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I Misteri di Via Fani – Documenti Le confessioni dei brigatisti Sono qui raggruppate le dichiarazioni dei brigatisti sulla dinamica dell'azione di Via Fani. Patrizio Peci interrogatorio 1 aprile 1980 Verbale dell'interrogatorio a Patrizio Peci redatto dal giudice Giancarlo Caselli nel carcere di Cuneo il 1 aprile 1980 (...)Dell’operazione Moro posso dire chi vi ha partecipato avendolo saputo dopo la perpetrazione di essa. Da Torino partecipò il Fiore che era armato con l’M12. Da Milano Bonisoli ed Azzolini. Dei romani parteciparono il Moretti, Morucci e Gallinari. Non so altro di preciso, ma nello stesso tempo non posso escludere la presenza d’altre persone ancora. Per esempio persone provenienti da Genova. E’ probabile che poi all’azione abbia partecipato la donna di Morucci, cioè la Faranda che però non mi sembra abbia fatto, parte del gruppo d’assalto . Fu il Moretti ha dirigere d’assalto sia da un punto di vista militare che politico. Il Moretti era armato con il Mab. Queste notizie le appresi, in termini confidenziali successivamente dal Fiore che aveva preso parte all’azione. Patrizio Peci: Udienza processo Moro in corte d'assise 1982 (…) Circa un mese e mezzo prima Bonisoli e Fiore si andarono ad addestrare in una grotta di Saluzzo. ... Fiore con la sua arma cioè l’M12 che poi ha usato...Bonisoli venne con uno Zerbino un mitra molto particolare, se ne trovano pochi in giro...Fiore andava continuamente a Roma. Partiva, si assentava dicendo: devo andare a Roma perché devo fare questa grossa azione.. .Quindici giorni prima tornò a Torino con un vestito blu e nella colonna chiese ad Angela Maj di cucire delle mostrine su questo vestito... Fu fatto il sequestro e l’uccisione della scorta e alle cinque di sera era già a Torino. Prese il primo treno e arrivo a Torino... Disse che era andato tutto bene; uno era rimasto un po’ ferito ad un braccio, uno di noi. Cominciò a raccontare che un mitra si era inceppato dopo un colpo o due. Era il suo mitra; lui faceva parte proprio del nucleo d’assalto alla scorta. Disse: come ho sparato dopo due o tre colpi mi si è inceppato. Lui stava un po’ giù per il fatto di non essere riuscito a proseguire nell’azione, nel senso che era rimasto interdetto quando il mitra non funzionava più... Andando avanti nei giorni cominciò a dire che l’azione l’aveva diretta il vecchio e guardando un Mab disse questo mitra l’ha usato Moretti mentre dirigeva l’azione. Però, disse, non ha tirato neanche un colpo. Nel senso che era Moretti la persona che urlava. Poi venne fuori che c’era la macchina davanti e lui disse che in questa macchina c’erano Morucci e Gallinari. Erano loro che erano scesi ed avevano sparato alle due persone che erano sulla macchina dove c’era l’Onorevole Moro...Poi mi disse che aveva partecipato pure Azzolini. Antonio Savasta: Udienza del Processo Moro in corte d'assise 1982 (…) SAVASTA: I nomi che uscirono fuori, uscirono fuori dopo che Peci aveva parlato, dicendo che erano dei compagni che molto probabilmente si erano lasciati sfuggire questi nomi, cioè chi realmente aveva partecipato in Via Fani. Perciò rispetto ai nomi che ha fatto Peci è stato detto soltanto che erano quelli i componenti dell’azione di Via Fani. PRESIDENTE: cioè? SAVASTA: Bonisoli, Azzolini, Fiore, Morucci, Faranda, Moretti, poi ho saputo che Seghetti faceva da autista e che c’era anche Barbara Balzarani. PRESIDENTE: Siamo ad otto. Qualcuno dice che fossero nove. Ci sono delle voci nelle carte processuali che dicono che fossero nove. SAVASTA: Io li ho semplicemente risaputi non ci si è discusso sopra. PRESIDENTE: L’informazione su questo gruppo che ebbe ad eseguire la strage di Via Fani chi gli e l’ha data? SAVASTA: La discussione che è seguita alle rivelazioni che ha fatto Peci quando era stato preso. Erano i compagni, tipo Seghetti, che sapevano chi c’era in quella situazione, tipo Barbara Balzarani, che disse che purtroppo qualche compagno si era lasciato sfuggire dei nomi (...) PRESIDENTE: Qualcuno illustrò come era avvenuta questa azione dalla vostra angolazione? SAVASTA: C’era stato un tipico modello operativo, anche in quella situazione, cioè