Le nuove pistole TASER: tra ammodernamento

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Le nuove pistole TASER: tra ammodernamento
Le nuove pistole TASER: tra ammodernamento tecnologico e militarizzazione delle forze
dell’ordine.
Articolo di Giusy CASAMASSIMA
Con il termine TASER si indica una particolare tipologia di arma, caratterizzata da un sistema di
mira laser, comunemente definita pistola elettrica. Trattasi di uno strumento in grado di “sparare”
scariche elettriche: al momento dello “sparo” la pistola rilascia due freccette (non parallele)
collegate ad essa da sottilissimi fili elettrici, i quali, una volta colpito l’obiettivo, rilasciano una
scarica elettrica a impulsi ad alto volteraggio (50 mila volt) ma a basso amperaggio (6 milliampere).
Per poter funzionare correttamente, ovviamente, i due dardi devono centrare entrambi il soggetto.
Depositato dalla società americana TASER International, il marchio TASER è l’acronimo di
Thomas A. Swift’s Electronic Rifle, dove Thom Swift è il nome del protagonista di una serie
americana di romanzi per ragazzi pubblicata dal 1910.
I primi progetti di tale peculiare strumento di offesa risalgono al 1969 ad opera dell’inventore Jack
Cover, sebbene per i primi prototipi e per la commercializzazione degli stessi si è dovuta attendere
la fine degli anni 90.
I primi ad utilizzare tale arma sono stati senza dubbio gli Stati Uniti che, come innanzi detto, ne
sono la patria. Successivamente, la TASER è entrata in dotazione alle forze di polizia di
numerosissimi Paesi (circa 107) tra i quali è dato individuare il Canada, il Brasile e l’Australia. In
Europa, invece, lo strumento è stato adottato dalle forze dell’ordine francesi, finlandesi, tedesche,
inglesi, greche e ceche.
Con riguardo al nostro ordinamento, l’introduzione della pistola elettrica è stata di recente inserita
all’interno di un più ampio pacchetto di disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di
illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive e di riconoscimento della protezione
internazionale. Più nel dettaglio nel cosiddetto Decreto stadi (D.l. 119/2014), in questi giorni al
vaglio delle Commissioni Parlamentari, è presente un emendamento, proposto dal deputato
Gregorio Fontana, mirante ad avviare l’utilizzo di tali armi.
A parere del proponente “la pistola elettrica TASER contribuisce a ridurre i rischi per l’incolumità
personale degli agenti e allo stesso tempo a ridimensionare drasticamente il numero delle vittime
nelle operazioni di pubblica sicurezza, come dimostra l’esperienza dei differenti Paesi nei quali
tale arma è già in dotazione”.
Quanto affermato si fonda sulla considerazione per cui la pistola in oggetto, grazie all’uso della
corrente elettrica, consente meramente di immobilizzare per alcuni secondi la persona colpita, che
può, così, essere facilmente arrestata.
Ad abundantiam si è evidenziato il risparmio di spesa che potrebbe derivare dal concreto utilizzo di
tali armi, posto che le stesse hanno un costo senz’altro più circoscritto rispetto alle ordinarie armi da
fuoco in dotazione dei corpi di polizia.
La versione definitiva dell’emendamento, giunta al vaglio delle Commissioni parlamentari, è stata,
invero, riformulata dal viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, a tal fine prevedendosi un utilizzo
in via meramente sperimentale dell’arma, attraverso un protocollo di intesa con il Ministero della
salute.
Più nel dettaglio, la nuova formulazione prevede che la sperimentazione della pistola TASER debba
avvenire con le necessarie cautele per la salute e l’incolumità pubblica, nel rispetto del principio di
precauzione.
La proposta ha incontrato il supporto del Sindacato Italiano Unitario Lavoratori di Polizia (SIULP)
e del Sindacato Autonomo di Polizia (SAP), i quali hanno sottolineato come la TASER debba
essere opportunamente inserita tra gli strumenti di cui dispongono le forze dell’ordine, le armi già a
disposizione risultando palesemente insufficienti a fronteggiare le problematiche connesse
all’ordine pubblico o, al contrario, in alcuni casi eccessive. Soddisfazione è stata altresì espressa dal
Segretario Nazionale dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP).
Ricostruite le posizioni favorevoli all’inserimento della pistola laser nel nostro ordinamento,
occorre soffermarsi con maggiore attenzione sul profilo giuridico della legittimità di strumenti di
difese/offesa di tal fatta.
Al riguardo doverosa appare una panoramica sulla normativa italiana in materia di armi.
Le principali disposizioni legislative in tema sono: il Testo Unico delle Leggi di pubblica sicurezza
(R.D. 18 giugno 1931 n. 773); la Legge del 2 ottobre 1967 n. 895 prevedente le disposizioni per il
controllo delle armi; la Legge 18 aprile 1975 n. 110 disciplinante le norme integrative della
disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi; la Legge 9 luglio
1990 n. 185 relativa alle nuove norme sul controllo della esportazione, importazione e transito dei
materiali di armamento.
