SURREALISMO al MoMA

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SURREALISMO al MoMA
SURREALISMO al MoMA
Il tema del sogno e dell’inconscio
La nascita della psicologia moderna, grazie a Freud, ha fornito molte suggestioni alla produzione
artistica della prima metà del Novecento. Molti artisti hanno ampiamente utilizzato il concetto di
inconscio per far emergere alcune delle caratteristiche più profonde dell’animo umano, di solito
mascherate dall’ipocrisia della società borghese del tempo.
Sempre da Freud, i pittori, che dettero vita al Surrealismo, presero un altro elemento che diede loro
la possibilità di scandagliare e far emergere l’inconscio: il sogno.
Il primo studio sistematico sull’argomento risale al 1900,
quando Freud pubblicò: «L’interpretazione dei sogni».
Secondo lo studioso il sogno è la «via regia verso la
scoperta dell’inconscio». Nel sonno, infatti, viene meno il
controllo della coscienza sui pensieri dell’uomo e può
quindi liberamente emergere il suo inconscio, travestendosi
in immagini di tipo simbolico. La funzione interpretativa è
necessaria per capire il messaggio che proviene
dall’inconscio, in termini di desideri, pulsioni o malesseri e
disagi.
Il Surrealismo, come movimento artistico, nacque nel
1924. Teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André
Breton. Fu egli, nel 1924, a redigere il Manifesto del
Surrealismo.
Muovendo da Freud, secondo Breton, bisogna cercare il
modo di giungere ad una realtà superiore (appunto una
surrealtà), in cui conciliare i due momenti fondamentali
del pensiero umano: quello della veglia e quello del sogno.
Salvador Dalì Sogno causato dal volo di un'ape intorno a
una melagrana un attimo prima del risveglio, 1944, Olio
su tela, 51x41cm, Museo Thyssen- Bornemisza - Madrid
Il Surrealismo è dunque il processo mediante il quale si giunge a questa surrealtà. Sempre Breton
così definisce il Surrealismo:
«Automatismo psichico puro …dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato
alla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale».
L’automatismo psichico significa quindi liberare la mente dai freni inibitori, razionali, morali,
eccetera, così che il pensiero è libero di vagare secondo libere associazioni di immagini e di idee. In
tal modo si riesce a portare in superficie quell’inconscio che altrimenti appare solo nel sogno, di
trovare un punto di incontro tra il sogno e la veglia.
Il surrealismo è un movimento che pratica un’arte
figurativa e non astratta, vuole trasfigurare la realtà,
ma non negarla.
La tecnica surrealista presenta due grandi temi:
quello degli accostamenti inconsueti e quello delle
deformazioni irreali.
Negli accostamenti inconsueti, procedendo per
libera associazione di idee, si uniscono cose e spazi
tra loro apparentemente estranei per ricavarne una
sensazione inedita.
René Magritte Valori personali, 1952, olio su tela, 80x100 cm, San Francisco, Museum of Modern Art
La bellezza surrealista nasce, allora, dal trovare due oggetti reali, veri, esistenti, che non hanno nulla
in comune, assieme in un luogo ugualmente estraneo ad entrambi. Tale situazione genera
un’inattesa visione che sorprende per la sua assurdità e perché contraddice le nostre certezze.
Le deformazioni irreali riguardano invece la categoria della
metamorfosi.
La metamorfosi è la trasformazione di un oggetto in un altro,
come, ad esempio, delle foglie che hanno forma di uccelli
(Magritte)
Entrambi questi procedimenti hanno un unico fine: lo
spostamento del senso. Ossia la trasformazione delle
immagini, che abitualmente siamo abituati a vedere in base al
senso comune, in immagini che ci trasmettono l’idea di un
diverso ordine della realtà.
René Magritte Le grazie naturali 1963, Olio su tela, 81 x 100 cm, Collezione privata
Salvador Dalì (1904-1989)
Salvador Dalí (1904-1989) nacque a Figueras, in
Catalogna, nel 1904. A Madrid frequentò l’Accademia di
Belle Arti ma nel 1926 ne fu espulso per indegnità. L’anno
successivo si recò a Parigi dove venne a contatto con il
vivace ambiente intellettuale della capitale francese. Qui
conobbe Pablo Picasso, Juan Mirò, André Breton e il poeta
Paul Eluard. È il momento di maggior vitalità del
movimento surrealista e Dalí ne venne immediatamente
coinvolto. Egli, infatti, vide nelle teorie del movimento la
possibilità di far emergere la sua dirompente
immaginazione. Rotti i freni inibitori della coscienza
razionale, la sua arte portava in superficie tutte le pulsioni e
i desideri inconsci, dando loro l’immagine di allucinazioni
iperrealistiche.
