Appaloosa - San Fedele

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Appaloosa - San Fedele
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Appaloosa
regia
Ed harriS
sceneggiatura
Ed harriS, roBErT KnoTT
fotografia
dEan SEMlEr
montaggio
KaThryn hiMoFF
musica
JEFF BEal
interpreti
Ed harriS, JErEMy ironS, rEnéE ZEllWEGEr,
viGGo MorTEnSEn
nazione
USa
distribuzione
MEdUSa
durata
114’
ED HArrIS
28.11.1950 - Tenafly (New Jersey - USA)
2008
2000
appaloosa
Pollock
Appaloosa 69
La storia
Ad Appaloosa, una cittadina di cercatori d’oro del XIX secolo, lo sceriffo Virgil Cole è chiamato a far rispettare la legge, con l’aiuto del suo
vice ed amico Everett Hitch dovrà difendere la cittadina da soprusi del
rancher omicida Randall Bragg. La profonda amicizia tra i due verrà
messa a dura prova dall’arrivo in città della bella Allie French.
La critica
Alla ricerca del western perduto, Ed Harris dirige un’epica opera seconda (dopo “Pollock”) in cui resuscita la vitalità di un genere non morto ma solo svenuto, ripulendolo dai manierismi,
identificando lo spirito manicheo, rendendolo quasi metafisico:
sarà l’espressionismo western astratto? E introduce un carattere di donna anomalo, né santa né puttana (la petulante Zellweger) che spariglia l’amicizia tra lo sceriffo e il vice (chissà
se hanno fatto una vacanza a “Brockback Mountain”), uomini
forti e silenziosi impegnati a battere, laggiù in New Mexico nel
1882, i soprusi del perfido possidente Jeremy Irons. Duetto virilissimo Harris-Mortensen che riempie un film che risuona di
echi classici, da “Liberty Valance” di Ford ai fiumi rossi e i dollari
d’onore di Hawks, con un’esemplare misura, fidandosi del cinema che crea con poche mosse e molti ricordi doc un’altra realtà.
Maurizio Porro, il corriere della Sera, 23 gennaio 2009
Virgil ed Everett, due pistoleri al servizio della legge. Il capo e il
suo vice, nell’ordine, senza che mai uno screzio possa mettere
in crisi il loro lungo sodalizio. “Appaloosa”, diretto da Ed Harris
(anche interprete, nei panni di Virgil-dalla-mira-infallibile, mentre Everett ha il volto di Viggo Mortensen) segue i due mentre
prendono servizio nell’omonima cittadina del West, ingaggiati
per porre fine alle scorribande del cattivo di turno (Jeremy Irons,).
Temi, tipi, luoghi classici dei western più classici: il saloon, i cavalli, i grandi spazi, i cowboy con il dito sul grilletto, perfino il
treno che sbuffando attraversa pianure e montagne. E una donna,
una bella donna, che arriva in paese e subito suscita l’interesse di
70 Appaloosa
FILM DISCUSSI INSIEME
Virgil: suona il piano, si veste bene, ha davvero un gran fascino.
Ma chi è davvero? Il gioco funziona, l’azione ha forti accelerazioni e poi si ferma a lungo, quasi per farci sentire il retrogusto
di mondi e miti scomparsi. Tuona il fucile, crepitano le pistole.
Gli eroi, stanchi ma non sconfitti, cavalcano ancora una volta.
Luigi Paini, il Sole-24 ore, 25 gennaio 2009
Una ventata d’aria fresca e un soprassalto del cuore. Ci voleva «Appaloosa» per farci viaggiare a ritroso nel tempo e tornare a quando
gli schermi sapevano incendiare la fantasia. La magia si produce
grazie al talento e alla passione di Ed Harris, superattore già cimentatosi con la regia («Pollock»), che traspone nel nitore anticato della
fotografia di Dean Semler l’omonimo romanzo ambientato nel Far
West di fine Ottocento. Va da sé che la trama fili dritta come un
treno: una cittadina di frontiera è tenuta sotto scacco dai banditi;
due pistoleri amici (Harris e Mortensen) sono assunti come sceriffi e cominciano a rendere la vita impossibile ai prepotenti; l’arrivo
di un’avventuriera (la smorfiosissima Zellweger) rischia di mandare
all’aria l’amicizia; la caccia al capo dei fuorilegge (Irons) procede intanto tra alterne vicende, fino a quando la politica corrotta sembra
prendere il sopravvento... L’accoppiata Harris-Mortensen funziona a
mille, sia nelle sequenze di cavalcate, agguati e sparatorie, sia negli
intermezzi cadenzati su una tagliente autoironia debitrice della mitografia revisionista di Leone e dell’allievo Eastwood. Ma quello che
conquista è lo spirito del racconto, baldanzoso e brutale, romantico e malinconico: la mano di Harris è asciutta e sicura, in grado
d’estrarre emozioni dall’iconografia tradizionale e offrire un porto
sicuro ai naufraghi del cinema-cinema.
