LENI RIEFENSTAHL_ NASCOSE DI ESSERE EBREA E DIVENTO

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Il sogno di Leni Riefenstahl un
corpo perfetto senza colore
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di Antonio Angeli Guardando alcune immagini dei film di propaganda nazisti degli anni Trenta si può essere colti
da un improvviso e doloroso senso di smarrimento. Quelle immagini piacciono, sono...
Guardando alcune immagini dei film di
propaganda nazisti degli anni Trenta si può
essere colti da un improvviso e doloroso senso di
smarrimento. Quelle immagini piacciono, sono
belle, «bucano lo schermo», come dicono i guru
della comunicazione. E un sentimento del
genere, rammentando l’atroce sacrificio che è
costato e ancora costa al genere umano, quel
regime, non può che turbare. Questo è quanto è
accaduto a un giovane scrittore francese, Lilian
Auzas, studioso di arte e di tradizioni africane, il
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quale ha voluto indagare a fondo sulla natura,
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sulla tecnica e, soprattutto sull’autrice di queste
immagini. La ricerca lunga, complessa, difficile
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per una persona che ha poco più di trent’anni,
nata nell’era dei computer, di Internet e del
«politically correct» ha portato a un risultato interessante: la stesura del romanzo biografico
«Riefenstahl», dedicato ad una delle figure più controverse e affascinanti del Novecento, Leni
Riefensthal: ballerina, attrice, fotografa, la «cineasta di Hitler», come fu definita negli anni Trenta.
Appellativo che le è rimasto «appiccicato» per tutta la sua lunga, lunghissima vita. La Riefenstahl,
nata a Berlino classe 1902, si spense, ultracentenaria, l’otto settembre del 2003.
In questi giorni, nei quali cade il decimo anniversario della scomparsa, sono diversi, con saggi,
romanzi, documentari e proiezione di sue opere, gli studiosi che si interrogano sulla sua figura. E
ora che la Riefenstahl è morta e sepolta, come il regime per il quale lavorò, che di molto,
fortunatamente, l’ha preceduta nella tomba, è possibile iniziare a tracciare un profilo storicamente
coerente della regista e fotografa. Estremamente interessante la tesi che emerge dal libro di Auzas,
che per convenzione definiamo romanzo, ma che sfugge a ogni possibile classificazione, essendo
un «diario personale» della Riefenstahl stessa, di assoluto rigore storico, ma con una serie di
coerenti inserimenti dell’autore sulla psicologia della protagonista. La Riefenstahl fu certamente
nazista e quando saluta alzando il braccio e scandendo Heil Hitler lo fa con convinzione. Ma è
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anche vero che, ci fa notare l’autore, osservando foto e filmati che la mostrano vicino al «suo»
Führer, si può capire quanto fosse ambiguo questo rapporto. Mentre il dittatore parla, o si atteggia
con espressioni severe e lei lo osserva, o lo filma o, in pose scomodissime, schiacciata al suolo o
arrampicata su un traliccio suggerisce l’inquadratura al cameraman, ecco, in questi momenti si
capisce che ci sono un burattino e un burattinaio. Ma il burattinaio non è Hitler. Ma lei, Leni.
La Riefenstahl, amica personale del Führer, guardata prima con disprezzo, poi con timore e
diffidenza dagli altri gerarchi, primo tra tutti il potentissimo ministro della propaganda Goebbels,
aveva una visione geniale del cinema. E grazie a questa si conquistò spazio e autonomia riuscendo
a realizzare un capolavoro assoluto come «Olympia», il film sulle Olimpiadi di Berlino del 1936. Un
«film di propaganda», girato con tecniche innovative e proiettato verso il futuro, nel quale Hitler è
tutt’altro che il protagonista. In primo piano, in quel film, c’è il corpo umano, si concretizza in modo
perfetto la visione antropocentrica e illuminista della Riefenstahl, che già aveva espresso nella sua
attività di ballerina e attrice e che tornerà a manifestare, intatta, nei reportage fotografici sui popoli
africani negli anni Settanta. La «fede» e il sogno della Riefenstahl fu il corpo umano: un corpo
perfetto oltre ogni razza e colore.
Antonio Angeli
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Post n°6206 pubblicato il 18 Settembre 2013 da romolor
Tag: ADOLF HITLER, Leni Riefenstahl, Nazionalsocialismo
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E' stato appena pubblicato in Italia il volume "Riefenstahl"
ad opera di Lilian Auzas (Lione, 1984), biografia
aggiornata della grande regista tedesca nata a Berlino il
22-8-1902 e morta più che centenaria nella notte tra l'8-9
settembre del 2003.
La biografia è in gran parte "assolutoria" rispetto
all'adesione al nazionalsocialismo dell'artista.
Ella fu "suo malgrado" l'autrice di film -capolavoro che
esaltavano il regime di Hitler , ma non era a conoscenza delle "infamie" messe in
atto dal dittatore e dai suoi seguaci. O meglio, venutane al corrente "in ritardo",
negava a sé stessa che il Fuhrer potesse essere un uomo abietto.
A sostegno di queste tesi, la sua "simpatia" per gli ebrei e contro qualsiasi
discriminazione : consultò anche dopo le persecuzioni il suo medico generico
(ebreo). Andava a spasso con Hubert Stonhas, pittore omosessuale. Nel film
capolavoro Olympia, Leni rifiutò di tagliare gli exploit sportivi di Jesse Owens,
atleta americano di colore che nel 1936 a Berlino vinse ben quattro medaglie
d'oro.
Secondo il libro ciò potrebbe essere anche perché la regista si sentiva "non in
regola" : avrebbe falsificato il suo albero genealogico perché ebrea al 25 per
cento.
Il volume è scorrevole, i capitoli brevi ed esso non vorrebbe costituire
un'apologia del nazismo né una biografia edulcorata, ma ristabilire il valore
artistico e a volte anche umano della donna, pur non assolvendo sempre la
Riefenstahl dei suoi errori.
D'altronde, in un processo subito nel 1949, Leni Riefenstahl fu definita
"Mitlauferin " ("seguace") delle teorie di Hitler e non Schuldigerin (colpevole).
Anche se questa "denazificazione" non servì a ridarle la reputazione, ormai finita
alle ortiche .
Leggermente strabica, Leni Riefenstahl frequentò l'accademia di Berlino (sezione
disegno) e divenne l'amante di Eugen Spiro, pittore (1874-1972), di origini
ebraiche
anche lui longevo: se Leni visse fino ai 101, Spiro ...spirò a 98 anni.
"Donna nitetzschana, bipolare, apollinea e dionisiaca", la Riefenstahl volle
fortemente diventare una ballerina. Ma un incidente a Praga ne compromise la
carriera.
Folgorata dal film di Arnold Franck La Montagna del Destino , ispirò al cineasta la
figura della musa Diotima del poeta Holderlin per il suo nuovo film La Montagna
Sacra. Hitler ammirò la danza di Leni in detto film, ma l'interpretazione
dell'attrice fu stroncata dal più grande critico cinematografico della Germania
dell'epoca, il quale la definì "capra belante". Tale definizione ispirò a Franck,
evidentemente un genio, il personaggio di guardiana delle capre per Leni in "Il
Grande Salto".
Si trattava anche in questo caso di quel genere cinematografico definito "film di
montagna".
Fortemente coinvolta negli aspetti tecnici dei suoi film, la Riefenstahl a 29 anni
divenne capo della L.R. Studio-Film Gmb-H, dirigendo la pellicola La Bella
Maledetta, che le valse il plauso di Chaplin, Fairbanks e di Papa XI.
Adolf Hitler, colpito dalle caratteristiche del film, che esaltava alcuni aspetti della
natura cristallizzandoli in immagini -capolavoro, la contatta per dirigere dei film di
propaganda, come La Vittoria della Fede e in seguito Il Trionfo della Volontà. Béla
Balecs, un suo sceneggiatore, non vide mai una royalty per Bella Maledetta e
dall'estero peresguitò la regista, la quale fu dunque "convinta" da Hitler a
scrivere un biglietto speregevole contro l'ex collaboratore. Cotui allora, dopo
averne scritto malissimo, attribuendole relazioni false con Hitler e altri personaggi
importanti del regime, fu il vero inventore di un'iconografia fortemente
dispregiativa, salvo in seguto definirla comunque una grande regista. Tanto bastò
a Leni per "perdonarlo". Anche altri personaggi come Goebbels , ministro della
Propaganda, esercitavano le regole della persecuzione antisemita in maniera
ambigua. Infatti proprio Goebbels faceva "gli occhi dolci al regista ebreo Fritz
Lang", al fine di volerlo utilizzare per i propri scopi, con la frase "Sono io a
decidere chi è ebreo e chi no".
La Riefenstahl, dopo avere criticato gli ebrei durante la promozione di "Olympia",
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iniziò ad essere considerata, più che una grande regista ,"un geniale tecnico del
cinema". E riuscì a vincere la Coppa della Mostra del Cinema di Venezia ,
battendo capolavori come Biancaneve e i Sette Nani di Walt Disney (tra l'altro,
ammiratore della sua arte e simpatizzante nazista) e "Il Porto delle Nebbie",
Fallita la sua aspirazione di girare un film su Pentesilea di Kleist, la Riefenstahl si
innamorò leggendo Hemingway delle "verdi colline d'Africa" e approdò in quel
continente ormai anziana per filmare e fotografare il nobile popolo dei nuba
(Sudan).
Sessualmente la regista era esigente: cercava negli uomini qualcosa di femminile,
passivo, però "maschi al tempo stesso". Trovò tutto ciò nel bellissimo e
giovanissimo amante Hornst Kettner, che divenne oltre che il suo convivente , il
suo più fidato assistente e operatore fino alla morte. Dagli anni Settanta in poi, ci
fu una certa "riabilitazione artistica" della Riefenstahl, principalmente ad opera di
alcuni personaggi dello show biz come Mick Jagger, del quale è celebre una foto
scattata dall'ormai ex regista, ora anche fotografa cult.
Abile falsificatrice di documenti, come già detto, Leni "corregge" la sua data di
nascita a 72 anni, "diventando" una cinquantaduenne.
Può così prendere il brevetto per le immersioni subacquee, sua nuova passione.
Del nazismo, intervistata in tempi recenti, ha sempre detto: non conoscevo
l'esistenza dei campi di sterminio. Non sapevo che gli zingarelli usati come attori
nel mio film Tiefland furono dopo le riprese deportati e uccisi nelle camere a gas".
