MARC CHAGALL. LE OPERE IN MOSTRA Veduta dalla finestra a

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MARC CHAGALL. LE OPERE IN MOSTRA Veduta dalla finestra a
MARC CHAGALL. LE OPERE IN MOSTRA
Veduta dalla finestra a Vitebsk, 1908
Nell’arte di Chagall i fiori sono un motivo frequentissimo che richiama l’amore, il piacere e la
donna. A volte i fiori prendono il posto dell’autoritratto, sono un’immagine dello stesso artista,
una firma, un emblema. I suoi mazzi di fiori assumono poi anche una dimensione simbolica in
quanto rivelano la bellezza divina nella natura.
La Veduta dalla finestra a Vitebsk richiama la città natale dell’artista e l’evoluzione compiuta
nella sua pittura durante il periodo trascorso a San Pietroburgo. Le qualità plastiche del
giovane pittore si rivelano già con tutta evidenza nel gioco dei tetti delle case, disposti su piani
contrapposti e dominati dalla cupola della cattedrale di Vitebsk e nella profondità creata dalla
finestra aperta in primo piano e sottolineata dalla bellezza straordinaria del mazzo di fiori. Sul
davanzale della finestra compare il vaso con i pennelli per indicare che il mondo qui
rappresentato è puramente pittorico. La sua collocazione di fronte al mazzo di fiori serve a
istituire una sorta di parallelismo fra i due elementi, mostrando come i fiori siano anch’essi
frutto della creazione dell’artista. Le tonalità di azzurro e di verde, illuminate dai tocchi di
pittura a olio bianca applicata sui fiori e nel cielo, conferiscono al dipinto un carattere
enigmatico. Vitebsk affiora dalla memoria dell’artista come un’apparizione originata da un
arcobaleno.
“Riuscirò a trovare le parole e le tinte adeguate, riuscirò a trovare la chiave che mi aprirà le porte di un
mondo fantasticato per millenni? Questo, che mi fa cenno e mi chiama, ma non mi lascia varcare la soglia,
e io rimango al bivio. Ogni giorno, al sorgere del sole, apro gli occhi e vedo di nuovo questo mondo.
Durante la notte mi sonnecchiava in petto, ma al mattino il suo raggio, come una pietra preziosa, splende
sul palmo della mia mano.”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.28
La sorella dell’artista Maryasinka, 1914
Nel 1914, quando fa ritorno a Vitebsk, Chagall esegue
alcuni ritratti dei suoi familiari: le scene ispirate alla vita
di famiglia e al suo ambiente divennero così uno dei suoi
temi principali. In questi ritratti è evidente la
padronanza tecnica acquisita dall’artista negli anni
trascorsi a Parigi.
Nei due ritratti di Lisa alla finestra la figura della
giovane è resa in due maniere distinte: in Lisa col
mandolino la vediamo seduta in poltrona, vicino alla
finestra oltre la quale si scorgono le case di Vitebsk,
mentre canta accompagnandosi con un mandolino e
china il capo per seguire con lo sguardo lo spartito
musicale. Il trattamento deformante usato da Chagall
per il suo viso lo ha trasformato in una maschera che
contrasta con la maniera realistica usata per descrivere
l’ambiente e la veduta sull’esterno. Il dinamismo
dell’opera si deve alla miscela .ne dei colori, applicati
con tocchi rapidi e nervosi.
Anche in Lisa alla finestra o La sorella dell’artista, Lisa è
raffigurata mentre sta alla finestra, ma l’atmosfera di questa composizione, esprime una
serenità classica. Il volto del soggetto, ripreso di profilo, si staglia su uno sfondo scuro. I tocchi
lievi usati dall’artista sottolineano il chiaroscuro e la tessitura vellutata della materia
pittorica; le delicate modulazioni dei contorni e l’armonia cromatica delle tonalità calde
(bruni, ocra, rosso spento) che sfumano dal bianco della camicia di Lisa attenuato dall’azzurro
profondo del nodo a farfalla dello chemisier, conferiscono al dipinto una luminosità smorta.
