L`ombra di Artemisia

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L`ombra di Artemisia
romanzo Marsilio
Maurizio Cohen
L’ombra di Artemisia
Estratto della pubblicazione
Jenny, giovane attrice alla sua prima esperienza
come protagonista, sta girando un film sulla vita
della pittrice Artemisia Gentileschi che, all’inizio
del ’600, in una Roma ricca di straordinari
fermenti culturali e allo stesso tempo soggetta
alle dure regole dell’Inquisizione, fu violentata
da un amico del padre, Agostino Tassi, suo
insegnante di pittura.
Durante le riprese, la sera dell’8 marzo, Festa
della Donna, anche Jenny, tornando a casa,
in un vicolo dietro Piazza Navona, viene aggredita
e violentata da tre giovani della Roma “bene”,
comunque colti sul fatto e arrestati.
La donna, ancora sotto shock, si ritrova
nella paradossale situazione di dover affrontare
due processi: la mattina in tribunale quello
per direttissima per lo stupro vissuto sulla sua
pelle e il pomeriggio quello di Artemisia
riprodotto sul set.
Così, poco alla volta il personaggio della pittrice
diventa per Jenny una sorta di ossessione, e le due
donne, superando - attraverso le pagine di una
sceneggiatura - qualsiasi vincolo temporale,
instaurano un rapporto, ricco di emozioni
e complicità ma anche di forti incomprensioni,
che finisce per minacciare la stabilità psicologica
della già fragile Jenny.
Ma la realtà non si ferma, e mentre nel cuore
e nella testa dell’attrice si consuma il dolore
di una ferita insanabile, gli spettacoli - il film,
il processo e la volgare bagarre mediatica
che si tira dietro - devono continuare.
Il nuovo romanzo di Maurizio Cohen
è un intenso racconto sulla violenza e la fragilità
umana, in cui le vicende degli abusi subiti
da due donne si sovrappongono e si riflettono
l’una nell’altra per dimostrare che nel corso
della Storia e dell’umanità nulla cambia e tutto
si ripete: Jenny e Artemisia, non possono
che restare vittime dei costumi e delle distorsioni
dei propri tempi.
Estratto della pubblicazione
maurizio cohen vive e lavora a Roma. Scrittore
e sceneggiatore, è esperto di arte orientale.
Ha scritto di arte e di viaggi per diverse riviste
specializzate. È autore dei romanzi La gabbia
(Marsilio 1988) e Novanta (Mondadori 1990).
Estratto della pubblicazione
ROMANZI E RACCONTI
Maurizio Cohen
L’ombra di Artemisia
Marsilio
Estratto della pubblicazione
© 2012 by Marsilio Editori® s.p.a. in Venezia
Prima edizione digitale: 2012
ISBN 978-88-317-3401-1
www.marsilioeditori.it
[email protected]
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata
Estratto della pubblicazione
L’OMBRA DI ARTEMISIA
Estratto della pubblicazione
Call me but love, and I’ll be new baptis’d.
Henceforth I never will be Romeo.
WILLIAM SHAKESPEARE (1609)
Woman, I know you understand the little child
inside the man, please remember
my life is in your hands.
JOHN LENNON (1980)
Estratto della pubblicazione
1.
Qualche volta aveva anche goduto aspettando l’onda
salirle a spirale lungo la schiena. L’aveva vista infrangersi
su una delle spiagge del cervello, nell’angolo più lontano
della coscienza, protetta da una barriera impenetrabile di
sensi di colpa e di schiuma frizzante. Era così che avrebbe
dipinto un orgasmo. Aveva goduto più di una volta, certo,
e sempre più spesso riemergeva da quella schiuma col de­
siderio di immergersi di nuovo nel piacere.
L’anello freddo e squadrato dell’uomo vestito di nero la
graffiò riportandola alla realtà: non doveva pensare a nulla
che potesse offrire a chi le stava davanti la sensazione del
piacere, col tempo aveva acquisito la consapevolezza che
non avrebbe mai più permesso a qualcuno di profanare la
sua spiaggia. Il desiderio rimaneva protetto, dove quel
dito che le rovistava tra le cosce, come un cane in una tana
troppo profonda, non poteva arrivare.
