Attualità in dermatologia Montesilvano

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Attualità in dermatologia Montesilvano
Atti 1 SIDEV_Montesilvano:Atti 70_Scivac Montesilvano
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Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con sistema qualità certificato ISO 9001:2008
ESTRATTI RELAZIONI - CASO CLINICO
POSTER - RELAZIONI AZIENDALI
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1° CONGRESSO NAZIONALE
SIDEV
SOCIETÀ ITALIANA DI DERMATOLOGIA VETERINARIA
in collaborazione con
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA
ATTUALITÀ
IN DERMATOLOGIA
21-23 SETTEMBRE 2012
MONTESILVANO (PE)
Hotel Serena Majestic
Organizzato da
EV Soc Cons ARL è una Società con
sistema qualità certificato ISO 9001:2008
ESTRATTI RELAZIONI - CASO CLINICO
POSTER - RELAZIONI AZIENDALI
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COMITATO SCIENTIFICO E CONSIGLIO DIRETTIVO SIDEV
FRANCESCA ABRAMO, Med Vet, Pisa
FRANCESCO ALBANESE, Med Vet, Arezzo
SILVIA COLOMBO, Med Vet, Dipl ECVD, Legnano (MI)
LUISA CORNEGLIANI Med Vet, Dipl ECVD, Milano
FEDERICO LEONE, Med Vet, Senigallia (AN)
COORDINATORE CONGRESSUALE
Monica Villa
Tel.: +39 0372 403504 - E-mail: [email protected]
SEGRETERIA MARKETING, SPONSOR E AZIENDE ESPOSITRICI
Francesca Manfredi
Tel.: +39 0372 403538 - E-mail: [email protected]
SEGRETERIA ISCRIZIONI
Paola Gambarotti
Tel.: +39 0372 403508 - Fax: +39 0372 403512 - E-mail: [email protected]
ORGANIZZAZIONE CONGRESSUALE
Soc. Cons. a r.l.
Azienda con sistema qualità certificato ISO 9001:2008
EV - Eventi Veterinari - Via Trecchi 20 - 26100 CREMONA (Italia)
SIDEV
SOCIETÀ ITALIANA DI DERMATOLOGIA VETERINARIA
in collaborazione con
SOCIETÀ CULTURALE ITALIANA VETERINARI PER ANIMALI DA COMPAGNIA
Ringraziano gli Sponsor per il sostegno dato all’evento
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1° Congresso Nazionale SIDEV • ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA
21-23 SETTEMBRE 2012 - MONTESILVANO (PE)
in collaborazione con SCIVAC
RELATORI
FRANCESCA ABRAMO
Med Vet, Pisa
FABRIZIO FABBRINI
Med Vet, Dipl C.E.S.,
Milano
LARA OLIVIERI
Med Vet, Dipl C.E.S.,
Bologna
FRANCESCO ALBANESE
Med Vet, Arezzo
LLUIS FERRER
DVM, PhD, Dipl ECVD,
Barcellona (E)
ERSILIA PAPPALARDO
Med Vet, Dipl ECVD,
Catania
MASSIMO BECCATI
Med Vet, PhD, MSc,
Bergamo
IVAN FILECCIA
Med Vet, Roma
ERICA ROMANO
Med Vet, Roma
CHIARA CAPORALI
Med Vet, Dipl C.E.S.,
Arezzo
ALESSANDRA FONDATI
Med Vet, Dipl ECVD,
PhD, Padova-Roma
FABIA SCARAMPELLA
Med Vet, Dipl ECVD, MSc,
Milano
SILVIA COLOMBO
Med Vet, Dipl ECVD,
Legnano (MI)
FRANCA GALEOTTI
Med Vet, Prato
SILVIA SCHIAVI
Med Vet, Dipl C.E.S.,
Udine
LUISA CORNEGLIANI
Med Vet, Dipl ECVD,
Milano
GIOVANNI GHIBAUDO
Med Vet, Samarate (VA)
ANTONELLA VERCELLI
Med Vet, Dipl C.E.S.,
Torino
MICHELA DE LUCIA
Med Vet, Dipl ECVD,
Padova
FEDERICO LEONE
Med Vet, Senigallia (AN)
GIORDANA ZANNA
Med Vet, PhD, Dipl ECVD,
Milano
CARLA DEDOLA
Med Vet, Dipl ECVD,
Sassari
CHIARA NOLI
Med Vet, Dipl ECVD,
Peveragno (CN)
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PROGRAMMA SCIENTIFICO
VENERDÌ 21 SETTEMBRE 2012
08.15
Registrazione dei partecipanti e verifica presenze
09.15
09.30
10.05
10.40
Saluto ai partecipanti, presentazione dei relatori ed inizio lavori
Piodermite muco-cutanea: problemi diagnostici e terapeutici Alessandra Fondati
Piodermite profonda, fistole metatarsali e fistole perianali del Pastore tedesco:
malattie diverse o unica entità? Antonella Vercelli
Approccio diagnostico alle pododermatiti nodulari nel cane Fabia Scarampella
11.15
Pausa caffè ed esposizione commerciale
11.50
12.25
Reazioni avverse a farmaci Chiara Noli
Piodermiti: oltre al trattamento antibiotico sistemico Fabrizio Fabbrini
13.00
Relazione a cura di Merial - Certifect®: un nuovo standard di protezione contro le zecche
e nella prevenzione delle tick-born diseases E. Brianti
13.15
Pausa Pranzo ed esposizione commerciale
14.45
15.20
15.55
Lesioni granulomatose/piogranulomatose cutanee nodulari sterili e non sterili nel cane:
come formulare la diagnosi Luisa Cornegliani
Adenite sebacea nel cane e nel gatto Silvia Colombo
Linfoma epiteliotropo nel cane: quadri clinici e novità terapeutiche Carla Dedola
16.30
Fine dei lavori
SABATO 22 SETTEMBRE 2012
09.30
10.05
10.40
Leishmaniosi: quadri clinici tipici e atipici Ersilia Pappalardo
Attualità sulla demodicosi canina Federico Leone
Terapia medica delle otiti: lo stato dell’arte Giovanni Ghibaudo
11.15
Pausa caffè ed esposizione commerciale
11.50
12.25
Tutto ciò che “ama” e che “odia” il patologo Francesca Abramo
Dermatopatie ischemiche Francesco Albanese
13.00
Pausa pranzo ed esposizione commerciale
14.20
14.40
15.00
15.20
15.40
16.00
16.20
16.40
Qual
Qual
Qual
Qual
Qual
Qual
Qual
Qual
17.20
Relazione a cura di Royal Canin - I vantaggi delle diete da esclusione F. Morchi
17.40
Premiazione dei tre migliori poster tra quelli esposti in sala durante il Congresso e premiazione dei tre vincitori
della Sessione Interattiva - Al termine Welcome Cocktail gentilmente offerto da SIDEV e Royal Canin
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diagnosi
diagnosi
diagnosi
diagnosi
diagnosi
diagnosi
diagnosi
diagnosi
Michela De Lucia
Ivan Fileccia
Lara Olivieri
Franca Galeotti
Silvia Schiavi
Erica Romano
Massimo Beccati
Chiara Caporali
Sessione Interattiva con Televoter
DOMENICA 23 SETTEMBRE 2012
Malattie genetiche nel cane e nel gatto - INCONTRO SIDEV
SIDEV
08.30
Registrazione
09.00
09.45
La conoscenza del genoma canino: un nuovo scenario in dermatologia veterinaria Lluis Ferrer
Come identificare e diagnosticare una malattia genetica Lluis Ferrer
10.30
Pausa caffè ed esposizione commerciale
11.00
11.45
Aspetti clinici delle più comuni genodermatosi Giordana Zanna
Aspetti clinici delle genodermatosi non ancora completamente decifrate Giordana Zanna
12.30
Comunicazione ai Soci SIDEV
12.50
Presentazione di casi clinici - Soci SIDEV
13.30
Consegna degli attestati e termine dei lavori
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1° Congresso Nazionale SIDEV • ATTUALITÀ IN DERMATOLOGIA
21-23 SETTEMBRE 2012 - MONTESILVANO (PE)
in collaborazione con SCIVAC
ESTRATTI
DELLE RELAZIONI
Questo volume di atti congressuali riporta fedelmente quanto fornito dagli autori
che si assumono la responsabilità dei contenuti dei propri scritti.
Gli estratti sono elencati in ordine cronologico di presentazione.
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21-23 SETTEMBRE 2012 - MONTESILVANO (PE)
in collaborazione con SCIVAC
Alessandra Fondati
Med Vet, Dipl ECVD, PhD
Clinica Veterinaria San Marco, Padova
Centro Veterinario Prati, Roma
Michela De Lucia
Med Vet, Dipl ECVD
Clinica Veterinaria San Marco, Padova
Piodermite muco-cutanea:
problemi diagnostici e
terapeutici
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 09.30
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PIODERMITE MUCO-CUTANEA
La piodermite muco-cutanea (PMC) del cane1, 2 è considerata una sindrome caratterizzata dalla comparsa progressiva di tumefazione, eritema, scaglie,
croste, erosioni, ulcere e depigmentazione delle giunzioni muco-cutanee, in
particolare la commessura labiale, la cute perilabiale (labbro inferiore), gli
orifizi nasali e il margine palpebrale (canto mediale). Meno frequentemente si
osservano lesioni perivulvari o in corrispondenza dell’orifizio prepuziale e
anale. Le lesioni sono solitamente simmetriche, non causano prurito ma possono essere dolenti, specie in sede perivulvare.
Le lesioni istologiche1,2 in corso di PMC sono caratterizzate da iperplasia
irregolare dell’epidermide con spongiosi, esocitosi linfocitaria e neutrofilica
intraepidermica, erosioni, ulcere e croste. Normalmente i cheratinociti basali
non sono danneggiati e nel derma si osserva un infiltrato superficiale, da perivascolare a diffuso, in sede subepidermica (cosiddetto “a banda”) composto
da numerose plasmacellule ed in numero inferiore da linfociti, neutrofili e
istiociti.