Marusja, che aveva sei anni nel 1907 quando Chagall la ritrasse per la prima volta, ne ha qui
quattordici. È sempre intatta la sua freschezza di ragazzina: con le trecce e il frutto che sta per
mangiare Maryasinka è l’immagine stessa dell’innocenza infantile. Lo specchio collocato in
secondo piano riflette in una visione trasfigurata la porta e lo sfondo che, invisibili allo
spettatore, sono resi con sfaccettature di colori accostati. L’opera, dal carattere luminoso, è
strutturata su tonalità in contrasto: il rosso e il bianco del vestito si contrappongono al verde
della pianta e al grigio del tavolo; il beige e il lilla della porta di un azzurro molto intenso si
riflettono nello specchio, mentre l’incarnato della giovinetta, dipinta in beige, si illumina per la
misurata applicazione di color bianco a olio.
Nella composizione lievemente decentrata e nella struttura geometrizzante del piano di
sfondo affiora la reminiscenza dello stile pittorico che Chagall ha maturato durante il periodo
trascorso a Parigi.
“Sarebbe più interessante dipingere le mie sorelle e mio fratello. Con quale amore verrei sedotto
dall’armonia dei loro capelli, della loro pelle, con che prontezza salterei in loro, inebriando le tele e voi
stessi dall’esalazione dei miei colori secolari!”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.25
Gli amanti in blu, 1914
Il 15 giugno 1915 Chagall sposa Bella Rosenfeld, una
donna straordinaria: storica, studiosa di filosofia e
letteratura e artista che gli ispira una quantità di
doppi ritratti. Fra il 1914 e il 1917 l’amore e la
felicità che l’artista vive gli suggeriscono un ciclo di
dipinti sul tema della coppia costituito da dieci tele e
due disegni traboccanti di lirismo. L’evocazione del
rapporto amoroso, in cui i personaggi delle coppie
sono nello stesso tempo individui e archetipi, si
presenta come una rivelazione poetica, come un
sogno. Collocati al centro della composizione, i
personaggi si fondono nell’azzurro del cielo
notturno, che costituisce quasi la materia viva del
loro sentimento. Il colore ha una vera e propria
potenza narrativa in quanto spiega la forza del
sentimento passionale, dell’abbraccio, di cui si
scorgono le impronte sui volti che per il loro carattere archetipico si trasformano in maschere.
L’applicazione della tempera sul supporto di carta incollata al cartone crea una superficie
opaca che immerge le immagini nell’eterna atmosfera di mistero dell’unione amorosa.
Con la mano guantata, la giovane accarezza la guancia del compagno. Gli occhi chiusi, i riccioli
ornati dalle foglie, le labbra che si avvicinano mostrano come la coppia stia per unirsi in un
bacio. Chiusi nel cerchio magico della passione e della tenerezza amorosa, gli innamorati sono
lontani dal mondo. Il quadro narra l’amore, il calore dell’abbraccio, la profonda emozione
dell’amare.
“Chi è? Ho paura. No voglio conoscerla, avvicinarmi a lei. Ma già sta congedandosi da Thea. Mi guarda
appena e se ne va. Usciamo, Thea e io, a passeggio. Sul ponte la incontriamo di nuovo. E’ sola.
