RIMARIO DEI CANTI DI GIACOMO LEOPARDI
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RIMARIO DEI CANTI DI GIACOMO LEOPARDI
1 RIMARIO DEI “CANTI” DI G. LEOPARDI Opera di Franco Scalenghe Redatta nel mese di Maggio dell’anno 2002 1 – All’Italia 2 – Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze 3 – Ad Angelo Mai quand’ebbe trovato i libri di Cicerone della Repubblica 4 – Nelle nozze della sorella Paolina 5 – A un vincitore nel pallone 6 – Bruto Minore 7 – Alla primavera o delle favole antiche 8 – Inno ai Patriarchi o de’ principii del genere umano 9 – Ultimo canto di Saffo 10 – Il primo amore 11 – Il passero solitario 12 – L’infinito 13 – La sera del dì di festa 14 – Alla Luna 15 – Il sogno 16 – La vita solitaria 17 – Consalvo 18 – Alla sua donna 19 – Al conte Carlo Pepoli 20 – Il risorgimento 21 – A Silvia 22 – Le ricordanze 23 – Canto notturno di un pastore errante dell’Asia 24 – La quiete dopo la tempesta 25 – Il sabato del villaggio 27 – Il pensiero dominante 28 – Amore e Morte 29 – Aspasia 30 – Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi 31 – Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima 32 – Palinodia al marchese Gino Capponi 33 – Il tramonto della luna 34 – La ginestra o il fiore del deserto 35 – Imitazione 36 – Scherzo FRAMMENTI 37 – Odi, Melisso 38 – Io qui vagando 39 – Spento il diurno raggio 2 40 – Ogni mondano evento 41 – Umana cosa A Della mia prima età: Grato il sentir ci fa. Nella novella età? Tutto un piacer mi dà. L’infausta verità. Che miserar non sa. Il mondo e la beltà. Che lo spirar mi dà. 20/4 20/8 20/92 20/96 20/116 20/120 20/156 20/160 ABBRA D’alta pietà, su le convulse labbra In su la terra ancor; ben quelle labbra Baci scoccavi nelle curve labbra 17/73 17/82 29/22 ABBRI Lasciando a prova agricoltori e fabbri, 32/112 ABBRO Tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro Dolce parola di rosato labbro, Felicità principio, ostenta il labbro 19/68 19/74 32/258 ABILI Così quegl’ineffabili 20/77 ACCI A chi giovi l’ardore, e che procacci Il verno co’ suoi ghiacci. 23/75 23/76 ACCIA Nascondendo la faccia Che di catene ha carche ambe le braccia; Polve tergea della sanguigna caccia Il niveo lato e le verginee braccia. La gallinella, ed al balcon s’affaccia E col funereo ceffo il core agghiaccia Di strappar dalle braccia Universal, che terra e cielo abbraccia, Gli uomini, e tutti abbraccia Ancor siede tremenda, ancor minaccia Che alla sparsa ruina ancor minaccia. 1/16 1/13 7/37 7/38 16/3 16/83 30/99 32/196 34/131 34/246 34/279 ACCIO Che non vedesti in braccio Appare in vista, a salutar m’affaccio, 2/105 13/12 3 Un lungo vaneggiar, contento abbraccio 29/105 ACE Ogni cosa sorride; invidia tace, Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l’altro tace, Ha per natura; e por quegli odii in pace Essa indefatigata; insin ch’ei giace Come sinistra face 22/124 25/31 25/32 32/102 32/180 34/284 ACI Tu primo il giorno, e le purpuree faci Lati cercando, mille inefficaci Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci 8/22 19/60 32/89 ACIO Di lasciarmi in eterno, Elvira, un bacio 17/50 ACITA Deserto il dì; la tacita 20/21 ACQUA Vien fuor la femminetta a còr dell’acqua Del domestico pozzo ode mai l’acqua 24/14 34/259 ACQUE Già sempre infin dal dì che il mondo nacque Pensoso di cessar dentro quell’acque Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque Degli uomini giammai, dal dì che nacque Sovra campagne inargentate ed acque, 19/28 22/108 29/80 32/104 33/2 ACRIME Quante querele e lacrime 20/9 ACRO E di dolor custode, il simulacro 31/6 ADE In estranie contrade E fumo e polve, e luccicar di spade S’ai patrii esempi della prisca etade Oggi vedove son le tue contrade, I monumenti vostri; e di viltade Siam fatti esempio alla futura etade. Ma libera ne’ boschi e pura etade Che nella ferma e nella stanca etade, Angelica beltade! Appar felice, invade De’ tuoi steli abbellir l’erme contrade Che cingon la cittade 1/43 1/47 2/5 2/9 3/44 3/45 6/53 19/115 26/130 30/42 34/8 34/9 4 ADI Così, dell’uomo ignara e dell’etadi 34/289 ADRE Per la patria correan le genti a squadre; Ad onorar nostra dolente madre O dell’etrusco metro inclito padre, Cadeano a squadre a squadre Membrando questa desiata madre, Prole de’ campi, o duce antico e padre De’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre, 1/63 2/70 2/74 2/143 2/147 8/24 9/50 ADRI Voi dell’umana prole incliti padri, Io gli studi leggiadri Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri 8/2 21/15 32/115 AGA Ch’oggi non fa, pur consolata e paga L’alma terra nativa. Ecco alla vaga Ancor non sei tu paga Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga 4/93 4/95 23/5 23/7 AGE Che nell’altra è la strage, 34/234 AGGE Disdegnando sottragge, E preme in fuga l’odorate spiagge. Di primavera, né per colli e piagge Voi, collinette e piagge, Che il deserto consola. A queste piagge 9/35 9/36 19/131 33/51 34/37 AGGI De’ colorati augelli, e non de’ faggi 9/30 AGGIA Mover profumo di fiorita piaggia, 29/11 AGGIO Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Flutti commesso, ritrovasti il raggio Ignota immensa terra al tuo viaggio Dell’umana progenie al dolce raggio Domar fu dato. A senno vostro il saggio E tu su l’alpe l’immutato raggio Non te, dell’atra morte ultimo raggio, Solo e muto ascendea l’aprico raggio Placida notte, e verecondo raggio Pur mi restava, e nell’incerto raggio 2/191 3/81 3/85 4/33 4/35 6/86 6/109 8/33 9/1 15/99 5 O cara luna, al cui tranquillo raggio Mesto riluce delle stelle il raggio, Né cor fu mai più saggio Amor, nasce il coraggio Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio Torna al celeste raggio, Dove vai tu? Dal faggio 16/70 22/143 27/17 27/23 29/27 34/269 35/3 AGHE A poco a poco vinti dalle piaghe, 1/117 AGI Fur giardini e palagi, 34/27 AGINI Chiedea l’usate immagini Moti soavi, immagini, Dalle mie vaghe immagini 20/29 20/85 20/117 AGLIA Tornami a mente il dì che la battaglia Oimè, se quest’è amor, com’ei travaglia! Posan l’erbe e le frondi, e m’abbarbaglia 10/1 10/3 38/14 AGNA Di voi già non si lagna Sì ch’ella sempre amaramente piagna Passero solitario, alla campagna Della rana rimota alla campagna! Sospiro mio: passasti: e fia compagna Rompe là da ponente, alla montagna; Sgombrasi la campagna, La donzelletta vien dalla campagna, E d’afflitte fortune ognor compagna. Dal bosco alla campagna, Dalla valle mi porta alla montagna. 2/171 2/174 11/2 22/13 22/170 24/5 24/6 25/1 34/16 35/6 35/7 AGNE Brillano i tetti e i poggi e le campagne, E in un con l’usignol che sempre piagne Limpido il mar da lungi, e le campagne Le cime si scoprian delle montagne. 16/58 39/11 39/13 39/15 AGNI Varca torrenti e stagni, Di lingua che dal latte si scompagni. 23/29 32/243 AGNO Ed io seggo e mi lagno E per li poggi, ov’io rimembro e piagno O greggia mia, né di ciò sol mi lagno. 18/36 18/38 23/127 6 AGO Di riscontrarsi fuggitivo e vago Che la illibata, la candida imago Come all’aure si turba onda di lago. Spira nel pensier mio la bella imago, Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago. Sovra un rialto, al margine d’un lago L’alta specie serbar; che dell’imago, Poi che del ver m’è tolto, assai m’appago. Colmano i saggi, io d’ammirar son pago. Non mi dorrò, che già del tutto il vago Quasi una finta imago La tua sovrana imago Altro che gli occhi tuoi veder più vago? La donna a torto. A quella eccelsa imago 10/86 10/88 10/90 10/101 10/103 16/24 18/43 18/44 19/149 19/155 26/132 26/140 26/146 29/48 AI Se mai cadesti ancor, s’unqua cadrai, E in sempiterni guai La cara voce al core, e de’ cavai Orbo rimaso allor, mi rannicchiai Strinsi il cor con la mano, e sospirai. In ripensar che più non vivi, e mai La qual pavento, e pur m’è lunge assai. Favilla alcuna, o di pietà, giammai In sul fior dell’età; nell’altro, assai Viva mirarti omai Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, Sorgi la sera, e vai, Che la miseria tua, credo, non sai! Quasi libera vai; Già per gran tempo assai Senza te sopportai; Se beato chiamò s’indi giammai Se celebrata mai Ricompensar tentai, Chiudi alla luce omai Posa per sempre. Assai Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai Su tue molli foreste. E piegherai 2/82 2/84 10/53 10/55 10/57 15/45 15/53 15/62 17/101 18/12 23/1 23/3 23/106 23/109 26/39 26/40 27/53 27/100 27/103 27/106 28/6 29/63 34/304 AL Or d’altro a lei non cal. Schernisce ogni mortal. 20/124 20/128 ALA E non onda incresparsi, e non cicala 16/29 ALBA Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba. 25/37 7 Imbiancar nuovamente, e sorger l’alba: 33/57 ALDA Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda, T’abbandonava. Ombra reale e salda La favilla che il petto oggi ti scalda, 3/126 3/130 19/120 ALE Ch’alleggiò per gran tempo in nostro male? Né sorgerà mai tale Di noi qualche immortale: Veggiam che tanto e tale Bennato ingegno, or quando altrui non cale Chi stolto non direbbe il tuo mortale La noncuranza avviene ai sommi? O quale, Schiavi di morte: e se a cessar non vale Si consola il plebeo. Men duro è il male Al gener tuo, padre infelice, e quale Morta non mi parea, ma trista, e quale La mattutina pioggia, allor che l’ale La più degna del ciel cosa mortale. Quel tempo della tua vita mortale, Dimmi, o luna: a che vale Il tuo corso immortale? Vergine luna, tale È la vita mortale. Intatta luna, tale È lo stato mortale. E forse del mio dir poco ti cale. Che dell’esser mio frale, Avrà fors’altri; a me la vita è male. S’appaga ogni animale; Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale? Forse s’avess’io l’ale Forse in qual forma, in quale È funesto a chi nasce il dì natale. Dolce a veder, non quale Come, non so: ma tale Che sostener nol può forza mortale, O cede il corpo frale Pel fraterno poter Morte prevale; Anguste fronti ugual concetto E male Se danno è del mortale Perché sovra ogni male, Prole mortal, se dir si dee mortale I fusi delle Parche. Ogni giornale, Tal si dilegua, e tale Lascia l’età mortale Fa stima al vero uguale. Magnanimo animale E il basso stato e frale; 2/184 2/186 3/22 3/26 3/46 3/144 3/148 6/33 6/35 8/37 15/9 16/1 19/77 21/2 23/16 23/20 23/37 23/38 23/57 23/58 23/60 23/102 23/104 23/131 23/132 23/133 23/141 23/143 27/11 27/32 27/77 27/78 27/80 29/53 30/48 30/52 32/6 32/39 33/20 33/21 34/97 34/98 34/117 8 Verso te finalmente il cor m’assale? Non so se il riso o la pietà prevale. Povera foglia frale, La giovanezza come ha ratte l’ale, In sul varco fatale ALI Far ai passati onor; che d’altrettali Quella schiera infinita d’immortali, Te compagna alla via, te de’ mortali Cittadini consorzi e le fatali Pure all’aspro desire onde i mortali Destini investigar delle mortali D’intelletti immortali Che veramente è rea, che de’ mortali E la sede e i natali Meno inferma dell’uom, quanto le frali O dal fato o da te fatte immortali. Così di mille mali I miseri mortali 34/200 34/201 35/2 41/17 41/21 2/8 2/12 7/46 7/48 19/27 19/141 33/44 34/124 34/312 34/315 34/317 40/26 40/27 ALLA Delle nubi la grave ombra s’avvalla; 7/4 ALLE Ed erra l’armonia per questa valle. Vidi per muto calle, Invan sonò la valle Con gravissimo fascio in su le spalle, Per montagna e per valle, 11/4 20/54 20/55 23/23 23/24 ALLI E di carri e di voci e di timballi: Un fluttuar di fanti e di cavalli, L’italica virtude, onde alle valli Il calpestio de’ barbari cavalli Quando le rupi e le deserte valli Noi per le balze e le profonde valli Il fragor delle rote e de’ cavalli Di riandare i sempiterni calli? Di mirar queste valli? 1/42 1/46 6/3 6/5 8/27 9/14 16/79 23/6 23/8 ALLIDO Non all’autunno pallido 20/49 ALMA Di noi men lacrimabili nell’alma Cotesta cara e tenerella salma Avess’ella da lui. Sempre in quell’alma Portiam sempre, vivendo, innanzi all’alma, E da Boston a Goa, correr dell’alma 8/5 15/42 17/20 30/68 32/30 9 ALME Nostre misere menti e nostre salme Sempre i codardi, e l’alme 15/92 26/53 ALPITI Mancar gli usati palpiti, Proprii mi diede i palpiti, 20/13 20/109 ALSE Verso il misero amante il cor t’assalse 15/63 ALTI Incalzar degli assalti, 34/140 ALTO E lamentar nell’alto Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto In altrui s’affisò; quel labbro, ond’alto Stupende, e il senno, e le virtudi, e l’alto Che sia dell’alma generoso ed alto, 7/73 9/36 31/9 32/27 34/88 ALTRA Che picciol danno è cader l’una o l’altra 37/26 ALTRI Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri 22/149 ALTRO Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro Sarà per queste piagge, ove non altro E indarno a preservar se stesso ed altro 13/15 16/93 32/165 ALZA Felicità per l’imo sole incalza. 8/117 ALZE Quel desterà le valli, e per le balze 6/98 ALZO Mezzo vestito e scalzo, 23/22 AMA Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Dove vai? Chi ti chiama 29/45 30/1 AMI Mostra che per signor l’accolga e chiami? E procedere il chiami. 22/130 34/58 AMO Ecco tra nudi sassi o in verde ramo 6/91 10 Strider, né batter penna augello in ramo, E pur nulla non bramo, Lungi dal proprio ramo, 16/30 23/122 35/1 AMPA E libertade avvampa Terra il marte latino arduo s’accampa Aure, le nubi e la titania lampa Rara traluce la notturna lampa: Al vento, alla tempesta, e quando avvampa 4/99 4/101 7/41 13/6 23/26 AMPI Come tra nebbia lampi. A che pugna in quei campi Stolta virtù, le cave nebbie, campi Che lieti colli e spaziosi campi Non di greggi dovizia, o pingui campi, Dico: Nerina or più non gode; i campi, In altri volti; o per deserti campi, Inonderà con voi gli eterei campi. Ai vigneti, che a stento in questi campi 1/48 1/51 6/16 16/94 19/51 22/168 29/4 33/62 34/241 AMPIE Il cammino, anzi il volo: e sotto l’ampie 32/125 AMPO Dominatrice dell’etereo campo, Fugaci giorni! A somigliar d’un lampo Ratto d’intorno intorno al par del lampo In solitario campo, Al vicino ed inciampo, Stolto crede così qual fora in campo Suo nido, e il picciol campo, Fora cader la luna in sul tuo campo. 16/102 22/131 26/16 26/19 34/137 34/138 34/264 37/22 ANA Io mi pensava, arcani mondi, arcana Mi sedetti colà su la fontana Nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana Se te d’ogni dolor morte risana. Di tua natura arcana E di gran lunga errai. Misera e vana 22/23 22/107 24/50 24/54 26/7 32/2 ANCA Oggi nel vano dubitar si stanca Dal dì che nasce; e l’affatica e stanca, Non vi cal, soggiungea, quand’ella è stanca? Rispose: hassi a rifar, ma il tempo manca. 15/66 32/179 36/17 36/18 ANCE E di lacrime sparso ambe le guance, 1/81 11 Ch’offriste il petto alle nemiche lance 1/85 ANCHI Forse le chiome polverose e i fianchi Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi 5/20 5/23 ANCO In sempiterno? Ed anco, Onda rigasse intemerata il fianco M’affaticavi in su le piume il fianco, E dove io tristo ed affannato e stanco Rotto e deliro il sonno venia manco. Per le contrade cittadine il bianco Porser mille diletti allor che al fianco Giammai finor sì stanco Abbandonando all’alba il corpo stanco, Non rilevasse il fianco, L’angelica tua forma, inchino il fianco Divino al pensier mio. Così nel fianco Un già de’ tuoi, lodato Gino; un franco O pel montano fianco 7/16 8/93 10/20 10/22 10/24 16/86 22/65 26/96 27/52 27/54 29/18 29/28 32/227 34/218 ANDA Tratte l’opre divine a miseranda Non udisti gli oltraggi e la nefanda L’ora estrema ti fu. Morte domanda Chi nostro mal conobbe, e non ghirlanda. La stagion ch’or si volge. Intolleranda Seggo la notte; e su la mesta landa Si ritrovò nel mezzo ad una landa Spandeva il suo chiaror per ogni banda Gli arbori ch’a quel loco eran ghirlanda. 2/110 2/114 3/134 3/135 32/4 34/161 39/5 39/7 39/9 ANDE Furor novello incesta, e le nefande Lascia le case e per le vie si spande; Militar, di gelati e di bevande La donna, e il vento che gli odori spande, Se lieta fosse, è van che tu dimande: Che il cor le prometteva era più grande. 8/41 11/34 32/16 39/20 39/22 39/24 ANDI Chiama i gotici brandi; Fermo già di morir, gl’inesorandi 6/9 6/12 ANDO Chi ti discinse il brando? Come cadesti o quando Prima divelte, in mar precipitando, La vostra tomba è un’ara; e qua mostrando Agguagliar figurando? 1/30 1/34 1/121 1/125 2/59 12 Fia vostra gloria o quando? O giardini, o palagi! A voi pensando, Si componea l’umana vita: in bando Se d’angoscia sei vago, o miserando Che ti parve sì mesto e sì nefando, Per l’aere il nembo, e quando Or vieni il rinascente anno cantando, Per l’atre nubi e le montagne errando, Ti si offeriva nella notte, quando Tu inquieto, e felice e miserando, Ad ogni or fortemente palpitando. Appressommi la destra, e sospirando, Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando Di rincontro alle ville soffermando, Quand’ei m’offriva al guardo umano, e quando Alle ruote, alle faci ito volando Come al nome d’Elvira, in cor gelando, Speme de’ giorni miei; di te pensando, Nel secol tetro e in questo aer nefando, L’età spendendo, e mari e poggi errando, Studio de’ carmi e di ritrar parlando Della mia prima età! Sempre parlando, Alla fioca lucerna poetando, Vezzosi, inenarrabili, allor quando Suo venir nella vita, ed inchinando Dico fra me pensando: Con l’opra in man, cantando, I fanciulli gridando E qua e là saltando, Sott’altra luce che l’usata errando, Tanto dolor, che sopravviva amando Felicità su l’orme a gara ansando Alle miserie sue, l’uomo incolpando Congiunta esser pensando, E sparger fuga e fulminar col brando Dell’uomo? E rimembrando In un punto; così d’alto piombando, 2/63 3/113 3/117 3/138 3/140 6/28 7/72 7/83 10/17 10/19 10/21 15/11 16/18 16/62 16/98 17/116 17/136 18/40 18/42 19/80 19/105 22/78 22/115 22/121 22/129 23/85 24/12 25/24 25/26 26/104 30/106 32/31 34/122 34/127 34/143 34/185 34/212 ANDRA Come lion di tori entro una mandra 1/103 ANE Scienze ed arti e facoltadi umane, Fingon l’ombre lontane 32/229 33/6 ANGE Tra le ginocchia, e piange. Con le macchine sue, né con un Gange 1/17 32/84 ANGERE Chi mi ridona il piangere 20/101 13 ANGO Polve e scheletro sei. Su l’ossa e il fango Furo alcun tempo: or fango 31/2 31/17 ANGUE Sudato, e molle di fraterno sangue, Preparano i destini! Ecco di sangue Chi per te sparga con la vita il sangue! 6/10 8/39 17/122 ANI Sonar d’agresti Pani Spazi di là da quella, e sovrumani 7/32 12/5 ANIMA Mancano, il sento, all’anima 20/153 ANIME Piansi spogliata, esanime 20/17 ANNA Di cedere inesperto; e la tiranna Error che l’uman seme alla tiranna 6/40 8/12 ANNE Odi spesso un tonar di ferree canne, Fatal cagione, o di melate canne, E le barbe ondeggiar lunghe due spanne. 11/30 32/67 32/279 ANNI Poter tuo primo ne sottraggon gli anni; E il conforto perì de’ nostri affanni. Gli oltraggi lor, de’ necessarii danni Di colpa ignare e de’ lor proprii danni Lavinia prole, e gli anni Tacita verserai quando ne’ danni Perché i celesti danni E se de’ nostri affanni Luce prodotti. Immedicati affanni Amor, ch’a lunghi esigli e lunghi affanni Già tanto desiata, e per molt’anni Seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni Il ciel nullo conforto ai nostri affanni; Della prima stagione i dolci inganni In me, sul fior degli anni, Mancati i dolci affanni Natura, e i dolci inganni. Sopiro in me gli affanni Soggiorno disumano, intra gli affanni, O speranze speranze; ameni inganni Provar gli umani affanni, 3/104 3/105 6/34 6/61 6/84 6/87 7/1 7/92 8/6 8/84 17/68 18/29 18/31 19/122 20/2 20/3 20/110 20/111 22/48 22/77 26/89 14 E sostener molt’anni Cagion diletta d’infiniti affanni, Altri gentili inganni E tu, cui già dal cominciar degli anni Tu sola al mondo dei terreni affanni, In noi di cari inganni, La speme giovanil; piena d’affanni Colei che i nostri danni Velar di neri panni, O di lana o di seta. I rozzi panni 26/90 26/119 26/123 27/96 27/99 28/4 30/60 30/69 30/71 32/111 ANNO Pallido e scapigliato esso tiranno; Cagione ai Persi d’infinito affanno, E duolo e sdegno di cotanto affanno Ma dell’ingegno e della man daranno In seno al vostro smisurato affanno Al cui supremo danno Amor, di nostra vita ultimo inganno, Non sorser gli occhi tuoi; mercè, non danno, Lor suadesse affanno; Né dell’umano affanno, Erma terrena sede! Oh quanto affanno E degli affanni suoi, vota d’affanno E scolorato dal mortale affanno, Del dì fatal tempererà d’affanno. Non sol perché d’affanno Ch’ogni stento, ogni danno, E gran parte dell’anno Piacer figlio d’affanno; Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno La decima o la nona, e non potranno Tristi e miseri tutti, un popol fanno Del secol che si volge, anzi dell’anno, E menti che fur mai, sono e saranno, Ch’ei chiama antiche, e del seguir che fanno 1/113 1/116 2/42 2/46 2/167 2/169 3/129 3/133 6/67 7/58 8/36 8/98 17/71 22/103 23/108 23/110 23/115 24/32 32/118 32/188 32/204 32/219 32/230 34/290 ANO Italo egregio, il fato? O con l’umano Valor forse contrasta il fato invano? Son l’opre de’ mortali? Ed è men vano Natura stessa; e là dove l’insano In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano N’armaro incontra, e la negletta mano Tue forme il core e le pupille invano Amore indarno, e lunga fede, e vano Quasi fuggo lontano; Quasi romito, e strano Che n’andò per la terra e l’oceano? Anzi rovente. Con sua fredda mano Tosto al ferreo sopor; ch’è fatto estrano 3/14 3/15 5/33 5/36 7/85 8/17 9/26 9/59 11/23 11/24 13/37 16/41 16/68 15 Lei, già mossa a partir, presa per mano, Fuggitivo Consalvo? Egli la mano, Ma noi, che il viver nostro all’altrui mano Luce odiando, l’omicida mano, Della brama insanabile che invano Ogni tenero affetto, ignoto e strano; Candida ignuda mano, Foste voi pure invano Voi, raggio sovrumano, So che splendete invano, Tu, misera, cadesti: e con la mano Mostravi di lontano. Star così muta in sul deserto piano, Seguirmi viaggiando a mano a mano; E, dalla via corrente, odi lontano Col suo fascio dell’erba; e reca in mano Immobilmente collocato invano Già di desio; quell’amorosa mano, Onde per mar delizioso, arcano Erra lo spirto umano, Ardito notator per l’Oceano: Sangue de’ suoi non asterrà la mano Cerca il confuso aviatore invano Esso a lei veramente è fatto estrano. L’una di quelle mi pigliò per mano; Cento dolci pensieri educa invano, Cura di morbi ha l’uom gagliardo e sano. Poco il rogo è lontano. 