Cavalieri Lupi e Pastorelle, o dell`educazione sessuale nelle società

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Cavalieri Lupi e Pastorelle, o dell`educazione sessuale nelle società
Mariano Fresta
Cavalieri Lupi e Pastorelle, o dell'educazione sessuale nelle società agropastorali
1.
Tra i generi minori della poesia amorosa della società feudale italiana e
provenzale si collocano le pastorelle, componimenti in forma di ballata in cui si rappresenta il
contrasto amoroso tra un cavaliere e una giovane pastora. E però, mentre nella lirica "alta" il
desiderio erotico si trasforma in "amore cortese", in amore cioè idealizzato e sublimato, nelle
pastorelle esso diventa il tema stesso del componimento nel quale viene celebrato come
desiderio soddisfatto: infatti, dopo un dialogo più o meno animato, il cavaliere finisce per
possedere la pastora; il racconto, tuttavia, si ferma appena un momento prima del rapporto
amoroso fra i due.
Sembra, dunque, che le pastorelle funzionassero come valvola di sfogo in una
società aristocratica, in cui l'amore cortese, spesso rivolto ad una donna sposata e di condizione
più elevata, era del tutto dissociato dal matrimonio, che invece aveva solo scopi economici e
politici1. La contadinella e la pastora, infatti, come appare da questi componimenti, sono facile
preda di cavalieri e di "gentili galanti" e sembrano essere piuttosto disponibili alle profferte
amorose di costoro, rivolte senza esitazione alcuna; se qualche volta oppongono resistenza o un
rifiuto, è perché c'è qualche ostacolo (la vicinanza del padre, del fratello, del marito) che
che impedisce loro di soddisfare la richiesta.
Ma l'invenzione (o la finzione) letteraria nasconde una realtà molto più cruda; la
pastora/contadina non rifiuta mai o quasi mai perché non le è possibile comportarsi altrimenti,
in quanto essa è socialmente inferiore al cavaliere. Nella rappresentazione idilliaca delle
pastorelle traspare in effetti tutta la violenza che il mondo dei signori feudali esercitava su quello
dei contadini e dei servi della gleba. Tutto ciò è riscontrabile nella seguente pastorella di un
anonimo della seconda metà del XIII sec. :
1. M'alzai un buon mattino prima dell'alba, me ne andai in un verziere a cogliere violette e
udii da lontano un bel canto; guardando trovai una gaia pastorella che custodiva i suoi
agnelli.
2. «Dio vi salvi, pastorella Color-di-rosa, mi meraviglio molto che stiate soletta; vi darò, se
vi piace accettarla, una veste filettata fittamente d'argento».
3. « Vi considero folle, cavaliere, pieno di pazzia, perché mi domandate ciò di cui non mi curo,
ho padre e madre e avrò anche marito e, se a Dio piace, essi mi onoreranno».
4. «Addio, addio, cavaliere, che mio padre mi chiama; lo vedo arare laggiù coi buoi quella terra
dissodata: noi seminiamo grano e ne raccoglieremo assai e, se voi comprate, vi daremo
frumento».
5. E quando egli la vide andarsene, le si mise dietro, la prese per la bianca mano, la gettò
nell'erba; la baciò tre volte, senza che ella facesse motto, e alla quarta volta disse: «Signore, mi
arrendo a voi»2.
1
2
Sui rapporti ira amore cortese e matrimonio si veda C.S.Lewis, L'allegoria d'amore, Torino 1969.
