N. 04091/2012REG.PROV.COLL. N. 02233/2005 REG.RIC

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N. 04091/2012REG.PROV.COLL. N. 02233/2005 REG.RIC
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N. 04091/2012REG.PROV.COLL.
N. 02233/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2233 del 2005, proposto da:
Soc. San Michele Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica,
rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Stancanelli, con domicilio eletto presso Gian
Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
contro
Comune di Fiesole, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso
dall'avv. Fausto Falorni, con domicilio eletto presso Raniero Bosca in Roma, corso
Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della TOSCANA – Sede di FIRENZE - SEZIONE III n.
00353/2005, resa tra le parti, concernente PARERE PREVENTIVO NEGATIVO PER
REALIZZAZIONE DI UN'AUTORIMESSA E RICHIESTA DI RISARCIMENTO
DEL DANNO.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012 il Consigliere Fabio Taormina
e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Stancanelli e Fausto Falorni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
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FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dalla odierna
appellante s.r.l. San Michele Immobiliare l’annullamento del parere negativo del
Comune di Fiesole del 29.5.2002 in ordine ad un’istanza preventiva relativa alla
realizzabilità, ai sensi della legge n. 122/89, di un’autorimessa interrata al di sotto del
resede pertinenziale di un fabbricato di proprietà della medesima originaria ricorrente,
posto nel centro storico di Fiesole e dell’art. 35 del regolamento urbanistico comunale, ai
sensi del quale, per gli immobili appartenenti alla classe II in tessuto storico, l’intervento
E15 (autorimessa pertinenziale interrata – art. 21 del regolamento) era ammesso solo in
caso di inaccessibilità delle superfici esterne, (inaccessibilità definita dall’art. 21 come
mancanza o impossibilità di realizzare un accesso carrabile all’area di pertinenza
dell’edificio).
Erano state prospettate le censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Con successivi motivi aggiunti era stato chiesto (unitamente al risarcimento del danno,
già richiesto nel mezzo introduttivo) l’annullamento del provvedimento dirigenziale del
17.4.2003, di rigetto dell’autorizzazione paesaggistica comunale; del provvedimento
dirigenziale del 9.5.2003, di rigetto della domanda di rilascio di concessione edilizia per
la realizzazione del parcheggio interrato, presentata il 20.1.2003; del parere sfavorevole
n. 18/2003 del Collegio per le funzioni amministrative riguardanti la protezione delle
bellezze naturali; d) degli artt. 16, comma 3, 21, comma 1, punto E15, e 35 del
regolamento urbanistico.
Erano state all’uopo riproposte le censure già contenute nel mezzo introduttivo, integrate
da ulteriori ipotesi di violazione di legge ed eccesso di potere.
Il punto nodale della impugnazione riposava nella controversa realizzabilità di
un’autorimessa interrata al di sotto del resede pertinenziale di un fabbricato sito nel
centro storico del Comune di Fiesole, su cui il Responsabile dell’ufficio dell’ente locale
aveva dato un parere preventivo negativo, nel presupposto che, ai sensi dell’art. 35 del
regolamento urbanistico, l’intervento interrato in quella zona era possibile “solo in caso
di inaccessibilità delle superfici esterne”.
L’ inaccessibilità era definita dall’art. 21, punto e15, quale “mancanza e impossibilità di
realizzazione di un accesso carrabile all’area di pertinenza dell’edificio”, che nella
specie, ad avviso del Comune, non ricorreva, poiché il complesso immobiliare risultava
“servito da spazi di parcheggio scoperti e coperti e da passo carrabile che dà accesso ad
un’area che può essere adeguata ad ulteriore spazio di parcheggio in superficie”.
Il primo giudice, dichiarata l’inammissibilità del mezzo introduttivo, in quanto teso ad
avversare un mero parere endoprocedimentale, e disattesa l’eccezione di improcedibilità
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dei motivi aggiunti (non rilevando in proposito la dedotta circostanza che l’appellante
Società nel corso del 2004 aveva presentato una nuova pratica edilizia), ha partitamente
esaminato le censure del secondo atto e le ha respinte.
Quanto al primo motivo, stante il tenore dell’art. 9 della legge n. 122/1989 (che
consentiva la realizzazione di autorimesse “anche in deroga agli strumenti urbanistici ed
ai regolamenti edilizi vigenti”), era inesatto affermare che non potesse essere opposta dal
Comune l’incompatibilità dell’intervento con la normativa urbanistica locale; del pari
inaccoglibile era la tesi secondo cui l’art. 9 richiamato, e quindi la deroga ivi prevista,
non fosse applicabile soltanto quando non esisteva un’area pertinenziale scoperta
(perché l’art. 17, comma 90, della legge n. 127/1997 aveva disposto che i parcheggi -in
deroga- potevano essere realizzati “anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al
fabbricato”, il che dimostrava che i parcheggi potessero essere realizzati sottoterra, sia
che ci fosse stato, sia che non si fosse riscontrato un resede libero di pertinenza).