Valerio Caprara, il Mattino, 17 gennaio 2009
Per far capire che tipo di western è “Appaloosa”, bisogna partire
da un fermo immagine, ovviamente nostro ed arbitrario. Pigiamo
il tasto della pausa proprio quando Viggo Mortensen (alias il vicesceriffo Everett Hitch) si mette in posa, amabilmente di profilo,
gagà ottocentesco, mustacchio e pizzetto al vento, per sfidare a
duello, sul finire del film, Jeremy Irons (ovvero l’odioso mandriano
Randall Bragg). Hitch, ex soldato dell’esercito, è giunto attorno al
1882 nel paesello del New Mexico di Appaloosa assieme a Virgil
Cole (Ed Harris), sorta di leggenda della pistola che su lauto e improvvisato stipendio diventa sceriffo di luoghi sperduti nel west.
In questo caso sono i tre fifoni consiglieri comunali di Appaloosa
a reclutare i due, di fronte all’inusitata violenza di Bragg e dei
suoi sgherri. Hitch e Cole sono coppia armonica e acrobatica sul
lavoro: Cole è abile con la pistola; Hitch gira con una mostruosa
doppietta calibro 9; insieme monitorizzano il vicinato meglio di
Echelon. Umanamente, direbbe qualcuno, se la intendono molto: non si pestano mai i piedi, si equilibrano nei rischi da correre
contro il nemico. Anche se Cole è quello che riscuote più successo a livello comunicativo e ad Hitch tocca sempre fare un passo
indietro, con volontario piacere. Perfino quando si tratta di farsi
avanti rispetto alla madamigella, pianista itinerante, in arrivo ad
Appaloosa, miss French. Cosicché, dopo un continuo botta e risposta con le file dei cattivi che si ingrossano sempre più (perfino il presidente Usa), tradimenti, giusti processi, fughe, assalti
indiani, Hitch rivela tutta la sua fedeltà al collega più anziano,
concentrandosi in quella posa plastica per il duello fatta di un
erotismo smodato e di un leggibile doppio fondo omosessuale che
il western di una volta tendeva a ridurre in impossibile sottotesto.
Appaloosa è materia di genere molto diversa dai crepuscoli innevati dei cavalieri e degli spietati alla Eastwood o dalle posse
insozzate di fango alla Kevin Costner. La frontiera di Ed Harris è
classicamente disegnata su sabbia e polvere: basata su una legge
perennemente in bilico e in riscrittura; su involucri di vestiario eleganti e pratici; su rughe e abbronzature poco estetizzanti e su un
ritorno all’ancien regime contenutistico di un west che fa pulsare
sensibilmente viscere di maschio. Il tutto orchestrato su una costante costruzione della tensione (palpabile in molte sequenze di
scontro a fuoco) e su una messa in scena dove si bandiscono i primi
piani per favorire scene d’insieme, mezzi busti, classici piani americani (in questo “Appaloosa” si situa proprio in mezzo alla gamma
di inquadrature che sceglieva Sergio Leone). Significa che Harris,
già piuttosto propositivo all’epoca di Pollock (suo primo film da
regista), ha saputo scrivere e dirigere più che un western dall’epica definitiva, un’epopea tradizionale, solida, minimale con stravaganti picchi di modernità relazionale tra personaggi. Da vedere.
