Pensieri di Felix Bielser sulla fotografia

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Pensieri di Felix Bielser sulla fotografia
Foto di Felix Bielser © 2015
Foto scattate al Parco
delle Gole della Breggia
(Ticino – Svizzera)
1/2015 con Leica III/g
del 1958 con Elmar
2,8/50 mm a piena
apertura.
Sviluppate in Kodak
HC-110 1+119 a 20°C
40 minuti (1
capovolgimento ogni 4
minuti)
Quando Guido Tosi mi ha parlato della bobina di pellicola scaduta
nel 1944, che ha trovato casualmente e poi ha acquistato e
successivamente mi ha mostrato le prime foto scattate e sviluppate,
ho avuto delle sensazioni molto forti. Queste sensazioni spaziavano
dalla (piacevole) sorpresa che questa pellicola mostrava ancora dei
risultati… eccome, ad una sorta di riavvolgimento di tutta la mia
vita trascorsa con e nel mondo fotografico. Cerco di spiegarmi
meglio.
La piacevole sorpresa
Questo “fenomeno” di una pellicola vergine prodotta probabilmente
a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, scaduta da oltre 70 anni,
conservata chissà come e dove, che sia riuscita ad acquisire e
trasmettere delle immagini ai giorni nostri, dimostra molte cose, ma
due considerazioni, dal mio punto di vista, sono d’obbligo: Oggi
come allora, ma anche precedentemente, la fotografia argentica pur
avendo vissuto un’evoluzione incredibile (dalla “artigianalità” alla
“industrializzazione”) ha mantenuto una continuità. Infatti ancora
oggi, nell’era del digitale sempre più sfrenato, possiamo scattare
con una pellicola di oltre 70 anni fa, ricavare delle immagini e
conservarle ancora chissà per almeno altri 100 anni. La domanda a questo punto sorge spontanea: Un’immagine
digitale saprà fare lo stesso? Di conseguenza arriva la seconda considerazione: Quale altro “media” riesce ancora oggi a
garantirci una memoria storica sia del passato proiettato verso il presente ed il futuro, ma anche da oggi in poi, se non
la fotografia argentica? Argentico sta per bianco/nero e pertanto dell’essenza in ambito fotografico senza la distrazione
del colore.
Il riavvolgimento
Questa sensazione è invece più “personale”. Certamente non sono in grado di riavvolgere la mia vita trascorsa nel
mondo della fotografia fino al 1944 o prima, poiché sono nato ben più tardi e mio padre fondava la ditta nel 1946 ed io
mi sono definitivamente addentro a partire dal 1977. Ma questa sorta di salto temporale che ha fatto questa pellicola,
l’ho vissuto anch’io. I ricordi, le emozioni e l’evoluzione della professione d’un tratto mi sono passati davanti agli occhi
e si sono nuovamente fermati al presente.
Non più tardi nel momento che ho visitato la mostra collettiva degli 11 fotografi, di cui ho visto le fotografie, ne ho colto
l’essenza e conserverò queste bellissime sensazioni.
Felix Bielser
Non si tratta di uno slogan per la pubblicità di una
bibita dietetica o di chissà quale affermazione
esoterica o socio-economica, bensì di una
affermazione intesa sia come annuncio, che come
compimento
L’annuncio: Zero Pixel con la pellicola argentica è possibile
Il compimento: La realizzazione di una vera fotografia è possibile solo con la pellicola argentica
Sembrano affermazioni ad effetto, ma in realtà sono sì impegnative, ma colme di verità.
La pellicola fotografica ha una lunga storia e tradizione ed essenzialmente è tale da oltre 150 anni come produzione
industriale. La riproduzione di fotografie, ma anche l’acquisizione digitale delle pellicole la rende il mezzo più versatile,
semplice e qualitativamente elevato.