17/27 17/77 19/44 19/55 19/58 19/136 20/62 20/63 20/134 20/135 21/61 21/63 23/80 23/83 24/22 25/3 31/3 31/12 31/43 31/44 31/46 32/60 33/29 33/33 36/3 41/13 41/15 41/19 ANTA Io chieggo a voi. La santa Per vostra mano? Attenuata e franta Vivi tu, vivi, o santa Chiamata fosti, e lamentata, e pianta! Madre temuta e pianta 4/39 4/41 7/20 17/135 30/44 ANTE Chi pingerà l’attonito sembiante? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Eran calde le tue ceneri sante, Movi ad alto desio. Te l’echeggiante O tenebroso ingegno. A voi, fra quante Dell’umana famiglia, e tu l’errante E tu dall’etra infesto e dal mugghiante Della gelida morte. Ecco di tante Dolcezza palpitando all’anelante Esser solea dell’infelice amante: E non lo sguardo tenero, tremante, Mi fieno, a ricordar, bramate e piante. Il garzoncel, come inesperto amante, Scolorar del sembiante, 2/56 2/60 3/61 5/8 6/70 8/25 8/57 9/68 15/83 17/18 19/75 19/126 22/74 23/66 16 Morte, sei tu dall’affannoso amante! Quante la sera, e quante, Pari alla donna che il rapito amante Già del fato mortale a me bastante Scrisser natura e il fato in adamante; Ch’han principio d’allor che il labbro infante Gl’ispidi genitori, o prole infante, Lochi e dal mondo abbandonati amante, Dall’utero tonante Dell’ostel villereccio, alla vagante E la cresta fumante, E muggia tra le nubi il tuono errante, O care nubi, o cielo, o terra, o piante, Pietà nel mondo un infelice amante. 27/50 27/51 29/42 29/109 32/81 32/184 32/272 34/15 34/213 34/250 34/278 38/5 38/7 38/9 ANTI Muta sì lunga etade? E perché tanti Serbaro occulti i generosi e santi In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti Taci, taci, diss’io, che tu mi schianti Sguardi furtivi, erranti, Voi de’ gentili amanti Sul paterno giardino scintillanti, Allettatrice, fervidi sonanti E ciò che inspira ai generosi amanti Perché mille discordi e repugnanti Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti Dal risorto pensier segnato innanti Del ritornar ti vanti, 3/8 3/12 13/19 15/38 20/58 20/59 22/3 29/21 29/50 32/100 32/143 34/55 34/57 ANTO Mai non potrebbe il pianto Che, rimembrando il tuo passato vanto, Né le spose vi foro o i figli accanto Senza baci moriste e senza pianto. Ma voi di quale ornar parola o canto I sensi e le virtudi eterno vanto Tua mente allora, il pianto Oh misero Torquato! Il dolce canto V’incresca esser nomate. I danni e il pianto Cresca alla patria, e gli alti gesti, e quanto Al mattutino canto E voi de’ figli dolorosi il canto, Al misero mortal, nascere al pianto, Profana destra, e la sciagura e il pianto Il mattutino albor; me non il canto Per dotta lira o canto, Virtù non luce in disadorno ammanto. Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto. Odo non lunge il solitario canto Ma nebuloso e tremulo dal pianto 1/22 1/26 1/98 1/100 2/44 2/47 3/122 3/124 4/62 4/66 6/97 8/1 8/7 8/69 9/29 9/53 9/54 13/16 13/25 14/7 17 Prima insegnommi, e poi lasciommi in pianto. Vieni, o cara beltà? Quanto, deh quanto Il fior dell’età mia. Nascemmo al pianto, Natura in questi lochi, un giorno oh quanto Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto Un altrettale amor. Quanto, deh quanto Del faticoso agricoltore il canto, Vai sostentando? In che pensieri, in quanto Non aula puote e non purpureo manto Le dilettose immagini, che tanto Né degli augelli mattutini il canto Al tuo perpetuo canto, Quel che prometti allor? Perché di tanto Mirando il cielo, ed ascoltando il canto In sul languir cantai funereo canto. E non ho fino a qui cagion di pianto. Quel che tu goda o quanto, Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Là dove spesso il tuo stupendo incanto De’ tuoi bambini, il niveo collo intanto Della mia vita un dì: se non se quanto, Bella non solo ancor, ma bella tanto, Mutar forma e color. Cadde l’incanto, Da Londra a Liverpool, rapido tanto Esplorar che ti val? Materia al canto Ond’io, degli astri desioso, al canto E l’uom d’eternità s’arroga il vanto Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto Desta la moglie in fretta, e via, con quanto Che sembra star. Cagiono i regni intanto, E l’uom d’eternità s’arroga il vanto. Ma più saggia, ma tanto Di sommergermi, o nembi, insino a tanto S’apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Le luci il crudo Sol pregne di pianto. Sorgea di dietro ai monti, e crescea tanto, Spiegarsi ella il vedea per ogni canto, E far sovra il suo capo a quella ammanto. 15/8 15/14 15/55 16/16 17/111 17/133 18/35 19/4 19/52 19/124 19/130 21/9 21/38 22/12 22/118 23/123 23/124 24/48 26/102 29/23 29/72 29/75 29/101 32/123 32/236 32/251 32/297 34/39 34/261 34/294 34/296 34/314 38/11 38/13 38/15 39/32 39/34 39/36 ANTRI Della saggia natura! I lidi e gli antri 8/112 ANZA Dove l’armi e il valore e la costanza? O qual tanta possanza Non si conviene a sì corrotta usanza Se di codardi è stanza, Novo d’amor desio, nova speranza Stupidamente per la muta stanza, Amarissima allor la ricordanza Ad ogni voce il core, a ogni sembianza. 1/29 1/32 2/197 2/199 7/7 10/59 10/61 10/63 18 Battendo esulta nella chiusa stanza Se core e lena a sospirar m’avanza. Nulla spene m’avanza; Per novo calle a peregrina stanza Quando fanciullo, nella buia stanza, Che di cotanta speme oggi m’avanza; Che qui sola di te la ricordanza Così meco ragiono: e della stanza Angelica sembianza, Nella terrena stanza, Nell’immenso universo, e non l’avanza, Se non quella del fato, altra possanza. Il mio secolo e tuo! Con che costanza All’amante natura. E la possanza Distrugge sì, che avanza A gran pena di lor la rimembranza. Anche tu presto alla crudel possanza 16/2 16/107 18/13 18/15 22/53 22/92 22/139 23/90 26/142 26/143 27/94 27/95 32/213 34/41 34/109 34/110 34/300 ANZE Furo i liquidi fonti. Arcane danze Odo sonar nelle romite stanze Lui giochi e cene e invidiate danze Non valser gl’intelletti e le possanze Van l’ombre e le sembianze Le lontane speranze, 7/25 16/65 19/67 32/103 33/23 33/25 ANZI Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi Al parer mio, che tutte l’altre avanzi. Supplichevol vedesti, a te dinanzi Divien quel che fu dianzi Più gravi, intera, e non veduta innanzi, Non sien diversi! E di che tratto innanzi, Codardamente supplicando innanzi 17/86 29/76 29/94 31/34 32/108 32/224 34/308 APO Grave carro di Giove a noi sul capo, Degl’infelici è la sembianza. Al capo Il quinto lustro, gli pendea sul capo 9/12 15/10 17/4 APRE E irrevocabil tempo, allor che s’apre 16/45 AR Meco favella il mar. Cangiato il mondo appar? 20/100 20/104 ARA Che il duro cielo a noi prescrisse impara, Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara. 4/7 5/12 5/13 19 Questo gelido cor, questo ch’amara Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara? Ali di morte il divo etere impara. Al sangue nostro e dilettosa e cara Il pastorel; ma di suo fato ignara In che peccai bambina, allor che ignara Dolor prevale. Oh sfortunata, oh cara, O sventurato. Io di pietade avara Speme dei nostri dì, concedi, o cara, Anima voli? O te la sorte avara Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara? 7/18 7/19 8/42 8/90 8/97 9/40 15/37 15/72 15/79 18/10 18/11 ARCA A che d’affanni e di miserie carca 19/143 ARCHI O patria mia, vedo le mura e gli archi Non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi 1/1 1/5 ARCO Vie del Tamigi fia dischiuso il varco, 32/126 ARDA A ricercar s’a questa età sì tarda Anco ti giovi, o patria, esser codarda. 3/29 3/30 ARDI O miseri o codardi Il corrotto costume. Ahi troppo tardi, Al vivo sfolgorar di quegli sguardi 4/16 4/19 29/54 ARDO Vide, e stupì, che non palese al guardo Indugio in altro tempio: e intanto il guardo Conscia del suo poter, conscia che un guardo La bellissima donna; e fiso il guardo, Suo dì felice gli fuggia dal guardo. Di due nere pupille, il caro sguardo, Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo Ad un segno cortese, ad ogni sguardo Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, La terra e il ciel, come sfavilla il guardo Resta la vita. In lei porgendo il guardo, Ricco d’or né gagliardo, Ancor leva lo sguardo 7/34 11/39 17/14 17/60 17/151 19/76 22/98 29/100 31/7 32/263 33/28 34/90 34/243 ARE Su per quello di neve orrido mare Con quel de’ tardi e vili. Anime care, Ma tua vita era allor con gli astri e il mare, L’erta sonante e l’alma terra e il mare 2/158 2/162 3/76 3/89 20 Al fanciullin, che non al saggio, appare. Nunzio del giorno; oh dilettose e care E il naufragar m’è dolce in questo mare. Che d’ogni affanno il tragge, ha poco andare E tu, lieta e pensosa, il limitare E chiaro nella valle il fiume appare. Beltà grandeggia, e pare, Gl’inimici obbliando, acerbe gare Che un punto a petto a lor son terra e mare 3/90 9/4 12/15 15/30 21/5 24/7 31/25 34/141 34/170 ARGI Tuoi cespi solitari intorno spargi, 34/5 ARGINI Se al ciel, s’ai verdi margini, 20/93 ARI Pugnan per altra terra itali acciari. Consorte e i figli cari, Amor d’Italia, o cari, In ogni petto omai, perciò che amari Agli avi suoi deggia la terra impari. Siccome or fai che tutta la rischiari. I miei teneri sensi, i tristi e cari Porgendo, e lor di tue cagioni ignari A tutti noi che senza colpa, ignari, Meglio ch’or son, benché sicure al pari, 1/53 1/56 2/35 2/38 4/67 14/5 22/172 29/24 30/77 32/129 ARLA Nostra vita a che val? Solo a spregiarla: Con riposato cor: che a sostentarla Ed io, ma di rifarla 5/60 17/108 36/16 ARME Le sitibonde agnelle, arguto carme 7/31 ARMI Dove sono i tuoi figli? Odo suon d’armi Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi, Non temuta, la morte; e lieto apparmi Non si nega a chi muor. Né già vantarmi Son de’ guerrieri e il perigliar nell’armi; Quasi incredibil parmi 1/41 1/45 17/44 17/53 19/21 26/37 ARNI Quanto peso di sal, quanto di carni, 32/141 ARNO Certo si renda com’è tutta indarno E tu d’amore, o sfortunato, indarno Ch’aprii le luci al dì. Non vissi indarno, 15/28 15/90 17/96 21 D’esser beati sospiraro indarno, Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno Ma non piegato insino allora indarno 19/29 19/86 34/307 ARO È peggiorato il viver nostro. O caro, Affanno anche oggidì, se il grande e il raro Tal che le greche insegne e il greco acciaro Nelle pallide torme; onde sonaro Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro Il suol nativo, e di sua prole ignaro Del soave licor del doglio avaro Gli occhi negli occhi miei, già scordi, o caro, A deserti edifici, in su l’acciaro Il caro tempo giovanil; più caro Son dileguati. E qual mortale ignaro Terribile, ma caro L’uom della villa, ignaro Che da se stessi il villanello ignaro, Già dal principio conoscente e chiaro A polizze di cambio. E già dal caro E biondeggiàr di spiche, e risonaro 3/141 3/145 5/22 5/24 7/84 7/86 9/63 15/88 16/77 22/44 22/132 26/3 27/63 27/82 29/82 32/59 34/25 ARRE Agli atroci del fato odii sottrarre. 15/50 ARRO Polveroso de’ Noti, e quando il carro, 9/11 ARSE Quanto più vogli o cumulate o sparse, 32/78 ARSI Verso lei di lontano ad atterrarsi; Questi campi cosparsi 30/32 34/17 ARSO E spezzato con esso, a terra sparso 29/102 ARTA E figurato è il mondo in breve carta; O caro immaginar; da te s’apparta Zefiro avvivi, onde fugata e sparta 3/98 3/102 7/3 ARTE Nostre corone al suol fien tutte sparte? Che ti rassembri in qualsivoglia parte? Oh casi! Oh gener vano! Abbietta parte E questa siepe, che da tanta parte Talor m’assido in solitaria parte, La tua diletta immagine si parte 2/185 2/187 6/101 12/2 16/23 17/145 22 Havvi chi le crudeli opre di marte Ogni beltate o di natura o d’arte, Talor lasciando e le sudate carte, E di me si spendea la miglior parte, Delle sere io solea passar gran parte Non resterete; che dall’altra parte Fia ricondotto in parte Il suol ch’io premo; e poi dall’altra parte, Mostrommi a parte a parte Gli strumenti dell’arte, 19/88 19/134 21/16 21/18 22/11 33/55 34/150 34/187 36/7 36/8 ARTI Pensa qual terra premi; e se destarti Che stai? Levati e parti. Io venia pien d’angoscia a rimirarti: E chi virtute o sapienza ed arti L’ultimo istante. Al nido onde ti parti, L’umana compagnia principii e parti Ma della vita in tutte l’altre parti, 2/194 2/196 14/3 19/94 30/19 32/101 32/194 ARTO Fiamma n’increbbe, e detestato il parto Morremo. Il velo indegno a terra sparto, 8/19 9/55 ARVE Dell’inquiete larve Al seno ascoso e disiato. Apparve Raggio divino al mio pensiero apparve, 6/17 29/26 29/33 ARVI Tornare ancor per uso a contemplarvi 22/2 ASCE Amante. Ahi dal dolor comincia e nasce A cui fu vita il pianto! A noi le fasce Studi rinnova e le seguaci ambasce L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce Con certo cor giammai, fra tante ambasce, Non l’amerà quant’io l’amai. Non nasce Quei figurati armenti, e il Sol che nasce In pochi istanti: onde su quelle or pasce 3/69 3/73 8/66 16/4 17/128 17/132 22/63 34/226 ASI Non desta ancora ovver benigna; e quasi Ogni nato sarà. Ma novo e quasi Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi 22/125 32/197 34/34 ASO Allor mirando in ciel, vidi rimaso 37/17 ASPRO 23 Tal io dal secco ed aspro 26/33 ASSA A pensar come tutto al mondo passa, 13/29 ASSE Qual nell’acerbo fato amor vi trasse? Parea ch’a danza e non a morte andasse 1/90 1/94 ASSI Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; Canti, e così trapassi Come da’ nudi sassi Abbandonasti, e volti addietro i passi, Di ceneri e di pomici e di sassi Di liquefatti massi Il volar polve e frondi e rami e sassi, Ella dal lampo affaticati e lassi Gia pur tra il nembo accelerando i passi. 11/14 11/15 26/29 34/56 34/215 34/220 39/65 39/67 39/69 ASSO Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Così vennero al passo, Serena adduce al non previsto passo Ne’ rudi tronchi, o da montano sasso D’estiva notte, il vagabondo passo 2/27 2/30 2/156 6/63 6/65 16/61 ASTA Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta 9/15 ASTI Se di costei che tanto alto locasti Verso la fama che di te lasciasti, E quanto al femminile ozio sovrasti Piena degli anni il tuo valor contrasti Amore, amore, assai lungi volasti 2/76 2/80 5/3 5/6 16/39 ASTO E rotto di natura ogni contrasto, Non cresce, anzi si scema, e assai più vasto 3/84 3/88 ATA Le genti a vincer nata Siede in terra negletta e sconsolata, Disdegnando e fremendo, immacolata Preme il destino invitto e la ferrata Di febo e l’aurea luna. Oh fortunata, Ne’ consorti ricetti: onde negata O greggia mia che posi, oh te beata, D’alcun dolor: beata 1/19 1/15 3/166 6/31 8/34 8/50 23/105 24/53 24 Quante volte implorata Se cara esser nomata, Se misera tu debbi o fortunata. Parve, e fu, la mia lingua alla beata 27/48 30/16 30/17 32/5 ATE I silenzi lasciando, e le beate Tragge il destin; l’obbrobriosa etate Ragion di nostra etate Da voi nostra natura? E le assonnate L’alta ruina ignora e le mutate La ricordanza, e il noverar l’etate Di medicina in loco apparecchiate Dovea, già son molt’anni. Illuminate Che di selve odorate Chi sa? Non veggiam noi spesso di state Benché l’umana etate, Di sembianze beate, 4/2 4/6 4/38 4/42 6/94 14/11 19/30 32/128 34/298 37/23 40/7 40/11 ATI Al peregrino affanno, agl’ignorati Me sedendo e mirando, interminati La gioventù del cor diedero i fati; Anche negaro i fati Gli ozi, i commerci usati, Guardando attorno, all’ore ai lochi usati Di sovrumani fati, Guida i pubblici fati. 8/115 12/4 19/114 21/51 26/25 30/96 31/28 34/77 ATO Beato te che il fato L’itala moglie a barbaro soldato; Dal tocco di tua destra, o sfortunato Del tedio che n’affoga. Oh te beato Quando nell’alto lato Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, E nove Soli, in questo a pianger nato Quando in ispregio ogni piacer, né grato Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato. La morte ai giovanetti, e duro è il fato E mai più non vivrai: già ruppe il fato Di taciturne piante incoronato. Dai più diletti amici abbandonato: A consolare il suo deserto stato, Dissimulando l’appressar del fato, Né questo dì rimemorar m’è dato. Quanto all’umana età propose il fato, Questo viver beato: All’umana famiglia; onde agitato Sparsi nel novo stato, Quando al mio cor gelato 2/103 2/106 3/68 3/72 6/43 9/5 10/68 10/70 10/72 15/32 15/94 16/25 17/7 17/11 17/40 17/143 18/24 18/27 19/35 20/10 20/11 25 Tristo; ma non turbato Ma placido il mio stato, Palpiti, error beato, Per sempre a voi negato Se non concedi al fato, Non chiamerò spietato La vita umana e il fato! Acerbo e sconsolato, Volentier con la morte avrei cangiato. Di gioventù, quando spegneali il fato, Il prende a consolar dell’esser nato. E consolarlo dell’umano stato: Altro ufficio più grato Senza noia consumi in quello stato. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Torna il lavoro usato. Recheran l’ore, ed al travaglio usato Sola discolpa al fato, Il mio terreno stato L’uno o l’altro di voi conceda il fato, Fosti da me, s’al tuo divino stato L’onte del volgo ingrato Erta la fronte, armato, E renitente al fato, L’ultima volta. Al gener nostro il fato Così riduce il fato Quale splendor vibrato Dare al mortale stato: O incapace o inesperto, il proprio fato Ridi, o tenera prole: a te serbato Parve lassù, se il giovanile stato, Di mar commosso, un fiato Vede lontan l’usato Che crepitando giunge, e inesorato Alla finestra che risponde al prato, La luna, come ho detto, in mezzo al prato 20/66 20/67 20/86 20/87 20/158 20/159 21/31 21/34 22/27 22/156 23/44 23/49 23/50 23/116 24/8 24/10 25/41 26/82 26/105 27/90 27/101 27/102 27/110 27/111 28/12 31/20 31/26 31/31 32/11 32/275 33/36 34/107 34/263 34/267 37/4 37/14 ATRA La bella età, cui la sciagura e l’atra 7/12 ATRI Per li vacui teatri, 34/281 ATRO Insultino gli armenti, e che l’aratro Abiterà la cauta volpe, e l’atro 5/42 5/45 ATTA Come solinga è fatta Forse il mortale inabitabil fatta 26/13 27/36 26 ATTE Nostra caduca età. Non che di latte Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, Studi fia noto, e imprenderà col latte 8/92 23/25 32/139 ATTI Dar possa il labbro mio. Premio daratti E credo anco del mar gl’immensi tratti, 17/33 32/148 ATTO Chi non si duol? Che non soffrimmo? Intatto Qual tempio, quale altare o qual misfatto? Che la tua destra io tocchi. Ed ella, in atto Stette sospesa e pensierosa in atto Non è dato con gioia. E ben per patto Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto Asciutto il ciglio ed animosa in atto, Preme il fragil mortale, a perir fatto Dice: a goder son fatto; 2/117 2/119 15/80 17/59 17/114 29/97 30/8 32/175 34/101 AVA Or salta a quello in tergo e sì gli scava Tal fra le Perse torme infuriava Nostra patria vedendo ancella e schiava, Lo spietato dolor che la stracciava Tua destra, allor che vincitrice il grava, Locommisi nel petto, e mi serrava E lunga doglia il sen mi ricercava, Malinconicamente e i campi lava. Pentimento, che l’anima ci grava, Per li fuggiti dì mi stimolava Suo morso in questo cor già non oprava. Ferveva e il petto, nelle fauci stava Per assidui terrori io vigilava, Quando ai dì della festa ella si ornava, Dell’impietrata lava, Corre il baglior della funerea lava, In riveder la luna. Io me ne stava Che quanto nel cader s’approssimava, Tal che a forza era desto e svolazzava E la nube, crescendo, in giù calava Toccava i monti, e l’altro il mar toccava. 