Davide Turrini, liberazione, 16 gennaio 2009
Dopo il film di Clint Eastwood “Gli spietati” del 1992, sembrava
che il genere western avesse già dato tutto, e che il bel film di Clint
avesse detto la parola fine ad un genere che già dalla seconda
metà degli anni 60, con il cosiddetto stile crepuscolare, fatto di
vecchi volti di attori riciclati, aveva decretato la fine di un epoca,
un titolo per tutti “Sfida nell’alta sierra” di Sam Peckinpah. Con
l’invasione di massa dei sanguinolenti spaghetti western si passò negli Stati Uniti da centinaia di western prodotti ogni anno,
a contarli sulle punta delle dita. Ancor oggi, ogni quattro cinque
anni esce una nuova pellicola che fa gridare al miracolo, ma che
poi duramente bastonata al box office fa recedere i produttori che
ritornano alle guerre stellari con robot, cibernetici, mutanti ecc.
Speriamo che questa volta con questo bel film di Ed Harris “Appaloosa” interpretato dallo stesso Harris e da Viggo Mortensen, si
cambi rotta. Ridando a noi appassionati una bella dose film western. Virgil Cole ed il suo collega Everet Hitch cavalcano le vecchie strade del West nella seconda metà dell’ottocento ripulendo
le città da banditi, ladri di cavalli e varia feccia, con mezzi spicci,
ma su mandato delle autorità locali. Tutto questo comunicando
laconicamente con poche occhiate virili pre “segreti di Brobeback
Mountain…”. Siamo stati un po’ dappertutto. Virgil viene assunto
per sistemare le cose in città che hanno bisogno di essere messe
a posto, e io vado con lui.” La bravura di Harris stà nel riportare
il western su le vecchie strade fordiane, strade che facevano dire
al grande critico francese Andre Bazin che “il western è il genere cinematografico per eccellenza”. Il rimando però più vicino è
senz’altro a due western classici degli anni ‘50 “Ultima notte a
Warlock” di Eduard Dmytryk e “Sfida all’o.k. Corral” di John Sturges. Harris lo fa nei dettagli, nei vestiti, negli sguardi in qualche
battuta ironica, ma soprattutto nell’atmosfera sonnolenta come il
deserto dove si svolgono i fatti, momenti di quiete che preludono
a scoppi di violenza incanalata da consuetudini come il duello faccia a faccia sulla strada principale del paese, ma anche di uccisioni
spicce e senza regole. L’apparizione canonica della donna dalla
dubbia reputazione muove un po’ il dialogo che da due diventa
a tre, anzi a quattro contando il classico villain, interpretato dal
bravo attore inglese Jeremy Irons che fa del suo personaggio un
capitalista in erba sulle orme del “petroliere” senza leggi ma che
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vanta un amicizia con il “presidente”. La povera Renee Zeelweger,
tutta mossette e sculettamenti, suona il piano veramente male,
ma zoccoleggia alla grande e cerca alleanze, scopo sopravvivenza
con il più forte di turno, e per un istante sembra incrinare l’amicizia virile dei nostri. La storia si dipana sulle geografie classiche
dell’epopea western. Pretenziosi saloon, locande sordide, paesaggi
deserti, torrenti dove i nostri bevono ma riposano i piedi, cavalli
selvaggi su sentieri selvaggi, e come danze rinascimentali duelli
geometrici con pochi ed efficaci colpi di pistola, che Virgil maneggia a perfezione,o un terribile fucile che Hitch usa con effetti devastanti. Come dicevo un film così diventa per appassionati come
me un test di memoria nel riconoscere per ogni dettaglio a quale
film rimanda, vedi il gioco con i piedi appoggiati ad una balaustra che fa lo sceriffo e che rimanda alla “Sfida infernale” di Ford
dove Henry Fonda si inventa una memorabile scena. Tornando al
nostro “Appaloosa”, che negli States come in Europa ha avuto ottime critiche ma scarsi incassi al botteghino, bisogna dargli atto
che riporta il western all’antica nobiltà degli eroi che una volta
si chiamavano Gary Cooper, Henry Fonda John Wayne, Richard
Widmark, Burt Lancaster, James Stewart, Kirk Douglas, Glen Ford
e tanti altri. Ho citato attori che avevano una totale aderenza ai
personaggi che interpretavano e che il pubblico andava a vedere
al cinema e che nel contesto storico del vecchio West potevano
veicolare sentimenti etici e morali.
