autorité des Marchés Financiers) che accorpi le competenze oggi attribuite alla Commision des Operations de Bourse (Cob) e al Conseil
des Marchés financiers, e prevedendo una cooperazione più stretta tra le
autorità di controllo del settore bancario e del settore assicurativo49. In questa ottica, il Ministro dell’economia e delle finanze, Francis Mer, ha affidato a Michel Prada (ex presidente della Cob) il compito di coordinare una
vasta riflessione, su scala internazionale, sulla trasparenza finanziaria e il
controllo dei mercati, anche al fine di dare alla Francia i mezzi per porre
questo tema al centro della discussione del G8, di cui la Francia assumerà
la presidenza per un anno dal gennaio 2003. È prevista la presentazione di
un primo rapporto prima della fine dell’anno e la redazione di un rapporto definitivo nel corso del 200350.
Germania
Il legislatore tedesco è recentemente intervenuto sulla materia del diritto societario e finanziario, con l’intento, più volte dichiarato, di creare
una maggiore trasparenza del mercato. Non si è seguito tuttavia un approccio sistematico, ma gli interventi legislativi, così come le proposte di
riforma, sono stati caratterizzati dall’assenza di organicità: si sono disciplinate, o si propone di disciplinare, specifiche questioni, settore per settore, spesso in ragione di istanze politiche contingenti.
Un primo importante intervento risale al 1998, con l’adozione della c.d.
KrontraG («legge sul controllo e la trasparenza»), con la quale si è voluta
soprattutto incrementare la trasparenza dei rapporti fra consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat) e consiglio di amministrazione (Vorstand) delle società per azioni. Si è reso inoltre più efficace il controllo del primo organo
sul secondo, imponendo più puntuali obblighi di informazione del Vorstand
all’Aufsichtsrat. Si sono disciplinate con maggior rigore le cause di incompatibilità ed il divieto di cumulo di cariche societarie. Sono state quindi introdotte misure atte ad assicurare l’imparzialità dei revisori esterni, modi-
47 Su questo punto il Gruppo di lavoro si è richiamato sia alle conclusioni raggiunte dal
Comité d’éthique del Medef, presieduto da René Barbier De La Serre, sia alle raccomandazioni formulate in precedenti rapporti diffusi da un gruppo di lavoro composto da esperti nominati dal Cncc e dalla Cob.
48 Nel corso della precedente legislatura era già stato presentato un progetto di legge,
nella sostanza ripreso dal Governo attuale, elaborato proprio allo scopo di razionalizzare le
funzioni degli organi di controllo sui mercati finanziari e sulle banche ed assicurazioni. Si
trattava del Projet de loi n.2920, onzième législature, presentato dal Governo Jospin all’Assemblée Nationale il 7 febbraio 2001; il progetto, che pure era stato oggetto di ampia discussione, non è stato poi approvato ed è decaduto al termine della passata legislatura.
49 In particolare su questo punto il precedente progetto di legge mirava a concentrare le
competenze consultive in seno ad un nuovo organo comune, il Conseil national des assurances, du crédit e du titre, e a regolamentare i due settori secondo comuni orientamenti, creando vari modi di cooperazione e prevedendo, in particolare, la messa in comune di cinque dei
loro membri, delle sedute congiunte e lo sviluppo di cooperazione tra i loro servizi.
50 Sono proprio di questi giorni alcune dichiarazioni del Ministro Mer che esprimono un
orientamento verso un rafforzamento del ruolo dell’assemblea dei soci nell’ambito del governo societario, oltre che l’istituzione di un’Autorità di controllo esterna alle professioni contabili, il Conseil supérieur du commissariat aux comptes (Le Monde, 14 novembre 2002).
183
ficando il meccanismo di nomina degli stessi (non più ad opera del Vorstand, bensì dell’Aufsichtsrat) e prevedendo delle rotazioni obbligatorie delle persone fisiche incaricate della revisione.
Quest’anno, dopo lunghe discussioni avviatesi sin dal 2000 con la pubblicazione dei lavori della commissione governativa incaricata di studiare
la CG (Regierungskommission Corporate Governance), è stato approvato un
nuovo codice volontario per l’amministrazione delle società. Il Kodex segue
il modello anglosassone «comply or explain», in virtù del quale le società,
pur rimanendo libere di discostarsi dalle regole di governance previste dal
codice, hanno l’obbligo di dichiarare le ragioni della scelta. Il Kodex persegue essenzialmente due finalità: incrementare il flusso di informazioni da
porre a disposizione degli investitori e dettare una serie di regole di condotta nella amministrazione della società (best practice rules). Sono state
individuate tre categorie di raccomandazioni in relazione ai soggetti destinatari delle medesime: il Vorstand, l’Aufsichtsrat e i revisori (Abschlussprüfer).
Non sono state previste dirette sanzioni per l’ipotesi di violazioni delle regole dettate dal Kodex: questa carenza viene generalmente giudicata
come un punto di forte debolezza del codice. Rimane tuttavia aperta la questione se, e in che misura, la violazione delle regole di condotta imposte dal
codice possa comunque costituire criterio di valutazione della diligenza nei
giudizi di responsabilità contro i componenti del Vorstand, dell’Aufsichtsrat
e dei revisori.
Un altro recente intervento legislativo è la nuova legge sulle acquisizioni (WpÜG), entrata in vigore il 1° gennaio 2002 ed ispirata in larga misura al Takeover Code britannico. La legge ha suscitato un ampio dibattito, poiché il dichiarato obiettivo politico era la difesa degli assetti proprietari preesistenti51. I tre punti di maggior rilievo disciplinati dalla WpÜG
sono gli obblighi del Vorstand prima e dopo la pubblicazione dell’offerta pubblica di acquisto, la disciplina dell’offerta pubblica di acquisto stessa e quella dello squeeze-out dei soci di minoranza la cui partecipazione non superi,
nel complesso, il 5% del capitale (lo squeeze-out è stato così introdotto per
la prima volta in Germania).
Si è osservato da più parti che la WpÜG si pone in controtendenza rispetto al modello europeo prevalente, consentendo — in via generale — l’adozione di strategie difensive del management per contrastare scalate ostili, senza peraltro che agli azionisti venga riservato un effettivo potere di direzione e controllo sulla politica del Vorstand52.
51 Ne è riprova anche il processo che ha condotto all’emanazione della legge. In un primo
momento, il Governo tedesco aveva deciso di soprassedere in attesa della definitiva emanazione della direttiva comunitaria. Il ritardo della direttiva e, soprattutto, nella primavera del 2000,
l’acquisizione di Mannesmann da parte del gruppo inglese Vodafone hanno convinto il legislatore ad accelerare i tempi di discussione ed emanazione della WpÜG. Un ulteriore incentivo
alla immediata conclusione del procedimento legislativo è inoltre venuto dalla riforma fiscale
del Governo Schröder che avrebbe consentito alle società di conseguire capital gains dalla cessione delle partecipazioni in esenzione di imposta, il che prospettava appunto la possibilità che
molti tra gli istituti di credito e compagnie assicurative avrebbero provveduto a dismettere partecipazioni in società tedesca al fine di beneficiare del vantaggio fiscale.
52 Condizione per l’attuazione di strategie difensive da parte del Vorstand è l’ottenimento
dell’autorizzazione da parte del consiglio di sorveglianza (l’Aufsichtsrat), il quale dovrà vigilare
che tali misure non siano dannose per la società. È anche previsto che l’assemblea dei soci possa preventivamente autorizzare gli amministratori, per i diciotto mesi successivi, ad adottare
misure difensive contro opa ostili, pur in assenza, in quel momento, di un’offerta. La deliberazione deve essere assunta con una maggioranza particolarmente elevata (75% del capitale).
184
Il 1° maggio 2002 è stata istituita un’autorità federale di controllo (BAFin) che riunisce in un’unica istituzione, articolata in tre dipartimenti, talune competenze in materia di vigilanza precedentemente suddivise tra autorità di vigilanza nel settore bancario (Bundesaufsichtsamt für das Kreditwesen), assicurativo (Bundesaufsichtsamt für das Versicherungswesen) e
mobiliare (Bundesaufsichtsamt für den Wertpapierhandel). Il legislatore tedesco, in considerazione del fatto che spesso i medesimi soggetti operano
contemporaneamente nei tre settori, ha scelto di accentrare i poteri di ispezione e controllo al fine di rendere più efficace la vigilanza a tutela degli
investitori.
Infine, occorre ricordare che il programma elettorale del governo Schröder, che ha prevalso nelle ultime recenti elezioni, comprendeva un decalogo di proposte di riforma del mercato finanziario (il decalogo è stato pubblicato il 28 agosto 2002), al fine di garantire la verità dei bilanci e, più in
generale, delle informazioni economiche diffuse sul mercato.
Fra le proposte di maggior rilievo, si segnala quella di introdurre la responsabilità individuale dei componenti dell’Aufsichtsrat e del Vorstand nei
confronti degli investitori per la diffusione di informazioni false o ingannevoli (es. mediante interviste e discorsi pubblici). Si tratterebbe di una novità rispetto al sistema vigente, che prevede solo una responsabilità collegiale degli organi societari. Sempre in tema di responsabilità, si intende
agevolare la proposizione di azioni di risarcimento per i piccoli azionisti,
abbassando la percentuale della partecipazione sociale che è condizione per
l’esercizio dell’azione (dal 5% al 1%). È inoltre allo studio della Regierungskommission Corporate Governance la proposta di introdurre azioni collettive di risarcimento del danno sul modello delle class-actions statunitensi.
Al fine di assicurare una maggiore trasparenza, il programma elettorale prevedeva altresì di incrementare i poteri della BAFin e di creare una
agenzia ad hoc, dotata di poteri ispettivi con il compito di verificare la correttezza dei bilanci delle società sospettate di aver manipolato le informazioni contabili. Nelle intenzioni, l’agenzia potrà avviare ispezioni anche sulla base di informazioni acquisite nell’ambito di procedimenti su altre società.
Inoltre, per garantire la sicurezza degli investimenti si intende subordinare l’esercizio dell’attività di rating al possesso di requisiti rigorosi. Competente al rilascio dell’autorizzazione sarebbe la BAFin.
In parallelo, il governo si propone di inasprire le sanzioni penali per i
reati finanziari ed in particolare per il falso in bilancio. La proposta prevede anche l’introduzione di una responsabilità penale a titolo di colpa, alla luce della difficoltà di provare il dolo.
Regno Unito
Sulla base delle esigenze di maggior snellezza, semplificazione e flessibilità manifestate dagli operatori, sin dal 1998 il Ministero dell’Industria
(Department of Trade and Industry) ha avviato lo studio per la riforma delle norme di diritto societario contenute nei Companies Acts del 1985 e 1989.
Le linee quadro del programma di intervento sono state presentate in un
documento pubblicato nel marzo 1998 «Modern Company Law. For a Competitive Framework». Di lì a poco è stata nominata una Commissione pilota (the Steering Group of the Company Law Review) che, a sua volta, ha
nominato vari gruppi di lavoro incaricati di occuparsi di singoli argomenti. La composizione dello Steering Group e dei gruppi di lavoro è stata eterogenea: ne hanno fatto parte rappresentanti del governo, del mondo dell’industria, degli investitori istituzionali, professori universitari, avvocati,
185
giudici. Lo Steering Group ha pubblicato, nel febbraio 2000, la sua Relazione finale (Consultation document on «The Strategic Framework») che individua i problemi cardine da affrontare e presenta i principi guida di riforma; nel luglio 2001 ha quindi presentato al Governo il «Final Report», in
cui sono raccolte le proposte di riforma53. Le risposte del governo alle proposte di riforma sono illustrate nel White Paper, pubblicato nel luglio 2002.