Oggi e in futuro potremo sempre fruire delle immagini esposte sulle pellicole argentiche, ciò che non possiamo
affermare per i mezzi digitali. Non dimentichiamo poi che possiamo utilizzare ancora oggi apparecchi fotografici d’epoca
e che comunque sono in produzione a tutt’oggi apparecchi fotografici analogici dal piccolo al grande formato che
utilizzano la pellicola. Anche questo fatto non fa parte del DNA degli apparecchi digitali.
L’antagonismo fra le tecnologie cosiddette analogiche e digitali non è certo partito dal campo analogico! Anche le
terminologie “analogico” e “digitale” sono forvianti e che ad entrambe venga attribuito il sostantivo “Fotografia” è frutto
dell’arroganza e tentativo di prevaricazione da parte della lobby digitalista. Ricordiamoci altri esempi: La musica, la
cinematografia. Nella musica esiste ancora il disco in vinile, ma i vari altri supporti di acquisizione, nastro, CD, MP3 non
sono forse destinati a scomparire, sostituiti da nuovi sistemi? Certo se la qualità del suono non fosse migliore anche il
disco sparirebbe, ma evidentemente non è così e non si tratta di un aspetto “nostalgico”. Nella cinematografia vale un
po’ la spessa cosa come nella fotografia, per alcuni versi però l’aspetto qualitativo conta meno, anche perché la qualità
delle produzioni, spesso usa e getta, non viene percepita.
Noi preferiamo utilizzare come i francesi il termine “argentico” anziché “analogico”, ma rivendichiamo il sostantivo
“Fotografia”. Non ci interessa quale termine venga utilizzato dall’altra parte, se “digitale”, “numerica” o quant’altro, ma
per favore lascino stare il sostantivo “Fotografia”, anche perché si tratta di puri e semplici “Fermo immagine”, ne è
dimostrazione il fatto che gli apparecchi digitali utilizzano supporti di acquisizione, ovvero sensori concepiti per
acquisire immagini in movimento e la funzione di un’immagine singola è per l’appunto un “Fermo-immagine”.
Pensieri di Felix Bielser
007 Operazione Silverfinger
E’ un fatto, fotografare oggi su pellicola è davvero una missione faticosa, se confrontato al più agile digitale.
Rivedere immediatamente lo scatto effettuato, post produrlo o addirittura letteralmente rifarlo o stravolgerlo a
computer, condividerlo immediatamente in Rete, stamparlo, anche in grande formato con un unico passaggio
attraverso stampanti sempre più performanti, in grado di stampare anche su carte artistiche o su carte dette “Baryta”
che in alcuni casi non sono quasi distinguibili dalle vere stampe baritate argentiche e tutto questo senza nascondersi in
una cantina come un fuggiasco, aspettando ogni volta almeno una buona mezz’ora prima che i bagni siano preparati e
in temperatura.
Eppure.
Ho scattato la mia prima fotografia nel 1965, con la Kodak Instamatic donatami per la mia cresima, ho visto per la
prima volta apparire l’immagine latente su un cartoncino baritato immerso in una bacinella nel 1970, ho cominciato a
stampare nel 1972, quasi ininterrottamente fino a pochi anni fa quando, come enorme atto e dono d’amore nei
confronti di mia moglie ho smantellato - senza vendere però neppure una bacinella - la mia camera oscura.
Devo ringraziare l mio lavoro se ancora oggi sono costretto a scattare diverse volte all’anno su pellicola, affidando lo
sviluppo e la stampa a degni homini obscuri.
Questa costrizione, però, puntualmente, si traduce nelle uniche fotografie che scatto ogni anno.
Sì, ogni anno per lavoro io scatto migliaia di immagini che a volte si trasformano in riproduzioni materiche attraverso la
stampa tipografica.
Ma le uniche vere fotografie ancora oggi sono quelle che scatto su pellicola, che necessariamente faccio provinare dopo
lo sviluppo e che dopo oculata scelta si trasformano in cinque, dieci, venti stampe, cioè a dire in vere fotografie.
