Versione Finale

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Versione Finale
DECAMERON
I. Andreuccio da perugia
II. fra’ cipolla
III. Calandrino e l’elitropia
IV. Guido cavalcanti
V. lisabetta da messina
VI. federigo degli alberighi
Opera di approfondimento e studio di alcune
novelle del DECAMERON ad opera degli alunni della
classe IIIE. Il lavoro è a completa disposizione della
rete purchè esso venga utilizzato con sapienza e
citato da chi si avvicinerà alle novelle.
iii E - Mascheroni
Andreuccio da perugia
RIASSUNTO
Andreuccio, giovane e ingenuo cozzone (sensale) perugino, si reca a Napoli con 500 fiorini d'oro
con l'intento di acquistare alcuni cavalli nel mercato della città. Qui mostra più volte la somma di
denaro ma non fa acquisti. Durante le trattative mostra spesso il suo gruzzolo per mostrarsi
interessato ma non porta a termine alcun affare. Questa grande quantità di denaro attira
l'attenzione della gente, fra cui quella di una giovane e bellissima cortigiana siciliana. Mentre è
impegnato nelle compravendite una anziana donna, siciliana anch'ella, gli corre incontro e lo
abbraccia affettuosamente; era infatti un'antica servitrice del padre di Andreuccio che lo aveva
riconosciuto ed era andata a fargli festa. Egli ricambia e si reca all'albergo. Nel mentre, la bella
siciliana chiama a se’ la vecchia signora e le chiede di raccontargli le vicissitudini che la
legavano alla famiglia del perugino. Ottenute le informazioni desiderate le dà degli incarichi
affinché sia occupata tutta la giornata e manda una sua servetta fedele all'albergo dove
alloggiava Andreuccio per invitarlo a casa sua. La giovane svolge la missione e il protagonista la
segue senza cautele. Giunto nella dimora della siciliana, situata nella contrada Malpertugio,
riceve una calorosa e commuovente accoglienza dalla padrona che sostiene di essere sua
sorella illegittima e si rallegra di averlo incontrato. A supporto di questa affermazione ella espone
la storia della parentela che li lega e chiede informazioni sul resto della famiglia fornendo molti
dettagli e nomi, saputi dall'anziana signora, che portano il protagonista a credere all'inganno. Lo
convince a fermarsi per la cena e la nottata e i due conversano fino a tardi. All'ora di andare a
dormire viene fatto accompagnare da un servo nella sua camera e lì, dopo essersi cambiato, si
reca nel bagno, che altro non era che una costruzione di legno posizionata nello spazio
esistente fra due case. Qui il pavimento cede e il giovane cade sui liquami, ritenendosi fortunato
di non essere perito per il gran salto. Ripresosi dall'incidente e resosi conto dell'accaduto
comincia a chiamare aiuto a gran voce. Non ricevendo risposta nemmeno dalla presunta sorella,
viene addirittura minacciato da un malfattore del quartiere, in combutta con la giovane, per il
disturbo della quiete. Amareggiato decide quindi di far ritorno all'albergo e durante il cammino si
imbatte in due loschi figuri ai quali racconta la sua vicenda. I due si offrono di aiutarlo
coinvolgendolo in un furto notturno, che gli permetta di recuperare il denaro perso, ma non
sopportando il mal odore del giovane decidono di farlo lavare. Giungono ad un pozzo ove vi
calano Andreuccio direttamente, per via della mancanza del secchio. Mentre questi si lava i due
ladri scappano a causa dell'arrivo dei vigilanti, che intendono dissetarsi al pozzo. Quando però
fanno per issare il secchio sollevano anche Andreuccio che uscendo dal pozzo li spaventa al
punto da farli fuggire. Vagando egli si imbatte nuovamente nei malviventi e i tre si recano al
Duomo per mettere a segno il loro colpo. Il loro intento è quello di profanare la tomba di un
arcivescovo appena sepolto per privarlo del ricco corredo funebre, di cui fa parte un anello di
rubino dal grande valore. Il protagonista viene obbligato ad entrare nell'arca del morto dopo aver
puntellato il sarcofago ed egli comincia a spogliare la salma tenendo per sé il prezioso gioiello
ben conoscendo la natura dei due complici. Quest'ultimi continuano a chiedere l'oggetto del loro
desiderio ma, ricevendo sempre da Andreuccio risposte negative, fuggono lasciandolo
intrappolato nell'arca. Il giovane dapprima si dispera e poi sviene, per essere svegliato la mattina
seguente dalla processione che si è recata a rendere omaggio all'ecclesiastico. Quando un
prete fa per entrare nell'arca il giovane lo afferra per la caviglia e lo tira verso di sé,
spaventandolo a morte e causando la fuga collettiva dal Duomo. Può infine uscire
tranquillamente dal sepolcro e fare ritorno all'albergo per poi dirigersi verso Perugia, risarcito in
parte della perdita dalla sorte, avendo ottenuto il prezioso anello.
ANALISI
Narratore e Registro
Il narratore di questa novella è Fiammetta, giovane della nobile brigata dell'opera e onnisciente
nella sua narrazione. (5^ novella della seconda giornata) Fiammetta è dunque narratrice di
secondo grado, mentre Boccaccio rimane quello di primo e riesce a far trapelare qualche suo
giudizio nella narrazione. Reggente della giornata è Filomena. Narratore eterodiegetico.
Il registro è quotidiano ma si adatta al livello culturale e sociale delle voci dei vari personaggi. Ad
esempio, il registro dei malfattori e basso e scurrile, mentre quello della siciliana nel suo inganno
è piuttosto medio­elevato e per questo convincente.
Tempo
L'epoca in cui si svolge la vicenda non ci è comunicata da Boccaccio tuttavia possiamo risalire
all'ambientazione temporale sapendo che il vescovo di Napoli che è citato ,“Filippo Minutolo” ,
morì il giorno precedente lo svolgimento dei fatti, ossia il 24 ottobre 1301.
La narrazione copre un arco di tempo poco più lungo di un giorno (dall'arrivo di Andreuccio a
Napoli, sul far della sera, alla mattina di due giorni dopo). Inizialmente la narrazione è lenta,
prevalgono, infatti, la descrizione (scena del mercato, e dell'ingresso nella casa della ciciliana) e
il dialogo (dialogo tra Andreuccio e la siciliana); di seguito diventa sempre più serrato e veloce
man mano che la storia incalza. Il tempo della narrazione coincide quindi con quello della storia.
La prevalenza dei discorsi diretti è comune a tutta la novella e da’ a chi legge l’idea di vivere la
scena, rende l’opera più vicina a quella che è la vita quotidiana, coinvolgendo il lettore in una
maniera senza precedenti nella storia della letteratura.
L'intera narrazione è sinonimo di un iter formativo per il protagonista che, giunto nella città come
inesperto e ingenuo giovane di provincia, fa ritorno a casa indenne e ricco di esperienza e nuove
armi, che ha imparato a utilizzare a proprie spese e che gli saranno utili nel tempo a venire.
Fabula e Intreccio
Fabula e intreccio coincidono per quasi tutta la durata della narrazione eccezion fatta per la
breve analessi della siciliana che fa riferimento ad eventi passati non realmente accaduti,
narrando la propria storia.
Spazio
La vicenda è ambientata a Napoli, che all'epoca era una delle principali metropoli di mare
d'Europa. La città rappresenta metaforicamente il luogo della confusione e dell'inganno,
assimilabili alla sua natura mercantile e varia. Appare come un vantaggioso crocevia
commerciale, limpido e fiorente alla luce del sole che cambia la propria faccia con l'avvento della
notte. Tuttavia già durante il giorno, in maniera implicita, sono presenti le componenti ingannatrici
e beffarde che la contraddistinguono. Nel corso della notte il protagonista si trova più volte in
difficoltà, non ha alcun punto di riferimento e si imbatte in individui loschi e truffaldini.
“Malpertugio”, che è il quartiere presentato, è un nomen omen che preannuncia la natura della
contrada e il destino cui andrà incontro lo sventurato giovane.
Boccaccio dà prova di conoscere la città campana in tutti i suoi aspetti ed essa non è scelta a
caso: infatti fa da luogo di formazione sia per Boccaccio stesso che per Andreuccio, anche se in
modi nettamente diversi.
La collocazione risulta sempre molto precisa, troviamo riferimenti a Malpertugio, al mercato, alla
Ruga Catalana e al Duomo della città.
Personaggi
ANDREUCCIO: è il protagonista della vicenda ed è un giovane ingenuo che giunge da Perugia
per fare affari, è dinamico (perchè passa da truffato a truffatore) e acquisisce le armi del “saper
vivere” boccacciano nel corso della narrazione. E' molto sfortunato ma pian piano impara a
servirsi del caso e a non subirlo passivamente; fa tesoro delle esperienze vissute. Da borioso
mediatore commerciale impreparato diviene astuto e pronto per una vita pericolosa e piena di
insidie e sotterfugi, come quella che la sua professione richiede.
FIORDALISO: è un personaggio statico e esempio della donna maliziosa, orditrice di inganni ai
danni di poveri sprovveduti. Utilizza, nel perseguire i suoi scopi, la sua intelligenza ma anche la
sua bellezza “impura” e tutta una schiera di aiutanti. E' in grado di utilizzare le sue doti di
ingannatrice e parla senza esitazione sino a convincere del tutto Andreuccio. Rappresenta
anche la donna “esotica” per l'epoca e dalla sua descrizione fisica e delle abitudini emerge la
radicata conoscenza di Boccaccio nei confronti di culture ed etnie diverse.
I LADRI: sono un personaggio statico e in qualche modo vengono rappresentati dapprima come
aiutanti, poi esprimono la loro vera natura opportunistica e spregiudicata. Fanno sì che il
protagonista apprenda in maniera definitiva la lezione. Sono un tipo.
Il VICINATO di Malepertugio (personaggio secondario): è un personaggio corale e statico e
identificativo del luogo in cui si svolge la scena. E’ costituito probabilmente da malfattori e uomini
privi di ogni valore d’animo che sono in combutta con Fiordaliso, che si serve anche di loro per
perseguire i suoi scopi. C’è una certa solidarietà fra malviventi, pronti ad aiutarsi fra di loro come
in una grande banda.
LA VECCHIA (personaggio secondario): è un personaggio statico ed è un tipo, è arma
inconsapevole dell’inganno della siciliana e docilmente obbedisce agli impegni che le vengono
assegnati. Viene utilizzata da Boccacio come trait d’union fra il protagonista e l’ingannatrice, che
basa il suo piano su un incontro così fortuito.
Blocchi Narrativi
• L’ingenuo Andreuccio a Napoli e dinamiche del mercato (dall’inizio alla riga 20)
Andreuccio, il giovane e inesperto sensale perugino, giunge a Napoli per affari con una
consistente somma che mostra incautamente; viene riconosciuto al mercato da una anziana
signora conoscente del padre.
• Il primo inganno (da riga 21 a 144)
Una bella siciliana avvicina la vecchia (sua amica) e la interroga per ottenere tutte le informazioni
possibili sul forestieri, di seguito le affida faccende affinché sia impegnata per tutta la giornata.
Dunque invita a casa sua Andreuccio che vi si reca e viene raggirato: la bella donna gli fa
credere di essere sua sorella con una recita perfetta e diversi riferimenti al parentado.
Andreuccio è vittima della trama e si intrattiene sino a tarda serata, quando si cambia per la
notte e domanda dove sia il bagno.
• L’incidente e disillusione (da 145 a 207)
Inaspettatamente un’asse del pavimento del bagno cede e il protagonista si ritrova nella latrina
confuso. Ripresi i sensi egli cerca di ritornare nella casa della “sorella” e grida e fa rumore senza
essere ricevuto ma viene addirittura minacciato dal vicinato.
• Incontro coi ladri e scena del pozzo (da 208 a 263)
Andreuccio incontra per caso due ladri e si unisce a loro con l’intento di rubare nell’arca
dell’arcivescovo. Viene a sapere dai due di essere stato in casa di un brigante e di essersi quindi
salvato grazie all’imprevisto cedimento strutturale del pavimento. A causa del suo tanfo lo calano
in un pozzo perché si possa lavare ma lo abbandonano lì all’arrivo della polizia, che lo issa
senza sapere della sua presenza e fugge spaventata da qui dopo averlo visto risalire. Di seguiro
il giovane incontra i due ladri e proseguono nei loro intenti
• Il furto nel Duomo e ritorno a casa del “nuovo” Andreuccio (da 264 alla fine)
Nell’arca dell’ecclesiastico Andreuccio passa tutte le ricchezze ai complici ma tiene per sé
l’anello, che dice di non trovare. I due malviventi tolgono quindi il supporto alla lastra della
costruzione e lo lasciano imprigionato nel sepolcro. Il protagonista si dispera e teme per la sua
sorte e sviene per essere poi svegliato dai suoni della messa. Un prete fa per entrare nella
tomba e Andreuccio prontamente gli afferra la gamba e lo tira verso di sé; a questo evento
segue una fuga di massa dalla chiesa e Andreuccio può tornarsene indisturbato all’albergo per
poi fare immediatamente ritorno a casa, più che risarcito della perdita.
Argomenti
Lo spunto di narrazione della seconda giornata, cui appartiene “Andreuccio da Perugia”, è quello
dei racconti a lieto fine, indicazione che la narratrice Fiammetta rispecchia appieno.
I temi presenti sono i seguenti:
● Il Mondo dei Mercanti
Il mondo mercantile emerge con prepotenza dalla narrazione, facendo luce su un aspetto chiave
dell’epoca trecentesca con precisione, consegnandoci una valida fotografia della società
borghese.
Andreuccio, anche se alle prime armi e ancora ingenuo, è un mediatore, parte comunque
integrante di questo mondo (tanto che il giovane vuole acquistare cavalli per rivenderli egli
stesso), che si reca in viaggio per affari. Da questo evinciamo la dinamicità della classe sociale
cui appartiene, che si muove sul territorio per avere vantaggi economici ed è dotata di capitali
consistenti pronti per essere investiti. Simbolo di questa dimensione è il mercato che è luogo
delle occasioni e delle compravendite ma cela in sé inganni e controversie. Le doti tipiche della
figura del mercante boccacciano sono l’astuzia, la capacità di adattarsi ad ogni situazione e la
lungimiranza, ma queste capacità possono essere assunte solo grazie all’esperienza e quindi il
protagonista non ne è ancora munito. Solo l’esperienza consente al mercante di divenire
“completo professionalmente”.
● L’Inganno
La cittadinanza di Napoli appare come dedita all’inganno, pratica che si rendeva necessaria per
la sopravvivenza delle classi sociali meno abbienti ma era comune anche a quelle più elevate. Si
collega strettamente alla furbizia che risulta un’arma pericolosa e dalle due facce, l’una positiva
che consente di trarsi d’impiccio nel migliore dei modi e l’una negativa, volta al raggirare il
prossimo per fini poco nobili. A forza di subirne sulla pelle le conseguenze il protagonista arriva a
padroneggiare quest’arma, che lo renderà più completo e preparato alla vita (approfondito
nell’ultimo punto).
● Il potere della parola
L’emblema di questo potere è madama Fiordaliso, che inganna lo sventurato protagonista con le
sue doti di oratrice e la sua retorica: infatti durante la finzione non ha esitazioni e risulta
convincente. Questa sua abilità è comunque supportata dalla grande bellezza della donna, che
le consente di essere doppiamente convincente e di superare i pregiudizi e le difese preliminari
di coloro con cui viene a contatto. Le situazioni di vita che noi possiamo ipotizzare la donna
abbia vissuto hanno sviluppato in lei capacità non assimilate con metodi didattici ma solo con
l’esperienza delle diverse vicende che si è trovata a vivere. La parola ha qui solo valenza
negativa in quanto utilizzata come strumento di persuasione a fini d’inganno, a differenza di altri
passaggi dell’opera.
