Beato Luigi Maria Palazzolo, un prete innamorato

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Beato Luigi Maria Palazzolo, un prete innamorato
Beato Luigi Maria Palazzolo,
un prete innamorato dei poveri
Questo anno sacerdotale offre l’occasione per conoscere molte figure di preti santi. Alcuni di questi
sono nati e cresciuti in terra bergamasca, svolgendo il loro ministero nella diocesi di Bergamo.
Puntiamo qui l’attenzione su uno di loro, don Luigi Maria Palazzolo. Egli non ci ha lasciato scritti
sul sacerdozio, ma la sua idea di prete si può facilmente ricavare dalla sua vita, dalle sue scelte,
dalla sua testimonianza.
La scelta della vita sacerdotale
Luigi Maria Palazzolo nasce a Bergamo il 10 dicembre 1827, ultimo di otto fratelli, l’unico a
sopravvivere. In quel periodo la mortalità infantile è molto diffusa: non si conoscono ancora né
vaccinazioni né antibiotici. La sua è una famiglia benestante. Nel 1837 Luigi rimane orfano del
padre; dalla mamma riceve un’educazione improntata alla carità per i poveri e gli ammalati. Ha la
fortuna di conoscere buoni sacerdoti ai quali affida la propria vita spirituale, orientata al sacerdozio
fin dalla giovane età. Dopo aver frequentato il pubblico ginnasio di Bergamo, nel 1844 entra in
Seminario per gli studi filosofici e teologici. Viene ordinato prete a soli 23 anni, il 23 giugno 1850
dal vescovo di Bergamo, mons. Gritti Morlacchi. Pur avendo molte opportunità di affermarsi e di
«fare carriera» grazie alla sua spiccata sensibilità e alle notevoli possibilità economiche, sceglie
come campo specifico di attività pastorale i giovani, soprattutto quelli degli ambienti più poveri.
Egli si dedica senza risparmio anche al ministero della predicazione, con una disponibilità davvero
particolare, accogliendo le incalzanti richieste dei parroci, che lo invitano a predicare in diverse
parrocchie in Bergamo e dell’intera diocesi. Il suo stile è semplice e chiaro, il suo linguaggio
concreto ed efficace è comprensibile a tutti.
Prete per i poveri e i giovani
Vive i suoi primi anni di sacerdozio nella Parrocchia di Sant’Alessandro in Colonna, nell’apostolato
tra i giovani presso l’oratorio che sorge in località «la Foppa». Nel 1855 diventa rettore della chiesa
di San Bernardino. Il suo lavoro apostolico si dispiega in molti campi: grande predicatore popolare
nelle missioni e negli esercizi spirituali; organizzatore del tempo libero dei ragazzi, inventa
canovacci di commedie, burattinaio di prim’ordine nel manovrare la maschera di Gioppino;
istituisce le scuole serali; una quarantina di giovani del suo oratorio sceglieranno la via del
sacerdozio. Oltre a una catechesi accurata e a un sano divertimento, don Luigi tiene molto ai
momenti di preghiera: sa conquistare il cuore dei ragazzi, come risulta da testimonianze come
questa: «Cercava di rendere amabile ai ragazzi la preghiera, in modo che non la prendessero come
un peso, ma come il soddisfacimento di un bisogno dell’anima. Non teneva i ragazzi lungamente in
chiesa. Brevi le orazioni, brevi i discorsi, brevi le funzioni, non lunghe nemmeno le preparazioni ai
sacramenti».
Alla sequela di Gesù «ignudo sulla croce»
Alla base dell’esperienza spirituale del beato Luigi Palazzolo c’è la contemplazione di Gesù
«ignudo sulla croce». Contemplando il Crocifisso, egli si sente spinto a una povertà eroica, al
servizio dei più poveri. Ecco come descrive il sorgere di quella intuizione o «carisma» che lo
caratterizzerà per tutta la vita: «Ho sentito desiderio di non allontanarmi più dall’amorosissimo
Iddio. In questo giorno ho celebrato la S. Messa, vorrei sperare con devozione. Non so se nella S.
