sunto di “la tutela dei diritti degli aborigeni in australia”

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sunto di “la tutela dei diritti degli aborigeni in australia”
ELISABETTA TERZI matr. 43475
SUNTO DI “LA TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ABORIGENI IN AUSTRALIA”
La tesi prende in considerazione la lunga lotta che il popolo aborigeno australiano ha dovuto
affrontare per essere riconosciuto come soggetto di diritto tutelato dall’ordinamento.
La parte introduttiva, di carattere generale, offre delucidazioni in merito alla nozione di popolo
indigeno, come viene definito dalle varie normative internazionali; in particolare la Convenzione OIL n.
169 del 1989 sui popoli indigeni e tribali, all’articolo 1, indica gli stessi come coloro che “presentano
caratteristiche socioculturali ed economiche idonee a distinguerli dal resto della comunità nazionale”.
L’argomentazione si sviluppa poi in un’analisi antropologico-giuridica sugli aborigeni australiani,
che mette in evidenza la loro organizzazione economica, politica e giuridica, e tocca anche il tema delle
credenze religiose di questo popolo, cui è intrinsecamente legato tutto il loro sistema sociale.
Basti pensare che presso i nativi dell’Australia l’autorità magico-religiosa coincide con quella
politico-giuridica, ed è incarnata dal Consiglio degli Anziani della tribù, organo depositario della legge e
della conoscenza, cui spetta il compito di emanare sanzioni in caso di violazione delle norme.
Viene sottolineato in particolar modo il profondo legame che questo popolo ha con la terra: tutta
la cultura aborigena è rivolta a non modificare nulla dell’ambiente circostante, in quanto essi credono che
nelle rocce, nelle acque, nel terreno stesso vivano gli spiriti dei propri antenati
Lo studio prosegue prendendo una piega storica, che espone le varie tappe dell’invasione
dell’Australia da parte degli europei, caratterizzata da una peculiarità in campo giuridico che non si è al
contrario riscontrata durante la colonizzazione di altre parti del mondo: gli inglesi che arrivarono in
questo continente, infatti, lo dichiararono abitato soltanto da piante ed animali, entro i quali
probabilmente inclusero gli aborigeni, denominando il territorio “terra nullius”, terra di nessuno.
I coloni che man mano vi arrivavano, dunque, non pensavano di mettere in atto un’invasione o
una conquista, bensì ritenevano semplicemente di occupare dei luoghi su cui nessuno vantava dei diritti.
Questa idea fu dovuta anche al carattere piuttosto mansueto degli autoctoni, gente non avvezza
alla guerra, in quanto i vari clan vivevano sul continente pacificamente da millenni, e quindi destinata a
perdere di fronte ai belligeranti europei.
In pochi decenni, gli aborigeni videro ciò che sulla propria terra non era mai esistito dall’inizio
dei tempi: campi recintati e coltivati, edifici, strade, animali allevati o cacciati così intensamente da
provocarne l’estinzione, obbligo di trasferimento in zone con cui essi non avevano nessun legame
religioso, profanazione di luoghi sacri, e ovviamente stermini e uccisioni di massa della propria gente.
A ciò si aggiunse la triste vicenda della stolen generation: dal 1869 e per più di un secolo migliaia
di bambini aborigeni furono rimossi dalle loro famiglie dai governi australiani sia federali che statali e
dalle missioni ecclesiastiche, con l’obiettivo di portare a termine un’operazione di vera e propria
rieducazione sociale e culturale; tale procedura ufficialmente si è interrotta nel 1969, ma in realtà ci sono
testimonianze di episodi avvenuti ben oltre tale data.
Ai genitori aborigeni vennero semplicemente negati tutti i diritti sui figli, con i quali non poterono
mantenere nessun tipo di rapporto: il distacco era di fatto netto e definitivo ed i bambini venivano
solitamente portati in orfanotrofi e perfino in veri e propri campi di internamento dai quali era
praticamente impossibile instaurare un contatto con i familiari.
Solo nel 1997, con la pubblicazione del rapporto Bringing Them Home, vennero a galla i soprusi
che avevano subito i nativi in questa vergognosa vicenda, per il fatto stesso di essere stati allontanati dai
propri parenti, nonché perché risultò addirittura che, durante la loro permanenza nelle istituzioni o nelle
famiglie affidatarie presso le quali lavoravano, buona parte dei piccoli aborigeni subì violenze ed abusi.