Più giù, la sua spiaggia era più giù, accessibile solo a
respiri e ricordi, infiniti e soffici come granelli di sabbia
bianca. Da un po’ di tempo, il corpo, al contrario dei
respiri e dei ricordi, aveva accettato le regole: godere non
era altro che un raffinato espediente per accelerare la
fine del rito che aveva termine con le grida più o meno
trattenute e la morsa ferrea sui seni o sui fianchi di chi la
penetrava.
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Estratto della pubblicazione
Ogni volta, ormai, dopo cinque minuti non ricordava
più se aveva simulato o se, almeno per un attimo, si era
sentita amata, desiderata; se quell’ago di carne fosse stato
se non uno strumento d’amore, almeno di piacere. Avreb­
be voluto sapere se fosse stato così per tutte o se col tem­
po, solo lei, fosse diventata più furba e raffinata.
Basta, non doveva più pensare, non doveva più rischia­
re. Affogò in pensieri meno pericolosi trattenendo il respi­
ro, si sforzò di ritrovare la percezione della realtà e tramite
questa di mostrare al mondo la sua anima di animale offe­
so e ferito. Solo così ormai si riconosceva. E si difendeva.
Si voltò verso suo padre che a testa china le risparmiava
il peso del dolore sulle pieghe del ventre. Orazio sudava,
lanciava occhiate velate contro la fila di soldati e notabili
che lentamente avanzava verso sua figlia, assediandola, in
punta di piedi.
L’uomo vestito di nero si asciugò la mano e il sudore
delle tempie, la fissò negli occhi, girò lentamente intorno
al tavolo su cui era distesa, come una volpe di fronte a un
pollaio. I suoi passi, rimbalzando da parete a parete, nel
silenzio assoluto, preparavano una risposta, la risposta.
Con un gesto che sembrò istintivo, a difesa estrema del­
la propria dignità, la ragazza sollevò un ciuffo di capelli
dalle spalle coprendosi il volto. L’uomo, anziché parlare,
prolungò la pausa per accertarsi che gli occhi del pubblico
fossero tutti concentrati su di sé. Le scostò i capelli dal
viso, cercando la confessione nel profilo velato della ver­
gogna. Si piegò sui seni, respirò l’odore acre che ha un
corpo quando ha paura, scrutò le areole così da vicino da
far pensare a un bacio. Contrasse le labbra come di fronte
a un cibo acido, andato a male. Con due dita strinse un
capezzolo con forza, allungandolo verso l’alto e lasciando­
lo andare di colpo, come la corda di una fionda. Un gesto
istintivo, una manifestazione di potere gratuita e volgare
che non mancò di eccitare il pubblico e lui stesso.
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Estratto della pubblicazione
La ragazza s’inarcò sul bacino sollevando i fianchi per
accompagnare il movimento, si morse le labbra, strizzò gli
occhi. L’uomo avvicinò le dita all’altro capezzolo, la donna
si risollevò su se stessa accentuando lo sforzo e anticipan­
do il dolore. Non la toccò. Qualcuno rise, il pipistrello
sorrise.
Un secondo uomo, più giovane, ma dall’aria più severa,
sempre vestito di nero ma con un largo colletto bianco
sulle spalle, le si appoggiò con il gomito sullo stomaco con
un gesto brusco, da lottatore. Non trattenne i gemiti, al­
lungò una mano verso Orazio, che, forzando un precario
equilibrio sulle caviglie, non riuscì a trovare il coraggio per
ricordarsi che quella era sua figlia. Solo ora si rese conto
che parte delle smorfie sadiche che inondavano la sala era­
no rivolte a lui.
La donna fece correre lo sguardo sui volti in prima fila,
mise a fuoco il dorso della mano di una guardia che si
strofinava i genitali. Sentì nuovamente due dita forzare la
serratura della sua anima. Rilassò il muscolo che aveva con­
tratto istintivamente e respirò la certezza che non avrebbe
corso il pericolo di poco prima: le nuove vibrazioni non
provenivano dal suo irraggiungibile nascondiglio, né dagli
sforzi che continuava a sostenere per difenderlo. Era pian­
to, semplicemente pianto. Il più feroce dei significati che il
pianto può avere. E mentre si piange, lo sapeva bene, non
si può godere. In quel momento scoprì che le lacrime po­
tevano uscire non solo dagli occhi ma anche dalle viscere;
le sentiva dense e affilate, aspre e spietate. Piangeva per
quelle dita profane, odiava quell’anello, ruvido lasciapas­
sare per il suo corpo e per la sua vita eterna.