Entro il 30 novembre 2002 dovranno essere presentati eventuali opinioni,
pareri etc. sul White Paper. Dall’inizio del 2003 comincerà in Parlamento
l’iter di discussione ed approvazione del disegno di legge che dovrebbe concludersi entro l’estate del 2004.
Dai lavori dello Steering Group sono emerse esigenze di ammodernamento e semplificazione della disciplina soprattutto per quanto riguarda la
private company, modello a ristretta base azionaria in cui proprietà e gestione coincidono, utilizzato dalla piccola e media impresa che costituisce,
in Gran Bretagna, l’ossatura economica predominante. In generale, si propone di modificare l’attuale struttura dei Companies Acts disciplinando la
private company come prototipo e prevedendo, ove necessario, le deroghe
destinate alla public company. Il principale problema emerso presso gli operatori è difatti di tipo ermeneutico: la struttura dei Companies Acts è risultata eccessivamente complessa e frammentaria soprattutto per la private company. Nella prospettiva della semplificazione e della flessibilità la
riforma propone inoltre, per questo tipo societario: l’abolizione del capitale
minimo, un unico documento costitutivo (che sostituirà l’atto costitutivo e
lo statuto), l’abolizione dell’organo assembleare e dell’obbligo di nominare
un secretary, l’adozione di delibere con decisioni scritte senza necessità di
riunione, la semplificazione della disciplina contabile con un ampliamento
dei casi di redazione del bilancio in forma abbreviata ed una riduzione dei
casi in cui è obbligatorio nominare un revisore esterno.
Per quanto riguarda il modello societario a larga base azionaria, la public company, talune novità riguardano la tutela dei creditori sociali. In caso di riduzione del capitale sociale, i creditori sociali non potranno più usufruire del diritto di opporsi; alla società basterà presentare una dichiarazione di solvibilità per potere procedere alla riduzione. Nella stessa ottica,
per quanto riguarda le operazioni di finanziamento da parte della società
per l’acquisto di azioni proprie, è prevista una loro liberalizzazione.
A proposito dei diritti della minoranza, la riforma accoglie l’interpretazione della House of Lords che ridimensiona l’ambito di applicazione della Section 459 del Companies Act 1985 — il c.d. unfair prejudice remedy —
così da evitarne l’esercizio a fini strumentali e ricattatori. Questo rimedio,
secondo l’attuale lettera della legge, può essere esperito se gli amministratori conducono la gestione della società pregiudicando gli interessi di una
parte dei soci a vantaggio di un’altra o quando, comunque, un atto già commesso o proposto, oppure una sua omissione, può pregiudicare gli stessi interessi. Già in alcune recenti sentenze54 si è chiarito che il rimedio può esperirsi solo in caso di inadempimento di obblighi contenuti nell’atto costitutivo o in patti parasociali, o di promesse (promises) che, pur prive di forza
giuridicamente vincolante, la maggioranza non può verosimilmente ignorare a tutela dell’affidamento generato. Parallelamente alla restrizione del53 Tutti i documenti di lavoro citati da ora in poi sono reperibili sul sito del governo inglese all’indirizzo http://www.dti.gov.uk.
54 Re Saul D. Harrison & Sons Plc (1995) 1 B.C.L.C. 14; O’Neill v. Phillip (1999) 1 W.L.R.
1092.
186
l’unfair prejudice remedy, tuttavia, la riforma propone la codificazione della derivative action, ovvero dell’azione di responsabilità contro gli amministratori che anche il singolo socio può esercitare per conto della società in
caso di inerzia del consiglio di amministrazione o dell’assemblea.
Elemento chiave della riforma in un’ottica di CG è la definizione dell’interesse sociale quale risulta dall’individuazione del contenuto degli obblighi di gestione degli amministratori. Le istanze avanzate dall’opinione
pubblica negli ultimi anni di concepire la società come stakeholders’ company55 sono state recepite solo parzialmente. L’interesse sociale corrisponde
all’interesse dei soci intesi come classe: obbligo principale degli amministratori è di «promuovere il successo della società a beneficio dei suoi soci
complessivamente considerati». Nel perseguire il successo della società gli
amministratori devono tuttavia prendere in considerazione ogni fattore che
possa essere rilevante e praticabile a questo fine. Il progetto di riforma si
spinge ad identificare i fattori da prendere in considerazione che sono: «le
conseguenze di breve e lungo periodo»; «la necessità di potenziare i rapporti d’affari della società con i dipendenti, i fornitori, i clienti»; «l’impatto delle operazioni sociali sulla comunità e sull’ambiente»; «la reputazione nella
condotta degli affari»; «il raggiungimento di risultati equi tra i soci». Pertanto gli obblighi di gestione (di loyalty, obedience, independence, avoidance
of conflict of interest, fairness between members, care, skill and diligence) da
valutarsi, ai fini della responsabilità, secondo uno standard sia soggettivo
che oggettivo, devono essere perseguiti in via primaria a beneficio degli azionisti che sono i soli legittimati ad agire in caso di inadempimento. Gli altri
stakeholders potranno far valere un’eventuale violazione non in base al diritto societario ma secondo quanto previsto nelle varie leggi poste a loro tutela. Di ampliamento della «responsabilità pubblica» della società verso la
comunità può parlarsi solo dal punto di vista della trasparenza: la riforma
propone l’introduzione, per le società economicamente più significative, dell’obbligo di redigere l’Operating and Financial Review (Ofr), che informi oltre che sull’andamento degli affari e sulle prospettive future della società,
sui rapporti che gli amministratori intrattengono con i vari stakeholders per
promuovere il successo della società. L’Ofr sarà soggetto a certificazione.
Contemporaneamente a questa iniziativa legislativa, il Secretary of State for Trade and Industry ed il Chancellor of the Exchequer hanno nominato alcuni esperti incaricati di esaminare due ulteriori aspetti della disciplina societaria.
Mr. Derek Higgs (nota personalità con esperienze manageriali e di investimento nelle maggiori società della City) è stato incaricato nell’aprile
2002 di occuparsi del ruolo effettivamente svolto nella pratica societaria e
finanziaria dai non-executive directors. Higgs ha pubblicato un documento
di consultazione il 7 giugno 2002 (Consultation Paper on «Review of the role and effectiveness of non-executive directors») in cui vengono sollecitati commenti ed osservazioni su vari punti nodali della disciplina dei non-executi55
La concezione della società come stakeholders’ company, che si contrappone alla shareholders’ company, prefigura la società per azioni come il centro su cui convergono gli interessi di tutti coloro che con l’impresa vengono a contatto, quindi non solo gli azionisti, apportatori del capitale, bensì anche coloro che tradizionalmente vengono ritenuti «terzi» rispetto
alla società medesima: i creditori, i lavoratori e, in senso ampio, la comunità circostante entro la quale la società esercita la propria attività d’impresa. L’accoglimento della stakeholders’
company nel diritto societario, di cui in Gran Bretagna si rinviene traccia nel Codice di Condotta elaborato dalla Hampel Committee, indurrebbe un diverso articolarsi dei doveri degli
amministratori, attenti non solo agli interessi del capitale (dei soci), bensì anche agli interessi
di tutti gli altri stakeholders che convergono sulla società.
187
ves directors sia con riferimento allo status quo che in una visione prospettica (ruolo, competenze, struttura e responsabilità, rapporti con azionisti e terzi, supporto, valutazione del loro ruolo nelle società quotate di piccole dimensioni). La Relazione finale è attesa entro la fine del 2002.
Inoltre, a seguito dei recenti fallimenti delle società statunitensi WorldCom ed Enron, sono stati avviati lavori di verifica della regolamentazione
vigente in materia di contabilità e revisione. Il gruppo di lavoro Co-ordinating Group on Audit and Accounting Issues, composto da rappresentanti
del governo, della Financial and Services Authority e di vari organismi di
categoria, ha pubblicato un Rapporto preliminare il 24 luglio 2002 cui il Secretary of State ha dato risposta pubblicando nell’ottobre 2002 un documento consultivo (Consultation Document on «Review of the Regulatory Regime of the Accountancy Profession») che identifica gli aspetti che un’eventuale riforma del settore dovrebbe affrontare: indipendenza dei revisori, ruolo ed efficacia degli audit committees all’interno dei consigli di amministrazione, obbligo di rotazione anche per i senior members delle società di
revisione e riduzione del periodo di rotazione da 7 a 5 anni, possibilità di
svolgere attività diverse dalla revisione, trasparenza su struttura e pratiche seguite, vigilanza e rispetto degli standards etici, struttura, organizzazione e responsabilità dei vari organismi di categoria.
Spagna
188
In Spagna il 2002 è stato un anno di discussione e di progetti di riforma, che tuttavia non si sono ancora tradotti in un testo normativo definitivo.
Un primo dibattito verte sul c.d. Codice Olivencia, un codice etico per
le imprese approvato nel 1997 da una commissione parlamentare ad hoc
(Comisiòn Olivencia).
Il codice, realizzato sulla base di una serie di studi e inchieste sul mercato di borsa e su società quotate, si compone di 23 raccomandazioni, rivolte in larga misura all’operare del consiglio di amministrazione. Si segnalano le raccomandazioni volte ad assicurare la presenza nel consiglio di
amministratori indipendenti e ad evitare cumuli di incarichi e conflitti di
interesse.
Il Codice Olivencia ha tuttavia carattere volontario e un recente studio dell’Autorità spagnola di controllo sulla borsa (Cnmv) dimostra che esso è stato adottato da un numero molto esiguo di società. Conseguentemente, nel luglio 2002, è stata istituita una commissione di esperti con il
compito di elaborare delle misure di riforma del Codice Olivencia. I lavori
della Commissione saranno pubblicati entro la fine dell’anno; nel corso dei
lavori la questione più dibattuta concerne l’opportunità di mantenere, o meno, il carattere volontario del Codice.
Un progetto di riforma di ampio respiro riguarda poi la disciplina del
mercato finanziario. Inizialmente detto progetto concerneva solo la revisione contabile, ma ha oggi assunto una dimensione di portata notevolmente
più ampia. Il progetto di legge è stato approvato al Senato il 23 ottobre
2002 e si prevede che possa diventare definitivo con l’approvazione della
Camera entro il mese di novembre.
Il progetto di legge riforma in parte la legge 24/1988 sul mercato finanziario (Mercado de Valores) e la legge sui revisori contabili 19/1988 (Auditorìa de Cuentas). In particolare, si segnalano le seguenti proposte:
— istituzione di una nuova autorità amministrativa, ausiliaria al
Cnmv, denominata «Comisionada para la Defensa del Inversor», con la competenza specifica di assistere gli investitori;
— obbligo per le società di intermediazione di istituire un dipartimento
competente per i reclami e l’assistenza dei clienti;
— rafforzamento delle sanzioni in capo all’impresa per mala gestio,
qualora essa metta in pericolo la solvibilità dell’ente;
— viene definita l’»informazione privilegiata» e si prevedono misure
volte a conservarne l’integrità;
— si impone alle società che operano sul mercato finanziario la creazione di «muraglie cinesi» tra le singole divisioni delle società che svolgono
attività potenzialmente in conflitto;
— si estendono i requisiti di onorabilità e professionalità agli amministratori di società;
— si attribuiscono poteri ispettivi e di controllo più ampi alla Cnmv;
infine, viene riformata quasi integralmente la disciplina applicabile ai revisori contabili, rafforzando il regime di incompatibilità e di sanzioni, modificando il regime della responsabilità della società di revisione, prevedendo
una responsabilità solidale del solo soggetto incaricato della revisione e della società (ma non di tutti gli associati) e riformando anche l’accesso alla
professione.