La terapia consigliata1 si basa sull’uso di antimicrobici, sistemici o topici.
Questi ultimi sono da preferire data l’importanza di un uso prudente degli antibiotici.
Per quanto riguarda il ruolo della componente batterica, presumibilmente
stafilococcica, in alcuni testi la PMC è classificata come infezione superficiale3 mentre in altri è definita sovracrescita batterica.1 Al pari di quanto accade
nella piodermite e nella sovracrescita batterica localizzate in sedi diverse dalle giunzioni muco-cutanee, anche nella PMC è stato ipotizzato che ci siano
cause predisponenti, in particolare la dermatite atopica, che favoriscono la
proliferazione o l’infezione batterica.4,5
PROBLEMI DIAGNOSTICI E TERAPEUTICI
Le lesioni delle giunzioni muco-cutanee osservate nella PMC devono essere differenziate3 da quelle causate dalla leishmaniosi canina (Lcan), dal cosiddetto lupus muco-cutaneo,6,7 a conoscenza delle autrici finora riportato solo in sede perianale,7 dal lupus eritematoso discoide (LED)7,8,9 e dal linfoma
cutaneo epiteliotropo.
Le malattie più difficili da differenziare dalla PMC sia clinicamente sia
istologicamente sono il LED, il lupus muco-cutaneo e la Lcan.
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Per quanto riguarda le lesioni nasali, la tipica depigmentazione e tumefazione del planum nasale dorsale differenzia clinicamente il LED dalla PMC.3
Le lesioni nasali da considerarsi tipiche di PMC dovrebbero colpire invece gli
orifizi nasali. Un esempio potrebbe essere la dermatite dei solchi alari, monoo bilaterale, più frequente nel Pastore tedesco e caratterizzata da scaglie e croste grigio-giallastre, depigmentazione e talora erosioni.
Fattori che contribuiscono a rendere complessa la diagnosi differenziale
istopatologica tra PMC, LED, Lcan e probabilmente lupus muco-cutaneo includono la presenza di ulcere ed infezioni batteriche secondarie e la lunga durata del processo infiammatorio. L’abbondante infiltrato plasmacellulare che
nel planum nasale, nelle giunzioni muco-cutanee e nelle mucose esterne caratterizza nel cane la risposta a stimoli antigenici di diversa origine complica
ulteriormente l’interpretazione delle lesioni istologiche.
Nei casi cronici di LED, specie in presenza di infezioni batteriche secondarie, le lesioni istologiche sono simili a quelle osservate nella PMC. Il danno epiteliale basale, caratterizzato nel LED da vacuolizzazione cellulare e
apoptosi, è ridotto o assente e le plasmacellule diventano la componente cellulare più abbondante nell’infiltrato infiammatorio, che invece nel LED dovrebbe essere tipicamente dominato dalla presenza di linfociti.2 Secondo un
recente studio retrospettivo9 la sovrapposizione istopatologica tra PMC e LED
è tale che le alterazioni osservate in biopsie del planum nasale non permettono di prevedere se le lesioni miglioreranno con gli antibiotici o con gli immunomodulatori. La stessa sovrapposizione del quadro istopatologico è stata riportata in alcuni casi di lupus (LED, lupus muco-cutaneo) localizzato in sede
perianale.7,8
In cani con lesioni nasali sospette di LED o PMC viene suggerito di somministrare antibiotici sistemici per 2 o 3 settimane prima di eseguire biopsie
cutanee. Assumendo che la PMC risponda agli antimicrobici e il LED agli immunomodulatori, far precedere l’esecuzione di biopsie cutanee dalla terapia
antibiotica ha due conseguenze:
• In caso di LED l’eliminazione dell’infezione batterica, pur non portando
alla risoluzione delle lesioni, dovrebbe favorire la diagnosi istopatologica
riducendo le alterazioni sovrapponibili alla PMC. La veridicità di questa
ipotesi non è stata tuttavia dimostrata.
• In caso di PMC la terapia antibiotica porterebbe alla risoluzione, almeno
temporanea, delle lesioni. In questo caso potrebbe doversi riconsiderare la
necessità di eseguire biopsie cutanee.
Le dermatiti nasali causate dalla Lcan possono essere caratterizzate istologicamente da lesioni simili al LED e alla PMC, con infiltrato infiammatorio
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“a banda”, in cui di solito predominano plasmacellule e macrofagi, in presenza talora di vacuolizzazione o apoptosi dei cheratinociti basali. Data la sovrapposizione clinica e istopatologica tra Lcan, LED, lupus muco-cutaneo e
PMC, in regioni in cui la Lcan è endemica, come primo passo nell’iter diagnostico delle dermatiti nasali e delle giunzioni muco-cutanee è raccomandabile procedere alla stadiazione della Lcan e, in funzione dei risultati ottenuti,
all’esecuzione di biopsie cutanee sia per l’esame morfologico che per la ricerca del parassita attraverso indagini immunoistochimiche o biomolecolari. È
infatti necessario escludere la presenza di Leishmania prima di instaurare le
terapie immunomodulatrici-immunosoppressive richieste in corso di LED e
controindicate nella Lcan. Tuttavia, merita sottolineare che, una volta dimostrata la presenza del parassita nelle lesioni, in aree in cui la Lcan è endemica, ne può essere stabilito il ruolo causale solo valutando la risposta alla terapia anti-Leishmania specifica.
BIBLIOGRAFIA
1. Ihrke PJ: Bacterial Skin Disease in the Dog - A Guide to Canine Pyoderma. Bayer AG,
1996.
2. Gross TL, Ihrke P, Walder E, Affolter VK: Skin diseases of the dog and cat. Clinical and
histopathologic diagnosis. 2th Edition. Oxford, Blackwell Science Ltd, 2005.
3. Scott DW, Miller WH, Griffin CE: Muller & Kirk’s Small animal dermatology. 6th Edition. Philadelphia,WB Saunders, 2001.
4. Bassett RJ, Burton GG, Robson DC: Antibiotic Responsive Ulcerative Dermatoses in
German Shepherd dogs with mucocutaneous pyoderma. Aust Vet J 85:485-489, 2004.
5. Declercq J and Walder E: Symmetrical Lupoid Onychodystrophy (SLO) – Lupoid Onychitis (LO). 25th Proceedings of the Annual Congress of the ESVD-ECVD, Brussels
2011, p 111-113.
6. Olivry T: Update on canine autoimmune skin diseases: selected topics. 26th Proceedings
of the North American Veterinary Dermatology Forum, Galveston, 2011, p 41-47.
7. Schrauwen E, Junius G, Swinnen C, et al: Dyschezia in dogs with discrete erosive anal
disease and histological lesions suggestive of mucocutaneous lupus erythematosus. Vet
Rec 154:752-754, 2004.
8. Gerhauser I, Strothmann-Luerssen A, Baumgartner W: A Case Of Interface Perianal Dermatitis in a Dog: Is This an Unusual Manifestation of Lupus Erythematosus? Vet Pathol
43:761–764, 2006.
9. Wiemelt SP, Goldschmidt MH, Grrek JS, et al. A retrospective study comparing the histopathological features and response to treatment in two canine nasal dermatoses, DLE
and MCP. Vet Dermatol, 15:342-348, 2004.
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in collaborazione con SCIVAC
Antonella Vercelli
Med Vet, Dipl CES Derm, Dipl CES Opht, Torino
Piodermite profonda, fistole
metatarsali e fistole perianali
del Pastore Tedesco:
malattie diverse o unica entità?
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 10.05
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INTRODUZIONE
Il Pastore Tedesco può essere colpito da tre malattie descritte come singole entità patologiche, ma che, alla luce dell’aspetto clinico, della risposta terapeutica a farmaci con attività immunoregolatrice o immunosoppressiva e
dei più recenti studi genetici sul sistema immunitario di questa razza, appaiono fra loro intimamente legate.
Di seguito sarà presentato lo stato dell’arte sulle fistole metatarsali (FM),
le fistole perianali (FP) e la piodermite profonda (PP).
FISTOLE METATARSALI (FM)
Si tratta di una malattia non frequente che interessa prevalentemente il
Pastore Tedesco, caratterizzata da fistole simmetriche in prossimità del cuscinetto plantare maggiore. La prima segnalazione bibliografica1 di fistole
metatarsali del 1981 descriveva una fistola di origine arterovenosa in un cane, localizzata al metatarso. Solo nel 1993 Kunkle et al2 segnalarono la presenza di fistole metatarsali in 5 cani giovani di razza Pastore Tedesco o in incroci della stessa razza. Una causa specifica non era stata evidenziata nello
studio clinico, né con esami colturali, né biopsie. Gli autori segnalavano un
miglioramento con la terapia steroidea, rilevavano come l’andamento della
malattia era cronico ma benigno, e non associato ad altre lesioni dermatologiche. Nel 1997 Kristensen descrisse la concomitante presenza, in alcuni
soggetti, di fistole metatarsali e metacarpali, foruncolosi interdigitale e fistole perianali,3 ipotizzando che un “legame genetico” fra le tre malattie potesse essere presente. In base alle pubblicazioni e alle osservazioni cliniche si
sospetta che le FM abbiano un’incidenza familiare nella razza Pastore Tedesco e siano collegate ad alterazioni immunomediate del collagene (le FM sono state descritte in letteratura anche come “pannicolite sterile podale”).4 Il
quadro clinico è tipico, inizialmente la cute è integra e si osserva un’area
scura leggermente rilevata in zona metarsale, che con il progredire dell’infiammazione, produce perdite siero-ematiche, derivanti da una vera fistola.