L’inaccoglibilità delle dette censure doveva affermarsi alla stregua di quanto rilevato
dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 459/1989, secondo cui il citato .art. 9, nel
consentire deroghe alla disciplina urbanistica comunale vigente, faceva espressamente
salvi i vincoli paesaggistici e ambientali e prevedeva che i relativi poteri amministrativi
fossero esercitati “motivatamente” e che il tenore letterale della norma non poteva
indurre a ritenere che fossero fatti salvi solo i vincoli paesaggistici e ambientali (con una
conseguente soppressione di ogni altro vincolo urbanistico-edilizio), perché “la mancata
menzione degli altri vincoli sta…solo a significare che in ordine ad essi il silenziorifiuto…si forma non con il solo trascorrere di un termine, bensì secondo la regola
generale della presentazione dell’istanza e della successiva notifica della diffida a
provvedere”.
. Posto che la disciplina in parola era diretta a sovvenire alla necessità impellente, non
altrimenti perseguibile, di dotare di parcheggi gli edifici esistenti che ne fossero privi,
doveva evidenziarsi che il Comune di Fiesole, all’art. 17 del regolamento urbanistico
classificava, quali edifici di interesse storico-artistico, quelli di impianto preottocentesco
e ottocentesco, scarsamente o coerentemente trasformati, che rappresentavano la
principale connotazione del tessuto urbano di Fiesole.
Essi erano considerati, unitamente alle loro pertinenze, “invarianti di cui al piano
strutturale”, meritevoli di particolare tutela, secondo la disciplina degli artt. 5 e 24 della
legge regionale n. 5/95 e degli artt. 2, 12 e 14 del piano strutturale.
Posto che l’immobile di pertinenza dell’appellante ricadeva in detta categoria, ne
discendeva l’affermazione per cui la disciplina comunale era diretta ad evitare gli
interventi edilizi che non fossero strettamente indispensabili (e comportanti scavi e
movimento terra e alterazione del preesistente stato dei luoghi per gli immobili
sottoposti a particolare tutela).
La “indispensabilità” in particolare non poteva ravvisarsi quando, per la realizzazione
dei parcheggi, vi era un’area pertinenziale scoperta accessibile per la collocazione dei
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veicoli: in altre parole, soltanto ove non esistessero altre possibilità era consentita la
realizzazione di parcheggi interrati negli immobili particolarmente tutelati.
La legislazione statale aveva carattere straordinario, ma non impediva ad una normativa
locale (regionale e comunale) di fissare limiti non irragionevoli ad un’applicazione
estensiva della stessa disposizione statale.
Tra questi limiti trovava una sua giustificazione anche quello di permettere i garages
interrati solo al fine del raggiungimento dello standard di parcheggio fissato dall’art. 2,
comma 2, della legge n. 122/89, sia pure per le nuove costruzioni: la circostanza che la
normativa locale utilizzasse un criterio (pur dettato dalla legge statale per altra ipotesi)
non poteva configurare alcuna illegittimità quando – come nel caso di specie - quel
criterio rispondeva alle specifiche esigenze del territorio comunale.
Tali considerazioni imponevano, ad avviso del Tribunale amministrativo, anche la
reiezione del secondo motivo di censura (con il quale si era lamentato che l’art. 35 del
regolamento urbanistico, escludendo la realizzazione dei parcheggi interrati quando
l’area esterna di pertinenza fosse accessibile, si sarebbe posto in violazione dell’art. 9
della legge n. 122/1989).
Dato atto della rinuncia al motivo di censura avversante l’art. 16 comma 3, del
regolamento urbanistico, il primo giudice ha vagliato – e disatteso - gli ultimi due motivi
di censura, escludendo che la scelta dell’amministrazione comunale fosse caratterizzata
da illogicità manifesta e, per altro verso, ha rilevato che la circostanza che nell’area
esistessero altre aperture di accesso agli immobili non era tale da far ritenere illogico il
parere negativo (dal momento che la tutela dal punto di vista ambientale può postulare la
necessità di impedire altri interventi ritenuti incompatibili).