Completamente sola. Bruscamente sento che non è con Thea che dovrei essere ma con lei! Il suo silenzio è
il mio. I suoi occhi, i miei. E’ come se mi conoscesse da sempre, come se sapesse tutto della mia infanzia,
del mio presente, del mio avvenire; come se vegliasse su di me, mi capisse perfettamente, sebbene la veda
per la prima volta. Sentii che era lei la mia donna. Il suo colorito pallido, i suoi occhi. Come sono grandi,
tondi e neri! Sono i miei occhi, la mia anima. Thea mi parve indifferente, straniera. Sono entrato in una
casa nuova e non ne sono più uscito.”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p,81
La passeggiata, 1917-1918
Nel primo periodo della sua felicità coniugale
Chagall trova ispirazione per creare tre dipinti –
Sopra la città, La passeggiata, Il doppio ritratto con
il bicchiere di vino – che comunicano la pienezza
amorosa attraverso la metafora di un desiderio di
ascesa verso il cielo nella fusione con le forze
cosmiche e la natura madre.
Nel dipinto – che è eseguito su una tela quadrata,
un formato insolito per l’artista – è presente una
serie di motivi destinati a diventare immagini
archetipe nella mitologia chagalliana: lo slancio
nel volo, l’architettura di Vitebsk e la coppia. Il
paesaggio della città natale si riconosce dalle case
e dalla cattedrale. L’opera è strutturata sulle
forme geometriche di piani contrapposti in cui è
possibile leggere una reminiscenza dal cubismo.
La superficie delle coltivazioni, di un verde
profondo, presenta un carattere terrestre, pesante, un effetto acquisito per la densità delle
masse cromatiche, mentre le sottili modulazioni di grigio e bianco richiamano la trasparenza e
l’infinità dei cieli. La combinazione tra il verde del paesaggio e il rosa malva dell’abito di Bella,
che sfuma nel rosa chiaro della cattedrale, conferiscono al dipinto una bellezza prodigiosa. Nel
linguaggio simbolico la combinazione di queste tonalità si richiama al sentimento romantico,
ma rivela anche l’aspetto mistico dell’amore. La fusione tra gli amanti rinvia all’immagine
archetipica dell’unione primordiale della coppia umana nel paradiso terrestre. Nell’unione
amorosa si rispecchia il mistero trascendente della coincidenza fra principi opposti, che
permette di godere della pienezza dell’essere a somiglianza di quella di Dio.
In primo piano, sulla superficie variopinta di un tappeto, scorgiamo la bottiglia del vino e un
bicchiere, che stanno a indicare l’ebbrezza della passione, mentre le due figure della coppia
attraversano tutta la composizione in diagonale. Chagall tiene in mano un uccello, allusione al
suono dell’amore che il matrimonio gli ha fatto ritrovare, e con la mano libera sorregge il
braccio della sposa, alla quale il sentimento amoroso ha offerto il dono della levitazione. In
definitiva, il dipinto esprime una grandiosa celebrazione del mistero dell’amore.
“Morirai, figlia mia, insieme a lui; perirai per niente. Per di più è un artista. Che cos’è? E che dirà la
gente?...”. Così su di me discuteva la famiglia della mia fidanzata; e lei mattina e sera portava nel mio
atelier i dolci pasticcini fatti in casa, del pesce ai ferri, del latte bollito, varie stoffe decorative, perfino
delle tavole che mi servivano da cavalletto. Io aprivo soltanto la finestra della stanza e l’aria azzurra,
l’amore e i fiori entravano con lei. Tutta vestita di bianco o tutta in nero lei vola da molto tempo
attraverso le mie tele, guidando la mia arte. Non finisco quadro o incisione senza chiedere il suo “si” o
“no”.