c’era stato quello che noi chiamavamo “il cancelletto”, cioè la chiusura di una strada con una macchina con l’intervento dei nuclei che si erano divisi i compiti, nonché l’uccisione degli agenti della scorta. Dopo di che ci furono i vari cambi di macchina. PRESIDENTE: Vediamo il cosiddetto cancelletto da chi fu operato praticamente. SAVASTA: Non lo so. PRESIDENTE: Cioè, l’attribuzione individuale dei singoli comportamenti alle varie persone lei non è in condizione di dircela. SAVASTA: No, assolutamente perché dal punto di vista operativo è soltanto specificato... Viene assunto come norma generale e ogni volta non viene rispiegata l’azione. Enrico Fenzi: udienza del processo Moro in corte d'assise 3 novembre 1982 Nel gennaio del 1982 abbiamo avuto a Milano il processo d’appello per le pistole che avevamo addosso al momento dell’arresto. Io venivo da Cuneo e Moretti da Nuoro. Nei tre giorni insieme in modo occasionale non parlando del sequesto Moro (il pretesto è stato semplicemente un discorso sulle rispettive abilità nella guida delle auto e io dicevo che non so guidare) Moretti mi disse che era un abilissimo guidatore. Se ne è proprio vantato e sull’onda di questo discorso un unica ammisione gli è sfuggita “Immagina chi era colui che guidava l’automobile che in Via Fani ha bloccato le due macchine, quella di Moro e quella della scorta? Sono stato io!”> Valerio Morucci: Udienza del processo d'appello Moro 18 Gennaio 1985 L’organizzazione era pronta per il sedici mattina, uno dei giorni in cui l’on. Moro sarebbe potuto passare per Via Fani. Non c’era certezza, avrebbe potuto anche fare un’altra strada. Era stato verificato che passava di li alcuni giorni, ma non era stato verificato che passasse sempre. Non c’era stata una verifica da mesi Quindi il 16 marzo era il primo giorno in cui si andava in Via Fani per compiere l’azione sperando dal punto di vista operativo, ovviamente, che passasse di li quella mattina. Altrimenti si sarebbe dovuti tornare il giorno dopo e poi ancora il giorno dopo, fino a quando non si fosse ritenuto che la presenza di tutte quelle persone su quel luogo per più giorni avrebbe comportato sicuramente il rischio di un allarme. La macchina con targa del corpo diplomatico si mise in seconda fila mentre l’altra rimase dov’era. Appena visto arrivare il 130 blu di Moro da via trionfale, il 128 è partito ad andatura abbastanza sostenuta per evitare si farsi sorpassare, perché le due macchine andavano abbastanza veloci... passò davanti al bar Olivetti e freno bruscamente davanti allo stop. A quel punto il 130 tampono il 128, l’Alfetta di scorta tamponò il 130. Il 128 bianco con a bordo altre due persone si pose dietro per chiudere l’accesso ad altre macchine; la persona che doveva occupare l’incrocio l’occupo e noi quattro che eravamo dietro le siepi del bar uscimmo per sparare... per sparare sulla scorta. Due erano incaricati di sparare sull’Alfetta della scorta e gli altri due di sparare sull’autista e sull’altra persona che occupava il posto a fianco nel 130. Io ero tra questi due e quindi sparai contro il 130. Nel frattempo l’autista del 130 cerco disperatamente di guadagnare un varco verso Via Stresa più volte fece marcia indietro e marcia avanti mentre era in corso la sparatoria. Il Maresciallo Leonardi, invece per prima cosa si occupo di proteggere Moro e si giro per farlo abbassare. Infatti è stato trovato morto in quella posizione. Lo stesso accadde per Jozzino che uscì dalla macchina, questo non l’ho visto, lo desumo dai fatti, per esplodere un paio di colpi con la sua pistola Valerio Morucci; memoriale 1990 ( trascrizione dal libro L'ultimo brigatista” di Aldo Grandi 2007 ) «Alle ore otto e quarantacinque del 16 marzo 1978 - un gruppo composto da nove bierre si portò all'incrocio tra via Fani con via Stresa disponendosi in varie posizioni, secondo il piano elaborato nel villino di Velletri dalla direzione della colonna romana e approvato dal comitato esecutivo delle Brigate rosse. Io facevo parte di questo nucleo d'assalto... Sul luogo dell'azione, la mattina del 16 marzo, erano presenti uomini e auto disposti nel modo seguente (partendo dalla parte alta di via Fani e scendendo