Avverso detta sentenza la società originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto
un articolato appello, sostenendo che la motivazione della impugnata decisione era
apodittica ed errata: ha pertanto chiesto la riforma della sentenza ed ha anzitutto
riproposto, i primi due motivi aggiunti proposti in primo grado ( il primo dei quali
riferito alla “determinazione del dirigente”, mentre il secondo avversante l’art. 35 del
Regolamento urbanistico), incentrati sulla tesi secondo cui l’art. 9 della legge
n.122/1999 avrebbe consentito sempre e comunque la realizzazione di autorimesse
interrate, anche in presenza di specifiche normative comunali che, per esigenze di tutela
dell’ordinato assetto del territorio comunale, disponevano il contrario.
Con il terzo motivo di appello essa ha riproposto il quarto motivo aggiunto proposto
dinanzi al T.A.R. Toscana; infine, con l’ultimo motivo di appello, è stata censurata la
sentenza di primo grado per avere respinto il quinto motivo aggiunto, con il quale la
S.r.l. San Michele Immobiliare aveva avversato il parere n. 18 del 17.4.2003, reso dal
“Collegio per le funzioni amministrative riguardanti la protezione delle bellezze
naturali” ed ha proposto una richiesta di risarcimento del danno, ”conseguente
all’illegittimo diniego della richiesta edilizia, danno rappresentato dal maggior costo
delle opere per la loro esecuzione in tempi diversi” .
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Con una breve memoria ha puntualizzato e ribadito le esposte doglianze, facendo
presente che, in sostanza, in spregio al disposto dell’art. 9 della legge n. 12271989,
siccome modificato ex lege n. 127/1997, il decisum di primo grado aveva ritenuto
legittimo che lo strumento urbanistico comunale limitasse il pieno dispiegarsi della legge
predetta, impedendo la realizzazione di una autorimessa interrata in area pertinenziale
limitandola alla ipotesi in cui l’area non fosse altrimenti accessibile.
L’appellata amministrazione comunale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità od
infondatezza del gravame, riproponendo tutte le eccezioni già prospettate in primo grado
e ripercorrendo le tappe salienti del contenzioso intercorso con l’appellante ed i passaggi
di maggior rilievo del dialogo infraprocedimentale con la stessa intrattenuto.
Essa ha rammentato anzitutto che, secondo quanto disposto dagli artt. 21 e 35 del
Regolamento urbanistico comunale, la realizzazione di autorimesse era consentita solo
se necessarie al raggiungimento dello standard di cui alla legge n. 122/89, pari ad 1
mq/10 mc di costruzione; per altro verso, esse erano ammesse unicamente laddove l’area
di pertinenza dell’edificio difettasse di un accesso carrabile ed il medesimo non potesse
essere realizzato.
Ha quindi rilevato che – alla stregua delle censure dedotte in appello -, era passata in
giudicato sia la statuizione di improcedibilità del ricorso originario di primo grado, sia la
rinuncia da parte della odierna appellante al terzo motivo aggiunto proposto in primo
grado: il thema decidendum, pertanto, risultava circoscritto ai riproposti motivi aggiunti
nn. 1, 2, 4 e 5 del relativo mezzo di primo grado.
L’appellata amministrazione comunale ha quindi chiesto che venisse dichiarata la
sopravvenuta improcedibilità dell’appello, a cagione del fatto che, nelle more del
giudizio di appello, il Comune di Fiesole aveva approvato un nuovo Regolamento
urbanistico (definito nei relativi atti “secondo Regolamento Urbanistico – variante al
Regolamento Urbanistico vigente”), che aveva nuovamente disciplinato l’intero
territorio comunale (adottato con la delibera del Consiglio comunale n. 5 dell’8 gennaio
2009 ed approvato con la delibera del Consiglio comunale n. 30).
Allo stato, quindi, l’impossibilità per la società appellante di realizzare la contestata
autorimessa interrata derivava dalle norme del secondo Regolamento urbanistico, che
essa non aveva tempestivamente impugnato (e che non avrebbe più potuto impugnare
essendo invano trascorsi i relativi termini).
Nel merito, ha comunque chiesto la declaratoria di infondatezza dell’appello,
richiamando tutte le argomentazioni ostative già rappresentate nel corso del giudizio di
primo grado.
Ha in proposito ribadito che l’edificio di pertinenza dell’appellante apparteneva alla
classe II (art. 17 delle norme del Regolamento urbanistico, che disciplinava “la
classificazione del patrimonio edilizio esistente", prevedendo – fra le varie categorie di
immobili – "la classe II, edifici di interesse storico architettonico” e definendo la
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seconda classe nei seguenti termini: “sono classificati di classe II gli edifici
generalmente di impianto preottocentesco o ottocentesco, scarsamente o coerentemente
trasformati, e principale connotazione del tessuto urbano del capoluogo fiesolano.
