Furla Global Brand, l`innovazione cambia pelle

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Furla Global Brand, l`innovazione cambia pelle
Furla
Protagonisti
Furla
Global
Brand,
Nicoletta Chieregato
Responsabile Planning e
Allocation di Furla
Matteo Curci
Senior Application Analyst
di Furla
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itasascom 2/2012
l’innovazione
cambia pelle
Il
settore della pelletteria e degli accessori in pelle traina il
comparto della moda Made in Italy. Nel
primo semestre del 2011, la domanda è
stata innescata dai mercati emergenti.
La Cina sta giocando un ruolo sempre
più importante, nonostante l’aumento
dei costi energetici, della lavorazione e
delle materie prime. Alta gamma e segmenti “premium” sono i protagonisti del
consolidamento dei miglioramenti dopo
il rallentamento registrato nel 2010, con
rialzo degli ordinativi esteri e incremento della produzione. Sul fronte della domanda interna permane - invece - una
forte debolezza, con consumi in fase di
stagnazione. Lo scenario è caratterizzato
da una fase di assestamento a doppia velocità. Da un lato, ci sono realtà produttive in forte sofferenza strutturale. Dall’altro, troviamo imprese competitive, che
hanno saputo puntare sull’innovazione,
come Furla. Il marchio bolognese di borse e accessori rappresenta una pagina
Protagonisti
importante del made in Italy, dal 1927. Storia di
famiglia e vocazione imprenditoriale da pubblic
company si intrecciano. Fondata da Aldo e Margherita Furlanetto, Furla - oggi - è una società per
azioni, che fa capo a Giovanna Furlanetto, meglio
conosciuta come la signora delle borse.
LA DOMANDA SI SPOSTA
Nel 2011, Furla ha fatturato 179 milioni di euro,
con una crescita a doppia cifra rispetto al 2010.
Le vendite fuori dai confini nazionali sono sempre state un punto di forza dell’intero mondo
della pelletteria e degli accessori in pelle, ma ora
il loro peso è diventato sempre più determinante.
C’è una sostituzione progressiva della domanda
interna con quella generata sui mercati esteri.
Furla è stata una delle aziende pioniere in paesi come la Russia e la Cina. Il Giappone - dove è
presente da vent’anni con 60 negozi monomarca
- continua ad essere una delle piazze più importanti, che da sola vale il 26% del mercato. Il resto
è ripartito tra Italia (27%), Europa e Middle East,
Asia e Usa. Ma come si continua a crescere in un
momento di forte incertezza economica? Seguire
la domanda è solo uno degli aspetti della strategia di Furla. Avere un approccio retail nel mondo
della moda significa comprendere la domanda e
allineare produzione e assortimento.
LOGICA RETAIL E VELOCITA’
Furla è un brand internazionale presente in 63 paesi. L’ottanta per cento della distribuzione è retail
con 319 negozi monomarca (145 sono di proprietà
e 174 in franchising), e il 20% wholesale attraverso
1.290 tra punti vendita selezionati e department
store. Velocità di analisi e velocità di risposta, logica distributiva con approccio retail sono i punti
chiave che completano la strategia di Furla. A
mettere in pratica il nuovo corso inaugurato da Eraldo Poletto, amministratore delegato di Furla Spa dal giugno
2010, ci sono Nicoletta
Chieregato, Responsabile Planning e Allocation e Matteo
Curci, Senior Application Analyst.
L’ASSORTIMENTO ANALITICO
Nicoletta Chieregato è in azienda dal 2006, ha alle spalle una solida
esperienza nel marketing di prodotto. Il suo stile di management si
basa sulla chiarezza, l’individuazione delle competenze e sul consenso: «La passione fa sempre la differenza e per essere un brand
globale, non ci si può affidare alla fortuna, ma ci vuole un approccio
analitico per restare collegati alla domanda». Non solo. «Il primo
passo che abbiamo fatto è stato quello di ottimizzare la strategia
distributiva partendo dall’assortimento dei punti vendita, passando
da una logica centralizzata generica a una “clusterizzata”». Questo
è il cuore del progetto di collaborazione, che ha messo a fattore comune le soluzioni SAS e l'expertise manageriale e tecnica di VALUE
LAB. Partendo dall’esame dei dati di oltre 150 negozi campione,
con 1,7 milioni di transazioni e 13mila codici prodotto, il progetto
ha permesso di classificare i punti vendita, a livello world wide, in
cluster omogenei, basandosi su decine di parametri, alcuni riferiti ai
dati storici di vendita, come il fatturato e la tipologia dei prodotti
venduti, altri specifici di ogni punto vendita come la superficie, il
numero di addetti e la collocazione geografica. «Il progetto è nato
nella seconda metà del 2011 - spiega Matteo Curci, che segue Furla,
come consulente, dal 2009. «L’obiettivo è comprendere, meglio
grazie alle tecnologie di business analytics il mercato di riferimento, disegnando la
mappa delle vendite per parametri:
consumi, country, canale, stock
cluster, punto
vendita. Una
gestione efficace del
processo
di assortment planning può migliorare
le vendite e la rotazione degli inventari,
incrementare
la produttività e i
margini. Non si tratta più di indovinare o
affidarsi alla fortuna,
ma di avere un approccio
scientifico nel ciclo di assortimento.
Essere reattivi e veloci impone di far
riferimento a soluzioni informatiche
affidabili.