verso l'incrocio fatale con via Stresa). Un bierre, contraddistinto dal numero 1 (Moretti) era in via Fani con la Fiat 128 giardinetta targata CD, sulla destra di via Fani subito dopo via Sangemini, venendo da via Trionfale e con il muso dell'auto in direzione dell'incrocio con via Stresa. I bierre numero due e tre (Loiacono e Casimirri) erano a bordo della Fiat 128 bianca, sulla stessa parte di via Fani, poco più avanti della Fiat 128 targata CD. La Fiat 128 blu era posteggiata con una persona a bordo (bierre numero quattro — Balzerani) al lato opposto di via Fani, superato l'incrocio con via Stresa e in direzione contraria, con il muso dell'auto rivolto verso la direzione di provenienza delle auto di Moro. Una quarta autovettura, la Fiat 132 blu con un altro brigatista (il numero cinque - Seghetti) era ferma in via Stresa, parcheggiata contromano sul lato sinistro, a qualche metro dall'incrocio di via Fani, con la parte posteriore verso l'incrocio, pronta a portarsi a retromarcia accanto alla 130 di Moro. Una quinta autovettura, una Al 12 senza persone a bordo, era parcheggiata in via Stresa, sul lato destro della strada, a venti metri da via Fani, in direzione via Trionfale.» «Io ed altri tre brigatisti (rispettivamente i numeri sette, otto e nove - fiore, Gallinari, Bonisoli) eravamo dietro le siepi antistanti il bar Olivetti, situato all'incrocio tra via Fani e via Stresa. L'azione si è sviluppata in questo modo. Appena la Fiat 130 blu con Moro, seguita dall'Alfetta, ha imboccato via Fani proveniente da via Trionfale, la Fiat 128 bianca targata CD condotta dal bierre uno (Moretti), si è immessa nella carreggiata e si è diretta verso l'incrocio via Fani-via Stresa. Lo stesso bierre numero uno (Moretti), dopo aver bloccato la 128 poco prima dello stop, facendosi tamponare dalla Fiat 130 seguita dall'Alfetta, è rimasto per qualche tempo quasi fino alla fine della sparatoria sulla stessa auto che si è spostata in avanti a causa dei ripetuti tamponamenti da parte dell'autista del 130, che cercava di guadagnare un passaggio sulla destra, verso via Stresa. La presenza casuale di una Mini Minor in via Fani, proprio all'altezza dell'incrocio con via Stresa, può aver in parte contribuito ad impedire la manovra di svincolo della 130. Dopo il tamponamento della Fiat 128 targata CD da parte della 130 di Moro - a sua volta tamponata dall'Alfetta di scorta - si è posta dietro questa, trasversalmente rispetto alla strada, la 128 bianca con i bierre numero due e tre (Loiacono e Casimirri), che avevano il compito di bloccare il traffico da via Fani e rispondere entrambi ad eventuali attacchi delle forze di polizia. Nel frattempo il bierre numero quattro (Balzerani) disceso dalla Fiat 128 blu, parcheggiata dall'altro lato dell'incrocio, si è portato al centro dell'incrocio di via Fani con via Stresa per bloccare il traffico proveniente dalle diverse direzioni. Io e i bierre sette, otto e nove (dal basso Fiore, Gallinari e Bonisoli), portatici sulla strada, abbiamo sparato contro gli uomini della scorta di Moro, in modo da evitare che venisse colpito Aldo Moro. Io ed il bierre sette (Fiore) abbiamo sparato contro gli uomini a bordo della 130.1 bierre otto e nove (Bonisoli e Gallinari) hanno sparato contro i tre uomini che erano sull'Alfetta di scorta. Nell'azione si sono inceppate diverse armi tra cui lo Fna 43 in mio possesso e l'M12 in possesso di uno degli altri tre uomini (fiore, che sparava anch'egli sulla 130). In conseguenza dell'inceppamento della mia arma, per non intralciare gli altri, mi sono portato verso via Stresa e ho impiegato del tempo per disinceppare l'arma. Subito dopo sono tornato accanto alla 130 e ho sparato altri colpi, ma l'auto era già ferma. Notai che il numero uno (Moretti) non era ancora sceso dalla 128 CD. I bierre otto e nove (Gallinari e Bonisolt) usarono anche le pistole in loro dotazione, perché si incepparono anche i loro mitra. Nel frattempo, il bierre uno (Moretti) invece di portarsi al centro dell'incrocio, come previsto dal piano di attacco, per appoggiare la Balzerani nella difesa dell'incrocio, si è portato accanto alla 130 di Moro e insieme al bierre sette e otto (Fiore e Gallinari) ha