II testo, tradotto dalla lingua d'oc, si trova in Cento liriche provenzali, a cura di A.Cavaliere, Bologna 1938
La prima impressione che si ha, a leggere questa pastorella, è quella di trovarsi
davanti ad un idillio in cui il gioco dell'amore è caratterizzato dal piacere: l'alba, il giardino, le
violette, la gaia pastorella, il prato erboso sono gli elementi costitutivi di questa impressione. Ma,
a ben guardare, le convenzioni letterarie difficilmente riescono a nascondere la violenza dei
rapporti sociali che rendevano del tutto subalterni i contadini ai signori cavalieri, come appare
evidente dagli spazi (realistici o allegorici che siano) in cui agiscono i tre personaggi della
vicenda: il cavaliere si muove in un "verziere", la pastorella nell' "erba" del pascolo, il padre
contadino nella "terra dissodata". Sono, dunque, tre spazi differenti che marcano la diversa
collocazione sociale dei personaggi. Inoltre, la distanza tra il villano e il cavaliere è segnalata
anche dall'avverbio "laggiù" che indica la lontananza del "verziere", luogo dì piacere, dalla
"terra arata", luogo di fatica. La disponibilità della ragazza, infine, è solo passiva rassegnazione;
ad un primo timido tentativo di rifiuto, infatti, segue la resa incondizionata ad una violenza che
non si può evitare. Il modo di pensare e i comportamenti, che nella pastorella vengono in qualche
modo ingentiliti, trovavano certamente oggettivo riscontro nella realtà storica del tempo. Anzi,
Andrea Capellano, nel suo Trattato d'amore, li ammetteva senza esitazione e dava ai cavalieri i
seguenti precetti:
«Ma se te amore prendesse delle femmine loro [dei contadini, cioè], ricordati di lodare molto. E
se truovi luogo acconcio, non ti indugiare di prendere quello vuogli, e abbracciandola bene per
forza [cioè, usando violenza]: imperciò che appena potresti mai tanto mitigare la loro durezza,
che riposatamente ti concedessero quello che dimandi; né soffereranno che tu prenda li
desiderati sollazzi se un poco di forza non vi lavora che discacci la loro salvatica vergogna.
Questo non ti diciamo per volerti di loro amore confortare, ma perché se alcuna volta, meno
che providamente, nello amore tu fossi tratto, sappi che processo dèi tenere»3.
2. Se dunque le cose stavano così e le pastorelle in qualche modo riflettono
comportamenti e condizioni sociali dell'età feudale, è veramente sorprendente rintracciare nelle
raccolte dei canti popolari, pubblicate tra Ottocento e Novecento, un gruppetto di questi
componimenti mescolati agli altri canti epico-lirici e narrativi. Nella raccolta del Nigra4, per
esempio, se ne contano cinque (La pastora e il lupo, n. 69; Domanda indiscreta, n. 70; Il
galante burlato, n. 75; La pastora fedele, n. 90; La figliuola prudente, n. 101), e lo stesso
studioso, a pag. 426, ci dice che della composizione più famosa, La pastora e il lupo, già ai suoi
tempi erano state rintracciate ben più di trenta lezioni. E in tutte le raccolte riguardanti le regioni
settentrionali d'Italia non mancano testimonianze simili a quelle presenti nel Nigra5; né
mancano nelle raccolte relative ad altre regioni, anche se bisogna dire che man mano che ci si
avvicina alle regioni centrali queste testimonianze si riducono quasi sempre alla sola presenza
de La pastora e il lupo, la più diffusa in assoluto6.
La sorpresa non deriva certo dal fatto che componimenti di origine medievale sono
stati fino a poco tempo fa o sono ancora nel patrimonio culturale del mondo contadino perché, lo
sappiamo bene, questi fenomeni di lunga conservazione sono caratteristici del mondo popolare
tradizionale; la sorpresa semmai deriva dal fatto che le società agro-pastorali hanno conservato
questi canti in cui, esplicitamente o implicitamente, si rappresenta la loro subalternità, la loro
soggezione alle classi dominanti.
3
A.Capellano, Trattato d'amore, a cura dì S.Battaglia, Roma 1947, p. 273. Il Capellano visse tra il XII e il XIII secolo
C.Nigra, Canti popolari del Piemonte, Torino 1988.