Messa o nella meditazione prima, mi si presentò alla mente che Gesù morì ignudo sulla croce, e
perciò sentii desiderio di povertà, di abbandonare tutto. Certo che è accompagnato da un
sentimento non so se di ripugnanza o di timore, che poi supero pensando a Gesù ignudo sulla
croce» (dagli Appunti stesi durante gli Esercizi spirituali del 1869). La povertà non è scelta
semplicemente come un austero esercizio ascetico, ma come forma di amore per i poveri, di
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condivisione della loro vita. Ed egli vede nei poveri il volto privilegiato di Cristo su questa terra. Si
potrebbe anche dire così: la povertà è la via, Cristo sulla croce è il punto di partenza e la sorgente,
Cristo presente nei poveri è il punto di arrivo e la meta.
Fondatore della Suore delle Poverelle
Dopo la morte dell’amatissima mamma, nel 1862, don Luigi decide di abbandonare la sua casa
confortevole e di andare ad abitare in una piccola e povera abitazione in mezzo ai poveri,
dedicandosi ancora più completamente al servizio della gioventù e alle opere di carità. Nel 1864
istituisce la Pia Opera di Santa Dorotea che si propone di assistere e di promuovere le ragazze più
povere. Qualche anno dopo, nel maggio del 1869, vedendo la casa dell’oratorio femminile rimanere
chiusa tutta la settimana, chiede ad alcune maestre della Pia Opera, libere da impegni familiari, di
stabilirsi lì. La proposta viene accolta con entusiasmo da una giovane insegnante, Teresa Gabrieli,
donna esperta e di grande fede. Così, il 22 maggio 1869 nasce la Congregazione delle Suore delle
Poverelle: Teresa Gabrieli, cofondatrice dell’Istituto, è anche la prima superiora. Don Castelletti, il
primo biografo del Palazzolo, ci fa conoscere qualcosa del dinamismo spirituale che in quegli anni
anima don Luigi. Scrive: «Viveva continuamente alla presenza di Dio… la sua conversazione era
più in cielo che in terra… Egli non solo pregava, ma andava immergendosi nel pensiero di Dio,
delle sue perfezioni, del suo amore. Si vedeva in lui sempre l’uomo di Dio, che non ha altri che Dio
nella mente e nel cuore, che a Lui volge tutti i pensieri, i suoi affetti, a Lui indirizza tutte le sue
azioni». Il 4 ottobre del 1872 don Luigi fonda i Fratelli della Santa Famiglia per l’assistenza degli
orfani, stabilendoli a Torre Boldone, vicino a Bergamo. Questo Istituto si estinguerà però nel 1928.
Intanto le Suore delle Poverelle vanno espandendosi, aprendo varie case nelle province di Bergamo,
Vicenza, Brescia. Nei decenni successivi esse svolgeranno il loro servizio nei campi
dell’educazione, dell’assistenza e del conforto ai poveri anche in altri Paesi, oltre all’Italia: in
Europa, Africa e America Latina. Le Regole dell’Istituto vengono approvate dal vescovo di
Bergamo, mons. Guindani e poi in modo definitivo dalla Santa Sede, nel 1912.
«Da ricco che era si fece povero…»
Nel 1872, don Palazzolo compie un ulteriore passo sulla via della spogliazione interiore e concreta:
rinuncia a un hobby al quale è particolarmente legato, la caccia. Fa abbattere l’uccellanda perché:
quel terreno possa diventare un campo di grano per i suoi ragazzi che hanno fame. Vediamo qui un
altro aspetto della sua figura spirituale: la concretezza, che non teme di misurarsi anche su questioni
materiali, come la spesa per il granoturco. A tale proposito sono significative queste
raccomandazioni fatte a madre Teresa Gabrieli, prima superiora delle Suore Poverelle: «Ha fatto
bene a comperare il melicone. Dica al Padre e alle Suore e alle Orfanelle che lo tengano da conto e
non lo smalandrino e prima di tutto facciano bene i conti del molinaio. E a proposito come ha fatto
con quei 17 kili di farina che dovea darci? Credo che anche san Giuseppe avrà fatto bene i conti
quando provvedeva. I poveri non guardano a figure ma all’interesse con giustizia» (Lettera del
16.05.1876).