1/104 1/107 2/124 2/128 6/41 10/62 10/64 10/66 10/92 10/94 10/96 15/85 22/54 25/12 34/19 34/286 37/3 37/7 39/41 39/43 39/45 AVE Domo il vigor natio, languide, ignave Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave Provveder commettiamo, una più grave Godi, fanciullo mio; stato soave, Ch’anco tardi a venir non ti sia grave. 8/54 17/146 19/45 25/48 25/51 AVI 27 Sorella mia, che in gravi Al tuo sangue provvedi. Aure soavi Che pensieri soavi, E co’ fulmini suoi Volta né Davy Fraterne, ancor più gravi 4/8 4/12 21/28 32/82 34/120 AVVI Sangue la man tinge per ozio; ed havvi 19/90 AZZE Ordinator, fra le percosse tazze 32/17 AZZO O di tempio o di torre o di palazzo, 32/156 E Questa che sento in me? Questo mio cor non è? Quel bianco petto in sé. Disprezzo è la mercé. 20/84 20/88 20/140 20/144 EA Ver lo balcone al buio protendea La voce ad ascoltar, se ne dovea La voce, ch’altro il cielo, ahi, mi togliea. Nel petto, cui scaldar tanto solea, Né gli occhi ai noti studi io rivolgea, Vano ogni altro desir creduto avea. Di te mi dolse e duol: né mi credea Un sovrano timor. Così l’avea Postasi al cor, che gli ultimi battea Quando beltà splendea Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea Della sua mente, l’amorosa idea, Io mirava, e chiedea: Musa, la lima ov’è? Disse la Dea: Distaccasi la luna; e mi parea Vomitava una nebbia, che stridea Guardava sbigottita, e poi correa, E il duro vento col petto rompea, In sul volto soffiando le spingea. 10/44 10/46 10/48 10/74 10/76 10/78 15/15 17/22 17/79 21/3 22/1 29/39 36/13 36/14 37/6 37/11 39/56 39/58 39/60 EBA Cavati in molle gleba 34/206 EBBE Legge arcana farebbe Figli di Prometeo, la vita increbbe; Bastato sempre il rimembrar sarebbe Grazia il morir, chi però mai potrebbe, Quel che pur si dovrebbe, 6/69 6/72 17/109 30/84 30/85 28 Preme chi troppo all’età propria increbbe. 34/69 EBE Quella l’inferma plebe Siam delle cose: e non le tinte glebe, Fin la negletta plebe, 6/99 6/102 27/62 EBRE Gli occhi al sonno chiudea, come per febre Oh come viva in mezzo alle tenebre La contemplavan sotto alle palpebre! 10/23 10/25 10/27 ECA E del fato e d’amor, Diva più cieca. 19/158 ECCHIA Qui mira e qui ti specchia, 34/52 ECCHIO Natura? Vivi e il dissueto orecchio Placido albergo e specchio Del pallido ladron ch’a teso orecchio Della speranza al mio profano orecchio Cui di lontan fa specchio 7/21 7/24 16/78 32/241 34/164 ECE Di cui lor sorte rea padre ti fece 34/60 ECHI Non gli ululati spechi Il disperato pentimento i ciechi Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi 6/103 8/48 19/140 ECITA Che non del ben sollecita 20/121 ECO E il crudo fallo emenderà del cieco All’immatura sapienza il cieco La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco Di questo mal, che teco 9/57 15/36 22/109 34/70 ECOLO Che ignora il tristo secolo 20/129 EDA Al ciel ne caglia: a te nel petto sieda Elvira, addio. Non ti vedrò, ch’io creda, Morte, deserto avviva. A te conceda 4/22 17/30 19/118 EDDO 29 Or quando al tutto irrigidito e freddo 19/127 EDE E il petto ansante, e vacillante il piede, Per amor di costei ch’al Sol vi diede; Beata allor che il piede Spinto al varco leteo, più grata riede. Bruto per l’atra notte in erma sede, Sotto barbaro piede Rintronerà quella solinga sede. Umane menti riede Questa flebil riguardi umana sede. Come colonna adamantina, siede Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede Move la greggia oltre pel campo, e vede Stolta, che l’util chiede, Quindi più sempre divenir non vede; Quale affetto non cede? Se non quell’uno intra i mortali ha sede? Spera l’uomo ingannato, e mal richiede Valor vero e virtù, modestia e fede Meta o ragione; e vede Che a sé l’umana sede, Così star suole in piede Quale star può quel ch’ha in error la sede. Sta natura ognor verde, anzi procede Passan genti e linguaggi: ella nol vede: Ma stolto è chi non vede Tu presso a porre il piede Della plutonia sede, 1/82 1/86 5/64 5/65 6/11 6/89 6/90 7/11 16/103 19/71 22/140 23/12 26/62 26/64 26/70 26/72 29/55 32/69 33/31 33/32 34/156 34/157 34/292 34/295 41/16 41/20 41/22 EDI Oggi ridotta sì che a quel che vedi, Qual tu forse mirando a te non credi. Rive del gregge tuo nutrici e sedi, Da presso né da lunge odi né vedi. Da lungi osserva o il calpestio de’ piedi 2/95 2/98 8/76 16/32 16/80 EDO Ma la gloria non vedo, 1/4 EDOVO D’ogni dolcezza vedovo, 20/65 EE Se dell’eterne idee 18/45 EGA Degl’inchinati salici dispiega Odi il martel picchiar, odi la sega Che reina bellezza si dispiega 9/32 25/33 30/29 30 Durabilmente sovra quei si spiega. 34/268 EGGA In tutto il viver mio? Grazia ch’ei chiegga 17/52 EGGE Questa, immutata legge Per essenza insanabile, e per legge 30/63 32/195 EGGHIE Sudar nelle officine, ozio le vegghie 19/20 EGGI Delle balze materne, o con le greggi Cui franger glebe o curar piante e greggi Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, Dall’ignea forza, i popolati seggi, 8/94 19/13 34/160 34/239 EGGIA Teco il prode guerreggia Indomito scrollando si pompeggia, La sua vita ingannevole vagheggia, Ovver con la mia greggia Più felice sarei, dolce mia greggia, Per abitati lochi a me lampeggia Paion sovente rivelar. Vagheggia Là ‘ve zefiro aleggia, 6/39 6/42 22/75 23/82 23/137 29/3 29/37 33/3 EGGIO Chi la ridusse a tale? E questo è peggio, Che lividor, che sangue! Oh qual ti veggio, E morte lo scampò dal veder peggio. Età né suolo. Altri anni ed altro seggio Di vil caterva? In peggio 1/12 1/9 3/168 3/170 6/112 EGGO Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo 13/21 EGHI A disusati preghi, Che tu le penne al mio pregar dispieghi, 27/105 27/109 EGLIA Ch’egli era spento, io doloroso, in veglia Dolcemente picchiando, mi risveglia ; Del legnaiuol, che veglia 13/42 16/7 25/34 EGLIO Che seguirà; poiché di meglio in meglio Si cresce in civiltà, che sola in meglio 32/52 34/76 31 EGNA Né v’è chi d’onorar ti si convegna. E piangi e di te stessa ti disdegna; Regi, o la terra indegna, A novi liti e nove stelle insegna. Felicità, vive tristezza e regna. E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna I moti tuoi, né di sospiri è degna 2/10 2/13 6/107 8/70 19/87 22/157 28/8 EGNE Fiamma di gioventù dunque si spegne Menti, e le voglie indegne, Gridar volendo, e spasimando, e pregne 4/40 4/43 15/96 EGNI Non degl’itali ingegni Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Padre, se non ti sdegni, Squallide piagge, ahi d’altra morte degni, Tu le cure infelici e i fati indegni Scellerato ardimento inermi regni Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni Alla sua lingua. Poiché certi i segni Agli animosi ingegni Queste lievi reliquie e questi segni 2/109 2/113 2/137 2/140 7/88 8/111 9/23 17/25 27/89 32/97 EGNO O sventurato ingegno, Solo di sua codarda etate indegno Chi de’ perigli è schivo, e quei che indegno Odio mova e disdegno; Guerra mortale, eterna, o fato indegno Colpe de’ figli, e irrequieto ingegno, Primo i civili tetti, albergo e regno Alle amene sembianze eterno regno Il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno Se quell’oprar, quel procurar che a degno Sottrar l’umana prole. Or s’altri, a sdegno A persona giammai non ne fo segno. Mie voci al tempo che l’acerbo, indegno Or la squilla dà segno Ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno Dell’umana viltà subito a sdegno. Avarizia, superbia, odio, disdegno, Studio d’onor, di regno, Questa vita mortal, fu non indegno; Sorge di rado il femminile ingegno; La morte; e questa inevitabil segno, L’uomo, o si può. Fra maraviglia e sdegno, Dirò, la speme, onde visibil pegno Il tuo stato quaggiù, di cui fa segno 3/152 3/154 4/55 4/58 6/38 8/15 8/46 9/51 9/70 19/9 19/53 22/37 22/71 25/20 26/55 26/58 26/73 26/74 26/91 29/49 30/62 32/7 32/256 34/186 32 EGRA E mira ed è mirata, e in cor s’allegra. Mira dinanzi a te come s’allegra 11/35 32/262 EGRI Ma non per te; per questa ti rallegri Ponga ne’ figli sonnacchiosi ed egri 2/86 2/89 EGUA E spesso al ver s’adegua, Ammirabil concetto, si dilegua. 26/115 31/38 EGUE Vidi e conobbi assai, là dove segue 16/12 EI A pugnar contra lei, L’umana speme. A desiar colei Luce de’ giorni miei? Gli affetti ch’io perdei La speranza mia dolce: agli anni miei Come passata sei, Su romita campagna, agli ozi miei Ma tu mortal non sei, Non so già dir; ma fortunata sei. Se tu parlar sapessi, io chiederei: Solea danzar la sera intra di quei Gli altri pensieri miei Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei. Subito i sensi miei; Ed anco tornerei, Vitale ai giorni miei, Che in perpetuo signor dato mi sei. A riveder colei Ch’io di te non pensassi? Ai sogni miei Non ci prescriver lieta? Anzi colei 2/173 15/29 20/90 20/91 21/50 21/53 22/64 23/59 23/125 23/128 25/14 26/17 26/20 26/56 26/92 26/118 26/122 26/126 26/139 30/66 EL Chiusa in eterno gel; Spente le stelle in ciel. 20/20 20/24 ELA Posa la luna, e di lontan rivela Che fui misera anch’io. Non far querela Non a te, non altrui; che non si cela Che percorrea la faticosa tela. L’ora, e quando poi gela, Corre via, corre, anela, 13/3 15/74 17/88 21/22 23/27 23/28 ELLA 33 Che fosti donna, or sei povera ancella. Non dica: già fu grande, or non è quella? Arena e il circo, e te fremendo appella Te rigoglioso dell’età novella Delle rotanti sfere, e la novella Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella Or tu vivi beata, e il mondo abbella, Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella. E più vaga del Sol prossima stella Che non a sé, non ad altrui, la bella In suo chiuso pensier natura abbella, Su la scala a filar la vecchierella, Ed ancor sana e snella Ch’ebbe compagni dell’età più bella. Vede omai senza quella Ma per cagion di lei grave procella La tenera donzella Tutta al volto ai costumi alla favella Bellissima donzella? Una comun felicitade; e quella Ma la vita mortal, poi che la bella Nobil natura è quella Del suo dolor, ma dà la colpa a quella La sembianza del ciel, ch’era sì bella, Un nugol torbo, padre di procella, Che più non si scopria luna né stella. 1/24 1/27 5/9 5/11 8/23 9/19 17/130 18/21 18/22 18/52 19/23 19/117 25/9 25/13 25/15 27/37 27/40 27/83 29/41 30/3 32/202 33/63 34/111 34/123 39/29 39/31 39/33 ELLE Spente nell’imo strideran le stelle, Verran le madri ai parvoli le belle Nove speme d’Italia. O torri, o celle, La mente mia. Di vanità, di belle Del viver che daranno a te le stelle, E quando miro in cielo arder le stelle; A che tante facelle? Cose quaggiù sì belle Altre il mondo non ha, non han le stelle. Al dì sereno, alle tacenti stelle, Né comprender potria. Non cape in quelle Chiuderanno in coton la scabra pelle, Ed agiato cammin vassi alle stelle. Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle, Nodi quasi di stelle Con l’aureo sole insiem, le nostre stelle Con forsennato orgoglio inver le stelle, Cader le stelle? / Egli ci ha tante stelle, 1/122 1/126 3/111 3/115 11/46 23/84 23/86 27/3 27/4 29/5 29/52 32/113 32/250 34/163 34/176 34/180 34/310 37/24 - 25 ELLI Tra il suon delle catene e de’ flagelli. Che lasciaron quei felli? 2/116 2/118 34 Giacquer le menti; e servitù le imbelli In poter del carnefice ai flagelli, Moderna prole. All’ombra de’ tuoi velli Che il fe’ palese: e, fuggitivo, appelli Di bollenti ruscelli, 8/55 17/115 32/267 34/82 34/217 ELLO E sconsolato avello, Esemplo di sciagura. Assai da quello E la fera e l’augello, E non la notte moribondo appello; Conscia futura età. Sdegnoso avello Della vampa d’amor, che il venticello Senza sonno io giacea sul dì novello, Battean la zampa sotto al patrio ostello. Odo stormir tra queste piante, io quello Dopo i sollazzi, al suo povero ostello; Di mille vezzi sfavillante, in quello Verrà lo spirto mio. Già sul novello Regge nel fior di gioventù, nel bello D’in su i veroni del paterno ostello E sì dolente, e che la morte è quello Immensità, che paradiso è quello Al fratello il fratello, Sorgon dall’altra banda, a cui sgabello Che alla formica: e se più rara in quello 3/137 3/139 6/92 6/108 6/110 10/38 10/40 10/42 12/9 13/27 17/61 18/16 19/101 21/19 22/91 26/101 30/101 34/228 34/233 ELO Formosissima donna! Io chiedo al cielo Sì che sparte le chiome e senza velo Giorni dopo il seren dato n’ha il cielo. Onde bagna costei le guance e il velo. Gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo Ed era letto agli egri corpi il gelo. A te, non altro, preparava il cielo. Non valse a consolarti o a sciorre il gelo Forse i travagli nostri, e forse il cielo Al viver nostro; e dilettossi il cielo Felicità servi, o natura. In cielo, Esser beato non consente il cielo Impallidia la bella, e il petto anelo L’artigiano a mirar l’umido cielo, S’intese ancor, se in disfavore al cielo De’ giovani, e la guancia, enorme il pelo. Giunta al confin del cielo, Inargentava della notte il velo, Tosto vedrete il cielo I danni altrui commiserando, al cielo 1/10 1/14 2/39 2/43 2/141 2/145 3/123 3/125 6/49 15/57 16/20 17/112 17/35 24/11 30/15 32/259 33/9 33/53 33/56 34/35 ELSA O Torquato, o Torquato, a noi l’eccelsa 3/121 35 ELSE Sempre e il ribaldo: incontro all’alme eccelse 32/87 ELSI Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi 32/198 ELSO Del destino mortal. Vidi l’eccelso 32/22 ELVA E tu pendevi allor su quella selva 14/4 ELVE E conscie fur le sibilanti selve. Dilaceràr le belve; Le fortunate belve Agiterà delle minori belve. Pruine induca alle commosse belve; Tal fra le vaste californie selve 2/155 2/159 6/62 6/100 7/9 8/104 EMA L’onor d’egregie menti e la suprema Tenea dell’infelice, ove l’estrema Amai, che sempre infino all’ora estrema Talor lodando, ognora aborre e trema, Necessitade estrema; 6/115 17/62 19/125 26/49 26/50 EMBO Preme la fera, e il nembo Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo Dall’inesausto grembo Già noto, stenderà l’avaro lembo Ver la marina sì, che l’un suo lembo Già tutto a cieca oscuritade in grembo, E il suon cresceva all’appressar del nembo. 6/118 9/48 34/254 34/303 39/44 39/46 39/48 EMBRA Dare al vento precipiti le membra, Pallida cura il petto, a cui le membra Prendi riposo; e forse ti rimembra 6/66 8/106 13/18 EME Cui l’Orsa algida preme, De’ celesti si posa. Oh cure, oh speme Gli altri augelli contenti, a gara insieme Che mi fece all’affanno. A te la speme Quando sovviemmi di cotanta speme, Un affetto mi preme Mia lacrimata speme! Onde cotanto ragionammo insieme? 6/7 9/49 11/9 13/14 21/32 21/33 21/55 21/58 36 Con chi passato avrà molt’anni insieme, E dire a quella addio senz’altra speme E dalle menti insieme Popoli e climi stringeranno insieme: Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme. Queste, o spirto gentil, miserie estreme Del secol nostro, e la matura speme. Anco estimar potrà dell’uman seme, Cui la dura nutrice, ov’ei men teme, Non ha natura al seme Le foglie e l’uman seme. Raccolgon pochi. All’inquieta speme, 30/91 30/92 31/36 32/45 32/54 32/182 32/238 34/43 34/44 34/231 41/5 41/7 EMI Amor trascorra o scemi. Pur fisso in ciel che quei sudori estremi Quella loggia colà, volta agli estremi 1/124 15/41 22/61 EMMO Sol per cui risorgemmo 34/74 EMO Sortir l’opaca tomba e il fato estremo, Di misfatto è la vita, onde poi scemo Di quella fronte, io ch’al morir non tremo! Che sia questo morir, questo supremo Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo Desiar de’ suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo Degno trovato, estremo Le cittadi che il mar là su l’estremo 8/9 9/41 17/140 23/65 28/2 30/86 30/87 33/45 34/223 EMORE Chi dalla grave, immemore 20/81 EMPI Perché venimmo a sì perversi tempi? Acerbo fato? Onde a stranieri ed empi E luttuosi tempi Italia accrescerai. Di forti esempi La terrena pietà? Dunque degli empi Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi Contrario imprendo, per non dubbi esempi 2/120 2/123 4/9 4/11 6/26 8/65 32/245 EMPIA Alla misera Saffo i numi e l’empia 9/22 EMPIO Povera patria tua, s’unqua l’esempio Ahi, da che lungo scempio Gli avari colti e di fraterno scempio 2/87 2/91 8/40 37 Nel paventato sempiterno scempio. Move l’alma ogni esempio 17/118 26/57 EMPLI E le carte e le tele e i marmi e i templi; Non può la luce di cotanti esempli, Per li giovani prati aura contempli: 2/193 2/195 8/26 EMPO Pasce l’avida plebe) amica un tempo Volgar succede, e se ne porta il tempo Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo Giacea Consalvo; disdegnoso un tempo Il sospirato obblio. Qual da gran tempo, Non ti fu l’amor mio per alcun tempo; Dal misero Consalvo in sì gran tempo Agli accenti d’amor. Passato è il tempo, Condor si scopre e men gravoso il tempo, Sì che nocendo usar procaccia il tempo. Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo Ritorno a voi; ché per andar di tempo, De’ miei poveri dì, che sì per tempo Quella vaga stagion, se il suo buon tempo, Del tacito, infinito andar del tempo. E novellando vien del suo buon tempo, Gittar da me; null’altro in alcun tempo Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Errai, candido Gino; assai gran tempo, Crebbero, e tanto cresceranno al tempo Perché diè lor natura, in ogni tempo Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo, Orfane ancor gran tempo La qual fu donna de’ mortali un tempo, Libertà vai sognando, e servo a un tempo 8/89 13/32 16/43 17/2 17/5 17/87 17/134 17/142 19/42 19/93 19/119 22/79 22/112 22/134 23/72 25/11 27/120 30/28 32/1 32/51 32/74 32/192 33/54 34/10 34/72 EMPRE Non altro convenia che il pianger sempre. Che te perdo per sempre. Ohimè per sempre Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre Chi non sentì? Pur sempre Or poserai per sempre, Senza fin vola e volerà mai sempre Con mediocrità, regnerai sempre, 16/55 17/46 17/91 23/46 26/9 28/1 32/53 32/76 EMULE E voi, pupille tremule, 20/133 EN Il volto era seren. Nello spossato sen. 20/68 20/72 38 Si maraviglia il sen. Solo da te mi vien. 20/148 20/152 ENA Ma non senza de’ Persi orrida pena Con le zanne la schiena, Se di cosa terrena, Che saldi men che cera e men ch’arena, (Memorando ardimento) in su la scena Del mondo. Ei primo e sol dentro all’arena E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. Veleggiar tra le nubi, o che serena Altri che noi, già senza tedio e pena Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena Par, come d’urna piena, Qui su l’arida schiena Strinse i mortali in social catena, E di metalli e d’infocata arena Scendendo immensa piena, 1/101 1/105 2/75 2/79 3/159 3/163 4/89 4/90 16/101 19/47 24/45 31/10 34/1 34/149 34/221 34/222 ENDA O ne’ campi ove splenda 18/5 ENDE Valse a spogliarti il manto e l’auree bende? Nessun pugna per te? Non ti difende Bell’opra hai tolta e di ch’amor ti rende, Qualunque petto amor d’Italia accende. Se il fato ignavo pende, Soli, o miseri, a voi Giove contende. Delle notti reina. Infesto scende Chi può, se premio ai pii dal ciel si rende. Come sai, ripregata a me discende, La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende L’uomo a’ suoi studi intende? O torna all’opre? O cosa nova imprende? Osa alla tomba, alle funeree bende La gentilezza del morir comprende. Vede perfetta, ch’a disfarla imprende, 1/33 1/36 2/32 2/34 6/74 6/75 16/75 17/34 17/43 23/18 24/29 24/30 27/68 27/73 32/163 ENDI Garzon bennato, apprendi, La sudata virtude. Attendi attendi, Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi Che sì pensosa sei, tu forse intendi, E tu certo comprendi 5/2 5/4 13/23 23/62 23/69 ENDO Per altra gente, e non può dir morendo: La vita che mi desti ecco ti rendo. 1/58 1/60 39 E sul colle d’Antela, ove morendo Ecco tutto è simile, e discoprendo, Nostra mente in eterno; allo stupendo Con gli occhi intenti il viator seguendo, Nubi l’occiduo Sol naufrago uscendo, D’antica selva zefiro scorrendo, E mentre io taccio, e mentre io non contendo, Quella per che penando ivi e battendo? Rimota parte alla campagna uscendo , E quella man bianchissima stringendo, Un’altra volta. Or dunque addio. Ti rendo In questo specolar gli ozi traendo E sprezzator degli uomini mi rendo, Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo, Dimmi: perché giacendo Sudàr le genti e palpitàr, vedendo Qui neghittoso immobile giacendo, Per l’estremo del boa. Così vedendo, Spirti del secol mio: che, non potendo Materia far; che a quelli, ognor crescendo, Nulla al ver detraendo, Con vero amor, porgendo Di lor cose rapir posson, fuggendo, 1/77 3/99 3/103 7/45 8/63 10/32 10/34 10/36 11/37 17/28 17/31 19/150 22/42 22/81 23/129 24/39 29/111 32/34 32/199 32/253 34/115 34/132 34/262 ENE Morian per le rutene Allor, quando traean l’ultime pene, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, Viva fiamma agitar l’esangui vene, Dafne o la mesta Filli, o di Climene Segno arrecò d’instaurata spene Giunger mai non potria, ben si conviene Per invidia non già, che non mi tiene Poi che crescendo viene, Della festa che viene; Tutte l’opre terrene, E di vano piacer la vana spene, Gioia celeste che da te mi viene! Non venni a te, che queste nostre pene Vincer non mi paresse un tanto bene. Da natura immortal su queste arene, Segno e sicura spene E di castoro copriran le schiene. Di mali immedicabili e di pene Secche le fonti del piacer, le pene Maggiori sempre, e non più dato il bene. Quel che nato a perir, nutrito in pene, Piacer prendea di quella vista, e il bene Come fuggiste, o belle ore serene! Né si ferma giammai, se non la spene. 