Unione
europea
Numerose sono le iniziative che, a livello comunitario, si susseguono
nell’ambito del diritto societario.
La prima iniziativa che merita di essere segnalata è l’adozione nel maggio 2002, da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio, del Regolamento
che impone alle società quotate, a partire dal 2005, di utilizzare i principi
contabili internazionali nella redazione dei propri conti consolidati. Si tratta di misura che ha certamente il pregio di rendere maggiormente omogenea ed uniforme la rappresentazione dei patrimoni aziendali e l’informazione finanziaria che si rende conseguentemente disponibile al pubblico degli investitori, così da contribuire ad una sempre maggiore integrazione del
mercato dei capitali in Europa.
Il Regolamento necessita ancora di attuazione da parte della Commissione la quale è chiamata ad individuare i singoli principi contabili internazionali che dovranno essere utilizzati previa verifica della loro compatibilità con il diritto societario europeo; tra i tanti progetti e discussioni in
corso, esso ha tuttavia il merito di costituire un dato legislativo già esistente, pur con efficacia differita al 2005.
Le altre iniziative che, a livello comunitario, merita segnalare sono invece ancora allo stadio pre-legislativo o di studio.
Un importante studio, soprattutto per le linee di riforma che traccia, è
contenuto nei documenti dell’High level group of company law experts diffusi nel gennaio e nell’aprile 2002 e, da ultimo, agli inizi del mese di novembre. Essi indicano, da un lato, i principi per la riforma del diritto societario europeo, dall’altro le linee guida per la disciplina europea delle offerte pubbliche di acquisto e scambio, linee guida che hanno poi indotto la
redazione dell’ultima versione di proposta di XIII Direttiva.
Per quanto riguarda la disciplina delle società il documento dell’High
level group affronta in primo luogo i problemi generali di metodo (quali sono gli scopi dell’intervento riformatore, la scelta dei tipi societari, l’impatto delle nuove tecnologie informatiche sui meccanismi di decisione societaria), per poi dedicarsi all’analisi di specifiche problematiche di diritto societario (CG, assemblea, gruppi di società).
L’orientamento è verso un intervento di regolamentazione disegnato su
189
più livelli: una disciplina primaria contenente i concetti generali e le previsioni di principio (affidata alle direttive); una legislazione secondaria, che
dia attuazione e regola ai profili tecnici della disciplina; un terzo livello di
disciplina affidato all’autoregolamentazione.
Una tematica importante emersa dal documento è quella dell’opportunità di una disciplina differenziata in funzione di tre tipologie societarie: a)
le società con azioni quotate; b) le società «aperte», non quotate ma con caratteristiche strutturali (proprietà azionaria diffusa) e organizzative (libera trasferibilità delle azioni) idonee alla quotazione; c) le società «chiuse» a
ristretta base azionaria.
Nelle società quotate e in quelle «aperte», in considerazione del loro potenziale accesso al risparmio diffuso, la tutela degli interessi dei creditori
e dei soci è affidata a disposizioni inderogabili. Viene invece proposto, per
le società «chiuse», un regime di semplificazione e di delega all’autonomia
privata in merito alla scelta della struttura organizzativa interna e alla disciplina dei diritti e delle responsabilità dei partecipanti.
In particolare sulla CG si è messa in evidenza la necessità di una completa informazione in ordine alle strutture organizzative e al funzionamento
dei meccanismi di governance delle singole società, ivi compresa l’informazione relativa ai compensi degli amministratori (anche per le società aperte sebbene non quotate). L’intendimento di una tale previsione è quello di
consentire lo sviluppo di un meccanismo selettivo di mercato in grado di
premiare le imprese che presentino sistemi più efficienti di governo societario. Per rendere effettivi gli strumenti di tutela delle minoranze si è proposto di legittimare una minoranza qualificata a presentare istanza presso
l’autorità giudiziaria o amministrativa al fine di attivare speciali procedure ispettive. Allo scopo di coniugare l’esigenza di libertà di gestione da parte del management e l’esigenza di tutela dei creditori si è prospettata, altresì, l’opportunità di introdurre una responsabilità civile degli amministratori per protratta gestione dell’impresa in stato di insolvenza seguendo
gli esempi di istituti già diffusi in Francia, in Belgio e in Germania.
Per quanto riguarda il diritto di informazione degli azionisti e la disciplina del funzionamento dell’assemblea, si è rilevato che allo stato attuale la disciplina legislativa non favorisce la partecipazione degli azionisti al dibattito assembleare e disincentiva eventuali interventi volti a vigilare sull’attività degli amministratori. Da queste premesse ci si è resi conto della necessità di facilitare i processi di informazione preassembleare (si
potrebbe ipotizzare la predisposizione obbligatoria presso i siti web di spazi dedicati all’informazione preassembleare, quali avvisi di convocazione, documentazione richiesta dalla legge, comunicati del board e chat room che
favoriscano la comunicazione tra gli azionisti) e, allo stesso tempo incentivare l’intervento in assemblea (tenuta anche «virtuale» dell’assemblea con
la previsione del voto elettronico o mediante proxy voting).
L’auspicio per la realizzazione di queste linee di riforma è stato sottolineato e ribadito nel Final Report diffuso il 4 novembre scorso. Si è affermata ancora una volta l’esigenza di utilizzare al meglio il progresso tecnologico per facilitare ed agevolare il coinvolgimento degli azionisti (diffusione di informazioni, esercizio del voto, etc.)56. Al tempo stesso si è indicata
56
Una misura importante che si propone è quella di rendere trasparente il voto esercitato dagli investitori istituzionali (fondi comuni di investimento, fondi pensione, gestori, etc.)
nelle assemblee delle società cui partecipano. In tal modo i beneficiari di detti investitori istituzionali avrebbero modo di verificare in che modo la loro partecipazione «mediata» (attraverso, appunto, l’investitore istituzionale) nelle diverse società viene amministrata.
190
chiaramente la necessità che, quale che sia il modello di amministrazione
adottato (unitario o dualistico), le decisioni di amministrazione reputate di
maggior sensibilità rispetto a situazioni di conflitto di interessi siano affidate a non-executive directors57 (o, ove s’adotti il modello dualistico, al consiglio di sorveglianza): si tratta, in particolare, delle decisioni relative alle
proposte di nomina di amministratori, alla remunerazione del management,
nonché al controllo della contabilità della società. Un aspetto di particolare delicatezza è individuato nella politica di remunerazione del management. Essa andrebbe sempre e comunque discussa in sede assembleare,
mentre una dettagliata e analitica informativa in proposito andrebbe fornita in sede di bilancio. Inoltre, laddove la remunerazione del management
avvenga attraverso piani di stock option, si ritiene opportuno che essi siano comunque approvati dai soci e che si dia una chiara e completa rappresentazione del loro costo per la società.
Il Final Report, in considerazione delle notevoli differenze esistenti tra
i singoli ordinamenti relativamente ai sistemi di governance, non ha ritenuto perseguibile l’introduzione di un codice di CG armonizzato a livello
europeo. In questo contesto, è sembrato più opportuno proporre che ogni
Paese predisponga, nei modi più adeguati all’ordinamento in cui si inserisce, un codice di condotta cui le società quotate debbano uniformarsi (o motivare le ragioni che inducono la mancata uniformazione), salvo riportare a
livello europeo il coordinamento tra i diversi codici adottati attraverso procedimenti di consultazione in cui siano attivamente coinvolti tutti gli operatori del mercato.
Per quanto riguarda le offerte pubbliche di acquisto, nel gennaio 2002
l’High level group of company law experts aveva presentato alla Commissione Europea il primo Rapporto di studio contenente linee guida per l’armonizzazione della disciplina.
Il rapporto si concentra su tre aree tematiche: la creazione di un «level playing field» in grado di assicurare, in ambito Ue, tanto ai soggetti offerenti, quanto agli azionisti delle società le cui azioni siano oggetto di offerta, pari opportunità in merito al buon esito di un’offerta e alle condizioni di svolgimento della stessa; la definizione del prezzo equo da offrire agli
azionisti di minoranza in caso di offerta obbligatoria; la previsione di diritti
di squeeze-out e sell-out.
La Commissione, tenendo conto delle raccomandazioni contenute nel
Rapporto, pur senza voler compromettere i principi fondamentali che erano stati approvati all’unanimità nella posizione comune del Consiglio del
19 giugno 2000, ha presentato una nuova proposta di direttiva il 2 ottobre
2002. Tale proposta pone in essere un quadro giuridico per le acquisizioni
di società in Europa, rafforzando la certezza giuridica delle operazioni di
offerte pubbliche d’acquisto transfrontaliere e offrendo un livello di protezione adeguato agli azionisti di minoranza di tutta l’Unione in caso di trasferimento del controllo una società.
Il Parlamento aveva infatti respinto, nel luglio 2001, la precedente proposta della Commissione, affermando che essa non assicurava un «level
playing field» rispetto agli Stati Uniti; che la protezione per i dipendenti
delle società coinvolte in un’offerta pubblica di acquisto era insufficiente e
rifiutando infine il principio secondo il quale gli amministratori di una società emittente, per adottare misure di difesa contro un’offerta ostile, de57
I non-executive directors sono amministratori senza alcuna delega gestionale o opera-
tiva.
191
vono ottenere preventivamente l’autorizzazione degli azionisti dopo il lancio di tale offerta.
La nuova proposta di direttiva definisce i principi fondamentali e un
numero limitato di requisiti generali, consentendo così agli stati membri di
emanare norme dettagliate.
La proposta prevede, in tutta l’Ue, un livello minimo di protezione per
gli azionisti. Il regime attualmente vigente negli stati membri, infatti, non
è assolutamente equivalente. Alcuni permettono al consiglio di amministrazione della società bersaglio di adottare misure difensive in caso di opa
ostile senza avere l’autorizzazione preventiva degli azionisti, o permettono
agli azionisti di dare al consiglio di amministrazione l’autorizzazione ad
adottare tali misure per un certo periodo; altri Stati non impongono all’acquirente di estendere la sua offerta a tutti gli azionisti in caso di trasferimento del controllo.
La combinazione della maggiore trasparenza con la non opponibilità di
misure che possano dare luogo ad una protezione ingiustificata del management contribuisce notevolmente al «level playing field» senza, peraltro,
compromettere la posizione competitiva delle imprese europee rispetto a
quelle delle imprese americane. La possibilità di revisione contenuta nell’art. 18 della proposta di Direttiva permetterà, inoltre, di verificare se, a
tal fine, siano necessarie ulteriori iniziative correttive.