Insieme alle loro pertinenze costituiscono una quota importante degli edifici invarianti di
cui
al piano strutturale”): la sua riconducibilità alle invarianti di cui al piano strutturale
testimoniava che si trattava di una costruzione meritevole di essere salvaguardata da
ogni rischio di alterazione, anche per quanto atteneva all’area di pertinenza (le
innovazioni e le modificazioni, sia del fabbricato che dell’area di pertinenza, dovevano
quindi essere il più possibile escluse o comunque contenute).
Ha quindi richiamato gli artt. 20 e 21 del regolamento urbanistico comunale antevigente,
facendo presente come da tali disposizioni discendeva che la realizzazione delle
autorimesse era consentita soltanto per raggiungere lo standard di parcheggio di cui
all’art. 2 L. 122/89, pari a mq.1/10 mc. di costruzione, “detraendo le superfici coperte o
scoperte destinate a parcheggio già esistenti” e che in alcuni casi specifici, ( individuati
dagli artt. 35 e 73) la realizzazione di autorimesse pertinenziali era consentita soltanto
“in situazioni di inaccessibilità per tale intendendosi la mancanza e
l’impossibilità di realizzazione di un accesso carrabile all’area di pertinenza
dell’edificio”.
Nella fattispecie in esame non ricorreva alcuna delle due condizioni predette, in quanto
l’area di pertinenza era accessibile e l’autorimessa ipotizzata non era per nulla necessaria
per il raggiungimento di quello standard, in quanto l’edificio era già dotato di parcheggi,
sia coperti che scoperti, in misura più elevata del minimo di legge (il complesso
immobiliare era già dotato di una superficie a parcheggio di mq. 184, mentre lo standard
richiesto dalla legge n. 122/89, in considerazione della volumetria presente, è di mq.
129,00).
Posto che l’unica censura del mezzo di primo grado, volta a censurare tale caposaldo
della motivazione reiettiva, era la terza doglianza contenuta nei motivi aggiunti e che ad
essa la società odierna appellante aveva espressamente rinunciato, tale profilo era
divenuto incontestabile; e ciò implicava l’improcedibilità dell’intero appello, che
comunque, nella restante parte, era certamente infondato, anche laddove si proponeva
genericamente un petitum risarcitorio sfornito di qualsivoglia concretezza.
Alla pubblica udienza del 22 maggio 2012 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è parzialmente fondato e va accolto nei termini di cui alla motivazione che
segue, con conseguente riforma dell’impugnata decisione, accoglimento del ricorso
impugnato ed annullamento del gravato diniego; deve essere invece disatteso il motivo
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di appello postulante la quantificazione e liquidazione del risarcimento del danno
asseritamente subito dall’appellante.
1.1. Va in primo luogo disattesa l’eccezione proposta dall’appellata amministrazione
comunale, postulante la sopravvenuta improcedibilità del mezzo e volta a sollecitare un
giudizio (pacificamente esercitabile anche ex officio, comunque) sulla persistenza ed
attualità dell’interesse a ricorrere a cagione del nuovo Regolamento urbanistico
comunale di recente approvato.
Rileva il Collegio che nessuna valenza può attribuirsi in tale ottica alla dedotta
circostanza, nella constatazione che comunque i provvedimenti reiettivi gravati hanno
medio-tempore prodotto i propri effetti, asseritamente forieri di un ingiusto danno
economico arrecato all’appellante e che quest’ultimo ha proposto espressamente già in
primo grado domanda risarcitoria (ribadita in appello): ciò impedisce certamente di
apprezzare favorevolmente in chiave di sopravvenuta carenza di interesse a ricorrere
detta emergenza processuale.
2. Ciò premesso, rammenta il Collegio che l’art. 9 della legge n. 122/1989, nella
versione applicabile ratione temporis alla fattispecie per cui è causa, così prevedeva:
“I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali
siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità
immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti.
Tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel
sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani
urbani del traffico, tenuto conto dell'uso della superficie sovrastante e compatibilmente
con la tutela dei corpi idrici. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla
legislazione in materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima
legislazione alle regioni e ai Ministeri dell'ambiente e per i beni culturali ed ambientali
da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni. I parcheggi stessi, ove i piani
urbani del traffico non siano stati redatti, potranno comunque essere realizzati nel
rispetto delle indicazioni di cui al periodo precedente.