2/139 2/146 2/149 7/52 7/55 8/61 19/11 22/34 23/45 25/21 26/22 26/26 26/28 26/98 26/99 31/27 31/30 32/114 32/174 33/49 33/50 34/100 39/23 39/25 39/27 40 ENERE E voi, pupille tenere, Anzi d’altrui le tenere 20/57 20/141 ENERI I dolci affanni, i teneri 20/5 ENGA Chi poi di quella consolar convenga? 23/54 ENGO Tra lo stuol de’ malevoli divengo: 22/40 ENI I nostri padri? Ed a parlar gli meni Tanta nebbia di tedio? E come or vieni D’inudito fragor; quando gli ameni Son la gloria e l’onor; diletti e beni Il giogo: onde m’allegro. E sebben pieni I lugubri suoi lampi il ver baleni; 3/3 3/5 8/29 22/82 29/103 30/35 ENNE Io n’ho gran tema. Or dimmi, e che t’avvenne? Al moribondo. Ma il suo dir prevenne Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne Tanto crescesse al guardo; infin che venne 15/19 17/41 19/19 37/8 ENNI Quel fiero giorno biasimar sostenni. Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni Memorande sentenze! Ond’io solenni Quando fanciullo io venni 17/129 29/90 32/239 36/1 ENO Ed acri punte premeravvi al seno. Chi degli occhi il baleno? Terra s’alberga o nell’equoreo seno, Pietosa no, ma spettatrice almeno. Turbare egli temea pinta nel seno, E quel di non aver goduto appieno E il piacer che passò cangia in veleno, Dopo il giorno sereno, Che la beata gioventù vien meno. Ma la lena e la vita or vengon meno Opra e pensier si provvedesse, e pieno, L’amor mi venne meno, E irrigidito il seno Mirava il ciel sereno, Quel ch’io sentiva in seno. Questo viver terreno, E perir dalla terra, e venir meno 2/53 2/57 7/94 7/95 10/89 10/91 10/93 11/42 11/44 17/141 19/33 20/14 20/15 21/23 21/27 23/63 23/67 41 Che ripete il suo verso. Ecco il sereno È come un giorno d’allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Fermar lo sguardo di costanza pieno, Osa ferro e veleno Solo aspettar sereno Nel tuo virgineo seno. Saver del secol mio. Né vidi meno E la face del dì non vengon meno. Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno Nell’infinito seno Dei dilettosi inganni; e vengon meno Coprendo gli occhi, e stretti i panni al seno, Ma nella vista ancor l’era il baleno Fermò l’andare, e il cor le venne meno. 24/4 25/45 25/46 27/69 27/70 27/122 27/124 32/28 32/96 33/10 33/11 33/24 39/68 39/70 39/72 ENSA Giacque ruina immensa L’ultima volta, or son più lune. Immensa Cui natura apprestò, mal si compensa. Chi d’altrui danni si conforta, e pensa E intanto riede alla sua parca mensa, La sua stessa beltà, donna non pensa, 6/2 15/24 19/62 19/91 25/28 29/51 ENSE Seggiole, canapè, sgabelli e mense, 32/117 ENSI Cura nessuna; e già non sai né pensi O gioconde o moleste opre dispensi Opre de’ servi. E che pensieri immensi, Che smisurato amor, che affanni intensi, Dell’esser nostro. Oggi d’eccelsi, immensi 13/9 19/5 22/19 29/64 31/23 ENSO Figliuoli avrai. Miseri eleggi. Immenso Acquista oggi chi nasce il moto e il senso. D’amarissimi casi ordine immenso Giaccian le membra mie, né spirto o senso Fatta inanime e muta; ogni altro senso, Abisso orrido, immenso, Con desiderio intenso, Del secolo i bisogni omai non penso 4/17 4/21 8/38 16/36 19/135 23/35 27/49 32/252 ENTA Di’: quella fiamma che t’accese, è spenta? A tal de’ suoi ch’affaticata e lenta A cui templi chiedeste, e frodolenta Pristino velo; e di sperar contenta Di quella speme che sotterra è spenta. Desio d’esser beati; a quello intenta 2/182 2/178 6/23 8/102 15/33 19/40 42 Allor che all’opre femminili intenta Sedevi, assai contenta Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta? Tu se’ queta e contenta; Con la man violenta A cui pace e vecchiezza il ciel consenta. Argento ed or disprezzerà, contenta E di fuor da ogni lato, assidua, intenta 21/10 21/11 22/135 23/114 27/84 27/87 32/58 32/178 ENTE Che fien lodate e chiare eternamente Che se il fato è diverso, e non consente Conforto a nostra sventurata gente, Gl’itali pregi a celebrare intente. Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente, Venner le carte; alla stagion presente Da mediocrità: sceso il sapiente Poi che dormono i vivi; arma le spente Ma per te stesso al polo ergi la mente. Se stesso obblia, né delle putri e lente Che riparo non ha? Dolor non sente Tu sì placida sei? Tu la nascente Di pastori e di lieti ozi frequente E le morte stagioni, e la presente E l’antica natura onnipossente, Quella che sola e sempre eragli a mente, Forse tu l’innocente Or leve intra la gente Perseguitando; e chi la propria gente Di natura e del ciel, fecondamene Natio borgo selvaggio, intra una gente Morte chiamai più volte, e lungamente Sul conscio letto, dolorosamente Al rapito mortal primieramente Dolcissimo, possente Dominator di mia profonda mente; Mondano conversar vogliosamente, Quando novellamente Un desiderio di morir si sente: Meditar lungamente, E nell’indotta mente D’amor la disciplina. Anco sovente, Nel mio sangue innocente Per antica viltà l’umana gente; E più tenui le membra, essa la mente E il seno, onde la gente Sien l’eclittica o i poli, eternamente Come d’aeree gru stuol che repente Tra il fumo degl’incensi il dì vegnente! Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Vecchiezza e gioventù del par contente, 1/130 1/134 2/66 2/68 3/6 3/10 3/173 3/177 5/59 5/62 6/36 6/83 8/81 12/12 13/13 17/12 18/7 18/9 19/95 19/108 22/30 22/106 22/114 22/122 26/1 26/2 26/34 27/27 27/31 27/71 27/72 27/75 27/113 27/116 29/59 31/15 32/94 32/149 32/217 32/248 32/278 43 Del cammin lungo che avanzar si sente Caduto lo splendor che all’occidente Poco men lievi ancor subitamente Son dell’umana gente E di splendida vita o di valente Persona infra la gente Scender gli autori, e conversar sovente Con lungo affaticar l’assidua gente Preda al flutto rovente, Sotto il fascio mortal non renitente Il tuo capo innocente: Seco perpetuamente Dove naturalmente Di questa notte, che mi torna a mente Spento il diurno raggio in occidente, De’ cani era la voce e della gente; 33/30 33/52 34/47 34/50 34/91 34/92 34/193 34/209 34/266 34/305 34/306 35/8 35/11 37/2 39/1 39/3 ENTI Qual tanto amor le giovanette menti, L’ora estrema vi parve, onde ridenti Perché le nostre genti Dell’antico sopor l’itale menti Io so ben che per te gioia non senti, Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Degli avi e de’ parenti Semivestiti, maceri e cruenti, Diceano: oh non le nubi e non i venti, De’ nostri alti parenti, Benigno sì che per tua man presenti Obblivion dalle perverse menti Clade non torce dalle abbiette genti Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti Primavera odorata, inspiri e tenti Rigide balze, i luttuosi accenti Non vano error de’ venti, Etra insegnava. E te d’umani eventi Futuri seggi di lodate genti Di colpe ignara e di lugubri eventi, Nelle profonde selve ira de’ venti, Nostro furor; le violate genti Spande il tuo labbro: i destinati eventi Odi greggi belar, muggire armenti; I suoi tremuli rai fra le cadenti Balconi. Infesto alle malvage menti, Di cocchi e di cavalli, e le frequenti Ragionando talor, fieno alle genti I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi Questa la sorte dell’umane genti? Con più sospiri ardenti Esecutor di musici concenti Se polve ed ombra sei, tant’alto senti? 1/89 1/92 2/1 2/4 2/78 2/81 2/88 2/144 2/148 3/47 3/49 5/48 5/50 7/14 7/17 7/59 7/62 7/69 8/30 8/35 8/45 8/114 9/45 11/8 16/5 16/91 19/65 19/153 21/57 21/59 27/59 29/68 31/52 44 Da sì basse cagioni e desti e spenti? De’ tuoi dolci parenti Immaturo perir, come il consenti In quei capi innocenti? Di lor menstrua beltà gli appartamenti; Con sue fiamme possenti, Di lucidi torrenti Di muggito d’armenti; Agli ozi de’ potenti 31/56 30/21 30/49 30/50 32/119 33/60 33/61 34/26 34/28 ENTO Piegar non soffri al dubitoso evento? Oh misero colui che in guerra è spento, Non è ch’ove più lento A percoter ne rieda ogni momento Fu del grembo materno, e violento Anzi pien di travaglio e di lamento Dimmi, tenero core, or che spavento, Presso al qual t’era noia ogni contento? Il cor non si spaura. E come il vento Dolce e chiara è la notte e senza vento, O graziosa luna, io mi rammento Ed erba o foglia non si crolla al vento, O seder sovra l’erbe, assai contento Fatto ardito il morir. Morrò contento Obbietto non intende, o che all’intento L’umana stirpe; a quale ultimo intento Desio di gloria antico in me fia spento: Dolore anco fu spento, E di più far lamento E in su l’aiuole, susurrando al vento Ampie finestre sibilando il vento, Quando soleva ogni lontano accento Piaggia ch’io miro, ogni goder ch’io sento, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Questo io conosco e sento, Qualche bene o contento Onde in lungo tormento, Folgori, nembi e vento. Meco sarai per morte a un tempo spento: Ch’a vivi segni dentro l’alma io sento Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, Non che la speme, il desiderio è spento. Mia delizia ed Erinni! E mai non sento Pur quell’ardor che da te nacque è spento: Per natural virtù, dotto concento; Ma se un discorde accento Torna quel paradiso in un momento. Alfin dall’empia madre oppresso e spento. Ben mille ed ottocento 1/50 1/54 3/17 3/19 8/20 10/11 10/13 10/15 12/8 13/1 14/1 16/28 16/106 17/94 19/10 19/144 19/156 20/34 20/35 22/15 22/69 22/146 22/167 23/40 23/41 23/100 23/103 24/37 24/41 26/120 26/121 28/3 28/5 29/10 29/77 31/42 31/47 31/49 32/181 34/237 45 E il villanello intento Là dov’io nacqui, mi divise il vento. La sorella del sole, e fea d’argento I ramoscelli ivan cantando al vento, Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento. E intanto al bosco si destava il vento, E si fea più gagliardo ogni momento, Tra le frondi ogni augel per lo spavento. Ardendo sì, ch’alfin dallo spavento E si rivolse indietro. E in quel momento Ed acchetossi il tuono, e stette il vento. Ogni mondano evento Che giusta suo talento 34/240 35/4 39/8 39/10 39/12 39/38 39/40 39/42 39/71 39/73 39/75 40/1 40/3 ENTRA Dolce per sé; ma con dolor sottentra 22/58 ENTRE Soave e tristo, la porgeva. Or mentre 15/81 ENTRO Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro Ch’io vegga o senta, onde un’immagin dentro 16/76 22/56 ENZA Necessità diverse, a cui non senza Fin la presente età, che in conoscenza La lima è consumata; or facciam senza. 19/32 34/196 36/15 EO Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, D’emula brama il punse. E nell’Alfeo 5/16 5/19 EPI E la lucciola errava appo le siepi 22/14 EPITA Qual dell’età decrepita 20/73 ERA Ma non la più recente e la più fera, Vide la patria tua l’ultima sera. Trasse la vita intera, Vittorio mio, questa per te non era Della saggia Rebecca, in su la sera, Passo del viver mio la primavera. Questo giorno ch’omai cede alla sera, Tu, solingo augellin, venuto a sera O mia diletta, ed io son vivo, ed era Provar dovesse, a me restasse intera Pien di dolcezza; indelibata, intera 2/100 2/102 3/167 3/169 8/79 11/26 11/27 11/45 15/40 15/43 22/73 46 Poi stanco si riposa in su la sera: Altro mai non ispera. Del mattin, della sera, Rida la primavera, T’acqueta omai. Dispera Poter che, ascoso, a comun danno impera, A dar di colpo in mezzo al prato; ed era Che gocce fredde giù per l’aria nera E il tuon veniale incontro come fera, E cresceva la pioggia e la bufera. 23/14 23/15 23/71 23/74 28/11 28/15 37/9 39/59 39/61 39/63 ERBA Lacrime al nobil sasso Italia serba! Voi, di ch’il nostro mal si disacerba, Moti del cor, la rimembranza acerba. Smisurata e superba, Di questa età superba, E conforto e vendetta è che su l’erba Furiosa tra l’erba Di nostra etade acerba, L’alma vota e superba 2/61 2/64 22/173 23/91 26/59 29/110 34/219 41/11 41/12 ERBE Vissero i fiori e l’erbe, Greggi, fontane ed erbe; Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, 7/39 23/13 23/113 ERBI Spiar sommessamente, a’ tuoi superbi 29/98 ERBO Sospirar mi farà, farammi acerbo 22/101 ERCA Felicità, cui solo agogna e cerca 19/24 ERCI Ferrate vie, moltiplici commerci, 32/43 ERCIA Né maraviglia fia se pino o quercia 32/46 ERDE In mille vane amenità si perde Li cacciammo: or che resta? Or poi che il verde Giovane son, ma si consuma e perde Virtù del caro immaginar non perde Così come solea nell’età verde, Né mi diceva il cor che l’età verde 3/114 3/118 15/51 19/112 19/116 22/28 ERDO 47 Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo 22/46 ERE E le montagne vostre al passeggere Coprìr le invitte schiere Ingannato non già, ma dal piacere E visioni altere Crea nel vago pensiere, Contrarie in campo le fraterne schiere Ostil, distruggitrice, e dentro il fere 1/69 1/72 29/86 31/40 31/41 32/65 32/177 ERGHI Per nudi scogli e desolati alberghi, Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi D’un popol di formiche i dolci alberghi, 7/66 16/87 34/205 ERGO Son le tue scole, e ti si volge a tergo (Se numi avete in Flegetonte albergo Già di candide ninfe i rivi albergo, Sarà, se al gener nostro il proprio albergo Che natura ci diè. Per questo il tergo 6/18 6/20 7/23 32/95 34/80 ERI Ve’ cavalli supini e cavalieri; E correr fra’ primieri O donne, o cavalieri, Fole e strani pensieri Beltade onnipossente, e degli alteri Signor di Roma. Eri pur vaga, ed eri Piacquero a te: non io, non già, ch’io speri, Un canto che s’udia per li sentieri Per variar d’affetti e di pensieri, Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggeri Disse, o mal venturoso, e di piaceri Per novo lavorio son di mestieri; Questa virile età, volta ai severi Infra i propri guerrieri. Così fatti pensieri A lui strage ed ai figli ed agli averi 1/109 1/112 3/112 3/116 4/78 4/80 13/20 13/44 22/80 31/54 31/55 32/10 32/160 32/233 34/144 34/145 34/247 ERLA Regni, imperi e ducati; e già tenerla 32/32 ERME E le colonne e i simulacri e l’erme I nostri padri antichi. Or fatta inerme, Venne nel petto; onde privato, inerme, E questo vano campo all’ire inferme Ristori il sole, e perché l’aure inferme 1/2 1/6 3/158 3/162 7/2 48 Credano il petto inerme Intenderlo potessi, e il capo inerme Uom di povero stato e membra inferme 7/5 15/49 34/87 ERMI Necessità gl’infermi 6/32 ERMINE Desiderato il termine 20/69 ERMO Vecchierel bianco, infermo L’onda degli anni; ai mali unico schermo Che gli fu dalla fame unico schermo, 23/21 30/61 34/265 ERNA I vòti anni prendendo, e la superna Per volger d’anni; a cui serbare eterna Nella chiusa bottega alla lucerna, 19/54 19/113 25/35 ERNI Di tutti i mali, ritrovàr gli eterni 33/46 ERNO M’è l’avvenire, e tutto quanto io scerno Plebe successe; al vostro sangue è scherno O su le nubi) a voi ludibrio e scherno Lodando ridirà; molto all’eterno Vo comparando: e mi sovvien l’eterno, Si elegge a passar l’ore, e nel fraterno Tu pria che l’erbe inaridisse il verno, L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Maggior mi sento. A scherno A tal venuto il gran travaglio interno È notte senza stelle a mezzo il verno, Immagine del ciel. Misterio eterno 3/36 3/40 6/20 8/3 12/11 19/89 21/40 22/169 26/65 27/76 29/108 31/22 ERO Che angoscia era la tua fra quel pensiero Quel pensier che nel dì, che lusinghiero Tutto questo parea nell’emisfero: De’ nostri avi famosi, e il grande impero Questo feral mio dì. Pesami, è vero, Ha i suoi diletti il vero. E se del vero All’apparir del vero O forse erra dal vero, Mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: Di sentiero in sentiero Il grido giornaliero. Per còr le gioie tue, dolce pensiero, In molta parte onde s’abbella il vero 10/14 10/16 10/18 13/35 17/45 19/152 21/60 23/139 23/140 24/17 24/18 26/88 26/109 49 Sei tu, dolce pensiero; Nell’alte vie dell’universo intero, Che chiedo io mai, che spero Altro più dolce aver che il tuo pensiero? Inspirasti alcun tempo al mio pensiero, Sente de’ cari suoi. Che se nel vero, L’uomo obbliando, a ricercar si diero E del perduto impero Faccian fede e ricordo al passeggero. Vuoi di novo il pensiero, Così ti spiacque il vero Mortal prole infelice, o qual pensiero 26/110 26/144 26/145 26/147 29/62 30/81 32/201 34/11 34/13 34/73 34/78 34/199 ERRA Fosse del sangue mio quest’alma terra. Chiuda prostrato in guerra, Mutato sei da quel che fosti in terra. E gli uomini e le belve immensa guerra. Stanca ed arida terra, Questa misera guerra Reina un tempo e Diva. Or poi ch’a terra Emerse il disperato Erebo in terra. Vivi felice, se felice in terra Quanto a viver mi resti, e qui per terra Presso alla fin di sua dimora in terra, E pago avessi tu, fora la terra Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Io mi pensai. Ma non è cosa in terra Della sventura mia; quando la terra Che noi mortali in terra Allor questo deserto: a sé la terra Pongon le membra giovanili in terra. A cui movi, è sotterra: Poi solitario abbandonato in terra, Tal fosti: or qui sotterra Ghiande non ciberà certo la terra Con tal vergogna scenderò sotterra; Ma il disprezzo piuttosto che si serra Non pur quest’orbe, promettendo in terra Maturità senz’altra forza atterra, Scheletro, cui di terra 1/133 1/136 2/138 2/142 3/157 3/161 6/55 8/21 9/61 13/22 17/1 17/104 17/124 18/19 22/97 26/83 27/35 27/85 30/23 30/95 31/1 32/55 34/64 34/65 34/105 34/204 34/272 ERRO E rifugio non resta altro che il ferro. 16/22 ERSA Dal temuto bollor, che si riversa 34/253 ERSE Delle cavalle vincitrici asterse Possa de’ morbi e di sciagura offerse, 5/21 8/13 50 Visse nato mortal. Me non asperse Campi del tutto la natura aperse, Della bruna viola, a me si offerse E infranse e ricoperse 9/62 19/83 29/17 34/225 ERSI E i servigi diversi Delle prose e de’ versi. 36/9 36/12 ERSO D’aria e d’ingegno e di parlar diverso Dove giaccia colui per lo cui verso Suo lieto, un detto d’alcun dolce asperso, 2/18 2/21 17/15 ERTAMI Ed alla mano offertami 20/61 ERTE La generosa stirpe: anzi coverte 32/61 ERTI Scellerate occupò: ne’ corpi inerti Delle ardenti lucerne, e degli aperti Di ceneri infeconde, e ricoperti 8/53 16/90 34/18 ERTO Di lor querela il boreal deserto E i negletti cadaveri all’aperto Disse la fama esperto, E i destrier che dovean farmi deserto, Ed io timido e cheto ed inesperto, L’orecchio avido e l’occhio indarno aperto, L’abborrita vecchiezza, avrei sofferto Fuggirà l’avvenir; di voi per certo Indovinar non so. Ma tu per certo, Così qual son de’ nostri mali esperto, Per lo mortal deserto O per le chiome fluttuanti, o certo Già largamente; ma la speme io certo Cresci, cresci alla patria, o maschia certo Mostrato avrò quanto si possa aperto: Avarizia o pietà rende all’aperto; 2/154 2/157 7/70 10/41 10/43 10/45 17/107 22/99 23/98 26/93 26/97 32/33 32/255 32/266 34/67 34/273 ERVO Il debole, cultor de’ ricchi e servo 32/91 ESA Oprate e mostre nella dolce impresa? Sì che nell’alma accesa Al misero desio nulla contesa 2/48 2/50 6/68 51 ESCA Degli augelli susurro, e l’aura fresca, 16/9 ESCE D’ogni altro danno, accresce 34/121 ESE Obbrobrio laverà nostro paese! Schiera prode e cortese, Il ciel fatto cortese Dal rimembrar delle passate imprese Nostra placida nave in porto ascese. Diè nelle genti; e per virili imprese, Il dubitoso orecchio, e un gel mi prese, E poi che finalmente mi discese E delle rote il romorio s’intese; Vero amore alla terra. Assai palese Mossi alle nostre offese O natura cortese, Della guerra comune. Ed alle offese 2/31 2/33 5/51 5/52 8/103 9/52 10/50 10/52 10/54 17/89 24/40 24/42 34/135 ESI O mal grati i miei detti o non intesi, Questa vita che sia per prova intesi, 19/154 26/45 ESO Sarei dalle tue braccia; e ben disceso 17/117 ESPERO Invan brillare il vespero 20/53 ESPRO Vede l’alba tranquilla e vede il vespro, 19/14 ESSA Né tu finor giammai quel che tu stessa 29/61 ESSE Dell’indomita Parca si volvesse Del trepido, rapito amante impresse. Che governa il cor mio, se non l’avesse E confuso il desio, men loco avesse Non punto inerme a viva forza impresse Nonadecima età più che potesse Dall’ignea bocca fulminando oppresse 9/43 17/74 17/93 19/36 29/29 32/187 34/31 ESSI La riparata gente. Agl’inaccessi I viali odorati ed i cipressi Delle passate età, forza è che impressi Anni varcàr poi che spariro, oppressi 8/67 22/16 32/98 34/238 52 ESSO Nel doloroso amplesso Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso Che di quest’anni miei? Che di me stesso? Ahi pentirommi, e spesso, Il sorriso d’amor! Felice appresso Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso Il fuggitivo spirto, ed a me stesso Se a radunanze io movo, infra me stesso Per prima cosa; e in sul principio stesso Rimaner di se stesso, Lor poverelli. E spesso 7/54 9/37 11/57 11/58 17/121 22/31 22/117 22/159 23/42 30/88 34/248 ESTA E l’inquieta notte e la funesta Cognati petti il vincitor calpesta, Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta Tutta vestita a festa Io solitario in questa E viva, e il suon di lei. Così tra questa Creder nol posso. Ahi ahi, che cosa è questa Quiete or mi ridesta? Che virtù nova è questa, Infinito seren? Che vuol dir questa Passata è la tempesta: Ornare ella si appresta Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa Da soave armonia quasi ridesta, Se ben, perché funesta, Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Dell’universo, e di savere a questa Orba la notte resta, Costei chiama inimica; e incontro a questa L’arduo monte al suo piè quasi calpesta. Invan la pioggia invoco e la tempesta, Pure il vento muggia nella foresta, Pria che l’aurora in ciel fosse ridesta. 