prelevato l'ostaggio e lo ha caricato sul sedile posteriore della Fiat 132, che nel frattempo, facendo retromarcia da via Stresa a via Fani, si era affiancata alla Fiat 130 di Moro. Dopodiché, lo stesso bierre uno (Moretti) è salito accanto all'autista (bierre numero cinque Seghetti), mentre sul sedile posteriore ha preso posto accanto a Moro il bierre sette (Fiore). Caricato Moro, che fu coperto con un plaid, la Fiat 132 ha preso verso via Stresa in direzione di via Trionfale; i bierre due e tre (Loiacono e Casimirri), risaliti sul 128 bianco, che aveva sbarrato via Fani dietro l'Alfetta della scorta, hanno raccolto il bierre otto (Gallinari) e si sono accodati alla Fiat 132, su cui Moro veniva portato via. Il bierre nove (Bonisoli) è salito sul 128 blu - che era rimasto fermo nella parte inferiore di via Fani con il muso rivolto verso l'incrocio con via Stresa - e ha preso posto di fianco al posto di guida. Sul sedile posteriore era nel frattempo risalito il bierre quattro (Balzerani). (A seguito di alcune risultanze dei rilievi effettuati in via Fani bisogna aggiungere che molto probabilmente il bierre otto - cioè Bonisoli - che era l'ultimo verso l'altò dei quattro "avieri", dopo l'inceppamento del suo mitra ha sparato con la sua pistola contro l'agente lozzino - aiutato in questo forse anche da Gallinari - e dopo ha girato dall'altro lato dell'Affetta sparando ancora altri colpi contro i suoi occupanti. Una volta sull'altro lato di via Fani è probabile che sia ritornato alla 128 blu passando da quel lato. Essendo stati ritrovati dei bossoli calibro 7,65 Parabellum, e lui era l'unico ad avere in via Fani un'arma di questo calibro, alla base di un alberello sito in prossimità dell'incrocio, è probabile che sempre lui abbia esploso dei colpi contro il teste Marini. Mentre si può escludere che da lì abbia sparato altri colpi contro il maresciallo Leonardi. Sia perché la linea di mira era impedita dalla Mini Morris, sia perché su quella linea di tiro si sarebbero trovati Moretti, Fiore e Seghetti che stavano caricando Moro sulla 132. Io avevo il compito, una volta sparato contro la scorta della 130 di Moro, di prendere le sue borse dall'auto, ma ho eseguito questa operazione con un certo ritardo rispetto al previsto. È accaduto infatti che, subito dopo l'inizio dell'azione - o meglio subito dopo che gli agenti erano stati uccisiho provato un senso di confusione che mi ha fatto perdere per alcuni momenti la cognizione del tempo, e mi ha fatto muovere sul luogo dell'azione senza seguire con la necessaria rapidità i compiti che mi erano stati affidati. Rammento che fui ridestato da questo stato di confusione dal richiamo di uno dei bierre occupanti la 128 bianca (Gallinari), che mi esortò a muovermi, poiché la 132 con Moro era già andata via e altrettanto stavano facendo loro (Gallinari, Loiacono e Casimirri) con la 128 di scorta, mentre io ero rimasto lì in mezzo alla strada. A questo punto mi sono portato presso la 130 di Moro prelevando le due borse del presidente della Democrazia cristiana. Le borse erano in pelle e sono state portate da me sulla 128 blu, di cui presi la guida. Ho imboccato via Stresa, ponendomi al seguito delle altre due autovetture (la Fiat 132, con Moro, in testa e la Fiat 128), da cui ero distaccato di circa cinquanta metri.» (Il piano originale prevedeva invece che la 128 blu sarebbe dovuta essere la macchina di testa delle tre ed aprire la strada alla 132 con Moro, seguita dalla 128 bianca in copertura posteriore. La perdita di tempo in via Fani ha fatto invece sì che la 128 sia stata l'ultima auto a lasciare il luogo, recuperando poi la sua posizione di apristrada solo poco prima che le macchine si immettessero su via Trionfale.) Relativamente alla Moto Honda Morucci scrive: «Nessuna Honda o altra moto di questo tipo, o di qualsiasi altro tipo, è stata impiegata nell'azione. Il teste Marini si è sicuramente sbagliato.» (Nessuna moto è peraltro passata per l'incrocio fino a che non è partita l'ultima macchina, cioè la 128 blu, ultima dopo che già le altre due si erano allontanate. Una motocicletta può anche essere passata successivamente, ma non era delle Erigate rosse e non si