Il punto di partenza è stato quello di indagare con più precisione le anagrafiche
dei punti vendita e strutturare i dati per
renderli disponibili ad algoritmi di scoperta,
in grado di tradurli in informazioni utili per comprendere i flussi di vendita. Questi dati saranno la base su cui
costruire in house l’architettura analitica di merchandise planning per sincronizzare gli obiettivi a tutti i livelli
dell’organizzazione e ottimizzare sia l’esecuzione, sia la
redditività dell’attività».
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“upper-local”, “turistico”, “upperIL MIX MERCEOLOGICO IDEALE
turitico” e “flagship-store”. Tutti i
«Assortimento è solo una parola - avverte Nicoletpunti vendita che appartengono
ta Chieregato - ma dietro c’è un mondo. Non voa un determinato cluster - per
levamo più fare buying, punto vendita per punto
esempio, quello “upper-turism”,
vendita, ma volevamo fare assortment planning
con clientela prevalentemente
e buying a livello di cluster. Volevamo trovare un
turistica e con una propencriterio di classificazione dei punti vendita che
sione di spesa mediamente
fosse più in contatto con la realtà commerciale
più elevata e che si spinge
dei negozi e che prescindesse dalla tradizionale
più sul prodotto “fashion”,
classificazione basata su fatturato e dimensione».
rispetto a quello “classico conserEsaminando i dati, e grazie a successivi rework
vativo” - avranno un profilo di buying e di
- che hanno coinvolto, a quattro mani, sia i maassortimento allineato a queste caratteristiche a
nager Furla, sia la forza vendita - i negozi sono
prescindere dalle dimensioni.
stati classificati in gruppi sempre più coerenti, asLa dimensione del negozio e il volume di vendite sono parametri
sociando a ogni gruppo un “pacchetto” di assorche influenzano la quantità di merce per tipologia di prodotto che
timento. «Assortment planning significa identisi immette in negozio, ma non sono i driver nella definizione del
ficare il mix merceologico ideale, per ogni cluster
mix qualitativo».
di punto di vendita, con effetti positivi non solo a
garanzia della perVEDERE LA REALTÀ
formance del negoNEI DATI
zio, ma anche del
Il progetto ha avuto subito una
margine aziendale,
La gestione efficace del processo di
prima implementazione nella
che contribuisce al
pianificazione assortimentale
raggiungimento
assortment planning può migliorare vendite
della Fall Winter 2012. «Il riledegli obiettivi ecoe rotazione degli inventari e incrementare
vamento statistico deve essere
nomici e finanziari.
produttività e margini.
accompagnato anche da un
La vera sfida è metrilevamento “qualitativo” dei
tere insieme la podati. Un numero da solo dice molte cose - mette in guardia Nicoletta
tenza degli stumenti analitici e l’arte di vendere».
Chieregato - ma per evitare “sporcature” è necessario passare alla
Il primo importante risultato? «Avere una mappa
verifica basata sulla conoscenza diretta del punto vendita. Il rischio
distributiva, che coincide con le reali esigenze dei
è quello di inserire un negozio all’interno di un cluster sbagliato.
negozi».
Ad esempio, uno store, che dall’analisi quantitativa appariva come
“conservativo”, alla verifica dei retail manager è emersa come profiDIMMI COSA VENDI E TI DIRÒ CHI SEI
lo potenziale più “fashion”: il risultato delle vendite era strettamenIl progetto ha prodotto come output il mix merte legato al fatto che il personale addetto alle vendite aveva più
ceologico in termini di fascia prezzo e di tipologia
confidenza con quel tipo di prodotto e tendeva anche ad esporlo di
prodotto. «Abbiamo individuato una clusterizzapiù. Dove il buying e il visual merchandising sono gestiti con ampi
zione diversa per ogni categoria merceologica margini di autonomia, le performance dei punti di vendita sono forspiega Nicoletta Chieregato - e solo per le borse
temente influenzate da dinamiche qualitative legate alla persona
abbiamo identificato undici cluster a livello monche fa gli acquisti o addetta alle vendite. Se ci fossimo fermati solo
do. La tipologia per prodotto prevede tre cluster:
alla semplice classificazione dei dati, avremmo costruito dei cluster
“classico-continuativo”, “divulgativo-commerciale”
non coerenti in termini potenziali prospettici. Il confronto con la
e “fashion”. Tre sono invece state le fasce prezforza commerciale è stato fondamentale per trovare una validaziozo considerate: “entry”, “medium” e “high”. Per
ne del progetto». ✔
Europa e Italia siamo andati più in profondità rispetto alla classificazione di partenza
che prevedeva un unico “contenitore”
definito
“Europa continentale”. Questo “contenitore” era troppo
VALUE LAB, partner di SAS specializzato nel Sales, Marketing & Recompatto e con
tailing, ha dato un contributo determinate alla riuscita del progetto.
una eccessiva eteL’intervento di VALUE LAB ha consentito l’identificazione dei pacchetti
rogeneità al suo
assortimentali in termini di mix e di quantità per la definizione ed ottiinterno e lo abmizzazione delle politiche di merchandising.
biamo “spacPer segmentare le boutique FURLA a livello mondo sono stati presi in
chettato” per
esame i differenti profili di boutique (tipologia, localizzazione, metratrovare delle
tura, addetti, ecc.) ed i dati di sell out suddivisi per stagione, famiglia di
aree di omoprodotto, stile e posizionamento di prezzo.
geneità più
La metodologia applicata rappresenta una best practice di utilizzo delogiche, utilizzangli Analytics nell’industry fashion & luxury.
do cinque cluster: “local”,
“
„
 Il partner: VALUE LAB
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