Spesso la lesione metatarsale è notata dal proprietario a causa del leccamento della parte e per l’alterazione del colore del pelo. Solo occasionalmente le
FM coesistono con un quadro di piodermite profonda. Nella diagnosi differenziale vanno considerate infezioni batteriche, micotiche ed ingresso di corpi estranei. L’aspetto clinico delle fistole metatarsali è in ogni caso alquanto
tipico, in assenza d’altre lesioni dermatologiche. L’esame citologico eviden-
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zia una flogosi di tipo piogranulomatoso sterile, alla quale può fare seguito
la comparsa d’infezioni secondarie. L’esame istologico (con campionamento bioptico profondo) è caratterizzato dalla presenza di pannicolite profonda
con aspetti purulenti, piogranulomatosi ed intensa reazione plasmacellulare.
La ricerca di anticorpi antinucleari è negativa, ed abitualmente non si osservano alterazioni nel profilo emato-chimico. In alcuni casi si è osservata la
presenza di anticorpi anticollagene tipo I e tipo II, il cui ruolo non è stato ancora definito esattamente, ma è stato posto in relazione dagli autori1,2 con la
possibile trasmissibilità familiare della malattia e con una costante selezione
di soggetti caratterizzati da particolare postura angolata e bassa degli arti posteriori, che favorirebbero microtraumi sulla zona dei tessuti molli sopra il
cuscinetto maggiore (con una maggiore incidenza delle lesioni nei maschi).5
La rimozione chirurgica delle fistole determina un miglioramento temporaneo, ma non consente di evitarne la recidiva. Per la terapia sono stati impiegati vari tipi di farmaci: vitamina E ad alto dosaggio, steroidi a dosi immunosoppressive o associazione di tetracicline e niacinamide, la ciclosporina e
recentemente in modo aneddotico il tacrolimus topico. L’unica razza, oltre al
Pastore Tedesco, in cui è stato segnalato6 un problema simile, è il Weimaraner, in un cane di 5 mesi sono state descritte lesioni fistolose metatarsali, con
citologia indicativa per flogosi piogranulomatosa ed esame colturale sterile.
Istologicamente si è osservato un danno significativo al collagene, associato
ad una flogosi neutrofilia e macrofagica, con linfociti e plasmacellule, cellule giganti plurinucleate e segni di microascessualizzazione. È il primo caso
pubblicato in cui si è dimostrato che l’uso quotidiano della ciclosporina ha
permesso di determinare remissione della malattia, con recidiva al momento
della riduzione del dosaggio.
FISTOLE PERIANALI (FP)
Le fistole perianali o foruncolosi perianale sono una malattia cronica, dolorosa e progressiva dei tessuti perianali e del retto. La malattia può colpire
cani adulti di qualsiasi età e si osserva più frequentemente nel Pastore Tedesco. Le lesioni primarie sono rappresentate da ulcere e fistole di lunghezza e
profondità variabile. I segni clinici includono la difficoltà a defecare, la costipazione, l’aumento di frequenza della defecazione, la diarrea, la difficoltà
a sollevare la coda (dolore), l’eccessivo leccamento intorno alla regione anale e segni sistemici come perdita di peso e letargia. Le diagnosi differenziali includono le neoplasie perianali, la cellulite secondaria a malattie delle
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ghiandole anali o la piodermite profonda regionale. La diagnosi si ottiene
mediante un esame istopatologico. La terapia può includere farmaci immunosoppressivi o immunomodulatori e dieta ad eliminazione. Poiché più dell’80% dei soggetti colpiti sono Pastori Tedeschi, è probabile che ci sia una
predisposizione genetica. Anche se vi sono alcuni aspetti clinici che avvicinano le FP alla malattia di Chron dell’uomo, l’eziologia e la patogenesi non
sono chiare. Uno studio ha valutato i geni del complesso maggiore di istocompatibilità che regolano la risposta immunitaria ed ha evidenziato un’associazione significativa fra la presenza di DLA-DRB* 00101 e le FP.4 Si sospetta inoltre una patogenesi immunomediata per l’infiltrato linfoplasmocitario presente, regolato dall’espressione genetica delle citochine, per la risposta clinica alla terapia con ciclosporina e per la forte associazione genetica con l’allele DLA-DRB* 00101.7 Secondo gli autori Bames et al, data la
prossimità del gene TNFA (gene che codifica la proteina TNF-alfa) con
DLA-DRB* 00101 nel complesso maggiore di istocompatibilità canino insieme al forte “Linkage disequilibrium” osservato attraverso questa regione,
l’associazione alla malattia primaria potrebbe interessare un altro locus genico.8 I ricercatori hanno investigato sulla presenza di FP e polimorfismo del
gene TNFA nei Pastori Tedeschi. Gli aplotipi di questi locus genetici sono
stati testati su casi affetti e non affetti da FP. La suscettibilità a FP nel Pastore Tedesco è primariamente associata con DLA-DRB* 00101 e ogni associazione con TNFA locus è secondaria, ed è probabilmente così a causa di LD.8
In uno studio9 si è investigato sulla funzione deficitaria dei geni PRR (Pattern recognition receptor) in caso di FP. Questi recettori sono importanti elementi del sistema immunitario innato e consentono un’identificazione rapida dell’infezione.
L’indagine ha valutato la localizzazione cromosomica e le sequenze d’alcuni geni (NOD1 e 2 e TLR 1,2,4,5,6,9) mediante marker per microsatelliti.
Tale studio non ha dimostrato differenza significativa fra il polimorfismo genetico di PRR e la presenza di FP. Il genotipo ristretto PRR osservato in questa razza può condizionare la risposta immunitaria innata. Un altro studio
dello stesso autore ha evidenziato in soggetti affetti da FP che una possibile
disfunzione dei geni NOD2 espressi dalla linea cellulare di mononucleati e
macrofagi sono coinvolti nella patogenesi delle FP.10 Recentemente è stata
segnalata la presenza di fistole perianali in cani con reazioni avverse al cibo
(RAC). In uno studio eseguito in Italia, all’Università di Milano, si è evidenziata la prevalenza di problemi dermatologici in caso di RAC nel 12% dei
casi. In particolare, un’associazione con le fistole perianali è stata osservata
solo nei Pastori Tedeschi.11
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PIODERMITE PROFONDA DEL PASTORE TEDESCO (PP)
Si tratta di una malattia idiopatica che colpisce il Pastore Tedesco e razze
correlate, caratterizzata da lesioni cutanee diffuse (piodermite profonda), da
buona risposta alla terapia antibiotica, ma da periodiche recidive. È stata ipotizzata una predisposizione familiare ed una trasmissione genetica della malattia (si sospetta una trasmissione autosomica recessiva)11. In letteratura, studi
condotti su piccoli gruppi di cani hanno evidenziato un difetto nell’immunità
cellulo mediata.11,12,13 La valutazione di una reazione agli stafilococchi era stata ricercata da Wisselink negli anni ‘90, con test intradermici a base di estratti
di Staphylococcus intermedius. L’autore aveva dimostrato che, in corso di PP,
non vi è una reazione da ipersensibilità all’antigene batterico e neanche anomalie nella produzione di immunoglobuline o di complemento.13 L’eziopatogenesi è dunque poco chiara. Storicamente si è considerato il difetto immunitario (aberrante risposta delle immunoglobuline e linfocitaria, diminuzione di
linfociti T nei tessuti infiammati, squilibrio nel rapporto CD4+/CD8+, difetto
dei linfociti T Helper); successivamente si è posto l’accento su una esagerata
reazione infiammatoria che si scatena conseguentemente all’infezione batterica stafilococcica e che suggerisce una risposta tissutale anomala, indotta da citochine ed altri mediatori della flogosi.15,16 La piodermite profonda può manifestarsi in modo localizzato (area ischiatica, dorso, inguine) o diffuso, con lesioni che tendono ad essere generalizzate, con coinvolgimento podale, del
tronco ed a volte anche dell’area facciale (perioculare). La cute è interessata da
lesioni ulcerative e crostose con alopecia o presenza di peli conglutinati. Si
evidenziano inoltre papule, pustole emorragiche e foruncoli, alternati a zone
iperpigmentate. L’animale manifesta spesso, dolore alla palpazione delle aree
interessate e talvolta prurito. La malattia compare prevalentemente in cani
adulti. Nelle forme ad andamento cronico vi è linfoadenomegalia, letargia, abbattimento e disoressia. Vanno escluse tutte le cause di piodermite profonda,
mediante multipli raschiati cutanei e con la ricerca dermatofiti. L’esame citologico evidenzia un’infiammazione purulenta, in cui raramente si osservano
batteri, e la concomitante presenza di istiociti, plasmacellule, volte di granulociti eosinofili. L’esame batteriologico è importante per determinare la sensibilità agli antibiotici. La biopsia cutanea può servire ad escludere una demodicosi occulta, soprattutto in caso di lesioni podali. L’esame istologico è caratterizzato da ampie bolle emorragiche e lesioni pustolose granulocitarie che coinvolgono derma ed ipoderma ed occupano lo spazio interfollicolare. Può essere consigliato un profilo ematologico di base per escludere concomitanti patologie metaboliche ed una valutazione sierologica per la ricerca di agenti infet-
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tivi.15 Si prospettano inoltre esami di screening per la valutazione di T4 basale, FT4, TSH, al fine di escludere un concomitante ipotiroidismo. Se si rileva
persistenza di prurito dopo adeguato trattamento antibiotico, può essere considerata la necessità di esplorare le malattie allergiche. La maggior parte degli
animali malati, nonostante l’esclusione di tutte le cause predisponenti, tende ad
avere ricadute periodiche, ma può avere una buona qualità di vita con la terapia antibiotica di mantenimento a vita. La mancanza di un adeguato controllo
della malattia può derivare dall’uso di steroidi, da un cattivo impiego degli antibiotici o da malattie associate che compromettono il sistema immunitario del
soggetto. Si consiglia di tosare l’animale per facilitare la disinfezione topica
della lesioni e l’applicazione di shampoo, schiume, lozioni ad attività antibatterica. L’antibiotico è impiegato in una prima fase in modo continuativo per 812 settimane ovvero almeno due settimane oltre la guarigione clinica.17 Dopo
questa fase, in passato si impostava la terapia pulsatile ovvero la somministrazione d’antibiotici intermittente o per due-tre giorni la settimana, o a settimane alterne, a vita. Ora, in relazione all’insorgenza di ceppi batterici resistenti,
l’attenzione è rivolta all’uso di lisati batterici od autovaccini e al mantenimento della remissione delle lesioni ulcerative con ciclosporina sistemica. La gestione del paziente è complessa e richiede un proprietario attento, scrupoloso
e motivato. A causa dell’ereditarietà autosomico recessiva vanno esclusi dalla
riproduzione i soggetti affetti e i loro parenti.12
CONCLUSIONE
La patogenesi di queste tre malattie non è ancora stata pienamente compresa, tuttavia la ricerca genetica sembra promettente nell’identificare alterazioni del sistema immunitario innato. Il filo conduttore che lega i tre processi è identificabile con la familiarità e l’ereditarietà osservata in questa razza
per queste tre manifestazioni cliniche, la risposta a terapie con immunomodulatori e terapie immunosoppressive, nonché l’aspetto istopatologico delle lesioni. Sembra dunque più probabile, alla luce degli studi attuali, un difetto genetico, che può essere polimorfo e non necessariamente uguale nelle tre malattie, ma che è ugualmente responsabile dell’alterata risposta immunitaria.