In Dalí non esiste limite o senso della misura, così che la
sua sfrenata fantasia, unita ad un virtuosismo tecnico
notevole, ne fecero il più intenso ed eccessivo dei surrealisti al punto che nel 1934 fu espulso dal
gruppo dallo stesso Breton. Ciò tuttavia non scalfì minimamente la produzione artistica di Dalí, il
quale, dopo essersi professato essere lui l’unico vero artista surrealista esistente, intensificò
notevolmente l’universo delle sue forme "surreali".
Il Surrealismo per Dalí era l’occasione per far emergere il suo
inconscio, secondo quel principio dell’automatismo psichico
teorizzato da Breton. E a questo automatismo psichico Dalí diede
anche un nome preciso: metodo paranoico-critico.
La paranoia, secondo la descrizione che ne dà l’artista stesso, è:
«una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia più
caratteristica consiste nelle delusioni sistematiche, con o senza
allucinazioni dei sensi. Le delusioni possono prendere la forma di
mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione».
Dunque le immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono
dal torbido agitarsi del suo inconscio (la paranoia) e riescono a
prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio
(momento critico).
Da questo suo metodo nacquero immagini di straordinaria fantasia, tese a stupire e meravigliare
grazie alla grande artificiosità della loro concezione e realizzazione.
Nelle sue tele Dalí fa largo ricorso agli spazi prospettici molto dilatati in cui inserisce una notevole
quantità di elementi (uomini, animali, oggetti) secondo procedimenti combinatori irrazionali. In
queste figure, e nei loro rapporti, la deformazione si inserisce come ulteriore elemento di sconcerto.
Al 1929 risale il suo legame con Gala, moglie del poeta Paul Eluard. Ella fu prima amante e poi
moglie di Dalí, divenendo la sua musa ispiratrice. Appare in numerosissimi quadri, per lo più nuda
e sensuale, rappresentando nel mondo figurativo di Dalí uno degli ingredienti più certi del suo
inconscio: la libido.
In seguito la sua pittura tende a trovare una sinteticità più netta, in cui la concentrazione su pochi
elementi permette al quadro di esprimere contenuti più chiari ed univoci. È il caso di un quadro
come «La persistenza della memoria» dove Dalì crea una delle sue immagini più celebri: quella
degli orologi deformi.
Nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti dove rimane per quasi un decennio. Negli ultimi decenni della
sua vita egli ha continuato ad alimentare a dismisura la sua fama di artista eccentrico, originale e a
volte delirante, fino a diventare prigioniero del suo stesso personaggio: sempre più scostante,
altezzoso e imprevedibile. Dalí si è spento a Figueras il 23 gennaio 1989.
Il dipinto I piaceri Illuminati, come molte altre opere di Dalì, sembra registrare un sogno, un
frammento di inconscio. Secondo Freud il nostro mondo interiore è pieno di oscure forze primitive
e istintuali, legate soprattutto all’eros. L'Io è interessato solo a soddisfare i suoi desideri e i suoi
istinti ed opera in linea con il principio del piacere.
I Surrealisti volevano conoscere le forze che sono dentro di noi, le nostre pulsioni e renderle
evidenti, chiare. Quindi, non è un caso che il titolo del dipinto è I Piaceri Illuminati e che il cielo
sia chiaro in modo che gli oggetti possano essere ben visibili. Si può avere l'impressione che l'aria
che riempie quel mondo onirico è perfettamente pulita o che il mondo dei sogni è un vuoto in cui si
librano i vari elementi, disposti in modo molto caotico e illogico, senza alcun legame l’uno con
l’altro; come se ogni elemento facesse parte di qualcosa d’altro.
Tuttavia, è l'inconscio che permette tali riunioni. E il sogno è il luogo dove le leggi terrene
semplicemente non si applicano, in cui tutto è ugualmente possibile, dove le cose possono stare
tutte insieme ed ogni elemento è solo un surrogato di qualcosa di diverso.