Centenaria, Leni indossa civettuola un abito blu, il colore degli artisti, con degli
inserti rossi, il colore della passione. E riceve in casa giornalisti e fotografi in una
rinnovata popolarità. Il suo ultimo documentario è Impressioni sott'acqua, del
2002, un anno prima della morte.
ROMOLO RICAPITO
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Leni Riefenstahl, a dieci anni dalla morte una biografia riabilita la geniale regista di “Olympia” | Secolo d'Italia
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Leni Riefenstahl, a dieci anni dalla morte una biografia
riabilita la geniale regista di “Olympia”
di Annalisa Terranova / sab 21 settembre 2013 / 12:00
LA FRASE DEL GIORNO
«Occorre evitare che un'azienda
stretegica come Alitalia si
trasformi in un vettore regionale.
È pertanto indispensabile
conoscere il piano industriale
per avere una visione chiara di
quello che può essere il futuro
della compagnia aerea italiana».
— Cit. Giovanni Centrella
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CULTURA
Un libro a metà tra ricostruzione storiografica e romanzo
ricorda la grande regista tedesca Leni Riefenstahl a dieci anni
dalla morte (avvenuta il 9 settembre del 2003). Firmata da Lilian
Auzas, la biografia (Riefenstahl, Elliot, pp. 220, euro 18,50)
“assolve” le simpatie politiche della protagonista e salva
l’artista la cui reputazione nel dopoguerra era ormai
irrimediabilmente compromessa. Di recente anche un altro
libro, Marlene e Leni (Feltrinelli), di Gian Enrico Rusconi, aveva
messo a fuoco il ruolo della Riefensthal nella Germania degli
anni Trenta, affiancandola alla “rivale” Marlene Dietrich.
L’amore per il teatro e per il dramma è stato una costante nella
vita di Leni Riefenstahl. Lei stessa lo confessa nelle
sue Memorie, pubblicate nel 1987 (quindici anni prima della
morte), pagine sulle quali ha faticato cinque anni, rimettendo
ordine e forma in un’esistenza che si presenta come una
sceneggiatura drammatica, con picchi di tragedia su cui a
lungo resteranno accesi i riflettori della storia. Autrice di
capolavori che costituiscono pietre miliari della storia del
cinema, bollata nel dopoguerra come “la regista di Hitler”,
dotata di una straordinaria forza di carattere che l’ha indotta a
imbarcarsi in più di un’avventura difficile, un po’ diva
capricciosa e un po’ amazzone emancipata incurante dei
pregiudizi, tedesca in modo irrinunciabile e al tempo stesso
cosmopolita e affascinata dal viaggio come scoperta, capace
come nessun altro di costruire un’estetica dell’immagine in
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Leni Riefenstahl, a dieci anni dalla morte una biografia riabilita la geniale regista di “Olympia” | Secolo d'Italia
movimento, Leni Riefenstahl resta alla fine, per chi legge la sua
autobiografia, inafferrabile e sfuggente, come se solo a lei
spettasse l’onere e l’onore di squarciare il velo sul vero
copione, sul personaggio reale, sulla “bella maledetta” (titolo
del primo film da lei diretto, di cui era anche interprete).
Il 26 settembre di quarant’anni fa
moriva in una clinica romana Anna
Magnani. Aveva 65 anni ed è
stata la prima attrice italiana a
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26/09/13 14:16
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del 2014. La grande paura della
Gauche
La prima passione è per la danza: si iscrive al corso per
principianti a sedici anni, ma saranno i “film di montagna” di
Arnold Fanck a fare di lei una vera e propria diva del cinema.
Nel primo di essi, La Montagna dell’amore, Leni ripropone la
sua danza: sequenze da cui Hitler si dichiarò in seguito
letteralmente affascinato. La montagna resterà sempre per Leni
il rifugio ideale dove dimenticare ansie, disavventure e
dispiaceri. Un archetipo del “luogo sublime” secondo la
definizione del filosofo Remo Bodei: “Lo sguardo dall’alto
sull’abisso ricorda il mistero insondabile dell’esistenza; il
sentirsi sospesi tra terra e cielo; la lontananza dai miasmi della
vita sociale e dalle meschinità quotidiane”.
Curaro
di Nello Gatta
Fare cultura
Lunga vita ai ribelli
di Enrico Marino
La riforma impossibile
Poco soddisfatta delle sue performance di attrice, si dedica al
progetto di realizzare un film tutto suo. “Sentivo l’urgenza di
creare qualcosa di totalmente mio. Cominciai allora a sognare e
dai miei sogni nascevano immagini; fra le nebbie dell’indistinto
riconobbi il sembiante di una giovane che viveva tra le
montagne, una figlia della natura”. La giovane sarà appunto
Junta, la protagonista della Bella maledetta (Das blaue Licht,
1932), la “strega” perseguitata dall’odio delle donne e dalla
bramosia degli uomini che si arrampica al chiaro di luna verso
una grotta di cristalli che emana una misteriosa luce blu. In
quello stesso anno si colloca il primo incontro con Hitler,
sollecitato dalla stessa Riefenstahl, che pure non era iscritta
allo Nsdap e mai ne avrebbe preso la tessera. Il motivo? La
curiosità, a detta dell’artista, che riferisce di un colloquio
privato in un’atmosfera colloquiale, in cui il capo del nazismo
avrebbe avuto tempo per corteggiarla e per parlarle del suo
amore per la pittura e in cui lei gli avrebbe rivelato i dubbi che
nutriva sui suoi pregiudizi razziali. Il Führer le avrebbe detto:
“Quando saremo al potere, lei realizzerà i miei film”. Anni dopo,
per giustificarsi, spiegherà: “Ripudiavo senza riserve il suo
razzismo, ma approvavo totalmente i suoi progetti socialisti. In
molti credevamo che il suo razzismo avesse soltanto valore
teorico, di pura propaganda…”. Ma al di là dell’aspetto politico
di quel rapporto, fiorì subito la leggenda di una relazione tra la
regista e Hitler, un gossip che nel dopoguerra fu usato come
arma di condanna (nelle false memorie di Eva Braun venne
scritto che Leni danzava nuda per il Führer mentre l’amante
ufficiale lo attendeva in camera) anche se i tribunali, cui l’artista
si rivolse per difendersi dalle diffamazioni, hanno sempre
riconosciuto l’infondatezza di tali accuse.
La natura sulfurea del nazionalsocialismo per Leni è invece
tutta racchiusa nella figura di Joseph Goebbels, “una specie di
redivivo Mefistofele”, “una persona pericolosa”, un uomo
“volgare” e di “cattivo gusto”, un corteggiatore insistente che
lei avrebbe più volte respinto e umiliato e che l’avrebbe
ricambiata boicottando il suo lavoro per tutta la durata del
Terzo Reich. Nei diari del ministro della Propaganda, del resto,
non si leggono molti complimenti per Leni Riefenstahl, più volte
definita un’isterica, una donna impossibile e che non si piega
agli ordini.
Dal sodalizio con Hitler, un po’ subìto e un po’ cercato,
sicuramente mai rinnegato del tutto dall’artista, nasce nel
1934 Il Trionfo della volontà, il film sul congresso del partito
nazionalsocialista a Norimberga, eccezionale documento sul
regime dell’epoca con un registro narrativo singolare: le
immagini e il sonoro (Wagner unito a canti nazisti e marce
militari) sono infatti autosufficienti e non c’è bisogno di nessun
commento. La città che si risveglia, la folla festante, i
monumenti, le donne che sorridono sono rappresentati
attraverso il “punto di vista” di Hitler. L’utilizzo di moderne
tecnologie per supportare l’apparato rituale e simbolico del film
che celebra la fusione quasi mistica di un popolo con il capo
indiscusso attraverso una sinfonia di emozioni sapientemente
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Leni Riefenstahl, a dieci anni dalla morte una biografia riabilita la geniale regista di “Olympia” | Secolo d'Italia
dosata nel gioco di riprese e primi piani, rende la pellicola un
potente strumento di coinvolgimento dello spettatore nella
“visione” del Terzo Reich, un elemento che non fu mai
perdonato a Leni Riefenstahl la quale, a sua volta, non ha mai
rinnegato il suo film. In occasione del suo novantesimo
compleanno, nel 1992, spiegava che il suo lavoro era stato in
fondo quello, fortunato e terribile, di una testimone della
seduzione collettiva esercitata dal nazionalsocialismo: “Ho solo
spiegato come mai milioni di tedeschi hanno creduto in lui”.
L’impatto del documentario celebrativo del Reich fu enorme e
colpì anche Benito Mussolini, che propose all’artista di
realizzare un film sulla bonifica delle paludi pontine ricevendo
un cortese diniego: “La ringrazio per la fiducia, eccellenza, ma
sto preparando un film sulle Olimpiadi di Berlino e temo che
questo lavoro mi terrà occupata per almeno due anni”.
I Giochi olimpici si svolsero dal 2 al 16 agosto 1936 e furono
protagonisti del capolavoro di Leni Riefenstahl, Olympia, girato
con l’aiuto di quaranta operatori e una cinquantina di assistenti.
La sfida di rappresentare in una fusione di immagini armoniche
la competizione e la bellezza dei corpi, la volontà di vittoria, la
tensione della prova, l’entusiasmo del pubblico, l’intenzione
dell’atleta di superare se stesso fu ampiamente vinta dalla
regista con una serie di innovazioni soprendenti: mise a punto
un dispositivo equivalente al moderno zoom per adeguarsi alla
rapidità degli spostamenti, fece scavare trincee nello stadio per
riprendere le gare dal basso, grazie a un carrello verticale
subacqueo gli operatori potevano riprendere i tuffi seguendo
l’evoluzione in aria e l’immersione nella piscina, per le riprese
aeree legò le macchine da presa a un pallone librato in aria
offrendo ricompense a chi avesse restituito il materiale filmato,
cosa che puntualmente avvenne, e ancora piccole cineprese
vennero fissate alle selle degli atleti per riprendere le gare di
equitazione. Giustamente celebri le sequenze della maratona,
dove si traduce in immagini, con l’aiuto della colonna sonora di
Herbert Windt, la volontà di andare avanti a dispetto della
stanchezza del corpo.