L’infezione batterica nella PP del Pastore Tedesco non sembra esserne la vera causa. Rappresenta piuttosto un evento scatenante la successiva cascata infiammatoria, a sfondo quasi “autoimmunitario”. La PP del Pastore Tedesco
non appare come una vera piodermite in “sensu stricto” ed a supporto di ciò,
vi sarebbero le osservazioni cliniche aneddotiche d’uso della ciclosporina per
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il controllo di fistole perianali, fistole metarsali e piodermite profonda in soggetti in cui le tre malattie sono concomitanti.
BIBLIOGRAFIA
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a case report. JSAP 22:635-9, 1981.
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14th ESVD/ECVD meeting Pisa, 1997.
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secondary to linkage disequilibrium with DLA-DRB1*. Tissue antigens 73:218-24, 2009.
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Shepherd dog pyoderma (GSP). Vet Immunol Immunopathol 49:189-98, 1995.
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in collaborazione con SCIVAC
Fabia Scarampella
Med Vet, Dipl ECVD, MSc
Studio Dermatologico Veterinario
Via Sismondi 62, 20133 Milano
[email protected]
Approccio diagnostico
alle pododermatiti nodulari
interdigitali del cane
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 10.40
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INTRODUZIONE
Le estremità distali degli arti del cane sono distretti cutanei relativamente
complessi in cui sono presenti strutture specializzate con caratteristiche anatomiche diverse dalla cute normale. Le diversità anatomiche determinano una
diversa predisposizione alle malattie e la presenza di quadri clinici peculiari.
Ai fini dell’iter diagnostico, è quindi importante differenziare le pododermatiti in base alla sede colpita, in particolare la cute interdigitale, i cuscinetti
plantari, le unghie e i letti ungueali.
Nella seguente presentazione affronteremo l’approccio diagnostico alle
pododermatiti che colpiscono la cute interdigitale. Ci soffermeremo in particolare su quelle che si presentano con papule e noduli (pododermatiti papulonodulari interdigitali), che rappresentano un problema diagnostico e terapeutico comune e spesso frustrante nella pratica clinica.
QUADRI CLINICI
La pododermatite interdigitale è un problema frequente nel cane e può essere associata a molte malattie diverse che, nella maggior parte dei casi, causano lesioni anche in altri distretti cutanei1. Quando la localizzazione del problema è limitata alla cute interdigitale l’approccio diagnostico è facilitato da
una lista di diagnosi differenziali decisamente più corta.
Non è riportata una predisposizione di sesso o di razza sebbene le razze a
pelo corto come i Boxer, i Bulldog e i Bull terrier siano quelle più rappresentate negli articoli che trattano di questa condizione1.
I segni clinici iniziali più comunemente osservabili in corso di pododermatite interdigitale comprendono eritema, prurito, scaglie, comedoni e inspessimento della cute interdigitale dorsale e ventrale palmo-plantare1. Più raramente, il primo segno clinico può essere rappresentato dalla comparsa esclusiva di papule o noduli dermici solitamente simmetrici e variabilmente associati a prurito.
Se la causa di queste lesioni primarie non è controllata il quadro clinico
può complicarsi più o meno rapidamente, con una sequela di lesioni che sono l’espressione della piodermite secondaria, in particolare alopecia, iperpigmentazione, papule, noduli, bolle emorragiche e tragitti fistolosi.
Nella tabella 1 sono riportati i principali quadri clinici osservabili nel cane in corso di pododermatite interdigitale, le diagnosi differenziali più probabili e gli esami preliminari indicati per ciascun problema.
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TABELLA 1
Quadro clinico
principale
Diagnosi differenziali
Esami diagnostici
Prurito ed eritema
Dermatiti allergiche
(dermatite atopica,
reazioni avverse a cibo,
dermatite da contatto,
reazioni avverse a
farmaci), sovracrescita
di Malassezia,
dermatite da Candida,
dermatiti parassitarie
(Pelodera strongyloides,
trombiculiasi),
pododermatite
idiopatica
(linfoplasmacellulare)
Raschiati cutanei, test
con nastro adesivo,
esami citologici, trial
terapeutico con
antiparassitario, iter
diagnostico per
dermatiti allergiche,
biopsia cutanea
Dermatite
desquamativa (scaglie,
manicotti follicolari e
comedoni)
Sovracrescita di
malassezia, demodicosi,
leishmaniosi, adenite
sebacea, dermatofitosi,
dermatosi zincoresponsiva, difetti di
cheratinizzazione,
comedoni e cisti
follicolari
Esami microscopici dei
peli, raschiati cutanei,
esame con lampada di
Wood, esame citologico
delle scaglie, esame
colturale per
dermatofiti, esami
emato-chimici-urinari,
sierologie per
leishmaniosi e test di
funzionalità tiroidea,
biopsia cutanea
Dermatite papulonodulare
(variabilmente associata
a bolle emorragiche,
erosioni, ulcere e
tragitti fistolosi)
Piodermite profonda,
reazione da corpo
estraneo, demodicosi e
piodermite, infezione
fungina profonda,
leishmaniosi, pio
granulomi sterili, cisti
follicolari,
pododermatite
idiopatica
Esami microscopici dei
peli, raschiati cutanei,
esame citologico,
esame colturale e
antibiogramma, esami
emato-chimici-urinari,
sierologie per
leishmaniosi e test di
funzionalità tiroidea,
biopsia cutanea
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APPROCCIO DIAGNOSTICO ALLA PODODERMATITE
PAPULO-NODULARE
Nella maggior parte dei casi la pododermatite papulo-nodulare è l’espressione clinica di una foruncolosi che segue la rottura dei follicoli piliferi interdigitali. Le cause più comuni di questo problema sono rappresentate da traumi cronici di varia natura, dall’evoluzione di un processo infiammatorio follicolare (follicolite batterica, demodicosi e, raramente, dermatofitosi) e dalla
rottura di cisti follicolari2. Meno frequentemente le lesioni nodulari sono causate da corpi estranei, da processi infiammatori granulomatosi/piogranulomatosi sterili e infettivi (leishmaniosi e micobatteriosi atipiche) e da neoplasie.
La pododermatite si definisce infine idiopatica nei casi in cui non è possibile
identificare e rimuovere la causa primaria1.
Le pododermatiti papulo-nodulari sono nella maggior parte dei casi problemi cronici cui contribuiscono, oltre alla causa primaria originale, infezioni batteriche secondarie e fattori perpetuanti come la fibrosi e la reazione tissutale alla cheratina dei peli che si liberano nel derma dopo la rottura dei follicoli. In questi casi l’iter diagnostico è complesso e deve tener conto dei molteplici fattori che contribuiscono alla patogenesi delle lesioni.
In generale nei casi di pododermatite papulo-nodulare l’approccio diagnostico consigliato è il seguente:
• Escludere per prime, anche se meno probabili, le cause infettive mediante:
a. Raschiati cutanei ed esami microscopici dei peli per confermare o
escludere la presenza di acari del genere Demodex spp.;
b. Esami citologici del materiale prelevato per apposizione dalla cute interdigitale per confermare o escludere la presenza di un’infezione da
Candida spp. o la sovracrescita di Malassezia spp.;
c. Esame citologico ed esame colturale con antibiogramma del materiale prelevato per agoaspirazione da un nodulo o da una bolla emorragica intatta.
• Indagare la presenza di malattie sistemiche che potrebbero essere causa diretta o indiretta delle lesioni podali eseguendo:
a. Profilo emato-chimico-urinario completo;
b. Test di funzionalità tiroidea;
c. Esami sierologici per la diagnosi di leishmaniosi ed ehrlichiosi.
• Nel caso non sia possibile identificare malattie metaboliche, parassitarie o
infettive con questi esami e nel caso le lesioni nodulari regrediscano con
terapia antibiotica specifica ma persistano prurito, eritema e ispessimento
della cute interdigitale si consiglia di impostare:
a. Iter diagnostico per le dermatiti allergiche.
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• Nel caso non sia possibile identificare malattie metaboliche, parassitarie o
infettive con questi esami o nel caso le lesioni persistano nonostante la terapia antibiotica mirata è consigliabile eseguire prelievi bioptici in anestesia generale per:
a. Esame dermatopatologico;
b. Esame colturale del tessuto profondo;
• Se le lesioni istologiche sono compatibili con foruncolosi batterica e sono
stati identificati patogeni con le colorazioni speciali sul tessuto (PAS,
Gram, Zhiel-Neelsen) o isolati patogeni nel tessuto profondo:
a. Procedere con la terapia antibiotica mirata.
• Se le lesioni istologiche sono compatibili con cisti follicolari2 con o senza
foruncolosi:
a. Considerare la possibilità della terapia chirurgica o con laser.
• Se le lesioni istologiche sono compatibili con pododermatite idiopatica
(linfoplasmacellulare)3 o con granuloma/piogranuloma sterile e non sono
stati isolati patogeni:
a. Richiedere test specifici per la diagnosi di leishmaniosi sul tessuto (Immunoistochimica specifica e/o PCR).