L’opera usa la tecnica dei "quadri nei quadri" e vi è un’atmosfera creata da colori irreali. Il dipinto è
degno di nota per il suo realismo fotografico, che dona particolare credibilità anche ai motivi più
irrazionali. È composto in parte da collages, tuttavia la sottile tecnica pittorica usata da Dalí rende
difficile la suddivisione precisa tra gli elementi fotografici e quelli pittorici.
La schermata a destra mostra una moltitudine di uomini con la barba in bicicletta con sassi bianchi
sopra le loro teste. Dalì stesso spiega che quelle pietre, simili a confetti e simbolo dei desideri
solidi, sono fatte a somiglianza dei candidi ciottoli della playa confitera, una spiaggia vicino a
Cadaqués che prende il nome appunto dalla forma e dal colore dei suoi sassi.
I sassi in realtà assomigliano a delle uova e l'uovo è un simbolo costante in molti dei dipinti di Dalì.
All'interno di questo quadro sembra rappresentare allo stesso tempo la creazione e la morte. Quello
nella parte superiore sembra essere incrinato, forse aprendo la strada a una creatura appena nata;
mentre quello nella finestra di sinistra è il bersaglio di un pericolo, di un uomo con la pistola, forse
la figura paterna.
Altri elementi simbolici e paranoici ricorrono in quest’opera come la cavalletta (avidità del
desiderio), la mano che brandisce il coltello (masturbazione, evirazione, volontà di distruzione), la
testa del leone e la donna (sessualità inappagata).
Dalì stesso definì i propri quadri fotografie di sogni fatti a mano, realizzati con il preciso intento di
materializzare con esatta precisione immagini irrazionali; opere come La persistenza della
memoria sono concepite con una tale carica immaginativa, ed eseguite con una perizia tecnica così
straordinaria, da poter essere annoverate tra i capolavori del XX secolo.
In questo quadro, in un paesaggio deserto che ha per sfondo una spiaggia, con una ripida ed alta
scogliera lambita dal mare che ricorda gli scogli aguzzi della Costa Brava, si delineano presenze
inattese sottratte alla realtà della vita
quotidiana e deformate dallo sguardo
delirante di un sogno.
Da
sinistra
si
affaccia
un
parallelepipedo sul quale sorge un
albero secco sul cui unico ramo sta
appeso un quadrante di orologio
molle, come sul punto di sciogliersi
per effetto di un grande calore. Ce ne
sono altri due quasi identici: uno che
scivola dal bordo del parallelepipedo
ed un altro abbandonato su uno strano
oggetto grigio, dalle cui pieghe
crescono inspiegabilmente lunghe e
folte ciglia come se fosse un occhio di
un uomo addormentato.
La persistenza della memoria, 1931, olio su tela, 24x33 cm, MoMA New York
Un unico orologio, forse perché ancora chiuso nel suo coperchio dorato, non ha subito il processo di
fusione degli altri e tuttavia, in luogo delle consuete cesellature, è un cumulo di formiche brulicanti
a decorarlo. Questi tre orologi deformati, sul punto di sciogliersi al sole, rappresentano, perciò,
l’aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella soggettiva percezione umana, assume una
velocità e una connotazione diversa, interna, che segue solo la logica dello stato d’animo e del
ricordo. Il rapido o lento passare dei minuti, delle ore e dei giorni, è determinato dallo stato d’animo
col quale affrontiamo le situazioni che viviamo.
Il tempo scorre lento, provocando sensazioni di noia, quando la realtà è malvagia o non cattura la
nostra attenzione, passa invece fulmineo se siamo impegnati in attività così piacevoli da farci
desiderare che non finiscano mai. L’unico orologio non deformato è ricoperto di formiche, che
sembrano divorarlo, quasi ad indicare che il tempo meccanico, misurabile con gli orologi, è messo
in crisi, divorato dalla memoria umana, che del tempo ha una percezione ben diversa.
René Magritte (1898-1967)
Il pittore belga René Magritte è tra i pittori surrealisti
più originali e famosi. Dopo aver studiato
all’Accademia di Bruxelles, per Magritte la svolta
surrealista avvenne dopo aver visto il quadro di De
Chirico «Canto d’amore», dove sul lato di un edificio
sono accostati la testa enorme di una statua greca e un
gigantesco guanto di lattice. Nel 1926 prese contatto
con Breton, capo del movimento surrealista, e l’anno
successivo si trasferì a Parigi, per restarvi tre anni.