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Leni Riefenstahl e la lunga amicizia con Hitler - Paperblog
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Leni Riefenstahl e la lunga amicizia
con Hitler
Creato il 22 settembre 2013 da Sulromanzo
Autore: Elena SpadilieroDom, 22/09/2013 - 14:30
Ricordando le donne di Hitler, il primo pensiero è immancabilmente rivolto
ad Eva Braun, sua storica amante. Eppure c'è un altro nome a lungo
associato al Führer: Leni Riefenstahl, regista e fotografa, autrice di film
che esaltavano l'ideologia nazista. A provare una ricostruzione della
biografia di questa controversa artista è Lilian Auzas, in questi giorni in
libreria con Riefenstahl (edizioni elliot).
Nel tentativo di tracciare la vita della Riefenstahl (morta a 101 anni, nel
2003), Auzas pone al centro del suo lavoro un quesito: Leni ha
appoggiato in pieno le teorie naziste o, preda dell'ambizione, ha finto
di non vedere le atrocità compiute, soprattutto quelle in nome della
razza ariana? È certo che la Riefenstahl sia un caso che, da sempre, ha
suscitato l'interesse per la sua compromissione col regime e, nonostante
tutto, la successiva capacità di sopravvivergli; c'è anche chi s'interroga
sulla sua dimensione soggettiva – divisa da quella ideologica –, che
presentava una donna anticonformista, lontana, secondo gli studiosi, dal
modello tipico di femmina nazista.
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Leni nacque come ballerina e, in seguito a un infortunio, appena
ventinovenne, seppe reinventarsi nelle vesti di regista e fotografa. Realizzò
dei documentari in sostegno del Terzo Reich e divenne molto amica di
Hitler. Eppure, nella lunga serie di processi che l'hanno vista imputata
a causa della sua vicinanza al potere, Leni è sempre stata scagionata:
la sua attività è stata concepita da alcuni come una serie di commissioni
«commerciali finalizzate all'esecuzione di progetti artistici», da altri come
l'azione di una donna astuta, capace di adattarsi ai tempi. A chi l'accusava
di essere filonazista, ella rispose: «Sono un'artista fino alla punta dei
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Leni Riefenstahl e la lunga amicizia con Hitler - Paperblog
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capelli, è questo essere Leni!». Certo è che Auzas, il quale si è avvicinato
alla Riefenstahl grazie alla comune passione per l'arte africana, con il suo
libro permette una riflessione più approfondita su di lei, gettando uno
sguardo più intimo e personale alla sua carriera.
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CASAGGì FIRENZE - CENTRO SOCIALE DI DESTRA: Leni Riefenstahl, a dieci …alla morte una biografia riabilita la geniale regista di “Olympia”...
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sabato 21 settembre 2013
Leni Riefenstahl, a dieci anni dalla morte una biografia
riabilita la geniale regista di “Olympia”...
di Annalisa Terranova (Secolo d'Italia)
Un libro a metà tra ricostruzione storiografica e romanzo ricorda la grande regista tedesca
Leni Riefenstahl a dieci anni dalla morte (avvenuta il 9 settembre del 2003). Firmata da
Lilian Auzas, la biografia (Riefenstahl, Elliot, pp. 220, euro 18,50) “assolve” le simpatie
politiche della protagonista e salva l’artista la cui reputazione nel dopoguerra era ormai
irrimediabilmente compromessa. Di recente anche un altro libro, Marlene e Leni
(Feltrinelli), di Gian Enrico Rusconi, aveva messo a fuoco il ruolo della Riefensthal nella
Germania degli anni Trenta, affiancandola alla “rivale” Marlene Dietrich.
L’amore per il teatro e per il dramma è stato una costante nella vita di Leni Riefenstahl.
Lei stessa lo confessa nelle sue Memorie, pubblicate nel 1987 (quindici anni prima della
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morte), pagine sulle quali ha faticato cinque anni, rimettendo ordine e forma in
un’esistenza che si presenta come una sceneggiatura drammatica, con picchi di tragedia
su cui a lungo resteranno accesi i riflettori della storia. Autrice di capolavori che
costituiscono pietre miliari della storia del cinema, bollata nel dopoguerra come “la
regista di Hitler”, dotata di una straordinaria forza di carattere che l’ha indotta a
imbarcarsi in più di un’avventura difficile, un po’ diva capricciosa e un po’ amazzone
emancipata incurante dei pregiudizi, tedesca in modo irrinunciabile e al tempo stesso
cosmopolita e affascinata dal viaggio come scoperta, capace come nessun altro di
costruire un’estetica dell’immagine in movimento, Leni Riefenstahl resta alla fine, per chi
legge la sua autobiografia, inafferrabile e sfuggente, come se solo a lei spettasse l’onere
e l’onore di squarciare il velo sul vero copione, sul personaggio reale, sulla “bella
maledetta” (titolo del primo film da lei diretto, di cui era anche interprete).
La prima passione è per la danza: si iscrive al corso per principianti a sedici anni, ma
saranno i “film di montagna” di Arnold Fanck a fare di lei una vera e propria diva del
cinema. Nel primo di essi, La Montagna dell’amore, Leni ripropone la sua danza: sequenze
da cui Hitler si dichiarò in seguito letteralmente affascinato. La montagna resterà sempre
per Leni il rifugio ideale dove dimenticare ansie, disavventure e dispiaceri. Un archetipo
del “luogo sublime” secondo la definizione del filosofo Remo Bodei: “Lo sguardo dall’alto
sull’abisso ricorda il mistero insondabile dell’esistenza; il sentirsi sospesi tra terra e cielo;
la lontananza dai miasmi della vita sociale e dalle meschinità quotidiane”.
Poco soddisfatta delle sue performance di attrice, si dedica al progetto di realizzare un
film tutto suo. “Sentivo l’urgenza di creare qualcosa di totalmente mio. Cominciai allora a
sognare e dai miei sogni nascevano immagini; fra le nebbie dell’indistinto riconobbi il
sembiante di una giovane che viveva tra le montagne, una figlia della natura”. La giovane
sarà appunto Junta, la protagonista della Bella maledetta (Das blaue Licht, 1932), la
“strega” perseguitata dall’odio delle donne e dalla bramosia degli uomini che si arrampica
al chiaro di luna verso una grotta di cristalli che emana una misteriosa luce blu. In quello
stesso anno si colloca il primo incontro con Hitler, sollecitato dalla stessa Riefenstahl, che
pure non era iscritta allo Nsdap e mai ne avrebbe preso la tessera. Il motivo? La curiosità,
a detta dell’artista, che riferisce di un colloquio privato in un’atmosfera colloquiale, in
cui il capo del nazismo avrebbe avuto tempo per corteggiarla e per parlarle del suo amore
per la pittura e in cui lei gli avrebbe rivelato i dubbi che nutriva sui suoi pregiudizi
razziali. Il Führer le avrebbe detto: “Quando saremo al potere, lei realizzerà i miei film”.
Anni dopo, per giustificarsi, spiegherà: “Ripudiavo senza riserve il suo razzismo, ma
approvavo totalmente i suoi progetti socialisti. In molti credevamo che il suo razzismo
avesse soltanto valore teorico, di pura propaganda…”. Ma al di là dell’aspetto politico di
quel rapporto, fiorì subito la leggenda di una relazione tra la regista e Hitler, un gossip
che nel dopoguerra fu usato come arma di condanna (nelle false memorie di Eva Braun
venne scritto che Leni danzava nuda per il Führer mentre l’amante ufficiale lo attendeva
in camera) anche se i tribunali, cui l’artista si rivolse per difendersi dalle diffamazioni,
hanno sempre riconosciuto l’infondatezza di tali accuse.
La natura sulfurea del nazionalsocialismo per Leni è invece tutta racchiusa nella figura di
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Joseph Goebbels, “una specie di redivivo Mefistofele”, “una persona pericolosa”, un uomo
“volgare” e di “cattivo gusto”, un corteggiatore insistente che lei avrebbe più volte
respinto e umiliato e che l’avrebbe ricambiata boicottando il suo lavoro per tutta la
durata del Terzo Reich. Nei diari del ministro della Propaganda, del resto, non si leggono
molti complimenti per Leni Riefenstahl, più volte definita un’isterica, una donna
impossibile e che non si piega agli ordini.
Dal sodalizio con Hitler, un po’ subìto e un po’ cercato, sicuramente mai rinnegato del
tutto dall’artista, nasce nel 1934 Il Trionfo della volontà, il film sul congresso del partito
nazionalsocialista a Norimberga, eccezionale documento sul regime dell’epoca con un
registro narrativo singolare: le immagini e il sonoro (Wagner unito a canti nazisti e marce
militari) sono infatti autosufficienti e non c’è bisogno di nessun commento. La città che si
risveglia, la folla festante, i monumenti, le donne che sorridono sono rappresentati
attraverso il “punto di vista” di Hitler. L’utilizzo di moderne tecnologie per supportare
l’apparato rituale e simbolico del film che celebra la fusione quasi mistica di un popolo
con il capo indiscusso attraverso una sinfonia di emozioni sapientemente dosata nel gioco
di riprese e primi piani, rende la pellicola un potente strumento di coinvolgimento dello
spettatore nella “visione” del Terzo Reich, un elemento che non fu mai perdonato a Leni
Riefenstahl la quale, a sua volta, non ha mai rinnegato il suo film. In occasione del suo
novantesimo compleanno, nel 1992, spiegava che il suo lavoro era stato in fondo quello,
fortunato e terribile, di una testimone della seduzione collettiva esercitata dal
nazionalsocialismo: “Ho solo spiegato come mai milioni di tedeschi hanno creduto in lui”.
L’impatto del documentario celebrativo del Reich fu enorme e colpì anche Benito
Mussolini, che propose all’artista di realizzare un film sulla bonifica delle paludi pontine
ricevendo un cortese diniego: “La ringrazio per la fiducia, eccellenza, ma sto preparando
un film sulle Olimpiadi di Berlino e temo che questo lavoro mi terrà occupata per almeno
due anni”.
I Giochi olimpici si svolsero dal 2 al 16 agosto 1936 e furono protagonisti del capolavoro di
Leni Riefenstahl, Olympia, girato con l’aiuto di quaranta operatori e una cinquantina di
assistenti. La sfida di rappresentare in una fusione di immagini armoniche la competizione
e la bellezza dei corpi, la volontà di vittoria, la tensione della prova, l’entusiasmo del
pubblico, l’intenzione dell’atleta di superare se stesso fu ampiamente vinta dalla regista
con una serie di innovazioni soprendenti: mise a punto un dispositivo equivalente al
moderno zoom per adeguarsi alla rapidità degli spostamenti, fece scavare trincee nello
stadio per riprendere le gare dal basso, grazie a un carrello verticale subacqueo gli
operatori potevano riprendere i tuffi seguendo l’evoluzione in aria e l’immersione nella
piscina, per le riprese aeree legò le macchine da presa a un pallone librato in aria
offrendo ricompense a chi avesse restituito il materiale filmato, cosa che puntualmente
avvenne, e ancora piccole cineprese vennero fissate alle selle degli atleti per riprendere
le gare di equitazione. Giustamente celebri le sequenze della maratona, dove si traduce
in immagini, con l’aiuto della colonna sonora di Herbert Windt, la volontà di andare avanti
a dispetto della stanchezza del corpo.