Odiava, piangendo, quelle unghie sporche e quel pote­
re che non provavano pietà. Odiava quello strumento di
metallo che la penetrava con una finta delega divina, og­
getto di scienza e giustizia che le rubava calore. Odiava
quegli uomini che bisbigliavano sottovoce ciò che gesti
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e sguardi già avevano consacrato nel giudizio: puttana.
Odiava, pregando e rifugiandosi nel cielo dipinto sul sof­
fitto, le nuvole nere che offuscavano stelle stanche sulle
quali un condottiero alato riposava mentre la sua spada
sacra grondava sangue livido e nemico. Odiava gli eserciti
che qualche metro più in là attendevano aspettando un
segno per riprendere la guerra. Odiava i fuochi che rende­
vano la notte simile all’inferno e di proprietà dei forti;
odiava quel recinto di prigionieri che aspettavano la morte
senza ribellarsi. E odiava se stessa perché un attimo prima
della fine fu sicura che anche le lacrime potevano essere
fraintese. Lacrime sporche, di puttana. Migliaia di soldati
sul soffitto, dipinti morti già prima di morire e nessuno
che la degnasse di uno sguardo, che la invitasse a fuggire
in terra santa.
«Va bene» disse l’uomo vestito di nero mostrandosi di­
sinteressato al verdetto del medico. «È sufficiente.»
L’altro accennò un sì e le tirò giù la veste arrotolata so­
pra i fianchi con un gesto brusco, senza guardarla negli
occhi.
«Come già hanno affermato le due levatrici incaricate
da questo tribunale, confermo che non è vergine. Il velo
vaginale è rotto, e questo è accaduto da tempo» affermò
rivolto verso la corte. Raccolse gli strumenti sul bordo del
tavolo, li infilò in una bacinella fumante e, infine, li avvolse
in un panno di lino profumato. Si asciugò le mani e, dopo
un inchino ossequioso verso il legato papale, uscì dalla
sala. Nessuno, nemmeno Orazio, per disinteresse o per
pena, trovò il coraggio di avvicinarsi all’animale ferito.
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2.
Davanti allo specchio Jenny tentò di vincere la resisten­
za di un quintale di lacca che per tutto il giorno, nonostan­
te il caldo e il lavoro estenuante, non aveva fatto cedere
nemmeno uno dei lunghi boccoli. Solo qualche ciuffo di
capelli era tornato nel suo secolo e gli scendeva lucido sul­
le spalle. Girò a vuoto la manopola dell’aria condizionata
bloccata a fondo corsa, riprese a spazzolarsi. Bussarono.
«Siamo noi, apri.»
Jenny sbuffò, fece per allacciarsi la camicia jeans ma
rinunciò. Aprì la porta del camper, entrarono due uomini
senza accennare un saluto. Jenny riprese la sua lotta con
ciocche di capelli che si opponevano alla legge di gravità.
Il primo la scrutò da dietro, seguendo la linea regolare
della calza nera, su fino agli slip. Si chinò a sistemargliela
in modo ruffiano.
«Molto bene, Jenny, è andata bene, molto meglio di ieri
e dell’altro ieri. Sono soddisfatto e lo sono anche gli altri.
L’importante è rispettare il piano di lavorazione e siamo
addirittura in anticipo. Avevi ragione Alain» disse rivol­
gendosi all’altro, «mi aspettavo peggio, lo ammetto.»
Guardò Jenny con aria di manifesta superiorità. «Oggi sei
stata istintiva, cinica quanto serve.»
Jenny storcendo le labbra evitò di rispondere alla più
banale delle frasi.
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Estratto della pubblicazione
«Non avevo dubbi, Giorgio, te l’ho sempre detto. Ci sa
fare. Sa quello che vuole e come ottenerlo, ha capito che
per arrivare si deve fare qualche sacrificio» replicò Alain
arrotando un’erre transalpina.
Jenny si passò sul volto il latte detergente, eliminando
in un colpo solo una maschera di trucco impastato di finte
lacrime.