Sì, perché ancora oggi io credo che una vera fotografia sia una stampa argentica ottenuta da negativo argentico.
Perché ancora oggi credo che una vera fotografia sia per di più in bianco e nero.
Abitudine? Senescenza? Ricordo di successi e insuccessi argentici che hanno costellato tutta la mia vita? Forse.
Sta di fatto che ancora oggi, anche in digitale, le immagini che a detta degli esperti prendono la strada dell’arte o della
ricerca personale sono immagini in bianco e nero. E le immagini che arrivano alle aste internazionali sono quasi solo ed
esclusivamente stampe in bianco e nero, per lo più vintage, di autori per la maggior parte scomparsi.
La Leica Monochrom è la prova vivente di quanto ancora oggi, in pieno digitale, sia ancora alta la necessità per
moltissimi fotografi di scattare, pur in digitale, in bianco e nero: è un primo ma molto significativo passo.
E se è il danaro che purtroppo regge le sorti e il destino dell’umanità, se è il denaro a muovere in modo sempre più
convulso la “macchina del digitale” ci sarà una ragione altrettanto economica se la maggior parte delle fotografie che si
battono alle aste sono argentiche e non digitali: semplicemente le immagini digitali o le stampe da esse ricavate in
realtà non hanno alcun valore commerciale, per questo non si vendono. E da sempre l’arte, quella vera, è sempre
andata a braccetto col danaro, con i mecenati, e più un oggetto “d’arte” ha valore intrinseco artistico, più alto è il suo
valore commerciale.
Non può essere una coincidenza.
Ma veniamo a noi, all’oggi: per fotografare in argentico occorre una fotocamera, una pellicola, i relativi sviluppi, il
cartoncino baritato, i relativi sviluppi, l’ingranditore e i relativi accessori della camera oscura.
Sono ancora disponibili.
Partendo dalle fotocamere, anche se di fatto non vengono più fabbricate - ad eccezione di un modello di Leica “a la
carte” la disponibilità nel mercato dell’usato oggi è quasi infinita e i prezzi abbordabile. Ma tra dieci, cento anni? Non è
un nostro problema, oggi le fotocamere a pellicola sono disponibili, sono disponibili le parti di ricambio, ci sono ancora
molti laboratori in grado di riparare fotocamere a pellicola anche prodotte ottanta e più anni fa.
Veniamo alla pellicola, indubbiamente il medium fondamentale nel processo argentico. Questa giornata è la prova reale
che la pellicola è ancora prodotta, anche se gli scenari dei produttori mondiali sono cambiati. Ma fra dieci anni, tra
cento? Di nuovo non è un nostro problema.
Carpe diem è forse il pensiero più autorevole, più drammaticamente vero che mai sia stato scritto nella storia della
lettura. Chi sa cogliere l’attimo, collezionerà milioni di attimi e avrà vissuta pienamente.
L’unico problema della fotografia argentica è l’enorme complessità nella fabbricazione della pellicola stessa innanzitutto,
del cartoncino baritato in seconda battuta: l’Asia tiene in mani le sorti della produzione mondiale non solo delle
fotocamere digitali, ma del 99% dei prodotti che usiamo quotidianamente. Ma l’Asia non produce pellicola, ritenendolo
un mercato poco profittevole, e questo è davvero un grosso problema perché la pellicola oggi disponibile - Fuji esclusa
- è tutta prodotta in Occidente, in questa landa dell’umanità di fatto agonizzante, e non solo da un punto di vista
produttivo e commerciale.
Com’è come non è, sta di fatto che oggi non solo la pellicola è disponibile, ma vengono anche realizzate nuove
emulsioni, come la nuova pellicola RPX 25 di Rollei.
Il formato di pellicola ideale.
Dipende naturalmente dal tipo di fotocamere utilizzata e dalle differenti necessità dei vari generi fotografici, ovvero i
generi fotografici dove risoluzione e gamma tonale sono imprescindibili e generi dove l’unica cosa che conta è aver
colto l’attimo o la situazione nel modo migliore possibile, ma non dal punto di vista qualitativo, bensì rappresentativo.