• Se i risultati dei test specifici sul tessuto sono negativi:
a. Valutare la risposta alla terapia immunomodulatrice (doxiciclina, corticosteroidi o ciclosporina).
BIBLIOGRAFIA
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2. Duclos DD, Hargis AM, Hanley PW, Pathogenesis of canine interdigital palmar and plantar comedones and follicular cysts, and their response to laser surgery. Vet Dermatol
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Chiara Noli
Med Vet, Dipl ECVD
Servizi Dermatologici Veterinari, Peveragno (CN)
www.servizidermavet.it
[email protected]
Reazioni avverse a farmaci
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 11.50
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DEFINIZIONE
La reazione avversa ad un farmaco è una qualsiasi conseguenza non programmata e non desiderata derivata dalla sua somministrazione.
PATOGENESI
Le reazioni avverse a farmaci si possono dividere in due categorie principali. La prima comprende gli effetti farmacologici indesiderati del farmaco
(per esempio, vomito con cefalosporine somministrate per via orale o atassia
in seguito alla somministrazione di ivermectina nel cane), la seconda gli effetti tossici. Questi ultimi sono imprevedibili e di natura idiosincrasica; non
sono né dipendenti dalla dose, né associati ad alcuna delle azioni farmacologiche e possono manifestarsi quale risultato di meccanismi immunologici o
non immunologici. Nelle reazioni di tipo immunomediato sono state osservate ipersensitività di tipo I–II e III.
TIPO I - DIPENDENTE DA IgE
Le reazioni immediate si presentano con prurito, orticaria e/o shock anafilattico. L’orticaria è una reazione di ipersensibilità mediata da IgE, con liberazione di mediatori vasoattivi mastocitari. La reazione è rapida ed in genere
scompare nel giro di poche ore (massimo 24 ore) e risponde bene alla somministrazione di glucocorticoidi.
TIPO II - CITOTOSSICA
Questo tipo di reazione provoca anemia emolitica, trombocitopenia, lupus
eritematoso sistemico, polimiosite, nefropatia tubulare ed epatite. Le reazioni
possono persistere anche dopo la sospensione del farmaco e necessitano di
una terapia permanente.
Il farmaco o un immunocomplesso si lega alla membrana cellulare e rende la cellula suscettibile alla citotossicità mediata da anticorpi o da linfociti,
con la conseguente lisi cellulare. Le reazioni cutanee di questo tipo più frequenti sono le reazioni vescicolo-pustolose simil-pemfigo, simil-lupus, similmalattie vescicolose della giunzione dermo-epidermica e il complesso eritema multiforme-necrosi tossica dell’epidermide.
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TIPO III - DIPENDENTE DA IMMUNOCOMPLESSI
La deposizione di immunocomplessi nelle membrane filtranti provoca
l‘attivazione del complemento. I sintomi che ne derivano comprendono febbre, artrite, nefrite, edema ed eczemi orticarioidi o papulari (malattia da siero) e vasculite. Le lesioni si sviluppano dopo almeno 6 giorni dalla prima
esposizione al farmaco, il tempo necessario per la produzione degli anticorpi.
Fra i farmaci associati a questo tipo di reazione vi sono le penicilline, i sulfamidici, la streptomicina e l‘itraconazolo.
La vasculite è un processo infiammatorio a carico dei vasi, più frequentemente delle venule post-capillari del derma. Questa reazione causa necrosi
delle cellule endoteliali, obliterazione del vaso, diatesi emorragica, ipossia e
necrosi tissutale.
Sintomi clinici sono la porpora (macule rosso-violacee che non scompaiono con la diascopia), ecchimosi, petecchie e bolle emorragiche. Inoltre si
possono avere necrosi, ulcere e croste dei tessuti dovute all’ipossia. La necrosi in genere coinvolge le estremità del corpo, per esempio le punte delle orecchie, la punta della coda, le zampe, il letto ungueale ecc.
ALTRE REAZIONI E REAZIONI CON PATOGENESI
SCONOSCIUTA
Eritrodermia e reazioni esfoliative - Si tratta di un arrossamento a macule o diffuso di tutta la pelle (eritrodermia), spesso accompagnato da prurito
e/o da una reazione esfoliativa dell’epidermide. Questa reazione è stata associata a penicilline.
Prurito alla testa - Questa reazione viene segnalata soprattutto nel gatto,
associata a metimazolo, amoxicillina/acido clavulanico1 e terbinafina2.
Dermatite attinica - Una reazione dovuta a fotosensibilizzazione è stata
descritta in un gatto trattato con clofazimina per una infezione micobatterica3.
Dermatite eosinofilica - Gravi lesioni di dermatite eosinofilica simili alla
dermatite di Well’s umana, caratterizzate da eruzioni maculo-papulari persistenti, sono state descritte in un gruppo di animali trattati con farmaci per disturbi gastroenterici, e in particolare con metronidazolo4.
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FOCUS SUI SULFAMIDICI
I linfociti T riconoscono molecole di piccole dimensioni solo se legate in
modo covalente all’MHC. I sulfamidici non sono reattivi di per sé, ma hanno grandi capacità di legarsi alle proteine a seguito del loro metabolismo.
Differenze genetiche nel metabolismo dei sulfamidici possono influenzare la
predisposizione allo sviluppo di reazioni immunologiche. Vi sono tre vie metaboliche importanti per la generazione di metaboliti reattivi, e per la loro detossificazione ed eliminazione: la N-acetilazione a carico della N-acetiltransferasi, l’ossidazione da parte del citocromo P 450 e la riduzione da parte
della idrossilaminreduttasi. La prima di queste è assente in tutti i cani e questa può essere una delle cause dell’alta frequenza di reazioni avverse ai sulfamidici. Variabilità genetiche nelle altre due vie metaboliche sono responsabili di sensibilità individuali o di razza (ad esempio nei Dobemann). Uno
studio ha anche dimostrato che il sulfametossazolo può venire riconosciuto
dai linfociti T anche se non legato in modo covalente stabile al MHC, senza
neanche interagire con il TCR5. I sintomi dell’ipersensibilità ai sulfamidici
sono quelli tipici di una reazione di tipo III, quali ipertermia, reazioni cutanee, poliartropatia, epatotossicità, trombocitopenia, neutropenia e anemia
emolitica6,7. Si riportano inoltre altri effetti collaterali dose-dipendenti quali
anemia non-rigenerativa, diminuzione della funzionalità tiroidea e cheratocongiuntivite secca.
DIAGNOSI DI UNA REAZIONE TOSSICA
I criteri piú affidabili per una diagnosi di reazione avversa ad un farmaco
sono:
- anamnesi della somministrazione di un farmaco
- manifestazioni cliniche compatibili con una reazione avversa a farmaco
- in caso di manifestazioni cutanee, un aspetto istopatologico compatibile
- comparsa delle lesioni dopo un certo numero di giorni (minimo 5-7) dalla
prima somministrazione del farmaco (reazioni di tipo immunologico) o
dopo una precedente somministrazione
- risoluzione dei sintomi alla sospensione del farmaco
- possibilità di provocare la reazione con una nuova somministrazione del
farmaco (non consigliata)
- possibilità di scatenare la stessa reazione somministrando sostanze imparentate con il farmaco responsabile.
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Recentemente è stata proposta una scala di probabilità di reazione da farmaco che considera diversi fattori (tabella 1).
TAVOLA 1.
Scala di Naranjo per la probabilità di una reazione avversa da farmaco
(Naranjo CA, Busto U, Sellers EM et al. A method for estimating the probability
of adverse drug reactions. Clin Pharmacol Ther. 30(2):239-4, 1981.)
Per valutare la reazione da farmaco, rispondere alle seguenti domande e calcolare il punteggio finale:
Sì
No
Non so
1. Ci sono segnalazioni certe su questo tipo
di reazione?
+1
0
0
2. La reazione è apparsa dopo la somministrazione del
farmaco sospetto?
+2
-1
0
3. La reazione è milgiorata quando il farmaco è stato
sospeso o quando è stato somministrato un antidoto
specifico?
+1
0
0
4. La reazione avversa si è ripresentata quando il
farmaco sospetto è stato nuovamente somministrato?
+2
-1
0
5. Ci sono cause alternative (che non siano una
reazione da farmaco) che possano avere causato la
reazione?
-1
+2
0
6. La reazione è apparsa nuovamente quando è stato
somministrato un placebo?
-1
+1
0
7. Il farmaco è stato ritrovato nel sangue o in altri
liquidi corporei in concentrazioni ritenute tossiche?
+1
0
0
8. La reazione è peggiorata aumentando la dose o è
migliorata diminuendo la dose?
+1
0
0
9. Il paziente ha già avuto una reazione simile in
passato per la somministrazione dello stesso farmaco
o per un farmaco simile?
+1
0
0
+1
0
0
10. La reazione avversa è stata confermata da qualche
evidenza oggettiva?
Punteggio totale:
Interpretazione del punteggio totale:
9: altamente probabile
5-8: probabile
1-4: possibile
0: dubbia
36
Punteggio
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TERAPIA
L’unica terapia con effetto certo è la sospensione di tutti i farmaci somministrati all’animale al momento dell’eruzione. In casi gravi con coinvolgimento sistemico è indispensabile una terapia di supporto, ed è stata consigliata la somministrazione di immunoglobuline umane 1gr/kg per due giorni consecutivi8. Per diminuire la perdita di liquidi si possono ricoprire le lesioni con
garze di vaselina o medicazioni studiate per le ustioni (ad esempio contenenti argento nanocristallizato)9. In tutti i casi in cui ci siano lesioni pustolose,
crostose, erosive od ulcerate è consigliabile la somministrazione di antibiotici (di famiglia diversa dal farmaco responsabile della reazione) per la protezione da infezioni batteriche secondarie. L’uso di corticosteroidi, a parte in
caso di orticaria e malattie autoimmuni, è controverso.