L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 è soggetta ad
autorizzazione gratuita. Qualora si tratti di interventi conformi agli strumenti urbanistici
ed ai regolamenti edilizi vigenti, l'istanza per l'autorizzazione del Sindaco ad eseguire i
lavori si intende accolta qualora il Sindaco stesso non si pronunci nel termine di 60
giorni dalla data della richiesta. In tal caso il richiedente può dar corso ai lavori dando
comunicazione al Sindaco del loro inizio.
Le deliberazioni che hanno per oggetto le opere e gli interventi di cui al comma 1 sono
approvate salvo che si tratti di proprietà non condominiale dalla assemblea del
condominio, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista
dall'articolo 1136, secondo comma, del codice civile. Resta fermo quanto disposto dagli
articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile.
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I comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su
richiesta dei privati interessati o di imprese di costruzione o di società anche cooperative,
possono prevedere, nell'ambito del programma urbano dei parcheggi, la realizzazione di
parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati su aree comunali o nel sottosuolo
delle stesse. Tale disposizione si applica anche agli interventi in fase di avvio o già
avviati. La costituzione del diritto di superficie è subordinata alla stipula di una
convenzione nella quale siano previsti:
a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a
novanta anni;
b) il dimensionamento dell'opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua
realizzazione;
c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree
necessarie e la esecuzione dei lavori;
d) i tempi e le modalità per la verifica dello stato di attuazione nonché le sanzioni
previste per gli eventuali inadempimenti.
I parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti
separatamente dall'unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I
relativi atti di cessione sono nulli.
Le opere e gli interventi di cui ai precedenti commi 1 e 4, nonché gli acquisti di
immobili destinati a parcheggi, effettuati da enti o imprese di assicurazione sono
equiparati, ai fini della copertura delle riserve tecniche, ad immobili ai sensi degli
articoli 32 ed 86 della legge 22 ottobre 1986, n. 742. ”.
La giurisprudenza amministrativa ha interpretato detta disposizione in coerenza con la
ratio della medesima (ed anche con la ratio delle modifiche via via introdotte dall'art. 17,
comma 90, l. 15 maggio 1997, n. 127 e dall'art. 37, l. 7 dicembre 1999, n. 472) orientata
a privilegiare lo scopo della “legge Tognoli” di far fronte alla carenza di parcheggi
urbani.
Non altro senso, può attribuirsi all’estensione del concetto di pertinenzialità, affermato a
più riprese da questa IV Sezione del Consiglio di Stato, sia sotto il profilo soggettivo (“i
parcheggi collocati in aree esterne ai fabbricati, a differenza di quelli posti nel sottosuolo
o al piano terreno degli stessi, non devono essere realizzati necessariamente dai
proprietari dell’immobile, ma - in base alla legge Tognoli - possono esserlo anche da
terzi: evidentemente il legislatore, non potendo escludersi che le <aree pertinenziali
esterne> potessero appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’immobile, ha
ritenuto di non dover limitare solo a questi ultimi la legittimazione a chiedere il
permesso per realizzarvi i parcheggi. Peraltro, la pertinenzialità che il legislatore ha
inteso considerare in questo caso non è tanto quella materiale esistente tra l’edificio e
l’area - sottostante, interna o esterna - destinata ad accogliere il parcheggio, ma quella
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giuridica esistente tra ciascun singolo posto auto da realizzare e una specifica unità
immobiliare, nel senso di creare fra di essi un nesso di inscindibilità: ciò che è coerente
con la <ratio> della l. n. 122 del 1989, che è quella di venire incontro al bisogno di
parcheggi dei residenti nelle aree urbane evitando al tempo stesso operazioni
speculative.” Consiglio Stato , sez. IV, 31 marzo 2010 , n. 1842), che sotto il profilo
“oggettivo” (“la nozione edilizia di pertinenzialità ha connotati significativamente
diversi da quelli civilistici, assumendo in essa rilievo decisivo non tanto il dato del
legame materiale tra pertinenza ed immobile principale, quanto il dato giuridico che la
prima risulti priva di autonoma destinazione e di autonomo valore di mercato e che
esaurisca la propria destinazione d'uso nel rapporto funzionale con l'edificio principale,
così da non incidere sul carico urbanistico.” Consiglio Stato, sez. IV, 31 marzo 2010, n.
1842, prima richiamata; ma si veda anche:“ai fini dell'applicazione dell'art. 9, l. 24
marzo 1989 n. 122 (cd. legge Tognoli), relativamente alla realizzazione di parcheggi nel
sottosuolo di area pertinenziale esterna al fabbricato in deroga alle disposizioni degli
strumenti urbanistici, è irrilevante che detta area esterna non si trovi in rapporto di
immediata contiguità materiale con il fabbricato e sia di proprietà di soggetto diverso dal
proprietario dell'immobile nei cui confronti i parcheggi sono destinati a divenire
pertinenziali"- Consiglio Stato, sez. IV, 18 ottobre 2010, n. 7549).