Dopo di che la sua vita artistica si è svolta
interamente in Belgio.
Magritte è l’artista surrealista che, più di ogni altro,
gioca con gli spostamenti del senso, utilizzando sia gli
accostamenti inconsueti, sia le deformazioni irreali.
Ciò che invece è del tutto estraneo al suo metodo è
l’automatismo psichico, in quanto egli, con la sua pittura, non vuole far emergere l’inconscio
dell’uomo ma vuole esprimere l’insanabile distanza che separa la realtà dalla rappresentazione.
È il caso del quadro «Ceci n’est pas une pipe»,
dove una riproduzione perfetta di una pipa è
accompagnata dalla scritta "questa non è una
pipa". L’iniziale mistero di una simile
incongruenza va ovviamente sciolto nella
constatazione che un quadro, anche se
rappresenta una pipa, è qualcosa di molto
diverso da una pipa reale.
Il suo surrealismo è dunque uno sguardo molto
lucido e sveglio sulla realtà che lo circonda,
dove non trovano spazio né il sogno né le
pulsioni inconsce. L’unico desiderio che la sua
pittura manifesta è quello di "sentire il silenzio
del mondo", come egli stesso scrisse.
In ciò quindi il surrealismo di Magritte si colloca agli antipodi di quello di Dalí, mancandovi
qualsiasi esasperazione onirica o egocentrica.
«Il falso specchio», è l’opera che condanna la verità dell'immagine. È un enorme occhio che ci
guarda, ma dentro il quale non vediamo riflessi noi stessi, bensì un cielo attraversato da nubi.
L’immagine più semplice del mondo, eppure quanto mai ambigua, a partire dalla pupilla che, al
centro di quel cielo azzurro e terso, appare
come un inspiegabile sole nero. Ma non solo:
che cosa è quel cielo? Quello reale riprodotto
dalla superficie specchiante della pupilla,
oppure un «falso specchio » che non
rappresenta ciò che l’occhio vede, bensì ciò
che ci illudiamo di vedere? È una finestra sul
mondo o il nostro mondo interiore che diventa
una finestra?
Insomma, Magritte vuole spostare il valore
della pittura dalla sua funzione mimetica a
quella concettuale.
Il falso specchio 1929, olio su tela, 54x81 cm, MoMA New York
La qualità dell’opera d’arte, dice, non sta nell’abilità esecutiva (egli stesso parlava di peinture
vache, di bassa qualità), bensì nella capacità di innescare una riflessione sul mondo e la realtà.
«L’impero delle luci II »
Compito dell'artista, per Magritte, è interpretare la realtà, far emergere la verità nascosta .
Alla prima occhiata il quadro dà la sensazione di contemplare un'immagine molto ben dipinta, di
taglio quasi fotografico. Un'immagine bella e "riposante", ma normalissima.
Solo al secondo impatto lo spettatore si rende conto di trovarsi di fronte ad un'immagine surreale.
Il sereno paesaggio notturno con casa
illuminata ha, infatti, un cielo tipico di
una giornata di sole, di luce.
Qual è l’immagine vera? Entrambe,
perché esse sono dentro la nostra mente;
noi abbiamo la consapevolezza che lo
stesso paesaggio vive di giorno come di
sera. Un "cortocircuito" visivo, che però
ha un senso dentro il nostro inconscio che
elabora di continuo immagini e situazioni.
L’impero delle luci II, 1950, olio su tela, 114x146 cm, MoMA
New York
Magritte interpretava la sua opera in questo modo:
"Il paesaggio fa pensare alla notte e il cielo al giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno
e di notte abbia la forza di sorprendere e di incantare. Chiamo questa forza poesia".
Se la poesia di un'opera d'arte sta nella sua capacità di turbarci, di farci pensare, di estraniarci dalla
realtà e di sorprenderci, allora questo dipinto di Magritte è un capolavoro assoluto.
“Il nostro pensiero – scrive Magritte - comprende il visibile e l'invisibile. E io utilizzo la pittura per
rendere visibile il pensiero ".

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