La carità al di sopra di tutto
Con grande sapienza e discernimento, don Luigi sa declinare le virtù più importanti nelle piccole
circostanze della vita quotidiana. Ne è splendido esempio la lettera seguente: «Il Capo Croci che sta
per coprire col tetto l’ultima parte del nuovo fabbricato, che è un portico d’ordine gotico (per
distaccarlo dal Convento che è d’ordine toscano) ieri mi richiese se avesse potuto porre una
cornice semplice di cemento che dava un bel risalto al portico nuovo ed era convenientissima
all’ordine stesso d’architettura. Non è necessario, solo fa bella figura e porta la somma di venti
franchi di più. Io temo a fare una spesa per quantunque piccola sia quando non necessaria, avuto
riguardo alla Santa Povertà. D’altra parte mi rincresceva a non compiacere il Capo Croci, il quale
si gode tutto nell’opera sua, trattandosi di sì poca spesa. Mi rimetto all’obbedienza. Mi creda ciò
nullameno, o Monsignor mio, che senza confronto amo più la Povertà che tutte le convenienze del
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mondo» (Lettera a mons. Valsecchi del 21.06.1875). Da queste parole emerge la grande attenzione
per uno stile semplice e povero, ma anche la carità che desidera gratificare il prossimo. Ed è sempre
la carità ad avere l’ultima parola.
Un prete santo
Mons. Valsecchi, vescovo ausiliare di Bergamo, in una lettera del 24 luglio 1875 al vescovo di
Vicenza, ci offre questo splendido ritratto di don Palazzolo: «Eccellenza Rev.ma, richiesto dal rev.
don Luigi Cattaneo, parroco di costì, mi reco a dovere di porgere alla E.V. in omaggio del merito e
della verità la seguente testimonianza. Il sacerdote di Bergamo don Luigi Palazzolo… è uno dei
sacerdoti più esemplari, più zelanti, più utili di questa Diocesi. Non è uomo di particolare genio e
di grande letteratura, ma è santo. Ha un dono particolare per tirare a Dio i fanciulli e amore
straordinario alla povertà. Da ricco si è fatto povero, vive poverissimamente e spende e spande
quanto può per i poverelli e per le poverelle. Chi scrive queste cose lo conosce assai bene, perché
se l’ebbe discepolo e quasi figlio fin dalla sua prima fanciullezza e ora ne ammira lo zelo, le opere,
la vita. Se la E.V. vorrà farne esperienza credo che troverà più di quello che io scrivo». Don Luigi
Palazzolo muore il 15 giugno 1886. Viene sepolto nel cimitero di San Giorgio a Bergamo. Nel 1904
la salma è traslata nella chiesa principale della Casa madre dell’Istituto. Il 31 gennaio 1913 viene
introdotta la causa di beatificazione, che ha il suo felice epilogo nella solenne cerimonia liturgica
celebrata il 19 marzo 1963 da papa Giovanni XXIII, grande estimatore del Palazzolo. Nel discorso
pronunciato per la beatificazione, papa Roncalli disse: «Questo è l’uomo che la Chiesa propone
all’imitazione del clero e del popolo: vissuto 58 anni appena; uscito raramente dai confini della
diocesi sua, e soltanto per motivi di carità; rampollo di famiglia distinta, datosi con determinata
preferenza alla causa dei diseredati, dei più miserabili, vero imitatore di san Giuseppe Benedetto
Cottolengo». La sintesi della sua vita sacerdotale sta tutta in quella frase nella quale racchiude il
carisma del suo Istituto: «Io cerco e raccolgo il rifiuto degli altri, perché dove altri provvede lo fa
assai meglio di quello che faccio io, ma dove altri non può giungere cerco di fare qualcosa io come
posso».
don Ezio Bolis
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