capisce il motivo per cui i suoi occupanti avrebbero dovuto sparare al Marini)? Secondo Morucci le armi usate in via Fani erano: «un Fna in mia dotazione; un M12 (Fiore)\ una TZ45 (Gallinari)', un altro Fna (Bonisoli) e un Mab 38/42 (Moretti), che non ha sparato. Oltre i mitra, i vari componenti del nucleo avevano le pistole automatiche in dotazione personale: una S&W 39 (di Gallinari, che ha anch'essa sparato dei colpi); una Beretta 51 cai. 7,65 (di Bonisoli, che ha anch'essa sparato dei colpi) e tre Browning HP (diMoretti, Morucci e Fiore. Pistole queste che non hanno sparato). Altre armi portate dai restanti componenti del commando, ma non usate (cioè che non hanno sparato), erano un fucile automatico cai. 30 MI e la CZ Skor-pion 7,65, entrambe rinvenute in viale Giulio Cesare (all'arresto mio e della Farando) e in dotazione rispettivamente al numero tre (Loia- cono, che era sulla 128 e copriva la parte superiore di via Fani) che era in via Fani subito dietro l'Alfetta della polizia, e la numero quattro (Balzerant) che era al centro dell'incrocio». Barbara Balzerani udienza del processo Moro Quater 2 dicembre 1993 "a iniziare dal basso, dall'incrocio con via Stresa in mezzo all'incrocio c'ero io, e, nella prosecuzione della strada c'era un'altra persona in macchina che era la macchina che doveva, facendo marcia indietro, prendere l'on. Moro... era un uomo. Poi c'era un'altra persona a bordo della macchina che ha bloccato il convoglio... un altro uomo. Poi c'erano quattro persone che sono intervenute sugli agenti, quattro uomini, due sul 130 e due sull'Alfetta. Poi, c'erano altre due persone che chiudevano la strada in cima. Facevano da cancelletto. Presidente: cancelletto superiore? Balzerani: sì... e copertura. Presidente: uomini o donne? Balzerani: due uomini. La decima persona aveva una funzione di staffetta, avvisò dell'arrivo delle due macchine e se ne andò subito dopo immediatamente. Presidente: uomo o donna? Balzerani: una donna. Presidente: due donne. È così? Balzerani: sì. Presidente: diciamo che erano otto uomini e due donne? Balzerani: sì» Mario Moretti: Brigate Rosse una storia italiana. Libro intervista di Carla Mosca e Rossana Rossanda 1994 A ogni compagno - rievoca Moretti - è assegnato non solo il posto preciso dove stare e un ruolo specifico, ma anche il percorso di avvicinamento a via Fani. Andrà ad appostarsi nei punti esatti soltanto se tutto è a posto e l'azione parte di sicuro. La verifica tocca a me, e fino all'ultimo faccio la spola tra un gruppo di compagni e l'altro... Dobbiamo capire se Moro c'è e se uscirà di casa come al solito. I giorni precedenti c'era. Per accertarsene con almeno mezz'ora di anticipo basta vedere se c'è la scorta sotto casa, alla palazzina dove abita in via del Forte Trionfale. Passo con la macchina, la scorta c'è, le due auto sono parcheggiate una in fila all'altra nel cortile antistante l'ingresso, come al solito. Sicuramente di lì a poco Moro esce. Faccio l'ultimo giro fra i compagni in avvicinamento, confermo, ciascuno va a prendere posizione. L'azione è partita. Il momento critico è quello iniziale: una nostra macchina (la 128 targata Corpo Diplomatico) deve andare a mettersi davanti al piccolo convoglio composto dalla 130 con dentro Moro, l'autista e il maresciallo, e dall'Alfetta con gli altri tre. Bisogna avvistare in tempo le due macchine, che vanno veloci per motivi di sicurezza e cogliere il momento esatto in cui rallentano per girare a sinistra di via del Forte Trionfale in via Fani. È un attimo, la nostra macchina deve essere in movimento e mettersi con naturalezza davanti a loro. Se non li agganciamo lì non li riprendiamo più. Guai se la manovra riesce male o se succede qualcosa, anche piccola, che attiri l'attenzione degli agenti di scorta. Su quella macchina non ci vuole uno che guidi come un pilota di Formula Uno, ma che abbia esperienza e nervi saldi. Tocca a me. Ma occorre che un compagno mi segnali che il convoglio sta arrivando con qualche attimo di anticipo prima che svolti per via Fani... La ragazza, appunto. Deve fare solo questo, poi salire su una Vespa e andarsene. È giovane, carina, non ha che da star ferma all'incrocio con un mazzo