● Il ruolo della sorte
Il Caso è, almeno per la prima parte della novella, il regista della narrazione: il protagonista è
pedina impotente in balia della sorte e ne subisce le conseguenze. E così l’anziana signora lo
rivede e riconosce dopo tanto tempo e in questo punto la sorte gli è avversa, per caso
l’ingannatrice siciliana conosce questa signora e ancora una volta la sorte non gli sorride e così
sarà sino all’incidente della latrina, che gli consentirà di salvarsi la vita senza che lui se ne renda
conto. Da questo momento in poi il giovane è sempre più consapevole delle proprie azioni e
pronto non ad essere vittima degli intrighi del caso bensì a volgere a suo vantaggio le diverse
situazioni che gli vengono offerte. La fortuna passa quindi da artefice del destino del personaggio
a agente esterno con la sua importanza ma modificabile dall’arte del “saper vivere boccacciano”,
acquisibile solo con l’esperienza. Metafora dei passi in avanti compiuti dal protagonista sono i
vari movimenti dall’alto verso in basso e viceversa che compie, che sono una sorta di “morte e
rinascita” progressiva del perugino. La fortuna passa per gradi da un ruolo di antagonista a
quello di aiutante, con questi gradi coincide l’evoluzione di Andreuccio, nel suo iter formativo.
Come Andreuccio, anche i prodighi e gli avari (Divina Commedia, Inferno VII) sono soggetti al
volere della Fortuna anche se il concetto di Fortuna espresso da Dante differisce dal concetto di
Fortuna inteso da Boccaccio:
• Secondo Dante la Fortuna agisce "oltre la difension de' senni umani"; secondo la concezione
dantesca la Fortuna è ministra del cielo e cambia continuamente le sorti dell'uomo per volere di
Dio in modo incontrastato ed incontrastabile.
• Secondo Boccaccio, e nel finale della novella è chiaro, alla Fortuna si contrappone l'arditezza
dell'uomo. Il caso si accanisce contro coloro che non sono in grado di contrastarla, ma è
possibile da parte dell'uomo, grazie all'utilizzo dell'ingegno, raggiungere una sorta di padronanza
del proprio futuro, una sorta di predominio sulla Fortuna stessa.
• L’uomo non è succube della Sorte, che pure è regista dell’azione, ma è in grado di adattarsi ai
cambiamenti repentini del destino e di volgerli a proprio vantaggio, secondo quella che sarà una
concezione decisamente Umanistica.
● L’Iter formativo
Le vicissitudini napoletane del giovane perugino lo portano ad acquisire una maggiore
conoscenza di ciò che lo circonda, dandogli la possibilità di apprendere dai propri errori e di
superare situazioni sgradevoli, che però sono fondamentali per la sua formazione di mercante e
di uomo.
La novella può essere interamente letta in chiave allegorica. In questa chiave, le vicende di
Andreuccio sono un percorso di iniziazione del giovane che si fa man mano più adulto e scaltro
e che è pronto così ad iniziare la propria vita in società.
La caduta nel chiassetto rappresenta il degrado morale di Andreuccio; la discesa nel pozzo è un
pericolo per il protagonista, ma allo stesso tempo determina anche un inizio di purificazione
(Andreuccio lavandosi purifica il corpo e anche lo spirito, rendendo così sempre più vivo e acuto
il proprio spirito di iniziativa); la terza ed ultima discesa, nell'arca, rappresenta una sorta di morte
simbolica. Uscendo dall'arca, Andreuccio "risorge" ed è un uomo pienamente consapevole di sé
e di nuovo ricco.
Questo ultimo tema a fatto pensare alcuni critici ai “libri dei mercanti”, in cui venivano lasciati a
patrimonio degli eredi i trucchi e le tecniche tipiche del mestiere. Andreuccio è ancora inesperto
e paga sulla pelle questa sua caratteristica. L’esperienza lo porterà ad essere un eroe
boccacciano completo, attraverso un iter formativo paragonabile a un grandioso e particolare
libro della tipologia appena citata.
Focus sulla narratrice
Il suo nome allude alla donna amata da Boccaccio durante il suo soggiorno a Napoli, che
secondo una leggenda forse alimentata da lui stesso sarebbe stata una figlia illegittima del re
Roberto d'Angiò; Fiammetta è anche la protagonista dell'Elegia omonima, opera del periodo
fiorentino in cui la vicenda autobiografica napoletana è raccontata in forma romanzata e con i
ruoli rovesciati (Madonna Fiammetta, nobile napoletana, è abbandonata dal suo amante Panfilo,
di Firenze) e il suo nome compare anche nell'Amorosa visione e nella “Comedìa delle ninfe
fiorentine”, in cui è una delle sette ninfe. La novellatrice del Decameron è descritta come una
giovane dai lunghi capelli biondi e ricci, un bellissimo viso rotondo di colore bianco e roseo, occhi
scintillanti e una piccola bocca dalle labbra rosse: è il ritratto della bellezza femminile
canonizzata dalla letteratura classica e dallo Stilnovo.
Confronto con altre novelle affrontate
Calandrino e l’elitropia
Andreuccio, all’inizio della narrazione, può essere assimilato ad un “anti­eroe” boccacciano,
opposto all’eroe boccacciano, astuto, accorto e bravo ad adeguarsi e cavarsi d’impiccio con
l’ingegno. Tuttavia, a differenza di Calandrino che è l’emblema dello stolto e dello sprovveduto,
Andreuccio impara dai propri errori e impara l’arte del vivere, tipica delle figure eroiche dell’opera.
Anche in Calandrino è citato un mediatore, Maso del Saggio, che, a differenza del nostro eroe, è
un abile oratore e una persona già avveduta e matura. In entrambe le novelle, infine, la sorte
permette l’avvio della narrazione e daccentua le capacità intelletive di chi, con l’esperienza e le
doti personali, sa volgerla a proprio vantaggio.
Landolfo Rufolo
Da entrambe le novelle emerge il ruolo della Sorte, che per ambedue porta alla disgrazia e quasi
alla morte ma, allo stesso tempo, dà la possibilità ai protagonisti di riscattare sè stessi e
cambiare in meglio la propria vita. In Landolfo essa risulta superiore alle capacità dell’uomo e ne
condiziona l’esistenza. Andreuccio, invece, la Sorte dapprima ha un ruolo simile ma poi viene
man mano sfruttata dalla persona, mettendo in mostra che l’uomo accorto riesce a volgere a
suo favore.
Il mare, come la città, nel Decameron è luogo di irrazionalità, imprevedibilità e insicurezza, dove
l’uomo risulta succube di forze a lui superiori, riuscendo solo in certi casei a domarle.
In ognuna delle due novelle la conclusione coincide con il ritorno a casa del protagonista, segno
della sicurezza. Metafora del ritorno ad un nuovo inizio, che è il punto di partenza del
personaggio, ma che ne segna il miglioramento e i nuovi valori e le nuove capacità acquisiti.
Commento
L’insegnamento che Boccaccio offre ai lettori per mezzo di Fiammetta, ovvero che è possibile
per un uomo imparare dai propri errori facendo tesoro delle esperienze, talvolta traumatiche, che
si trova a vivere, è più che mai attuale.
Proprio il fatto che l’autore incentri la novella sul ceto mercantile, che ha il merito di essersi
formato grazie alle capacità dei singoli, le cui ricchezze provengono da un sapiente uso
dell’ingegno, identifica Boccaccio come appartenente alla corrente Umanistica. Benchè si ispiri
al Sommo Poeta per alcuni aspetti delle sue opere, qui la concezione medievale per cui gli
accadimenti della vita terrena sono immagine del volere immutabile di Dio viene a mancare. La
sorte è nelle mani dei personaggi e il caso tende ad aiutare coloro che si mettono in gioco più
sapientemente.
L’ambientazione del racconto prende luogo in un ambiente familiare allo scrittore poichè, figlio di
un importante mercante, aveva trascorso la sua giovinezza nella città partenopea venendo a
contatto con le più svariate realtà sociali che la caratterizzavano.
Bibliografia
• Wikipedia (abbiamo addirittura approfondito la voce, ottenendo un riconoscimento)
• “Testi e storia della letteratura”, G. Baldi, S. Giusso, M. Renzetti e G. Zaccaria, Paravia, 2010.
• “http://decameron.weebly.com”
Fra’ Cipolla
Frate Cipolla
La novella presa in analisi è collocata tra le novelle della sesta giornata del “Decameron” di
Boccaccio. Il narratore è Dioneo, il più scanzonato e ironico dei dieci ragazzi, che, avendo il
compito di portare allegria all’intera compagnia, è solito discostarsi dal tema scelto per la
giornata. Tuttavia, in questa novella, Dioneo decide di attenersi al tema deciso dalla regina della
giornata Elissa, narrando la storia di un uomo che è riuscito ad uscire da una situazione
imbarazzante usando l’ingegno ed in particolare la parola.
Frate Cipolla, appartenente all’ordine di Sant’Antonio, in Agosto, come tutti gli anni, si reca a
Certaldo per riscuotere le offerte dei fedeli. Durante la messa annuncia ai fedeli che all’ora nona
raccoglierà le offerte e promette loro di mostrare una reliquia: la penna che l’arcangelo Gabriele
perse durante l’Annunciazione.
Nella folla sono presenti anche due astuti giovani, amici del frate,
Giovanni del Bragoniera e Biagio Pizzini che decidono di giocargli una beffa. Si recano, quindi,
all’albergo, dove alloggia frate Cipolla che nel frattempo è andato a mangiare altrove lasciando il
suo fante, Guccio Imbratta o Balena o Porco, a sorvegliare la reliquia. Guccio, noto per la sua
negligenza, abbandona la stanza del padrone per andare a divertirsi in cucina con una cuoca
grossa, piccola e malfatta di nome Nuta. Quindi i due amici raggiungono senza impedimenti la
camera del frate e, trovando la penna in un bauletto, la sostituiscono con un po’ di carbone. Alla
nona, frate Cipolla fa il suo discorso ai fedeli e scopre la beffa. In questa situazione imprevista il
frate è abile nell’inventare una storia fantastica e priva di senso che racconta di un viaggio
immaginario che lo aveva condotto da “Nonmiblasmete Sevoipiace” il quale gli aveva donato
alcune reliquie della sua collezione tra le quali la piuma e i carboni sui quali fu arrostito San
Lorenzo. Essendo questo due reliquie in bauletti identici, il frate li aveva scambiati, non per
errore ma per volontà divina perché due giorni dopo sarebbe stata la festa di San Lorenzo.
Alla
fine della cerimonia i due, che gli avevano giocato lo scherzo e che avevano assistito al discorso
ridendo di cuore, si complimentano con il frate ridandogli la penna.
Analisi
Analizzando la novella si osserva innanzitutto che Dioneo è narratore di secondo grado, esterno
e onnisciente. È adottata la focalizzazione zero. Il narratore interviene talora direttamente nella
storia, con considerazioni ironiche, come quella iniziale sulle cipolle di Certaldo. Sono presenti
anche alcune metalessi, un appello al lettore nella riga 3 , un riferimento al presente nelle righe
80­83 e il narratore riferendosi al popolo usa degli aggettivi giudicanti come, per esempio,
“sciocchi” nella riga 6 e “stolta” nella riga 164. Si coglie in questi ultimi il disprezzo del narratore
per il popolo credulone, che lascia trasparire il giudizio di Boccaccio.
L’intera novella può essere divisa in sei blocchi narrativi:
1. Frate Cipolla giunge a Certaldo.
2. Biagio e Giovanni decidono di beffare il frate.
3. Furto della reliquia del frate.
4. Predica di frate Cipolla: il viaggio favoloso.
5. Predica di frate Cipolla: le reliquie.
6. Le donazioni del popolo e la rivelazione dello scherzo a frate Cipolla.
Fabula e intreccio coincidono, ad eccezione di un flashback inserito dopo il furto della penna,
quando la narrazione torna a trattare dei creduloni che, avendo sentito le promesse di frate
Cipolla, spargono la notizia per il paese.
Il racconto dura poche ore: dalla messa mattutina fino a poco dopo l’ora nona di una domenica di
agosto. Il racconto si inserisce nel periodo medioevale, probabilmente prima del 1240.
L’intera vicenda si svolge a Certaldo, un borgo della Val d’Elsa.
L’ambiente della novella è quello popolare ed ecclesiastico.
La novella tratta molteplici temi:
1. Il tema principale è la celebrazione dell’intelligenza e della capacità di “sapersela cavare”
grazie all’abilità oratoria nella situazioni più imbarazzanti e impreviste che la vita presenta.
Questo richiama anche il motivo centrale del Decameron: l’osservazione degli ostacoli che la
natura e la fortuna oppongono all’esistenza umana e l’esaltazione della forza e dell’intelligenza
dell’uomo.
2. La novella contiene una critica allo sfruttamento delle false reliquie da parte degli ecclesiastici
che approfittano della credulità popolare. In particolare è rivolta una critica all’ordine di
Sant’Antonio, noto nel Medioevo per i comportamenti privi di scrupoli con cui i frati abusavano
dell’ingenuità dei fedeli, contrabbandando false reliquie.
3. Emerge la contrapposizione di due ceti: uno basso rappresentato dai contadini ignoranti e
creduloni e da Guccio e uno elevato che si distingue perché dotato di una superiore competenza
nell’uso della parola.
Il divario verbale diviene, quindi, differenza sociale. La comunicazione diventa equivoca e si
trasforma in una delle tante armi del potere per sopraffare gli umili che non sanno decifrare la
verità celata dietro le apparenze e le menzogne.
È presente anche una critica al popolo ingenuo e credulone.
PERSONAGGI:
Il protagonista della novella è Frate Cipolla. La presentazione del personaggio è diretta. Il frate è
descritto come un uomo piccolo, dai capelli rossi e dal viso lieto. È un ottimo oratore, sebbene
sia un uomo di bassa cultura, amante delle allegre compagnie, eccellente furfante. Per certi
aspetti rappresenta il tipo del chierico che usa l’astuzia e la dialettica per ingannare il popolo
credulone. D’altra parte Boccaccio, nel delinearne la figura, ha saputo evitare le insidie del
personaggio­tipo, piatto e stereotipato, mettendo in luce, invece, i tratti vivi e veri del personaggio
a tutto tondo, sfaccettato e verosimile. Guccio è un personaggio secondario, presentato prima di entrare in scena dal narratore e
successivamente con un discorso diretto del frate.
Ha tre appellativi: Balena, Imbratta e Porco, nomi che alludono alla pesantezza, sporcizia e
libidine del personaggio. I tre nomi costituiscono un climax ascendente.
Guccio costituisce una specie di «doppio» del religioso in tono minore: anch'egli è un furfante e
un ciarlatano, ma si limita a usare la sua parlantina per sedurre una sudicia cameriera in una
cucina maleodorante; ha la barba nera mentre il frate ha i capelli rossi e, a differenza del suo
padrone, non riesce quasi mai a ottenere quello che vuole (è una sorta di parodia involgarita del
frate e ha la funzione di mettere in risalto per contrasto l'indubbia abilità del predicatore).
Giovanni del Bragoniera e Biagio Pizzini sono personaggi secondari. La loro presentazione é
indiretta, infatti è compito del lettore desumerne le caratteristiche dagli indizi presenti nel testo.
Sono astuti, non si fanno ingannare dal discorso del frate.
Nuta è una comparsa descritta in scena direttamente dal narratore. Incarna il tipo della
cameriera­serva, unta, grassa, sudata. È emblema della quotidianità della povera gente.
I contadini costituiscono un personaggio collettivo e sono una comparsa. Nella descrizione si
coglie il disprezzo del narratore per il popolo credulone, e traspare il giudizio di Boccaccio.
Il sistema dei personaggi si basa sul rovesciamento beffati/beffatori. Frate Cipolla svolge un
duplice ruolo, essendo sia beffato, sia beffatore; egli molto abilmente riesce ribaltare a suo totale
vantaggio l’ingranaggio della beffa ideata contro di lui.
Approfondimento
La novella, come già accennato, è narrata da Dioneo.
DIONEO PERSONAGGIO:
Il nome di Dioneo è significativo. Esso allude a Dione, madre mitologica di Afrodite. Secondo
Platone esistono due Afrodite: la prima, dea dell’amore puro, nata da Urano; la seconda, dea
dell’amore volgare e passionale, nata da Dione.