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03/10/13 15:08
ESCLUSIVO-INTERVISTA CON L'AUTORE DEL ROMANZO " RIEFENSTAHL" : LILIA
di ROMOLO RICAPITO
E' stato da poco pubblicato in Italia il volume "RIEFENSTAHL", edito
da ELLIOT (18 euro e 50) e scritto da LILIAN AUZAS.
Il libro,che è stato definito un romanzo -anche se sembra una
biografia- , lega il giovane autore
(Lione, 1982) alla leggendaria regista tedesca Leni Riefenstahl
(1902-2003) autrice di film-documentario finalizzati all'esaltazione
dell'ideologia nazista attraverso una forma estetica curatissima e
avveniristica.
Parliamo di IL TRIONFO DELLA VOLONTA' e OLYMPIA, ma la cineasta avev
diretto precedentemente (oltre che interpretato) LA BELLA MALEDETTA.
All'autore abbiamo voluto rivolgere una serie di domande, per cercare
di fare luce su un personaggio controverso , odiato ma nello stesso
tempo molto amato dai cinefili e oggetto di un vero e proprio
rinnovato interesse, che sfocia nel culto.
1) LILIAN, tu descrivi la BERLINO della giovinezza di Leni Riefenstahl
come una città favolosa e magica, più bella addirittura di PARIGI.
Spiegaci il perché.
Lilian Auzas: Berlino era una città effervescente. Da un punto di
vista culturale sempre in fermento. La società cambiava. L'impero era
in agonia. Era l'epoca dell'espressionismo e l'inizio del cinema. Leni
Riefenstahl era berlininese, quindi parlo di Berlino. Anche Parigi era
ovviamente una città molto ricca dal punto di vista culturale.
2 ) Leni Riefenstahl era iscritta all'Accademia di Berlino, sezione
Disegno, come spieghi nel libro.
Lo studio di pittori come Van Gogh, Cézanne, Klee o Monet come si
ricollega alla sua successiva attività di regista? Ovvero, questi
artisti influenzarono in qualche modo la sua arte?
Lilian Auzas: Sì, certo. l'apprendistato del disegno e le sue amicizie
con giovani pittori berlinesi come Spiro sono importanti . La
Riefenstahl ha fatto molte citazioni di pittori. Per esempio c'è una
foto subacquea di anemoni gialli che ricordano i girasoli di Van Gogh.
Nella BELLA MALEDETTA , varie inquadrature si ispirano a quadri di
Cézanne, e soprattutto di Ferdinand Hodler o Segantini (di cui Fanck e
Riefenstahl erano grandi ammiratori).
Nel TRIONFO DELLA VOLONTA'' , le inquadrature dei riflessi dell'opera
citano gli espressionisti francesi che Riefenstahl amava molto.
3) Leni Riefenstahl attrice : perché non riuscì ad ottenere i
ruoli ai quali aspirava, tipici di grandi dive come GRETA GARBO o
ASTA NIELSEN?
E' vero che tentò di "rubare" il ruolo di Lola Lola nell'Angelo
Azzurro a MARLENE DIETRICH?
Lilian Auzas: Riefenstahl non ha avuto grandi ruoli nel cinema perché
non era una grande attrice.
Incarnava una specie di "Wonder Woman" coraggiosa e sportiva, ma il
suo gioco era troppo rozzo. Basta solo vederla nel GRANDE SALTO,
S.O.S. ICEBERG o L' EBBREZZA BIANCA .E' davvero pessima. Fanck, suo
mentore, con il quale ha girato i suoi primi film come attrice, non si
occupava del gioco degli attori. Gli interessava solo l'immagine. Per
lui, agli attori bastava solo il copione. Quando Pabst realizzò con
lui nel 1929 LA TRAGEDIA DI PIZZO PALU', Leni mostra vere capacità di
attrice, che ritroveremo credo in STURM UBER DEL MONTBLANC, 1930),
perché Pabst era un vero regista e dirigeva davvero i suoi attori.
Leni elemosinava ruoli ovunque,ma si era rinchiusa nei "Bergfilm"
(film di montagna), ne era diventata l'ispiratrice. Ma Sternberg era
soggiogato dal carisma della Dietrich. Riefenstahl non reggeva il
confronto, questo sì.
4) Mentre era impegnata con il cinema, Leni lesse il MEIN KAMPF di Hitler
per la prima volta e disse del dittatore: "ecco una persona che
capisce il dolore del popolo tedesco e ha grandi progetti".
Come mai prese un tale abbaglio?
Lilian Auzas: E' una domanda difficile quella di cercare il come e il
perché del coinvolgimento della Riefenstahl col razzismo. Mein Kampf è
scritto in base a due tematiche,
A) un programma politico e sociale.
B) Il percorso personale di un uomo di fronte alla vita. E credo che
sia questo secondo punto ad avere impressionato la Riefenstahl, l'uomo
più che il politico.
Secondo me, lei si è trovata molti punti in comune con lui. La lotta
contro il padre severo che non vuole vedere il proprio figlio
impegnarsi nell'arte, serbare un ideale intatto a tutti i costi.
Politicamente , avrà apprezzato certi aspetti del programma edito in
Mein Kampf: lotta contro la disoccupazione e rimettere quindi in sesto
l'economia. Non dimentichiamo la situazione della Germania alla fine
degli anni 20.
Se Leni Riefenstahl era privilegiata per via del suo statuto, non era
comunque estranea alla miseria: suo padre, proprietario di una ditta
di riscaldamento, dovette licenziare buona parte dei suoi impiegati e
abbandonare una parte del patrimonio per sbarcare il lunario.E poi c'è
la constatazione incresciosa dello scacco della Repubblica di Weimar.
Infine, c'è la paura del comunismo. Hitler diceva di voler sradicare
tutto ciò. Per ciò che riguarda l'antisemitismo, penso che lei non se
ne curava.Era solo un argomento in più. L'antisemitismo non era
riservato ai soli nazisti prima del 1933. E non solo in Germania, ma
anche in Francia e in Inghilterra.
5) Per "La Bella Maledetta" del 1932 Leni Riefenstahl ebbe perfino
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5) Per "La Bella Maledetta" del 1932 Leni Riefenstahl ebbe perfino
i complimenti di Pio XI, Charlie Chaplin , Douglas Fairbanks e
soprattutto del regista francese Abel Gance , personaggi non legati
all'ideologia nazista..
Lilian Auzas: Sì, infatti. Leni Riefenstahl era una curiosità. Era una
donna, ispiratrice del Bergfilm, che realizzava un piccolo film a
forma di fiaba. Abel Gance si congratulò con lei: si conoscevano un
po' visto che si erano incrociati a delle feste a Berlino negli anni
'20. Lui diceva che lei aveva il più bel sorriso di Berlino.
La BELLA MALEDETTA era un film edificante perché aveva 15 o 20 anni d
anticipo sul suo tempo. Esteticamente, è uno splendore. Tecnicamente,
è geniale perché lei ha girato tutte le riprese dal vivo e ha
ingaggiato gli abitanti di un paese delle Dolomiti. Ha rispettato le
coordinate spazio-temporali. E quindi si sente parlare tedesco,
italiano, nonchè il ruvido tirolese. I suoi colleghi del cinema e
altri grandi nomi non potevano rimanere che affascinati da questo
film.
6) Hitler convinse la Riefenstahl a dirigere il primo documentario
promettendole una brillante carriera, tu scrivi.
Lei però non aveva niente a che vedere con questo genere di film. Come
superò le sue esitazioni?
Lialian Auzas: Non sapendo cosa filmare durante gli avvenimenti, e
per paura di perdere qualcosa, lei decise di filmare tutto. E siccome
aveva un'idea precisa sulla forma che chiamava "l' architettura di un
film", e l'estetismo, lei firmò tutto sotto queste angolature. Donde
le centinaia di cameramen sotto i suoi ordini.
La cosa più difficile non furono le riprese ma il montaggio del film.
Bisognava provare, provare e provare ancora fino ad ottenere il
"filmico"(così si esprimeva), vale a dire un ritmo. Lo ha detto lei
stessa: con IL TRIONFO DELLA VOLONTA', ho scoperto le mie capacità d
montaggio.
7) Una prova d'accusa contro il coinvolgimento di Leni Riefenstahl in
azioni abiette fu il documento (ritrovato) che Hitler le fece firmare
contro Béla Balasz , lo sceneggiatore mai pagato di "Bella Maledetta",
riparato all'estero.
In breve cosa successe? Perché Leni si alleò con Hitler contro Balasz,
che era ebreo? Ella dichiarò di non avercela con gli ebrei, tanto da
continuare a farsi curare dal suo medico, appunto anch'egli
ebreo...Spiegaci meglio.
Lilian Auzas: Non credo che Leni Riefenstahl fosse una vera antisemita.
E' stata sicuramente influenzata dalla propaganda, ma il suo
comportamento non lasciava nulla trapelare di violento, tranne quella
lettera contro Bela Balasz
Egli fu co-sceneggiatore della BELLA MALEDETTA , suo primo film, e
lui reclamava i suoi diritti d'autore.
Ora, lei era incapace di darglieli visto che Harry Schaal, un altro
ebreo,amico e coproduttore del film di Leni Riefenstahl, partì in
esilio con la copia originale del film, senza versare i dividendi alla
regista. Eppure Leni si vantava ovunque del successo del film (anche se
ci rimise del denaro, in realtà). Sentendosi beffeggiato, Balasz
minacciò di attaccar lite con lei. Sprovvista e furiosa, Riefenstahl
andò a trovare i suoi nuovi amici, che le consigliarono di lasciar
fare Streicher, il peggior antisemita che ci fosse. La cosa rimase
lì. Non vi fu né processo, né scambio di danaro.
8) Nel tuo libro si ipotizza che Leni Riefenstahl potesse essere ebrea
: la madre Bertha pare lo fosse al 50%.
Spiegaci questa tua affermazione.