Se dovessi parlare a chi ha smesso di fotografare in bianco e nero argentico o non ha mai scattato su pellicola, il
suggerimento è quello di scegliere una fotocamera 24x36mm e relative pellicole: gli ingombri sono ridotti e si può
facilmente affiancare una fotocamera 24x36mm a pellicola al proprio corredo fotografico. Una Voigtländer o una Leica a
telemetro, piuttosto che una Nikon FM o similare armata con un 35mm o con un 50mm sono tutto quanto ci serve,
senza naturalmente dimenticare almeno un filtro arancio da avere sempre con sé. Anche lo scatto a distanza e il
treppiedi sono necessari, per poter tirare fuori il meglio da un punto di vista della nitidezza da questo formato pellicola
davvero “ridicolo” come area utile rispetto al medio e grande formato.
Una fotocamera 24x36mm, caricata per esempio con la nuova Rollei RPX 25 - poi opportunamente sviluppata - e
utilizzata ove e quando possibile su treppiedi e con scatto a distanza possono permettere di ottenere una nitidezza nei
negativi comparabili a quella di una medio formato caricata con ISO più elevati e utilizzata a amano libera.
Se avete in animo uno dei generi fotografici più diffusi nella fotografia in bianco e nero, ovvero lo street photographer,
va da sé che dovete avere SEMPRE con voi la vostra 24x36mm: non saprete mai quando vi capiterà l’occasione giusta,
potreste trascorrere settimane senza che nulla accada e scattare due rulli di fila in una sola ora: un pescatore non
butta l’amo in acqua quando vede il pesce - che per lo più non riesce a vedere - il pescatore butta sempre l’amo in
acqua e poi aspetta, a volte prende, a volte non prende, ma quando esce di casa per pescare, è garantito, porta
sempre la canna. Pescare immagini è più difficile che pescare pesci, questo non significa che non dobbiate sempre
avere la vostra strumentazione da “pesca” con voi.
Un obiettivo a focale fissa innestato, tutt’al più un secondo obiettivo e, insieme al o ai filtri - allo scatto a distanza e al
treppiedi - il corredo è pronto.
Usando pellicole a bassa sensibilità di ultima generazione, come la RPX 25 otterrete negativi formidabili sul piano della
risoluzione, tranquillamente stampabili anche in formato 30x40cm. La bassa sensibilità, ancor più se unita all’uso di un
filtro come l’arancio, che da solo porta via quasi due stop, non aiuta certo sui tempi di posa, ma il nostro treppiedi,
magari da tavolo, posizionato con intelligenza, ci permetterà di scattare anche con diaframma anche relativamente
chiuso, senza pericolo di micromosso. Utilizzando pellicole di sensibilità più elevata, come la RPX 100 - sono ben due
stop di sensibilità in più rispetto alla 25 ISO - si otterranno comunque negativi ancora stampabili in formato 30x40
senza una massiva evidenza della grana, soprattutto quando il negativo è stato opportunamente sviluppata per tenere
a freno la grana. Si passa poi a ISO più elevati, come la RPX 400, che può facilmente essere esposta a 800 ISO: qui
arriviamo a ben cinque stop di vantaggio rispetto alla 25 ISO, siamo sicuramente nel novero dello street photographer,
dove quello che conta è l’aver colto e catturato l’attimo, senza troppa accademia sull’aumento della grana, che da
sempre rimane anche un tipo di linguaggio tipico dell’argentico, oltre a sancirne la provenienza: sappiamo tutti che tra i
plug in di molti software di fotoritocco ci sono proprio tool per il controllo e l’esasperazione della grana, spesso invisibile
nel file digitale, qui sotto forma di rumore. Non guardiamo quindi alla nostra sana grana argentica nativa con occhio
troppo difficile, sfruttiamola invece, quando necessario, oltre che come forma di linguaggio anche come “watermark”.