Egli, sollazzevole e spensierato, dichiara sin dall’inizio di aver lasciato tutti i pensieri a Firenze
dove infuria la peste, e di essersi ritirato con gli amici solo per diletto. Egli è visto dunque come
giullare della compagnia, ed ha il compito di divertire la brigata e allentare la tensione.
I membri della brigata non hanno caratteri e psicologie definite, che facciano di loro autentici
personaggi ad eccezione di Dioneo che spicca tra glia altri per la sua irriverenza e malizia.
DIONEO NARRATORE:
Dioneo, al termine della prima Giornata, dopo l’elezione di Filomena quale nuova regina, chiede il
permesso di poter narrare sempre per ultimo, cosa che la donna gli concede in quanto lo
riconosce uomo sollazzevole e festevole e poichè lo scopo del giovane è quello di comporre
novelle da ridere.
Egli è l’unico a non doversi attenere al tema scelto per la giornata, poiché le sue novelle non
hanno un messaggio profondo, ma piuttosto una vena comica, spesso tendente all’osceno.
Tuttavia, nella novella “Frate Cipolla”, Dioneo si attiene alla tematica della sesta giornata: “sotto il
reggimento d'Elissa, si ragiona di chi con alcun leggiadro motto, tentato, si riscotesse, o con
pronta risposta o avvedimento fuggì perdita o pericolo o scorno”.
Come il nome di Dioneo, così anche il tema delle sue novelle lascia intuire il suo carattere
passionale e scanzonato. Infatti, in esse compaiono diversi riferimenti al sesso o passaggi
osceni. Più volte, all’interno di esse si nota una critica profonda alle istituzioni e in particolare alla
Chiesa.
DIONEO COME BOCCACCIO:
Gli studiosi hanno affiancato al personaggio di Dioneo la stessa figura di Boccaccio, poiché
quest’ultimo presenta tutti i tratti del pensiero boccacciano. Dioneo ha una forte padronanza del
linguaggio che manipola come narratore esperto. Parla liberamente mettendo in mostra il proprio
pensiero e facendo emergere la propria sicurezza e le proprie idee. Boccaccio usa Dioneo per
esprimere il proprio pensiero, facendo sì che la responsabilità ricada su di esso. Per esempio,
nella novella in analisi, il narratore mette in evidenza e critica la disonestà di alcuni uomini di
chiesa che, con la furbizia, si prendono gioco del popolo ingenuo e credulone.
FRATE CIPOLLA­SER CIAPPELLETTO.
È possibile porre un paragone tra la novella presa in analisi e la quella di “ser Ciappelletto”. Esse
hanno lo stesso tema: entrambe raccontano di uomini che, grazie a un discorso ben articolato e
grazie alla loro furbizia, riescono a ingannare la gente. Entrambe inoltre mettono in luce le
debolezze degli uomini di chiesa. Tuttavia, mentre in “Frate Cipolla” il chierico è un furbo, e
l’intento del narratore è semplicemente quello di evidenziarne il desiderio di ricchezza, in “Ser
Ciappelletto” è proprio l’uomo di chiesa ad essere ingannato e ad apparire ingenuo e credulone
agli occhi dei lettori.
Un’altra analogia tra le due novelle sono le due figure che, agli effetti, causano l’intera vicenda. Si
tratta dei due fratelli preoccupati per la propria posizione nel caso di “Ser Ciappelletto”, e dei due
scaltri ragazzi popolani che rubano la piuma di pappagallo nel caso di “Frate Cipolla”. Questi
uomini sono gli unici che conoscono la verità abilmente nascosta dai protagonisti veri e propri.
LA PREDICA DI FRATE CIPOLLA
Il racconto del viaggio, che si configura come un racconto nel racconto, è un autentico
capolavoro; è una compiaciuta mescolanza di idee scherzose, che procedono a ruota libera tra
fantasia e realtà. Dopo aver ringraziato Dio per la sua immensa potenza, il frate inizia a narrare
le sue meravigliose peregrinazioni nelle arcane “terre dove appare il sole”, giro di parole che fa
pensare all’Oriente; in realtà il sole appare ovunque nel mondo. Snocciola, poi, una serie di paesi
dal nome equivoco e ambivalente, per far credere di essere arrivato in lontani luoghi misteriosi e
suscitare meraviglia nell’ingenuo uditorio; di fatto si tratta per lo più di nomi di quartieri di Firenze.
Nel suo fantasioso e assurdo andare giunge in Truffia, in Buffia, a Menzogna, regioni inesistenti,
il cui nome allude sarcasticamente ai difetti dei suoi concittadini e alle riprovevoli consuetudini di
molti religiosi. Cosicché egli proietta davanti agli occhi stupefatti degli uditori un mondo lontano e
favoloso, ma sostanzialmente del tutto immerso nella realtà quotidiana.
Furbesca e spassosa è la descrizione delle reliquie così generosamente donategli dal
“degnissimo patriarca di Gerusalemme Nonmiblasmete Sevoipiace”. Spicca tra tutte il dito
“fermo e alto dello Spirito Santo”, il quale chiaramente, essendo puro spirito, non ha corpo.
Il discorso si regge tutto sul meccanismo del rovesciamento ed è molto vicino ad una
composizione giullaresca dalla quale deriva il fatto che l’effetto comico è ottenuto
essenzialmente per mezzo di acrobazie verbali, di giri di parole, di giochi linguistici, di
grossolane storpiature di espressioni colte. Ma è soprattutto l’uso delle parole ambivalenti,
portatrici di doppio senso, il perno della beffa: tutta la terminologia geografica è basata su questo
espediente linguistico, in forza del quale Cipolla fa credere come vero un viaggio del tutto
illusorio.
Il discorso può essere diviso in due parti: la prima che narra del viaggio favoloso e che è una
sorta di parodia dei racconti dei viaggiatori in terre meravigliose, e la seconda, che tratta delle
reliquie, è un’implicita parodia delle prediche dei frati.
FRATE CIPOLLA­GUIDO CAVALCANTI
Il tema trattato nelle due novelle è il medesimo ma all’intelligenza aristocratica di Cavalcanti,
collocata sullo sfondo urbano di raffinate costumanze cortesi, viene sostituita nella seconda
novella l’intelligenza volgare e ciarlatana di frate Cipolla, posta sullo sfondo di una realtà
rusticale.
Inoltre Cavalcanti si distingue dagli altri eroi per la sua cultura e rappresenta la realizzazione più
alta dell’ideale di uomo vagheggiato da Boccaccio mentre frate Cipolla, pur essendo un eroe
boccacciano, si colloca all’ultimo gradino della ideale scala di virtù eroiche, di cui Cavalcanti
occupa il gradino supremo.
Calandrino e l’elitropia
Calandrino e l’elitropia è una novella narrata da Elissa nell’ottava giornata del Decameron, quella
dedicata a racconti di beffe e scherzi: «Sotto il reggimento di Lauretta, si ragiona di quelle beffe
che tutto il giorno o donna ad uomo o uomo a donna o l’uno all’altro si fanno». Elissa all’inizio
della narrazione non sa se la novella sarà divertente come quella precedente, ma la racconta lo
stesso, confidando nel fatto che essa narra un fatto vero e piacevole.
Analisi:
● Nella novella, la focalizzazione è zero, come nel resto dell’opera,
perché il
narratore è eterodiegetico onnisciente. Il narratore,Elissa, non interviene nel corso della
narrazione con commenti o precisazioni.
●
Il
registro della narrazione è medio, mentre Maso del Saggio (es "Vatti con Dio"
r18) si esprime anche con parole scurrili, così come Calandrino (es "schiccherare le
mura a
modo che fa la lumaca" r29). Ciò è dovuto al fatto che il primo si
esprime così per insultare Calandrino, il secondo perché la parlata ne rappresenta
l’estrazione sociale. Boccaccio, quindi,
è attento a caratterizzare i personaggi
anche a livellolinguistico, pur rimanendo nel registro medio (multilinguismo
boccaccesco).
●
Fabula
e intreccio nella novella coincidono nella maggior parte di essa, ad
eccezione dell’analessi nel discorso finale di Calandrino (rr.159­174), in cui il
protagonista narra a Buffalmacco e Bruno gli
eventi capitati da quando lui credeva
di aver trovate la veraelitropia.
●
La
novella è ambienta nella Firenze del Trecento in luoghi quali il Battistero di S.
Giovanni, il Mugnone e l’abitazione di
Calandrino. Grazie all’accenno
dei
bassorilievi nel Battistero si può determinare il tempo in cuiil Boccaccio immaginò
l’azione della novella: perché è del 1313 la determinazione di affidare a Lippo di
Beniveni le ornamentazioni del tabernacolo. La durata dell’azione è di circa una
settimana, ma gli eventi principali si concentrano nella mattina di domenica e all’ora di
pranzo, verso mezzogiorno, con un’ellissi temporale di qualche giorno.
●
La
novella è scandita in tre sequenze, che danno vita a tre scene di grande
vividezza drammatica. La prima sequenza (rr.1­55), ambientata nella chiesa fiorentina
di S. Giovanni, è caratterizzata
dall’incontro tra Calandrino e Maso del Saggio,
giovane burlone,
deciso a prendersi gioco del “dipintore” ingenuo, Calandrino,
che gli sta davanti. In essa prevale la scena, cioè il dialogo.
Nella seconda sequenza (rr.56­132) la ricerca della pietra lungo il Mugnone si traduce in azione
la beffa semplicemente architettata nella prima da parte di Maso del Saggio. Essa continua poi
sulla strada che porta in città.
La terza sequenza (rr133­184), invece, è ambientata all’interno della casa di Calandrino e
prevede l’incontro­scontro di questi con la moglie e poi il dialogo con gli amici Buffalmacco e
Bruno, con lo scioglimento finale della narrazione. In essa si ritorna alla prevalenza del dialogo.
Nella novella si possono individuare la situazione di equilibrio iniziale in Calandrino nel Battistero
che osserva dei dipinti, la complicazione nel dialogo con Maso del Saggio e quindi nella beffa ai
danni di Calandrino. La novella giunge poi al momento di massima tensione quando Calandrino
entra in casa dalla moglie pensando di essere invisibile, mentre viene salutato normalmente
dalla moglie. Ciò provoca l’ira di Calandrino che si conclude con lo scioglimento finale ad opera
dei due amici, che riescono a calmare Calandrino e a concludere la vicenda senza altre
complicazioni.
●
I
personaggi principali della novella sono diversi: il protagonista è Calandrino.
Calandrino ("Calandrino" o "Gualandrino" ­ come talvolta è ricordato in alcuni inventari
­ è altresì uno strumento usato comunemente in varie arti o mestieri: simile nellaforma
ad un compasso serviva, e serve tuttora col nome di "seste",
per rapportare le
distanze), secondo F. Betti è “il personaggio
più comico del Decameron”.
Calandrino è un personaggio realmente
esistito nel XIV sec. Sotto il nome di
Giovannozzo
di Pierino. Nella novella egli è una figura caratteristica, perché è
ingenuo, facilone, avido,
diffidente, pauroso, ma è soprattutto un tipo, quello del
villico da poco inurbato, che attira la derisione dei cittadini, i falsiamici ai quali vuol
sentirsi pari e che ordiscono continue beffe ai
suoi danni. Egli rappresenta il
contrasto sociale tra città e campagna, fra plebe e contadini inurbati propria della
Firenze del Trecento e ripresa anche da altri artisti contemporanei. Calandrino
è però anche un disonesto, pensando ai poteri dell’elitropia,
vede subito una fonte
di rapido guadagno: «andare“alle tavole dei cambiatori”, noti per essere già dei
truffatori, e sottrarre fiorini in abbondanza».Inoltre, egli vede il proprio lavoro
negativamente, come solo un
mezzo di guadagno: infatti, egli dice: «e
così
potremo arricchire subitamente, senza avere tutto dì a
schiccherare le mura a modo
che fa la lumaca». Infine, nell’ultima sequenza, viene alla luce un nuovo aspetto di
Calandrino: non è solo lo sciocco credulone facile preda dell’intelligenza dei beffatori:
nell’accanimento con cui batte
la moglie emerge un suo fondo violento e maligno.
È un comportamento che si poteva già presagire anche dal comportamento
disonesto verso Bruno e Buffalmacco quando, convinto di possedere la pietra, si era
guardato bene dal rivelarlo agli amici, evidentemente
con l’intenzione di tenerla
tutta per sé. Nella violenza contro la moglie si manifesta poi il pregiudizio misogino, la
convinzione superstiziosa che le donne facciano perdere la virtù alle cose.
L’emergere di tutti questi lati negativi fa sì che la figura di Calandrino assuma maggiore
spessore e che egli si offra quale antieroe per eccellenza del mondo decameroniano.
Calandrino, quindi, è continua vittima di scherzi degli amici, non solo nella
novella
in analisi, ma anche in molte altre. Per esempio, nella VIII giornata, VI novella, egli viene
beffato e derubato del maiale che aveva con tanta cura allevato e che già sperava di
mangiare con la
famiglia. In un’altra novella (IX giornata, VII novella), poi, gli
viene
fatto credere da Bruno e l’amico in combutta con un medico
disonesto di essere
“incinto”. Calandrino da credulone è spaventato a morte e, pur di guarire dall’inesistente
malattia,
accetta di pagare al medico molto denaro, che aveva ricevuto da poco,
per ricevere una cura, in realtà inutile. Così Calandrino, beffato una prima volta, viene
beffato una seconda, con gran riso dei suoi presunti amici. Calandrino non è in grado di
difendersi,
rappresenta l’uomo medievale, ormai superato e costretto a subire
la preponderante avanzata delle nuove idee borghesi, incarnate da
Bruno e
Buffalmacco.
Egli è dunque il modello di un insieme di valori contrari a quelli di cui l’autore è portatore:
l’ignoranza e la bonarietà contadine contro la forza della ragione e l’arguzia del mercante
boccaccesco, con la conseguente, divertente sconfitta delle prime.
Un altro personaggio è Maso del Saggio: anch’egli personaggio realmente vissuto, fu un
mediatore di professione noto soprattutto a Firenze per la passione per gli scherzi. Egli è un tipo
ed è il primo organizzatore della beffa ai danni di Calandrino. Con frasi allusive e talora senza
senso che dicono negando e spesso contengono un doppio messaggio, Maso convince
l’interlocutore dell’esistenza del Paese di Bengodi e dell’elitropia. Egli è tanto abile da descrivere
l’elitropia e far credere a Calandrino che «Chiunque la porta sopra di sé, mentre la tiene non è
d’alcuna altra veduto dove non è». Per ogni altro uomo avveduto è normale che ogni persona
non sia vista dove non è, ma non è così chiaro a Calandrino. L’abilità di Maso del Saggio appare
analoga a quella di frate Cipolla. Anche qui la beffa consiste nel far credere ad una persona
semplice le realtà più strampalate e inverosimili. Infine, Maso è anche volgare e più volte insulta
esplicitamente l’ingenuo Calandrino, che neppure se ne accorge (egli a fine frase aggiunge, per
esempio un “vatti con Dio”, un insulto a Calandrino).
Altri personaggi sono Bruno e Buffalmacco, che stanno agli antipodi rispetto alla figura di
Calandrino: loro, infatti, sono i portatori delle nuove qualità dell’uomo borghese. Il gusto dello
scherzo è in loro fine a se stesso e costituisce una prova della loro intelligenza e abilità nel
parlare. Essi rappresentano la virtù dell’industria, dell’intelligenza attiva che è il valore centrale
della civiltà mercantile e urbana di cui Boccaccio è l’interprete. Bruno e Buffalmacco sono
entrambi pittori (i personaggi sono realmente esistiti: il primo con il nome di Bruno di Giovanni,
“dipintor di camere”, il secondo con quelli di Bonamico, ben più noto e autore del “Trionfo della
Morte” nel Caposanto di Pisa), ma, a differenza di Calandrino, amano il proprio lavoro e non lo
vedono solo come fonte di guadagno, ma anche come manifestazione del proprio estro e delle
proprie qualità.
Infine l’ultimo personaggio è Monna Tessa, moglie di Calandrino, una donna «bella e valente».