di fiori in mano. I poliziotti non sono degli sprovveduti, ma una donna con dei fiori in mano è nel ruolo, non da nell'occhio. Come un operaio che mangia un panino su un muretto, con le gambe penzoloni: ci può stare anche un'ora, non si meraviglia nessuno. Eravamo abili nell'osservare queste cose. La ragazza fa il segnale, esco al momento giusto e mi metto davanti alle due macchine di Moro, regolando l'andatura: abbastanza piano perché le macchine che ci precedono si allontanino un poco, in modo da non venire coinvolte nella sparatoria, ma anche abbastanza veloce perché il convoglio di Moro non mi sorpassi. Funziona. Nessuno si accorge di niente. Tutto va tranquillamente.» L'adrenalina è a mille, il cuore è impazzito, ma non ho il tempo di sentire emozioni, il tempo delle incertezze, dei dubbi, è prima e dopo un'azione, mai durante. Quando ci sei dentro l'unico problema è come fare nel modo migliore quel che si è deciso. A me è capitato sempre di essere lucido, concentrato, non mi è sfuggito mai nulla, il tempo si dilata, ogni secondo è un'eternità. Credo che in genere sia così per tutti. Procedo, sorpasso una Cinquecento che va troppo a rilento e le macchine di Moro mi vengono dietro. L'ideale è che tutte e tre le macchine si fermino allo stop dove sono appostati i quattro compagni che dovranno neutralizzare la scorta, altrimenti dovranno risalire via Fani e la scorta potrebbe notarli. Mi fermo dunque allo stop, un po' di traverso per occupare la parte maggiore di strada ma senza che sembri strano, normalmente, senza stridore di gomme. (Non ti sei fatto tamponare dalla 130 di Moro? Si è sempre detto questo.} No. Un tamponamento li avrebbe messi in allarme e invece devo dare tempo ai compagni di avvicinarsi. Moro e la scorta sono vulnerabili, lo ripeto, in quanto non notino nulla. E non notano nulla perché fino a un secondo prima della sparatoria non c'è niente da notare. I quattro compagni aprono il fuoco. Allo stesso momento i due che devono bloccare il traffico in alto lo bloccano. Barbara è già in mezzo all’incrocio a due metri dallo stop di Via Fani e ha fermato il traffico che risale via Stresa, verremo a sapere che la prima macchina ad essere fermata, vedile coincidenze, è quella di un poliziotto, che non capisce nulla e, infatti, non fa nulla. Per prima cosa i quattro compagni colpiscono l’Alfetta della scorta, poi con una raffica il maresciallo Leonardi che è nella macchina con Moro. L’autista dell’Alfetta, colpito, lascia andare la frizione, la macchina fa’ un salto avanti e tampona la 130 di Moro che ha sua volta tampona la mia. Avevamo previsto di abbandonare la 128 sul posto, e io sarei sceso a per andare a rafforzare la posizione di Barbara. Ma a questo punto succede l’imprevisto di bloccano sia i mitra di Morucci, sia quello di Bonisoli. Uno dei poliziotti dell’Alfetta riesce a scendere dalla macchina impugna una pistola, Bonisoli lascia andare il mitra, tira fuori la pistola sua spara e lo colpisce. Credo che nemmeno lui sappia come ha fatto a sparare con tanta precisione, certo se non ci fosse riuscito in Via Fani avremmo lasciato anche qualcuno dei nostri. E io son costretto a rimanere in macchina con il freno premuto perché l’autista di Moro, che non è stato colpito, cerca di togliere la 130 dall’incastro formato per il doppio tamponamento, in quegli attimi Morucci sostituisce il caricatore al suo mitra inceppato, spara una seconda raffica e riesce a colpirlo. Pochi secondi e la sparatoria è finita, la scorta neutralizzata. Quella scena non la scorderemo più Prospero Gallinari: dal libro Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle BR 2006 Siamo in azione. Non c'è più ritorno, non c'è più spazio per il dubbio, e ti accorgi che le decine, centinaia di volte in cui hai pensato e discusso i movimenti e le varianti possibili della sequenza delle azioni, hanno creato in te una dimestichezza con l'ambiente, con i gesti, con le ipotesi immaginate, che ti fanno muovere come un orologio. La situazione è come prevista, il movimento è quello studiato dozzine di mattine. L'unico assente è il fioraio abitualmente piazzato nella via, che sarà incavolato come una iena davanti alle quattro gomme