5
Cfr. A.Vigliermo. Canti e tradizioni popolari. Indagini sul Canavese, Ivrea 1974; G.Zanettin, 160 canti popolari
già in uso a Cembra, Trento, Milano 1967
6
Per le Marche cfr. F.B.Pratella, Saggio di gridi, canzoni, cori, danze del popolo italiano, Bologna s.d., pp. 61-62. Per
la Toscana e l'Italia centrale cfr. P.Tabet, Canzoni narrative raccolte in dieci località dell'Italia centrale, Milano 1967;
A.Fornari, Canti toscani. Firenze 1972; D.Priore, Canti popolari della Valle dell'Arno, Firenze 1978. Sono state
utilizzate anche raccolte inedite della Val Germanasca (To) e Val d'Orcia.
4
Non è la prima volta che ci si imbatte in fenomeni del genere: in altra occasione ho
discusso la presenza nel patrimonio espressivo mezzadrile toscano di alcuni contrasti dal
contenuto fortemente anticontadìno anche in momenti di grandi lotte sindacali e politiche, come
quelle degli anni 1945/19557. Ma in quel caso il fenomeno poteva essere spiegato con l'ausilio di
Gramsci, secondo il quale la cultura popolare è da considerare come un agglomerato indigesto
delle più diverse concezioni della vita e del mondo; oppure si poteva spiegare con la presenza
negli stessi componimenti di parti le quali, poiché rappresentavano un mezzadro consapevole e
combattivo, che teneva testa al padrone, riuscivano a celare in qualche modo i contenuti
anticontadini del resto. Qui, invece, la situazione appare alquanto diversa, sia per il genere di
componimenti presi in esame (si tratta pur sempre della rappresentazione di temi erotici e non
sociali), sia perché pare che l'intervento popolare abbia modificato i canti per renderli funzionali
alle esigenze delle società agro-pastorali e ne abbia rovesciato in parte le conclusioni.
Ma prima di passare all'analisi di queste trasformazioni e del loro uso, vediamo un
po' da vicino alcuni testi di pastorelle. Poiché si tratta di componimenti abbastanza simili nella
loro struttura narrativa, mi limito ad esaminare i cinque canti presenti nel Nigra, un canto (Un
giorno andando a caccia) inserito nei volumi del Fornari e del Vigliermo ma attestato anche
altrove, e infine le varianti dell'Italia centrale de La pastora e il lupo.
Nella prima parte dei canti l'impianto narrativo è simile a quello già visto nelle
pastorelle medievali; un cavaliere (o un gentil galante, ma anche un cacciatore) incontra una
giovane pastora che bada al gregge; dopo alcuni complimenti, l'uomo invita la fanciulla a far
l'amore con lui. Come esempio di questo schema narrativo iniziale riporto qui la prima parte de
La figliuola prudente (n. 101 del Nigra):
«Bel galante se ne viene da Alba, si scontrò con Margherita; colla sua rocca e col fuso
pasturava le pecorelle. Bel galante prese a dire: -Siete ragazza sola soletta? - E benché io sia
soletta, non ho paura di niente; sono ragazza di gran coraggio. Sono venuta nei boschi senza
avere alcun danno. - Ditemi un po', Margherita, avete bisogno dì un servitore? - Oh no, gentil
galante, le mie povertà sono grandi. Voi sarete il mio padrone, io sarò vostra serva. -Se voi
foste mia serva, lascerei comandare voi. Pigliate la chiave del mio giardino e vi
troverete contenta; andremo a cogliere il gelsomino e la menta».
Più complicata è la vicenda narrata nel componimento La pastora e il lupo, che mi
sembra opportuno dare qui nella versione integrale toscana, che si caratterizza per essere la
lezione più ampia di tutte le altre conosciute:
1. E passeggiando alla riva del mare
e le le dice: Bella figlia,
incontrai una pastorella:
g guarda ben le tue caprin
lei guardava le sue caprin
chche il lupo te le piglia.
sull'erba tenereila.