Lilian Auzas:Non ne siamo sicuri ma è vero che Riefenstahl ha
falsificato il suo albero genealogico per potere iscriversi alla
Camera del Cinema e esercitare la sua professione di attrice (il
primo anno, nel 1933, non si iscrisse come regista). Sua nonna è
morta quando partorì il diciassettesimo bambino: Bertha, la madre di
Leni
.Suo nonno si risposò con la balia ed ebbe altri figli...Bertha fu
cresciuta da questa seconda sposa che fu la nonna di Leni, anche se
non lo era da un punto di vista biologico. Ora, non c'è alcun
certificato di battesimo della vera nonna...Forse era ebrea, ma è solo
un'ipotesi. Anche perché all'epoca correvano voci al riguardo,
Delle testimonianze di gente vicine alla Riefenstahl lo confessano.
9)La Riefenstahl intervenne presso Goebbels per far lavorare Eduard
Kunnecke, compositore di operette, ebreo .
Da che parte stava allora? Ecco un' altra contraddizione.
Lilian Auzas: il caso Kunnecke mostra soprattutto la complessità del
personaggio di Leni. Lei aiutò Kunnecke perché era sensibile alla sua
vicenda. L'uomo le piaceva, nonchè le sue opere. Ma era anche la prova
che non era cieca e capiva la sorte che toccava agli ebrei.
10) Con IL TRIONFO DELLA VOLONTA' risalente al 1935, Leni divenne
L'ANGELO DEL TERZO REICH.
Quanto influenzò questo documentario l'imporsi dell'ideologia nazista?
Lilian Auzas: TRIONFO DELLA VOLONTA' ebbe un impatto fortissimo perch
questo film si presenta come un film epico. Hitler è il messia,
Hindenburg era morto durante l'estate e Rohm è stato assassinato.
Hitler è solo a governare avendo l'incarico sia di cancelliere che di
presidente.
E' il Fuhrer. TRIONFO DELLA VOLONTA' tende a dimostrarlo.
11 ) OLYMPIA uscì nel 1938, esattamente due anni dopo i Giochi Olimpici
di Berlino. A quel punto, tale documentario non era ormai
anacronistico?
Lilian Auzas: E' un vero problema. Infatti Goebbels voleva che Leni
facesse un film rapidamente. ma lei aveva bisogno di almeno due anni
per selezionare le immagini (400 km di pellicola in tutto) e poi fare
il montaggio. Un lavoro faraonico. OLYMPIA era molto atteso, sia dagli
amanti dello sport , sia dai curiosi che volevano sapere se il film
avrebbe fatto l'elogio del nazismo.
12 )Leni Riefenstahl inserì in Olympia le imprese dell'atleta
statunitense di colore JESSE OWENS (quattro medaglie d'oro) inviso a
HITLER.
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HITLER.
Perché lo fece?
Lilian Auzas: Owens realizzò parecchi record del mondo. Riefenstahl
non ebbe alcuna voglia di tagliarlo al montaggio, anche se la cosa era
rischiosa. Aveva talento ed era molto bello. Le immagini in cui egli
sorride sono stupende.
13) LA NOTTE DEI CRISTALLI del 1938: sinagoghe incendiate, negozi
ebraici distrutti, deportazioni e uccisioni. Mentre tali eccidi ebbero
luogo, la Riefenstahl si trovava in viaggio negli Stati Uniti e dunque
disse: "Ma io non ne so nulla!"
Perché non si dissociò da Hitler?
Lilian Auzas: Riefenstahl era sulla nave che la conduceva in America
quando scoppiò
la Notte dei Cristalli in Germania. Fu avvisata che la "Antinazi
League" rischiava di aspettarla a Nuova York e durante l'intera sua
tournée americana. Quando fu avvisata dell'avvenimento, non volle
crederci ("That cannot be true") e vi scorse un'azione dell'Antinazi
League per destabilizzarla. E cioè che numerosi volantini anonimi
circolavano nelle grandi città dove si recava.Volantini in cui veniva
tacciata di essere una puttana nazista. Quando tornò in Germania, fu certo
corrente della verità, ma lo scempio di quella notte fu pulito. E lei
lo dimenticò subito.
14) TIEFLAND : il film che Leni Riefenstahl iniziò nel 1940 e che
terminò nel '56. Per questa pellicola la regista utilizzò dei piccoli
rom che dopo le riprese furono deportati in un campo di concentramento
e uccisi col gas. Ma lei si giustificò in seguito sostenendo che fosse
ignara del loro destino e di averne incontrato alcuni
successivamente.....
Lilian Auzas:Non so se lo sapeva. La cosa certa è che gli zingari
usati come comparse non erano maltrattati e inoltre i bambini la
chiamavano "zia Leni". Tuttavia, un soldato SS era presente per
sorvegliarli. Riefenstahl li considerava come comparse. Nè più né
meno. Li ha diretti come gli altri attori. Si è servita di loro, poi
sono partiti perché non aveva più bisogno di loro sul set. Dove? Se ne
infischiava.
15) IMPRESSIONI SOTTOMARINE , il docu-film subacqueo uscito nel 2002
quando Leni aveva 100 anni, un record da Guinness dei Primati,
musicato dall'italiano GIORGIO MORODER. Come mai questo recente film
della Riefenstahl non è conosciuto a livello internazionale?
Lilian Auzas: IMPRESSIONI SOTTOMARINE non ha potuto avere successo
per due motivi: 1) è l'opera della regista di Hitler. 2) Per quanto
sia esteticamente perfetto, si tratta di un documentario sul mondo
subacqueo con una successione di inquadrature di pesci e alghe...Le
immagini sono sublimi ma ci si può annoiare presto.
ROMOLO RICAPITO
Un grazie a LILIAN AUZAS
Funerali solenni a BARI: addio PAOLA LABRIOLA, ANGELO DEI PIU' DE
di ROMOLO RICAPITO
Si sono svolti nella Cattedrale di Bari il 9 settembre alle 16 e 30
i solenni funerali (il lutto cittadino è stato proclamato dal
Sindaco, Michele Emiliano) della dottoressa Paola Labriola,
psichiatra presso l'ambulatorio di Via Tenente Casale, al quartiere
Libertà, uccisa con 50 coltellate (referto dell'autopsia) da Vincenzo
Poliseno, uomo delle pulizie e con un passato di alcolista e
tossicodipendente,
Ad accogliere il feretro in chiesa, un'ampia folla composta da
colleghi, operatori socio-sanitari, religiosi, cronisti, personalità
della cultura , della politica e semplici cittadini, che hanno voluto
rendere il loro estremo omaggio a una donna coscienziosa e coraggio
la cui tempra indomabile di referente dei più deboli è stata fermata
da una mano assassina . Di Paola Labriola si è parlato -nell'omelia
pronunciata dal parroco - come di una
donna "caduta sul lavoro" : una
professionista che ha lottato per una società migliore . La sua
particolare umanità è stata impiegata per gli altri, ma ella ha tratto
forza dall'avere riconosciuto prima di tutto le sue personali
debolezze.
Che però sono diventate la spinta , assieme a un bisogno di giustizia
e di volontà di recupero degli ultimi, per non rassegnarsi al
disimpegno -come ha
ricordato una rappresentante del Csm 6- a fronte di carenze
logistiche , legislative ed economiche che hanno impedito a molte
strutture sanitarie "a rischio" di usufruire di una legittima
forma di salvaguardia e difesa , rappresentata (ad esempio) da
una guardia giurata che vigilasse dentro e fuori un centro (come
quello di via Tenente Casale, nella fattispecie ) frequentato
non soltanto da persone con problemi psico-sociali, ma affette anche
dipendenze gravi (alcol, droga) come appunto quel Poliseno che ha
aggredito la dottoressa senza un apparente motivo.
Il parroco ha parlato anche di una società drogata dalla cultura del
piacere, che distrugge l'intelligenza e la sapienza.
Ma anche-diremo- bisogna salvaguardare quell'umanità necessaria
distinguere gli esseri umani dalle bestie.
E se è vero che " Paola Labriola "ha collaborato con il dio creatore a
fare l'uomo bello a immagine e somiglianza di Dio", la società tutta
dovrebbe prendersi carico di tutelare il personale medico e
infermieristico che con dedizione ( e non soltanto per il salario di
fine mese !) si dedica a svolgere un ruolo senza il quale la nostra
società non potrebbe definirsi sana . Una professione che si occup
della cura di chiunque
accusando un qualsiasi disagio psicologico - e nell'attuale
situazione storica capita a
tutti, almeno una volta nella vita- possa essere oggetto di
accudimento, ancora prima che medico, soprattutto umano. Ciò era
appunto la qualità principale di Paola Labriola, come viene
riconosciuto da tutti. Si è parlato di una città ormai tentacolare che
assieme a tanti bei fiori produce "qualche cardo".
Nella navata a destra dell'altare un sindaco Emiliano assorto e
http://www.barinewstv.it/TGNOTIZIE/tabid/474/Default.aspx
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Territorio Bari e Provincia
03/10/13 15:08
Nella navata a destra dell'altare un sindaco Emiliano assorto e
concentrato nell'omelia, assieme all'assessore alla salute Elena
Gentile.
Nel piangere la dottoressa, è stato lanciato infine un ultimo appello: l
psichiatria non può risolversi con le semplici cure ambulatoriali. A
ciò è seguito un calorosissimo applauso.
Applausi dunque ,tanta tristezza ma anche ammirazione per colei c
era un simbolo
della cultura dell'alterità (dell'altro) e che ha pagato cara la sua
abnegazione, quella di volere una società migliore.
Sopra la bara un fascio di rose bianche, tantissime, candide come i
cuore di Paola Labriola.
In chiesa un caldo soffocante, al quale molte signore hanno resistito
agitando ventagli. Molti di questi accessori erano di foggia antica,
probabilmente tirati fuori da vecchi cassetti e appartenenti a nonne e
bisnonne. Ventagli che nei decenni hanno assistito a tante
celebrazioni: nascite, matrimoni e anche esequie , in un mondo che
cambia velocemente, ma i cui valori , anche se messi da parte,
vengono riscoperti poi in occasioni estreme, come in questo caso.
Particolarmente commossa è apparsa la dottoressa Maristella Buonsa
collega di Paola Labriola ; la dottoressa Buonsante nascondeva il
pianto dietro lenti nere, ancora incredula sul destino della sua amica
tragicamente
scomparsa, che lascia due figli di 12 anni , gemelli omozigoti , e una rag
di 20.
Qualche attimo di tensione per delle grida, "maledetto, maledetto",
pronunciate da un'anziana: forse una parente, conoscente o anche un
paziente della dottoressa, apparsa totalmente affranta.