Ella è quindi intelligente e virtuosa e ha tutte le simpatie di Boccaccio in particolare quando viene
picchiata dal marito. La donna è in tutto sottomessa all’uomo e non può fere altro che subire
passivamente.
I personaggi appaiono privi di morale: Calandrino picchia la moglie, Maso del Saggio si diverte
nel prendersi gioco del prossimo, Bruno e Buffalmacco sono così spietati da illudere il loro
amico e non intervenire mentre picchia la moglie.
●
Il
tema principale della novella è la beffa, prima organizzata da Maso del
Saggio e poi tramutata in azione dai due amici pittori. La beffa è un esercizio puro
dell’intelligenza, assolutamente
gratuito e fine a sé stesso (diversa ad esempio è la
beffa di
frate Cipolla ai danni dei contadini messa in opera per ottenere un
vantaggio economico oltre che per sfuggire a una difficoltà). Il
beffatore è come un
puro artista, che si compiace solo di esercitare la sua arte senza alcun altro fine.
Attraverso la beffa l’intelligenza crea una sorta di realtà parallela a quella
effettuale, una realtà prodotta interamente dell’uomo di cui egli ha pieno dominio, che
può manipolare a piacere. La beffa, insomma,
diviene metafora della capacità
dell’uomo di costruire e
dominare il reale attraverso l’intelligenza, la parola e
l’azione.
Si vede qui in embrione un motivo che sarà centrale nel rinascimento:
l’esaltazione della qualità demiurgica dell’uomo
da una sorta di onnipotenza divina.
La beffa non è quindi solo unmotivo superficialmente comico fonte di disimpegnato
divertimento, ma investe il nucleo stesso della visione del mondo della civiltà che si
è creata nelle città italiane in questo periodo. F.Tateo
scrive a proposito della beffa:
«Che dire della modernità della
beffa? Per la sua
raffinatezza, questo
meccanismo è solo in parte d’
attualità, in tempi in cui abbiamo solo notizie di beffe
ben poco
fantasiose, degenerate in rozzi inganni o in vere e proprie truffe con
facile arricchimento a danno di vittime indifese»
“Ma la novella ha il suo momento più comico nell’apparente rovesciamento della situazione della
beffa stessa, quando Buffalmacco dice la verità sulla fandonia della pietra fatata, e finge di
credere che sia stato Calandrino a prendersi gioco di lui e dell’amico, mentre Calandrino che
crede di averla trovata e di non essere visto, lo ascolta e si rafforza nella sua sciocca
convinzione: Deh come egli ha ben fatto d’averci beffati e lasciati qui, poscia che noi fummo sì
sciocchi che noi gli credemmo. Sappi! Chi sarebbe stato sì stolto [da credere] che in Mugnone
si dovesse trovare una così virtuosa pietra, altri che noi? ”, si lamenta Buffalmacco. Il
rovesciamento della situazione è portato fino all’estremo, quando Calandrino deve rassicurare gli
amici di non averli burlati: Compagni, non vi turbate, l’opera sta altrimenti che voi non pensate!
Io, sventurato, avea quella pietra trovata. E volete udire se io dico il vero? E gli amici, queste
cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte, e spesso affermavano quello che Calandrino
diceva, e avevano sì gran voglia di ridere che quasi scoppiavano”. (F. Tateo).
Altro tema importante è la fortuna, che permette l’inizio e la riuscita della beffa. Infatti, la sorte fa
incontrare Calandrino e Maso nel Battistero permettendo l’avvio dell’azione, così come permette
la buona riuscita della beffa, perché per caso Calandrino torna a casa verso mezzogiorno, quindi
non incontra per strada molte persone e queste non lo salutano, perché la maggior parte dei
cittadini è a pranzo. Infine la fortuna viene presentata da Buffalmacco come una possibile causa
della perdita di valore dell’elitropia, che in realtà non ha mai avuto alcuna virtù. La Fortuna in
questo caso è quindi favorevole all’impresa e sembra accentuare le capacità intellettive degli
organizzatori della beffa, che paiono aver calcolato ogni minimo particolare dello scherzo,
persino l’ora del rientro a casa di Calandrino.
Un altro tema è quello della donna. In questa novella Monna Tessa è descritta come una donna
pur intelligente, ma totalmente sottomessa all’uomo, anche se in un primo momento sembra
avere una qualche autorità. Infatti, dopo che è stato sgridato dalla donna, Calandrino si adira e la
picchia violentemente, senza alcuna considerazione per lei. Se si considera che il Decameron è
un libro dedicato alle «carissime donne», che alle donne leva sovente le più alte lodi, il
comportamento di Calandrino si offre nella prospettiva di un’implicita e dura condanna. Questo
stesso atteggiamento di sottomissione al marito è ripreso e magistralmente ampliato nell’ultima
novella della decima giornata, «Griselda», perché la donna sottomessa al marito soffre in
silenzio tutte le pene che lui gli inferisce, dimostrando così una capacità di sopportazione che la
avvicina a una santa.
L’ultimo tema trattato, che si ricollega in parte al precedente, è quello delle tradizioni popolari.
La donna è vista da Calandrino, che incarna le qualità del tipico individuo medievale, con la
classica idea misogina. La convinzione superstiziosa è quella che la donna faccia perdere le
virtù alle cose, in netto contrasto con la corrente stilnovista di poco precedente. Inoltre, nel
discorso di Maso del Saggio compaiono temi tipici popolari.
L’attenzione ai beni materiali appare però in controtendenza rispetto a ciò cui si mirava durante
il Medioevo: in quei secoli, infatti, nessuno si sarebbe permesso di celebrare un paese come
Bengodi, cioè il paese della Cuccagna, dove si possono soddisfare tutti i bisogni materiali, o di
invitare a sfruttare le proprietà delle pietre preziose per il fine dell’arricchimento (infatti nel
Medioevo vigeva il modello di vita del contemptus mundi, il disprezzo del corpo per esaltare lo
spirito, superato ormai nell’età borghese di Boccaccio). Il valore dei lapidari, di estrema
importanza durante il Medioevo, viene quasi ridicolizzato nella novella, infatti, Maso del Saggio
sfrutta queste credenze per ingannare e divertirsi a spese di Calandrino. L’autore sembra perciò
dare un giudizio negativo sulle credenze popolari, tipiche di un’età superata dalla nuova mentalità
borghese.
Attraverso Maso, infatti, Boccaccio si fa interprete della nuova società che cambia, che non
crede più per sentito dire, ma per esperienze dirette, la civiltà mercantile accantona le desuete
credenze per focalizzare l’attenzione su una prospettiva puramente terrena e stabile, basata
sulla forza della ragione e perciò puramente incentrata sulla “macchina perfetta”, l’uomo . Chi
non è in grado di mantenersi al passo con i tempi, come Calandrino non può perciò essere che
vittima di continui scherzi da parte di chi incarna invece queste qualità, come Buffalmacco e
Bruno, senza ricevere alcuna compassione da parte dell’autore, che pare, invece, ridere insieme
al lettore di tutte le peripezie del povero sempliciotto “di grossa pasta” qual è Calandrino.
Guido Cavalcanti
La novella dedicata a Guido Cavalcanti è narrata da Elissa nell’ambito della sesta giornata,
durante la quale il tema da trattare riguarda la capacità di risolvere vantaggiosamente una
situazione fastidiosa mediante un motto arguto, ossia una battuta intelligente.
L’autore fa riferimento ad un passato imprecisato, ma, conoscendo la biografia del protagonista
Cavalcanti, si può con certezza ambientare la novella nel secolo precedente a quello in cui visse
l’autore, più precisamente nella seconda metà del 1200. Ciò si può ipotizzare anche grazie
all’ambientazione cortese descritta all’inizio del passo. La vicenda si svolge in un lasso di tempo
molto breve. Si tratta di un episodio di pochi minuti, collocati in un momento imprecisato della
giornata. Ciò è irrilevante per lo svolgersi della vicenda, poiché questa non è legata ad un tempo
particolare.
All’inizio della novella si fa una descrizione piuttosto accurata della società aristocratica fiorentina
di quel tempo fornendo indicazioni riguardanti le abitudini degli abitanti, mostrandoci un certo
grado di benessere e una diffusa volontà di aggregazione, peculiari della società comunale in
ascesa. Particolare interesse si pone sulla nostalgia che l’autore sembri avere per le usanze
cortesi ormai superate, sostituite da valori borghesi e mercantili, quali la masserizia e l’industria,
ma anche dall’avarizia. Al tempo in cui è ambientata la novella, la società è ancora di tipo
cortese­cavalleresco, in cui prevalgono ancora valori quali la magnanimità, la liberalità, oltre che,
ovviamente, la cortesia.d
A differenza del tempo, i luoghi in cui è ambientata la vicenda sono descritti in modo più
accurato. L’ azione si svolge nella città di Firenze, luogo di gran lunga prediletto dall’autore,
centro per eccellenza degli scambi e dei traffici ma anche di viva socialità, che ama la beffa o il
motto arguto e pungente oppure le splendide usanze cortesi. Boccaccio ci elenca i luoghi per cui
passa il protagonista, ma senza descriverli, solo nominandoli. Cavalcanti parte dalla chiesa di
San Michele in Orto, presso la quale sorgeva la sua abitazione, passando per Corso degli
Adimari, giunge al battistero di San Giovanni, come era solito fare. Attraverso questa precisa
indicazione dei luoghi, Boccaccio ci permette di ricostruire la topografia della Firenze
medioevale. Viene poi descritto il battistero; ci viene detto che presso di esso vi erano numerosi
sarcofaghi di marmo. L’autore torna quindi nella sua epoca riferendoci che al suo tempo questi
vennero spostati nell’antistante cattedrale di Santa Reparata, al cui posto oggi sorge Santa Maria
del Fiore. A questo punto si dice che Cavalcanti si trova quasi bloccato tra questi sarcofaghi, tra
la porta del Paradiso, porta del battistero, e tra le colonne di porfido che la fiancheggiano. Anche
in questa novella, come la maggior parte della altre presenti nel Decameron, gli ambienti e i
paesaggi non sono soggetto di una descrizione fine a se stessa: Boccaccio richiama di essi
solo quel tanto che serve allo svolgimento dell’azione narrativa. Lo stesso accade con gli oggetti,
ad esempio i sarcofaghi, che hanno rilievo per l’azione umana. Si comprende facilmente che lo
spazio descritto sia reale, e ciò permette di rendere più verosimile il racconto.
Come in tutte le altre novelle ci sono due narratori: Boccaccio è narratore di primo grado, mentre
Elissa di secondo. Entrambi sono esterni rispetto alla novella da loro raccontata, ma Elissa è
interna finchè interviene nell’ambito della cornice, ove agisce come personaggio. La
focalizzazione è esterna, poiché il narratore racconta i fatti come dal punto di vista di un
testimone, senza quindi conoscere i pensieri e le intenzioni dei personaggi. La narrazione è
oggettiva, si vuole solo informare il lettore dell’accaduto, senza fornire elementi precisi.
La vicenda può essere divisa in due sequenze. Una prima, descrittiva, in cui si ambienta la
vicenda delineando l’aspetto della società comunale. È un sommario e perciò il tempo della
storia è maggiore del tempo del racconto. La seconda, invece, tratta la vicenda vera e propria, è
di tipo narrativo e il tempo della storia coincide con il tempo del racconto, così come coincidono
la fabula e l’intreccio.
I personaggi principali sono due: Guido Cavalcanti e Betto Brunelleschi. Oltre a questi sono da
ricordare gli uomini della brigata che però, non avendo un ruolo rilevante e un’identità propria,
sono assimilabili alla figura di Betto.
Il protagonista, Cavalcanti, è un personaggio storico realmente esistito, poeta fiorentino
appartenente alla corrente del Dolce Stil Novo, guelfo bianco, vissuto nel XIII secolo. La sua
figura non è analizzata in modo particolareggiato, non viene analizzato né sotto il profilo fisico, né
psicologico, né sociale. Si fa però particolare attenzione al suo profilo culturale e alle sue
tendenze filosofiche; si dice infatti che sia stato un epicureista, le sue riflessioni erano cioè tese
a dimostrare l’inesistenza di Dio. Guido Cavalcanti rappresenta la realizzazione più alta
dell’ideale di uomo immaginato da Boccaccio. Possiede infatti al grado di massima perfezione le
virtù che lo scrittore ammira. Innanzitutto la cortesia: è “leggiadrissimo e costumato e parlante
uom molto”, sa far meglio di ogni altro ciò che è pertinente a “gentil uom”, è generoso della sua
ricchezza e sa onorare chi ritiene che lo meriti. Questa virtù dell’eroe si proietta sullo sfondo
delle “belle e laudevoli” usanze cortesi della Firenze del passato richiamata dall’introduzione
della novella, e su tale sfondo assume rilievo. Da ciò si capisce che oltre ad essere nobile per
nascita, presenta anche comportamenti che lo rendono nobile spiritualmente. Ma Guido
possiede, a ben vedere, anche la virtù borghese dell’industria: prontezza ed energia nel cavarsi
d’impaccio in situazioni difficili e nel superare ostacoli, che egli dimostra sia nell’azione rapida e
sicura, sia nel padroneggiare la realtà grazie al dominio della parola. In Cavalcanti così si vedono
nuovamente fondersi due ordini di valori, quelli cortesi e quelli borghesi, quelli del passato e quelli
del presente, come è proprio del mondo boccacciano. Si può difatti fare un parallelismo tra il
protagonista e l’autore. Quest’ultimo, infatti, appartiene ad una società di tipo mercantile, attenta
alla realtà concreta della vita sociale ed economica, ma al tempo stesso, partecipando alla vita
raffinata e gaudente dell’aristocrazia e della ricca borghesia napoletana, riscopre caratteristiche
e valori più di tipo cortese, tipiche di una società nostalgicamente protesa verso un mondo
splendido di costumi signorili e di magnanimi comportamenti. Cavalcanti possiede un’ulteriore
virtù, che lo distingue dagli altri eroi e lo rende immensamente superiori ad essi: la cultura.
Proprio a celebrare questa virtù è inteso il suo motto, che costituisce il centro della novella. Esso
viene a dire che senza la cultura l’uomo è come morto, è equiparabile ai minerali, ai vegetali, ai
bruti. Nella cultura risiede quindi l’essenza dell’uomo, ciò che lo distingue dagli altri esseri. Ma
nella gamma di virtù di Cavalcanti deve esserne aggiunta ancora una essenziale. Insieme al
motto tagliente assume grande rilievo nel cuore del racconto il gesto di Cavalcanti, l’agilissimo
balzo con cui egli si libera dalla stretta della brigata. Alle virtù spirituali si unisce strettamente una
virtù fisica: l’agilità e la forza del corpo. Anche questa armonia tra parte spirituale e parte fisica
dell’uomo anticipa quella che sarà una delle concezioni fondamentali del Rinascimento che si
oppone all’ascetismo medioevale il quale condannava il corpo. Nel Rinascimento si auspica
infatti, sul modello classico, un perfetto equilibrio tra spirito e corpo.
Nella novella è presente un gruppo di persone che per le loro caratteristiche comuni sono quasi
da considerare un personaggio collettivo. Eccezione fatta per il personaggio di Betto
Brunelleschi che, soprattutto nella parte finale del brano, si distingue dagli altri per una sua
particolare qualità. Quest’ ultimo è un personaggio storico realmente esistito, di benestante
famiglia fiorentina, militava tra i Guelfi neri, fu ucciso da un Donati nel 1311. La brigata incarna le
caratteristiche della società aristocratica del tempo. Si tratta di un gruppo di nobili di diversi
quartieri della città, che a turno organizzavano banchetti per tutta la compagnia, ciascuno nel
proprio giorno. In questi banchetti venivano onorati sia i nobili stranieri, quando ve ne capitavano,
sia i nobili cittadini. Si vestivano allo stesso modo nelle principali ricorrenze dell’anno e
partecipavano a diversi tornei. Caratteristica fondamentale di questi personaggi è la straordinaria
ricchezza, infatti veniva accettato chiunque nel gruppo a patto che fosse in grado di sostenere le
spese. E per questo motivo volevano che Cavalcanti facesse parte del loro gruppo, essendo egli
un uomo molto ricco. Il rifiuto del poeta di far parte della loro brigata è interpretato come un atto
di scortesia, che forse nasconde anche motivazioni politiche. Non avendo raggiunto il loro
scopo, si divertono infastidendo il protagonista con varie provocazioni. Il loro ritratto è quindi
piuttosto negativo: partendo dal presupposto che essi sono tutti di nobili origini si può dedurre
che essi abbiano ricevuto un’adeguata istruzione; tuttavia, nel racconto non la sfruttano,
dimostrando così il loro poco ingegno lasciandosi deridere senza nemmeno rendersene conto.