E vada, vada, signor cavaliere,
2)
7
Passa di lì un bel cavaliere
vada franco alla sicura,
M.Fresta, Canti popolari ed evoluzione della coscienza mezzadrile, in P.Clemente et Alii, Mezzadri, letterati, padroni,
Palermo 1980, pp. 161-185.
se lo vedo 7 lupo venir
7)7) Quando la pancia gli avrò tagliato
che io non ho paura.
T tu che cosa mi darai?
Q quando toso le mie caprin
ti donerò la lana.
3) E sorte il lupo al di là della macchia
con la lingua tocca terra,
glielo prende ‘l meglio caprin
che avea la pastorella.
4) La pastorella si mise a piangere
e piangeva così forte,
lei piangeva ‘l suo bel caprin
che gli era andato a morte.
6) E torni addietro, signor cavaliere,
con la spada sfoderata;
gliela taglia la pancia al lupo
e il caprin torni a casa.
Io8)Io non faccio ‘l mercante di lana
né né dì lana né di stoppa:
i io lo voglio un tuo bacin
d dalla tua propria bocca.
9) 9) E dica piano signor cavaliere,
ch che la gente non ci senta:
v voglio marito anch'io
e non voglio restar senza.
110) Quando ritorno da fare il soldato
io t ti porterò l'anello;
p poi ti porterò a veder
i il mio palazzo bello.
L'episodio del lupo, che mangia il più bel caprino del gregge, inserendosi
tra il primo apparire del cavaliere e il suo ritorno, dovuto alle grida della fanciulla, costituisce una
novità di rilievo perché complica la struttura formale del canto e perché rende meno ovvia e risaputa
una vicenda che si ripete sempre uguale in tanti altri componimenti.
Ma torniamo allo schema narrativo più semplice: attraverso il testo della
Figliuola prudente abbiamo visto che l'impianto narrativo iniziale è simile in tutte le pastorelle, sia
in quelle medievali, sia in quelle del patrimonio espressivo del mondo popolare moderno. Il
finale, che nei componimenti medievali fa intravedere il rapporto amoroso dei due personaggi,
nei canti popolari da me presi in esame viene modificato con varianti che spesso rovesciano
l'aspetto anticontadino, ad eccezion di Un giorno andando a caccia, nel quale il cacciatore, dopo
aver dialogato con la pastora, la abbandona:
La prese per la mano, la fece camminare
nel bosco la fece entrare ...
Difatti essa sognava d'essersi fatta sposa
sposa di un cacciatore ...
La bella si ridesta e il cacciator più non trova;
Povera me meschina rimasta sola
sola e tradita da un vil cacciator.
Io maledico tutti gli uomini cacciatori
perché son traditori, son rubacuor.
A parte la disperazione e l'invettiva della giovane, la situazione ricalca quasi
totalmente quella illustrata nelle pastorelle medievali.
Negli altri canti le varianti delle strofe finali presentano i seguenti esiti contenutistici:
1 ) La pastora si rifiuta perché teme la censura della comunità
E' questa la conclusione della versione marchigiana (Pratella, pp. 61-62) de La pastora e il lupo,
che si ferma alla strofa n. 9:
e dica piano... voglio marito anch 'io / e non voglio restar senza.
Noi non sappiamo se il canto finisse originariamente con questa strofa o se
la lezione marchigiana sia mancante della decima; a noi interessa sapere che nella tradizione
marchigiana il rifiuto della pastorella è motivato dal fatto che lei, se desse il bacio al cavaliere,
correrebbe il rischio di non sposarsi più, perché sarebbe ritenuta volubile e leggera.
2) La pastora si rifiuta perché è fidanzata o sposata
E' il caso questo de La pastora e il lupo della lezione piemontese riportata
dal Nigra e della Domanda indiscreta e della Pastora fedele sempre della stessa raccolta. Nel
primo canto, dì nove strofe in questa versione, la pastora è una donna sposata che, nella strofa
conclusiva, così risponde alla richiesta del bacio:
Un sol bacin non ve lo posso dare, son donna maritata:
se lo sapesse mio marito, sarei bastonata.