La proposta mantiene intatto il principio secondo cui spetta agli azionisti pronunciarsi sulle misure di difesa una volta che l’offerta sia stata resa
pubblica e impone altresì una maggiore trasparenza di quegli assetti strutturali della società che possano spiegare effetti difensivi in caso di opa (ad
esempio, la sussistenza di particolari clausole statutarie), prevedendo l’obbligo per le società di dare informazione, ad esempio in sede di allegati al bilancio, relativamente a quei meccanismi che potrebbero ostacolare l’assunzione e l’esercizio del controllo della società da parte di un possibile offerente. Viene inoltre proposto che tutti gli azionisti si pronuncino ogni due anni
su tali misure strutturali e meccanismi di difesa, e che l’organo di amministrazione li giustifichi. Si prevede, poi, che le restrizioni in materia di trasferimento dei titoli e le restrizioni al diritto di voto (ad esempio la determinazione di massimali di partecipazione o le restrizioni alla trasferibilità
delle azioni, o le restrizioni che influiscono sull’esercizio dei diritti di voto o
sul voto differito) siano inopponibili all’offerente o cessino di produrre effetti una volta che un’offerta pubblica di acquisto sia stata resa pubblica.
La proposta di direttiva stabilisce altresì i criteri per determinare quale sia l’autorità competente per vigilare sull’offerta e quale la legislazione
applicabile in caso di opa transfrontaliere (art. 4), definisce la nozione di
prezzo equo da pagare in caso di offerta obbligatoria (art.5) e introduce una
procedura di squeeze-out. Simmetricamente, si regola la procedura di sellout prevedendo in capo ai soci di minoranza, al superamento di una certa
soglia di partecipazione da parte dell’azionista di controllo a seguito di un’opa, il diritto di vendere le proprie azioni. Resta, infine un richiamo all’acquis comunitario relativo ai diritti dei lavoratori dipendenti delle società
interessate all’offerta.
Conclusioni
192
Negli Stati Uniti i recenti casi di crisi e frodi nel mercato finanziario
sono stati attribuiti, dopo attenta analisi, ad una carenza nei sistemi di
controllo sull’informazione societaria. Non si è pertanto ravvisata, se non
marginalmente, l’esigenza di modificare gli standards di rappresentazione
contabile del patrimonio aziendale, bensì più opportunamente l’intervento
correttivo si è concentrato sul garantire la veridicità della rappresentazione attraverso il rafforzamento degli standard di comportamento (e le relative responsabilità) di chi quella veridicità deve assicurare (management,
audit committees, revisori).
In Europa sembra invece mancare un filo conduttore comune, sia a livello dei singoli paesi che a livello comunitario. Gli interventi di riforma
che si propongono, pur volendo tutti tendere ad assicurare l’efficienza del
funzionamento societario e del mercato dei capitali, si caratterizzano per la
pluralità dell’approccio, con esiti, spesso, altalenanti: intervento sui sistemi
di governo e amministrazione (cfr. proposta di V direttiva), intervento sugli
assetti proprietari e di controllo (cfr. proposta di XIII direttiva), adozione di
standards omogenei ed uniformi di rappresentazione del patrimonio aziendale, etc. Sembra tuttavia mancare quasi del tutto un approccio simile a
quanto avvenuto negli Stati Uniti, laddove si è giustamente osservato che
l’informazione, rectius la verità dell’informazione, è il pilastro su cui poggia
l’efficienza di qualsiasi mercato dei capitali.
In verità, è bene mettere in evidenza che, a differenza degli Stati Uniti, l’Europa, e così i singoli paesi europei, sono alla ricerca di un più preciso modello di equilibrio del mercato finanziario e dei capitali.
Negli Stati Uniti, come è noto, il sistema finanziario può essere efficacemente descritto come un sistema «orientato al mercato», laddove la raccolta
dei capitali da parte delle imprese vede in diretta concorrenza il risparmio
intermediato dal sistema bancario con il risparmio disponibile sul mercato
della raccolta diretta. Una immediata conseguenza è la particolare struttura
degli assetti proprietari delle imprese che si caratterizzano per l’ampio e
profondo orientamento verso il grande pubblico degli investitori i quali, in tal
modo, sopportano direttamente il rischio d’impresa delle società cui partecipano. In un tale sistema, il controllo sull’efficiente operare dei meccanismi
societari non può che avvenire attraverso strumenti di regolamentazione che
rafforzino e consolidino i meccanismi di funzionamento del mercato, in primo
luogo la trasparenza e le azioni di responsabilità per danni.
In Europa, invece, il sistema finanziario è tradizionalmente un sistema «intermediato», in cui il risparmio si indirizza verso i complessi produttivi attraverso la canalizzazione del sistema bancario e delle istituzioni
finanziarie. Ancora adesso, malgrado la certamente maggiore diffusione tra
il pubblico del possesso azionario, nella prospettiva dell’impresa che s’approvvigiona sul mercato finanziario, il mercato della raccolta diretta resta
un’articolazione del sistema bancario (rectius, del sistema di intermediazione), il quale, ad esempio attraverso i servizi di collocamento, offre all’impresa l’opzione di approvvigionarsi mediante raccolta diretta o intermediata. Questo, pur inducendo una sempre maggior rilevanza per il pubblico dei mercati azionari, spiega effetti in una fase di transizione di cui
non è ancora chiaro l’orientamento preciso, se sia verso il mantenimento di
un sistema intermediato o verso l’accoglimento di un sistema in cui, appunto, raccolta intermediata e raccolta diretta si pongano in diretta concorrenza tra loro.
Questa carenza di chiarezza negli obiettivi, o comunque la volontà di
gestire la transizione accompagnandola con una delicata, e non sempre facile nell’attuazione, opera di fine-tuning può dar ragione, pur in via solo
parziale, della disorganicità e frammentarietà degli interventi sulla disciplina societaria che si riscontra in Europa.
193
Al tempo stesso, la descritta diversità strutturale tra gli Stati Uniti e
l’Europa dell’assetto del mercato finanziario, pur nella tendenza verso la
convergenza derivante dalla globalizzazione dei mercati, deve mettere in
guardia da troppo facili rincorse verso istituti e meccanismi che ritrovano
una propria capacità ed efficacia inseriti in un certo tessuto culturale ed
economico, oltre che giuridico, ma che possono risultare totalmente avulse
dal sistema, e dunque inefficienti se non inutili, laddove non siano correttamente intese, riformulate e tradotte e adattate al contesto e al diritto nazionale.
Tab. 4.6 — Competenze dell’assemblea dei soci
(Previste per legge o generalmente previste statutariamente)
Emissione di
nuove azioni
Modifiche
statutarie
Usa
No
Competenza è degli amministratori,
nei limiti del capitale autorizzato in
statuto
Si
Si
È comune consentire agli amministratori la modifica delle c.d. bylaws, ovverosia le
regole di organizzazione interna
della società
Francia
Si
Si
Si
Si
Nel sistema dualistico, l’assemblea
nomina il Consiglio di Sorveglianza, il quale a sua
volta nomina il
Consiglio di Gestione
Germania
Si
Si
No
L’assemblea nomina il Consiglio di
Sorveglianza, il
quale a sua volta
nomina il Consiglio di Gestione
No
Si
Approvazione
del bilancio è
demandata al
Consiglio di
Sorveglianza
Regno Unito Si
Si
No
Non è obbligatoria
per legge, ma la
maggior parte degli statuti affida
la competenza all’assemblea dei soci
No
La legge prevede solo la
presentazione
del bilancio in
assemblea
No
Non è richiesto
per legge, ma è
comune sottoporla comunque all’approvazione dell’assemblea
Spagna
Si
Si
Si
Si
Si
Italia
Si
Si
Si
Si
Si
194
Nomina dell’organo
di gestione
Approvazione
del bilancio
Distribuzione
dei dividendi
No
No
Si
Tab. 4.7 — La disciplina delle Offerte Pubbliche di Acquisto
Nazione
Prezzo dell’offerta
Adozione di meccanismi
difensivi
- OPA preventiva obbligatoria sul
60% del capitale sociale quando si
voglia acquisire una partecipazione
superiore al 30% del capitale sociale.
- OPA obbligatoria successiva totalitaria quando il 30% venga acquisito a seguito di acquisti plurimi
sul mercato.
- OPA residuale, a carico di chiunque venga a detenere una percentuale superiore al 90%.
Prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi dodici mesi oppure quello più elevato pattuito
nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie.
Le misure difensive possono
essere adottate solo previa delibera autorizzativa dell’assemblea, con il voto favorevole di tanti soci che rappresentino almeno il 30% del capitale sociale (c.d. passivity rule).
- OPA preventiva e successiva obbligatoria al superamento della soglia del 30% del capitale sociale.
City Code on Takeovers and - OPA residuale quando si superi
Mergers
la quota del 90% del capitale so(per le società quotate)
ciale.
- L’offerente può subordinare la validità dell’offerta alla condizione
che le azioni acquisite a seguito
dell’offerta superino la metà del totale.
Il prezzo massimo pagato dall’offerente per le azioni della società bersaglio nei 12 mesi precedenti il periodo dell’offerta.
L’adozione di misure difensive
successive al lancio dell’offerta deve essere previamente
autorizzata dell’assemblea dei
soci.
Francia
Loi 2/07/1996
Reg. n. 2002-04
- OPA obbligatoria totalitaria se si
acquista più di un terzo della totalità delle azioni o se si verifica un
incremento nel possesso delle azioni pari almeno al 2% negli ultimi
12 mesi quando la quota detenuta
è compresa tra un terzo e la metà
della totalità delle azioni.
Il prezzo deve essere almeno pari al prezzo più elevato corrisposto nel periodo nel quale è maturato l’obbligo di lanciare l’offerta pubblica.
Le recenti disposizioni regolamentari ampliano l’elenco delle misure difensive esperibili a
condizione che vengano rispettati i principi di correttezza e
lealtà nei confronti degli azionisti.
Germania
Gesetz zur Regelung von offentlichen Angeboten zum
Erwerb von Wertpapieren
und von Unternehmensubernahmen - 20/12/2001
- OPA preventiva obbligatoria se si Il prezzo deve essere almeno paacquisisce il controllo (almeno il ri al più alto pagato nei tre me30% delle azioni con diritto di vo- si precedenti l’offerta.
to) della società bersaglio
L’adozione di misure difensive
è subordinata all’autorizzazione da parte del Consiglio di
Sorveglianza, che dovrà verificare che le stesse non siano
dannose per la società. L’assemblea dei soci (con una maggioranza del 75% del capitale
sociale) può autorizzare preventivamente gli amministratori ad adottare misure difensive nei diciotto mesi successivi.
Spagna
Ley n. 24/1998
- OPA preventiva obbligatoria se si
acquisisce il controllo (almeno il
25% delle azioni con diritto di voto
della società bersaglio.
- OPA totalitaria successiva nei casi di acquisto indiretto del controllo (ad es. acquisizione di una holding non quotata)
In caso di OPA totalitaria il
prezzo non può essere inferiore
al valore determinato grazie al
riferimento congiunto ai seguenti criteri:
- valore teorico contabile della
società
- valore di liquidazione della società
- quotazione media del titolo nel
semestre precedente l’offerta
È preclusa l’adozione di ogni
misura difensiva in pendenza
dell’offerta. La legge prevede
un generale obbligo di astensione in capo agli amministratori con riferimento ad ogni
operazione che determini un
conflitto tra i loro interessi e
quelli della società.
Stati Uniti
La normativa americana è
articolata su diversi livelli
(federale-statuale-regolamenti della SEC-statuti delle
società).