Ma in generale il dolore è stato, per quanto possibile, contenuto:
Paola avrebbe voluto così.
ROMOLO RICAPITO
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Leni, la regista amata da Hitler - La Provincia
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Leni, la regista amata da Hitler
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'Riefenstahl'
di Lilian Auzas
traduzione di Monica Capuani
Ballerina mancata, attrice ribellealle indicazioni dei registial punto di
elliot pagine 190, ! 18,50
decidere distare dietro la macchina dapresa, bulimica di vita (e di esperienze
Sfoglia le edizioni
del passato
sessuali), affamata di bellezza, ambiziosae volitiva, e innegabilmente riccadi
talento.Ma anche protetta da Adolf Hitler, connivente e complice nel definire
attraverso la sua opera un’estetica del nazismo di cui il regime aveva
Aggiungi al calendario
Nella storia...
bisogno. A Leni Riefenstahl, dieci anni dopo la sua scomparsa, è dedicato il
saggio/romanzo di Lilian Auzas, scrittorefrancese studioso di artisti
cheoperano sotto regimi totalitari ed esperto di arte africana. Figura
Condividi
controversa, Leni era senza dubbio una personafuori dall’ordinario,
desiderosa fin da ragazza di affermarsi e di faremergere la sua personalità.
Tanta consapevolezza di sé si trasformò presto in un egocentrismo che le
impedì di vedere e di capire ciò che accadeva attorno a lei, pronta a filtrare la
realtà attraverso l’obiettivo della telecamerao della macchina fotografica:
http://www.laprovinciacr.it/scheda/59118/Leni--la-regista-amata-da.html
A
A
A
LA PROVINCIA - 16 OTTOBRE
1990
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Leni, la regista amata da Hitler - La Provincia
16/10/13 10:03
cieca, comedel resto fu cieca buona parte della Germania negli anni del
nazismo.Processata nel ’49, Riefenstahl fu riconosciuta ‘Mitlauferin’
(seguace) delle teorie di Hitler e non ‘Schuldigerin’ (colpevole), e quindi
assolta da ogni accusa, anche se l’ombra dei suoi ambigui rapporti con il
Führer non l’abbandonò mai. Restò la ‘regista di Hitler’ e tra i suoi film più
celebri ci sono Il trionfo della volontà (1934), sul congresso del partito
Il leader
dell'Unione
Sovietica, Michail
Gorba!ëv, riceve il
Premio Nobel per
la pace
nazionalsocialista a Norimberga, e Olympia, documentario sui Giochi del ’36
a Berlino. In entrambi Riefenstahl adotta tecniche innovative: in Olympia,
per esempio, fecemontare sulle gambe dei maratonetiin allenamento delle
minitelecamere, utilizzando le riprese in fase dimontaggio per esaltare il
senso (e labellezza) dello sforzo muscolare. Invisa (anche per gelosia) alle
gerarchie naziste, era l’opposto dell’ideale donnadi regime, forte ma
sottomessa all’autorità maschile. Il libro di Auzas èscritto in terza persona
soggettiva, a indicarela partecipazione dell’autore allavita di Leni. Il libro
Lettere al
Direttore
Certezza della pena
ma con carceri
idonee
Indulto e amnistia sono
parole che ...
» scrivi
non scioglie idubbi e le ambiguità che circondaronola regista fino alla fine e
lascia emergere un ritratto complesso e poliedrico.La tensione narrativa non
» IL PUNTO
è semprelineare, ma Auzas ha il merito diincuriosirci su una delle figure
chehanno fatto la storia dell’arte del ’900.
Le necrologie
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore) | letteratitudinenews
25/10/13 14:30
letteratitudinenews
libri, fatti ed eventi segnalati speciali dal blog LETTERATITUDINE di Massimo Maugeri –
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore)
ottobre 24, 2013 letteratitudinenews
RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (Elliot, 2013) – Traduzione
di Monica Capuani
INTERVISTA A LILIAN AUZAS
a cura di Claudio Morandini
(Traduzione dal francese di Jean-François Lattarico)
CM – Le Edizioni Elliot hanno da poco pubblicato, nella traduzione di Monica Capuani,
Riefenstahl, il romanzo che il giovane autore di Lione Lilian Auzas ha dedicato alla regista e
fotografa Leni Riefenstahl. Parlo di romanzo, non di biografia, perché così è stato presentato nel
http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/10/24/riefenstahl-di-lilian-auzas/
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore) | letteratitudinenews
25/10/13 14:30
2012 in Francia dalle Editions Léo Scheer, e perché così l’ho sentito al momento della lettura – un
romanzo in cui l’invenzione narrativa, l’introspezione psicologica, l’evocazione di momenti e
ambienti nascono da un apparato di conoscenze storiche che però non opprimono mai. Sentiamo
che cosa ne pensa Lilian Auzas.
LA – Innanzitutto bisogna sapere che fra me e Leni Riefenstahl vi è una lunga storia. La sua personalità
mi ha sempre incuriosito da quando, una notte d’estate, ho visto sulla rete franco-tedesca ARTE, il
programma Leni Riefenstahl – La forza delle immagini di Ray Müller. Ho letto, leggo e continuerò a
leggere tutto ciò che riguarda Leni Riefenstahl. Sono all’agguato ogni volta che esce un libro
sull’argomento. È un vero chiodo fisso. Così mi ritrovo con dei libri italiani, anche se non parlo la vostra
lingua, oppure con un catalogo di una mostra in giapponese… Leni Riefenstahl è stata poi l’argomento
scelto per la mia tesi di laurea in Storia dell’arte. Ho racimolato moltissimo materiale su di lei, a furia di
lavorare su archivi, fonti e vari libri di studiosi di storia.
La Riefenstahl è un personaggio estremamente complesso. Senza dubbio umano. Molto contraddittorio.
Quando ho smesso le mie ricerche dopo aver iniziato una tesi di dottorato, avevo ideato il progetto di una
monografia su di lei. Volevo sbarazzare la sua figura dal cliché dell’artista di propaganda di regime. Non
che la cosa sia falsa, al contrario. Ma le opere sono ben più ricche. L’idea del romanzo è germogliata a
poco a poco durante la stesura della monografia: Leni Riefenstahl è un personaggio romanzesco. Allora
mi ci sono buttato.
CM – Quanto ti ci è voluto per ottenere questa “leggerezza” di tono, visto che il tema si prestava a
un trattamento – come dire – “pesante”?
LA – La leggerezza del romanzo, come tu dici, sta nella stessa personalità della Riefenstahl. A ben
leggerlo, il testo non è appesantito dallo sfondo storico. E così che ho voluto. Vi è presente solo quando
riguarda Riefenstahl. Ho trattato la vita di Riefenstahl per episodi. È un omaggio al suo modo di costruire
un documentario. Selezionare solo le cose più importanti e saper creare momenti insieme dolci e forti,
pacati e intensi. Ed è quel che ho fatto. Tutto è importante e oscillo tra momenti privati e tratti che
riguardano la sua vita pubblica. E ciò provoca una specie di catarsi. Ne scaturisce un ritratto sfumato,
almeno così spero. Questo trattamento episodico sottolinea anche il suo lato fulmineo. Perché, se Leni
Riefenstahl è vissuta fino a centouno anni, dal 1902 al 2003, nondimeno ha attraversato il XX secolo in
fretta e furia. Detestava le pause. Al cinema come nella vita.
CM – Molte scene del romanzo sono concepite quasi come pagine di dialogo tra il brillante e il mélo,
sembrano pronte per essere trasformate in sceneggiatura. È una scelta calcolata? Io l’ho letto come
un omaggio (ironico, ma sentito) all’arte di Leni, al suo passato di attrice, a una fase ancora
pionieristica del cinema.
LA – Questo mi fa piacere, perché la cosa è volontaria. Sono contento che tu mi faccia questa domanda.
Ho tentato di applicare al mio romanzo il metodo riefenstahliano, cioè quello di vedere con la mente
prima di filmare, o di scrivere. In Riefenstahl, ogni dialogo serve il romanzo. Lo anima, e quasi sempre
viene piazzato durante i momenti più forti: il litigio con il padre, l’incontro con Arnold Fanck, ecc. I
dialoghi non sono mai superflui. Non lo sono mai nei film della Riefenstahl. Quindi, il romanzo assume
una forma ibrida, perché è perfettamente adattabile per diventare un film.
CM – Ti sei concesso delle libertà (storiche, biografiche) nel raccontare la vita di Leni Riefenstahl?
LA – Sì, certo. Ho letto in Francia e in Italia che si parlava del mio romanzo come se fosse una biografia.
È sbagliato. È un ritratto. Quindi, soggettivo. Certo, posso appiccicarmi alla realtà, ma per creare questo
ritratto mi sono preso qualche libertà. Tuttavia, tutti gli avvenimenti sono veri. Mi spiego: ogni fatto che
descrivo è stato tratto dalle Memorie della Riefenstahl, da varie testimonianze o da scritti di storici.
Quando certi studi si contraddicevano, ho fatto io la scelta, vuoi incrociando le fonti, vuoi fidandomi della
mia intuizione. È stato difficile ridare un’apparenza umana al mostro che quella donna era diventata. In
nessun modo ho cercato di riabilitarla, contrariamente, ancora una volta, a ciò che è stato detto. Ho voluto
http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/10/24/riefenstahl-di-lilian-auzas/
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore) | letteratitudinenews
25/10/13 14:30
essere giusto nei suoi confronti. E non taccio certo sulle zone buie della sua carriera. Sull’episodio
polacco o gli zingari del film Bassopiano (Tiefland) per esempio, non volevo giudicarla. Spetta al lettore
farsi una propria opinione su questa donna.
CM – Poi ci sono i dialoghi…
LA – Proprio nei dialoghi mi sono preso le maggiori
libertà. Come potrei sapere ciò che Leni e Hitler si sono detti veramente a quattr’occhi? Altri esempi: Leni
Riefenstahl ha davvero fatto sesso con due uomini in una sauna a Davos la sera stessa in cui Hitler è stato
eletto cancelliere? Non lo so. Quel che so è che lei si trovava a Davos, in una sauna col suo fidanzato
dell’epoca, il cameraman H. Ertel e il suo maestro di sci W. Prager. L’informazione è confermata da S.