6/78 6/80 9/20 11/32 11/36 12/13 15/47 20/82 20/83 23/88 24/1 25/6 25/49 25/50 29/6 30/51 32/86 32/152 33/15 34/126 34/230 38/2 38/4 38/6 ESTE Al chiaror delle nevi, intorno a queste Dico: o Nerina, a radunanze, a feste Delle donzelle, e per conviti e feste 22/68 22/160 32/264 ESTI E all’Erebo scendesti Vecchiezza i membri, o padre; a me s’appresti Disse colei. Son morta, e mi vedesti Questo è quel mondo? Questi Ed a quel suon diresti 4/84 4/86 15/23 21/56 25/22 53 L’altro in vita serbar? Come potesti Di giorno in giorno diverran le vesti Non per voler ma per fortuna avesti; Tue stirpi non credesti 30/104 32/110 34/313 34/316 ESTO Che risaper tu lo dovessi; e questo Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto Sarei dannato a consumare in questo Senza un diletto, inutilmente, in questo A’ bei pensieri infesto, E degno tuo disprezzator, calpesto. Già se sventura è questo L’uomo non pur, ma questo 15/16 19/103 22/29 22/47 26/67 26/68 30/75 34/172 ESTRA Non colorò la destra Che stupido mirò l’ardua palestra, Con un sospiro, all’adorata destra Questa terra natal: quella finestra, Odorata ginestra, E tu, lenta ginestra, 5/15 5/17 17/57 22/141 34/6 34/297 ESTRE E ragionar con voi dalle finestre 22/4 ETA Occulto sonno del maggior pianeta? Solo il nulla s’accresce. A noi ti vieta Spirar le foglie, e palpitar segreta Solitarie fuggendo e la secreta Va radendo le mura e la secreta Le travagliose strade, almen la meta Emendar, mi cred’io, non può la lieta Troppo felice e lieta E queto il fumo delle ville, e queta Quand’ella, volta all’amorosa meta, Quanto foss’altra mai vezzosa e lieta. 3/96 3/100 7/53 8/44 16/88 30/65 32/186 33/34 39/2 39/4 39/6 ETE Visse l’umana stirpe; alle secrete Silenzi, e profondissima quiete Tien quelle rive altissima quiete; O qualor nella placida quiete Sonavan le quiete Presentendo in suo cor, brama quiete, 8/99 12/6 16/33 16/60 21/7 27/41 ETI Della menzogna il vero? A noi di lieti 5/34 ETO 54 Della mia fanciullezza. Ogni più lieto Solo una volta il lungo amor quieto Troppo mite decreto 9/65 17/103 33/39 ETRA Si spense il lampo, e tornò buio l’etra, Taceva il tutto; ed ella era di pietra. 39/74 39/76 ETRO Evitar non impetro, Del dì presente più noioso e tetro, Ma sconsolato, volgerommi indietro. Non ti fu quest’affetto, al mio feretro E già muggiva il tuon simile al metro Talvolta ella ristava, e l’aer tetro Sì che i panni e le chiome ivano addietro. 11/52 11/55 11/59 17/147 39/53 39/55 39/57 ETTA Vile, o natura, e grave ospite addetta, Nella mia prima età, quando s’aspetta Cade, risorge, e più e più s’affretta, La levatrice! A cui veder s’aspetta Sospettoso alla vetta Altri l’etade aspetta; La mente non prometta. 9/24 13/40 23/30 32/137 34/244 40/14 40/18 ETTE Oh venturose e care e benedette O tessaliche strette, Fremono i poggi, dalle somme vette Ingenerose, abbiette Da pamphlets, da riviste e da gazzette 1/61 1/65 6/81 26/54 32/206 ETTI Tanto valor ne’ molli eterni petti. I casi acerbi e gl’infelici affetti Spettacol molle ai disperati affetti. Giù da’ colli e da’ tetti, Alfin l’errore e gli scambiati oggetti Senno con libertà. Che se d’affetti L’innocuo nereggiar de’ cari aspetti. E mille vaghi aspetti E ingannevoli obbietti Ai presenti diletti La breve età commetti. 6/48 6/50 9/7 25/18 29/46 29/106 32/274 33/4 33/5 41/23 41/24 ETTO Voi spirerà l’altissimo subbietto, Del furor vostro e dell’immenso affetto? Dell’ignoto ricetto Degli astri albergo, e del rimoto letto 2/52 2/55 3/92 3/94 55 Amor, chi ben l’estima, e d’alto affetto Siede l’alma di quello a cui nel petto Il bianchissimo petto, Dicea, la tomba, anzi che l’empio letto Del consueto obblio gravido il petto, Sorti del mondo: e come prima il tetto Perché seco dovea sì dolce affetto E non sereno, e non intero e schietto, Al cor mi discendea tanto diletto? Che voglia non m’entrò bassa nel petto, Vive quel foco ancor, vive l’affetto, Da cui, se non celeste, altro diletto Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto. Doglia m’oppresse a queste voci il petto. Che mi strugge, esclamai; per lo diletto A me sempre benigno il tuo cospetto Eternamente chiuderà. Ciò detto Muto sarebbe l’infinito affetto A quella voce angelica, all’aspetto Né men vano che a noi, vive nel petto Mai non si parte il riso; ahi, ma nel petto, Era l’antico affetto: Nell’intimo del petto Là nella selva; e sotto al patrio tetto Timor di morte non mi strinse il petto. Quella che il mondo inetto, Anzi qual altro affetto Al paragon di lui? Solo un affetto Soleami il vero aspetto Cresce quel gran diletto, Di qual mia seria cura ultimo obbietto Un amoroso affetto, Languido e stanco insiem con esso in petto D’amor vero e possente è il primo effetto. Donna, la tua beltà. Simile effetto Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto Sola, peregrinando, il patrio tetto O dispiacevol sia, tristo il ricetto Da quel tuo grave aspetto Non tornerai. L’aspetto Questo se all’intelletto D’alta pietade ai più costanti il petto. Sozzo a vedere, abominoso, abbietto Quasi angelico aspetto, Rise l’alta progenie, e me negletto Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Par che col grave e taciturno aspetto Da verace saper, l’onesto e il retto Il meschino in sul tetto Al futuro oppressor; ma non eretto E certissimo detto 4/47 4/49 4/83 4/87 6/93 6/95 10/8 10/10 10/12 10/98 10/100 10/102 13/10 15/25 15/77 16/92 17/56 17/92 17/139 19/39 19/69 20/26 20/27 22/17 26/46 26/48 26/71 26/76 26/124 26/128 26/137 27/29 27/30 27/33 29/34 29/71 30/4 30/10 30/12 30/20 30/41 30/43 31/33 31/35 32/9 32/235 34/12 34/151 34/249 34/309 41/2 56 Ma questa voce in petto Tutti prestiam ricetto. 41/6 41/9 EVA M’apri alla vista. Ed ancor io soleva, Addio per sempre. E contraddir voleva, Quel che da lui moveva 16/95 17/39 31/37 EVE Questo vagar mio breve, Men capace e men forte anco riceve. Adulando ubbidir: così per breve 23/19 29/60 32/249 EVI Di qua dove son gli anni infausti e brevi, Questo d’ignoto amante inno ricevi. Giorno, o mio cor, traevi, Che sì fugaci e brevi Di quel vago avvenir che in mente avevi. Era il maggio odoroso: e tu solevi Perivi, o tenerella. E non vedevi Con la man leggiadrissima stringevi 18/54 18/55 20/78 20/79 21/12 21/13 21/42 29/25 EVO Sterminator Vesevo, 34/3 EZZA Ogni vostra vaghezza. A me, se di vecchiezza La giovanezza mia come vecchiezza; Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza, L’esser vissuto indarno, e la dolcezza Non donò che il morire. Omai disprezza 11/49 11/50 15/52 17/106 22/102 28/13 EZZE La pubblica letizia, e le dolcezze 32/21 EZZI Della virtude a tollerar s’avvezzi La vergognosa età, condanni e sprezzi; 4/63 4/65 EZZO Del suo destino; or già non più, che a mezzo 17/3 I Nutrii nell’alma un dì! Il cor non mi ferì: Degli anni miei così: Il cielo a noi sortì. 20/44 20/48 20/76 20/80 IA 57 Piangi, che hai ben donde, Italia mia, E nella fausta sorte e nella ria. Non per li patrii lidi e per la pia Alma terra natia, Serse per l’Ellesponto si fuggia, Simonie salia, O Italia, a cor ti stia Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Per lo toscano suol cercando gia Ed, oh vergogna! Udia Carri impedita la dolente via; Voce di libertà che ne schernia Chi ti compiangeria, Ha nome di follia; Maschia virtù, non già da questa mia Mosse guerra a’ tiranni: almen si dia Precipite l’alpina onda feria Che dicevi, o mio cor, che si partia Il cuocer, non più tosto io mi sentia Che l’aleggiava, volossene via. Serena ogni montagna. O donna mia, In così verde etate! Ahi, per la via Stille saetta, alla capanna mia Né la tua voce udrò! Dimmi: ma pria E teco la mortal vita saria Simile a quella che nel cielo india. Commoverammi il cor; quando mi fia La stanca fantasia; E la tristezza mia Che speranze, che cori, o Silvia mia! Quale allor ci apparia Colà dove la via Ov’ei precipitando, il tutto obblia. Il patir nostro, il sospirar, che sia; Ad ogni usata, amante compagnia. Tornata in su la via, Chi la vita abborria; Giammai d’allor che in pria D’ogni altra leggiadria, Sola vera beltà parmi che sia. Da che ti vidi pria, Ma pur mesta sei tu. Grata la via Mal s’indovina. Ahi ahi, né già potria Veder d’in su la soglia levar via Per la mondana via; Rimemorar la scorsa compagnia? Qualunque nome. Questa legge in pria E cantando, con mesta melodia, Saluta il carrettier dalla sua via; S’anco mezza la via Lor non si desse in pria 1/18 1/20 1/55 1/59 1/75 1/79 2/7 2/11 2/19 2/23 2/112 2/115 3/142 3/146 3/156 3/160 8/28 10/35 10/37 10/39 13/4 13/24 16/6 17/49 18/32 18/33 19/133 20/30 20/31 21/29 21/30 23/33 23/36 23/64 23/68 24/3 24/36 26/44 26/134 26/135 26/136 30/9 30/13 30/89 30/94 30/97 32/80 33/16 33/19 33/41 33/42 58 Siccome è il vero, ed ordinata in pria L’umana compagnia, E i collicelli intorno rivestia Sola tenea la taciturna via Molle passar sul volto si sentia. Ma per sentenza mia, Patir non sosterria, 34/128 34/129 39/17 39/19 39/21 40/29 40/31 IBO Nel costante pensier, sostegno e cibo 17/17 ICA Perché, perché? Dov’è la forza antica, Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica Vaga natura, e la favilla antica Cosa veruna in ciel, se nell’aprica D’in su la vetta della torre antica, Steso nell’aria aprica Cadendo si dilegua, e par che dica Più le commova, e lor quiete antica Lidi turbando la quiete antica Nasce l’uomo a fatica, Che di vote speranze si nutrica, Vaga di ciance, e di virtù nemica; La bella speme tutti ci nutrica Onde ciascuno indarno s’affatica: Altri l’aurora amica, 1/28 1/31 7/90 7/93 11/1 11/40 11/43 16/37 19/97 23/39 26/60 26/61 40/10 40/12 40/13 ICCHIA Come un barlume, o un’orma, anzi una nicchia, 37/18 ICE Porto quel che mi lice, L’infelice famiglia all’infelice L’empio fato interdice È la prole infelice Al guardo giovanil questa infelice Ch’estranio sia, chi si diparte e dice, Lingua mortal non dice Prole cara agli eterni! Assai felice Se respirar ti lice Dell’atlantico mar, fresca nutrice E giustizia e pietade, altra radice 2/71 4/10 4/13 6/22 16/46 17/38 21/26 24/51 24/52 32/63 34/153 ICHE La candida colomba, e dalle antiche Pur se talvolta per le piagge apriche, Sempre, ov’io fossi. In queste sale antiche, A voi ripenso, o mie speranze antiche, 8/62 16/56 22/67 22/88 ICHI 59 Questo petto sarà, né degli aprichi 19/128 ICI Che di fortuna amici Timor gioco o di speme: onde felici Ai fervidi, ai felici, Dolci signori, amici E le macchine al cielo emulatrici Imprender con gli amici, 4/24 4/26 27/88 27/91 32/50 34/142 ICO Non domito nemico Fu più l’averno che la terra amico Legge del cielo. E se di vostro antico E le ridenti piagge benedico: Ma ruppe alfin la morte il nodo antico Non adempiam: necessitate, io dico, Del mio solo conforto allor mendico, All’amico l’amico, Profondamente, del mio grave, antico Se al moderno si opponga il tempo antico, Ma sé di forza e di tesor mendico 3/62 3/64 8/11 16/10 17/24 19/48 19/137 30/100 32/36 32/225 34/94 IDA Precipitano i tempi; e mal s’affida Amore e morte. All’una il ciel mi guida A un campo verde che lontan sorrida 6/113 17/100 26/31 IDE Quando più bella a noi l’età sorride, Moriam per quella gente che t’uccide. L’amaro ferro intride, E maligno alle nere ombre sorride. Sembianze agli occhi miei; già non arride Tonando, il tenebroso aere divide. Supplichevole intendo. A me non ride Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s’asside Ecco il sol che ritorna, ecco sorride Tintinnio di sonagli; il carro stride 2/151 2/153 6/44 6/45 9/6 9/13 9/27 19/84 24/19 24/23 IDI Delle gazzette. Riconobbi e vidi E tutto fiori il corso umano, e vidi Contenta dei deserti. Anco ti vidi 32/20 32/24 34/7 IDO Poi che dal patrio nido Ch’abbella agli occhi tuoi quest’ermo lido, Tra le memorie e il grido Finché la sposa giovanetta il fido Di sconsolato grido 4/1 4/4 4/69 4/71 5/25 60 L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido. D’Esperia verde, e al tiberino lido, L’aonio canto e della fama il grido Di que’ popoli antichi? Or dov’è il grido Il mar la terra e il ciel miro e sorrido. De’ crepitanti pasticcini, al grido Mi fia comune, assai finor mi rido. 5/26 6/4 8/88 13/34 29/112 32/15 34/71 IGA E tu dal mar cui nostro sangue irriga, 6/76 IGILE La rondinella vigile, 20/45 IGINE Pur di quel pianto origine 20/25 IGLI Nell’armi e ne’ perigli Come sì lieta, o figli, Misericordia, o figli, Si debbe, a cui non pur cure o consigli, Posate, o di costei veraci figli, Il vostro solo è tal che s’assomigli. 1/88 1/91 2/41 2/45 2/168 2/170 IGLIA Oimè, quanto somiglia Della novella età dolce famiglia, E dell’innumerabile famiglia; Apre terrazzi e logge la famiglia: Del passegger che il suo cammin ripiglia. All’umana famiglia, Al cui poter nessun poter somiglia. Il piagato mortal quindi la figlia Dal nascer già dell’animal famiglia, Natura, illaudabil maraviglia, Indi varia, infinita una famiglia 11/17 11/19 23/92 24/21 24/24 27/92 27/93 29/38 30/45 30/46 32/173 IGLIO Certo senza de’ numi alto consiglio Beàr l’eteree menti; e quale, o figlio De’ nostri affanni. Or se di pianto il ciglio, Per cura o per sudor, vegghia o periglio. Economici studi, e intenta il ciglio Cavernoso covil torna il coniglio; È di Giove in poter, di Giove, o figlio, 3/16 8/78 15/58 19/26 32/234 34/23 40/2 IGNA Error vario lo svia; salve, o benigna Appar nel mondo, e quel che più benigna Madre è di parto e di voler matrigna. 16/74 19/107 34/125 61 IGNO Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno 13/11 II Cui nell’anno avvenir facili e pii Con Pluto e gli altri iddii 40/16 40/17 ILE Non crescano i tuoi figli, e non di vile Poiché (nefando stile Era mia vita: ed è, né cangia stile, L’avanzo ignudo e vile, Io conducea l’aprile Indi riguardo il viver mio sì vile Non alla gente stolta, al cor non vile La vita della morte è più gentile. Se frale in tutto e vile, Se in parte anco gentile, Diritto infra le file 4/25 4/28 14/9 20/74 20/75 22/90 26/86 26/87 31/51 31/53 34/275 ILI L’improba mano al curvo aratro, e vili Mista la tigre ai consueti ovili L’orme intricate e false, e dai covili 8/51 8/95 16/73 ILLA Odi per lo sereno un suon di squilla, Che rimbomba lontan di villa in villa. Elvira, addio. Con la vital favilla In solitaria villa, La vespertina squilla, Affetto in voi non brilla: Non chiude una favilla E spesso al suon della funebre squilla, Preme il tenero sen che vita instilla; 11/29 11/31 17/144 20/50 20/51 20/138 20/139 27/56 32/185 ILLE Di sconsolato pianto le pupille, Ben mille volte ripetuto e mille Sonavan voci alterne, e le tranquille Veder gioia regnar, cittadi e ville, Infra l’onde tranquille E rami e siepi e collinette e ville; Grande quanto una secchia, e di scintille 15/97 17/16 22/18 32/277 33/7 33/8 37/10 ILO Da Marocco al Catai, dall’orse al Nilo, 32/29 IMA Perché il nascer ne desti o perché prima 2/121 62 E da mordace lima Scampi l’iniquo germe, o tu cui prima Maggior di sé, ma perché tale estima Vagheggiare ed amar confuso estima. L’indomito mio cor. Narra che prima, Un edificio innalza; e come prima D’alto artificio a contemplar, non prima O salve, o segno salutare, o prima Non chiama sé né stima Tutti fra sé confederati estima 2/125 8/59 22/35 29/43 29/92 32/157 32/162 32/260 34/89 34/130 IME Gl’ispidi tronchi al petto altri nell’ime 7/50 IMI Umana sorte, in cangiar terre e climi 19/79 IMILE Qual fui! Quanto dissimile 20/41 IMO Nascevi ai dolci sogni intanto, e il primo Alle macere cure, innalza; e primo E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo Premer fu dato. Anzi felice estimo Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo April degli anni tuoi, altrui giocondo e primo Ove il tempo mio primo Ed a quel caro immaginar mio primo; Com’io per fermo estimo, E quell’error che primo 3/106 8/47 16/8 17/98 17/150 19/102 21/17 22/89 30/82 34/147 IMPO E demenza maggior l’offeso Olimpo 8/16 INA Vedi afflitta costei, che sì meschina Fu fortunata allor donna e reina. Col divo carro accerchia, a voi s’inchina. Roma antica ruina; Le sciagure e gli affanni, alla reina Pur tu, solinga, eterna peregrina, Che, in suo giro lontano, al ciel confina; Odi augelli far festa, e la gallina, Tanto alla morte inclina Non tardar più, t’inchina Questi occhi tristi, o dell’età reina. Nell’alma a sgomentarsi ancor vicina Pentole ammirerà l’arsa cucina. Alla prole vegnente il ciel destina. Di Capri la marina 2/92 2/96 4/37 6/82 16/19 23/61 23/81 24/2 27/74 27/104 27/107 29/7 32/121 32/134 34/256 63 E di Napoli il porto e Mergellina. A pormi con le Muse in disciplina, A veder l’officina. 34/257 36/2 36/6 INE Sempre vivete, o care arti divine, Fra l’itale ruine Non ha verun confine? Mira queste ruine E salita è la turba a un sol confine, Lingue de’ prischi eroi; tanto che in fine Tempo forse verrà ch’alle ruine Forse fien volti, e le città latine Tutto l’orbe trascorre, ogni confine E delle gioie mie vidi la fine. Sarammi allato, e sarà giunto il fine Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Né di fiori olezzar vie cittadine, Provveggono i mercati e le officine Che te signora e fine 2/65 2/67 2/189 2/192 3/174 3/178 5/40 5/44 19/81 22/6 22/96 25/7 25/8 29/12 32/254 34/188 INFE Lubrico piè le flessuose linfe 9/34 INGA Paurose latebre Eco solinga, Di pura civiltà, sempre che spinga Quale in notte solinga, 7/61 32/64 33/1 INGE Mortali egro, anelante, aduna e stringe La sua tranquilla imago il Sol dipinge, Udendo le si fea: che sempre stringe Se vera e quale il mio pensier ti pinge, Rosseggia, e i lochi intorno intorno tinge. 8/49 16/27 17/36 18/25 34/288 INGI Il tuon rapido spingi, Ne’ giusti e pii la sacra fiamma stringi? 6/29 6/30 INGO Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo! 17/83 INGUA Al comun fato, e che con franca lingua, 34/114 INI Lorda il tiranno i crini; Dal buio polo ai torridi confini. Morir che tu destini 4/98 4/102 30/76 64 INO Consolarmi non so del mio destino. Dello scabro Apennino Volge gli occhi bramosi il pellegrino; Sua celeste beltà, ch’io, per insino Aureo secolo omai volgono, o Gino, Filosofar, che sapienza, o Gino, Conversar cittadino, Dei mozzi colonnati il peregrino Per sì lungo cammino 22/94 26/30 26/32 29/81 32/38 32/210 34/152 34/276 34/293 INSE La patria vostra, ma di chi vi spinse Oh di costei ch’ogni altra gloria vinse L’altro polo di vaga iri dipinse. D’implacato desio furor mi strinse, Rinacerbir col niego; anzi la vinse Sentì gelida far la man che strinse; Visibilmente di pallor si tinse, 2/172 2/176 8/64 9/60 17/65 31/14 31/16 INSELA Non l’annullàr: non vinsela 20/113 INTA Di schiatta ignava e finta) Virtù viva sprezziam, lodiamo estinta. Ella seguì: nel fior degli anni estinta, Da chiuso morbo combattuta e vinta, Incolume il desio, la speme estinta, Dopo l’antica obblivion, l’estinta 4/29 4/30 15/26 21/41 33/48 34/270 INTI Vedi intralciare ai vinti Ve’ come infusi e tinti Sfortunati saranno, afflitti e vinti; 1/110 1/114 32/73 INTIMO Nessuno ignoto ed intimo 20/137 INTO All’amante l’amore: e l’uno estinto, Traboccare il piacer; quel collo, cinto 30/103 31/11 IO Combatterò, procomberò sol io. Agl’italici petti il sangue mio. Ecco voglioso anch’io E mesco all’opra vostra il canto mio, E grave è il nostro disperato obblio, Novo grido de’ padri. Ancora è pio 1/38 1/40 2/69 2/72 3/18 3/20 65 Candido rivo il puro seno, al mio Al mio loco natio, Immensità s’annega il pensier mio: Di quella Roma, e l’armi e il fragorio Facea più sconsolato il dolor mio. Ti scaldi e fremi. Or finalmente addio. Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio Di vergine speranza e di desio Amor, di te m’accorsi, e il viver mio Ogni moto soave al petto mio. Scopriva umani aspetti al guardo mio. Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio A palpitar mi sveglio. E potess’io, Avrei del viver mio; Ma spento era il desio Dopo cotanto obblio? E come al guardo mio Spirto, e l’ardor natio, Ogni conforto mio Felicità fingendo al viver mio! Il pensier del presente, un van desio Di contenti, d’angosce e di desio, Risorge il romorio Tutta intera la vita al guardo mio! Parmi innalzar! Dov’io E tutto quanto il ver pongo in obblio! Dinanzi al fier disio, La gente morta al sempiterno obblio, E spero ultima certo, il ciglio mio De’ sigari onorato, al romorio T’abbian fra sé. Non io Di te nel petto mio, Ben ch’io sappia che obblio Di luce nebulosa; al pensier mio Disse il veglio di Chio, 9/33 11/25 12/14 13/36 15/17 15/91 16/34 16/49 16/53 16/69 16/99 17/64 18/41 20/70 20/71 20/102 20/103 20/150 20/151 22/24 22/59 22/105 24/9 26/23 26/103 26/106 27/43 27/58 29/93 32/14 34/63 34/66 34/68 34/183 41/3 IPE A voi le morte ripe, 6/73 IRA Toglieasi in man la lira: Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira. A te ne caglia, a te cui fato aspira Paion que’ giorni allor che dalla dira Per divina beltà famosa Elvira; Ch’ancor tenea, della diletta Elvira Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira, Ovunque il guardo mira, Tutto un dolor mi spira, E celeste beltà fingendo ammira. Forse beata sei; ma pur chi mira 1/83 1/87 3/48 3/50 17/13 17/78 17/85 20/94 20/95 22/76 30/25 66 Seco pensando, al tuo destin, sospira. Non dichiarato, il civil gregge ammira. Quanto estimar si dee, che fede inspira 30/26 32/207 32/218 IRE Non ne desti il morire, Grido antico ragiona, altre più dire Mostra sé nel soffrir, né gli odii e l’ire 2/122 8/14 34/119 IRI Per lo libero ciel fan mille giri, Tu pensoso in disparte il tutto miri; Or sempre loderollo, o ch’io ti miri O s’altra terra ne’ superni giri T’irraggia, e più benigno etere spiri; Chi rimembrar vi può senza sospiri, Che degli eterni giri, Come d’altri desiri, Fuor ch’a te somiglianti, altri sospiri. Che indicibili moti e che deliri Misera ovunque miri, Che per vòti palagi atra s’aggiri, 11/10 11/12 16/100 18/50 18/53 22/119 23/101 26/42 26/43 29/65 30/55 34/285 IRLO Me timido, tremante (ardo in ridirlo 29/95 IRNE Oggi, e domani abbatterà, per girne 32/215 IRO Argomento di sogno e di sospiro, Che divenisti allor? Quali appariro Dimani all’annottar manda un sospiro. Spesso quand’io ti miro Cresce quel gran delirio, ond’io respiro. Parmi ogni più bel volto, ovunque io miro, Il mare, e tutto di scintille in giro Sconosciuto è del tutto; e quando miro 17/69 17/75 17/148 23/79 26/129 26/131 34/165 34/174 IRTO La ritraesse! O glorioso spirto, Di’: né più mai rinverdirà quel mirto Ma di ninfa abitò misero spirto, 2/180 2/183 7/63 ISA E sono immense, in guisa Ond’ella fosse svelta; in cotal guisa, 34/169 37/19 ISCE Che a sollevar s’ardisce 34/112 67 ISE Disse, ambedue; felicità non rise Mille virtudi oprando in mille guise 15/56 32/168 ISERO Ma se tu vivi, o misero, 20/157 ISI Ch’alto mistero d’ignorati Elisi Vapor, tipi e choléra i più divisi Co’ tuoi piacevolmente, e che i derisi 29/36 32/44 34/194 ISO Tanto valor che un tratto alzino il viso. Che di novo salisti al paradiso! Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, Strettemi allato e riguardommi in viso Soggiunsi, e di pallor velato il viso Scontro di vaga donzelletta il viso; Su la tacita via; poscia improvviso Fatta quindi per sempre un paradiso Lunge m’inspiri o nascondendo il viso, Più vago il giorno e di natura il riso; Campi il sereno e solitario riso, Mio cor, ti volse un riso? Ahi della speme il viso Cadeva: e spesso all’ore tarde, assiso E se periglio appar, con un sorriso Le sue minacce a contemplar m’affiso. E tu comincia a salutar col riso Guardando in alto: ed ecco all’improvviso 2/90 2/94 11/18 15/6 15/59 16/59 16/81 17/105 18/2 18/6 19/129 20/106 20/107 22/113 26/51 26/52 32/271 37/5 ISSE Natura a noi prescrisse, E il viver macro ad altre leggi addisse; Volenteroso il prode animo addisse. Le fredde labbra supplicando affisse. Cupido ti seguì finch’ella visse, Dottore, emendator, lascia, mi disse 6/54 6/57 8/86 17/58 29/85 32/231 ISSI D’amor sentii la prima volta, e dissi: Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi, Primiera il varco ed innocente aprissi. Quando colei teneramente affissi 10/2 10/4 10/6 15/87 ISTA Sole splendeati in vista, Che in età della nostra assai men trista Scena del mondo, e gli sorride in vista Più baci e più, tutta benigna e in vista 3/107 3/109 16/47 17/72 68 La natura mortal, veruno acquista Altri, quasi a fuggir volto la trista Che dolci sogni mi spirò la vista Cinger d’ombra sì trista, E spaventoso in vista Ed ossa sei: la vista 19/25 19/78 22/20 30/72 30/73 31/18 ISTI Or ti riveggo in questo suol, di tristi 34/14 ISTO Che a lor vita è mestier, di noi men tristo Con far misero altrui far se men tristo, Verrò: che conosciuto, ancor che tristo, 19/41 19/92 19/151 ISTRA Nidi l’intima rupe, onde ministra 8/108 ITA Roder la sua virtù, di null’aita Ahi non il sangue nostro e non la vita Gota molcea con le celesti dita Nella stagion ch’ai dolci sogni invita, Dolor ti strinse di mia negra vita, Benché nulla d’amor parola udita Sdegni l’eterno senno esser vestita, Provar gli affanni di funerea vita; In ogni umano stato, ozio la vita, Se oziosa dirai, da che sua vita L’ingrato avanzo della ferrea vita, Fatta per me la vita; La terra inaridita, Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita, Ogni giorno sereno, ogni fiorita Somiglia alla tua vita Al pastor la sua vita, Perché reggere in vita Sì dolce, sì gradita Quand’è, com’or, la vita? Cotesta età fiorita Che precorre alla festa di tua vita. E inutile la vita Pregio non ha, non ha ragion la vita Ch’ove tu porgi aita Nova, sola, infinita Di primavera, del color vestita A chi si parte, a chi rimane in vita, Inconsolabil fai tal dipartita? Fosse ancor dalla vita Copriran le gazzette, anima e vita Valida e pronta ed aspettando aita 2/126 2/130 4/77 4/81 15/68 17/19 18/47 18/49 19/8 19/15 19/139 20/18 20/19 22/138 22/166 23/9 23/17 23/53 24/26 24/27 25/44 25/47 26/63 26/80 27/22 27/38 29/16 30/53 30/54 30/59 32/151 34/133 69 Nutre la morta zolla e incenerita, 34/242 ITE Oimè quante ferite, E al mondo: dite dite; Rifuggirà l’ignudo animo a Dite, Nottetempo saran le vie men trite Fatal, che nulla mai fatta più mite 1/8 1/11 9/56 32/130 34/245 ITI Quand’oltre alle colonne, ed oltre ai liti Parve udir su la sera, agl’infiniti Nostri sogni leggiadri ove son giti Degli spazi che all’uom negl’infiniti Desideri infiniti 3/78 3/80 3/91 19/82 31/39 ITO Ciascun de’ vostri, o a splendido convito: Quando su l’aspro lito Scossero e l’ardue selve (oggi romito Meridiane incerte ed al fiorito E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito Il passar per la terra oggi è sortito, 1/95 1/99 7/27 7/29 13/30 22/150 ITTA Di consumar la vita: improba, invitta 19/49 ITTO Della vezzosa Labanide: invitto E le quiete selve apre l’invitto Dolcemente appressando al volto afflitto Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto La natura crudel, fanciullo invitto, 8/83 8/113 17/70 29/30 32/170 IVA L’un sopra l’altro cade. Oh viva, oh viva: Mentre nel mondo si favelli o scriva. Sedendo u’ vostro ferro i marmi avviva. Qualche novella ai vostri lidi arriva, Della virtù nativa Spirto vital negli egri petti avviva La faretrata Diva Dell’altrice natura; onde la viva Noi l’insueto allor gaudio ravviva Han la tenaria Diva, E l’atra notte, e la silente riva. L’egro mortal; ma sconsolata arriva Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva Che tra gli spenti ad abitar sen giva. D’ogni virtù che da saper deriva, Fin la donzella timidetta e schiva, 1/118 1/120 2/73 2/77 5/28 5/30 7/35 8/18 9/8 9/71 9/72 15/31 23/32 27/61 27/64 27/65 70 Perch’io te non amai, ma quella Diva Qual sembianza fra noi parve più viva Fien di stragi l’Europa e l’altra riva 29/78 31/21 32/62 IVE Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive, Chi di te parla o scrive, Errar pe’ boschi e per le verdi rive, E il mercatante avaro in ozio vive: Dipinte in queste rive Le magnifiche sorti e progressive. Sovente in queste rive, E nullo in terra vive Ecco pria che la speme in porto arrive, 1/21 1/25 16/105 19/22 34/49 34/51 34/158 40/15 40/19 IVERE Meco ritorna a vivere Pur sento in me rivivere 20/97 20/145 IVI Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, Son disgiunte in eterno. A me non vivi Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, Di gioventù salivi? Or degli sguardi innamorati e schivi; Né teco le compagne ai dì festivi Tornar costuma e disparir. Tu vivi, 7/91 15/93 21/4 21/6 21/46 21/47 29/74 IVO Resta a colui che della terra è schivo. Il bel che raro e scarso e fuggitivo Della qual teco ragionando io vivo, Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo Di sdegno e di rossor), me di me privo Fortunati color che mentre io scrivo Cinto d’oste contraria, in sul più vivo Avea provvidamente al tempo estivo, Sì forte come quando un carbon vivo 17/9 19/106 26/127 29/2 29/96 32/135 34/139 34/210 37/12 O Prima il dolor mancò! Di sospirar cessò! Valor non mi restò. Il cor s’abbandonò. 20/12 20/16 20/36 20/40 OCCA E quel volto celeste, e quella bocca, Poscia che quella bocca alla mia bocca 17/67 17/97 OCCHI Palpitando nel letto e, chiusi gli occhi, 10/56 71 Poscia traendo i tremuli ginocchi Ch’altro sarà, dicea, che il cor mi tocchi? Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi In questo dir. Più non vedrò quegli occhi, Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi, Mancar già sento, e dileguar dagli occhi La gioia ti splendea, splendea negli occhi Pur ne’ tuoi contemplando i suoi begli occhi, Guizzavan lampi, e le fean batter gli occhi; Discior sentia la misera i ginocchi; Di torrente che d’alto in giù trabocchi. 10/58 10/60 15/98 16/54 17/48 17/90 19/123 22/154 29/84 39/50 39/52 39/54 OCCO Che la vita infelice e il mondo sciocco Secol superbo e sciocco, 26/38 34/53 OCE Con indistinta voce Allor, vile e feroce, Di gloria il viso e la gioconda voce, Magnanimo campion (s’alla veloce Infinito silenzio a questa voce Col suon dell’armi e con la rauca voce Porgea gli orecchi al suon della tua voce, Ed alla man veloce 1/70 1/74 5/1 5/5 12/10 16/82 21/20 21/21 OCHI Raggio accusar negli abitati lochi, 16/97 OCI Il ferrigno mio stame? Incaute voci 9/44 OCO Da tanta altezza in così basso loco? Dammi, o ciel, che sia foco Donne, da voi non poco Delle pupille vostre il ferro e il foco Le riposte faville? E che del fioco Da poi che Febo istiga, altro che gioco La gioventù del loco Ogni diletto e gioco Io nel pensier mi fingo; ove per poco Lontanando morire a poco a poco, Di questa vita come a danza o gioco Straniera man le labbra oggi fra poco Cure suol porre in gioco; E d’un celeste foco Anche peria fra poco Da trovar pace o loco. Ed io godo ancor poco, 1/35 1/39 4/31 4/34 5/29 5/32 11/33 11/38 12/7 13/45 16/51 17/55 20/142 20/143 21/49 23/121 23/126 72 Oggi mi pare un gioco Sempre onorata invoco, Lasci per sempre. Il loco Dell’aspra sorte e del depresso loco Soccomberai del sotterraneo foco, Che ritornando al loco Si spegneva annerando a poco a poco, E salir su per l’aria a poco a poco, Veniva il poco lume ognor più fioco; Al bosco là del dilettoso loco. 26/47 27/97 30/22 34/79 34/301 34/302 37/15 39/35 39/37 39/39 ODE Questo arcano universo; il qual di lode Non ricolmar di lode, Starsene in fondo. Ardir protervo e frode, Non contraddir, non repugnar, se lode Venga colui che d’esaltar con lode 19/148 27/114 32/75 32/247 34/38 ODI Fa parer la speranza. Anime prodi, Ogni valor; di vostre eterne lodi Col mercatar, con l’armi, e con le frodi, Dell’esser tuo, dell’arti e delle frodi, E non pur ne’ civili ordini e modi, 3/38 3/42 19/98 29/83 32/193 ODO O Nerina! E di te forse non odo È deserta. Ove sei, che più non odo Nell’acqua immergi e spegni. Anzi a quel modo 22/136 22/144 37/13 OFFRE Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre 30/98 OGGI Dall’aer cieco e da’ natanti poggi 8/60 OGGIA S’incominciava udir fremer la pioggia, Dentro le nubi in paurosa foggia E n’era il terren tristo, e l’aria roggia. 39/47 39/49 39/51 OGGIO Impresse in un secondo, il piano e il poggio, 32/147 OGHI D’immortal piede i ruinosi gioghi 7/26 OGLI E meditando sovra i larghi fogli Perché gli stessi a lui fuscelli e fogli 32/35 32/159 73 OGLIA Volonterosa. A me disfiori e scioglia Del tiranno m’accoglia. Sopravviver ti doglia. Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia, Tratti l’ignota spoglia; E l’aura il nome e la memoria accoglia. La detestata soglia Che parrà di tal voglia? All’amaro calcar della tua soglia, 4/85 4/88 5/54 5/56 6/119 6/120 11/51 11/56 17/138 OGLIE Taccio gli altri nemici e l’altre doglie; Per cui presso alle soglie Della materna voce il suono accoglie? Fur gli agresti sudori; ozio le soglie Sentendo di quel dì che l’uom discioglie, E fra caduche spoglie Fra’ mondi innumerabili t’accoglie, Il mio stato mortal, poco mi toglie Che sono altro che voglie Sì per tempo abbandoni? A queste soglie Miagolanti in su le braccia accoglie 2/99 2/101 7/22 8/52 17/26 18/48 18/51 22/86 26/75 30/5 32/136 OGLIO E di fetido orgoglio 34/102 OGNA Errore, e di me stesso, ebbi vergogna. 32/37 OGNI Questo secol di fango o vita agogni E sorga ad atti illustri, o si vergogni. Tali son, credo, i sogni Non cercar dentro te. Canta i bisogni 3/179 3/180 26/107 32/237 OGNO Giove, poi che perìr gl’inganni e il sogno Lice, lice al mortal, non è già sogno Ma rapida passasti; e come un sogno Degl’immortali. Ahi finalmente un sogno Quante volte mancò? Bella qual sogno, Odi, Melisso: io vo’ contarti un sogno Cader fu vista mai se non in sogno. 9/64 17/123 22/152 26/108 26/141 37/1 37/29 OGO O come il tuono errar di giogo in giogo, Lunge contempla il bipartito giogo 23/136 34/277 OI Beatissimi voi, 1/84 74 Del barbarico sangue i greci eroi, Beatissimi voi Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Italia no; per li tiranni suoi. Ch’essendo questa o nessun’altra poi È il clamor de’ sepolti, e che gli eroi O verginette, a voi È della patria e che sue brame e i suoi Qual de’ vetusti eroi Brando cingeva al caro lato, e poi Vita, morte, sventura agli occhi tuoi, Perché non rendi poi Inganni i figli tuoi? Il fior degli anni tuoi; Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi Son questi i doni tuoi, È diletto fra noi. Chi non favella? Il suo poter fra noi Che in dir gli effetti suoi Lunge dai cari tuoi, Far necessario in noi Altro negli atti suoi 1/115 1/119 2/134 2/136 3/23 3/27 4/54 4/56 4/68 4/72 17/76 21/37 21/39 21/43 22/148 24/43 24/46 26/8 26/10 30/2 30/105 30/108 OIA Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Che intollerabil noia Allato a quella gioia, La terra. Amaro e noia 25/39 25/40 26/24 26/27 28/9 OL Il fuggitivo Sol. Del flebile usignol. 20/52 20/56 OLA Questa d’animi eccelsi altrice e scola: Meglio l’è rimaner vedova e sola. È tal che sogno e fola E d’opra e di parola Giorno di nostra età primo s’invola. La mente mia. Che se una volta sola È per campar la vita, e per se sola Per la greggia ch’ho appresso: e intanto vola Ogni vana speranza onde consola Sperar, se non te sola; Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola Qual de’ barbati eroi fama già vola. Di loro, e mille rimaner. Ma sola 2/198 2/200 3/37 3/41 9/66 15/67 19/16 22/43 27/117 27/121 29/89 32/265 37/27 OLCE Presso al rustico pozzo e nella dolce 8/80 75 Che mi scendesti in seno. Era quel dolce Te più mite desio, cura più dolce 16/44 19/100 OLCI E dell’etereo lume assai più dolci 8/8 OLE Ligure ardita prole, Cui strider l’onde all’attuffar del sole Madri d’imbelle prole La stirpe vostra, e quel che pregia e cole Che più bello a’ tuoi dì splendesse il sole Tua spoglia intorno la romulea prole Pianger credé la sconsolata prole Quel che sommerse in Eridano il sole. Fuor che il nostro dolor. Negletta prole Per lo balcone insinuava il sole Su la tacita aurora o quando il sole Quante immagini un tempo, e quante fole Con atti e con parole Non si fa da parenti alla lor prole. Ma perché dare al sole, In sul calar del sole, Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Non in pensiero invan, siccome suole, Divien l’umana prole. Si fu due volte ricondotto il sole. Questa sensibil prole! Alla qual poscia seguitando il sole, Dove s’annida e si contorce al sole Avranno allor che non superbe fole, Del numero infinite e della mole, Che sembri allora, o prole 3/77 3/79 4/61 4/64 4/92 4/96 7/56 7/57 9/47 15/2 16/57 22/7 23/47 23/51 23/52 25/2 25/4 25/5 27/25 27/26 29/32 30/57 33/58 34/21 34/154 34/179 34/184 OLGA Pace sotto le bianche ali raccolga, Questa terra fatal non si rivolga. 2/2 2/6 OLGE Poi, quando tutto avvolge 27/45 OLGI Verso me più cortese! E tu pur volgi 16/17 OLGO Del mio destino omai, né più mi dolgo Ho gli umani giudizi; e il vario volgo Quando fien, come fur, palesi al volgo, Ove fondata probità del volgo 17/95 26/66 34/146 34/155 76 OLI Pugnano i tuoi figliuoli Delle italiche moli Sentano i sette colli; e pochi Soli Non compagni, non voli, Alle late campagne il giorno involi, Fervendo gorgogliar, desta i figliuoli, 1/44 5/41 5/43 11/13 32/150 34/260 OLLA Vigor di giovanezza, e non la crolla Che, tacito, seduto in verde zolla, 19/73 22/10 OLLE E bacio questi sassi e queste zolle, Deh foss’io pur con voi qui sotto, e molle Virginia, a te la molle Disdegni tuoi si sconsolava il folle Valse l’ameno error, le fraudi, il molle Sempre caro mi fu quest’ermo colle Che, or volge l’anno, sovra questo colle Che sé schernendo o gli altri, astuto o folle, Fin sopra gli astri il mortal grado estolle. 1/129 1/132 4/76 4/79 8/101 12/1 14/2 34/85 34/86 OLLI Vissero i boschi un dì. Conscie le molli Te per le piagge e i colli, Pace regnava; e gl’inarati colli Del riposato albergo, appo le molli E l’abitar questi odorati colli. Da natura è minor. Ché se più molli Fia la mortal felicità. Più molli 7/40 7/43 8/32 8/75 22/151 29/58 32/109 OLLO D’aura maligna, un sotterraneo crollo Da negre cure, o tristo nodo al collo 34/108 40/24 OLO Nessun de’ tuoi? L’armi, qua l’armi: io solo Si sottrasse da morte il santo stuolo, Guardando l’etra e la marina e il suolo. O benedetti, al suolo, Dall’uno all’altro polo. Il meonio cantor non è più solo. Dopo il funereo dì sott’altro suolo, Eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo Più faville rapia da questo suolo. È spogliato alle cose? Il certo e solo Veder che tutto è vano altro che il duolo. Pari all’italo nome, altro ch’un solo, Allobrogo feroce, a cui dal polo Non vorrai tu donarmi? Un bacio solo 1/37 1/78 1/80 1/128 1/131 2/22 2/26 3/59 3/60 3/119 3/120 3/153 3/155 17/51 77 S’allor non fosse, allor che ignudo e solo Te viatrice in questo arido suolo La progenie infinita, a cui pur solo, Fu, ma dell’esser solo: Purché ci serbi al duolo, Pene tu spargi a larga mano, il duolo Che divenute son, fuor di te solo, E tu per certo, o mio pensier, tu solo Muto, mirando dell’etadi il volo, Sta, di memoria solo Della barbarie in parte, e per cui solo Vil chi lui segue, e solo Esso, tornando, a volo 18/14 18/18 19/38 20/122 20/123 24/47 26/21 26/117 31/4 31/5 34/75 34/83 35/5 OLPA Conoscendo, s’adira; e spesso incolpa 29/47 OLPE E di nervi e di polpe Scemo il valor natio, son vostre colpe? Non fra sciagure e colpe, 4/44 4/45 6/52 OLSE Selve remoto accolse, Umane vite, ultimo danno, accolse. 