E poi naturalmente c’è il medio formato – la maggior parte delle pellicole bianco e nero sono tutt’ora disponibili anche
in formato 120.
I prezzi delle fotocamere medio formato a pellicola si sono ulteriormente abbassati di recente, così come i prezzi delle
ottiche.
E’ il momento migliore per acquistare una Hasselblad con magazzino A12 e focale 80mm a prezzi davvero interessanti,
a cui magari aggiungere un secondo obiettivo e un secondo magazzino.
Hasselblad rimane tuttora una delle medio formato più compatte e leggere mai progettate, con un ingombro di poco
superiore a una reflex con ottica innestata.
L’area di un fotogramma 6x6, ovvero 55x55mm è di 3,5 volte maggiore rispetto a quella di un fotogramma 24x36mm.
I rapporti tra i lati sono naturalmente diversi, ma a parità di ingrandimento in stampa dobbiamo pensare che usando
un fotogramma 120 l’ingrandimento sarà almeno dimezzato rispetto al fotogramma 24x36, e sarà di conseguenza
dimezzata la grana.
Un doveroso inchino a una delle regine della storia della fotografia – ogni scacchiera ne ha due, di regine – se la prima
è indubbiamente Leica, la seconda è indubbiamente Rolleiflex e il fatto che oggi a distanza 86 anni dall’introduzione del
primo modello sul mercato, mantiene ancora intatto il suo fascino, la dice lunga su quanto ingegnosa e perfetta fu
l’idea di Paul Franke e Reinhold Heidecke. Ancora più compatta di Hasselblad, con la visione a pozzetto che le permette
di appoggiarla su qualsiasi superficie – solida! - e con uno scatto a filo aprire l’otturatore centrale senza tema di
micromosso – un treppiedi è ovviamente sempre meglio!- , un sistema di caricamento ancora più rapido della stessa
Hasselblad, un’infinità di accessori quasi tutti da collegare, declinati nei vari gruppi, alla o alle baionette delle due
ottiche, fanno di Rolleiflex ancora oggi un’icona intramontabile quanto funzionante. E l’autonomia di “soli” 12
fotogrammi rende per certo molto più cauti e consapevoli nello scattare. Non vanno dimenticate naturalmente le medio
formato 6x4,5, anche se nella pratica parliamo di fotogrammi con area utile di 56x41mm ca: certamente un’area utile
più grande del 24x36mm e forse meglio sfruttata del 6x6 grazie all’autonomia di 16 fotogrammi, ma siamo lontani dal
vero medio formato. Mantenendo naturalmente alto il rispetto per chi, fotografando su fotogramma quadrato, stampa
senza rifilare, ovvero in formato quadrato, il grande salto verso le vette del grande formato lo si ottiene indubbiamente
con il formato 6x7cm, con area utile di 56x70mm ca, un vero medio formato che stampato a pieno fotogramma è
anche in perfetta “sezione aurea” anzi, argentica, con il formato della carta baritata 30x40cm.
Lo svantaggio di molte 6x7 sta purtroppo negli ingombri e nei pesi, a cominciare dalla Mamiya RB67, ma sappiamo tutti
benissimo che Mamiya alla fine degli anni 90 presentò anche un modello a telemetro, la Mamiya 67, decisamente più
leggera e trasportabile della sorella maggiore.
Con il 6x7, una buona pellicola, un adeguato sviluppo e una stampa realizzata alla perfezione, da un fotogramma 6x7 si
“tira fuori” quasi tutto quello che si trova proprio nel grande formato, ci limitiamo al 4x5 pollici: una piana 10x12
difficilmente viene stampata integralmente, diversamente da un negativo 6x7; quindi, la perdita di area utile nel
cropping che spesso si fa dalle piane 10x12 insieme al fatto che al contrario il 6x7 può tranquillamente non essere
croppato, fa sì che questi due formati come area utile si avvicinino parecchio, naturalmente con un abisso a vantaggio
del 6x7 in termini di ingombri e praticità d’uso rispetto anche alla più compatta della folding 4x5 che rende però alla
fine quasi obbligatorio l’uso del treppiedi.