A completare il quadro, poi, si inseriscono numerose leggi di recepimento di disposizioni
comunitarie, tra le quali meritano senz’altro menzione il D.lgs 30 dicembre 1992 n. 527 e il D.lgs
26 ottobre 2010 n. 204.
La lettura sistematica di tali prescrizioni normative porta in primo luogo ad affermare che
nell’ordinamento interno non esiste né una definizione né tantomeno una classificazione generica di
arma, tale concetto dovendosi ricostruire attraverso un’analisi “d’insieme” delle differenti
disposizioni. In particolare l’art. 30 del TULPS prevede che per armi si intendono quelle proprie,
cioè quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; le bombe;
qualsiasi macchina o involucro contenenti materie esplodenti; i gas asfissianti o accecanti.
Gli artt. 1 e 2 della Legge 110/1975, invece, suddividono, e allo stesso tempo qualificano, le armi
nelle seguenti categorie: armi da guerra e armi di tipo di guerra (art. 1), armi e munizioni comuni da
sparo (art. 2).
Il tentativo di fornire una definizione di armi è chiuso dall’art. 1 bis del D.lgs 527/1992, come
introdotto dal D.lgs 204/2010, il quale definisce espressamente, alla luce del quadro sovranazionale,
il concetto di arma da fuoco.
Per completezza va, poi, aggiunto che la detenzione e l’uso delle armi da parte dei cittadini sono
regolati per legge. In particolare la detenzione e il porto di un’arma sono consentiti previo rilascio
di apposite licenze.
La licenza di porto è obbligatoria sempre e comunque nei casi di porto o di trasporto dell’arma,
anche per il mero esercizio della caccia o di attività sportive.
Differente rispetto a tale licenza è la richiesta di un mero nulla osta (all’ufficio di pubblica sicurezza
competente) diretto all’acquisto di armi e munizioni. Tale provvedimento consente, dunque, il
semplice acquisto di armerie e autorizza, altresì, i privati che ne sono destinatari a trasportare l’arma
acquistata fino al luogo di detenzione. Obbligatoria è poi la denuncia all’Autorità che ha rilasciato il
nulla osta dell’arma in concreto acquistata.
A fronte del quadro normativo appena esposto deve concludersi che la pistola TASER, nonostante
sia nata oltreoceano quale “arma di dissuasione non letale”, nel nostro ordinamento non può che
qualificarsi in termini di arma propria. Sebbene il legislatore non faccia esplicito riferimento a tali
strumenti di offesa, infatti, non può revocarsi in dubbio la riconducibilità degli stessi tra le armi la
cui destinazione naturale è l’offesa alla persona (art. 30 TULPS).
In realtà, ad onor del vero, occorre aggiungere che il silenzio legislativo evidenziato in tema di
qualificazione giuridica della TASER sembra essere stato colmato dall’art. 5 del D.lgs 204/2010.
Quest’ultimo, nel modificare l’art. 4 comma 1 della Legge 110/1975, ha espressamente inserito “gli
storditori elettrici e gli altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione” tra gli
strumenti atti ad offendere, per i quali è obbligatorio il porto d’armi.
Tanto premesso in ordine alla legittimità delle pistole elettriche, a fronte del su esposto quadro
normativo interno, restano da analizzare talune problematiche connesse all’uso di tali sistemi di
elettroshock.
In prima battuta, infatti, numerosi appaiono dubbi legati alla pericolosità per la salute. Ci si chiede,
in sostanza, se l’utilizzo della tecnologia laser, certamente più garantista del diritto all’incolumità
personale, non finisca nella pratica per sfociare in un’ altrettanto grave lesione del diritto alla salute.
I dati forniti da Amnesty International, infatti, dimostrano che la tecnologia TASER non è del tutto
innocua: dal 2001 (anno nel quale tale strumento è stato introdotto negli USA) ad oggi sono circa
800 le persone morte a seguito dell’utilizzo della TASER. L’Organizzazione, inoltre, afferma che
gli studi medici sull’utilizzo di tale arma, già da alcuni anni avviato all’interno di numerosi Paesi,
dimostrano come tale strumento può condurre alla perdita della vita o a gravissime conseguenze nei
casi in cui i soggetti colpiti siano affetti da disturbi cardiaci, o versino in particolari stati di
alterazione emotiva (si pensi ai tossicodipendenti e agli alcolizzati), o, ancora, siano sottosforzo (il
riferimento è a persone colpite a seguito di una colluttazione o di una corsa).