7/51 8/56 OLSI Danzan le lepri nelle selve; e duolsi Chiaro oggimai ch’al secol proprio vuolsi, 16/71 32/246 OLTA Che senza sdegno omai la doglia è stolta: E ti punga una volta Se più de’ carmi, il computar s’ascolta, Ti appresterebbe il lauro un’altra volta? In duri ozi sepolta Femmineo fato avviva un’altra volta. Beata allor che ne’ perigli avvolta, Ore il danno misura e il flutto ascolta Tu de’ mortali ascolta, Ma sei tu per lasciarmi un’altra volta? Fortunato mi tengo. Ah, se una volta, La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta L’antico amor. Se a feste anco talvolta, Che per mostro e miracolo talvolta Solo per cui talvolta, Che ne’ vezzosi appartamenti accolta, Però se nominar lice talvolta 2/14 2/16 3/149 3/150 4/104 4/105 5/61 5/63 7/89 15/18 17/102 22/87 22/158 24/49 26/85 29/14 32/190 OLTE Non fien da’ lacci sciolte 2/3 78 Ne’ penetrati boschi e fra le sciolte Forse alle stanche e nel dolor sepolte Questa misera spoglia? Oh quante volte Sedendo immoto; e già mi par che sciolte E il nostro proprio error. Ben mille volte Ignaro del mio fato, e quante volte Ferro non deporrà. Ben molte volte Credi tu data al Tutto, e quante volte 7/8 7/10 15/44 16/35 19/110 22/25 32/57 34/189 OLTI Non predar, non guastar cittadi e colti Schiavitude oltre l’alpe, e non de’ folti Con gli studi sepolti, Oh tempi, oh tempi avvolti Trovata agevolmente, essi di molti Fur liete ville e colti, 2/107 2/111 3/52 3/56 32/203 34/24 OLTO Degli astri agitator più cari, e molto Il ciel mi fosse e di fortuna il volto? In un perenne ragionar sepolto, E l’occhio a terra chino o in sé raccolto, Né in leggiadro soffria né in turpe volto: Agl’inesperti della vita, e molto La rimembranza, or che il futuro è tolto Seno la stringo, di sudore il volto Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto Quegli, e soggiunse: desiata, e molto, Necessità, cui non tesoro accolto, Del labbro tuo, ch’a me giungesse, il volto E dove il tanto affaticar fu volto: Ogni conforto stolto Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto Sensi profondi, sconosciuti, e molto Fastidi impallidir, brillare in volto Nelle membra e nel volto, In sul fiorir d’ogni speranza, e molto Come vapore in nuvoletta accolto Fornito il mira, ad atterrarlo è volto, Non credo io già, ma stolto, Pompei, come sepolto 8/4 9/39 10/83 10/85 10/87 15/35 15/70 15/84 16/42 17/42 19/50 22/147 23/34 27/119 27/123 29/56 29/99 30/30 30/33 30/36 32/158 34/99 34/271 OLTRE A natura terrena. Amar tant’oltre 17/113 OLTRI Certamente a veder, tappeti e coltri, 32/116 OLVA Con quali ordini e leggi a che si volva 19/147 79 OLVE Poi che divelta, nella tracia polve Di nova ira sfavilla. Ecco di polve Poi che divelta, nella tracia polve Quando per l’etra liquido si volve Ivi, quando il meriggio in ciel si volve, Una ruina involve, 6/1 4/97 6/1 9/9 16/26 34/33 OMA Obblivione antica ergean la chioma, Magnanimi allegràr d’Atene e Roma. Gli obbliviosi petti; e nella doma Così l’eterna Roma E di servaggio all’odiata soma Di pepe o di cannella o d’altro aroma Lascia parer senza vergogna, e noma 3/51 3/55 4/100 4/103 8/85 32/66 34/95 OMBE Di svegliar dalle tombe A questo secol morto, al quale incombe 3/2 3/4 OMBO L’olimpo, e fiede le montagne il rombo 4/52 OMBRA Fu certo, fu (né d’error vano e d’ombra Il murmure saluta: e dove all’ombra Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra E più soave le pupille adombra, Internamente? Obblivione ingombra Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, E un fastidio m’ingombra 8/87 9/31 9/67 15/5 15/21 23/117 23/118 OMBRE Nido de’ venti): e il pastorel ch’all’ombre Trepido errante il fratricida, e l’ombre Sedente, oscuro, in sul meriggio all’ombre Torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre Che di lontan, per l’ombre 7/28 8/43 8/74 25/17 34/287 OME Crescean di Sparta i figli al greco nome; Spandea le negre chiome Del servo italo nome, Medita il petto mio. Dirò siccome Molti per l’ossa mi serpeano, oh come Pensieri si volgean! Qual tra le chiome Un lungo incerto mormorar ne prome. Serbi di noi? Donde, risposi, e come Secol beasti che dell’oro ha nome, La dolce lode or delle negre chiome, 4/70 4/73 6/88 8/73 10/29 10/31 10/33 15/13 18/8 21/45 80 La giovanezza. Ahi come, Che già di morte al nome Sentì rizzar le chiome, Natura umana, or come, Le risa alzai quando sonava il nome O sono ignote, o così paion come Granel di sabbia, il qual di terra ha nome, 21/52 27/66 27/67 31/50 32/240 34/181 34/191 OMINI So che pietà fra gli uomini 20/125 OMMA Con proprio nome il ver, non altro in somma 32/191 OMO Ch’a noi paion qual nebbia, a cui non l’uomo Come d’arbor cadendo un picciol pomo, 34/177 34/202 OMPE Spiace agli Dei chi violento irrompe 6/46 ONA Del barbarico sangue in Maratona Né la palma beata e la corona Il mondo, e più di lor non si ragiona. Per le valli, ove suona Del giovanile error che m’abbandona; Le umane lingue il sentir proprio sprona, Par novo ad ascoltar ciò ch’ei ragiona. La diletta persona Che sotto i passi al peregrin risona; 5/14 5/18 13/39 18/34 18/37 26/11 26/12 30/90 34/20 ONDA Io credo che le piante e i sassi e l’onda Narrin siccome tutta quella sponda Così la vereconda Qui l’ira al cor, qui la pietade abbonda: Ma per la moribonda E il suo col vostro lacrimar confonda. Di sì buia vorago e sì profonda Ai tetti vostri inonorata, immonda Né rossor più né invidia; ozio circonda Udì lungo le ripe; e tremar l’onda Scendea ne’ caldi flutti, e dall’immonda Fiume alla dubbia sponda Il suono e la vittrice ira dell’onda. Co’ silenzi del loco si confonda. A popoli che un’onda 1/68 1/71 1/137 2/133 2/135 2/175 2/179 3/39 3/43 7/33 7/36 9/17 9/18 16/38 34/106 ONDE Risorgimenti? In un balen feconde 3/9 81 Detti degli avi. E che valor t’infonde, Men caro assai la bruna valle asconde. Vano è saper quel che natura asconde Ond’eri usata favellarmi, ed onde Vituperosa e trista un sasso asconde. Non avvien ciò d’altronde Fuor che l’uom sue prosapie ha men feconde. Case, ove i parti il pipistrello asconde, 3/13 7/80 15/34 22/142 31/19 34/235 34/236 34/283 ONDI Di fortunati regni e d’aurei mondi In arme tutti congiurati i mondi 31/29 32/88 ONDO Cinta l’odio e l’immondo Ti parve il nulla, e il mondo Che nasce allor ch’ai nostri è giunto al fondo; Ai rischi. Ahi ahi, ma conosciuto il mondo Non avverrà ch’io ti ritrovi al mondo, La sorte mia. Due cose belle ha il mondo: Moti del cor profondo, Qualunque cosa al mondo (Inusitata maraviglia!) il mondo Che fa l’aria infinita, e quel profondo Nasce nel cor profondo O così sprona Amor là nel profondo, Ride ai lor casi il mondo, Se coi fanciulli il mondo, La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. A cui movi o giocondo, Fermare io stesso in me, né forse al mondo Ed incomincia il mondo Da tutti i lidi lo promette al mondo Scende la luna; e si scolora il mondo; Per lo vòto seren brillare il mondo. Scagliata al ciel profondo, 3/127 3/131 3/83 3/87 15/46 17/99 20/6 20/7 22/126 23/87 27/28 27/81 27/86 27/118 28/10 30/11 30/14 30/31 32/41 33/12 34/166 34/214 ONDRA Da Parigi a Calais, da quivi a Londra, 32/122 ONE Ad atti egregi è sprone Non si rallegra il cor quando a tenzone Alla patria infelice, o buon garzone, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Ogni cosa dispone. Ma di lunga stagione 4/46 4/50 5/53 5/57 40/4 40/5 ONGA Altri studi men dolci, in ch’io riponga 19/138 82 ONI Amor di questa misera vi sproni, Spirti v’aggiunga e vostra opra coroni Placàr singulti, ornàr parole e doni Già tace ogni sentiero, e pei balconi Se torna maggio, e ramoscelli e suoni Per li poggi e le ville. Apre i balconi, Né volontari al vivere abbandoni, Di possente vapore, a milioni 2/36 2/40 6/111 13/5 22/162 24/20 30/78 32/146 ONITO Giacqui: insensato, attonito, 20/37 ONNE Gener vario di lingue e di colonne, Aura giacendo tutta notte insonne, 32/40 34/251 ONNO Tu dormi, che t’accolse agevol sonno Quando in sul tempo che più lieve il sonno I tuoi pensieri, e gli avviluppa il sonno; Questo affannoso e travagliato sonno 13/7 15/4 15/22 19/1 ONO Larve e l’antico error, celeste dono, Te nella polve della vita e il suono Di febo i raggi al misero non sono Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono Ogni umano accidente. Or dov’è il suono Non ti fui mentre vissi, ed or non sono, Oh, disse, Elvira, Elvira mia! Ben sono Tacque: né molto andò, che a lui col suono Solitudine immensa? Ed io che sono? Questi i diletti sono Suderà latte e mele, o s’anco al suono Quasi comica voce, o come un suono 4/3 4/5 7/15 7/82 13/33 15/73 17/81 17/149 23/89 24/44 32/47 32/242 ONTA Con dotta man: ché, d’ogni sforzo in onta 32/169 ONTE La tarda età. Ma se spezzar la fronte Ire fuggendo e l’onte, Né guidasse per gioco i lupi al fonte La piaggia, il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte, E quinci il mar da lungi, e quindi il monte. Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte Il tuo volto imitar. Tu sola fonte Prima che incontro alla festosa fronte Sotto forme fugaci all’orizzonte, 6/64 7/49 8/96 20/98 20/99 21/25 22/153 26/133 30/34 30/37 83 Pensieri e sensi inenarrabil fonte, Ed alle età venture unica fonte! Del formidabil monte Che coi torrenti suoi l’altero monte 31/24 32/153 34/2 34/30 ONTI Mi fere il Sol che tra lontani monti, 11/41 ONTO Come per questo a perigliar fu pronto Dalle foci del Tago all’Ellesponto 27/21 32/269 ONTRA Gli occhi mortali incontra 34/113 OPO Di tedio, alfin dopo il servire e dopo Ponesti all’uman corso. Ahi perché dopo 29/104 30/64 OPRA Balza nel petto; e già s’accinge all’opra E s’affretta, e s’adopra Quel ch’ei con mano o con la voce adopra Scriva il vecchio prior: quando, per opra 16/50 25/36 29/69 32/145 OPRE O si ridesta; e sapiente in opre Né men conobbi ancor gli studi e l’opre Con gran lavoro, e l’opre Schiaccia, diserta e copre 27/24 32/26 34/207 34/211 OPRI Mille cose sai tu, mille discopri, 23/77 OR Ancor viveva il cor. Era dolore ancor. Primo, immortale amor, Al duro mio sopor. L’ignuda gloria ancor. Che in voi non brilla amor. 20/28 20/32 20/60 20/64 20/132 20/136 ORA Giaccian esuli ancora Tutto il mondo t’onora. Te salutava allora Tal miseria l’accora Di noi serbate, o gloriosi, ancora Sussurravano ancora Il mal che n’addolora O generosa, ancora 2/25 2/29 2/93 2/97 3/31 3/67 3/71 4/91 84 È quella tomba cui di pianto onora Chiaro per lei stato saresti allora Che nullo di tal madre oggi s’onora: Nel Tartaro. Non fora M’era degli astri il riso, o dell’aurora Anche di gloria amor taceami allora Che di beltade amor vi fea dimora. Mentre vivesti? Io disperando allora Del Sol vederla io mi credeva ancora. All’uomo il cor dogliosamente, ancora Alcun t’amasse in terra, a lui pur fora E ben chiaro vegg’io siccome ancora Silvia, rimembri ancora E delle luci a voi compagne! Allora Viene il vento recando il suon dell’ora Risovverrammi; e quell’imago ancora La mente mia d’allora Che tu quivi prendesti a far dimora! Me certo troverai, qual si sia l’ora La man che flagellando si colora Torna dinanzi al mio pensier talora Or questa egli non già, ma quella, ancora Che tu l’intenda. In simil guisa ignora Pur come cara larva, ad ora ad ora Di riscontrarla ancora Lieto e felice: e tal portento, ancora Quel che ieri schernì, prosteso adora Giovinezza sparì, non si colora D’altra luce giammai, né d’altra aurora. Che il calle insino allora Vanno adulando, ancora Ch’a ludibrio talora Felicità, quali il ciel tutto ignora, Sembra tutte avanzar; qual moto allora, 4/94 5/55 5/58 6/47 10/71 10/73 10/75 15/64 15/100 17/37 18/26 18/28 21/1 22/9 22/50 22/100 26/14 26/15 27/108 27/112 29/1 29/44 29/67 29/73 30/93 32/205 32/214 33/64 33/65 34/54 34/61 34/62 34/104 34/198 ORDA Ma poco da vecchiezza si discorda So ben ch’ella discorda: So che natura è sorda, Quando de’ mali suoi men si ricorda? 15/54 20/118 20/119 24/31 ORDE Di questa nostra? E le tue dolci corde L’italo canto. E pur men grava e morde Nelle tue chete stanze; e non ti morde 3/66 3/70 13/8 ORDI Non io d’Olimpo o di Cocito i sordi Ogni estremo timor subito scordi; Fan la bellezza e i musicali accordi, 6/106 23/111 29/35 85 ORE Quali a voi note invio, sì che nel core, Nova favilla indurre abbian valore? A viver non dannò fra tanto orrore; L’asta inimica e il peregrin furore; Pietà nascesse in core Dimmi: d’Italia tua morto è l’amore? Della fortuna, al cui sdegno e dolore L’averno: e qual non è parte migliore Livor privato e de’ tiranni. Amore, Inabitata piaggia. Al tardo onore Se nel femmineo core D’uomini ardea, non di fanciulle, amore. La spoglia di tuo nome), attendi e il core Ai fatti illustri il popolar favore; Io mirava colei ch’a questo core Ahi come mal mi governasti, amore! Recar tanto desio, tanto dolore? E tanto amor mi tolse un altro amore? Solo il mio cor piacermi, e col mio core Alla guardia seder del mio dolore. Sì ch’a mirarla intenerisce il core. Pur festeggiando il lor tempo migliore: Dell’anno e di tua vita il più bel fiore. E te german di giovinezza, amore, Quando muti questi occhi all’altrui core, E fieramente mi si stringe il core, Già similmente mi stringeva il core. Nella mia cieca stanza il primo albore; Il simulacro di colei che amore Quand’è il viver più dolce, e pria che il core Porto gravido il cor; dimmi: d’amore Per le sventure nostre, e per l’amore Di paradiso. Al garzoncello il core Fatto schiavo e fanciullo il troppo amore. Parto da te. Mi si divide il core Lacrima rilucea. Né dielle il core Palpiti della morte e dell’amore, Cara beltà che amore Fuor se nel sonno il core Fra cotanto dolore Pepoli mio? Di che speranze il core Né la lentezza accagionar dell’ore. Da quel che tanto ardore, Che sì beato errore O dell’arida vita unico fiore. M’era, parlando, il mio possente errore Piansi la bella giovanezza, e il fiore Primavera giammai, non torna amore. Non ti molceva il core Ragionavan d’amore. 2/49 2/51 2/104 2/108 2/177 2/181 3/63 3/65 3/128 3/132 4/59 4/60 5/7 5/10 10/5 10/7 10/9 10/80 10/82 10/84 11/7 11/11 11/16 11/20 11/53 13/28 13/46 15/3 15/7 15/27 15/61 15/76 16/48 17/23 17/47 17/63 17/80 18/1 18/3 18/23 19/3 19/43 20/42 20/43 22/49 22/66 22/111 22/165 21/44 21/48 86 La vita del pastore. Sorge in sul primo albore; La madre e il genitore Studiasi fargli core, Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore Che son celate al semplice pastore. Si rallegra ogni core. Quando con tanto amore Fanno un lieto romore: Fischiando, il zappatore, Prepotente signore, Dieder l’eterne leggi all’uman core. Nasce il piacer maggiore L’altra ogni gran dolore, Gode il fanciullo Amore Primi conforti d’ogni saggio core. Né per altro signore Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core. La prole al genitore, Concordemente. Universale amore, La qual null’altro allegra arbor né fiore, Uom saggio e sciolto dal comune errore, Né porrebbe al dolore Ed al mal proprio suo cotanto amore. Figlia di giovin core, Mentre è vermiglio il fiore 23/10 23/11 23/43 23/48 23/73 23/78 24/25 24/28 25/27 25/29 26/78 26/79 27/6 27/8 27/13 27/16 27/20 29/79 30/102 32/42 34/4 40/30 40/32 40/33 41/8 41/10 ORGA Non torni, e un dolce rimembrar non sorga. 22/57 ORGE La destra soccorrevole gli porge, Quella superba vision risorge. Luce della famosa età che sorge. 22/127 29/8 32/261 ORGI Candida luna, sorgi, 6/77 ORGO Festeggiar si costuma al nostro borgo. 11/28 ORI Cantor vago dell’arme e degli amori, Empièr la vita di felici errori: All’ausonio valor campagna esplori. Lieti vedesti, e i memorandi allori; Sperate palme e dilettosi errori, Misericordia dei ben noti ardori. Ch’io mi tenga in cor mio, sebben di fuori Infra i leggiadri errori, Tutti odorati de’ novelli fiori 3/108 3/110 6/79 6/85 9/69 17/66 22/36 26/112 29/15 87 Orba la vita, e di gentili errori, Di suddita città le vie maggiori. 29/107 32/132 ORLO Raccozzando i rottami, e per riporlo 32/216 ORMA L’una sei tu, cui di sensibil forma Ai terribili moti, e in questa forma Il digiuno mendico, in ogni forma Di fogliolini e di fuscelli, in forma 18/46 27/79 32/92 32/155 ORME Convienci a quel dell’anno, al qual difforme 32/221 ORNA Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna Dico: Nerina mia, per te non torna Dell’Eden odorato in cui soggiorna, 16/67 22/164 32/8 ORNI Quando gl’infausti giorni Sospiro acerbo de’ provetti giorni, E sperando traea le notti e i giorni; Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni O primo entrar di giovanezza, o giorni Ai lugubri miei giorni, Pensier che innanzi a me sì spesso torni. O cagion qual si sia ch’ad auro torni. Queste campagne dispogliate adorni, 6/58 11/21 15/65 19/18 22/120 26/5 26/6 32/68 34/299 ORNO Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno; In eterno perimmo? E il nostro scorno Io mentre viva andrò sclamando intorno, Del Sol caduto, e il giorno Fu gloria, e del ritorno La patria aspetta; e non in danno e scorno E il forte adopra e pensa; e quanto il giorno De’ miseri vendetta. A me dintorno Antichi danni e scellerato scorno, E d’ira e di pietà pallido il giorno. L’irrigua valle, inopinato il giorno Cantando vai finché non more il giorno; Primavera dintorno Il dì festivo, ed al festivo il giorno La voce, al guardo traballava il giorno. Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, Così giacea nel funeral suo giorno Provar felicità. Ciò seppi il giorno Questo m’accadde. E non però quel giorno 1/23 2/188 2/190 3/82 3/86 4/32 4/36 6/116 7/75 7/76 8/109 11/3 11/5 13/31 15/86 16/40 17/6 17/125 17/127 88 Poi che lieto non può, corresse il giorno Alle finestre intorno Cantando al novo giorno, Stanze, e le vie dintorno, Così menare il giorno. Che di qua scopro, e che varcare un giorno Sorridon le donzelle; a gara intorno La tua voce sonar, siccome un giorno, Incontro là dove si perde il giorno; Questo di sette è il più gradito giorno, Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Quasi in lieto giardino, a te ritorno, E ristora i miei sensi il tuo soggiorno. Più sempre infievolir. Quanto più torno Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno Ululando portai finch’a quel giorno Tornerai tu? Farai tu lieti un giorno Questi ch’oggi ti son piangendo intorno? Morte ti chiama; al cominciar del giorno Ivi fia d’ogni tempo il tuo soggiorno. E folgorando intorno Con gli abitanti insieme. Or tutto intorno E poi tutto quel giorno La mi condusse intorno E ne fumavan l’erbe intorno intorno. Io qui vagando al limitare intorno, Acciò che la ritenga al mio soggiorno. 19/34 20/46 20/47 21/8 21/14 22/22 22/123 22/145 25/10 25/38 25/42 26/35 26/36 26/125 29/9 29/13 29/31 30/6 30/7 30/18 30/24 33/59 34/32 36/4 36/5 37/16 38/1 38/3 ORO Non curo, io non so come; anzi da loro Senza posa o ristoro, Porti quella che sorge età dell’oro: E dal deserto foro Vo pellegrina, e tutto l’altro ignoro. E la foglia d’alloro. A che ciascun di loro S’adopra nel lavoro 11/22 23/31 32/99 34/274 35/9 35/13 36/10 36/11 ORRA Non mel celar, ti prego, e mi soccorra Misera onde si volga, ove ricorra, 15/69 30/56 ORRE Del mio dolore. Oh come grato occorre Lascia in breve tra’ sassi. Infesto occorre Tutti si dileguàr. Siccome torre Eternamente, il mortal seme accorre Dell’uomo armar la destra, e laccio porre 14/12 16/85 26/18 32/167 34/136 ORSA 89 Di sventura esser può, se a lui già scorsa 22/133 ORSE Inganni e di felici ombre soccorse Costume ai forti errori esca non porse, Questa misera piaggia, ed aura corse Malor, condotto della vita in forse, Questi luoghi parlar? Caduta forse Delle città sovrane, e talor forse 5/35 5/37 8/91 22/110 22/137 32/131 ORSI L’altero capo, a cui spontaneo porsi 29/91 ORSO La speme e breve ha la memoria il corso, In se stesso non torce; al duro morso Verso un tal segno a incominciare il corso: Che tra le sabbie e tra il vipereo morso, Non fosti tu? Quanto del giorno è scorso, Filosofando il saper nostro è scorso! Or torno addietro, ed al passato un corso Durasse tutto della vita il corso. E balzando più volte, esplora il corso 14/14 19/57 26/94 26/95 26/138 32/226 32/244 33/38 34/252 ORTA Tartaro, e l’onda morta; Ver cui pietade è morta L’aprico margo, e dall’eterea porta Con questi detti il cor. Dunque sei morta, Ai nostri giorni. E quella: ti conforta, Che il cor si riconforta. In chi l’ascolta. Or quell’Aspasia è morta Dileguarsi così quasi non sorta, Che spesso, ove fu porta, 1/97 2/37 9/28 15/39 15/71 25/23 29/70 30/38 31/13 ORTE L’antiche età, che a morte Dove la Persia e il fato assai men forte Or te, padre de’ pii, te giusto e forte, Era del gran desio stato più forte Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte E quando pur questa invocata morte E paventò la morte Fredde, tacite, smorte, Dono del ciel; consorte Divina sei; perché sì viva e forte, Né si dilegua pria, che in grembo a morte. Che percosso d’amor, né mai più forte Certo ha chi more invidiabil sorte A colui che la morte Creder comune, e del mio mal consorte 1/62 1/66 8/71 17/21 17/126 22/95 24/35 24/38 26/4 26/113 26/116 27/18 30/79 30/80 32/12 90 Infin qui de’ lambicchi e delle storte, Tali dolcezze e sì beata sorte Dello stato mortal; vecchiezza e morte, Nostra misera sorte Quel che sentenzia ogni animale a morte, Confessa il mal che ci fu dato in sorte, Quella che grande e forte 32/49 32/133 32/183 33/35 33/40 34/116 34/118 ORTI E sarà il nome degli egregi e forti Datevi pace; e questo vi conforti Paghi viviamo, e scorti Segui; risveglia i morti, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Che noi vita nomiam, come sopporti, Sale, e le piazze romorose, e gli orti, Le vie dorate e gli orti, Calunnia, odio e livor: cibo de’ forti In ciascun anno partoriti e morti 2/160 2/164 3/172 3/176 13/2 19/2 19/66 21/24 32/90 32/144 ORTO E di nullo conforto Avesti, o cara; e morto Da te fino a quest’ora uom non è sorto, Non dimandai conforto: Quasi perduto e morto, Dalla torre del borgo. Era conforto Quanta invidia ti porto! Brama raccorsi in porto Ebber solo conforto, Più d’ogni flutto