«Grazie, ma finiamola con i complimenti. Non state di­
cendo quello che pensate veramente. Neanche io sono sod­
disfatta.»
Giorgio fece una smorfia, si gettò sul divanetto, allungò
le gambe sul tavolino di fronte allo specchio davanti al
quale Jenny continuava a struccarsi. Il doppio petto gessa­
to trasudò potere. Giocò col bocchino tra le labbra, i suoi
occhi s’insinuarono attraverso lo specchio nella sottile stri­
scia di pelle che la camicia di Jenny lasciava intravedere tra
i seni.
«Sei ancora incazzata con Robert?» le chiese Alain ap­
poggiandosi alla finestra con le tendine abbassate, passan­
dosi da una mano all’altra una busta di cartone opaco.
«Non sopporto di essere anche solo guardata da quel
maiale. È più forte di me, non mi era mai capitato prima,
con nessuno. E se non fosse per voi, per gli altri e natural­
mente per me, l’avrei già mandato molto lontano da qui.
Non lo vedo da due giorni e sto male al solo pensiero di
dovermelo ritrovare di fronte per altre otto settimane.»
«Lo rispediresti a Los Angeles a nuoto, lo so. Sapevi
che stronzo fosse anche quando hai accettato» controbat­
té Giorgio compiendo col bocchino abili e complicate
acrobazie che solo chi comanda sa fare.
«No, semplicemente a fare in culo» rispose Jenny vol­
tandosi. «Ogni volta che si avvicina mi scoppia il fegato.
Lui lo sa e ci si diverte. È un verme. Questa notte mi ha
telefonato alle tre per chiedermi di andare a fargli compa­
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gnia» aggiunse accompagnando alle parole una smorfia di
profondo disgusto.
«Dai, Jenny» disse Alain, «è fatto così, è il suo modo di
fare. Sono gli incerti del mestiere. Sai quante sarebbero
disposte a firmare carte false per farselo?»
«Sono contenta per lui. Un motivo in più per non rom­
pere le palle a me.»
Giorgio sfilò il bocchino dalle labbra, lo lanciò in altre
evoluzioni tra le dita ingiallite dalla nicotina. Il suo tono
mostrava ammirazione per la grinta di Jenny.
«Ho sentito dire cose del genere solo da donne che
amavano e non volevano ammetterlo» disse Giorgio aspet­
tando invano la risata di Alain. «Lo sai che il tuo uomo di
merda solo perché ha vinto quindici anni fa un oscar
come migliore attore non protagonista mi costa più di tre
milioni di dollari?» Si alzò e, chinandosi, con un asciuga­
mano sfiorò le punte dei mocassini di vitello scamoscia­
to. Jenny prese la minigonna accanto ad Alain, la infilò,
raccolse l’asciugamano sbattendolo con un gesto di stiz­
za nel cestino.
«Pensa quanta merda avresti potuto comprarci» disse.
«Vi avviso, non so quanto riuscirò ancora a sopportarlo.»
Giorgio la colpì col palmo della mano sul sedere, guar­
dò il Rolex d’oro come se si fosse ricordato di un appunta­
mento improvviso.
«Andiamo» disse.
Alain si avvicinò a Jenny, le soffiò un bacio sulla fronte
mentre lei continuava a lottare con la chiusura lampo. E si
chinò per raccogliere una piccola scatola sul pavimento.
«Cazzo, la pillola» imprecò. «L’ho scordata un’altra
volta.»
Giorgio sorrise, si aggiustò il nodo della cravatta assu­
mendo un atteggiamento professionale. Per istinto prima
di parlare si toccò il portafoglio nella tasca interna della
giacca. Tirò per aria il bocchino che, dopo numerose evo­
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Estratto della pubblicazione
luzioni, cadde per terra. Si grattò il torace ripassando col
dito più volte sulle cifre rosse che aveva sulla camicia.
«Non rimanermi incinta, non te lo puoi permettere.
Una vera professionista sta attenta a queste cose. E po­
trebbe anche assomigliarmi!» le disse a mezza voce racco­
gliendo il bocchino.
Jenny attese un attimo per preparare la risposta e in­
goia­re la pillola. Giorgio la anticipò.
«Scusa, scusa, stavo scherzando.»
