Il Sangha e le radici del Dharma

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Il Sangha e le radici del Dharma
Il Sangha e le radici del Dharma
Mi permetto di proporre un mio punto di vista, salvo che scriverò con la dovuta
umiltà, e voi mi leggerete con la dovuta cautela.
il Dharma (“buddh-ismo” non mi piace tanto come parola) è la medicina per la
sofferenza mentale, perciò non c’è da stupirsi se un po’ tutti ci siamo rivolti ad esso
nei momenti di auto-conflitto e confusione.
La sofferenza rende spesso possibile un’apertura del cuore all’insegnamento, per
cui possiamo cominciare a vedere in essa una cosa non solo negativa. Il Buddha la
definì “Nobile Verità” proprio perché la sofferenza apre le prime porte del
Sentiero.
Cercando la soluzione ai nostri problemi entriamo in contatto con naturalezza con i
Tre Gioielli.
Cerchiamo un Maestro che ci insegni una via, un Insegnamento che lenisca il
dolore e ravvivi la speranza, e una Comunità, un gruppo di persone con le quali
condividere il nostro cuore.
Si potrebbe dire, voilà il gioco è fatto…
Naturalmente siamo solo all’inizio, ma gli elementi si sono già manifestati in noi e
fuori di noi, anche se forse non ce ne siamo neppure del tutto resi conto.
Il mio consiglio è quello di nutrire con attenzione questi Tre Gioielli, soprattutto
non dimenticando la Comunità, il Sangha. È la parte più difficile, lo so, perché il
Dharma (Insegnamento) si può trovare nei libri e nelle conferenze, il Maestro è
rispettato senza problemi proprio perché lo riconosciamo come insegnante e, se
non lo andiamo a cercare noi, non è che ce lo troviamo appresso; il Sangha
invece…. è più difficile.
Gli altri discutono, ci contraddicono, alle volte ci sembra che ci feriscano, non la
pensano come noi… sono sempre intorno, eh no.. PREFERISCO PRATICARE DA
SOLO!!
Errore, amici cari, non si può praticare da soli. Non siamo mai soli, a meno che non
intendiamo per pratica solo l’oretta che ci sediamo sul cuscino.. (e comunque anche
allora non siamo soli.. gli altri sono sempre lì, nei nostri pensierini che non sanno
tacere).
Ma la pratica viva è quando siamo al lavoro, in famiglia, con gli altri.
Senza la “palestra” del Sangha, non saremo mai abbastanza preparati per questo!
Nel gruppo la testa va meno “altrove” perché ogni membro della comunità ci dà
l’esempio vivente della sua pratica di consapevolezza con la sua presenza; la nostra
FORMA viene frequentemente “scrollata” e se non è anche SOSTANZA, trema
tutta e noi siamo sempre messi in discussione. Certo non sempre è piacevole, ma ci
fa bene!
Quando, infine, vediamo la compassione di chi ci circonda, quando ci lasciamo
contagiare dalla gioia prodotta dagli altri amici, quando vediamo che le nostre
lacrime vengono prese sul serio… (anche se ce ne vergogniamo), allora arriva la
gioia anche per noi. E capiamo quanto sia importante condividere con gli altri la
nostra via giorno dopo giorno. Anche se il gruppo non è perfetto, anche se tutti
abbiamo i nostri difetti.
Seung Sahn sunim (Maestro coreano) diceva, “Praticare da soli? Pratica così – così!
Praticare con un Gruppo? Buona pratica – eccellente!
Il Maestro Thich Nhat Hanh dice che nel Sangha trovi il Buddha e il Dharma.
D’altro canto senza una comunità che pratica dov’è l’Insegnamento vivo? Dov’è il
Buddha vivente?
Senza Sangha non mettiamo radici nel Dharma, non risvegliamo il nostro Buddha,
non trasformiamo la sofferenza.
Come si può formare un Sangha e mantenerlo vivo e autenticamente
compassionevole?
Nel Sutra delle Sei Concordie troviamo una traccia importante: sono istruzioni che
risalgono al Buddha stesso.
Dopo avere visto come i monaci Anuruddha, Kimbila e Nandiya
convivevano in armonia, il Buddha pronunciò le Sei Concordie, i
principi per essere felici insieme agli altri:
"Bhikkhu, la natura di una comunità è l'armonia, che si ottiene seguendo
questi principi:
condividere uno spazio comune, sia una casa o una foresta;
condividere i doveri essenziali della giornata;
osservare i precetti insieme;
pronunciare parole che creino armonia, astenendosi da quelle che
portano divisioni nella comunità;
rispettare l'opinione altrui e non costringere l'altro ad aderire alla
nostra;
comunicarsi esperienze e comprensioni.