BIBLIOGRAFIA
1. Scott DW, Miller WH. Idiosyncratic cutaneous adverse drug reactions in the cat: literature review and report of 14 cases (1990-1996). Fel Pract 26(4):11-15, 1998.
2. Foust AL, Marsella R, Akucewich LH, et al. Evaluation of persistence of terbinafine in
the hair of normal cats after 14 days of daily therapy, Vet Derm 18(4): 246–251, 2007.
3. Bennet SL. Photosensitization induced by clofazymine in a cat. Austr Vet J 85(9):375380, 2007.
4. Mauldin EA, Palmeiro BS, Goldschmidt MH et al. Comparison of clinical history and
dermatologic findings in 29 dogs with severe eosinophilic dermatitis: a retrospective analysis, Vet Derm 17(5):338-347, 2006.
5. Schnyder B, Mauri-Hellweg D, Bettens F, et al. Direct, MHC-dependent presentation of
the drug sulphamethoxazole to human αß T cell clones. J Clin Investig 100(1):136141,1997.
6. Noli C, Koman JP, Willemse T. A retrospective evaluation of adverse reactions to trimethoprim-sulphonamide combinations in dogs and cats, Vet Quart 17:123-128, 1995.
7. Trepanier LA, Danhof R, Toll J, et al. Clinical findings in 40 dogs with hypersensitivity
associated with administration of potentiated sulfonamides. J Vet Intern Med, 17:647652, 2003.
8. Dalli RL, Kumar R, Kennedy P et al. Toxic epidermal necrolysis/Stevens-Johnson syndrome: current trends in management, ANZ J of Surgery 77(8):671-676, 2007.
9. Trotman TK, Phillips H, Fordyce H et al. Treatment of severe adverse cutaneous drug reactions with human immunoglobulin in two dogs, J Am Anim Hosp Assoc, 42:312-320,
2006.
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Fabrizio Fabbrini
Med Vet, Dipl CES Dermatologia
Clinica Veterinaria Papiniano, Milano
Piodermiti: oltre il trattamento
antibiotico sistemico
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 12.25
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INTRODUZIONE
Nel cane, le piodermiti sono infezioni spesso riconducibili a malattie predisponenti (parassitarie, allergiche, ormonali, fungine, immunomediate, genodermatosi/difetti di cheratinizzazione) o a immunosoppressione (indotta da
farmaci/neoplasie o malattie defedanti) in grado di alterare il microhabitat cutaneo e/o i sistemi difensivi dell’ospite e di favorire la colonizzazione e l’infezione della cute da parte di batteri residenti e/o transienti1,2,3,4.
Sino a pochi anni fa, la gestione terapeutica delle piodermiti si basava sull’uso empirico di molecole attive contro Staphylococcus pseudointermedius e
si ricorreva solo sporadicamente ad esami batteriologici ed antibiogrammi.
La diffusione in Europa e anche in Italia8,12,15 di piodermiti sostenute da
ceppi di stafilococchi meticillino-resistenti (MRSA e MRSP) e/o multi-resistenti a penicilline, cefalosposporine, macrolidi, sulfamidici potenziati e fluorochinolonici richiede da parte del medico veterinario una maggior consapevolezza nell’uso dei farmaci e una oculata strategia terapeutica gestionale, da
impostare in base all’esito della citologia, alla profondità ed estensione dell’infezione e all’esame batteriologico con antibiogramma. Inoltre, esiste
un’implicazione di salute pubblica: la possibilità che si sviluppino infezioni
transienti da MRSP nell’uomo oppure il rischio della trasmissione dei geni
causali dell’antibiotico-resistenza dai ceppi di stafilococchi animali ai ceppi
umani, e viceversa10,18.
Al fine di ritardare o limitare la selezione di batteri multi-resistenti e preservare l’efficacia degli antibiotici attualmente disponibili per trattare le infezioni batteriche, sono state allestite diverse linee guida sull’uso responsabile
degli antibiotici in medicina veterinaria 5,9,14,26,27 (Figura 1).
Nonostante la gestione terapeutica delle piodermiti possa diventare problematica in presenza di antibiotico-resistenza, la maggioranza degli insuccessi
sono ancora riconducibili ad errori commessi durante l’impostazione della terapia1,3,4 :
1. Il mancato mantenimento della terapia per il tempo necessario a eliminare l’infezione è un errore frequente. Le piodermiti superficiali richiedono una durata della terapia di almeno 7-10 giorni oltre la risoluzione clinica (in media dalle 3 alle 5 settimane). “L’infiammazione di una singola
unità follicolare interrompe il ciclo di crescita dei follicoli circostanti”
(Tony Stannard). Questa affermazione aiuta a comprendere la formazione
dell’alopecia multifocale (cosi detta “a mantello tarmato”) nei cani con
piodermite. La terapia antibiotica in questi casi deve essere mantenuta almeno sino a quando il mantello inizia a ricrescere.
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Figura 1
Le piodermiti profonde richiedono un trattamento antibiotico minimo di 68 settimane. Prima di interrompere la terapia è indispensabile effettuare una
visita di controllo, tenuto conto che “le lesioni superficiali cutanee guariscono prima di quelle profonde”(Danny Scott): spesso la sola valutazione visiva
delle lesioni porta all’interruzione troppo precoce della terapia. La palpazione delle lesioni offre un metodo più sicuro: si considerano guarite solo quando lo spessore della cute lesionata è tornato normale ed è uguale a quello delle aree cutanee non lesionate circostanti.
2. Il mancato utilizzo di un dosaggio terapeutico ottimale. L’uso di antibiotici sotto-dosati, a rischio di indurre antibiotico-resistenza, si riscontra più
spesso nel trattamento di cani di grossa taglia (dove il peso del paziente è
spesso stimato e non rilevato tramite una bilancia) o quando i proprietari
utilizzano i farmaci ai dosaggi indicati nel foglio illustrativo (solitamente
più bassi di quelli impiegati nelle infezioni cutanee). In generale, le piodermiti profonde richiedono dosaggi di antibiotici più elevati, in modo da
penetrare in modo efficace in focolai di infezione difficilmente raggiungibili. Inoltre, al fine di garantire che la concentrazione antibiotica nel sito
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d’infezione sia sempre molto al di sopra della MIC (concentrazione minima inibente), è possibile aumentare il dosaggio dei chinoloni e aminoglicosidi (antibiotici dose-dipendenti) e utilizzarli alla dose più alta in una sola somministrazione giornaliera e/o aumentare la frequenza della somministrazione di penicilline, cefalosporine, macrolidi e sulfamidici (antibiotici tempo-dipendenti) da una somministrazione ogni 12 ore a una ogni 8
ore, in corso di infezioni profonde.
3. La scelta inadeguata di un antibiotico. La scelta dell’antibiotico da utilizzare, specie in presenza di infezioni superficiali ricorrenti/croniche, infezioni sostenute da bastoncelli e/o di infezioni profonde non deve mai essere fatta empiricamente, ma solo in base all’esame colturale e antibiogramma.
4. La persistenza di malattie cutanee sottostanti è la causa più frequente di
piodermiti ricorrenti/croniche nel cane: tra queste annoveriamo le malattie
allergiche (dermatite atopica, allergia alimentare, allergia alla puntura di
pulci), le malattie parassitarie (scabbia, cheiletiellosi, demodicosi), le endocrinopatie (ipotiroidismo, iperadrenocorticismo spontaneo o iatrogeno,
iperestrogenismo), le malattie seborroiche (difetti primari della cheratinizzazione e seborree secondarie), altre malattie infettive cutanee concomitanti (dermatite da Malassezia, leishmaniosi), le genodermatosi (in particolare le dermatosi ereditarie che interessano il follicolo pilifero come la
displasia follicolare, l’alopecia da diluizione del colore e l’adenite sebacea), le neoplasie occulte (carcinoma squamo-cellulare indotto dal sole e
altri tumori) e le immunodeficienze (congenite o acquisite).
5. La scarsa collaborazione da parte del proprietario è una delle cause poco riconosciute ma frequenti del fallimento della terapia. Gli antibiotici
che richiedono una sola somministrazione giornaliera hanno teoricamente
un forte vantaggio nell’esecuzione della prescrizione, rispetto a quelli che
richiedono due somministrazioni; purtroppo capita con una certa frequenza che l’orario di somministrazione (ogni 24 ore) non sia comunque rispettato. Gli antibiotici che richiedono una somministrazione di 3 o 4 volte/giorno presentano una “compliance” molto più bassa. I farmaci appetibili sono preferiti da molti proprietari, ma non sono utilizzabili in corso di
una dieta “a eliminazione” destinata a verificare la presenza o meno di reazioni avverse al cibo. Talvolta i proprietari non ritornano ai controlli stabiliti o tendono a fare dell’auto-medicazione, sospendendo o ripetendo le terapie prescritte senza il controllo del veterinario.
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STRATEGIE TERAPEUTICHE GESTIONALI
1. Limitare per quanto possibile l’uso di antibiotici sistemici, in particolare:
Ricercare le cause sottostanti le piodermiti: la rimozione/gestione delle
cause predisponenti previene/limita la comparsa delle recidive e l’uso reiterato di antibiotici sistemici. In presenza di malattie non eliminabili o non facilmente controllabili (es. malattie allergiche, difetti primari di cheratinizzazione, deficit immunitari) la terapia antibiotica sistemica non potrà mai essere risolutiva. In questi casi, a maggior ragione, si deve fare uso della terapia topica, tramite l’uso frequente di shampoo medicati, antisettici e/o di antibiotici
ad uso topico, sia in terapia che in prevenzione, tenendo conto che l’uso di antisettici e di antibiotici ad uso locale, anche su vaste aree, non sembra favorire l’insorgenza di resistenze: sono scarsamente assorbiti e agendo esclusivamente nella sede dell’infezione non selezionano ceppi resistenti in altre sedi.