dimostrarci il porto? Quasi come a diporto 2/127 2/131 3/151 20/38 20/39 22/51 23/107 27/42 30/70 30/74 31/45 ORVO Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo 9/38 ORZA Disse: tu parti, e l’ora omai ti sforza: Senz’amor, senza vita; ed aspro a forza Diman, per lieve forza, Irreparabilmente: indi una forza 17/29 22/39 31/32 32/176 ORZE A galleggiar sortiti. Imperio e forze, 32/77 OSA Qual può voce mortal celeste cosa Come cadrà? Come dal tempo rosa Tutto è pace e silenzio, e tutto posa Il tuo volto apparia, che travagliosa Di baci la ricopro, e d’affannosa 2/58 2/62 13/38 14/8 15/82 91 Ahi vision d’estinto, o sogno, o cosa Sospirando il mattin. Qui non è cosa D’ogni celeste, ogni terrena cosa, Girando senza posa, Bella Morte, pietosa Sarà, quant’altri immaginar non osa, Il suo capriccio adempie, e senza posa Vo dove ogni altra cosa, Va la foglia di rosa, E ben hai che temer, che agevol cosa Mugghiando orribilmente e senza posa; E d’ogn’intorno era terribil cosa E il suon che immaginar l’alma non osa. 17/84 22/55 23/94 23/95 27/98 32/124 32/171 35/10 35/12 37/21 39/62 39/64 39/66 OSCE Negli alterni perigli e nelle angosce 34/134 OSCIA Ed immortale angoscia. Or questo fianco addenta or quella coscia; Bramosamente il dì festivo, or poscia Per la tua dipartita, e se d’angoscia La fé che mi giurasti. Allor d’angoscia 1/102 1/106 13/41 15/60 15/95 OSCO Musico augel che tra chiomato bosco Ozio de’ campi, all’aer muto e fosco, Fera tabe non doma; e vitto il bosco, 7/71 7/74 8/107 OSE E voi sempre onorate e gloriose, Fu di poch’alme franche e generose! Tra fortuna e valor dissidio pose E nella sera dell’umane cose, Della procella. O spose, Volgari affetti in basso loco pose, Se la funesta delle patrie cose Giocondo agli ozi suoi spettacol pose? Non la pietà, non la diritta impose E dispregiata amante, alle vezzose Il rimembrar delle passate cose, Rimbombaro i sollazzi e le festose Stato e il valor delle terrene cose, Patto alcuno o giornal. Ma nelle cose Gradito ospizio; e fur città famose Parlando, apertamente, e di sue cose Per tua cagion, dell’universe cose 1/64 1/67 4/18 4/20 4/53 4/57 5/47 6/51 8/10 9/25 14/15 22/70 32/23 32/107 34/29 34/96 34/192 OSI Italo ardito, a che giammai non posi Parlò senza svelarsi, onde i riposi 3/1 3/54 92 La ruina d’Italia, anco sdegnosi Contemplando i deserti; indi ti posi. 3/58 23/4 OSO L’ospite desioso Conviene agli alti ingegni. Or di riposo Che il mondo agguaglia. O scopritor famoso, Odio al dolor compagno; e doloroso Bench’innocente io fossi, il tuo vezzoso A bell’agio, ozioso, E seco pensa al dì del suo riposo. Garzoncello scherzoso, 2/20 3/171 3/175 16/13 16/96 23/130 25/30 25/43 OSSA La formidabil possa, D’un walser danzerà. Tanto la possa 27/46 32/48 OSSE Di quelle labbra uscir, ch’ultima fosse; Quante volte plebea voce percosse E il core in forse a palpitar si mosse! Per tornar sempre là donde son mosse; Del passato timore, onde si scosse La vecchiezza, ove fosse 10/47 10/49 10/51 23/96 24/34 33/47 OSSERO Credei ch’al tutto fossero 20/1 OSSO Quasi intender non posso 26/41 OSTE Era il mattino, e tra le chiuse imposte 15/1 OSTI In più sublimi ancora e più riposti 32/211 OSTO Il misero mortal. Ma non sì tosto, 16/52 OSTRA Mistero delle cose a noi si mostra Benché scarsa pietà pur mi dimostra Non fa risibil mostra; 22/72 16/15 34/93 OSTRE Voi negletti ferìr mentre le vostre 7/60 OSTRI Torri degli avi nostri, Nuda la fronte e nudo il petto mostri. 1/3 1/7 93 Voce antica de’ nostri, I polverosi chiostri 3/7 3/11 OSTRO Che la memoria e il vostro Orme del vostro sangue. Ecco io mi prostro, Ma non cognato al nostro Dell’atra morte incombe. Oh contra il nostro Creommi nel pensier l’aspetto vostro Saggio sia né possente, al secol nostro Fia quel dell’altro appresso, il sentir nostro 1/123 1/127 7/77 8/110 22/8 32/106 32/222 OTA E di cittadi romorose, ignota Nell’imo petto, grave, salda, immota 8/31 19/70 OTE Vano dirai quel che disserta e scote Il caduco fervor? Le meste rote E di feroci note Invan la sonnolenta aura percote. Il gener tuo; quelle tue varie note Ahi ahi, poscia che vote Necessità, cui provveder non puote Noia immortale, incontro a cui non puote 5/27 5/31 6/14 6/15 7/78 7/81 19/46 19/72 OTI De’ corpi ch’alla Grecia eran devoti. Fatto ludibrio agli ultimi nepoti; Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, Pensier degli avi nostri e de’ nepoti. O patria nostra. Ecco da te rimoti, A tutto il mondo ignoti, A putridi nepoti Le penne il bruno augello avido roti; Ombra diva mi scuoti, L’ozio che ti lasciàr gli avi remoti, Conculcando e l’estrane, o di remoti Gl’inganni aperti e noti; E de’ suoi proprii moti Inutile miseria. E sebben vòti Poi di tanto adoprar, di tanti moti In parte, e può con moti Quegli ancor più senz’alcun fin remoti Dopo gli avi i nepoti, 1/73 1/76 2/15 2/17 2/150 2/152 6/114 6/117 18/4 19/6 19/96 20/146 20/147 22/84 23/93 34/46 34/175 34/291 OTO Né farfalla ronzar, né voce o moto Che tremar fe’, se, come or sembra, immoto La serpe, e dove al noto 16/31 31/8 34/22 94 OTTA Pur gli era al fianco, da pietà condotta E dell’eterne cose; a che prodotta, Su la piazzuola in frotta, D’arcana voluttà; quando tu, dotta E quante moggia di farina inghiotta 17/10 19/142 25/25 29/20 32/142 OTTE Ciprigna luce, alla deserta notte Delle tenere membra. Ella per grotte, Le non ignote ambasce e l’alte e rotte Dell’artigian, che riede a tarda notte, Premea le piume; ed alla tarda notte Lamentai co’ silenzi e con la notte Vedova è insino al fine; ed alla notte E nell’orror della secreta notte Per li templi deformi e per le rotte 7/44 7/65 7/67 13/26 13/43 22/116 33/66 34/280 34/282 OTTI Questo suon, mi rimembra, alle mie notti, 22/52 OTTO I tardi fati a prevenir condotto, Su l’alte prue la negra cura, e sotto Servaggio ed aspro a tollerar condotto. Abuserà chiunque avralle, e sotto 19/56 19/85 29/88 32/79 OVA O mia diletta luna. E pur mi giova Che morte s’addimanda? Oggi per prova Alla mattina il cacciator, che trova Il misero non trova; Che lui, fuggendo, a prova Cara compagna dell’età mia nova, Fassi in su l’uscio; a prova Della novella piova; E l’erbaiuol rinnova Che mondo mai, che nova Che per lo mar dell’essere si trova; Già concedon gli Dei; già, della nova E le ricchezze che adunate a prova Parte la donna mia: pietà, se trova O turbine, or ti sveglia, or fate prova Che il sole ad altre terre il dì rinnova. 14/10 15/48 16/72 20/126 20/127 21/54 24/13 24/15 24/16 26/100 27/7 32/257 34/208 38/8 38/10 38/12 OVE Dunque tanto i celesti odii commove Com’è quando a distesa Olimpo piove Ned io ti conoscea, garzon di nove Quando facevi, amor, le prime prove. L’arguto canto; a palpitar si move 6/25 10/65 10/67 10/69 16/66 95 A chi patria non ha. Te punge e move E nove forme di paiuoli, e nove Le parti sciolte dispensando altrove. Empie le carte, eccelsi fati e nove La capra, e città nove Né sul deserto, dove 19/104 32/120 32/164 34/103 34/227 34/311 OVERO Forse la speme, o povero 20/105 OVI Tanto nostro dolor diletti o giovi: Tu non ti acconci più, tu più non movi. Ma più perché giammai tedio non provi. A quello onde tu movi, 19/146 22/161 23/112 26/69 OVO Scusa gli errori suoi, festeggia il novo Di politici scritti il secol novo. 22/128 32/85 OVRA O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra 17/119 U Io non vedrò mai più. L’ingenita virtù; 20/108 20/112 UBI Da volar su le nubi, 23/134 UCA Le meste anime educa; Fortunato colui che la caduca 7/87 19/111 UCE Gli augelli al vento, e la diurna luce A noi la vaga fantasia produce Né tornasse a veder l’amara luce! Al canto che conduce Mai non veder la luce Agli occhi miei la giornaliera luce L’estremo albor della fuggente luce, Che dianzi gli fu duce, Su l’arenoso dorso, a cui riluce 7/6 19/109 27/55 27/57 30/27 32/19 33/17 33/18 34/255 UCI Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci 14/7 UDA Fur dell’umana gente, allor che ignuda Desiri educa; e la fugace, ignuda 7/42 8/116 96 Disse, che di beltà son fatta ignuda? Gl’immortali beato, a cui tu schiuda La fredda morte ed una tomba ignuda Questa mia vita dolorosa e nuda 15/89 17/120 21/62 22/26 UDE Che non che il cener freddo e l’ossa nude Firenze, a quello per la cui virtude L’ora di ripor mano alla virtude Dimenticati il suol quasi dischiude, All’umana virtude, Né pura in gracil petto alma si chiude. Prepara il fato, e dalle selve ignude Regni del mar vendicatore illude Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Che gran parte d’Olimpo in sé racchiude, 2/24 2/28 3/24 3/28 4/14 4/15 6/6 8/68 12/3 29/40 UDI Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi. E degli atti e dei passi, e i vani studi Gl’ingegni e le virtudi; Che manca ai degni studi Qui di pietà mi spoglio e di virtudi, 5/38 5/39 19/64 20/130 20/131 22/41 UDO Sul corpo esangue e nudo Quando e’ reddia nel conservato scudo. Chi di speranza è nudo? Dolor non forma, e te di colpa ignudo, Al passegger, cui semivivo e nudo 4/74 4/75 6/37 7/79 16/84 UGA La giovinezza. In fuga 33/22 UGGE Nasce beata prole, a cui non sugge Sei tu quella di prima? E che ti strugge Son dottrina e saper; che m’odia e fugge, Circondando, sotterra si rifugge. Volgo fiero e diverso agita e strugge. 8/105 15/20 22/33 40/25 40/28 UI Ma da nemici altrui E quelli m’apparian vani per cui Deh come mai da me sì vario fui, Deh quanto, in verità, vani siam nui! Potrò del dono, io semispento, a cui D’un solo istante, e il dir: felice io fui Lei spinga il fato e la natura; a cui Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui. 1/57 10/77 10/79 10/81 17/54 17/110 19/145 22/60 97 Dall’imo petto invidiò colui Magnanimo colui Veracemente; a cui 27/60 34/84 34/171 ULLA Cinse il fastidio; a noi presso la culla Immoto siede, e su la tomba, il nulla. Di questa infelicissima fanciulla. L’erma terra contemplo, e di fanciulla Ogni gran male annulla. Bellissima fanciulla, Fere l’orecchio, in nulla Distruggendo e formando si trastulla. Con lieve moto in un momento annulla Globo ove l’uomo è nulla, Né morte aspetta né vecchiezza; e nulla E siccome alla culla 3/74 3/75 15/75 16/63 27/9 27/10 31/48 32/172 34/45 34/173 41/14 41/18 ULLE Van gli amanti recando alle fanciulle, 22/163 ULLI Questo dì fu solenne: or da’ trastulli 13/17 ULLO Di questo albergo ove abitai fanciullo, Argomento di riso e di trastullo, Dalla cara nutrice ogni fanciullo, 22/5 22/32 32/140 ULSA Stimai la vita, e sovra l’altre insulsa 32/3 ULSE E i branditi cucchiai, viva rifulse 32/18 ULTA Legge al mortale insulta. Siedi, Giove, a tutela? E quando esulta Brilla nell’aria, e per li campi esulta, Sogni rinnovellando, ai saggi insulta 6/24 6/27 11/6 34/195 ULTE Te de’ celesti peregrini occulte 8/77 ULTIMO Fra poco in me quell’ultimo Da te, mio cor, quest’ultimo 20/33 20/149 ULTO Lui delle vesti e delle chiome il culto Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, 19/63 22/38 98 E già nel primo giovanil tumulto 22/104 UMA La destinata sua vita consuma. 19/99 UME Sparse i regni beati empio costume, Certo del tuo costume Quel confidente immaginar, quel lume Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume Vigliaccamente rivolgesti al lume Ed in civil costume 6/56 11/47 22/155 32/208 34/81 34/197 UMI Né ti conforti? E i tremebondi lumi L’itala gioventude? O numi, o numi: Ch’io per la Grecia i moribondi lumi Possa, volendo i numi, Il pentimento. A voi, marmorei numi, Margo adducea de’ fiumi 1/49 1/52 1/135 1/139 6/19 7/30 UMO L’umana specie. Alfin per entro il fumo Di dolcissimo odor mandi un profumo, 32/13 34/36 UNA Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Io non son per la tua cruda fortuna. Maestra è la beltà. D’amor digiuna Scendono i venti, e quando nembi aduna Infinita beltà parte nessuna Vivi, mi disse, e ricordanza alcuna Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna Aprir di mia giornata incerta e bruna, Che ti somigli; e s’anco pari alcuna Medicine procaccia, onde quell’una Sotto limpido ciel tacita luna Vana diva non pur, ma di fortuna Notte più sola e bruna; Spenta per me la luna, Silenziosa luna? E noverar le stelle ad una ad una, Più felice sarei, candida luna. Stato che sia, dentro covile o cuna, Già tutta l’aria imbruna, Al biancheggiar della recente luna. Palpitasti. Non val cosa nessuna Felice in terra far persona alcuna, Spariscon l’ombre, ed una Oscurità la valle e il monte imbruna; E le foreste, e tutte ad una ad una 2/129 2/132 4/48 4/51 9/21 15/12 16/14 18/17 18/20 19/61 19/132 19/157 20/22 20/23 23/2 23/135 23/138 23/142 25/16 25/19 28/7 32/200 33/13 33/14 39/14 99 In queta ombra giacea la valle bruna, Del suo candor la rugiadosa luna. 39/16 39/18 UNGE Che all’opre di sua man la notte aggiunge La mente, ed uno spron quasi mi punge Sì che, sedendo, più che mai son lunge 16/64 23/119 23/120 UNGHI Quei sospirati dì, quando per lunghi 32/138 UNGI Pubblico stato, alieni in tutto e lungi Di comun reggimento, o presso o lungi 32/71 32/93 UNGO Dispensator de’ casi. E tu cui lungo Nel tempo giovanil, quando ancor lungo Di quella dolce somiglianza un lungo 9/58 14/13 29/87 UNICA Siete pur voi quell’unica 20/89 UNNI E di tuo seme i generosi alunni 8/72 UNNO Cui là nel tardo autunno 34/203 UNO Pari mai sempre ad uno Che conforto nessuno In terra amico agl’infelici alcuno Ch’amico in terra al lungo andar nessuno Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno La vita all’uom non ha pregio nessuno, Vive tra noi: quest’uno, Movesti in me; né verrà tempo alcuno Che, desolate, a bruno E non la terra sol, ma tutte in uno, Ha questa luna in ciel, che da nessuno 2/161 2/165 16/21 17/8 17/131 19/17 26/77 29/66 34/159 34/178 37/28 UNQUE E di giustizia amor, sempre in qualunque L’inclita schiatta, e non varrà, quantunque Così natura ogni opra sua, quantunque 32/70 32/105 32/161 UNSE Face del ver consunse Aranitica valle, amor ti punse L’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse 7/13 8/82 18/30 100 UNTI Della cadente luna; e tu che spunti 9/2 UNTO Ecco svaniro a un punto, Il vero appena è giunto, Comparando, fuggir che mai d’un punto E poi che gli occhi a quelle luci appunto, Ch’a lor sembrano un punto, Essi alla terra, un punto Qual da vecchiezza è giunto Del pelago rapisce; altri consunto 3/97 3/101 32/223 34/167 34/168 34/182 40/20 40/23 UPE Fra la tacita selva in su la rupe, 9/3 UPO E se appressar lo vede, o se nel cupo 34/258 UPPE Quando il rozzo paterno acciar ti ruppe 4/82 URA Cresca, se crescer può, nostra sciaura, Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura. Bench’infinita sia vostra sciagura, Avrete in questa o nell’età futura. Dunque all’Italia il cielo; ancor si cura Rugginosa dell’itala natura, I vetusti divini, a cui natura In sonno eterno! Allora anco immatura Se, fuor che di se stesso, altri non cura? Né livor più, ma ben di lui più dura Questa sovr’ogni cura, Sarete detti nell’età futura: Bosco mormorerà fra le alte mura; Non isgombrano i fati, e la matura A spezzar le romane inclite mura Turbò nostra sciagura, Né scolorò le stelle umana cura. Poiché voi, cittadine infauste mura, Ombra seguendo, e resta, e si spaura Nella vita infelice avea natura Il fato e la sventura; Non con la vista impura Alta, gentile e pura La sorte, la natura, E tornami a doler di mia sventura. O natura, o natura, Che la fama e l’allor, più che la pura 2/83 2/85 2/163 2/166 3/21 3/25 3/53 3/57 3/143 3/147 4/23 4/27 5/46 5/49 6/8 6/104 6/105 16/11 16/89 19/31 20/114 20/115 20/154 20/155 21/35 21/36 22/45 101 Raggi del dì; queste dipinte mura, Se la vita è sventura, Perché da noi si dura? Sogno e palese error. Ma di natura, Che incontro al ver tenacemente dura, Forse gli occhi spaura Felicità che il suo pensier figura: Che già mugghiando, intorno intorno oscura. E fulmina nel cor l’invitta cura, Che per certo futura Il vivere è sventura, Al mortale il mortal? Ma da natura Che nostro male o nostro ben si cura. Come nulla quaggiù dispiace e dura. Quale un fanciullo, con assidua cura, Il concorde sentir! Con quanta cura I propri affetti tuoi. Di lor non cura Ove s’appoggia la mortal natura. Abbandonata, oscura Della terribil morte assai più dura. Che l’altre etadi oscura, Segno poser gli Dei la sepoltura. È il gener nostro in cura Qui con giusta misura Contro l’empia natura Son le sepolte, e le prostrate mura Dell’uom più stima o cura Dilettevol quaggiù null’altro dura, Ecco turbar la notte, e farsi oscura E il piacere in colei farsi paura. Nostro cieco pensier s’affanna e cura, Come destina il ciel nostra ventura, Di giorno in giorno dura. Umana cosa picciol tempo dura, Conforme ebber natura 22/62 23/55 23/56 26/111 26/114 27/34 27/39 27/44 27/47 30/67 30/83 30/107 30/109 32/25 32/154 32/220 32/232 33/26 33/27 33/43 33/67 33/68 34/40 34/42 34/148 34/229 34/232 39/26 39/28 39/30 40/6 40/8 40/9 41/1 41/4 URBO Chi dirà l’onda e il turbo 2/54 URE Qual maggior grazia mai delle tue cure Più di questa giammai l’età future. 17/32 32/189 URI Fama del vostro vate appo i futuri Tanto durar quanto la vostra duri. Pensosa immaginò. Che se gl’impuri Ancor che triste, e che l’affanno duri! E cangiar con gli oscuri Silenzi della tomba i dì futuri, Subbietti insegna ai secoli futuri 1/138 1/140 7/47 14/16 30/39 30/40 32/212 102 Eletta agli aurei dì: né ti spauri 32/273 URNO D’ignoti abitatori, o del diurno Della giovane Aurora, e del notturno 3/93 3/95 URO Correste al passo lacrimoso e duro? Ma v’attendea lo scuro Non siam periti? A voi forse il futuro Né schermo alcuno ho dal dolor, che scuro Tuttora il sen: che la vergogna il duro Al cielo, a voi, gentili anime, io giuro Ch’arsi di foco intaminato e puro. E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro Però, se fame non la sforza: il duro Dell’età ch’or si volge! E che sicuro Favoleggiar ti piacque, in questo oscuro Europa, e il mondo poserà sicuro. Ch’io n’agghiacciava; e ancor non m’assicuro. 1/93 1/96 3/33 3/35 10/95 10/97 10/99 11/54 22/85 32/56 32/209 34/190 32/270 37/20 URRO In purissimo azzurro 34/162 URRI Di quel lontano mar, quei monti azzurri, 22/21 URVO Nostre querele al curvo 7/68 USA Numi e l’averno accusa, Virile alma ricusa, Riede natura, e il non suo dardo accusa? Non benedir, com’usa Sovra nitide pelli, e circonfusa Piacqueti che delusa Del gioco reo, la cui ragion gli è chiusa Notte e ruina, infusa 6/13 6/59 6/60 27/115 29/19 30/58 32/166 34/216 USE Cui grave amor, cui duro fato escluse Lido aspergea, confuse 7/64 34/224 USI Sorgea la dolce imago, e gli occhi chiusi Oh come soavissimi diffusi Mille nell’alma instabili, confusi 10/26 10/28 10/30 USO 103 Di giovanezza, e disfiorato, al fuso Impallidir; come tremar son uso Opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso 9/42 17/137 32/127 USTRE Rosseggerà del villanello industre, Ozioso nomar. La schiera industre 6/96 19/12 UTA Nome di giovanezza e la perduta I perduti desiri, e la perduta 15/78 18/39 UTE L’ira de’ greci petti e la virtute. La fuga i carri e le tende cadute, 1/108 1/111 UTI Al travagliarne il cor. Così de’ bruti 19/37 UTO Torna torna fra noi, sorgi dal muto Me spesso rivedrai solingo e muto 3/136 16/104 UTRI Che per uccider partorisci e nutri, 30/47 UTTA Grave retaggio e faticoso? È tutta, Lei non cancellerà, non Anglia tutta Italia crescerà, crescerà tutta 19/7 32/83 32/268 UTTE Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte, Di poetar maestro, anzi di tutte 6/71 32/228 UTTI Felicità richiede, esso da tutti Di poesia canuto amante. Io tutti D’ogni mio vago immaginar, di tutti Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti, 19/59 19/121 22/171 34/59 UTTO Qualche speranza? In tutto Conoscer non si toglie. Io son distrutto Scese, e nullo il seguì, che l’ozio e il brutto Silenzio or preme ai nostri innanzi a tutto. Su i nubiferi gioghi equoreo flutto Leggi del cielo e di natura indutto E per li campi trepidanti il flutto Move arcano consiglio. Arcano è tutto, Non ti dorrai; che di natura è frutto 3/32 3/34 3/164 3/165 8/58 8/100 9/10 9/46 11/48 104 Mero desio; non ha la vita un frutto, Sento serrarmi il cor, sento ch’al tutto Il perché delle cose, e vedi il frutto Uso alcuno, alcun frutto Giovinetta immortal, conosci il tutto. Gioia vana ch’è frutto Se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto; Pose a tanto patir senz’altro frutto; Te, la natura, il brutto E l’infinita vanità del tutto. Più che virili, in chi dell’uomo al tutto Da’ comuni negozi, ovvero in tutto È di cotanto favellare il frutto; Dove ogni ben di mille pene è frutto, Annichilare in tutto. E qual da morbi al bruno Lete addutto; Questo il rigido Marte, e quello il flutto 22/83 22/93 23/70 23/97 23/99 24/33 26/81 26/84 28/14 28/16 29/57 32/72 32/276 33/37 34/48 40/21 40/22