Al contrario di questi, Betto dà prova della sua intelligenza riuscendo a comprendere e a
spiegare la sottile ironia del motto di Cavalcanti.
Questa novella ha come tema principale quello dettato da Elissa, cioè quello del motto arguto.
Con la frase “Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace” Cavalcanti vuole
offendere con eleganza paragonando gli uomini della brigata a dei morti a causa della loro
ignoranza e poca cultura; per questo motivo possono ritenere il camposanto la loro casa. Il
motto, grazie alla sua concisa arguzia, ebbe larga fortuna in età medioevale, ma l’uso che ne fa
il Boccaccio pone in risalto un espediente più sofisticato, che impegna l’intelligenza stessa del
lettore. Proprio l’ultima battuta pronunciata dal poeta, prima di sparire, mette in evidenza gli
elementi di un’antitesi, che sottolinea la diversità ideologica e morale esistente tra il Cavalcanti e
i componenti della brigata. Il motto celebra l’ingegno di un intellettuale aristocratico un po’
sdegnoso rispetto agli altri uomini. C’è quindi la dimostrazione di come un sapiente uso della
parola dia la possibilità di offendere gravemente qualcuno senza essere volgare e senza che
questi capisca il senso delle nostre parole. Un altro tema riscontrabile nella novella è il
passaggio dal mondo cortese, tipico di Brunelleschi e della sua brigata, al mondo borghese,
tipico, invece, di Cavalcanti, da valori quali la magnanimità e la liberalità a valori quali l’industria e
la masserizia. Ci troviamo infatti nel periodo in cui inizia ad affermarsi questa nuova società e
impieghi come quello del mercante assumono grande rilievo.
Come già detto, il motto ebbe larga fortuna nel Medioevo, come ci dimostra il Novellino. In esso
infatti sono presenti vari racconti nei quali il motto arguto fa da padrone. Tra questi prendiamo in
considerazione la novella “Motto di Marco Lombardo”. Anche in questa novella, come in quella
appena analizzata, il protagonista, uomo di corte istruito e saggio, zittisce un giullare che lo
aveva messo in difficoltà con una domanda impertinente. A questo risponde con una frase
concisa, ma spiazzante che vuole marcare la loro distanza intellettuale e morale dal mondo non
sempre di alta levatura in cui essi sono costretti a vivere. Entrambi, sia Cavalcanti che Marco
Lombardo, ci dimostrano il loro disprezzo verso chi è meno intelligente di loro anche dal fatto
che non si abbassano a discutere apertamente con gli incolti, ma rispondono loro in modo
frettoloso, senza perdere tempo.
Lisabetta da Messina
RIASSUNTO
A Messina vivevano, insieme alla sorella Lisabetta, bella ma non ancora sposata, tre ricchi fratelli
mercanti per i quali lavorava Lorenzo, un giovane gentile e di bell’aspetto. Lorenzo e Lisabetta si
innamorarono, ma una notte, mentre la giovane furtivamente andava da lui, il maggiore dei fratelli
li scoprì. L’indomani raccontò tutto agli altri fratelli, con i quali concordò di tacere l'accaduto per
salvare l’onore della famiglia.
Condotto Lorenzo in un luogo isolato, lo uccisero e lo seppellirono. Preoccupata per l'assenza
dell'innamorato, Lisabetta chiese notizie ai fratelli, che le risposero che Lorenzo era assente per
una commissione. Tardando il suo ritorno, Lisabetta piangeva afflitta, ma una notte Lorenzo le
andò in sogno e le rivelò di essere stato ucciso, indicando il luogo in cui giaceva il suo cadavere.
L’indomani, col pretesto di dover uscire con una serva, la giovane si recò sul luogo indicatole in
sogno, scavò e scoprì il cadavere dell'innamorato. Allora, con un coltello staccò dal corpo la
testa, di nascosto la portò a casa e la sotterrò in un vaso di basilico, che di continuo bagnava
con le
sue lacrime, tanto che crebbe rigoglioso. Ma i suoi fratelli, appreso dai vicini che la loro sorella
trascorreva intere giornate a curare il basilico, consumando la propria bellezza, glielo
sottrassero e, svuotatolo, riconobbero il capo putrefatto di Lorenzo.
Nel timore che il loro reato potesse essere scoperto, si trasferirono a Napoli.
Lisabetta, privata della preziosa reliquia, morì di dolore.
NARRATORE E FOCALIZZAZIONE
Il narratore principale è Boccaccio ed è onnisciente.
Filomena è il narratore secondario, si esprime in III persona. E’ esterno ed è onnisciente, ha
consapevolezza di ciò che accade a tutti i personaggi. La focalizzazione è zero.
II narratore esprime in realtà il pensiero dell’autore e descrive oggettivamente i fatti.
Il narratore non interviene direttamente.
COLLOCAZIONE ALL’INTERNO DELL’OPERA
La novella è la quinta della quarta giornata. Il re è Filostrato e il tema è dato dagli amori infelici.
RAPPORTO FABULA E INTRECCIO E SEQUENZE NARRATIVE
La fabula e l’intreccio coincidono ad eccezione di un’analessi presente ai versi nel momento in
cui Lorenzo appare in sogno a Filomena e le racconta la sua tragica sorte.Alternanza di
sequenze narrative di diverso tipo in cui predominano rispettivamente i fratelli e Lisabetta.
Possiamo individuare 7 sequenze narrative:
1. Lisabetta abita con i suoi fratelli a Messina e conosce Lorenzo. I due giovani si innamorano.
2. I fratelli di Lisabetta scoprono la relazione segreta tra i giovani uccidono Lorenzo e lo
seppelliscono.
3. Lorenzo appare in sogno a Lisabetta e le racconta la verità.
4. La ragazza recupera la testa di Lorenzo e la sotterra nel vaso di basilico.
5. I fratelli si accorgono del contenuto del vaso e lo tolgono a Lisabetta, poi fuggono per Napoli.
6. Lisabetta muore affranta dal dolore.
REGISTRO DELLA NARRAZIONE
Il registro stilistico usato nel testo è drammatico. Il tono è elegiaco, dolente e commosso.
La descrizione degli ambienti avviene in modo generico ed effettuata direttamente dal narratore.
Non è riportato alcun dialogo.
SPAZIO
La vicenda è ambientata a Messina. Il luogo principale in cui si svolge la narrazione è la casa dei
fratelli e di Lisabetta ed in particolare la stanza in cui Lisabetta si consuma piangendo. Inoltre, un
luogo fondamentale dove viene seppellito Lorenzo cioè fuori dalla città, in un luogo “ solitario e
rimoto”. In seguito i personaggi si spostano a Napoli.
Nel testo non sono presenti descrizioni dei luoghi.
L’ambiente è Borghese e predomina la logica mercantile basata sul profitto.
TEMPO
La novella è ambientata intorno al Due­Trecento, in epoca medievale. Questo lo si deduce dal
fatto che, in questo periodo, esisteva una colonia di mercanti a Messina che poi si è trasferita a
Napoli, riconducibile alla famiglia di cui si tratta nella novella.
La storia ricopre un arco di tempo non ben definito.
Il tempo della storia è maggiore del tempo del racconto, il quale si estende per circa tre pagine.
PERSONAGGI
Lisabetta
E’ “una giovane assai bella e costumata “, rappresenta l’ideale cortese di bellezza femminile
secondo il quale la grazia esteriore è l’immagine di un animo nobile e sensibile. I suoi fratelli non
hanno ancora provveduto a darle uno sposo e lei, libera da impegni sentimentali, guarda
intensamente il giovane Lorenzo che le comincia a piacere assai. L’amore diventa anche
attrazione fisica, infatti, Lisabetta di notte si reca nel letto di Lorenzo (è la donna che prende
l’iniziativa). I fratelli di lei non accettano la vergogna della degradazione sociale, di conseguenza
uccidono Lorenzo. Lisabetta, disperata per l’inspiegabile assenza del giovane, vive nell’attesa del
suo ritorno ed è inquieta, triste e sospettosa. Comincia ad interrogare i suoi fratelli, questo è
l’unico momento in cui la protagonista, spinta dalla forza dell’amore, fa sentire la sua voce.
Lisabetta, a seguito del rimprovero ricevuto è indotta al silenzio, si chiude in un misterioso
sgomento abbandonandosi alle lacrime (in risposta all’oppressione familiare). Una notte Lorenzo
le appare in sogno e le rivela la sua tragica fine, le dà, inoltre, indicazioni sull’ubicazione del suo
cadavere. Lisabetta, sorretta da una straordinaria forza morale, dissotterra il corpo dell’amato e
ne stacca la testa nascondendola in un vaso di basilico che viene irrorato da acqua di rose, fiori
d’arancio e lacrime. La giovane si siede, abitualmente, vicino al vaso (tomba e reliquia da
adorare e venerare) ed inizia un silenzioso vagheggiamento. Il dolore e l’assiduità del pianto le
rendono gli occhi infossati nelle orbite. L’infelice fanciulla, privata del vaso dai fratelli, cade in uno
stato di profonda prostrazione e, folle di dolore, muore. Lisabetta viene trasformata in una eroina
grazie alla forza dell’amore, si abbandona a tale sentimento con lo slancio tipico della
giovinezza. Ella cerca di difendere il suo diritto ad amare contro ogni pregiudizio sociale ed
economico. Con i suoi lunghi silenzi, coi suoi pianti incarna una donna indifesa, vinta sul piano
sociale, ma capace di essere se stessa fino a sacrificare la propria vita e rovesciare i rapporti di
forza vigenti. Nasconde in sé una profonda determinazione nel raggiungere i propri obiettivi. In lei
appare subito evidente un dualismo in quanto da una parte è caratterizza dalla determinazione e
dal fatto che non si arrende alla sua infelicità senza Lorenzo, ma dall’altra a distinguerla
negativamente è la sua sottomissione ai fratelli. Nonostante ella viva di nascosto il suo amore,
non sa ignorare l’imposizione dei fratelli che fanno di lei una giovane molto infelice. Ella quindi
rappresenta la tipica donna medioevale, non quella cantata nel tardo medioevo da Dante o
Guinizzelli, ma quella sottomessa all’uomo in ogni senso, la donna che deve stare in casa e ha
l’unico compito di generare figli. Come avveniva per l’uomo maschile che in epoca umanista
muta la sua personalità, i suoi interessi e quindi i suoi scopi, così anche Elisabetta non si
incarna in una figura del tutto negativa. Anche il fatto di vivere una relazione di nascosto
rappresenta un mutamento nella società, una variazione dei canoni tradizionali. La sua
sfrontatezza nei confronti dei fratelli li mette in cattiva luce dinanzi alla gente ma rende lei un
eroe femminile, che mira alla felicità, non solo caratteristica di una vita ultraterrena ma
soprattutto mondana. Anche qui, come in gran parte delle novelle del Decameron, fondamentale
è il tema dell’”industria”, poiché i personaggi, in questo caso soprattutto per quanto riguarda
Elisabetta, cercano di mutare il proprio destino in base ai loro scopi terreni. Al di là del suo
coraggio, Elisabetta mostra anche una certa sensibilità: stereotipata è la scena del pianto che,
tuttavia, si trasforma successivamente in una determinazione ancora più spinta e impiegata per
rendere realtà la felicità. La figura della donna si differenzia, infine, da quella dei fratelli perché
ella non mostra alcun interesse per la propria reputazione; al contrario pensa solo a se stessa e
alla propria realizzazione personale.
I tre fratelli Si tratta di tre giovani mercanti originari di S. Geminiano (cittadina non lontana da
Firenze e Siena), ma trapiantati, per ragioni commerciali, a Messina. Sono diventati ricchi dopo
la morte del padre, possiedono, infatti, un deposito di merci e una bottega per la vendita dei
panni (fondaco), hanno come aiutante un ragazzo di nome Lorenzo. Non si sono ancora
preoccupati, come è consuetudine, di dare un marito alla sorella e non accettano che abbia una
relazione amorosa con un giovane di una classe sociale inferiore. Scoperto il rapporto tra
Lisabetta e Lorenzo contrastano questo amore, cercando di evitare uno scandalo che può
danneggiare il loro buon nome e compromettere gli interessi economici ( ragion di mercatura) in
un paese straniero e ostile. Essi appaiono come individui passivi, retrogradi, incapaci, non
riescono, infatti, ad accettare l’intraprendenza della sorella e vivono la sua sessualità come una
vergogna personale. Decidono quindi di uccidere a sangue freddo Lorenzo, cancellando un’
ignominia che avrebbe intaccato il loro senso dell’onore, misurato in termini di economia e di
profitto (sono individui razionali, calcolatori). Questa filosofia utilitaristica si scontra con l’amore
assoluto e disinteressato di Lisabetta. Chiusi nel loro egoismo non si preoccupano di consolare
le lacrime della sorella,alle quali non danno peso e , su indicazione dei vicini, le tolgono il vaso e
scoprono così il tragico segreto. A questo punto, senza nemmeno preoccuparsi della
drammatica situazione psicologica di Lisabetta, impartiscono disposizioni per ritirarsi dagli affari
e trasferire le loro cose a Napoli. La fuga consentirebbe loro di evitare il giudizio della gente e il
rigore della legge. Lisabetta, però, si lascia morire per amore e la sua vicenda diventa di dominio
pubblico. I veri sconfitti risultano, quindi, proprio i tre fratelli che non riescono a preservare
neanche la segretezza: il triste caso viene divulgato da una ballata popolare ampiamente diffusa.
Lorenzo E’ un giovane pisano bello, gentile nell’animo, abile ed intraprendente nel lavoro “tutti i
loro affari guidava e faceva…”. E ’però un subalterno, un ragazzo che non potrà essere
accettato da una famiglia di mercanti. Lo sguardo di Lisabetta, veicolo dell’amore, lo attira e lo
induce a trascurare le simpatie per le altre fanciulle. Nasce così tra i due giovani un sentimento
spontaneo e passionale insieme. Tale amore è considerato dai fratelli “ infamia, danno, sconcio,
vergogna”, ciò determina l’omicidio premeditato del giovane.
TEMI
RAGION DI MERCATURA Il tema combattuto da Boccaccio in questa novella è quello della
“ragion di mercatura”.
I fratelli di Lisabetta, infatti, per non far perdere di privilegio la bottega, uccidono il garzone amato
dalla sorella causandole atroci sofferenze che la portano alla morte.
Vi è dunque nella novella uno scontro diretto tra la “ragion di mercatura” dei fratelli e l’amore di
Lisabetta. Ella, per quanto vittima, è alla fine vincitrice. Questo dimostra che opporsi alla forza
dell’amore è impossibile; l’amore è più forte della logica mercantile.
SCONTRO FRA VALORI Nella novella si trovano due mentalità: i fratelli che badano al nome
della famiglia che a causa della sorella potrebbe essere danneggiato e Lisabetta che è guidata
dalla forza irresistibile dell’amore. Queste due logiche contrastanti tra loro non potranno mai
raggiungere un accordo, questo è lo scontro principale del racconto. Il “Messaggio” di Boccaccio
è la necessità di un’apertura laica della morale familiare e sociale, che attenui la forza repressiva
dei codici dominanti sulle forze spontanee e irrefrenabili della natura. In altre parole una morale
più libera per quanto riguarda sia i rapporti tra i sessi, sia i rapporti tra ceti sociali. Queste due
diverse mentalità si basano inoltre su sistemi di valori differenti e contrastanti. Boccaccio delinea
in questa novella lo scontro tra l’amore che la protagonista prova verso Lorenzo e l’interesse che
guida l’azione spietata dei fratelli; l’autore non ha dubbi nel prendere le difese del primo e dunque
con la tragica vicendadi Lisabetta critica severamente l’eccessiva aridità affettiva e il profondo
egoismo della borghesia,che per altri versi (come emerge in tante novelle)nel sistema ideologico
del Decameron suscita grande simpatia per le sue qualità di intelligenza e intraprendenza.