La Supreme Court ha stabilito che i singoli Stati possono regolare autonomamente
la materia delle OPA, a patto di non ostacolare il commercio interstatuale.
- Non sussiste un obbligo di offerta pubblica di acquisto.
- Il Williams Act (1934) contiene regole particolarmente restrittive in
tema di takeover bids, che vengono
derogate spesso dalle legislazioni
dei singoli Stati e dagli statuti delle società.
- In base al Williams Act l’offerente deve corrispondere a tutti
gli azionisti il prezzo più alto
eventualmente pagato ad altri.
- Altre regole a livello statale
(c.d. Fair Price Statutes) possono determinare il prezzo con
formule particolari in modo che
gli azionisti ricevano un prezzo
equo.
Numerosi meccanismi difensivi possono essere previsti all’interno degli statuti e quindi
adottati liberamente (cioè senza previa delibera assembleare) dagli amministratori.
La notevole libertà del management e la possibilità di difendersi dal lancio di offerte
ostili è stata controbilanciata
dal forte peso degli investitori
istituzionali e dalla possibilità
per gli azionisti di citare per
danni il management della società, qualora la gestione della stessa non si sia svolta in
accordo con gli interessi degli
azionisti.
Italia
Tuif (D. Lgs. n. 58/1998)
OPA obbligatoria
Inghilterra
Companies Act
195
4.4
La riforma della corporate governance in Italia
Introduzione
Il dibattito sull’adozione di nuove regole di CG si è sviluppato in maniera significativa in Italia negli ultimi anni ed ha dato luogo ad importanti interventi sia di tipo normativo che autoregolamentare. Sugli effetti
di questi interventi, tuttavia, dopo alcuni anni di applicazione ed anche alla luce dei recenti scandali finanziari negli Usa, si discute ampiamente. La
questione riguarda in particolare l’adeguatezza delle regole esistenti nel nostro paese in materia di governo societario e l’opportunità di apportarvi modifiche, eventualmente nella direzione di quelle adottate negli Stati Uniti.
L’occasione per un simile dibattito è altresì fornita dal processo di riforma
della disciplina delle società di capitali, attualmente in fase di definizione,
che mira a completare il quadro regolamentare delineato nel 1998 con l’adozione del Testo Unico sull’Intermediazione Finanziaria (Tuif) ed integrato dal Codice di Autodisciplina per le società quotate (c.d. Codice Preda), e
che, come si vedrà, potrebbe produrre importanti cambiamenti da un punto di vista della governance delle imprese italiane, quotate e non.
Il Testo Unico
per l’intermediazione
finanziaria
La regolamentazione italiana in tema di CG ha subito cambiamenti rilevanti nel corso degli anni più recenti. Un primo importante passo è stato compiuto con l’adozione del Tuif, avvenuta nel 1998, che ha significativamente ammodernato il panorama normativo in tema di disciplina delle
società quotate. Già nel 1997, tuttavia, la Consob aveva affrontato uno dei
temi centrali della CG, quello dei controlli societari, in una Comunicazione
indirizzata alle società quotate58, le cui indicazioni sono state poi in parte
seguite anche dal legislatore del Tuif.
Il Tuif ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di disposizioni
innovative in tema di disciplina sia degli intermediari che degli emittenti.
In particolare, a quest’ultimo riguardo, il Tuif ha profondamente riformato
le norme di diritto societario applicabili alle società quotate e quelle in tema di offerte pubbliche di acquisto.
58 Per quel che attiene al controllo sull’amministrazione, la Comunicazione sottolinea la
differenza tra amministratori delegati e amministratori sprovvisti di deleghe, attribuendo a
questi ultimi un dovere di vigilanza sull’operato dei primi, da realizzarsi anche attraverso richieste di informazioni, ed agli amministratori delegati un obbligo di informazione puntuale
nei confronti del consiglio di amministrazione.
La Comunicazione rivede anche le regole relative ai controlli di competenza del collegio sindacale. A differenza del consiglio di amministrazione, che giudica in ordine all’utilità ed alla
convenienza economica degli atti di gestione compiuti dagli amministratori delegati, il collegio sindacale sarà tenuto a verificare che le scelte degli amministratori siano conformi ai canoni di una buona amministrazione e compatibili con i fini propri della società (il collegio sindacale dovrà verificare che non siano compiute operazioni non rientranti nell’oggetto sociale
o che comunque arrechino un pregiudizio patrimoniale alla società).
Inoltre, al fine di rafforzare l’indipendenza dei sindaci, la Comunicazione raccomanda che non
siano nominati sindaci gli amministratori delle controllate. Infine, viene auspicato che nei collegi sindacali delle società quotate almeno un posto sia riservato ad un rappresentante delle
minoranze azionarie.
La Comunicazione sottrae ai sindaci il controllo contabile sulle relazioni semestrali e sul bilancio, attribuendolo, in via esclusiva, alle società di revisione, mentre riserva al collegio sindacale il controllo sull’operato degli amministratori e la vigilanza sull’osservanza della legge
e dell’atto costitutivo.
Viene poi raccomandato che la società di revisione collabori con il collegio sindacale, dando
tutte le informazioni utili, per fornire ai sindaci la massima trasparenza del lavoro svolto dagli amministratori. La Comunicazione suggerisce, infine, che, in occasione del conferimento
dell’incarico di revisione, sia richiesto un parere preventivo del collegio sindacale. Il collegio
dovrà altresì pronunciarsi sia nel caso di revoca dell’incarico, che nel caso di attribuzione di
ulteriori incarichi alla società di revisione.
196
L’obiettivo che il legislatore intendeva così perseguire era di garantire
una migliore governance delle società quotate attraverso la previsione di adeguati mezzi di tutela delle minoranze azionarie, di un sistema di controlli interni più efficace e di una maggiore trasparenza dell’informativa societaria.
Per assicurare più tutela alle minoranze azionarie, il Tuif — anche dietro la spinta dell’esperienza statunitense, caratterizzata da un particolare
attivismo degli investitori istituzionali — ha posto l’enfasi sull’assemblea,
tentando di rivitalizzarne il ruolo quale momento partecipativo centrale nella vita societaria. Il Tuif ha introdotto strumenti volti a facilitare l’intervento diretto o indiretto dei soci in assemblea (es. possibilità di esercizio
del voto per corrispondenza, norme che legittimano, incentivandola, la sollecitazione e la raccolta delle deleghe di voto), ma anche meccanismi per
consentire alle minoranze un più agevole confronto in assemblea con soci
di maggioranza ed amministratori. In questa direzione si muovono infatti
le norme che prevedono l’abbassamento delle percentuali di capitale richieste per la convocazione dell’assemblea (dal 20% al 10%) o per l’integrazione dell’ordine del giorno. Importante anche la fissazione di un quorum deliberativo qualificato (due terzi del capitale rappresentato in assemblea) per le assemblee straordinarie, con il quale si attribuisce un vero
e proprio diritto di veto alle minoranze.
Oltre alla predisposizione di meccanismi basati sul diritto dei soci «ad
essere sentiti» (la c.d. voice), il Tuif, anche in questo caso secondo un’ispirazione apertamente anglosassone, ha inteso assicurare ai soci di minoranza
un ulteriore strumento di tutela: la possibilità di disfarsi della partecipazione, quindi un diritto di uscita dalla società (c.d. exit), alle medesime condizioni rispetto agli azionisti di controllo nel caso di ricambio del controllo
a seguito di processi di acquisizione. Così, mutuando un meccanismo tipico
dell’ordinamento inglese, il Tuif ha introdotto l’obbligo di Opa totalitaria59,
che mira — attraverso il riconoscimento a tutti i soci della possibilità di
aderire all’offerta, e quindi di vendere le proprie azioni a parità di condizioni rispetto ai soci di controllo — a ripartire il premio per il controllo tra
tutti gli azionisti proporzionalmente alla partecipazione che questi intendono dimettere (tab. 4.8).
Accanto a tali meccanismi, il quadro regolamentare per la protezione
delle minoranze è stato completato dalla previsione di strumenti di tutela
giudiziaria (azioni di responsabilità, denunce al tribunale), resi più facilmente azionabili rispetto a quanto in generale previsto dal codice civile da
parte di minoranze qualificate di soci, anche attraverso una riduzione delle percentuali di capitale sociale richieste per il loro esercizio60.
Come si accennava, il Tuif ha anche migliorato, razionalizzandolo, il sistema dei controlli, sia sull’amministrazione, che contabili. In particolare,
il Tuif, recependo l’orientamento espresso dalla Consob nella citata Comunicazione del 1997, ha più chiaramente definito la ripartizione di competenze tra collegio sindacale e società di revisione allo scopo, come sostenuto dalla stessa Consob, di evitare la «confusione di ruoli che ha contribuito
a provocare casi di inefficienza del sistema di controlli societari».
59 Tale obbligo sorge, ai sensi dell’art. 106 del Tuif, quando, a seguito di acquisti a titolo oneroso, si venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del 30% del capitale
sociale. L’obbligo di Opa totalitaria non sussiste quando la soglia del 30% venga superata a
seguito di un’Opa preventiva avente ad oggetto il 60% delle azioni ordinarie.
60 Le percentuali richieste sono state ridotte dal 10% al 5% per la denuncia al tribunale ex 2409 cod. civ. Quanto all’azione sociale di responsabilità, il Tuif ha introdotto la possibilità di esercitarla anche per i soci che detengano il 5% del capitale sociale.
197
Tab. 4.8 — Funzioni del Collegio sindacale e del Comitato per il controllo interno
Collegio sindacale
(Tuif)
Compiti
Vigila su:
– osservanza della legge e dell’atto costitutivo
– rispetto dei principi di corretta amministrazione;
– adeguatezza della struttura organizzativa della società;
– adeguatezza del sistema di controllo interno;
Comitato per il controllo interno
(Codice Preda)
– Assiste il CdA nella fissazione delle linee di indirizzo del sistema di controllo interno, nella verifica periodica della sua adeguatezza ed effettivo funzionamento e nell’identificazione e gestione dei rischi aziendali;
– valuta l’adeguatezza dei principi contabili utilizzati;
– valuta le proposte della società di revisione per
l’ottenimento dell’incarico, nonché il piano di lavoro
– riferisce al CdA sull’adeguatezza e sull’attività
svolta dal sistema di controllo interno;
– svolge ulteriori compiti affidatigli dal CdA con
particolare riguardo ai rapporti con la società di revisione.
– adeguatezza del sistema amministrativo-contabile e sulla sua affidabilità
nel rappresentare correttamente i fatti
di gestione.
Fornisce un parere all’assemblea sull’affidamento dell’incarico alla società
di revisione.
Nota: In grassetto sono evidenziate le aree di sovrapposizione.
Se però la Consob, nella propria Comunicazione, aveva espressamente
delineato un ruolo di controllo anche in capo allo stesso CdA, da esplicarsi
attraverso il monitoraggio da parte degli amministratori privi di deleghe
sull’operato degli amministratori esecutivi61, il Tuif non ha affrontato il tema della disciplina di ruolo e compiti del CdA, che sarà invece oggetto di
successivi specifici interventi di carattere autodisciplinare.