Gaetano Liguori, Buscadero, marzo 2009
Fare western oggi, basandosi solo sul riscontro dei biglietti staccati,
sulla fedeltà di un pubblico ancora disposto a seguire storie di onore
e di pistole, sembra essere una scommessa persa in partenza. Però,
ogni tanto, rispunta qualcuno che tenta, per devozione o sfida, di
confrontarsi con il genere più pericoloso e “canonizzato”, fiero del
suo anacronismo, del suo essere fuori dalle mode e dalle logiche del
mercato. Sono molti gli autori che negli ultimi anni hanno cercato
di resuscitare il western. Ci è riuscito Clint Eastwood con il magnifico e funereo “Gli spietati”. Ci ha provato Kevin Costner con “Balla
coi lupi”, ibrida forma di western debitore delle variazioni sul genere
degli anni Settanta (“Soldato blu”) più che dei grandi classici a cui
si è invece ispirato nel più bello (e più ignorato) “Terra di confine
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– Open Range”. Si sono cimentati registi più giovani come James
Mangold – che ha intrapreso, con esiti traballanti, la strada del remake iperrealista di “Quel treno per Yuma” – o Andrew Dominik
nel bellissimo, astratto, postmoderno L’assassinio di Jesse James per
mano del codardo Robert Ford, opera nostalgica e consapevole del
tramonto di quello stile, di quel mondo, di quell’estetica. La stessa
coscienza non sembra averla, né volerla, Ed Harris che in “Appaloosa” sceglie proprio la via dell’anacronismo per rivisitare – e vivificare
– il genere. “Appaloosa” sembra a tratti un collage di vecchi spezzoni di pellicole di Ford, Hawks, Anthony Mann: la coppia di difensori
della legge viene dritta da “Sfida infernale”, certe sparatorie da Un
dollaro d’onore, i mandriani fuorilegge da “L’uomo di Laramie”. La
regia di Harris mostra nei confronti di quei maestri la stessa dedizione concessa a Jackson Pollock nel suo primo film, come a voler
creare un immaginario di riferimento che comprenda assieme, nel
secolo passato di visioni americane, l’espressionismo astratto e la
Monument Valley. E attraverso una messa in scena volutamente
classica, cadenzata, ricca di pause meditative che aumentano il fascino dell’opera, la storia si concentra sui due protagonisti: Harris è
interprete magnifico e sembra perfettamente a suo agio nei panni
di Virgil Cole, uomo burbero ma integerrimo, dalle parole semplici e
soppesate, mentre Mortensen da attore intelligente si adegua a una
tonalità sfumata e mai esteriore, quasi elegiaca. Più convenzionali il
villain di turno, un Jeremy Irons leggermente troppo compiaciuto, e
Renée Zellweger, la donna che incrinerà solo per un istante il patto
di decennale amicizia dei due protagonisti, che sfodera il suo infinito repertorio di smorfie e faccette. Il tono dell’intera operazione è di
profonda nostalgia, ben supportato da dialoghi dalla chiara matrice
letteraria. Un omaggio affettuoso e profondo al cinema western e
ai valori che rappresenta.
Federico Pedroni, duellanti, gennaio 2009
I commenti del pubblico
oTTiMo
LyDIA PoCHEttINo È bellissimo rivedere un film western rimodernato e ripulito rendendolo continuativo di un genere. La bravura di
Harris ha riportato il film sulle vecchie strade ma in chiave psicologica nuova.
MArIAGrAzIA GorNI Non ho mai amato i western con la loro violenza spietata, il modo discutibile di esercitare la giustizia, la scarsa
considerazione delle donne in un mondo prettamente maschile. Ma
questo “Appaloosa”, pur avendo tutti questi elementi, mi è piaciuto
molto per come è stato girato, per il taglio delle immagini, per la
fotografia, per i dialoghi, per la ricostruzione filologica di ambienti e
personaggi, per la recitazione convincente dei due protagonisti, per
il finale. Se la psicologia di Hitch e Cole appare ben delineata, molto
meno lo è quella di miss French, bamboleggiante e così sfacciatamente opportunista da apparire improbabile.
GIUSEPPE GArIo Western diverso fin dal manifesto ispirato al simbolo del femminismo, si e ci chiede quale orizzonte comune abbiano
le pulsioni di vita e di giustizia, sia pure nei nuclei primitivi della paura e della vendetta. Il film non risponde, narra le vicende degli amici
Virgil e Hitch e delle loro amanti (French e l’innominata del saloon).