Nelle piodermiti “di superficie”, come la dermatite essudativa acuta o
dermatite piotraumatica, l’intertrigine tra pliche cutanee e la “bacterial overgrowth”, dove in realtà non si ha una vera infezione ma piuttosto una eccessiva colonizzazione batterica, la sola detersione con shampoo medicati (a base di clorexidina, benzoil-perossido, lattato di etile o piroctone-olamina) e/o
l’uso di antisettici locali (a base di clorexidina 0,5-4%, iodio-povidone in soluzione acquosa 1:10 o ipoclorito di sodio al 1-2%), anche su vaste aree corporee, spesso permette di ottenere ottimi risultati.
Nelle infezioni superficiali e profonde localizzate come l’impetigine, la
follicolite piotraumatica, la piodermite muco-cutanea, la foruncolosi del mento, i calli infetti e la foruncolosi interdigitale l’applicazione locale di antisettici e/o antibiotici topici permette spesso di ottenere buoni risultati perché si
raggiungono concentrazioni farmacologiche molto elevate nel sito d’infezione. L’acido fusidico presenta particolare attività sugli stafilococchi, anche su
quelli meticillino-resistenti: in Italia vi sono diverse preparazioni (creme, unguento, gocce oculari) per applicazioni topiche al 2%, anche ad uso veterinario. La mupirocina è attiva sugli stafilococchi, anche meticillino-resistenti, e
sugli streptococchi, con l’eccezione degli enterococchi. Non presenta resistenza crociata con gli altri antibiotici. È utilizzabile solo per applicazione topica (unguento al 2%). Recentemente, in medicina umana si è rivelata di utilità per applicazioni nasali nel trattamento dei portatori di Staphylococcus aureus meticillino-resistente. La sulfadiazina argentica micronizzata ad uso topico all’1% presenta un ampio spettro antibatterico e antimicotico, in particolare contro Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter spp, Klebsiella spp,
Escherichia coli, Serratia marcescens, Proteus mirabilis, Proteus vulgaris,
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Providencia spp, Citrobacter spp, Herellea spp, Staphylococcus aureus, Staphylococcus epidermidis, Streptococcus beta-emolitico, Enterococcus (Gruppo D Streptococcus), Corynebacterium diphtheriae, Clostridium perfrigens e
Candida albicans.
Nelle piodermiti superficiali caratterizzate dalla presenza di un numero
esiguo di lesioni (esordio delle lesioni alla prima presentazione dell’infezione o delle recidive), la terapia locale a base di shampoo medicati, disinfettanti in spray/spugnature e antibiotici topici può dare buoni risultati e prevenire
la disseminazione delle lesioni.
Nelle piodermiti ricorrenti/croniche si possono utilizzare shampoo ogni 34 settimane, terapia antisettica/antibiotica locale all’esordio di nuove lesioni
e terapia immunomodulatrice tramite Staphage lysate® (Tabella 1; 0,5 ml due
volte a settimana o 1 ml alla settimana per via sottocutanea per 16-20 settimane, associata a terapia antibiotica sistemica nelle prime 6 settimane) oppure
batterine autogene.19,20 La terapia antibiotica sistemica pulsatile non è più proponibile: favorisce l’insorgenza di antibiotico- resistenza.
2. Eseguire idealmente una terapia antibiotica mirata in base all’antibiogramma:
• in presenza di piodermiti recidivanti/croniche, profonde o sostenute da
bastoncelli;
• in assenza di risposta clinica e/o comparsa di nuove lesioni dopo le prime due settimane di terapia antibiotica, anche se scelta in base ad un
antibiogramma.
Nota bene: è meglio riservare l’uso di cefalosporine di 3° o 4° generazione
e dei chinolonici solo ai casi di infezioni stafilococciche sensibili che non rispondono ad altre classi di antibiotici; la terapia empirica è proponibile solo
alla prima presentazione di piodermite superficiale generalizzata e si consiglia di utilizzare i macrolidi.
3. Valutare a intervalli regolari la risposta terapeutica: il controllo del paziente aiuta a differenziare una mancata guarigione da una recidiva. Le infezioni che si ripresentano entro 1 o 2 settimane dal termine della terapia
antibiotica probabilmente non sono riconducibili ad una recidiva, ma ad
una mancata guarigione. Ciò accade comunemente con le follicoliti superficiali. Le infezioni che si ripresentano uno o più mesi dopo la sospensione della terapia probabilmente sono vere recidive. La “piodermite profonda ricorrente” rappresenta un evento raro, a meno che non sia presente la
demodicosi od altra causa di immunodepressione sottostante.
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Tabella 1 - Farmaci utilizzabili per la gestione delle piodermiti
Amoxicillina e
acido clavulanico
Battericida ad ampio spettro
d’azione
12,5-25 mg/kg BID o TID
Segnalate reazione
da farmaco
Cefalessina
Battericida, ad ampio spettro
d’azione; +/- attivo su
Proteus/ Pseudomonas
15-30 mg/kg BID o TID
Come sopra; segnalati anche
vomito e diarrea
Cefadroxil
Come sopra
22-30 mg/kg BID o TID
(SID nei gatti)
Come sopra, facilmente
induce vomito
Cefovecina
Battericida ad ampio spettro
d’azione ma non attiva su
Pseudomonas
8 mg/kg (pari a 1 ml
ogni 10 kg)
Prodotto iniettabile SC
ad azione prolungata:
14 giorni
Ceftriaxone
Cefalosporina iniettabile di
3° generazione attiva su
gram+ e gram- come
Pseudomonas
25-50 mg/kg SID o BID
Molecola ottima ma cara
Enrofloxacina
Battericida ad ampio spettro
d’azione attivo (a dosaggi
molto alti) su Pseudomonas,
Proteus ed altri
microrganismi
5 o (10-20) mg/kg SID a
digiuno
Penetra bene nei tessuti,
veicolato dai leucociti;
segnalate alterazioni a
cartilagini articolari sotto
l’anno d’età e distacco
retinico nei gatti a dosi
> a 5 mg/kg
Pradofloxacina
Battericida ad ampio spettro
d’azione attivo
3 mg/kg SID
Penetra bene nei tessuti,
veicolato dai leucociti
Ciprofloxacina
Come sopra,
si tratta di un metabolita
dell’enrofloxacina
10-20 mg/kg SID o BID
Come sopra
Marbofloxacina
Chinolonico ad attività
simile all’enrofloxacina
2,5-5-10 mg/kg SID
Come sopra
Difloxacina
Chinolonico ad ampio
spettro d’azione
5-10 mg/kg
bid
Eritromicina
Macrolide batteriostatico a
spettro ristretto sui Gram +
10-20 mg/kg TID a stomaco
pieno
Vomito e antibiotico
resistenza crociata con altri
macrolidi (Lincomicina)
Lincomicina
Come sopra
15-25 mg/kg BID a digiuno
Come sopra
Clindamicina
Come sopra
5-10 mg/kg BID
Come sopra ma si diffonde
meglio nei tessuti
Tilosina
Come sopra
10-20 mg/kg BID
Come sopra
Doxiciclina
Tetraciclina attiva su
micobatteri, Ehrlichia,
Borrelia, Rickettsia
5-10 mg/kg SID o BID
Può intaccare ossa e denti
di animali in accrescimento
Rifampicina
Attivo su stafilococchi,
streptococchi e micobatteri
5-10 mg/kg SID o BID
Utile nelle lesioni profonde
in associazione ad altre
molecole; epatotossica,
induce rapidamente
resistenza
continua
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segue
Tabella 1 - Farmaci utilizzabili per la gestione delle piodermiti
Claritromicina
Attiva su stafilococchi,
streptococchi e micobatteri
5-10 mg/kg BID
Azitromicina
Primariamente gram+
5-15 mg/kg BID
Si concentra nel citoplasma
cellulare
Levamisolo
Immunomodulatore attivo
nel 10% delle piodermiti
ricorrenti
2,2 mg/kg/48h
Reazione da farmaco,
diarrea, vomito e discrasie
ematiche
Cimetidina
Come sopra
6-10 mg/kg TID
Rari effetti collaterali,
si dà a vita
Staphage Lysate
(Delmont Laboratories,
Swarthmore, PA)
Batterina stafilococcica
capace di stimolare
l’immunità cellulomediata e
umorale. Prodotta dalla lisi
di Staphylococcus aureus
0,5-1,5 ml SC
1-2 volte alla settimana x 20
settimane, poi 1 volta alla
settimana Il trattamento se
efficace va continuato per
tutta la vita dell’animale
4. Di fronte a un fallimento terapeutico, è indicato riconsiderare la diagnosi iniziale e/o lo sviluppo di complicanze. Ci sono altre malattie cutanee
vescicolo-pustolose non batteriche come il pemfigo foliaceo che non rispondono alla terapia antibiotica; inoltre, durante la terapia è possibile che
talvolta si sviluppi una reazione da farmaco.
5. In corso di piodermiti sostenute da MRSA/ MRSP o di batteri multi-resistenti: utilizzare come terapia sistemica, e solo in base alla sensibilità all’antibiogramma:
• Doxiciclina/Minociclina a 5-10 mg/kg per via orale ogni 12-24 ore
(possibili vomito e/o diarrea);
• Rifampicina a 5-10 mg/kg per via orale ogni 12 ore in associazione ad
altro antibiotico (possibili vomito e/o diarrea, epatotossicità, urine color rosso-arancio);
• Amikacina a 15 mg/kg per via sottocutanea ogni 24 ore (nefrotossico e
ototossico);
• Cloramfenicolo a 25-50 mg/kg per via orale ogni 8 ore (possibili miopatia e anemia aplastica).
In alternativa, è possibile applicare su tutta la superficie corporea disinfettanti (ipoclorito di sodio 1-2%) o antibiotici in spray (amikacina 1%: fiala da
250 mg/ml diluita 1:24 in soluzione fisiologica oppure acido fusidico al 2%
in soluzione idroalcolica) ogni 8-12 ore 24,25.