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.125
Giorno di festa (Rabbino con cedro), 1924
In questo schizzo del 1914, di cui esiste anche una seconda versione del 1924, il rabbino tiene
in mano un cedro e un ramo di palma sospeso in aria di fronte a lui. La presenza di questi due
elementi è prescritta nei riti di Succot, la festa del raccolto in cui si rende grazie alla divina
provvidenza, che si celebra in autunno e segna la fine del ciclo annuale dell’agricoltura. Diversi
elementi – la sobrietà della composizione e la limitata gamma cromatica – conferiscono a
questo personaggio la solennità tipica di alcune opere di El Greco con figure di santi che
Chagall conosceva dalle collezioni presenti al Louvre e all’Ermitage. D’altra parte, la
levigatezza della fattura lo avvicina ai pittori del Quattrocento -orentino. Occorre sottolineare
come gli effetti pittorici risultino più vivaci e spontanei nello schizzo, dove sulla carta la
gouache si mescola all’acquerello, a paragone con il dipinto a olio. La testa del rabbino con il
cedro è sormontata da un’altra minuscola figura di rabbino. Lucien Goldmann suggerisce che
la composizione sia ispirata dal racconto La catena d’oro del poeta yiddish Isaac Leib Peretz,
in cui la stessa immagine ha la funzione di alludere all’idea di un rabbino che succede all’altro.
“In campagna, dove passavamo l’estate, abitava anche il gran rabbino Schneersohn. Tutti gli abitanti dei
dintorni venivano a consultarlo. Ciascuno con le sue pene. Gli uni volevano evitare il servizio militare e
venivano a chiedere consiglio. Altri afflitti di non aver bambini, imploravano la sua benedizione. Taluni,
imbarazzati da un passo del Talmud, sollecitavano delle spiegazioni. Oppure venivano semplicemente per
vederlo, per tentare di avvicinarlo. Che ne so? Ma sicuramente nell’elenco dei suoi visitatori non si era mai
iscritto un artista.
Dio mio! Confuso, ma incerto sulla scelta del mio domicilio, anch’io mi sono arrischiato a chieder consiglio
a questo saggio rabbino. […] Volevo parlargli dell’arte in generale, e della mia vita in particolare. Forse
avrebbe potuto insufflarmi un po’ dello spirito divino. Chi può dirlo?”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.129
L'ebreo in rosa, 1915
Il dipinto fa parte di una serie di ritratti di vecchi ebrei
realizzati da Chagall fra il 1914 e il 1916. Si tratta di
opere generalmente di grande formato (L'ebreo in verde,
L'ebreo in rosa, L'ebreo in preghiera) che elaborano in
termini sintetici il tema del destino del popolo ebraico e
della sua tradizione. In questo caso, l’uomo seduto
davanti alla baracca di legno occupa l’intero spazio
pittorico. La figura, potentemente strutturata, si
appoggia sul grande triangolo della casa di Vitebsk, alle
spalle della quale si scorgono altri tetti. Questi, a loro
volta, si inseriscono in un arco semicircolare giallo con
una iscrizione in ebraico. Accanto al personaggio seduto,
un albero in ore su un terreno sterile.
Il soggetto rappresenta un vagabondo trasformato dal
pennello di Chagall in un sapiente dal quale scaturisce la
potenza dello spirito profetico. Si può trovare un
parallelo nei vecchi di Rembrandt impregnati di spiritualità e presenti nel museo
dell’Ermitage; alcuni dettagli richiamano la Bibbia: il calamaio che simboleggia le Sacre
Scritture, l’albero fiorito in terra sterile che ricorda il bastone fiorito di Aronne e le lettere che
si vedono scritte in cielo. L’incrostazione della scrittura talmudica come sfondo della
composizione è un principio che si trova anche nei manoscritti ebraici illustrati; qui
l’iscrizione cita il testo biblico che sulla destra riferisce prima l’episodio dell’esilio, poi la
profezia secondo cui il popolo ebraico è destinato a diventare una grande nazione e, in ne,
termina con l’affermazione dell’identità ebraica attraverso il rito della circoncisione. Verso la
ne, intrecciato nel testo biblico, Chagall ha inserito il suo nome ebraico, Moishe Segal, scritto
in lettere ebraiche: «MSH SGL».