L’impatto sociale di questi rapimenti legali fu devastante, tanto che ancora oggi i bambini di
allora ne portano le ferite fisiche e psicologiche, che spesso purtroppo si ripercuotono sui loro stessi figli.
Nel 2008 l’allora primo ministro australiano chiese ufficialmente scusa al popolo aborigeno per le
malefatte dei governi precedenti, e tutto si risolse in una commovente cerimonia.
Anche grazie a questa vicenda, nacque la cosiddetta “questione aborigena”, quando ci si rese
conto delle drammatiche condizioni in cui i nativi vivevano e vivono tuttora: ridotti al 2% degli abitanti
dell’Australia, risiedono nei casi migliori in riserve o peggio nelle periferie più degradate delle città, dove
dilagano violenza e criminalità, e sono sostenuti da sussidi statali che vengono spesi per lo più per
l’acquisto di alcolici.
I vari governi che si sono succeduti, sollecitati da un’opinione pubblica più sensibile al tema,
nonché ripresi dall’ONU e da alcune organizzazioni umanitarie, hanno provato in vari modi più o meno
condivisibili a risolvere il problema, ma le condizioni aborigene non sono cambiate ed i loro diritti spesso
rimangono ancora sulla carta.
In questo contesto si inserisce, nel 1992, la storica sentenza Mabo dell’High Court of Australia,
che, per la prima volta dopo più di duecento anni, abbandona la teoria del territorio australiano come terra
nullius e quindi passibile di insediamento indisturbato, riconoscendo la presenza di popolazioni native
nella zona prima dell’arrivo degli europei, con tutti gli effetti giuridici del caso.
Gli aborigeni acquistarono così il riconoscimento giuridico di “altro popolo” dell’Australia,
quando fino a quel momento erano visti come poco più che una specie endemica.
La decisione è rilevante finanche dal punto di vista concreto, in quanto venne in seguito
utilizzata come base per definire legislativamente i rapporti tra europei ed autoctoni, mancando da sempre
accordi in materia.
La “questione aborigena” ha pure sollevato un intenso dibattito, conosciuto come History Wars,
in merito all'interpretazione delle vicende della colonizzazione britannica dell'Australia, in particolare per
quanto riguarda l'impatto sugli abitanti originari: le due fazioni sostengono rispettivamente che la storia
coloniale australiana sia stata un susseguirsi di stermini, soprusi e razzismo ovvero che è stata una grande
impresa di conquista, seppur a fronte di qualche perdita umana.
Nelle History Wars si inserisce altresì il dibattito sul genocidio, nel quale qualcuno ritiene che gli
stermini di massa e gli allontanamenti forzati dei piccoli aborigeni possano essere considerati a pieno
titolo genocidio, appunto, e chi invece minimizza e sostiene che non si possa utilizzare questo termine in
relazione ai fatti australiani.
Nella tesi vengono presentate inoltre alcune iniziative portate avanti a favore e nell’interesse dei
nativi.
Il Kowanyama Justice Group, per esempio, è un collegio che utilizza metodi di mediazione,
risoluzione delle dispute e prevenzione del crimine ispirati dalla tradizione etno-giuridica e dalle pratiche
indigene: grazie all’introduzione di questi meccanismi alternativi e complementari si è registrato un reale
declino del numero dei crimini giovanili nella comunità.
L’Aboriginal Tent Embassy è invece un’assemblea semi-permanente costituita per la difesa dei
diritti politici e civili degli aborigeni, che si trova sul prato antistante il vecchio parlamento di Canberra,
la capitale australiana.
Grazie anche all’attività di questo organismo, alcuni indigeni sono riusciti ad entrare in politica,
varando nuove pratiche governative a loro favore.
La tesi si chiude presentando una serie di pronunce giurisprudenziali e di atti legislativi emanati
nei mesi di dicembre 2010 e gennaio e febbraio 2011 sui native title, ossia sul riconoscimento dei diritti di
alcuni esponenti aborigeni su determinati appezzamenti di terreno, basandosi sulla pronuncia Mabo e
sulla produzione giuridica che ne è nata.