Il Tuif ha operato un importante cambiamento nelle attribuzioni del
collegio sindacale, affidandogli compiti di controllo sulla legittimità dell’operato degli amministratori (conformità alla legge ed all’atto costitutivo) e
sulla sua correttezza (rispetto dei principi di corretta amministrazione), nonché sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società con riguardo ai sistemi di controllo interno ed amministrativo-contabili. Inoltre, per
garantire controlli più efficaci, aumentando la contrapposizione rispetto al
soggetto controllato (il CdA, espressione della maggioranza) il Tuif ha previsto la presenza nel collegio sindacale di uno o più sindaci di minoranza.
Le competenze in tema di controlli contabili sono invece state affidate
in via esclusiva alla società di revisione, in relazione alla quale il Tuif ha
dettato regole stringenti volte a garantirne l’indipendenza e l’idoneità tecnica, affidando la vigilanza alla Consob e prevedendo sanzioni penali per
una serie di violazioni. Inoltre, il Tuif ha precisato la regola già vigente della rotazione obbligatoria, necessaria per evitare comportamenti opportunistici della società di revisione, stabilendo che «l’incarico di revisione dura
tre esercizi e può essere rinnovato per non più di due volte». Quanto alla
61 Con tale indicazione si ottempera in sostanza al disposto dell’art. 2392 cod. civ. che
prevede in capo agli amministratori un obbligo di vigilanza sul generale andamento sulla gestione, nonché di intervento se a conoscenza di atti pregiudizievoli per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
198
disciplina delle incompatibilità tra lo svolgimento di incarichi di revisione
e di consulenza, la precedente disciplina in materia di revisione obbligatoria ne vietava il contemporaneo svolgimento62. Tale divieto è ancora vigente. Il Tuif, infatti, pur avendo previsto l’abrogazione delle norme previdenti, ne ha tuttavia prorogato l’applicazione fino all’approvazione di un regolamento da parte del Ministro della giustizia sui criteri di indipendenza,
non ancora adottato63.
Sempre in tema di controlli, il Tuif ha introdotto un riferimento al sistema di controlli interni, senza però articolarne compiti e funzioni, rinviati
così implicitamente ad interventi di carattere autoregolamentare (su di essi si soffermerà infatti il Codice Preda). Tale sistema, secondo il Tuif, si basa sulla presenza di una funzione, quella del preposto ai controlli interni64,
e su un obbligo di riporto costante di quest’ultimo al collegio sindacale.
Infine, il Tuif è intervenuto sul tema della trasparenza e dell’informativa societaria con una serie di norme che prevedono obblighi di pubblicità
degli assetti proprietari (partecipazioni rilevanti ed incrociate e patti parasociali) e di comunicazione al pubblico ed alla Consob di determinati fatti
dell’attività sociale.
Obblighi di informazione specifici sono stati anche previsti con riguardo ai compensi percepiti dai singoli amministratori, che vanno resi pubblici. La definizione delle modalità di comunicazione e pubblicità sono state
però rinviate alla Consob65. Precedentemente all’adozione del Tuif, invece,
soltanto il totale dei compensi veniva indicato nella nota integrativa al bilancio (i singoli compensi erano infatti comunicati alla Consob che non poteva però renderli pubblici)66.
62
V. art. 3, D.P.R. n. 136/1975, abrogato dall’art. 214 del Tuif.
Per una più approfondita analisi sul tema della revisione contabile v. LONGO, A., MACCHIATI, A. (1999), La qualità nella revisione contabile sulle imprese quotate: aspetti economici
e regolamentari, in Banca, Impresa, Società, n. 2.
64 Anche se nel Tuif non vi era una descrizione dei compiti tipici di tale funzione, essi
sono, in linea di massima, riconducibili a quelli dell’internal auditing, o revisione interna.
65 L’art. 32 del Regolamento di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58
sulla disciplina degli emittenti, stabilisce che gli emittenti azioni debbano indicare nella nota integrativa al bilancio di cui all’art. 2427 cod. civ. i compensi corrisposti agli amministratori, ai sindaci ed ai direttori generali a qualsiasi titolo ed in qualsiasi forma anche da società controllate.
In particolare, il regolamento prevede che debbano essere specificati nel dettaglio:
— i compensi corrisposti ad amministratori, sindaci e direttori generali, cioè gli emolumenti attribuiti per la carica ricoperta, gli altri benefici di natura non monetaria, i bonus e
gli altri incentivi, nonché tutte le altre eventuali retribuzioni derivanti, tra l’altro, da rapporti
di impiego, da altre prestazioni fornite, anche da società controllate dai soggetti indicati, da
gettoni di presenza e da rimborsi spese forfettarie;
— i piani di stock option che prevedano l’assegnazione gratuita di azioni o l’offerta di
opzioni per l’acquisto o la sottoscrizione di azioni dell’emittente o di società dallo stesso controllate. In particolare, in questo caso andranno indicate le condizioni previste dai piani di
stock option stabiliti nel corso dell’esercizio unitamente ad un rendiconto dell’effettiva realizzazione dei piani in essere;
— le partecipazioni detenute dagli amministratori, dai sindaci e dai direttori generali.
Per ciascuno di questi soggetti e per ogni società partecipata si dovrà indicare il numero delle azioni, distinto per categorie, possedute alla fine dell’esercizio precedente e acquistate, vendute o possedute nel corso dell’esercizio di riferimento.
66 L’obbligo di comunicare alla Consob notizie relative ai compensi di amministratori e
sindaci era stato codificato dall’art. 2427, n. 16, cod. civ., in attuazione dell’art. 17 della legge n. 216/74. L’art. 2427 stabiliva che nella nota integrativa al bilancio andasse indicato anche l’ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci cumulativamente
per ciascuna categoria, ma non individualmente per ciascun soggetto. La nota integrativa veniva poi comunicata alla Consob, la quale, però, non rendeva pubblico l’ammontare delle retribuzioni. L’art. 214, comma 1, lett. s), del Tuif ha abrogato l’art. 17 della legge n. 216/74,
ma, come si è visto, l’obbligo rivive nel regolamento di attuazione.
63
199
Il Codice
Preda
Il quadro di regole e principi in materia di CG delle società quotate
delineato nel Tuif è stato integrato con l’adozione, nel 1999, del Codice di
Autodisciplina per le Società Quotate (c.d. Codice Preda).
Il Codice, elaborato da un comitato composto da rappresentanti di società emittenti e di intermediari nell’ambito della Borsa Italiana Spa, ha
risentito fortemente, così come già il Tuif, degli orientamenti anglosassoni
in tema di governo societario (è significativo il fatto che numerose disposizioni del Codice Preda prendono spunto dal Combined Code inglese).
L’attenzione del Codice si è concentrata sul Consiglio di Amministrazione, da sempre considerato il cuore del governo dell’impresa. Proprio in
considerazione di ciò, il Codice ha adottato una serie di principi volti a riaffermarne il ruolo di guida della società, quale organo «cui fanno capo le funzioni e la responsabilità degli indirizzi strategici e organizzativi, nonché la
verifica dell’esistenza dei controlli necessari per monitorare l’andamento
della società»67.
Nel ribadire la centralità del CdA, il Codice ha quindi fornito indicazioni per assicurare l’indipendenza dell’organo nel suo insieme e per garantire adeguati controlli sul suo operato. A questo scopo, secondo consolidate prassi internazionali, il Codice ha raccomandato la presenza, al suo
interno, di amministratori indipendenti68.
Proprio per affrontare alcune tematiche possibile fonte conflitto di interessi, il Codice ha previsto la costituzione nell’ambito del CdA di comitati ad
hoc — per le nomine, per le remunerazioni e per il controllo interno — che
assicurino un controllo e competenze adeguate in determinati ambiti particolarmente sensibili per l’attività del consiglio di amministrazione.
Un’attenzione specifica merita in particolare il Comitato per il controllo
interno (o Comitato di audit), la cui configurazione ed i cui compiti sono ripresi dall’ordinamento anglosassone. A tale Comitato il Codice attribuisce
un ruolo di vigilanza sul sistema di controllo interno della società, di gestione dei rapporti con la società di revisione (designata però, come previsto dal Tuif, dall’assemblea previo parere del collegio sindacale) e di controllo sull’adeguatezza dei principi contabili utilizzati.
Sempre in tema di controlli, il Codice Preda ha enunciato una nozione
di sistema di controllo interno e ne ha delineato allo stesso tempo compiti
e funzioni, essenzialmente riconducibili alla verifica del rispetto delle procedure interne e delle operazioni aziendali al fine di prevenire rischi di natura finanziaria ed operativa e frodi ai danni della società.
Dopo alcuni anni dalla sua adozione, il Codice è stato oggetto, lo scorso settembre, di una revisione, limitata a singole disposizioni, motivata dall’esigenza di apportare alcuni aggiustamenti necessari per recepire quanto
emerso dalla prassi applicativa. Le modifiche, che non incidono sull’impostazione generale del Codice, da un lato mirano a chiarire alcuni concetti
(es. quello di amministratori indipendenti e di sistema per il controllo interno) e a meglio definire il ruolo del CdA, dall’altro introducono nozioni in
precedenza solo accennate, come ad esempio in materia di operazioni con
parti correlate.
L’orientamento che emerge da tali interventi, probabilmente anche per
67
Cfr. Rapporto del Comitato, pag. 20.
Nella versione originaria del Codice venivano definiti tali gli amministratori, che non
intrattenessero relazioni economiche rilevanti con la società, né fossero titolari di partecipazioni di controllo o partecipassero a patti parasociali per il controllo della società. Tale definizione, come si vedrà, verrà ampliata a seguito della revisione del Codice.
68
200
effetto delle recenti vicende statunitensi, è verso un rafforzamento di alcuni meccanismi di controllo. In questo senso vanno infatti lette le modifiche
sul tema degli amministratori indipendenti69, a proposito dei quali la nuova versione del Codice ha chiarito che il requisito dell’indipendenza sussiste quando non vi siano relazioni economiche dirette o indirette con la società nei tre esercizi precedenti e rapporti familiari con amministratori esecutivi o azionisti di riferimento della società e quando gli amministratori
non siano titolari di partecipazioni che conferiscano il controllo o un’influenza notevole sulla società70.
Anche la riformulazione della definizione di sistema di controllo interno, che riprende quella internazionalmente accettata contenuta nel CoSO
Report71, si inscrive nella citata tendenza a rafforzare gli strumenti di vigilanza, «amplificando» in questo caso la funzione del sistema di controllo
interno, quale processo che coinvolge tutte le funzioni aziendali.
Le modifiche apportate al Codice tendono a sottolineare ulteriormente
il ruolo di guida del CdA unitariamente considerato, evidenziando come l’esistenza di patti di sindacato non debba comportarne una sottovalutazione,
oppure come la nomina di un comitato esecutivo non debba portare ad una
sottrazione dei compiti spettanti al CdA collegialmente.
La revisione del Codice Preda affronta poi, anche se soltanto di riflesso, il tema delle remunerazioni. Attraverso la previsione della presenza nel
Comitato per le remunerazioni di amministratori indipendenti (la composizione dovrebbe essere: amministratori non esecutivi la maggior parte dei
quali indipendenti), il Codice mira infatti a rendere più imparziale e più
facilmente controllabile il processo retributivo dei manager.