In quest’opera importante il colore dalla fattura levigata assume una funzione
deliberatamente antinaturalista; così i tetti alle spalle della figura del vecchio sono modellati
da piani di colori contrastanti: il rosso e il rosa si contrappongono al verde e al giallo. La figura
del personaggio modellato dal chiaroscuro è realizzata in una gamma cromatica a zone in
contrasto (il grigio del viso, il grigio scuro dell’abito, il rosso della barba e delle mani, una
verde e l’altra bianca). Il contrasto cromatico fra le due mani, una bianca e l’altra verde,
rivendica la dicotomia di questa immagine trasgressiva: nella lingua yiddish il verde
simboleggia lo stato di malattia, e quindi segna lo stato d’animo del personaggio, immerso
nella solitudine e nei pensieri opprimenti, mentre la mano bianca, simbolo della luce divina, si
richiama alla speranza che proviene da Dio. In ne, l’arco dorato con le Sacre Scritture, inserite
in un rettangolo dello stesso colore, indica la sacralità della parola divina e la consolazione del
messaggio che essa porta.
“In qualche luogo, laggiù in fondo, sono seduti ad attendermi dei rabbini in verde, dei contadini nei loro
bagni, degli ebrei rossi, buoni, intelligenti, con le mazze, i sacchi, nelle strade, nelle case e perfino sui tetti.
Essi mi attendono, io li attendo, noi ci attendiamo.”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.102
Sopra Vitebsk, 1914 circa
Fra il 1914 e il 1922 Chagall esegue
quattro varianti di quest’opera. In
questo caso si tratta di un olio su
cartoncino che rappresenta la strada
principale della città di Vitebsk immersa
in un paesaggio invernale. Un vecchio
con la barba porta un sacco sulle spalle
con un bastone in mano mentre sorvola
la città. La dimensione aerea del
personaggio lo distingue dalle altre
raffigurazioni di vecchi ebrei, rabbini e
mercanti eseguite dall’artista in quel
periodo: ne fa una figura fantastica,
soprannaturale,
accentuata
dall’esattezza con cui è resa la
topografia del paesaggio. La prevalenza di tonalità fredde (i colori blu, verde, grigio e bianco
sono applicati in modo levigato e con la tecnica dello sfumato, ordinato seguendo le linee
geometriche) e il carattere solitario della scena creano un’ambientazione malinconica. Il
vecchio con il sacco e il bastone è un simbolo del popolo ebraico costretto a una vita errante.
Nella tradizione chassidica, in cui Chagall era cresciuto, l’immagine si richiama alla leggenda
del profeta Elia, che entra nelle case della povera gente portando luce e speranza. Il giorno di
Pasqua Chagall esclama: «Ma dov’è Elia, con il suo carro bianco? Forse è rimasto nel cortile e
sta per entrare in casa dopo aver preso le sembianze di un vecchio macilento, di un
mendicante curvo, con un sacco in spalla e un bastone in mano?». Il personaggio ricorda anche
il concetto di Luftmensch, l’uomo dell’aria. Nella letteratura yiddish questo termine fa
riferimento agli umili abitanti del ghetto, che, costretti a impratichirsi in diversi mestieri per
guadagnare qualcosa, passano di città in città, e perciò sono una sorta di popolo che vive
nell’aria. Questa figura diventa uno dei grandi archetipi dell’immaginario chagalliano che nelle
opere successive viene integrato nella composizione oppure va a costituire uno degli elementi
di quest’ultima.
“In risposta, la città pare spaccarsi, come le corde di un violino, e tutti gli abitanti si mettono a
camminare al di sopra della terra, abbandonano i loro posti abituali. I personaggi familiari si installano
sui tetti e lì si riposano. Tutti i colori si rovesciano, si trasformano in vino che zampilla dalle mie tele. Sto
molto bene con voi tutti. Ma…avete sentito parlare delle tradizioni, di Aix, del pittore che si tagliò
l’orecchio di cubi, di quadrati, di Parigi? Vitebsk, ti abbandonò. Restate soli con le vostre aringhe.”
Tratto da “Ma vie”, Marca Chagall, 1921
Traduzione di Massimo Mauri
Ed.SE srl, p.101