Seguendo questi principi un sangha vivrà in felicità ed armonia.
Bhikkhu, osserviamoli sempre".
Ecco un commento al Sutra del Maestro Thich Nhat Hanh.
"La prima è la Concordia dell'azione che coinvolge tutto il corpo. Un
sangha vive insieme come una famiglia. Le nostre azioni coinvolgono
tutte le persone con cui viviamo. Bisogna perciò che favoriscano la
concordia.
"La seconda è la Concordia della condivisione dei benefici.
Condividiamo il cibo, gli alloggi e l'opportunità di praticare la
meditazione seduta e camminata. Insieme ascoltiamo il Dharma.
Condividiamo ogni tipo di beneficio con tutti. Se una persona può
andare a un ritiro di tre giorni, gli altri nel sangha dovrebbero avere la
stessa opportunità in un'altra occasione. Ci sosteniamo l'uno con l'altro
in ogni attività.
"La terza è la Concordia dell'osservare gli stessi Addestramenti alla
consapevolezza. Le nostre aspirazioni sono uguali e conveniamo che la
pratica degli stessi Addestramenti alla consapevolezza è il miglior modo
per realizzarle.
"La quarta è la Concordia della parola. Occorre che anche le nostre
parole ispirino concordia. Abbiamo bisogno di fondare il nostro modo di
parlare su alcuni principi: sapere come reagire quando udiamo
qualcosa che non ci piace; sapere come prestare attenzione a quello che
l'altra persona sta dicendo, in modo da essere capaci di meditare sulle
sue parole prima di rispondere; sapere come incoraggiare e nutrire la
fiducia nelle persone con le quali parliamo.
"La quinta è la Concordia delle opinioni. Proveniamo da ambiti diversi.
Forse non condividiamo la stessa maniera di vedere degli altri
componenti della comunità. ma non diamo per scontato che la nostra sia
giusta e l'altrui sia sbagliata. Non discutiamo sulle opinioni divergenti.
Quando abbiamo un'idea la condividiamo con il Sangha e la
modifichiamo dopo avere ascoltato gli altri. La condivisione di Dharma
è un'opportunità per ascoltare con attenzione i diversi punti di vista, così
da avere una comprensione sempre più profonda. Le nostre idee sono
soltanto una piccola parte del quadro. Quando gli altri parlano,
ascoltiamo con attenzione per trovare la saggezza nelle loro parole. Se
non sappiamo ascoltare non possiamo imparare. Abbiamo bisogno di
aiutare gli altri a sapere che sono accettati ed apprezzati.
"La sesta è la Concordia delle attività della mente. Abbiamo modi di
pensare e sensibilità diversi. Non dovremmo isolarci nei nostri pensieri.
Dobbiamo comunicare. Quando vediamo qualcuno chiuso nei suoi
pensieri, nella tristezza e nella sofferenza, possiamo dirgli: un soldino
per i tuoi pensieri, un soldino per le tue sensazioni. Quando l'altra
persona è in grado di condividere la sua sensazione, non è più isolata.
Quando confidiamo quello che sta accadendo nella nostra mente, diamo
sollievo al nostro isolamento. Se chiedete a qualcuno cosa prova e lei o
lui risponde "sono infelice", potete praticare insieme la meditazione
camminata e questo, da solo, basterà a portare un po' di gioia".
Il Maestro Thich Nhat Hanh ci insegna inoltre:
“Un passo molto importante per la pratica è mettersi in contatto con un
Sangha” e nuovamente: “Un Maestro è un tesoro, ma senza un Sangha,
la pratica può rivelarsi ancora difficile”.
Che aggiungere ancora?
Solo che la pratica del rifugio nel Sangha è proprio la più difficile e quella che
trova più resistenze dentro di noi che, per natura ed educazione, tendiamo
all’individualismo. Ma è anche quella che, se ben realizzata, dona più beneficio e
trasformazione a noi stessi e al mondo.
Penso che, se molti praticano da soli, ne hanno beneficio, ma se molti praticano
ciascuno in un Sangha di più persone, il beneficio è moltiplicato per tutti e può
raggiungere le radici più profonde della famiglia e della società. L'accrescimento è
anche qualitativo, perché c'è la vera comprensione in azione.
Il Dharma è una cura lunga e intensiva che ci porta dalla non conoscenza alla
conoscenza della nostra vera natura, ma può essere confuso per una specie di
aspirina da prendere in solitudine quando la sofferenza è un po’ più acuta.
Il Dharma – aspirina è pur meglio di nulla, ma non porta alla vera e stabile
trasformazione della nostra coscienza.
Così, praticare da soli difficilmente porta ad una vera stabilità, anche se si seguono
ottimi insegnanti.
Un saluto e buona pratica di Sangha!
Upasaka Tae Bi