squarciate del suo furgone. Non può immaginare che i teppisti autori del gratuito sfregio abbiano ritenuto più conveniente fargli spendere soldi per le gomme nuove, che obbligarlo a trovarsi sulla linea di fuoco di quattro mitra che sparano a raffica. Ora è l'attesa, quella di un movimento, di un mazzo di fiori in fondo alla via che segnali l'arrivo di una macchina seguita da altre. In quei momenti la testa è troppo impegnata, fissata sulla sequenza dei movimenti, perché possa essere attraversata da valutazioni, da pensieri di ogni genere. I fiori si muovono, ci mettiamo in posizione di scatto, la strada è libera, vediamo sullo sfondo le macchine e cominciamo a uscire». È un attimo, un tempo non valutabile, e partono le raffiche. Quello che temevo accade: a metà della raffica il mitra si inceppa, estraggo istintivamente la pistola che porto alla cintura continuando a sparare come se non fosse cambiato nulla. Quelle povere persone, il nemico che mi trovo di fronte, lo vedo ma in realtà non lo vedo, il movimento è automatico. Accertare che non possano reagire e passare alla seconda fase è tutt'uno: Moro sembra illeso, si tratta di accompagnarlo alla macchina e cominciare la ritirata. Il tempo, il luogo, sembrano fermi. Usciamo da via Fani e la vita pare tornare alla normalità, il traffico per le strade è quello di sempre. Incrociamo una macchina della polizia che viene in senso contrario a sirene spiegate con la paletta di fuori. Sicuramente è partito l'allarme, ma loro stanno andando in via Fani, noi invece stiamo venendo via. Raffaele Fiore: dal libro “L'ultimo brigatista” di Aldo Grandi 2007 Mi svegliai verso le sette e feci colazione - racconta Raffaele Fiore - mi vennero a prendere intorno alle otto. Avevo indossato una camicia bianca, un paio di pantaloni blu e un maglione dello stesso colore. Una volta in zona mi infilai l'impermeabile con le mostrine e, sotto, nascosi il mitra. Con l'auto scendemmo nella zona di via Stresa: io in compagnia di Mo-rucci e Bonisoli con Prospero. Lentamente, a due a due, ci avvicinammo a via Fani dove giungemmo poco prima delle nove. Era una giornata normale, non eccessivamente calda, primaverile. Ricordo una grossa tensione. Mi prefiguravo quanto stava per accadere e come avrei dovuto comportarmi. Ero concentratissimo. Non ci furono grandi scambi di parole. Tutti sapevamo già quello che dovevamo fare. Ci guardavamo intorno per vedere eventuali stranezze. Ci posammo in due su un angolo del bar facendo finta di chiacchierare e gli altri poco distanti. Lo sguardo era fisso su via Fani. Improvvisamente scorgemmo l'auto di Mario e ci preparammo. La Fiat 128 bianca arrivò all'incrocio con via Stresa e Moretti frenò. Le due macchine che seguivano, la Fiat 130 di Moro e l'auto di scorta, si fermarono. Io e gli altri tirammo fuori i mitra e avanzammo verso il centro della strada iniziando a sparare. Ricordo che premetti il grilletto e il mio mitra, un M12, che avrebbe dovuto essere il migliore, si inceppò subito. Io avevo il compito di sparare sull'autista. L'auto dietro, venendo colpiti gli agenti della scorta, tamponò la vettura di Moro. Domenico Ricci, che non era stato ancora colpito, cercò di liberarsi. Tentò di fare tre o quattro manovre, avanti e indietro, a sinistra e a destra. Lo ricordo bene perché fu una scena drammatica. Moro si era abbassato sul sedile posteriore. Io tolsi il caricatore del mitra, ne misi un altro, ma non funzionò egualmente. Valerio riuscì di nuovo a sparare e a colpire Ricci e l'auto si fermò completamente. Fu una frazione di secondo, io ero tutto teso a condurre in porto l'obiettivo. Mi rimase l'immagine del Ricci che cercava in tutti i modi di uscire e che, invece, pochi secondi dopo fu colpito e si accasciò sul volante. Vedere questa persona morire mi lasciò esterrefatto. L'unico che in quel momento, infatti, si muoveva sull'auto e su cui avevo gli occhi puntati era proprio l'autista, il Ricci. Io avevo il compito di sparare su di lui, mentre Valerio sul maresciallo Leonardi. Morucci era davanti e avrebbe sparato attraverso il parabrezza. Ora sarebbe folle dire di essere rimasti sconcertati. Sapevamo benissimo quello che avremmo dovuto fare quella