Rispetto alla versione precedente, la nuova versione del Codice dedica
un ampio spazio al tema, particolarmente critico perché fonte di conflitti di
interesse, delle operazioni con parti correlate72. Il Codice stabilisce che tali operazioni debbano rispettare i criteri di correttezza (fairness) sostanziale e procedurale. In proposito, il Codice prevede, per operazioni di particolare natura ed entità, la possibilità per il Consiglio di ricorrere ad advisors
(banche, società di revisione) per il rilascio di fairness opinions e ad avvocati per il rilascio di legal opinions. Nel caso di operazioni con parti correlate, il Codice impone un obbligo di informazione a carico degli ammini-
69 Il Rapporto sulla concreta applicazione delle norme e dei principi in tema di corporate governance, a cura di ZEI, R., TAVERNA, A. (2002), che contiene anche un’analisi sul grado
di adesione delle società quotate ai principi del Codice, mostra una scarsa propensione delle
società italiane a fare ricorso alla figura dell’amministratore indipendente.
70 Nel commento all’articolo viene inserita una parte in cui si fa riferimento all’adeguatezza del numero degli amministratori, ma non vengono fissati criteri quantitativi, rinviandone la valutazione al CdA nella sua collegialità. Un cenno particolare viene fatto all’esigenza che nelle società controllate da società quotate vi sia un numero adeguato di consiglieri indipendenti.
71 Si tratta di un Rapporto elaborato dalla Coopers & Lybrand negli Usa nel 1992, su
incarico del Committee of Sponsoring Organizations of the Treadway Commission, che lo ha
adottato e proposto quale modello di riferimento per il sistema di controllo delle imprese.
72 Per la nozione di parti correlate il Codice rinvia allo IAS 24 che, tuttavia, è attualmente oggetto di revisione da parte dell’International Accouning Standards Board. Su tale
nozione v. anche l’art. 71-bis del Regolamento Consob n. 11971/1999 (Disciplina degli emittenti) e la successiva Comunicazione Consob del 30 settembre 2002 (Individuazione della nozione di parti correlate), in cui le parti correlate sono definite come i controllanti (anche persone fisiche) o controllati, anche congiuntamente, con l’emittente o i soggetti (anche persone
fisiche) con esso collegati o che su esso esercitino un’influenza determinante; gli aderenti a
patti di sindacato di voto; coloro cui siano attribuiti poteri e responsabilità di amministrazione, direzione e controllo nell’emittente; i soggetti che abbiano in comune con l’emittente la
maggioranza degli amministratori.
201
stratori che abbiano un interesse anche solo potenziale o indiretto nell’operazione, i quali sono anche tenuti ad allontanarsi dalla riunione consiliare al momento della deliberazione.
Infine, in materia di trattamento delle informazioni price sensitive, già
disciplinate dal Codice, con una modifica è stata introdotta la previsione
che gli emittenti debbano dotarsi di un codice di comportamento per la disciplina degli obblighi informativi inerenti alle operazioni su strumenti finanziari compiute dagli amministratori, sindaci e altre persone che per la
loro carica abbiano accesso ad informazioni rilevanti73.
Una valutazione della
situazione
attuale
L’adozione del Tuif e del Codice Preda ha significativamente modernizzato il panorama regolamentare italiano nella materia societaria, adeguandolo ai modelli degli ordinamenti più avanzati, con importanti effetti
positivi in termini di migliore e più trasparente governance delle imprese.
Questo giudizio sostanzialmente positivo va tuttavia qualificato. Se da
un lato gli interventi citati hanno rappresentato un importante momento
di evoluzione del nostro sistema verso modelli più progrediti, consentendo
all’Italia di mutuare meccanismi di governo societario di comprovata efficacia, dall’altro l’esperienza applicativa ha mostrato i limiti derivanti dall’aver importato in alcuni casi acriticamente istituti tipici di altri ordinamenti.
Si pensi, quanto al Tuif, alla disciplina dell’Opa obbligatoria totalitaria, condivisibile se si considera l’obiettivo che si intendeva perseguire (la
tutela delle minoranze), ma che è spesso risultata inadeguata alla situazione del mercato italiano, caratterizzato da un elevato grado di concentrazione proprietaria, finendo così per rendere eccessivamente onerosi i trasferimenti del controllo.
Lo stesso con riguardo agli strumenti introdotti per stimolare la partecipazione delle minoranze alla vita societaria, che vedevano il loro culmine nell’assemblea74, ma che sono stati scarsamente utilizzati per una serie di ragioni, tutte riconducibili all’elevato grado di concentrazione proprietaria delle società italiane. La constatazione di poter esercitare una scarsa influenza
sulle decisioni assembleari, dovuta al ruolo preponderante svolto dell’azionista di controllo, ha indotto infatti ad uno scarso attivismo gli investitori istituzionali e ad un’insufficiente organizzazione le minoranze (sono state po73 Sul complesso tema dell’informativa societaria va segnalato un recente importante contributo di carattere autoregolamentare della Borsa Italiana, la Guida per l’informazione al
mercato, adottata a giugno 2002 nell’ambito del Forum .ref sull’informativa societaria. Tale
Guida, che mira ad intervenire, con indicazioni specifiche, in alcune «zone grigie» della regolamentazione sul tema dell’informazione al mercato, prevede una serie di principi integrativi
rispetto alla disciplina normativa (primaria e secondaria) volti a rendere l’informativa al mercato più completa (vengono indicate specificamente le operazioni, eventi, ecc. da comunicare)
e, soprattutto, più corretta, in termini di tempestività e modalità della comunicazione. La Guida contiene indicazioni anche con riguardo ai vari destinatari della comunicazione (assemblea, operatori del mercato), ad alcuni mezzi di comunicazione (siti Internet) ed al trattamento
dei c.d. rumors. Infine, la Guida raccomanda, nel caso in cui la quotazione della società su
più mercati le imponga di fornire informazioni ulteriori, di rendere tali informazioni contestualmente accessibili anche al mercato italiano. Un punto importante della Guida è quello
dedicato al comportamento degli analisti finanziari, ai quali viene raccomandata indipendenza ed obiettività di giudizio, imponendogli obblighi di non utilizzare le informazioni di cui sia
eventualmente venuto a conoscenza nello svolgimento della propria attività.
74 Per comprendere appieno l’importanza del ruolo di centro decisionale dell’attività sociale riconosciuto nel Tuif all’assemblea, si pensi alla previsione della necessità di una preventiva autorizzazione dell’assemblea perché gli amministratori possano adottare misure difensive nel caso di scalata ostile (art. 104), che riporta agli azionisti il potere di decidere le
sorti della società.
202
chissime le associazioni di piccoli azionisti, pure disciplinate dal Tuif), soggetti con riguardo ai quali tali strumenti di tutela erano stati pensati75.
Considerazioni analoghe possono essere svolte in relazione ad alcuni
aspetti del Codice Preda. Si pensi ad esempio al ruolo previsto per gli amministratori indipendenti, che, ricalcando quello che tali soggetti esercitano
negli ordinamenti anglosassoni, si sovrappone nel nostro ordinamento alle
funzioni del collegio sindacale. Stesso giudizio sulla configurazione dei compiti del comitato di audit che ripetono anch’essi allo stato attuale quelli propri del collegio sindacale, causando una onerosa sovrapposizione di funzioni.
La riforma
in corso
Alla luce delle considerazioni appena svolte, la riforma della normativa societaria attualmente in corso (l’attuazione della legge n. 366/2001 di
delega per la riforma del diritto societario) rappresenta un momento fondamentale per un riordino complessivo ed una sistematizzazione della regolamentazione societaria, soprattutto con riguardo a quegli aspetti della
disciplina vigente che hanno mostrato limiti nell’applicazione pratica.
Rispetto al quadro regolamentare esistente, le norme di attuazione della legge delega per la riforma del diritto societario si muovono in due direzioni: da un lato proseguono sulla stessa via tracciata dal Tuif, prevedendo obblighi di trasparenza degli assetti proprietari e riorganizzando i
sistemi di controllo secondo il principio che i controlli contabili spettano ad
un revisore esterno; dall’altro, invece, si discostano dal Tuif ripensando il
sistema dei meccanismi a tutela delle minoranze. La riforma prevede, inoltre, ed è questa una delle innovazioni più significative una ampliamento
dei modelli di gestione e controllo adottabili dalle Spa.
In tema di trasparenza degli assetti proprietari, la riforma, così come
già il Tuif, stabilisce un obbligo di pubblicità per i patti parasociali stipulati nell’ambito di società che, ancorché non quotate, comunque ricorrano al
mercato dei capitali 76.
La novità più rilevante, quanto alla pubblicità degli assetti proprietari, riguarda però una tematica non affrontata dal Tuif, quella dei gruppi di
imprese. La disciplina dei gruppi, che si basa su una responsabilità di chi
eserciti attività di direzione e coordinamento per l’eventuale lesione del diritto dei soci all’utile ed alla valorizzazione della partecipazione sociale77,
prevede un obbligo di pubblicità dell’assoggettamento della società all’altrui
attività di direzione e coordinamento. Tale approccio volto ad aumentare il
grado di trasparenza in relazione ai rapporti di gruppo, è stato espressamente considerato anche nel Rapporto dall’High Level Group of Company
Law Experts Ue in materia di diritto societario pubblicato lo scorso 4 novembre, per affrontare il problema delle strutture piramidali 78.
75
Per un’accurata indagine empirica delle caratteristiche, funzionamento e tipologia della partecipazione delle assemblee ordinarie e straordinarie delle società italiane si veda lo studio di Belcredi, Bellavite, Pellegrini e Penati (2001), Le assemblee delle società quotate: un’indagine empirica.
76 Così come il Tuif, anche l’art. 2341-bis stabilisce un termine di durata dei patti parasociali (fissato a cinque anni rinnovabili) o il diritto di recesso con preavviso semestrale, nel
caso di patti a tempo indeterminato.
77 L’impostazione della disciplina della responsabilità di chi esercita attività di direzione e coordinamento appare tuttavia problematica a causa dell’eccessiva ampiezza dei suoi presupposti (violazione dei diritti dei soci all’utile ed alla valorizzazione della partecipazione sociale cagionata dal mancato rispetto da parte di chi esercita attività di direzione e coordinamento dei principi della corretta gestione societaria ed imprenditoriale).
78 Nel Rapporto viene menzionata un’altra possibilità per far fronte al fenomeno delle
piramidi societarie: la non ammissione a quotazione delle società holding che abbiano quale
oggetto esclusivo la gestione di partecipazione di altra impresa quotata.
203
Più in generale, invece, sul tema della trasparenza dell’informativa societaria, non vi sono interventi specifici contenuti nella riforma proposta,
salvo menzionare la riformulazione della norma in tema di conflitto di interessi degli amministratori (art. 2391 cod. civ.), nonché quanto previsto nella parte relativa ai reati societari (D. Lgs. n. 61/2002), dove viene ridefinita la disciplina delle false comunicazioni sociali.
In relazione al primo aspetto, con una formulazione molto ampia, viene rivista la disciplina dei conflitti di interessi degli amministratori, prevedendo un obbligo di informativa in capo agli amministratori che abbiano
un interesse, anche non in conflitto rispetto ad una determinata operazione societaria, ed un obbligo di astensione per gli amministratori delegati
dal compiere l’operazione, rimettendola all’organo collegiale79.