Evidente, dunque, il delicato problema di bilanciamento di interessi che il legislatore è chiamato a
risolvere. Se da un lato, infatti, egli risulta quasi obbligato - dal diffuso “uso internazionale” e da
una concreta percentuale di vittime derivanti dall’uso di tale sistema sensibilmente minore rispetto
alle normali armi da fuoco - ad adottare la pistola TASER nel nostro ordinamento, dall’altro lo
stesso non può del tutto ignorare gli allarmanti dati derivanti dalla Comunità scientifica attestanti la
lesività che in concreto tale strumento è in grado di produrre.
La concretezza del problema prende corpo se solo si considera che un’arma “apparentemente non
letale” ammetterebbe un uso meno vincolato e protocollato della stessa. In sostanza sembra logico
supporre che si possa fare un uso maggiore di tale strumento, certi dell’idoneità dello stesso di
ridurre drasticamente il numero delle vittime e allo stesso tempo tutelare la propria incolumità.
In un simile contesto, tuttavia, sarebbe iniquo attribuire alle forze dell’ordine la responsabilità nel
non prevedere in concreto i casi in cui uno strumento innocuo può diventare letale, data l’oggettiva
difficoltà di individuare situazioni quali pregressa patologia cardiaca della vittima, o stato di
tossicodipendenza della stessa.
Ed allora, la soluzione mediana sembrerebbe quella di introdurre il sistema TASER supportandolo
con un rigido protocollo di utilizzo.
Strettamente connessa alla questione innanzi esposta appare quella legata alla possibilità di
qualificare lo strumento in oggetto quale vera e propria “arma di tortura”.
A tal proposito occorre premettere che con il termine tortura si intende quel dolore e/o quella
sofferenza posti in essere da membri dell’apparato statale al fine ultimo di provocare dolore e gravi
sofferenze alla vittima.
Non essendo questa la sede opportuna per approfondire il tema dell’introduzione nell’ordinamento
penale italiano dell’autonoma figura del reato di tortura, preme, tuttavia, ribadire che il concetto di
tortura sia un concetto pacificamente e necessariamente respinto da ogni ordinamento nazionale,
atteso il chiaro dato normativo apportato dall’art. 3 CEDU, lapidale nel prevedere che “nessuno può
essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Ciò premesso, evidenti appaiono le perplessità di quanti denunciano la possibilità che un uso
distorto della pistola elettrica possa condurre a delle pratiche disumane. Detto altrimenti le
preoccupazioni si sostanziano nella possibilità che l’applicazione del sistema TASER si traduca in
una legittimazione di quelle modalità operative che si allontanano pericolosamente dalla funzione
pubblica cui dovrebbero tendere, al contrario avvicinandosi in un mero abuso di potere.
Sul punto rileva la considerazione dello Stato portoghese del novembre 2007 che ha equiparato
l’uso della TASER ad una vera a propria forma di tortura, conseguentemente sconsigliandone
l’acquisizione da parte delle forze dell’ordine nazionali.
La Corte EDU, inoltre, con la recentissima pronuncia del 30 settembre 2014, ha condannato la
Bulgaria per aver violato l’art. 3 della CEDU che, che innanzi detto, proibisce la tortura, ritenendo
che la polizia abbia abusato di armi elettroshock nel corso di una perquisizione ad un’azienda
sospettata di impiegare software illegali.
Negli stessi termini anche taluni commentatori italiani fortemente contrari alla reale introduzione
nel nostro Paese di un’arma di tal fatta. A sostegno si è rilevato che in Italia, non essendo stato
ancora introdotto il reato di tortura, l’eventuale abuso di tali strumenti non sarebbe perseguibile.
Per scongiurare situazioni di questo tipo, invero, la su citata ANFP ha proposto di impiegare, già
nella fase sperimentale, pistole TASER che dispongono di un sistema di video registrazione
connesse automaticamente al loro uso - come avviene già in alcuni Stati - così permettendo un
costante controllo dell’utilizzo stesso.
Ecco, allora, che la problematica in oggetto sembra intrecciarsi a filo doppio con la tutela della
privacy.
Invero, nessuno scontro pare esserci con il diritto alla riservatezza, posto che lo stesso Garante della
Privacy ha di recente espresso parere positivo rispetto all’uso di piccole telecamere (actioncam)
indossabili nel corso di manifestazioni pubbliche da appuntare alle divise delle forze dell’ordine, sia
pure vincolando l’uso di tali telecamere nei soli casi di estrema necessità, in occasione di
manifestazioni pubbliche, ossia nel caso di insorgenza di concrete e reali situazioni di pericolo per il
turbamento dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Il Garante, inoltre, ha affermato che il sistema in oggetto deve pur sempre essere sottoposto al
rispetto dei principi del Codice della Privacy sul trattamento dei dati personali: al riguardo, dunque,
le immagini riprese dovranno essere pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono
state raccolte; esse, inoltre, dovranno essere conservate per un periodo di tempo limitato e, infine,
nel caso siano state effettuate riprese in occasione di pericolo presunto, in concreto non verificatosi,
dovrà essere disposta la loro tempestiva cancellazione.