E sbarchiamo così nel pianeta appunto del grande formato, a cominciare dal 10x12.
Noi, quasi tutti orfani della compianta Polapan 55pn, facciamo quasi fatica oggi a parlare di grande formato, anche se,
di nuovo soprattutto come emulsione bianco e nero, le pellicole certo non mancano, per non parlare poi del crescente
interesse per la carta autopositiva – disponibile qui da PFG -.
I negativi, una volta esposti, hanno un brutto vizio: le immagini rimangono latenti, anche per decenni volendo. Dopo lo
scatto, continuiamo a parlare sempre e solo del bianco e nero, inizia il processo vero e proprio, il trattamento del
negativo, la provinatura, la scelta del fotogramma migliore, la stampa, con relativi processo di
sviluppo/arresto/fissaggio/lavaggio/eventuale viraggio, asciugatura, spianatura, montaggio su passe partout. La
semplice pressione di un pulsante, il movimento di un meccanismo a orologeria come un otturatore che si apre e si
chiude per un tempo infinitesimale, diciamo 1/250 di secondo, nei giorni successivi si trasforma in ore e ore di lavoro
attento certosino, per trasformare qualcosa che nella realtà non c’è, appunto l’immagine latente, in una VERA
fotografia, in materia tangibile, trasmissibile di generazione in generazione.
PuntoFotoGroup è anche questo, ovvero vetrina dove scegliere i chimici e le carte migliori, oltre a tutti gli accessori per
il trattamento del negativo e della stampa, non ultimo l’ingranditore, che PuntoFotoGroup propone sia in modelli nuovi
fior di conio che ricondizionati, questi ultimi a prezzi che non raggiungono neanche il valore dell’IVA dello stesso
ingranditore quando venne venduto nuovo anni fa.
Ma un passo per volta, cominciamo o ricominciamo a fotografare in bianco e nero argentico, lasciando magari all’inizio i
nostri preziosi rulli nelle mani di un valente stampatore. Pochi, ma buoni, ce ne sono ancora. Poi magari proviamo o
riproviamo a sviluppare i nostri negativi e in seguito magari attrezziamo da zero una camera oscura o rimettiamo in
funzione il nostro ingranditore, che abbiamo messo in letargo in un angolo di un box o di una soffitta e che per ripartire
non chiede altro di infilare la spina in una presa di corrente: nessun aggiornamento firmware…
Ma la cosa importante è che tutta la procedura, dalla scelta della pellicola più adatta fino a quella della lampada
inattinica migliore per la nostra camera oscura è assistita da Felix Bielser, che non è solo un profondo conoscitore del
processo argentico, non solo lo coltiva con passione fin da quando era ragazzo, ma è anche sempre stato
estremamente disponibile tanto con gli appassionati che con i professionisti piuttosto che le persone alle prime
…bacinelle.
Pochi sanno che Felix Bielser prima di entrare nel mezzo del cammin di sua vita si ritrovò in una selva di viti, intesa
come vigna, nella regione fra il Canton Vaud, Vallese e Ticino prima di trovarsi in una selva oscura di ingranditori e di
bacinelle, cioè in una camera oscura.
Non ci resta che aspettare la più segreta delle preparazioni del sig. Bielser, ovvero il fissaggio della pellicola utilizzando
l’Humagne Rouge, uno dei vini più pregiati appunto del Vallese o il Merlot Terrenobili Riserva Ticino Doc
.
Alla sua salute sig. Felix!
E alla nostra, e alla vostra naturalmente!
Milano, 10 maggio 2014.
Gerardo Bonomo
Foto di Felix Bielser © 2015