AMORE ED EROS L’amore tra i due giovani è un sentimento tanto profondo che travalica i
confini della vita, e tuttavia non è il sentimento puro e disinteressato della tradizione stilnovistica,
ma è un amore sensuale, frutto di una attrazione naturale in due giovani di bell’aspetto e di buon
carattere; ancora una volta Boccaccio supera dunque i confini della morale corrente
considerando inevitabile l’approccio carnale lì dove si sviluppa la tensione sentimentale.
LA FIGURA FEMMINILE Con il personaggio di Lisabetta Boccaccio rivela una straordinaria
sensibilità per la condizione femminile (già evidente nell’Introduzione del Decameron, dove
l’autore dedica l’opera alle donne, come compensazione per la loro condizione di svantaggio
rispetto a quella degli uomini): Lisabetta è sottoposta all’autorità crudele e insensibile dei fratelli,
non ha modo di difendere il proprio diritto all’amore se non passivamente, lasciandosi morire;
non è un caso che di lei, protagonista della novella, il lettore non legga mai direttamente ciò che
dice: è come se i fratelli le togliessero anche la voce, oltre all’amante e alla libertà; e tuttavia è
una donna coraggiosa, fino al punto di tagliare la testa al cadavere del suo amante e di portarla
con sé nascondendola nella pianta di basilico; e alla fine, è lei che trionfa, anche se
tragicamente: la forza del suo sentimento sopravvive nel canto popolare che conclude la novella,
come a dire che i tentativi dei fratelli di tenere nascosti lo scandalo e il delitto non hanno potuto
vincere la grandezza tragica del suo amore.
L’INGANNO Un ulteriore tema identificabile e' quello dell'inganno. Il destino dell'uomo è infatti
determinato dalla sua fortuna o più precisamente dall'inganno, che i fratelli di Lisabetta utilizzano
a scapito di Lorenzo. Questi infatti tendono un' insidia al giovanotto, mentendogli sulla meta del
loro viaggio, ma non solo, raggirano la sorella, poiche' le celano a lungo la sorte del suo amato.
La beffa e l'inganno trovano infatti grande posto nelle novelle del Decameron tanto che sono
proposti come “argomento della serata” per ben due volte.
IL MESSAGGIO DI BOCCACCIO Il “Messaggio” di Boccaccio è la necessità di un’apertura laica
della morale familiare e sociale, che attenui la forza repressiva dei codici dominanti sulle forze
spontanee e irrefrenabili della natura.In altre parole una morale più libera per quanto riguarda sia i
rapporti tra i sessi, sia i rapporti tra ceti sociali.
COLLEGAMENTO CON GHISMUNDA La novella in questione ha la medesima struttura di quella
di Ghismunda, infatti compare il triangolo Donna amante­ oggetto d’amore­ antagonista. L’amore
segreto, ostacolato dalle rispettive istituzioni familiari, va incontro ad una sorte tragica ma rimane
saldo fino alla morte. Inoltre Il motivo macabro della testa di Lorenzo nascosta nel vaso rimanda
a quello del cuore di Guiscardo nella novella di Ghismunda, le due eroine sono accomunate
quindi dal culto delle reliquie dell’amato secondo i moduli di un patetismo romanzesco ce
risalente alla tradizione cortese.
Tuttavia sono presenti delle differenze: nella novella di Lisabetta l’ambiente è borghese­
mercantile mentre nella novella di Ghismunda l’ambiente è elevato , aristocratico e feudale.
Delle differenze si possono rintracciare anche nei comportamenti delle due fanciulle infatti se
Ghismunda si ribella alle oppressioni del padre mostrando il suo coraggio e la sua fierezza,
difendendo i propri diritti e scegliendo volontariamente la morte, Lisabetta non si ribella ai fratelli
ma risponde all’oppressione familiare con l’accettazione silenziosa delle lacrime attraverso le
quali mostra la sua fedeltà verso l’amato.
RAPPORTO CON DANTE L’approccio realistico alla materia, a differenza della divina
commedia è su un piano abbastanza mistico;
Inoltre la fortuna non è più vista come provvidenza divina, come nella Divina Commedia
dantesca, ma è un semplice frutto del caso (infatti si va verso una mentalità borghese quindi
sempre meno legata alla religione).
SOGNO DI LISABETTA
Per la sequenza del sogno di Lisabetta (§§12­13) gli studi più recenti hanno indicato come
possibili modelli il sogno di Didone (Aen. I, 340­64) e quello di Carite (Apuleio Met. VIII. 8)9.
Eppure i contesti narrativi in cui
questi due sogni sono inseriti divergono, e in modo sostanziale, da quello che caratterizza il
sogno di Lisabetta, come i testi originali, letti nella loro integrità, permettono di constatare. Sicheo
infatti, rivelando a Didone le modalità tragiche della propria morte per mano del cognato, spiega
come essa
sia stata causata da intrighi familiari sì, ma a carattere dinastico: l’uccisione di Lorenzo, al
contrario, è invece azionata da un meno ambizioso e più primordiale sentimento di possesso da
parte dei fratelli di Lisabetta, i quali intendono tutt’al più distruggerne una passione ritenuta
illegittima e riprovevole. Anche i finali divergono conseguentemente: Didone inizia una nuova
relazione amorosa con Enea, mentre Lisabetta, paralizzata nel suo dolore, muore di un unico e
incancellabile amore. Un confronto puntuale fra i testi mostra poi come anche il luogo apuleiano.
FILOMENA
Il nome è probabilmente da mettere in relazione con quello di Filomela, che nel mito classico era
la sorella di Progne e fu violentata dal marito di lei, Tereo: aiutò la sorella a vendicarsi dell'uomo
e fu tramutata in rondine, anche se nella tradizione latina le si attribuiva la metamorfosi in
usignolo toccata in realtà alla sorella (Filomela divenne così per traslato l'usignolo, come in
Dante e Petrarca). Nulla del personaggio del Decameron, tuttavia, fa pensare alla figura del mito,
poiché Filomena è presentata come giovane saggia e riflessiva, simile in certi aspetti a
Pampinea, per cui è probabile che il nome sia interpretato dall'autore (secondo la consueta
pseudo­etimologia greca) come «colei che ama», mentre in realtà vuol dire «colei che ha cura
delle greggi». Nell'Introduzione alla Prima Giornata, dopo che Pampinea ha proposto di lasciare
Firenze sconvolta dalla peste, obietta che sarebbe imprudente per sette donne avventurarsi da
sole fuori città, poiché le femmine sono mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose,
dunque sottintende la necessità di trovare degli accomapagnatori. Più avanti, dopo che la stessa
Pampinea ha proposto di coinvolgere i tre giovani entrati in chiesa, all'obiezione di Neifile che
trova ciò sconveniente ribatte che i retti comportamenti non devono far temere le chiacchiere
della gente. Quando la brigata ha raggiunto la prima residenza, è lei a formare la corona di alloro
che pone sulla testa di Pampinea, eletta da tutti quale prima regina; e nella Conclusione della
Prima Giornata è a sua volta nominata regina da Pampinea, al che la giovane stabilisce che le
novelle della Seconda Giornata dovranno avere come tema il potere della Fortuna. Dioneo
chiede il privilegio di narrare per ultimo e di non attenersi al tema della Giornata, cosa che
Filomena gli concede perché lo conosce come sollazzevole uomo e festevole e perché
comprende che il suo scopo è narrare alla fine di ogni Giornata una novella da ridere. Nella
Conclusione della Seconda Giornata elegge a sua volta come nuova regina la giovane Neifile e
nella Conclusione della Settima intona la ballata Deh, lassa la mia vita!, in cui esprime la
passione di un amore travolgente e lascia intendere ai compagni di essersi da poco innamorata.
Federigo degli alberighi
Analisi novella “Federigo degli Alberighi”
Titolo: “Federigo degli Alberighi”
Autore: Giovanni Boccaccio
Opera: “Decameron”
CORNICE:
La novella è la nona raccontata nella quinta giornata, sotto il reggimento di Fiammetta, eletta
regina, da Filostrato.
L’attenzione si concentra sull’esperienza amorosa. Questo tema offre a Boccaccio la possibilità
di giocare con tutta la casistica contemplata dai suoi modelli letterari: dalla lirica provenzale alla
trattatistica medioevale, dai siciliani allo Stil novo, come in “Federigo degli Alberighi”, dal
romanzo cortese alla Commedia di Dante. Inoltre Boccaccio può cimentarsi nella
rappresentazione dell’amore sia attraverso il registro tragico sia attraverso il registro comico.
Nella quarta giornata infatti l’amore ha esito tragico: esso è fonte di sofferenza, di gelosia e di
angoscia, simbolo di una serenità sempre sfuggente. Nella quinta giornata, come nella novella,
si restaura il lieto fine, vera e propria vocazione del libro: non perché la visione della realtà sia
ottimistica ma perché l’universo narrabile si chiude sempre in una dimensione di armonia. Al
registro tragico si sostituisce allora quello comico, che domina tutto il Decameron, libro che
vuole essere una risposta vitale e concreta alle costrizioni mortificanti e, in generale, alla
precarietà dell’esistenza.
La novella è collegata alla precedente di Filomena, come detto dalla stessa narratrice, per
affinità di temi.
Infatti “Nastagio degli Onesti” tratta di un giovane innamorato che, dopo aver dilapidato il proprio
patrimonio in onore dell’amata, viene costretto dai parenti a ritirarsi in una località poco distante
per dimenticarla. Qui assiste una visione: un cavaliere con due mastini insegue la donna che in
vita lo ha respinto fino a ucciderla e darla in pasto ai cani. Lo strazio si ripete per punizione della
crudeltà della donna e del suicidio del cavaliere. Grazie all’ingegno del protagonista, il fatto viene
sfruttato a suo vantaggio, organizza un banchetto, la visione è vista anche dalla donna amata
che decide, dato il presagio, di sposarsi con lui.
COPPO DI BORGHESE DOMENICHI
Coppo di Borghese Domenichi nacque a Firenze, nella seconda metà del XIII secolo,
appartenente ad una famiglia importante.
Nella Firenze del Trecento era molto rispettato, più per virtù personali che per nobiltà di nascita,
era solito passare il tempo con i suoi amici raccontando di alcuni interessanti aneddoti di cui
aveva memoria. Non sappiamo, però, per quale motivo egli ne abbia, poiché non è specificato
come sia entrato a conoscenza delle suddette storie. Sono numerose le testimonianze della
partecipazione del Domenichi al governo del Comune, anche se l’attività pubblica meglio
documentata è quella svolta nell’ambito dell’organo collegiale dei Sei del biado, nel pieno della
carestia del 1328­1329.
Il nome del Domenichi resta legato alla sua partecipazione alla cultura cittadina di Firenze: il
Boccaccio nel Decameron lo introduce come fonte orale della novella di Federigo degli Alberighi.
Boccaccio ne loda sempre la sapienza affettuosa e coltivata di memorie fiorentine, infatti di lui
dice: “essendo già d’anni pieno, spesse volte delle cose passate co’ suoi vicini e con altri si
dilettava di ragionare: la qual cosa egli meglio e con più ordine e con maggior memoria e ornato
parlare che altro non seppe fare.”
Approfondimento sui sei del biado
Fin dall’epoca repubblicana l’Abbondanza e la Grascia furono le due principali magistrature
annonarie fiorentine. Relativamente all’Abbondanza le competenze furono esercitate da una
magistratura straordinaria incaricata dell’approvvigionamento del grano e delle biade nei periodi
di carestia, del loro trasporto nei magazzini, della loro conservazione e circolazione, nonché del
controllo del loro commercio durante le fiere e i mercati.
Nel 1282 è attestata la presenza di sei funzionari nominati dal Consiglio, detti i sei del biado. Ai
primi del Trecento, quindi, a Firenze funzionava una magistratura annonaria che, sebbene
variabile quanto al numero dei magistrati, mantenne inalterate le proprie competenze.
L’organo collegiale dei Sei del biado fu sostituito in seguito dal Magistrato dell’Abbondanza, infatti
il 6 marzo 1353 furono istituiti gli “officiales super copia et abundantia grani et bladi”, cioè coloro
che facevano parte del Magistrato dell’Abbondanza, che rimasero in vigore fino al 29 ottobre
1768, quando le loro funzioni passarono alla congregazione dell'annona.
Annona = per Annona si intende la politica di un paese per le proprie scorte di cereali e delle
altre derrate alimentari.
Biado = nome generico di tutte le sementi delle piante frumentacee.
MADONNA FIAMMETTA
Il suo nome allude alla donna amata da Boccaccio durante il suo soggiorno a Napoli, che
secondo una leggenda forse alimentata da lui stesso sarebbe stata una figlia illegittima del re
Roberto d'Angiò; Fiammetta è anche la protagonista dell'Elegia omonima, opera del periodo
fiorentino in cui la vicenda autobiografica napoletana è raccontata in forma romanzata e con i
ruoli rovesciati (Madonna Fiammetta, nobile napoletana, è abbandonata dal suo amante Panfilo,
di Firenze) e il suo nome compare anche nell'Amorosa visione e nel Ninfale d'Ameto, in cui è
una delle sette ninfe. La novellatrice del Decameron è descritta come una giovane dai lunghi
capelli biondi e ricci, un bellissimo viso rotondo di colore bianco e roseo, occhi scintillanti e una
piccola bocca dalle labbra rosse: è il ritratto della bellezza femminile canonizzata dalla
letteratura classica e dallo Stilnovo, forse idealizzata dall'autore che intendeva identificarla con la
donna amata in gioventù, chiunque fosse. La giovane è scelta quale nuova regina da Filostrato e
Fiammetta, per compensare la tristezza delle novelle della quarta Giornata, per la quinta impone
come tema gli amori conclusi felicemente; elegge quale nuova regina Elissa. Canta l'ultima
canzone nella decima Giornata, su invito del re Panfilo, ovvero la ballata S'amor venisse senza
gelosia (il personaggio si qualifica dunque come innamorata gelosa del proprio uomo e diffidente
verso le altre donne: giova ricordare che Panfilo era l'uomo amato dalla protagonista dell'Elegia
di Madonna Fiammetta). Talvolta accompagna al suono di una viola i balli e i canti dei compagni,
mentre Dioneo suona il liuto.
TEMPO:
Intreccio
= ordine con cui i fatti sono raccontati nel testo
Federigo degli Alberighi era un giovane di ricca famiglia, che, invaghitosi di Giovanna, donna
sposata per farsi notare da lei sperperò tutto il proprio patrimonio, finché non gli rimasero solo un
poderetto, in cui si ridusse a vivere, e un falcone, considerato il migliore del mondo, con cui
passava le giornate andando a caccia.
Un giorno il marito della donna morì; in seguito Giovanna si dedicò interamente al figlio, e si
trasferì con lui in campagna, in un poderetto vicino a quello di Federigo. Fu così che il giovane
figlio della signora conobbe Federigo e gli divenne amico; andava a caccia con lui ed era
particolarmente affascinato dal suo infallibile falcone, tanto che avrebbe voluto chiederglielo in
dono; ma non osava.
Purtroppo la caccia all’aria aperta ammalò il giovane, ed egli si ritrovò a letto in condizioni
gravissime; un giorno disse però alla madre che avere il falcone di Federigo certo gli avrebbe
giovato.