Anche la pastora della Domanda indiscreta è sposata:
Bel galante, non salutate tanto: son donna maritata...;
Ma la donna usa altri mezzi (lo vedremo fra poco) per dire di no, come si
può leggere nella variante A riportata dal Nigra; nella variante D, invece, l'esito è diverso:
nonostante lei abbia marito, il cavaliere la prende per mano e se la porta nel suo castello, per
sposarsela. Il finale di quest' ultima versione ricalca, pur se attenuato da ''giuste" nozze, quelli delle
canzoni medievali. Nella Pastora fedele la donna non solo dichiara di essere fidanzata, ma,
rispondendo ad alta voce ai tre giovani francesi che l'avevano interpellata, fa in modo da essere
sentita dal suo innamorato che è nella capanna vicina.
3) La
pastora
si rifiuta in ossequio agli insegnamenti ricevuti dai genitori
Questo tipo di rifiuto è esplicitato nelle strofe finali de La figliuola prudente della
raccolta Nigra:
Dite un po', chi v'ha insegnato quel bel parlare?
Mio padre e mia madre m'hanno sempre raccomandato
di servire l'amore quando fossi sposata.
4) La pastora accetta la corte dopo una promessa di matrimonio
E' questo il caso contemplato dalla decima strofa della versione toscana de La
pastora e il lupo:
Quando ritorno da fare il soldato
io ti porterò l'anello,
poi ti porterò a veder
‘l mio palazzo bello.
A Paola Tabet questa strofa «sembra, per il suo carattere particolarmente artificioso, essere
un'innovazione relativamente recente» (già il Nerucci l'aveva pubblicata così nel 1883). La Tabet ha
certamente ragione, perché questa decima strofa, riferendosi all'esperienza del servizio militare
(quando torno da fare il soldato) è stata senza dubbio aggiunta, negli anni appena successivi
all'Unità d'Italia, al testo originario di nove strofe che pur con le relative varianti, ci è stato
conservato dal Nigra e dalla tradizione marchigiana. Ma anche questa volta non è la questione
filologica della circolazione culturale del canto che ci interessa; qui ci importa sapere che nelle
lezioni toscane la pastora accetta la corte solo dopo una solenne promessa di matrimonio di cui
l'anello e la casa (in questo caso il palazzo) sono il segno distintivo.
5) La pastora si prende burla del cavaliere
Come prima ho riferito, la pastora della Domanda indiscreta non si limita a dire "no" alle
profferte del galante: visto e considerato che questi insiste nella richiesta, la donna gli dice:
Se il mio amore vi aggrada tanto, galante, scendete di sella, attaccate il vostro cavallino lì, al
ramo dell'ulivo; stendete lì il vostro mante!lino sulla fresca rugiada; gentil galante, aspettatemi
qui, finché sia ritornata. L'aspettò tre dì, tre notti, finché la barba gli si è gelata, gelata la barba
sul mento, gelata la mano sulla spada. "Mai più, mai più, mi fiderò di donna sposata ".
Un secondo esempio di spasimante burlato si trova in un canto laziale,
riportato dal Vettori ; qui si tratta di un cacciatore che una fanciulla fa finta di invitare a casa, nella
quale poi si rinchiude per sfuggire al cacciatore. E questi amaramente commenta:
8
Questo succede a chi 'n sa far la caccia
che ci ha la merla in mano e poi la lascia;
cos'i è successo a me, bella, con voi,
d'avervi in mano e di lasciarvi poi.
Il terzo ed ultimo esempio è costituito dal componimento che già nel titolo
del Nigra, Il galante burlato, anticipa la conclusione della storia che in breve è questa: la pastora,
con la scusa che non vuol farsi vedere mentre fa all'amore con lui, invita il cavaliere ad entrare
nella sua capanna. Ma la giovane è prestante ed agevolmente riesce a chiudere a chiave la
capanna, lasciandovi dentro per un' intera notte il cavaliere. Questi la mattina dopo commenta:
Vivessi tanto come il re mio padre - mai più mi fiderò delle pastore.
