prefazione di diego cugia

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prefazione di diego cugia
VITE SOSPESE. DIECI STORIE DI RESISTENZA CONTEMPORANEA - PREFAZIONE DI DIEGO CUGIA
VITE SOSPESE. Dieci storie di resistenza contemporanea.
PREFAZIONE DI DIEGO CUGIA
Ci passano accanto a milioni e ci sembrano facce tutte uguali. A malapena distinguiamo le
razze, ma siamo ignoranti, confondiamo un giapponese con un cinese, una polacca con una
rumena. Non conosciamo le storie dei loro paesi, i loro miti, gli dei, gli eroi. Tuttavia sappiamo
sfruttarli benissimo e non gli consentiamo neppure uno sbaglio. Se non rigano dritto, ma così
dritto che qualora un italiano si comportasse come loro gli daremmo del verme, allora,
improvvisamente, siamo colti dal panico. Abbiamo loro affidato le nostre nonne, i figli, una
madre malata, ci coglie il sospetto di averle abbandonate nelle mani di un mostro. Ci ricrediamo
subito, mica per altro, perché non ci passa per la testa di svolgere, per i nostri stessi parenti,
quelle mansioni caritatevoli, umili e a volte “schifose” che loro fanno per un pugno di euro. Che
ci chiedano le “marchette” ci infastidisce, anche se noi siamo pronti a scendere in piazza per le
nostre pensioni. Addirittura ci fanno invidia: “Lo sai che la mia colf con tutti i soldi che le ho dato
si è fatta una villa in Sri Lanka?”. Siamo extracomunitari a noi stessi, non capiamo che abbiamo
anime da caserma e siamo noi i marginali dell’esistenza, arroccati nelle nostre metropoli,
dominati dalle banche e dalle multinazionali del consumo globale.
Le “Vite sospese” di cui tratta questo libro meriterebbero quasi tutte uno sceneggiatore e un
regista. Sabi, Betlemme, Aden e gli altri, con i loro destini storti, avranno comunque qualcosa di
nobile da raccontare ai loro nipoti. Hanno dato la vita per vivere. Sono i cavalieri del terzo
millennio. Fuggiti dai loro paesi, perseguitati dalle polizie locali, vittime d’ingiustizie politiche, di
dittatori militari, di ras di quartiere, d’infamie di ogni genere, approdano in Italia, dopo aver
trascorso la loro vita a scappare, come Karimi. E finiscono “dentro” un poco accogliente centro
d’accoglienza, come un Alberto Sordi nero, “detenuto in attesa di giudizio”. In un'Italia che più
emigrante non si può, che è stato accolta in America, in Australia, in Germania e in Svizzera per
oltre un secolo, le loro vite rimangono più sospese che mai. È un brutto limbo col filo spinato,
un’eterna attesa di rifarsi una vita, un muro burocratico, un ostracismo non dichiarato, a tenerli
“dentro”.
Vincenzo Figlioli, che ha raccolto le loro storie cupe e sfavillanti, dev’essergli sembrato un
angelo caduto o un extraterrestre. Semplicemente perché li ha ascoltati. Non è poco, in questi
tempi di greve egocentrismo in cui ciascuno è il razzista del prossimo. Da questi dialoghi è nato
un libro che ha almeno due pregi: il primo, insegnarci la storia, spesso a noi colpevolmente
oscura, dei paesi di provenienza dei protagonisti. Il secondo, donarci una molteplice biografia
delle loro vite sospese, dare un volto, un nome e una storia a quelle che, dopo la lettura, non
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saranno più ombre, e verso le quali non possiamo che nutrire rispetto, rabbia e senso di colpa
per come li trattiamo e, se possibile, un’infinita tenerezza. Non basta, ma sarebbe già qualcosa.
La fratellanza, della quale si parla nel nostro inno nazionale, è purtroppo estinta da anni.
Queste vite sospese sono state le prime a saperlo.
Diego Cugia
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