mattina. Eravamo determinati e quello che dovevamo fare andava fatto. Sapevamo che dovevamo ammazzare delle persone e che l'operazione non contemplava né prigionieri né feriti. Essa prevedeva l'annientamento della scorta. Il rischio era che potesse essere colpito Moro, se lo fosse stato, amen. Noi, però, dovevamo evitare di prenderlo. Nella logica politica non avemmo dubbi. Ci sono, quando scegli una strada come quella che avevamo scelto noi, delle rotture ulteriori che da un lato ti massacrano, ma che dall'altro ti consentono di superare i limiti costruiti socialmente. Non è che ti scopri assassino dall'oggi al domani, ma è un percorso politico e di rottura che fai sulle tue convinzioni. «Appena finita la sparatoria - continua Fiore - corremmo immediatamente a prendere il presidente per vedere se era morto o se era vivo. Aprii la portiera posteriore sinistra: non gli dissi niente. Bruno Seghetti, che era al volante dell'auto su cui dovevamo far salire Moro, si avvicinò. Il presidente stava giù sul sedile posteriore, con il cappotto scuro, silenzioso. Lo afferrai per un braccio e lo tirai fuori. Era scioccato, non fece alcun tipo di resistenza e venne fuori con le sue gambe. Io lo caricai sulla Fiat 132 che guidava Seghetti dopodiché mi sedetti accanto a Moro. Abbassammo il presidente e partimmo. Un'altra auto ci veniva dietro. Dentro di me avevo un travaglio incredibile, sentivamo le sirene, incrociammo un'auto della polizia a sirene spiegate che veniva in senso contrario. Tutto si svolse come previsto. Imboccammo via della Camilluccia e, a un certo punto, sulla destra, c'era una strada secondaria sulla quale, una volta imboccata, trovammo la catena che permetteva l'accesso a una stradina privata. Qualcuno usò le tronchesine per tagliarla e le due auto passarono. Arrivammo più o meno in uno slargo, dove c'era un parcheggio e dove attendeva il furgone con la cassa. Moro non disse nemmeno una parola lungo tutto il tragitto. Forse non si rendeva conto nemmeno di ciò che stava succedendo. Fermata l'auto, lo facemmo scendere e salire sul furgone dove si trovava la cassa. Una volta consegnatolo agli altri, Prospero Gallinari, Valerio Morucci e Mario Moretti, io, Bonisoli e la Balzerani ce ne andammo a piedi con solo le nostre pistole. Non ci furono commenti tra noi, se non il fatti che io, avendo avuto il mitra inceppato, mi sentivo di non aver portato a termine il lavoro nel migliore dei modi. Il fatto che, però, tutto fosse andato bene, fece passare in secondo piano questa mia preoccupazione. Io avevo una Browning Hp. I mitra li avevamo lasciati sulla Fiat 132. Arrivammo fino alla fermata dell'autobus dove ci salutammo con Barbara. Io e Franco andammo direttamente alla stazione Termini dove prendemmo il treno per Milano. Qui, salii sul treno per Torino. Durante il ritorno non ricevemmo alcun tipò di notizie, per cui, ogni tanto, guardavamo con più attenzione le facce della gente che saliva perché avevamo sentito da qualcuno, in ogni fermata, dei commenti su quello che era successo a Roma. Cercavamo di capire se c'erano stati dei problemi visto che, avendo lasciato tutto al momento del passaggio di Moro sul furgone, niente di più avevamo appreso. Solo la sera, una volta a casa, a Torino, accesi la televisione e seguii le varie edizioni del telegiornale. Il viaggio era stato, per me, una sorta di valvola di scarico, nel senso che cercai di rilassarmi, di ritrovare un minimo di equilibrio dopo la tensione vissuta. Con Franco ci scambiavamo delle impressioni e ci ponevamo delle domande su ciò che sarebbe accaduto, con spirito "positivo", essendo riusciti a portare a termine l'azione che volevamo fare.» Qualcuno, tra i testimoni di quella tragedia, ha raccontato che in via Fani c'erano anche due uomini su una motocicletta di grossa cilindrata uno dei quali sparò una raffica di mitra. Valerio Morucci ha sempre negato che le Br abbiano usato moto nelle loro operazioni. Durante le riunioni in preparazione del sequestro - racconta ancora Fiore - mai prendemmo in considerazione l'utilizzo di una moto. Non so nemmeno, del resto, se ci sarebbe stato qualcuno in grado di guidarla e, poi, a che cosa ci sarebbe dovuta servire?