Un'altra burla è raccontata nella canzone che il Nigra intitolò Occasione
mancata (n. 71 della raccolta); qui non si tratta di una pastora, ma di una fanciulla sperdutasi in un
bosco e salvata da un cavaliere che, chiedendo amore per ricompensa, viene garbatamente preso in
giro. E comunque la canzone ci può servire per aggiungere un'altra testimonianza a favore della
verifica che stiamo facendo, e cioè che, rispetto alle pastorelle medievali, quelle esistenti ancora
nel patrimonio espressivo popolare hanno, al posto di un finale di tono anticontadino, una
8
Vettori , Il folk italiano, Roma 1975, pp. 367-68.
conclusione che sottintende una precisa intenzione pedagogica.
3)
Spesso i componimenti di cui s'è parlato fino ad ora venivano cantati nelle
veglie e quasi sempre alla voce solista si univa il coro di tutti i presenti. Il canto si svolgeva mentre le
donne filavano, cucivano e gli uomini riparavano qualche attrezzo o giocavano a carte: la
partecipazione al canto era in qualche modo meccanica e ripetitiva. Ma proprio questa
ripetitività meccanica credo che abbia potuto svolgere la funzione di inconsapevole strumento
educativo: senza accorgersene nemmeno, ai ragazzi e soprattutto alle ragazze si imprimeva bene in
mente il concetto che, quando stavano a pascolare le pecore, dovevano stare attenti ad evitare
spiacevoli incontri.
Che l'ammonimento fosse rivolto alle ragazze e alle donne giovani in
genere è indubbio, visto che nel mondo contadino la custodia delle greggi era affidata esclusivamente
a loro. E' normale, d'altra parte, che un lavoro che non richiede fatica fisica venga affidato a chi è
più debole: ancora oggi si può vedere che pecore e maiali, quando il loro allevamento non
costituisce l'attività primaria della piccola azienda contadina, vengono dati in cura alle persone della
famiglia che non possono svolgere lavori pesanti: vecchi, bambini e, raramente, donne. Anche le
testimonianze, raccolte nel corso di indagini sul mondo mezzadrile toscano della prima metà del
1900, confermano che proprio i bambini e le ragazze venivano adibiti alla cura degli animali da
pascolo. E qualcuna di queste interviste più sincera e coraggiosa di altre conferma pure che le
ragazze mandate al bosco a pascolare pecore e maiali quasi sempre divenivano "preda" di cacciatori
e viandanti. Le due canzoni, sopra riportate, che hanno come protagonista il cacciatore, non
fanno, dunque, che rispecchiare in maniera verisimile (nonostante il tono idillico della prima e
l'ironia della seconda), ciò che nella realtà quotidiana era facile che accadesse. D'altra parte, anche i
canti, che hanno come protagonisti cavalieri, gentil galanti e "zolì fransè", rappresentano, in forma
simbolica e metastorica, eventi che realmente sarebbero potuti accadere. Il fatto che in essi si parli
di cavalieri e pastorelle medievali non sminuisce il valore del messaggio pedagogico; né il tono
idilliaco delle strofe iniziali riesce a cancellare quel senso di pericolo che circonda la giovane
pastora. Anzi, questo contrasto tra atmosfera arcadicamente seducente del paesaggio e il pericolo
che corre la ragazza, rende più convincente l'ammonimento implicito nel finale: guardatevi da chi
vi può far male e cercate di liberarvene con astuzia. Se questa ipotesi è vera, allora è più facile
spiegarsi la presenza di questi canti di origine medievale nella cultura popolare dei nostri tempi;
nonostante essi rispecchino uno stadio storico arcaico, contengono tuttavia innovazioni e
attualizzazioni che li rendono funzionali anche in un quadro sociale trasformato rispetto a quello
di partenza9.