Bach. Dopo questo soggiorno, Ertel diventerà il suo ex e Prager il suo nuovo compagno… Che cosa
possono fare due uomini e una donna in una sauna, la sera tardi?… La scenata che Leni fa davanti ad
Hitler e Goebbels per il montaggio di Trionfo della Volontà non si è svolta in quella maniera, ma in due
momenti distinti: prima in sala di montaggio, poi durante un ricevimento da Hitler. Ho sintetizzato il tutto
in un unico avvenimento per creare un momento drammaticamente più forte. Ma la sostanza è vera.
Insomma, queste piccole cose, i documenti citati, la poesia… tutto è vero.
CM – Il vero tema del libro sembra essere il rapporto tra l’arte e il potere, in particolare quel
limite, ambiguo, rischioso, che divide la libertà dell’espressione artistica dall’opportunismo
cortigiano. Chi si serve di chi, tra Riefenstahl e Hitler? Chi sfrutta chi, dei due? Chi ha avuto più da
guadagnarci? Riefenstahl si è messa al servizio del nazismo o ha cercato di sfruttarne l’appoggio
per realizzare i suoi progetti artistici? (Questa seconda opzione non la rende naturalmente meno
colpevole…)
LA – È un argomento molto interessante. Sia ben chiaro: Leni Riefenstahl è colpevole. Almeno per
quanto riguarda il fatto che non abbia mai a cose fatte la sua implicazione artistica nell’apparato nazista.
Chi si serve di chi? Entrambi. Hitler aveva al suo servizio un’artista di grande talento fin dal 1932, e senza
nulla chiedere, giacché fu la Riefenstahl ad andare da lui; lei lo presenta, nel Trionfo della Volontà, come
il Führer, come un dio vivente. La Riefenstahl ha senz’altro approfittato del sistema. Contratta per se
stessa compensi astronomici, e Hitler le offre una villa nella periferia chic di Dahlem. Per La vittoria della
Fede, il partito nazista le regala per giunta una macchina. Ma, si badi, lei negoziava. Non era avvezza a
tacere. E difficilmente la si poteva corrompere. Ognuno trovava il proprio tornaconto: Hitler, una
formidabile propagandista, Riefenstahl una posizione e la ricchezza. Riefenstahl era sul serio “sedotta”
politicamente da Hitler, sennò non si sarebbe impegnata così tanto, mi sembra ovvio. La cosa più difficile
da stabilire per lei, sono i suoi limiti nei confronti del nazismo. Di fronte ad Hitler la sua fede era
indefettibile, di fronte agli altri, non ne sarei così sicuro. Heinz von Jaworsky, un suo collaboratore,
affermava che lei gli avrebbe confessato una cosa del genere: «Se non ci fossero tanti criminali intorno a
lui, Hitler avrebbe potuto essere un grande uomo»…
CM – Ci riconosciamo ancora nell’idea di bellezza (solenne, statuaria, eroica, anche kitsch, se
vogliamo) perseguita dalla Riefenstahl per tutta la vita, o possiamo considerarla vintage, e
http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/10/24/riefenstahl-di-lilian-auzas/
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore) | letteratitudinenews
25/10/13 14:30
ammirarla come si ammirano le cose lontane e ormai incomprensibili?
LA – No, affatto. L’arte di Leni Riefenstahl è molto attuale. Lei non ha inventato nulla, ma ha sublimato
il corpo umano, come hanno fatto Prassitele o Michelangelo prima di lei. Con il suo metodo, ha conferito
nuovi parametri alla rappresentazione dell’uomo. Una rappresentazione che vige tuttora, nella pubblicità,
nella moda, perfino nel cinema. Molti film riecheggiano motivi riefenstahliani. Per esempio, La grande
bellezza di Sorrentino, uscito l’anno scorso, cita quasi, un’inquadratura dopo l’altra, un passo del prologo
di Olimpia, attraverso il gioco d’ombra sulle statue antiche. Volenti o nolenti, che la si ami o non la si
ami, Leni Riefenstahl è una maestra del cinema.
CM – E tu, come scrittore, ti senti in qualche modo debitore nei confronti della sua ricerca artistica?
LA – La domanda si riallaccia a ciò che ho appena detto. Riefenstahl ha avuto la sua parte nella storia del
cinema. Era una regista di grande talento ed era riconosciuta come tale. Molti registi le sono debitori e le
rendono omaggio: Quentin Tarantino, in Inglorious basterds, ma altri come George Lucas, Jodie Foster,
Stanley Kubrick, Coppola… Quanto a me, mi sento debitore nei suoi confronti? Sì, perché la sua vita così
complessa è andata ad alimentare un romanzo. Ma non sono né fotografo, né regista, quindi è difficile per
me rispondere alla domanda. Tuttavia, quando guardo i lavori di altri artisti, mi rendo conto che sono in
molti a sentirsi debitori nei suoi confronti. Helmut Newton ha detto di lei un giorno: «Come artista la
ammiro. È la fotografa e la regista più rivoluzionaria dei nostri tempi, anche se le sue opere naziste erano
pessime». Una rivoluzione, sì. Ed è ciò che la Riefenstahl ha provocato nel mondo dell’immagine.
CM – Il tuo romanzo è tutt’altro che un’operazione di revisionismo: non nasconde le responsabilità
e le tragiche leggerezze della Riefenstahl, non mostra alcuna indulgenza per le sue scelte mentre
esprime ammirazione per il suo talento di artista. Eppure ho l’impressione che da destra si sia letto
e si stia leggendo Riefenstahl con una certa superficialità, proprio come se fosse un’opera
improntata a un certo revisionismo assolutorio. Eri consapevole di questo rischio, quando hai
cominciato a scriverlo? È così vischiosa la “seduzione del male”?
LA – Sì, ero consapevole di questo rischio. Infatti, certe critiche positive, almeno in Francia, mi hanno un
po’ fatto venire i brividi, più di quelle negative, perché lasciavano trapelare quel revisionismo di cui parli.
Sembravano affermare: «Riefenstahl aveva ragione, Riefenstahl era un genio, lasciatela stare!» Altre, più
scontrose, mi hanno rimproverato questa mia indulgenza. Lo ripeto: quando evoco Bassopiano o la lettera
contro Béla Balázs, non mi sento indulgente. E non do infatti prova di revisionismo. Ho voluto mostrare
le contraddizioni della Riefenstahl, e ogni campo vi ha letto ora la sua ingenuità, ora la sua mostruosità.
Mentre ho voluto solo parlare di un essere umano. Poche persone, in realtà, hanno capito questo libro. E
spesso mi hanno parlato di un libro che non ho mai scritto…
CM – Certo, basterebbe conoscere anche le altre due opere della tua trilogia per capire subito che il
tuo Riefenstahl è tutt’altro che un’opera accomodante, che non vuole certo rendere glamour il
nazismo o ridurre il drammatico rapporto tra gli artisti rimasti in Germania e il potere nazista a
una serie di scene da commedia.
LA – Sì, hai ragione…
CM – Le vere intenzioni del tuo Riefenstahl si chiariscono definitivamente se si conoscono gli altri
due titoli di quella che tu hai chiamato “trilogia totalitaria, dedicata” (traduco dalla quarta di
copertina di La voix impitoyable, pubblicato sempre da Léo Scheer nel 2013) “alla velenosa
seduzione del male”. Vuoi presentare brevemente questi altri due libri al pubblico italiano, che
ancora non li ha letti?
LA – Prima c’è una favola, Charlie Fuchs et le monde en marge (Charlie Fuchs e il mondo sul margine),
che è una parabola sul totalitarismo. Vi si racconta di una fiaba rimasta manoscritta e quindi mai
pubblicata. I protagonisti, Charlie la volpe, Porcelène la maialina, e Roland l’oca, interpretano
eternamente la loro storia fino a quando gli appunti in margine del libro si ribellano sotto l’egida del
cancelliere del Margine per invadere il racconto. Tocca a Charlie e ai suoi amici ristabilire la frontiera e
http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/10/24/riefenstahl-di-lilian-auzas/
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RIEFENSTAHL, di Lilian Auzas (intervista all’autore) | letteratitudinenews
25/10/13 14:30
vivere un’altra avventura. Spetterà loro scrivere la loro storia e diventare così veri eroi. Si tratta di una
favola con almeno due livelli di lettura: per i bambini e per gli adulti.
La voix impitoyable (La voce impietosa) è il mio secondo romanzo, uscito in Francia nello scorso agosto.
È la storia di Gautier Maigné, un giovane fotografo, la cui vicina di casa, di origine tedesca, e di una certa
età, si è suicidata perché aveva un segreto troppo pesante da mantenere. Ed è questo segreto che egli
cercherà di trovare grazie ad un’audiocassetta che lo psicoanalista della vecchia signora gli ha consegnato.
La voix impitoyable comincia a Torino, una città che mi è particolarmente cara. Questo è la trilogia
totalitaria: Riefenstahl evoca l’implicazione e il diniego; Charlie Fuchs la resistenza e La voce spietata la
colpevolezza. Spero che possiate leggerli un giorno in Italia…
CM – Me lo auguro anch’io, Lilian. Il progetto della trilogia ti era chiaro da subito, quando hai
cominciato a scrivere Riefenstahl, o si è formato in seguito, un po’ alla volta?
LA – Il termine “trilogia” è nato dopo. Diciamo che i miei primi tre libri evocano la questione del
totalitarismo. Ma non ho scritto Riefenstahl con l’idea di scrivere gli altri due…
CM – Che cosa pensi dell’edizione italiana del tuo romanzo e dei riscontri che sta avendo in Italia?