Per quanto riguarda invece il falso in bilancio, rispetto alla disciplina
precedente (art. 2621 cod. civ.), che sanzionava il falso con la reclusione da
uno a cinque anni e con la multa da due milioni a venti milioni di lire, le
nuove norme scindono il vecchio reato (delitto) in due diverse tipologie di
reati: una contravvenzione (art. 2621) ed un delitto (art. 2622), diversamente
sanzionate. Il vecchio art. 2621 infatti mirava a tutelare più beni giuridici:
dall’affidamento pubblico sulla veridicità delle informazioni fornite dalle società, agli interessi patrimoniali di soci e creditori. Le nuove norme invece
prevedono due reati diversi a seconda che il bene giuridico tutelato sia la
trasparenza e veridicità delle informazioni date al mercato (reato contravvenzionale, per il quale è prevista la sanzione dell’arresto fino ad un anno
e sei mesi) oppure gli interessi patrimoniali di soci o creditori (delitto, sanzionato con la reclusione da sei mesi a tre anni per le società non quotate,
per le quali è prevista la perseguibilità su querela, mentre per le società
quotate la reclusione va da un minimo di un anno ad un massimo di quattro anni ed il delitto è procedibile d’ufficio).
La riforma del diritto societario interviene, come si accennava, anche
nella materia di controlli, prevedendone, sulla scia del Tuif, una riorganizzazione basata su una ripartizione di competenze tra organo di controllo
della società (collegio sindacale, comitato per il controllo sulla gestione o
consiglio di sorveglianza, a seconda del modello prescelto) — cui spetta la
vigilanza sulla legittimità e correttezza dell’operato degli amministratori,
nonché sull’adeguatezza dell’assetto amministrativo e contabile della società
— e revisore contabile / società di revisione, cui spetta invece il controllo
contabile. A tale regola, tuttavia, è prevista un’eccezione per le società che
non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, le quali possono affidare il controllo contabile all’organo di controllo, purché composto integralmente da revisori contabili.
A differenza del Tuif, la riforma introduce meccanismi differenti per la
tutela delle minoranze azionarie. Infatti, se il sistema pensato dal Tuif era
incentrato sulla voice del socio e, quindi, sul ruolo dell’assemblea quale centro nevralgico della vita societaria, la riforma accentua il ruolo dell’exit, basando così la protezione del socio di minoranza sul riconoscimento, non soltanto del diritto ad essere sentito, ma anche del diritto ad uscire dalla società, quando mutino sostanzialmente le condizioni dell’iniziativa cui il socio partecipava. In questo senso vanno infatti le disposizioni che prevedono
un ampliamento delle ipotesi di recesso a favore del socio, nonché quelle che
riconoscono la possibilità di recedere anche al socio di società soggetta ad
79 La nuova disciplina degli interessi degli amministratori potrebbe sollevare problemi
di carattere applicativo per via della formulazione molto ampia della norma.
204
attività di direzione e coordinamento (la società controllata) per una serie di
eventi riguardanti la società che eserciti la direzione ed il coordinamento
(trasformazione che implichi il mutamento dello scopo sociale o modifica dell’oggetto sociale che comporti un mutamento delle condizioni di rischio dell’investimento, condanna a favore del socio della controllante, entrata o uscita della controllata dal gruppo, quando si tratti di società non quotata).
In questo modo al socio di minoranza viene riconosciuta non una minore tutela, bensì una tutela incentrata su una pluralità di strumenti diversi. La riforma non modifica, infatti, l’impianto degli strumenti sia amministrativi che giurisdizionali per la protezione delle minoranze previsto
dal codice civile, e dal Tuif per le quotate, anzi in alcuni casi interviene per
migliorare i mezzi di rappresentanza, in questo senso l’ulteriore liberalizzazione in tema di raccolta delle deleghe, o addirittura estendere alle non
quotate alcuni strumenti di tutela giudiziaria previsti dal Tuif (previsione
dell’azione sociale di responsabilità esercitabile da una minoranza qualificata)80.
L’innovazione più significativa in termini di sistemi di governo dell’impresa riguarda, però, come si accennava, la disciplina degli assetti organizzativi interni delle Spa, cioè dei modelli di amministrazione e controllo.
La nuova normativa prevede, infatti, da un lato una chiara delimitazione delle competenze dell’assemblea, circoscritte alle deliberazioni attinenti la struttura dell’organizzazione societaria, riservando le competenze
gestorie in «esclusiva» all’organo amministrativo, e, dall’altro, una diversa
articolazione dei sistemi di amministrazione e controllo.
A quest’ultimo proposito la riforma disciplina tre modelli tra i quali le
società possono scegliere: il sistema monistico, di derivazione anglosassone,
basato sulla presenza di un organo amministrativo, il CdA, all’interno del
quale è costituito un Comitato per il controllo sulla gestione composto esclusivamente da amministratori indipendenti; un sistema dualistico, simile a
quello tedesco, basato invece su un Consiglio di sorveglianza, con compiti
di controllo, i cui componenti sono nominati dall’assemblea e che, a sua volta, designa i membri del Comitato di gestione; il sistema tradizionale italiano (CdA/Collegio sindacale).
Questa riorganizzazione, oltre ad offrire una più ampia varietà di scelta alle società per azioni nella configurazione delle proprie strutture organizzative interne, se adeguatamente articolata, consentirà di eliminare le
distorsioni verificatesi nel nostro sistema, causate dalla citata sovrapposizione e duplicazione di compiti tra i vari organismi di controllo presenti nelle società, quanto meno quelle quotate. Pur senza entrare nei dettagli delle norme di attuazione, va tuttavia sottolineato che la disciplina proposta,
che regolamenta gli organi di controllo del sistema monistico e dualistico
rinviando a quanto previsto per il collegio sindacale, potrebbe vanificare i
vantaggi della maggiore flessibilità, non differenziando adeguatamente i tre
modelli e creando così anomalie. Si pensi al rischio, in particolare con riguardo al sistema monistico, di creare un vero e proprio collegio sindacale
composto però da amministratori, i quali partecipano in diversa veste all’assunzione di decisioni nell’ambito dell’organo amministrativo e, contemporaneamente, al controllo della loro legittimità e correttezza.
80 Questa possibilità, però, per numerose realtà societarie con ristrette compagini azionarie (si pensi alle società familiari) potrebbe sollevare problemi operativi dovuti all’esercizio
di azioni di disturbo.
205
Conclusioni
Il quadro tracciato mostra come la regolamentazione italiana in tema
di CG abbia subito negli ultimi anni un profondo rinnovamento ed un’evoluzione verso i modelli propri degli ordinamenti anglosassoni (tab. 4.8).
Tale evoluzione, se sotto certi profili ha comportato problemi dovuti alla necessità di adattamento a figure estranee alla tradizione giuridica ed
economica italiana, dall’altro ha determinato un rafforzamento delle regole di governo societario ed un sostanziale miglioramento dei sistemi di gestione delle imprese, anche nel senso di una maggiore e più pregnante supervisione sull’amministrazione.
Quello che adesso ci si chiede è se tale quadro di regole sia idoneo a
prevenire situazioni di crisi analoghe a quelle verificatesi negli Stati Uniti
o se invece non siano necessari ulteriori interventi nella direzione di quelli adottati negli Usa con il Sarbanes-Oxley Act 81.
Dare una risposta univoca a queste domande è estremamente complesso. È tuttavia possibile sostenere che alcune delle misure introdotte nell’ordinamento statunitense con il Sarbanes-Oxley Act sono già previste in
Italia.
Si pensi, ad esempio, alla disciplina delle società di revisione, già assoggettate in Italia alla vigilanza di un’autorità pubblica indipendente, la
Consob, e per le quali, come si è visto, è da tempo previsto un obbligo di
rotazione obbligatoria, nonché un’incompatibilità rispetto alla prestazione
di servizi non audit82. Lo stesso quanto all’obbligo, adesso imposto dal Sarbanes-Oxley Act alle società statunitensi, di istituire un organo di controllo all’interno delle società (il Comitato di audit), organo di controllo che già
le società italiane sono tenute ad avere per legge (il collegio sindacale) e,
nel caso del comitato di audit, anche per scelta autoregolamentare.
Anche rispetto alle norme in tema di trasparenza, come si è visto, molto è già stato fatto. Si pensi agli obblighi di comunicazione e pubblicità dei
compensi percepiti dai manager delle società quotate, essenziali per evitare comportamenti opportunistici dei manager a danno dei soci, o anche all’obbligo di pubblicizzare gli assetti proprietari della società o del gruppo,
necessario per assicurare una corretta gestione dei rapporti tra azionista
di controllo (blockholder) e azionisti di minoranza.
Lo stesso anche la previsione di sanzioni penali per la violazione di una
serie di obblighi (di informativa, di trattamento delle informazioni riservate, di astensione per il caso di conflitto di interessi degli amministratori,
ecc.), nonostante la recente operata riduzione delle pene in materia di false comunicazioni sociali, può essere ritenuta un adeguato deterrente contro condotte fraudolente.
La conclusione che si può trarre dalle considerazioni svolte è che, pur
81 Le misure adottate con il Sarbanes-Oxley Act riguardano in estrema sintesi: 1. il sistema della revisione dei bilanci, in relazione al quale è previsto un divieto per le società di
revisione di svolgere attività di consulenza per le società di cui certifichino i bilanci, ed un sistema di vigilanza affidato ad un organismo indipendente (il Public Company Oversight
Board); 2. il regime di responsabilità dei manager, che sono destinatari di una serie di nuovi obblighi (tra i quali di informazione su determinate transazioni) e di divieti, nonché di sanzioni penali più pesanti per il caso di violazioni e frodi; 3. il regime dei controlli sulle società,
sia interni (è previsto un obbligo di costituire comitati di audit), che esterni (vengono rafforzati i poteri investigativi della Sec).
82 Con riguardo in particolare al divieto di prestare servizi non-audit va tuttavia rilevata una frequente elusione della norma da parte delle società di revisione, elusione rilevata
già dal 1996 da parte della stessa Consob, che aveva invitato le società di revisione, con una
Comunicazione (DAC/RM/96003558), ad evitare la prestazione di servizi di consulenza anche
attraverso società separate, ma comunque ad esse collegate o controllate.
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non essendo possibile individuare un sistema ottimale di regole di CG che
consenta di prevenire sempre ed in ogni luogo comportamenti anomali, ci
sono tuttavia una serie di principi che possono e devono trovare un’applicazione generalizzata. Il riferimento è alla full disclosure, alla previsione di
controlli indipendenti sull’amministrazione, all’esigenza di predisporre adeguati mezzi di tutela dei soci.
L’Italia, come si è visto, ha fatto molto negli ultimi anni nello sviluppo
di una legislazione conforme ai principi appena richiamati. Ci sono ovviamente margini per ulteriori interventi migliorativi. Un settore di sicuro interesse è ad esempio quello dell’attività degli analisti finanziari, per gran
parte affidato alla potestà regolamentare della Consob, e per il quale invece sarebbe opportuna una maggiore riflessione, funzionale ad un intervento legislativo.
Un presupposto che però nelle future attività di regolamentazione occorrerà tenere a mente, per evitare alcune delle distorsioni verificatesi nel
nostro ordinamento dovute alla trasposizione acritica di alcuni istituti stranieri, è che nonostante i principi da rispettare siano comuni a gran parte
degli ordinamenti, la loro attuazione è strettamente legata alle caratteristiche proprie dei vari sistemi giuridici ed economici, le cui differenze pertanto vanno rispettate per garantire l’efficacia delle soluzioni apprestate.
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