Alain aprì la porta invitando Giorgio a uscire. Scuoten­
do la testa, con un semplice occhiolino da dietro i rayban
fumé, confermò a Jenny la loro complicità e il giudizio
poco lusinghiero che entrambi avevano di Giorgio.
«Ti ho portato foto e negativi e scusa il ritardo» le disse
porgendole la busta.
«Tutte?»
Alain si alzò sulla punta dei piedi, sollevò un sopracci­
glio sperando di sembrare se non innocente, almeno di­
vertente.
«Ne ho tenuta una. Almeno una la merito e con dedica.»
Jenny sospirò, non era il momento migliore per chie­
dergliela.
«Va bene, va bene, come non detto» riprese Alain.
«Pensavo di meritarmela. Non voglio essere spedito laggiù
con Robert, te la riporto. Ci vediamo tra un’ora, riposati se
puoi.» Accompagnò una carezza fino alle labbra di Jenny.
Rimasta sola, Jenny si guardò nello specchio, gettò la
busta con le fotografie sul tavolino di formica. Ne scivolò
fuori una. Su un letto, completamente nuda, illuminata da
spot sapientemente disposti e su un lenzuolo di raso rosso,
c’era lei: la coscia verso l’obiettivo alzata, lo sguardo da
bambina maliziosa che inchioda il fotografo e due seni
piccoli, abbronzati, scolpiti su un torace proporzionato,
lucido di olio. In una mano impugnava una bottiglia di
champagne, nell’altra un ventaglio accostato malizioso alle
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Estratto della pubblicazione
labbra. Si congratulò con se stessa controllando una volta
ancora nello specchio il proprio volto struccato.
Rimase lì il tempo di una sigaretta ripensando a Robert,
a quanto non lo sopportasse, ad Alain chiedendosi se
avrebbe ancora esitato a lungo per ammettere a se stessa
quanto gli piacesse e soprattutto lo stimasse. Le dava sicu­
rezza senza essere invadente, sapeva tenere ben distinti
lavoro, sesso e sentimenti. Mai una volta le aveva rinfac­
ciato, nemmeno durante qualche discussione, di come si
fosse battuto con tutti per farle avere quel ruolo da prota­
gonista. Ripensò anche a Giorgio, che, ringraziando il cie­
lo, dopo una notte passata nella sua villa all’Argentario,
nel­l’il­lu­sione di riuscire a eccitarlo solo a parole, era rima­
sto rintanato con la cintura ben fissata ai pantaloni e un’e­
micrania così forte che gli aveva impedito qualsiasi pensie­
ro bastardo.
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Estratto della pubblicazione
3.
Artemisia era vestita come sempre: un vestito più largo
e più vecchio di lei, color crema, più scuro della sua pelle.
Sembrò impossibile che sotto quella stoffa grezza e dietro
quegli occhi si potessero nascondere le forme di una don­
na desiderata da molti e oltraggiata da tutti. Ed era sicu­
ramente questa la causa della sottile eccitazione che ser­
peggiava.
Ascoltava in silenzio i discorsi eruditi e improvvisati de­
gli avvocati e dei giudici, parole mascherate da offese di
cui capiva poco. Ogni frase le lacerava la pelle; senza gri­
dare si stringeva, ancora fragile e bambina, al braccio di
Orazio che i sensi di colpa avevano spinto a starle accanto.
Quello che più la tormentava non erano i doppi sensi ma
le menzogne devastanti. Le si spezzava il cuore nel render­
si conto che suo padre, quello stesso padre che aveva pian­
to per mesi, che come lei era stato offeso da voci terribili e
maligne, di fronte a quegli uomini invulnerabili che rap­
presentavano Dio e inventavano le leggi, la morale e la ve­
rità, era diventato di marmo. Non si piegava, non reagiva,
non implorava, rigido nella sua disperazione, impantanato
nella propria vergogna e non nel dolore di sua figlia. Ora­
zio, con il respiro affannato, profumava di finta fede e di
vapori di ghiaccio; non aveva più sangue. Era un artista
famoso e come tale poteva permettersi comportamenti
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Estratto della pubblicazione
che in altri non sarebbero stati nemmeno tollerati. Non
aveva ancora chiesto pietà, non aveva fino ad allora mai
cercato la compassione dei potenti che conosceva e fre­
quentava, elemento essenziale per ottenere giustizia, senti­
mento che un artista è più disposto a concedere che a ele­
mosinare. Riusciva a respingere le infamie che si abbatteva­
no su sua figlia, su di lui, sulla famiglia, sui loro avi, sulla
loro stessa arte, semplicemente con un gesto, un sospiro,
un battere di ciglia. Gesti banali, o forse inutili, che in quel­
la situazione apparivano uno sforzo enorme. Quello che lo
lacerava era il senso di colpa per aver introdotto il carnefice
di sua figlia nella loro casa. La sua libertà, come quella di
tutti, era solo apparente e chi lottava ogni giorno con la
propria creatività non poteva non rendersene conto.