Alla fine Hitch uccide il cattivo, se ne va e così offre a Virgil l’opportunità di cimentarsi col vero amore, anche se legato a una ricerca di
sicurezza che per istinto cerca sempre il capobranco. (Abbandonati
nel dilemma tra amore e sicurezza ci viene in mente: Ahi, serva Italia…, anche se forse col film non c’entra; o sì?).
BUono
CoLoMbo SILvANA Coinvolgente. Ben fatto.
LEtIzIA SErENA ArAGoNA Moderno film western con una buona
sceneggiatura e ottimi interpreti.
CArLo CHIESA Purtroppo il confronto con i vecchi classici del genere non è favorevole a questo film, peraltro ben cucinato. Imitare i
capolavori è cosa ardua e per farlo occorre essere almeno dei geni.
MArIA CoSSAr Il film è ben confezionato: tante storie, tanti accadimenti, tanti sentimenti e la regia è attenta ai movimenti degli
attori, alla recitazione, ai particolari dell’abbigliamento, ai paesaggi.
Ma il tema dell’amicizia è alla base di questo racconto, intesa profonda, franca, la si coglie nei momenti di pericolo, nei momenti di
ironia e nel rapporto con la figura femminile, la cui descrizione è
spietata,profonda e psicologicamente valida. Lo spettatore rimane
catturato da questo rapporto, da questi pseudo eroi, da questi miti,
da questi valori umani.
CAtErINA PArMIGIANI In un western di stampo tradizionale è
nuova la figura femminile, che non è nè la classica donnina facile
del saloon nè la pudica e timida ragazza perbene del paese: è una signorina “sfiorita”, inquieta, insicura , petulante, che sta sempre dalla
parte del vincitore - anche momentaneo -, ma appare affascinante
perché lascia trasparire un passato “altolocato” in quanto sa suonare
il piano, veste con eleganza e mangia educatamente a tavola. Se ne
invaghisce il rude Cole e Hitch, suo compagno di sempre, non solo
fa un passo indietro ma arriva anche a togliere di mezzo Bragg, per
salvare “l’onore” dell’amico. Validi gli interpreti, buone la regia e la
sceneggiatura.
diScrETo
ANNA CoLNAGHI È il film più finto che abbia mai visto. La fotografia è ineccepibile.
roSA LUIGIA MALASPINA Forse il mio giudizio è viziato dalla
stanchezza che sentivo l’altra sera, ma il film mi è parso inutile, in
quanto non aggiunge niente di nuovo rispetto alla cinematografia
western esistente, con storie scontate (es. gli approcci sentimentali
del “triangolo”, ecc.) anche se ben confezionato e interpretato. Nessun coinvolgimento emotivo, puro esercizio estetizzante. E tutto torna sempre uguale: l’animo umano non cambia.
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GIULIo KoCH È un film che sembra il remake di una serie di bei
western: e come tale è privo di animo e di vita propria. Non convince
la psicologia dei personaggi, la regia è più attenta a scimmiottare
l’opera di registi famosi che non a dare una propria impronta. Gli
attori sono bravi, ma ingabbiati in cliché statici, la sceneggiatura è
bella, anche se la ricostruzione della città è molto di maniera. I dialoghi la fanno da padrone, il ritmo è lento e un po’ noioso. La vita dei
pistoleri era tutto sommato un’altra cosa, ed il tentativo di morale
non è convincente né adatto al genere. Un’operazione mal progettata, e mal realizzata.
PIErANGELA CHIESA In “Appaloosa” c’è tutto quello che deve esserci in un film western: deserto, sparatorie, cavalli, treno, calessi,
indiani, assalti e fughe. Di insolito c’è la strana figura di donna, pianista capitata ad Appaloosa non si capisce perché, frivola,immorale,
desiderosa di dividere la sua vita con l’uomo che “conta di più” e,
infatti, sceglie prima Virgil poi Randall, che vanta appoggi più altolocati (magari con qualche piccola variante... di percorso!). Ma nel
complesso tutto è eccessivo, ridondante, poco approfondito. Anche il
duello finale, certamente di grande effetto, da classico film western,
lascia in sospeso la vera motivazione: amicizia, vendetta, rivalsa?
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