Detto favor realizzativo, e detta interpretazione estensiva, trovano simmetrica
corrispondenza negli approdi cui è giunta la giurisprudenza di legittimità penale (si veda
Cassazione penale, sez. III, 03 marzo 2009, n. 14940, dove si precisa che “il rapporto di
pertinenzialità è riconoscibile nel caso in cui i boxes si trovano in un ragionevole raggio
di accessibilità pedonale”.).
Al contempo, la consolidata giurisprudenza amministrativa (Consiglio di stato, sez. IV,
28 marzo 2011 , n. 1879) ha costantemente ribadito che “l'art. 9 della stessa, nel
prevedere per i parcheggi la derogabilità degli strumenti urbanistici, fa salvi i vincoli
previsti dalla legislazione in materia paesaggistica ed ambientale.” (si veda, sul punto, di
recente, anche T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 18 gennaio 2011, n. 382).
2.1. Alla stregua dei suindicati, condivisibili principi, dai quali il Collegio non intende
discostarsi, merita riforma la decisione impugnata, laddove non ha colto che l’impugnato
diniego contraddiceva la lettera della legge (e la ratio della stessa, siccome in precedenza
chiarito), nella parte in cui ha negato la edificabilità dell’autorimessa, sostanzialmente
pervenendo ad una interpretazione abrogans del dettato del comma 1 del citato articolo
laddove questo prevede che “tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo
dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non
in contrasto con i piani urbani del traffico” .
Il primo giudice, infatti, ha disposto reiezione alla stregua delle prescrizioni del
Regolamento comunale (che, invece, rispetto alla su riportata disposizione di legge,
doveva considerarsi “cedevole”), secondo il quale Regolamento (art. 35) l’intervento
interrato in quella zona era possibile “solo in caso di inaccessibilità delle superfici
esterne”, inaccessibilità che dall’art. 21, punto e 15, era definita quale “mancanza e
impossibilità di realizzazione di un accesso carrabile all’area di pertinenza dell’edificio”
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(ad avviso del Comune, in fatto tale situazione non ricorreva poiché il complesso
immobiliare risulta “servito da spazi di parcheggio scoperti e coperti e da passo carrabile
che dà accesso ad un’area che può essere adeguata ad ulteriore spazio di parcheggio in
superficie”.).
Senonché, le disposizioni regolamentari in oggetto si ponevano in frontale conflitto,
appunto, con la disposizione di legge surrichiamata e non potevano, per le già chiarite
ragioni, giustificare la reiezione.
2.2. Né i riferimenti del provvedimento reiettivo allo standard di cui il fabbricato doveva
essere sprovvisto (in quanto riferibili allo standard minimo) avrebbero potuto giustificare
la reiezione.
2.2.1. Quanto a tale profilo, si evidenzia che il Collegio non considera dirimente sul
punto l’avvenuta rinuncia in primo grado al corrispondente motivo di censura (che
secondo l’appellata amministrazione comunale implicherebbe impossibilità di
riproposizione della doglianza in appello, e conseguente improcedibilità dell’intero
gravame , giacché non avversante un caposaldo indipendente ed autosufficiente della
reiezione).
Ciò in quanto la doglianza relativa alla inopponibilità di tale profilo reiettivo da parte del
Comune era contenuta nell’intero mezzo di primo grado ed è stata quindi legittimamente
riproposta in appello e, ancor più, perché la stessa decisione di primo grado ha
individuato in motivazione il limite “di standard disponibile” come elemento
qualificante della riscontrata legittimità della reiezione, di guisa che l’appellante non
avrebbe potuto fare altro che censurare il detto profilo (si rimarca che nei seguenti
termini si pronuncia l’appellata decisione: “Tale interpretazione della disciplina
comunale appare esente da censure di violazione della legislazione statale, che, si ripete,
è di carattere straordinario e che non impedisce ad una normativa locale regionale e
comunale di fissare limiti non irragionevoli ad un’applicazione estensiva della
disposizione statale. Tra questi limiti trova una sua giustificazione anche quello di
permettere i garages interrati solo al fine del raggiungimento dello standard di
parcheggio fissato dall’art. 2, comma 2, della legge n. 122/89 sia pure per le nuove
costruzioni. E il fatto che la normativa locale utilizzi un criterio, pur dettato dalla legge
statale per altra ipotesi, non configura nessuna illegittimità quando quel criterio risponda
alle specifiche esigenze del territorio comunale.”).