Guardando suo padre e tutti quelli che affollavano la
sala, Artemisia si sentì libera, forte della propria debolezza
e si preparò con dignità a quello a cui sarebbe andata in­
contro da lì a poco.
Erano giorni che rifletteva su suo padre, non lo odiava
più come qualche tempo prima, la sofferenza in qualche
raro momento li aveva fatti ritrovare. Un contatto furtivo
in cui, non molto spesso in verità, le loro anime riuscivano
ancora a incontrarsi con qualche sguardo e parole leggere.
Le parole da tempo non servivano a nulla e non sarebbero
più servite a nulla, questo lo sapevano bene. Analizzare il
loro rapporto avvolgendolo in un intreccio di ricordi e
fantasie, di colpe e perdoni, nel bene e nel male era stata
fino a quel momento la medicina più efficace per assentar­
si durante le udienze.
Uno degli uomini neri si alzò in piedi, s’inchinò alla
corte. Artemisia si tirò su lungo lo schienale cercando un
contatto più stretto col padre che, invece, si intimorì di
fronte a un gesto appena accennato dell’uomo.
«Coraggio» le sussurrò Orazio allontanandosi, «ancora
qualche minuto e anche per oggi è finita.»
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Estratto della pubblicazione
L’uomo nero si fermò davanti ad Artemisia. Allargò le
braccia trasformandosi in pipistrello. Sistemò con cura le
ali di una delle infinite mantelle nere di quei giorni. Nera
come le mantelle degli ufficiali sul soffitto, nera come le
facce delle folle che occupavano da tempo i suoi sogni di
ragazza, nera come lo sfondo di quadri che nessuno avreb­
be più voluto vedere e che non avrebbe più voluto dipin­
gere. Artemisia alzò gli occhi al cielo per respingere lo
sguardo e le parole nere della mantella nera. Il pipistrello
si voltò verso i giudici. Anche il nero, contrariamente a
quanto le era stato insegnato, aveva infinite sfumature.
«Questa donna, eminenza» esordì, «continua a pecca­
re. Non solo ha infangato l’onore e la rispettabilità di mol­
ti devoti e generosi cittadini, ma sta tentando, complice il
maligno ospitato tra le sue gambe sin da quando era ado­
lescente, di mostrarsi santa. Beata e vittima agli occhi di
noi tutti. Questo aggrava i suoi peccati. È un modo di fare
che il diavolo ha messo in atto e con successo nel corso dei
secoli e che non smetteremo mai di combattere. I testimo­
ni sotto giuramento hanno ripetuto e confermato sempre
le stesse parole, non possiamo credere alle sue. La colpa è
dentro di lei, nei suoi occhi da gatto, nella subdola perfe­
zione e nei torbidi movimenti di un corpo che ipnotizza
come lo sguardo del maligno. Gli stessi occhi delle donne
dei suoi dipinti licenziosi. Occhi che nascondono tutto ciò
che la nostra morale e la nostra dottrina rigettano: lussu­
ria, piacere, egoismo, vizio, turpiloquio, arroganza. Occhi
che dominano, eccitano, esortano a peccare. L’abbiamo
vista tutti mentre si contorceva trattenendo il piacere.
Quante donne avete visto, qui o altrove, agitare il ventre in
maniera così sensuale fino a perderne il controllo? È solo
l’esperienza unita al vizio che rende una donna sensibile a
un innocuo, insignificante, dito di un medico, che le per­
mette di raggiungere la consapevolezza di dominare ed
essere dominata attraverso il sesso.»
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Estratto della pubblicazione