LA – Trovo la copertina dell’edizione italiana davvero bellissima. Elliot Edizioni ha scelto un ritratto
assolutamente sublime della Riefenstahl, tratto dal film S.O.S. Iceberg del 1933. Un amico che legge bene
l’italiano mi ha detto che il romanzo è stato ottimamente tradotto da Monica Capuani. Non mi rendo bene
conto dell’impatto del mio libro in Italia, ma ricevo regolarmente articoli di giornali. Devo dire che sono
rimasto sbalordito e anche molto onorato che se ne sia parlato su La Repubblica in occasione del
decennale della morte della Riefenstahl. Ho l’impressione che il libro trovi riscontri più importanti in
Italia che non in Francia… Ma è ancora troppo presto per dirlo…
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http://letteratitudinenews.wordpress.com/2013/10/24/riefenstahl-di-lilian-auzas/
Page 5 sur 9
IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI Leni e l’estetica di Hitler Luci e ombre di una grande - Il Giorno - Milano
Il Giorno
07/01/14 12:38
MILANO
IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI
Leni e l’estetica di Hitler Luci e ombre di una grande
Bella, affascinante, disinibita, talentuosa, desiderosa di mordere la vita: così si
presentava Leni Riefenstahl sul palcoscenico dell’arte, della politica, della cultura
tedesca al debutto degli “anni decisivi” che avrebbero cambiato la storia della
Germania e del mondo
di Gennaro Malgieri
Milano, 22 novembre 2013 - Bella, affascinante, disinibita, talentuosa, desiderosa
di mordere la vita: così si presentava Leni Riefenstahl sul palcoscenico dell’arte,
della politica, della cultura tedesca al debutto degli “anni decisivi” che avrebbero
cambiato la storia della Germania e del mondo. E così si è mantenuta nel corso di
tutta la sua lunghissima esistenza, attraversando le lande desolate del
dopoguerra, scansando con il fascino della sua straordinaria e riconosciuta
grandezza di cineasta, fotografa e cultrice della bellezza, la compromissione con il
nazionalsocialismo ed in particolare con Hitler che fece di lei un “mito”
scandalizzando i suoi molti amanti, i gerarchi, la buona borghesia. Ma anche chi
guardava atterrita la “diabolizzazione” della regista, non poteva che rimanere
impigliato nelle spire seduttive che era capace di mettere a nudo senza provare
nessun complesso, sfidando perfino i potenti del tempo e non soltanto per l’alta
protezione di cui godeva.
E della combinazione micidiale di sensualità e prodigio artistico da cui trasse la
fama che l’avrebbe accompagnata dal flirt con il nazismo allo scandaglio degli
abissi marini alla scoperta dell’universo magico delle forme incantevoli dei nubiani,
ci offre una descrizione seducente Lilian Auzas, giovane studioso francese degli
artisti nei regimi totalitari, con una biografia romanzata della donna la cui luce non
si spense l’8 settembre del 2003, all’età di centouno anni probabilmente rivedendo
per l’ultima volta l’unico film che tutti li comprendeva e tutte le fotografie che aveva
scattato: la Bellezza cercata, trovata e posseduta. Chi nell’estetica della
Riefenstahl fruga tra le compromissioni e le contraddizioni perde tempo. Da
Olympia al Trionfo della volontà, non troverà altro che una corsa sfrenata dietro il
mondo delle forme, come una sacerdotessa votata alla proposizione della
Bellezza nel suo dispiegarsi nei corpi, nella natura, nella materialità. Il resto non
conta. Debolezze universalmente perdonate. Doveva molto e niente a Hitler. A
ottant’anni disse: “È una tale ombra sulla mia vita che la morte sarà per me una
liberazione”. Visse altri ventuno anni. Nell’ultimo istante, Horst Kettner, suo
compagno infinitamente più giovane, le teneva la mano piangendo. Ed era
bellissimo per Leni. Come la vita attraversata in un attimo.
LILIAN AUZAS, Riefenstahl, Elliot
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IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI Leni e l’estetica di Hitler Luci e ombre di una grande - Il Giorno - Milano
Il Giorno
28/01/14 11:12
MILANO
IL LIBRO DE IL GIORNO DI GENNARO MALGIERI
Leni e l’estetica di Hitler Luci e ombre di una grande
Bella, affascinante, disinibita, talentuosa, desiderosa di mordere la vita: così si
presentava Leni Riefenstahl sul palcoscenico dell’arte, della politica, della cultura
tedesca al debutto degli “anni decisivi” che avrebbero cambiato la storia della
Germania e del mondo
di Gennaro Malgieri
Milano, 22 novembre 2013 - Bella, affascinante, disinibita, talentuosa, desiderosa
di mordere la vita: così si presentava Leni Riefenstahl sul palcoscenico dell’arte,
della politica, della cultura tedesca al debutto degli “anni decisivi” che avrebbero
cambiato la storia della Germania e del mondo. E così si è mantenuta nel corso di
tutta la sua lunghissima esistenza, attraversando le lande desolate del
dopoguerra, scansando con il fascino della sua straordinaria e riconosciuta
grandezza di cineasta, fotografa e cultrice della bellezza, la compromissione con il
nazionalsocialismo ed in particolare con Hitler che fece di lei un “mito”
scandalizzando i suoi molti amanti, i gerarchi, la buona borghesia. Ma anche chi
guardava atterrita la “diabolizzazione” della regista, non poteva che rimanere
impigliato nelle spire seduttive che era capace di mettere a nudo senza provare
nessun complesso, sfidando perfino i potenti del tempo e non soltanto per l’alta
protezione di cui godeva.
E della combinazione micidiale di sensualità e prodigio artistico da cui trasse la
fama che l’avrebbe accompagnata dal flirt con il nazismo allo scandaglio degli
abissi marini alla scoperta dell’universo magico delle forme incantevoli dei nubiani,
ci offre una descrizione seducente Lilian Auzas, giovane studioso francese degli
artisti nei regimi totalitari, con una biografia romanzata della donna la cui luce non
si spense l’8 settembre del 2003, all’età di centouno anni probabilmente rivedendo
per l’ultima volta l’unico film che tutti li comprendeva e tutte le fotografie che aveva
scattato: la Bellezza cercata, trovata e posseduta. Chi nell’estetica della
Riefenstahl fruga tra le compromissioni e le contraddizioni perde tempo. Da
Olympia al Trionfo della volontà, non troverà altro che una corsa sfrenata dietro il
mondo delle forme, come una sacerdotessa votata alla proposizione della
Bellezza nel suo dispiegarsi nei corpi, nella natura, nella materialità. Il resto non
conta. Debolezze universalmente perdonate. Doveva molto e niente a Hitler. A
ottant’anni disse: “È una tale ombra sulla mia vita che la morte sarà per me una
liberazione”. Visse altri ventuno anni. Nell’ultimo istante, Horst Kettner, suo
compagno infinitamente più giovane, le teneva la mano piangendo. Ed era
bellissimo per Leni. Come la vita attraversata in un attimo.
LILIAN AUZAS, Riefenstahl, Elliot
http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/11/22/985924-libro-leni-luci-hitler.shtml
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tra Hitler e Hollywood
Due dive rivali
tra Hitler e Hollywood
Leni Riefenstahl e Marlene Dietrich nel dramma della Germania
Se la Repubblica di Weimar fosse durata, l’attrice Marlene Dietrich e la regista Leni Riefenstahl avrebbero forse potuto collaborare. Non è detto, ma la combinazione dei loro talenti ci avrebbe magari regalato dei grandi film.
Purtroppo, come racconta Gian Enrico Rusconi nel saggio Marlene e Leni (Feltrinelli), le loro vicende artistiche s’intrecciarono con gli eventi più tragici del Novecento, che le indirizzarono su sentieri completamente diversi.
La Riefenstahl divenne amica di Adolf Hitler e contribuì a costruire il carisma del Führer con la macchina da presa. Non si tratta solo delle due opere dedicate al nazionalsocialismo, La vittoria della fede e Il trionfo della
volontà (i titoli dicono già molto), perché anche Olympia, il suo famoso documentario sull’Olimpiade berlinese del 1936, portò notevoli vantaggi d’immagine al Terzo Reich. D’altronde si tratta di capolavori che tuttora
colpiscono la fantasia anche di giovani come lo scrittore francese Lilian Auzas, nato nel 1984 e autore di una biografia romanzata della regista, intitolata semplicemente Riefensthal (Elliot).
Durante la guerra, la regista protestò per un crimine cui aveva assistito in Polonia, ma non si staccò mai dal regime. I diari di Joseph Goebbels, nota Rusconi, smentiscono il tentativo della Riefenstahl di presentarsi nelle sue
memorie come invisa al famigerato ministro della Propaganda. Ci si può anche legittimamente chiedere, come fa Sonia Michelacci nel volume illustrato Il cinema tedesco nel Terzo Reich. Leni Riefenstahl (NovAntico
Editrice), se in un contesto diverso da quello nazionalsocialista la sua arte avrebbe avuto analoghe possibilità di rifulgere. Il fatto che il quesito sia posto da un’autrice di estrema destra, la Michelacci appunto, non toglie nulla
al suo rilievo.
Opposto a quello di Leni fu il percorso della Dietrich, legata al clima spregiudicato della Berlino weimariana e soprattutto al regista ebreo Josef von Sternberg («l’unico uomo cui ho permesso di sottomettermi, di controllarmi,
di guidarmi», lo definì l’attrice), che l’aveva lanciata con il leggendario film L’angelo azzurro e poi accompagnata negli Usa. Marlene chiese la cittadinanza americana nel 1937 e l’ottenne nel 1939, rompendo apertamente con
il Reich. E durante la guerra mise la sua popolarità al servizio della causa alleata, tanto da suscitare nei compatrioti un risentimento duraturo, sfociato in contestazioni durante una tournée musicale in Germania nel 1960.
Il libro di Rusconi va però ben oltre la dimensione politica. Raffinato conoscitore della cultura tedesca, l’autore individua nella Dietrich e nella Riefenstahl un impressionante groviglio di contraddizioni. Marlene è un’artista
conturbante specie per la sua capacità di giocare sulla trasversalità sessuale, che si riflette anche in una vita privata disinibita, ma nello stesso tempo coltiva nel lavoro un senso prussiano della disciplina e, anche quando
diventa americana, resta tedesca nel profondo dell’anima, come dimostrano i film del dopoguerra Scandalo internazionale e Vincitori e vinti. Leni, in quanto regista, «segnala un orizzonte nuovo per le donne», anche se la
sua vicinanza al dittatore ne sminuisce la carica emancipatrice, ma soprattutto sa coniugare un arcaico immaginario romantico all’uso d’avanguardia della cinematografia: questa «estetizzazione della tecnica», ripresa nei
suoi lavori fotografici postbellici, la colloca a buon diritto nel filone che Jeffrey Herf ha chiamato «modernismo reazionario». Solo due dive così diverse e intimamente combattute, suggerisce Rusconi, potevano incarnare con
tanta efficacia la vitalità e i tormenti della Germania tra Weimar e Hitler.
Gian Enrico Rusconi, Marlene e Leni. Seduzione, cinema e politica, Feltrinelli, pagine 206, ! 16
Lilian Auzas, Riefenstahl, traduzione di Monica Capuani, Elliot, pagine 189, ! 18,50
Sonia Michelacci, Il cinema tedesco nel Terzo Reich. Leni Riefenstahl, NovAntico Editrice, pagine 316, ! 35
Antonio Carioti
Tag:cinema, Leni Riefenstahl, Marlene Dietrich, nazismo
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