Ne consegue che del tutto legittimamente la censura avversante detto capo della
decisione è stata proposta in appello, in disparte l’esattezza – o meno - della indicazione
in primo grado della norma regolamentare di riferimento.
2.2.2. Quanto a tale profilo, da un canto, è comunque agevole riscontrare che risulta
incontestata la deduzione dell’appellante secondo cui il Regolamento urbanistico
prevedeva che la “misura” di parcheggi di cui dotarsi fosse coincidente (ma soltanto
nella sua misura minima) con quella prevista dall’art. 41 sexies della legge urbanistica n.
1150/1942.
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Per altro verso, e con portata assorbente, si evidenzia che il concreto atteggiarsi della
statuizione reiettiva, anche in tale caso, si pone in illogico contrasto con la disposizione
di legge richiamata.
La reiezione disposta dall’appellata amministrazione, infatti, muove dalla pacifica
considerazione per cui, a fronte di una volumetria di mc. 1.290 del fabbricato, era
presente una superficie complessiva di parcheggio (garage esistente e area esterna di
pertinenza che poteva essere adibita a parcheggio) di mq. 184.
A questo punto, poi, si è ivi evidenziato che l’area disponibile era “superiore al minimo
di standard della legge n. 122/1989” e, prendendo spunto dal disposto che l’art. 2 comma
2, individuava il detto valore quantitativo (art. 2 comma 2: “l 'art. 41- sexies della legge
17 agosto 1942, n. 1150, è sostituito dal seguente: Nelle nuove costruzioni ed anche
nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi
per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni dieci metri cubi di
costruzione") e si è pervenuti, anche per tal via, alla statuizione reiettiva avversata.
Senonché, il primo giudice – che pure aveva colto che la detta fattispecie normativa era
“relativa ai nuovi edifici” e pertanto, non applicabile alle fattispecie de quo - ha
affermato che “tra questi limiti trova una sua giustificazione anche quello di permettere i
garages interrati solo al fine del raggiungimento dello standard di parcheggio fissato
dall’art. 2, comma 2, della legge n. 122/89 sia pure per le nuove costruzioni. E il fatto
che la normativa locale utilizzi un criterio, pur dettato dalla legge statale per altra ipotesi,
non configura nessuna illegittimità quando quel criterio risponda alle specifiche esigenze
del territorio comunale”. Con simile asserzione, però, quel giudice non ha colto che
comunque, il criterio cui si riferiva la legge era quello minimo, di guisa che anche per
tale aspetto (in disparte ogni considerazione sull’utilizzabilità di un simile parametro per
edifici non costituenti “nuova costruzione”) la concreta applicazione fattane dal Comune
trasformava detto limite minimo (“non inferiore”, statuisce la prescrizione di legge, lo si
ribadisce) in limite massimo, così ponendosi in conflitto con la norma di legge.
3. Né a simile interpretazione applicativa poteva pervenirsi valorizzando gli elementi di
”invarianza” afferenti alla specifica categoria di edifici nei quali è ascrivibile quello per
cui è causa.
Nella pacifica considerazione, infatti, che non trattavasi di edificio specificamente
vincolato ai sensi del TU dei beni culturali (né, in pregresso ex lege n.1089/1939), si
rimarca che le esigenze di tutela ambientale e paesaggistica espressamente fatte salve
dalla norma di cui all’art. 9 a più riprese citata (che sono condizione per la compatibilità
costituzionale della stessa), trovano tutela nella legislazione statale e nell’attività di
tutela di siffatte categorie di beni pertinente alle Autorità preposte ai detti vincoli (a
titolo esemplificativo, si veda in passato: “e' legittimo il diniego di autorizzazione
edilizia per la costruzione di un parcheggio interrato in presenza di un vincolo
cimiteriale, poiché, trattandosi di vincolo assoluto, non sono ammesse deroghe nemmeno
in riferimento all'art. 9 della l. n. 122/89; infatti, anche il parcheggio interrato, in quanto
struttura servente all'uso abitativo e, comunque, posta nell'ambito della fascia di rispetto
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cimiteriale, rientra tra le costruzioni edilizie del tutto vietate dalla disposizione di cui
all'art. 338, r.d. n. 1265/34.”Consiglio Stato, sez. V, 14 settembre 2010, n. 6671).