La donna era restia a chiedere a Federigo l’ultimo bene che ancora gli rimaneva, anche perché
sapeva che era proprio quel falcone a procurare a Federigo di che vivere. Tuttavia l’amore per il
figlio ebbe la meglio, ed ella acconsentì. Il giorno dopo si presentò dunque al podere di Federigo,
e gli annunciò che, per ricambiare la gentilezza che le aveva fatto amandola senza speranza, lo
avrebbe visitato e sarebbe stata a pranzo da lui. Federigo accettò, chiedendo però il permesso
di sistemare la casa e la tavola prima di accoglierla. Andò dunque a cercare qualcosa da
mangiare, ma notò che non aveva scorte in casa. Per accogliere degnamente la donna amata,
fece tirare il collo al suo povero falcone e lo servì in tavola.
Alla fine del pranzo, quando seppe la vera ragione della visita di Giovanna, si rammaricò per
averle cucinato il prezioso animale quando lei lo avrebbe desiderato vivo. Le raccontò ciò che
aveva fatto e le mostrò come testimonianza dell’accaduto le penne e le zampe del falcone.
La donna fu costretta a dare al figlio la brutta notizia; il giovane, aggravatosi, morì. La donna si
ritrovò da sola e con un grande patrimonio, e, incoraggiata dai fratelli a prender di nuovo marito,
non volle sposare altri che Federigo, commossa dall’amore e dalla grandezza d’animo ch’egli le
aveva mostrato.
Fabula
= ordine strettamente cronologico degli avvenimenti
I. Federigo Alberighi è un nobile fiorentino innamorato di monna Giovanna, una nobildonna
sposata.
II. Federigo spende tutti i suoi soldi per cercare di conquistare Giovanna. Divenuto povero, va a
vivere in campagna con soltanto il suo falcone. Nel frattempo la donna rimane vedova e molto
ricca.
III. Monna Giovanna si trasferisce in campagna per l’estate, dove il figlio e Federigo fanno
amicizia. Il ragazzo si ammala gravemente.
IV. Il figlio chiede alla madre se può portargli il falcone di Federigo, così la madre si reca a pranzo
dal giovane. Egli, non avendo nulla da mangiare, sacrifica il falcone per il pranzo con la sua
amata.
V. La donna non ottiene il falcone. Il bambino muore pochi giorni dopo, rendendo la donna l’unica
erede alla ricchezza di famiglia.
VI. Giovanna è convinta a risposarsi dai fratelli, perciò decide di sposare Federigo, perché le ha
dimostrato grande virtù. Il giovane è di nuovo ricco e capace di gestire il patrimonio.
Rapporto tra fabula e intreccio:
L’intreccio, nella novella, coincide con la fabula: la narrazione procede dall’inizio alla fine
seguendo l’ordine cronologico. In più rispetto alla fabula vi sono descrizioni, arricchimenti..
Nonostante si possa dire che tutte le novelle sono retrospezioni, non sono presenti retrospezioni
o anticipazioni (prolessi) anche se probabilmente si potrebbe parlare di anticipazione quando il
figlio di Monna Giovanna è ammalato e già si preannuncia il peggio, e che poi è proprio quello
che accadrà.
L’intreccio: sequenze e blocchi narrativi
La struttura dell’intreccio è in genere divisibile in parti di contenuto coerente, che trattano ciè di
un solo argomento, chiamate sequenze.
Il passaggio da una sequenza all’altra avviene:
● al
cambiamento di luogo op tempo;
● all’entrata
o uscita di un personaggio;
● ad
una pausa riflessiva del narratore;
● alla
variazione di modalità narrative, ad esempio se si passa da una descrizione ad
un dialogo.
Suddivisione in sequenze:
1­13 “Introduzione di madonna Fiammetta”, sequenza dialogata
14­38 “Sperpero da parte di Federigo di tutti i suoi averi per amore di monna Giovanna”/
“Federigo spende e dilapida i suoi averi per amore di monna Giovanna”, sequenza narrativa
39­55 “Morte del marito e malattia del figlioletto di Giovanna”/ “Il figlio di monna Giovanna si
ammala”, sequenza narrativa
56­72 “La richiesta del falcone da parte del figlioletto”, sequenza dialogata
73­91 “Visita di monna Giovanna a Federigo”/”Monna Giovanna si reca in visita a Federigo” ,
sequenza dialogata – narrativa
92­108 “Rinuncia e cottura del falcone per onorare monna Giovanna”/”Federigo rinuncia al
falcone e lo fa cucinare per onorare monna Giovanna”, sequenza narrativa
109­127 “Richiesta da parte di monna Giovanna del falcone di Federigo, per il figlioletto malato/
“Monna Giovanna chiede a Federigo il falcone per il figlioletto malato”, sequenza dialogata
128­156 “Impossibilità di Federigo nell’aiutare monna Giovanna e morte del figlio”/” Federigo non
può aiutare monna Giovanna e il figlioletto muore”, sequenza dialogata – narrativa
157­175 “Matrimonio fra Giovanna e Federigo, con riacquisizione del benessere economico da
parte di Federigo”/” Monna Giovanna sposa Federigo, che diventa nuovamente ricco”, sequenza
narrativa
Le diverse sequenze contigue che sviluppano un unico si possono considerare una
macrosequenza. La divisione in macrosequenze ci permette di individuare i blocchi tematici in
cui si articola la struttura del testo.
Suddivisione in blocchi narrativi:
A) Federigo si innamora di una donna sposata, monna Giovanna, per lei consuma tutte le sue
ricchezze (antefatto). Prevale la narrazione.
B) Monna Giovanna chiede in dono il falcone per il figlioletto, ma Federigo lo ha già ucciso e
gliel’ha offerto come pasto (parte centrale). Prevale il dialogo.
C) Monna Giovanna, conquistata dalla nobiltà d’animo di Federigo, lo sposa rendendolo
nuovamente ricco (conclusione). Prevale la narrazione.
Tempo
All’interno della novella non è specificato il contesto storico nel quale si sviluppa la narrazione,
ma è deducibile dal testo che sia ambientata nel medioevo in quanto Boccaccio fa intendere che
solo i ricchi che possedevano animali da caccia potevano permettersi di mangiare carne, e
questa era una caratteristica tipica del medioevo. inoltre nei primi righi della novella è presente
un accenno ad una figura storicamente esistita a Firenze, tale Coppi di Borghese Domenichi,
che nel racconto è descritto mentre narra ai suoi coetanei storie passate, probabilmente della
sua giovinezza: questo elemento fa comprendere che la storia è ambientata in un’epoca molto
anteriore a quella in cui è stata narrata. Neppure nella vicenda narrata della vi sono indicazioni
temporali tali da descrivere il lasso di tempo impiegato per lo svolgimento, o TS (tempo della
storia), ma vi sono alcune locuzioni che segnalano lo scorrere del tempo. Probabilmente si
svolge un periodo molto lungo in quanto si assiste all’impoverimento di Federigo, alla morte del
marito di Monna Giovanna, alla malattia del figlio di Giovanna e alla morte dello stesso ed infine al
riarricchimento di Federigo. Il primo cenno che si incontra è “avvenne un dì” in riferimento alla
morte del marito di monna Giovanna, seguito da “l’anno di state”, che potrebbe indicare il
trascorrere di una stagione dal lutto della famiglia della nobildonna. Dal momento in cui la
narrazione si sposta a Campi, si percepisce un mutamento del ritmo, che aumenta e molto
frequenti sono le espressioni come “domattina”, “il dì medesimo”e “non trapassar molti giorni”,
che perciò rendono lo svolgersi dei fatti più rapido, fino ad arrivare al culmine con la morte del
figlio di Giovanna. Dopo quest’avvenimento, infatti, informazioni temporali sono molto meno
frequenti, quasi inesistenti. Si nota una leggera allusione alla vita di Federigo al fianco di monna
Giovanna: “Terminò gli anni suoi”.
Ci sono però anche passaggi di tempo che non vengono esplicitamente descritti dall’autore ma
si deducono dallo svolgimento del racconto, come il passaggio da quando Federigo è ricco a
quando diventa povero, non è scritto dall’autore ma sta al lettore capirlo.
Per quanto concerne il TR (tempo del racconto), la novella si esaurisce in quattro pagine infatti la
durata di narrazione è sicuramente più corta rispetto alla durata degli avvenimenti; infatti
Boccaccio tende a “tagliare corto” su molti avvenimenti, cioè opera delle ellissi, tra i
quali:l’impoverimento di Federigo che sicuramente non è brevissimo, la morte del figlio di Monna
Giovanna che non può di certo avere la durata di poche righe; l’unico episodio che viene
raccontato con dovizia di particolari è la parte centrale del testo, il pranzo e la richiesta di Monna
Giovanna a Federigo. Un rallentamento significativo si ha dal rigo 112 quando l’autore descrive lo
stato d’animo del protagonista.
Perciò si intuisce che il TS è maggiore rispetto al TR, perciò la lettura risulta scorrevole e
dinamica, anche grazie all’assenza di descrizioni prolisse, che rallenterebbero la narrazione e
non sarebbero funzionali alla vicenda.
LO SPAZIO:
Spazio
= rappresentazione dei luoghi in cui si svolge la vicenda
Per quanto riguarda la dimensione spaziale nella novella non è vaga: sono citate due città
identificabili anche nella geografia moderna, ovvero Firenze e Campi, dove il giovane si rifugia e
vive in povertà.
Sono presenti spazi aperti, come la campagna dove si svolge la maggior parte delle azioni. Non
vi si trovano descrizioni dettagliate dei luoghi della narrazione, a meno che non siano funzionali
allo sviluppo della vicenda.
NARRATORE:
Narratore e linguaggio
= colui che racconta la storia, è la voce narrante che immaginiamo di sentire leggendo.
Appartiene alla finzione narrativa e può essere un personaggio o può coincidere con
l’autore implicito, può essere esterno alla storia o farne parte.
La narratrice della novella è Fiammetta. In ogni novella del Decameron sono presenti due
narratori: il primo, che definisce la cornice dell’opera e introduce la narrazione dei giovani nelle
varie giornate è di I grado, esterno [narra in terza persona] ed etero diegetico o onnisciente, ma
si potrebbe definire anche autoriale, anche se non coincide mai con l’autore proprio dell’opera,
Boccaccio. Le voci dei ragazzi che narrano effettivamente il racconto (nella novella Fiammetta)
sono tutte quelle dei vari narratori di II grado, ma pur sempre etero diegetici. La lingua utilizzata
dal narratore di I grado è sempre controllata ed elegante, al fine di dare un maggiore ordine
all’opera, mentre il linguaggio interno ad ogni novella subisce delle variazioni a seconda del ceto
sociale che racconta. Sebbene le tematiche spesso coinvolgano gli strati più bassi della
popolazione, Boccaccio non scade mai nel linguaggio e non arriva ai livelli di Dante, nell’Inferno
soprattutto, con bestemmie e imprecazioni.
Si ha perfino un accenno ad un narratore di III terzo grado. Stiamo parlando di Coppo Domenichi.
LA FOCALIZZAZIONE :
La focalizzazione
= punto di vista della voce narrante
La focalizzazione utilizzata è quella zero; in tal caso lo spettatore è messo nelle condizioni di
dominare tutta la narrazione, essendo informato di tutto da un narratore onnisciente che penetra
nei pensieri dei personaggi e si trova in più posti diversi contemporaneamente. Non vi sono
artifici letterari particolari, come lo straniamento.
PERSONAGGI:
I personaggi narrati in questa novella sono pochi, come generalmente in tutte le novelle.
Precisamente vi sono due protagonisti (personaggi principali), il nobile decaduto Federigo degli
Alberighi e monna Giovanna, un ruolo di secondo piano possono trovare il figlio della donna, che
non è caratterizzato ma ha una collocazione nel susseguirsi dei fatti; e solo leggermente i fratelli
di madonna Giovanna, che anche loro hanno una funzione nell’epilogo della vicenda e anche
limitatamente la dama di compagnia.
Personaggi principali:
= personaggi che compaiono ripetutamente nel racconto e rivestono ruoli fondamentali nella
vicenda
● Federigo degli Alberighi (protagonista)
Federigo Alberighi appartiene ad una delle famiglie più nobili e antiche della Firenze del tempo,
con un patrimonio non indifferente, quella degli Alberighi. È descritto con tutti gli attributi del
perfetto cavaliere: si dedica all’arte delle armi, ha un comportamento e un animo cortese ed è
rispettoso nei confronti delle donne. Quando si innamora di monna Giovanna, da ottimo
cavalier­servente, non si risparmia assolutamente, indicendo eventi mondani come feste e
tornei, manifestando tutti gli ideali di liberalità dell’aristocrazia. Anche da povero conserva un
comportamento degno di un nobile del suo rango, adattandosi alla situazione senza ribellarsi e
con coraggio, procacciandosi il cibo con il falcone, arte tipicamente gentilizia, e non esitando ad
offrire tutto ciò che possiede alla sua amata, anche la cosa più cara che possiede (il falcone)
senza preoccuparsi della sua situazione. Non sono delineati altri aspetti del personaggio di
Federigo se non quelli relativi alla sua natura “gentile”, infatti, non vi sono informazioni sul suo
aspetto fisico o su altre sue sfaccettature caratteriali.
Federigo è un personaggio dinamico: all’inizio è sorretto solo dalla virtù della cortesia, ma in
seguito ad un’esperienza negativa, diventa un amministratore oculato del patrimonio.
Egli rappresenta il mondo aristocratico che si adatta alle nuove esigenze, senza tradire gli ideali
originari. Il matrimonio con Monna Giovanna è tipico della cultura borghese ed è segno di
integrazione nella società che lo circonda.
● Monna Giovanna
Monna Giovanna fa parte di un’altra ricchissima famiglia fiorentina, sposata con uno degli uomini
più in vista della città. Nella novella si parla di lei come di una donna “tenuta delle più belle donne
e delle più leggiadre che in Firenze fossero”, quindi è presente anche un’indicazione sul suo
aspetto fisico. Essendo un’esponente della nobiltà non può che avere un comportamento
elegante e cortese, che la rendono piacevole anche agli occhi di Federigo, dopo che egli ha
perso tutto per inseguire un amore mai ricambiato da lei.
E’ sempre controllata e razionale, e padrona del suo destino a differenza di molte donne
medievali.
Personaggi secondari:
= personaggi che hanno ruoli marginali o di secondo piano o limitati, anche se talvolta possono
imprimere una svolta alla storia.
● Figlioletto
Il figlio di monna Giovanna, di cui non è riportato il nome, né una descrizione, sarà decisivo nel
momento in cui la madre dovrà andare dal giovane Federigo per chiedergli il falcone. E’, perciò,
un elemento di unione fra Giovanna e Federigo.
Comparse:
= personaggi privi di ruolo nella vicenda
● Dama di compagnia
Personaggio che sottolinea l’ambiente cortese e la posizione sociale elevata di monna Giovanna
● Fratelli di Giovanna
I fratelli di Giovanna esercitano, come era consuetudine all’epoca, un certo potere nei suoi
confronti, spingendola a risposarsi, anche per meglio gestire l’enorme patrimonio ereditato.
TEMI PRINCIPALI:
●
●
●
●
Amore
Le basi materiali della cortesia e l’amore che si sviluppa secondo tali principi
Liberalità e masserizia
Amore della madre per il figlio
●
La fortuna (Federigo, da ricco cade in povertà, ma riacquista il
economico.
● Ruolo della donna
benessere
1) Amore
Una delle forze che animano l’universo del Decameron è l’amore: è essa che costituisce il tema
centrale di molte novelle come “Federigo degli Alberighi” e muove l’iniziativa di molti personaggi.
L’amore è visto in una prospettiva tutta laica e terrena. Non è più “L’Amor che muove ‘l sole e
l’altre stelle” della Divina Commedia, ma una forza che scaturisce dalla natura.
In quanto tale, per Boccaccio è una forza in sé sana e positiva, che è assurdo e vano frenare o
reprimere. Anzi soffocarla è una colpa che può generare sofferenza e morte. Per questo,
Boccaccio vede con favore gli eroi che adoperano ogni mezzo per raggiungere il loro fine
amoroso, e soprattutto guarda con intenerita e sorridente approvazione lo sbocciare del
desiderio naturale dei giovani. La concezione naturalistica dell’amore che domina nel
Decameron anticipa quella che sarà propria del Rinascimento: non a caso Boccaccio sarà
autore molto amato e imitato in quella età. L’amore nella novella è fonte di ingentilimento,
secondo i dettami cortesi e del Dolce Stil Novo; infatti uno dei principali temi dello stilnovismo è
appunto la gentilezza, o meglio il cuor gentile, ovvero un cuore pieno di valori e di virtù morali.