La tradizione più o meno conservata delle pastorelle medievali o il loro più
o meno preciso ricalco fanno che il messaggio educativo venga più o meno esplicitato. Abbiamo
visto addirittura che in due canti, Un giorno andando a caccia e Domanda indiscreta - lezione D
del Nigra - è presente ancora la tradizione feudale con il cavaliere che si appropria della donna
anche quando questa è maritata. Ma gli altri canti presentano innovazioni che indicano come
sfuggire in qualche modo, attraverso la citazione dell'insegnamento dei genitori e la
rappresentazione delle furbizia della donna, allo stato di subalternità del mondo agro-pastorale. E così
si va da un rifiuto motivato dalla paura delle "chiacchiere" della gente {primo caso considerato nel
paragrafo precedente) a quello motivato dalla presenza del marito o del fidanzato (caso n. 2); dal
"no" detto in ossequio agli insegnamenti dei genitori fino alla beffa più o meno crudele
9
Sulla diversità di “funzione” che rende possibile il passaggio della canzone dal mondo letterario a quello popolare si
veda P. Bogatirev, La chanson populaire du point de vue fonctionnel, in Travaux du Cercle Linguistique de Prague, 6,
1936, pp, 222-234.
architettata dalla giovane ai danni dello spasimante (casi n. 3 e 5). Io non credo che i
comportamenti e le azioni dei personaggi femminili di queste canzoni costituiscano sempre la
rivincita della donna contro la letteratura maschile antifemminile e che "la spavalderia e la
soverchieria di una classe di oppressori (cavalieri, nobili...), che sembra sovrastare, si ergono la
forza indifesa e la tattica furberia delle vittime"10. Nei casi da me esaminati, credo, invece, che si
tratti non tanto di un "ergersi", quanto di un "nascondersi": non tanto di un attacco a viso aperto,
cioè, quanto di un'accorta difesa che utilizza un ventaglio dì giustificazioni e di accorgimenti che
permette di adeguarsi alle varie situazioni di rischio che si presentano.
E che si tratti dì ammonimenti pedagogici lo dice esplicitamente il finale
del canto La figliuola prudente:
La bella ben gli disse: - Oh no, no, gentil galante, io non vado nel vostro giardino. La mia
mamma me lo ha raccomandato, se non vado a casa prontamente, sarei bastonata... Mio padre e
mia madre mi hanno sempre raccomandato che aspettassi a servir l'amore quando fossi sposata.
Ma non sono soltanto le pastorelle a raccomandare un comportamento cauto
ed astuto alle ragazze: ci sono altri canti che ripropongono lo stesso messaggio educativo, pur se
riprendono solo in parte lo schema delle pastorelle o ne usano un altro del tutto diverso. E' il caso di
Tentazione (Nigra n. 78) in cui un giovane, dopo aver rimproverato i genitori di aver mandato la
sorella al pascolo, malgrado ci fossero in giro molti soldati, si traveste da "gentil galante" e mette alla
prova la sorella, che supera in modo positivo. Ed è anche il caso della Monacella salvata (Nigra n.
72), che con una scusa riesce a liberarsi del solito intraprendente cavaliere; o è il caso, in fine (ma
l'elenco potrebbe continuare), del famoso canto La bevanda sonnifera (Nigra n. 77) in cui si narra di
come una madre e una figlia ingannino un cavaliere e che si conclude con due distici che sono più
eloquenti di qualsiasi commento e interpretazione:
Finché il pomo è sulla rama - da tutti quanti è rimirato.
Quando il pomo è cascato a terra - da tutti quanti è rifiutato.
(Pubblicato in I fabulosi parlari. Aspetti e interpretazioni del mondo tradizionale, Editori Del Grifo, Montepulciano
1987, volume collettaneo, omaggio a Pietro Clemente)
10
G.B.Bronzini, Cultura e società nei canti narraiivi italiani, "Larcs», XCV11I, n. ), 1982, p. 19.