Rammenta in proposito il Collegio il tradizionale orientamento della giurisprudenza
amministrativa, secondo cui “mentre l'attività di valorizzazione del bene culturale deve
essere il frutto di un intervento coordinato che veda coinvolti tutti i soggetti pubblici
interessati, l'attività di tutela rappresenta prerogativa esclusiva dello Stato, in quanto
soggetto proprietario del bene, che è quindi responsabile primario della sua
conservazione. Tale distinzione trae, del resto, fondamento anche nell'art. 117 comma 2,
cost., che appunto riserva alla competenza esclusiva dello Stato l'attività di tutela dei
beni culturali, demandando, invece, alla competenza concorrente Stato- Regione l'attività
di valorizzazione” (Consiglio Stato, sez. VI, 30 luglio 2009, n. 4779).
Prescrizioni regolamentari comunali non limitate agli aspetti compositivo-architettonici
appaiono incidere sulla competenza esclusiva della Soprintendenza in materia di tutela
dei beni culturali e travalicare la portata delle competenze demandate alla
amministrazione comunale, che non potrebbe, seppur nel lodevole intento di
salvaguardare detti valori, introdurre nel sistema prescrizioni non già limitative, ma,
come nel caso di specie, impeditive in via assoluta, per intere categorie di immobili,
della espressa previsione contemplata in una disposizione nazionale.
4. Conclusivamente, pare al Collegio, alla stregua delle superiori argomentazioni, ed
assorbite nelle medesime le ulteriori censure prospettate, che sia il limite di
inaccessibilità e/o di carenza di aree pertinenziali al fine di realizzare autorimesse
interrate di cui all’art. 35 del regolamento comunale, che quello relativo al
raggiungimento degli standards minimi non potevano fondare la avversata reiezione, e lo
stesso – ad abundantiam - è a dirsi (quarto motivo del ricorso in appello) con riguardo
alle deduzioni contenute nel parere n. 18 del 17 aprile del 2003, in quanto fondate su un
elemento (continuità del muro esistente) risultato insussistente: l’appellante dimostra
segnala, al riguardo con affermazioni in parte qua non contraddette dall’appellata
amministrazione comunale, che nel muro in oggetto vi sono state comunque praticate
aperture (si veda sul tema la pag 48 della stessa memoria dell’amministrazione
comunale).
4.1. In accoglimento dell’appello ed in riforma della impugnata decisione, va pertanto
annullata la impugnata reiezione.
5. Viceversa, per più ordini di ragioni, va respinta, come già anticipato in apertura della
presente trattazione in diritto, la domanda risarcitoria (il che rende superfluo l’esame
delle eccezioni di inammissibilità prospettate con riferimento a tale porzione del petitum
da parte dell’appellata amministrazione comunale).
In primo luogo ne evidenzia il Collegio la assoluta genericità e l’assenza di elemento
alcuno volto a prospettarne la fondatezza, anche sotto il profilo quantificatorio,
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Secondariamente, il petitum è stato inquadrato facendosi riferimento al danno
rappresentato dal maggior costo delle opere “per la loro esecuzione in tempi diversi” .
Senonché, da un canto tale elemento è meramente ipotetico, non risultando da alcun
elemento che il preventivo delle spese illo tempore sotteso al progetto presentato fosse di
importo inferiore ad un ulteriore preventivo, che neppure è dato sapere se sia stato
redatto.
Più radicalmente, peraltro, l’appellante non risulta avere presentato rinnovata richiesta
alla stregua delle nuove disposizioni regolamentari introdotte dal Comune; ora, se ciò
non dimostra la sopravvenuta carenza di interesse alla impugnazione (in quanto le stesse
sono ripropositive della pregressa disciplina), non può di converso divenire elemento di
liquidazione di un danno meramente affermato in via labiale e dunque non riconoscibile.
Di ciò, peraltro, pare al Collegio ben si renda conto l’appellante, che non a caso, nella
memoria di replica depositata, ha fatto presente che comunque il petitum risarcitorio
sarebbe stato riproponibile in seguito.
6. Conclusivamente, l’appello è parzialmente fondato, e deve essere parzialmente
accolto, con esclusione del petitum risarcitorio: ne consegue che, in riforma della
appellata decisione deve essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente
annullamento del gravato diniego.
7. La particolarità e complessità delle questioni devolute alla cognizione del Collegio
legittima la compensazione tra le parti delle spese processuali dei due gradi sostenute.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sull'appello, numero di registro generale 2233 del 2005 come in epigrafe
proposto, lo accoglie parzialmente, nei limiti di cui alla motivazione che precede, e con
esclusione del petitum risarcitorio, e, per l'effetto, in riforma dell’appellata decisione,
accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del gravato diniego.
Spese processuali del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con
l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
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Raffaele Potenza, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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