Diventa un valore supremo proprio perchè solo le persone dotate di un cuor gentile sono in
grado di provare un sentimento così nobile e sublime qual'è l'amore. E la figura della donna
assume una certa importanza all'interno di questo contesto, infatti svolge una funzione
angelicata, ed innalza l'uomo a Dio.
La nobiltà quindi non è più considerata come un fatto ereditario, ma come nobiltà d'animo.
In Boccaccio si tratta di un amore forte, che riesce a sopravvivere anche quando la
sopravvivenza stessa dell’amante avviene in una situazione alquanto precaria. Un amore che
poi, trionfa, felicemente, trovando compenso da entrambe le parti.
2) Le basi materiali della cortesia e l’amore che si sviluppa secondo tali principi
Il protagonista, nella parte iniziale della novella, incarna perfettamente gli ideali dell'aristocrazia
cortese. Ne ha i due tratti distintivi, la liberalità e l'amor fino: Federigo spende senza ritegno i suoi
averi, giostrando, armeggiando, facendo feste e donando, e lo fa per conquistare la donna
amata, secondo il principio cortese dei “servizio d'amore”, pur sapendo bene di non poter
ottenere nulla da lei. Il Boccaccio indubbiamente ammira queste virtù cavalleresche dell'eroe;
ma non ne vuole fare semplicemente la celebrazione: la sua prospettiva è più sottilmente
problematica.
Innanzitutto lo scrittore porta risolutamente in primo piano ciò che la letteratura cortese aveva
sempre ignorato, le basi materiali della cortesia, il fatto che per essere perfetti cavalieri cortesi
occorre molto denaro. I romanzi cavallereschi e la poesia trobadorica avevano sempre rimosso
questo aspetto. Questi generi letterari erano espressione della civiltà feudale, di un ceto sociale
che disprezzava il denaro e il guadagno, le cui ricchezze derivavano da rendite che ogni anno si
rigeneravano quasi senza che l’aristocratico dovesse occuparsene. Ecco perché gli autori
cortesi o i poeti trobadorici erano indotti a ignorare le basi materiali della realtà che
rappresentavano: le ricchezze dei cavalieri cortesi apparivano illimitate, inesauribili, come nelle
fiabe. Ma Boccaccio è ormai fuori da quel mondo, è figlio della civiltà mercantile e finanziaria
fiorentina, che conosce bene il valore e l'incidenza del denaro nella realtà. Per cui vede le cose
“dal basso”, dalle loro radici materiali, non idealizza la realtà, ma ha chiara percezione delle
forze concrete che la muovono. Per questo, pur ammirando profondamente la civiltà cortese e i
suoi valori, vede anche i limiti che la indeboliscono, se essa non sa fare i conti con le sue basi
materiali.
Boccaccio in questa novella conduce per così dire una dimostrazione per assurdo, mettendo in
luce l'intimo paradosso della cortesia: praticata con assoluto rigore e spinta ai suoi limiti estremi,
essa giunge ad autodistruggersi; con lo spendere largamente, consuma infatti le sue basi
materiali, pregiudica le condizioni stesse della sua esistenza, le ricchezze. Il paradosso si
manifesta chiaramente nel vicolo cieco in cui viene a trovarsi Federigo proprio quando
finalmente ha l'occasione, tanto desiderata e mai avuta, di onorare la donna amata in casa sua:
l'eroe si trova nell'impossibilità di farlo perché, proprio per “servirla” cortesemente, ha speso tutto
il suo avere ed è rimasto povero. Compie allora un ultimo, disperato, nobilissimo gesto,
sacrificando il suo falcone, ma ciò segna il culmine del paradosso: il sacrificio gli impedisce di
soddisfare la prima richiesta che gli viene fatta dalla donna, e provoca la morte del figlio; un
gesto sublime è proprio ciò che impedisce il gesto sublime di generosità in cui si dovrebbe
realizzare compiutamente la sua cortesia, il dono del falcone alla donna amata.
Questo vicolo cieco in cui Federigo viene a trovarsi è la conseguenza inevitabile di una prima
scelta sbagliata: se assurde sono le conseguenze, assurde dovevano essere le premesse: era
cioè sbagliato sperperare tutto il patrimonio in nome della cortesia.
3) Liberalità e masserizia
L'unica soluzione che si prospetta è conciliare la “larghezza” cortese con il culto borghese del
denaro, la «liberalità» con la «masserizia» (il termine con cui, nella civiltà mercantile del tempo,
si designava l'oculata amministrazione del patrimonio). Boccaccio vede i limiti che trasformano
entrambe le virtù in vizi, se praticate separatamente. Se la cortesia portata all'estremo si
autodistrugge, corrodendo le proprie basi materiali, d'altra lato il culto del denaro porta a
grettezza, meschinità, sordida avarizia (ne sono un esempio, nella novella, i fratelli di monna
Giovanna). È necessario trovare un punto di equilibrio tra le due virtù.
La «masserizia» è condizione necessaria per l'esercizio della cortesia: solo amministrando
saggiamente il patrimonio le ricchezze possono durare e consentire agli uomini di essere
giustamente “liberali”; ma a sua volta la «liberalità» è necessaria per correggere la
«masserizia», ed impedire che divenga avarizia. L'ideale è il perfetto cavaliere che sia anche
«massaio»; o, visto dall'altro lato, il savio e avveduto borghese che sappia assurgere alla virtù
della cortesia.
In questo, Boccaccio è perfetto interprete dì quella nuova aristocrazia borghese del Comune,
che fonda il suo potere sul denaro, ma eredita dalla civiltà passata il culto delle belle forme, del
vivere signorile, della generosità disinteressata, dei gesti magnanimi, del bel parlar gentile. I
nuovi ceti dirigenti comunali erano mercantili per origini e interessi, ma tendevano a costituirsi in
un'aristocrazia «dell'intelligenza, del sentimento, del gusto» (Petronio). É l'ideale che è proposto
da tante novelle del Decameron, e che si rispecchia nel mondo della cornice. Federigo è il
perfetto rappresentante di questa fusione degli ideali cortesi e dei valori della borghesia urbana:
se all'inizio ha solo la virtù della cortesia, e la porta sino all'assurdo, poi, ammaestrato
dall'esperienza negativa, diviene miglior «massaio», e impara ad amministrare oculatamente il
denaro; ma, evidentemente, non abbandona con questo la sua signorile liberalità. Le due virtù
raggiungono in lui un esemplare equilibrio. È il rappresentante del mondo aristocratico e feudale
passato, che sa trasformarsi e adattarsi alle nuove esigenze del presente, senza però tradire gli
ideali originali. Ed il sacrificio del falcone, un elemento tipico della società feudale, assume in
questa prospettiva un significato simbolico.
Ma à anche molto indicativo che Federigo divenga «miglior massaio» sposandosi: l'amor
cortese escludeva rigorosamente il matrimonio, mentre l'esaltazione del matrimonio e della
famiglia come condizione indispensabile per la compiuta realizzazione dell'individuo era propria
della cultura della borghesia mercantile urbana. Anche il matrimonio, dunque, è il segno
dell'integrazione del «donzello» Federigo nel mondo borghese. Come supera la pura cortesia
feudale, Federigo supera anche l’ “amor fino”: il nuovo ideale del gentiluomo viene a coincidere
con quello del buon padre di famiglia.
4) L’amore della madre per il figlio
In questa novella la donna che è oggetto dell’amore per Federigo si distacca dalla concezione di
donna ideale che si aveva precedentemente ma è la rappresentazione di una donna umana e
concreta, che ha un figlio che ama teneramente e antepone il suo benessere alla propria o altrui
felicità. Esempio di questo amore smisurato si ha quando, per far migliorare la salute del figlio,
gli promette che si adopererà in tutti i modi per venire in possesso dell’ultimo bene a cui ancora
Federigo non ha rinunciato per lei.
Anche se si presenta come donna onesta e virtuosa questo gesto fa notare come l’amore
materno superi tutti i codici di comportamento e i suoi valori morali.
5) La fortuna vs umana capacità di scelta
La fortuna è insieme alla natura una delle forze dominanti nel Decameron. La novella di Federigo
degli Alberighi si configura, fin dal principio, come una rappresentazione del contrasto tra la
fortuna e l’umana capacità di scelta, caratteristico dei passaggi decisivi nella vita degli individui.
L’insegnamento fondamentale della novella consiste in un invito all’esercizio della volontà, della
scelta consapevole, contro l’ abbandono agli eventi e all’arbitrarietà della fortuna. Questo è
anche il senso dell’apostrofe iniziale che Fiammetta, la narratrice rivolge alle donne: “perché
apprendiate d’esser voi medesime [..] donatrici de’ vostri guiderdoni senza lasciarne sempre
esser la fortuna guidatrice”, racchiude già in sé la profonda ragione e l’insegnamento che
bisogna trarre dalla novella.
la decisione finale di monna Giovanna, che sceglie come marito Federigo degli Alberighi in
ragione della sua nobiltà d’ animo, è proprio la realizzazione di questo auspicio: la scelta della
donna è infatti sottratta all’arbitrarietà della fortuna.
6) Ruolo della donna
In Boccaccio le donne per la prima volta nella nostra letteratura acquistano dignità di personaggi
e una pluralità di esistenze concrete e differenziate secondo l'appartenenza ai vari ceti sociali.
La donna non solo è oggetto, ma anche soggetto di desiderio. Appare in Boccaccio la
consapevolezza di quanto questo ruolo esclusivamente erotico, considerato un dato naturale («a
questo siam nate») condanni la donna alla marginalità sociale; legata al sesso e alla maternità la
donna è amata finché giovane e bella, ma poi è considerata buona a nulla. «Degli uomini non
avviene così: essi nascono buoni a mille cose, non pure a questa, e la maggior parte sono da
molto più vecchi che giovani" (V, 10). Ma questa interessante osservazione resta senza sviluppi
ulteriori. Anche nell'Introduzione al Decameron l'autore mostra una particolare attenzione alle
condizioni di inferiorità e di costrizione familiare in cui vivono le donne agiate, pure loro
subordinate all'autorità dei padri, dei mariti, dei fratelli, spesso rappresentati nelle novelle in ruoli
oppressivi e crudeli.
La donna del Decameron non è più la donna­angelo: è la donna borghese, che unisce la
naturalità del popolo alla nobiltà d'animo cortese, l'amore all'intelligenza e all'ingegno.
La posizione di Boccaccio, dopo il Decameron, cambia bruscamente: l'abbandono della
tematica erotica segna nel Corbaccio il rifiuto e la negazione della donna e una violenta ripresa di
temi misogini. Questo mutamento è stato spiegato come un cambiamento di poetica. Tuttavia è
anche un segno della precarietà di tale apertura al mondo femminile. Anche nel Decameron,
infatti, la figura della donna per un verso dipende dalla proiezione dell'eros maschile, per un altro
è mero veicolo di una ideologia letteraria. La concezione aperta e spregiudicata della vita che si
afferma nel Decameron permette al Boccaccio la rappresentazione di una fenomenologia
amorosa estremamente varia e viva, in cui la donna gioca un ruolo importante; ma, caduto
l'interesse per l'eros e per la poetica che ad esso si ispirava, la donna, il corpo, il sesso
diventano di nuovo una forza negativa da esorcizzare e condannare.
Elemento fondamentale: IL FALCONE
Il falcone è il simbolo del mondo cavalleresco a cui Federigo appartiene spiritualmente, emblema
della condizione di privilegio dell'aristocrazia, sostanzialmente dispendiose e improduttiva,
permette la sopravvivenza al suo padrone. Viene sacrificato in nome degli ideali cortesi, per
accogliere degnamente monna Giovanna: tale rinuncia appare come un gesto eroico e
rappresenta il culmine e la chiave di volta della storia di Federigo. La nobiltà del suo gesto, infatti,
non rimane insensibile monna Giovanna: gli antichi valori continuano ad esercitare il loro fascino
sulle nuove classi borghesi.
il sacrificio del falcone procurerà alla fine a Federigo il matrimonio con Giovanna e la nuova
condizione di "massaio", oculato amministratore del patrimonio della ricca moglie, nell'ottica
oramai tutta borghese della previdente gestione della ricchezza materiale.
COLLEGAMENTI:
● Temistocle
Boccaccio riproduce [riga 139] le parole rivolte dal generale ateniese Temistocle (VI­V sec. a.C.)
a un padre che gli chiedeva consiglio su come maritare la figlia: “Preferisco un uomo che abbia
bisogno del denaro, che del denaro che abbia bisogno di un uomo.”
●
●
●
Nastagio
degli Onesti
E’ la novella precedente e dunque condivide con essa il tema.
E’ possibile fare un parallelo tra Nastagio e Federigo degli Alberghi in quanto le
novelle sono collegate tra loro dal tema economico: entrambi i protagonisti, infatti,
spendono tutti i loro soldi invano, permostrarsi degni dell’amore della donna. Nonostante
questa
somiglianza Boccaccio vuole sottolineare anche delle precise
differenze: per la borghesia il denaro è il fine della vita e quindi non bisognerebbe
sperperarlo, mentre per la nobiltà è secondario quasi fosse un tabù di cui sarebbe
disonorevole parlare. I borghese lavorano tutta la vita, per guadagnarsi i soldi e quindi
devono tenerseli ben stretti, ma per i nobili è forse irrilevante
perdere un po’ di
denaro, poiché abituati a possederne molto.Forse Boccaccio, con l’esempio di
Nastagio, ci vuol comunicare la
nascita di una nuova società in cui il denaro ha un
suo giusto
peso. Da questo parallelismo possiamo evidenziare alcuni aspetti
autobiografici dell’autore che compie due importanti esperienze divita come quella
cortese napoletana e quella comunale fiorentina.
● La conclusione delle due novelle è pressoché identica, ma c’è una netta differenza
nel modo in cui viene raggiunto lo scopo finale; nella novella di Nastagio, il
protagonista usa la furbizia per far assistere alla giovinetta l’inquietante scena del
cavaliere che strappa il cuore della ragazza, al fine di conquistareil suo amore, quindi è
una cosa che Nastagio fa volontariamente. Federigo invece non immagina che il suo
gesto di generosità porterà la bella Giovanna a decidere di sposarlo, quindi il lieto fine è
una conseguenza involontaria del suo gesto.
● Cisti il fornaio
In Cisti si può vedere all’opera la fusione dei valori borghesi e cortesi che è tipica del mondo
Boccacciano; rappresenta il caso simmetricamente inverso rispetto a Federigo Degli Alberighi:
questi il gentiluomo che con la cortesia fonde la “masserizia”, Cisti è il borghese che sa
assurgere alle virtù cortesi. Oltre a ciò, Cisti ama le belle forme del vivere, che della cortesia
sono la cornice necessaria: si noti l’insistenza del narratore sulla bontà dei vini, sulla lindura degli
abiti, sulla pulizia dei bicchieri.
● Lisabetta
da Messina
Le due novelle sono collegate per la differenza di concezione del ruolo della donna: se in
Federigo la donna è degna di lode e di attenzioni e viene ricoperta di gentilezza e doni, in
Lisabetta da Messina viene considerata dai fratelli come una nullità di cui non bisogno tenere
conto; ignorano le sue richieste e i suoi bisogni e si limitano a pensare al loro buon nome.
● Il
mondo cortese
L’iniziale corteggiamento non accettato da parte di Federigo sembra rifarsi alle norme del mondo
cortese narrate nel trattato di Andrea Cappellano sulle regole della fin’amor: l’uomo ama una
donna già sposata che non ricambia il suo interesse, e tenta in ogni modo di farsi notare
dall’amata con vari doni; l’amata mostra tuttavia nei confronti di Federigo una cortesia fredda e
disinteressata. Tuttavia è presente inizialmente una differenza con l’ideale di cortesia in quanto
l’uomo non appartiene a un rango inferiore rispetto alla donna.