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TERAPIA TOPICA
La terapia topica è d’aiuto in tutte le infezioni batteriche in quanto rimuove ed uccide i microrganismi e permette di ridurre la durata della terapia sistemica (o la rende superflua). È indicata in profilassi, per prevenire recidive,
e durante il trattamento delle forme superficiali e profonde1,3,4,25,26. Raramente induce antibiotico-resistenza e presenta effetti collaterali minimi.
1-Terapia topica ad uso generalizzato a base di antisettici come clorexidina 0,5-4%, piroctone olamina, benzoil-perossido 2,5%, etil-lattato, acido borico, acido malico, iodio-povidone in soluzione 1:10, ipoclorito di sodio 12%, oppure amikacina, acido fusidico o sulfadiazina argentica sotto forma di
shampoo, spugnature e spray.
2-Terapia topica ad uso localizzato a base di antisettici (iodio-povidone,
clorexidina) o antibiotici (acido fusidico, bacitracina 500 U/g, neomicina 3-5mg/g, polimixina B 5.000-10.000 U/g; gentamicina, mupirocina, novobiocina, sulfadiazina argentica, gramicidina) sotto forma di gel, lozione, pomata/
crema o salviette medicate.
Consigli utili
• È sempre indicato rilasciare ai proprietari istruzioni scritte, chiare e
concise, su come eseguire correttamente la terapia.
• È consigliabile toelettare o tosare il paziente prima di sottoporlo a
shampoo medicato in modo da eliminare nodi, essudato, croste, e/o un
mantello troppo folto (altrimenti di difficile gestione).
• Al fine di risparmiare i prodotti medicati, è possibile far precedere a
questi un semplice shampoo detergente atto ad eliminare lo sporco e i
detriti presenti sul mantello.
• Ogni shampoo presenta specifiche modalità d’uso che devono essere rispettate. La maggioranza richiede un tempo medio di contatto di almeno dieci minuti, durante i quali il paziente deve essere massaggiato o
frizionato. Il risciacquo deve durare altrettanto, in modo da eliminare
dalla cute i residui del prodotto utilizzato.
• In seguito alla fase di risciacquo sono sempre indicati i reidratanti/
emollienti.
• La frequenza e durata della shampoterapia è variabile da caso a caso,
in linea di massima nel primo mese si possono eseguire due o più bagni a settimana, riducendo poi gradualmente la frequenza di mantenimento all’intervallo più lungo efficace (da uno alla settimana a uno
ogni due-quattro settimane).
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Figura 2
• Durante il periodo in cui si sottopone il paziente a shampoterapia è necessario applicare i prodotti antiparassitari esterni più frequentemente.
Linee guida FECAVA relative a Igiene e controllo delle Infezioni in medicina Veterinaria:
1. lavare e disinfettare le mani
2. lavare e disinfettare i locali (Figura 2)
3. usare i guanti
4. indossare indumenti protettivi
5. addestrare il personale
6. educare i proprietari
7. gestione dei rifiuti
8. lavare indumenti e lettiere
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Luisa Cornegliani
Med Vet, Dipl ECVD, Milano
Lesioni
granulomatose/piogranulomatose
cutanee nodulari sterili e non
sterili nel cane:
come formulare la diagnosi
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 14.30
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LE LESIONI GRANULOMATOSE/PIOGRANULOMATOSE
CUTANEE NODULARI: DESCRIZIONE CLINICA
ED ISTOLOGICA
In dermatologia veterinaria, per nodulo si intende una lesione clinicamente visibile, caratterizzata da un elevazione solida e circoscritta delle dimensioni superiori a l centimetro, che generalmente si estende negli strati più profondi della cute1. Lesioni inferiori a tale diametro prendono il nome di papule. L’epidermide che riveste il nodulo può essere integra, alopecica, ulcerata,
con fistole, ecc., in base all’età della lesione e all’agente eziologico. Ogni singolo animale può presentare noduli singoli o multipli secondo la malattia in
atto, come riportato in tabella 1. In alcuni casi il segnalamento, l’anamnesi, la
localizzazione topografica e la morfologia della lesione possono suggerire la
possibile eziologia, ma resta fondamentale l’uso degli esami complementari
per la diagnosi.
Talvolta, le dermatiti nodulari vengono diagnosticate con l’esame istopatologico anche se clinicamente non si osservano noduli. Le malattie nodulari
o diffuse, granulomatose e piogranulomatose del derma, sono caratterizzate
da infiammazione multifocale nodulare che tende a confluire in un pattern di
TABELLA 1 - Agenti eziologici e diagnosi differenziali
delle lesioni nodulari cutanee non neoplastiche
Infezioni batteriche
Ascessi, calli, infezioni batteriche
atipiche (es. botriomicosi),
granulomi da leccamento
Infezioni fungine
Dermatofitosi nodulare
Micosi sottocutanee
(es. pseudomicetoma)
Micosi sistemiche (es. criptococcosi)
Infezioni parassitarie
Filariosi cutanea, leishmaniosi nodulare,
miasi nodulare
Sterili e/o da corpo estraneo
Calcinosis circumscripta o cutis,
dermatofibrosi nodulare, granuloma
eosinofilico canino,
piogranuloma/granuloma sterile (SPGS),
reazione da corpo estraneo
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tipo diffuso. L’infiltrato infiammatorio a carattere diffuso tende ad oscurare la
normale struttura del derma e può estendersi al sottocute2. Istologicamente,
l’infiltrato granulomatoso è costituito principalmente da macrofagi e possono
essere presenti cellule giganti, con formazione o meno di granulomi. Quando
l’infiltrato è piogranulomatoso, la componente cellulare predominante è costituita da neutrofili, anche se possono essere presenti numerosi macrofagi2,3.
È importante ricordare che il pattern granulomatoso o piogranulomatoso non
necessariamente corrisponde alla presenza concomitante di granulomi o piogranulomi nel derma2,3.
Queste lesioni possono essere di natura infettiva o sterile. Esiste anche una
terza categoria, l’istiocitosi reattiva, caratterizzata da un infiltrato dermico da
nodulare a diffuso composto di cellule dermiche dendritiche che si aggregano come a simulare un tumore2,3,4. Se all’esame istopatologico può essere diagnosticata una dermatite granulomatosa o piogranulomatosa da nodulare a
diffusa, la cute può presentare clinicamente alopecia, iperpigmentazione, seborrea, presenza di scaglie o ispessimento, croste e ulcere, ma non noduli o
papule1,2. Questo è uno dei motivi per cui spesso vi sono incomprensioni tra
clinico e patologo, per la differenza di significato che è applicato alla terminologia impiegata.
Nel cane, le malattie caratterizzate da un pattern istopatologico di dermatite granulomatosa/piogranulomatosa nodulare o diffusa, sono generalmente
divise in due gruppi: malattie infettive e non infettive o sterili (tabella 1)4,5,6.
Comunemente vengono suddivise in quattro sottogruppi: infezioni con agente eziologico visibile all’esame istologico; infezioni con agente eziologico
non visibile all’esame istologico; non indotti da infezione e con agente eziologico presente (es. corpo estraneo); non indotti da un agente infettivo con
meccanismo eziologico di origine immuno-mediata (es. dermatite idiopatica
sterile)7.
APPROCCIO DIAGNOSTICO
Come per tutte le visite dermatologiche, si inizia dalla raccolta dei dati
clinici, si passa attraverso l’esame obiettivo generale e particolare, si identificano le lesioni cutanee e si formula la lista delle diagnosi differenziali.
In base a queste poi si eseguono gli esami complementari. Quando la lesione nodulare è clinicamente evidente, può essere più facile seguire l’algoritmo diagnostico per i noduli riportato in tabella 2. Gli esami di laboratorio
utilizzati per escludere e/o accertare l’eziologia della lesione cutanea nodu-
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TABELLA 2 - algoritmo diagnostico semplificato per la diagnosi
delle lesioni nodulari cutanee
lare sono: esame citologico per apposizione o ago infissione, esame colturale batteriologico e micologico, esame istopatologico con colorazione EE
(ematossilina eosina) e speciali (ZN, PAS, Gram, ecc), PCR, RT-PCR, immunocitochimica e immunoistochimica e sierologia infettivistica da campione ematico del paziente. Questi esami consentono di formulare la diagnosi e differenziare tra nodulo neoplastico, infettivo e/o sterile1. Se la lesione nodulare è clinicamente evidente, è facile per il clinico eseguire un
esame citologico, per ago fine o apposizione, ed avere alcune indicazioni
sulla possibile eziologia.
In ogni caso è utile conservare alcuni campioni non colorati per eventuali successive colorazioni speciali o immunocitochimiche.
Quando i primi esami sono inconclusivi, si eseguono le biopsie il cui esito è di lesione granulomatosa e/o pio granulomatosa, se non è evidente un
agente eziologico alla colorazione EE. In questo caso è necessario rivalutare bene l’anamnesi e gli eventuali esami complementari già effettuati (es.
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sierologia infettivistica, esami citologici) per discutere poi con il patologo
le indagini supplementari istologiche. In linea generale, si inizia con le colorazioni per la ricerca di funghi (PAS) e batteri acido resistenti (Ziehl-Neelsen e FITES), o all’immunoistochimica. In alcuni casi è necessario eseguire nuove biopsie per inviare i campioni cutanei freschi o congelati. È utile, oltre alle colorazioni speciali, eseguire PCR e immunoistochimica per
Leishmania spp. e Mycobacterium spp. che possono sfuggire alla lettura
dell’esame istopatologico7,8. Talvolta, è difficile differenziare istologicamente le forme neoplastiche da quelle sterili. In questi particolari casi è necessario adottare CD (cluster of differentiation, ovvero gruppi di anticorpi
monoclonali che identificano lo stesso marker cellulare di superficie) specifici per escludere/confermare la presenza, per esempio, di istiocitosi reattiva o maligna.
L’uso di CD specifici nelle metodiche di immunocitochimica e immunoistochimica, fornisce la possibilità di identificare nella maggiore parte dei
casi l’immunofenotipo cellulare; questo consente di distinguere le neoplasie dalle lesioni reattive/infiammatorie sterili. Il principale problema di queste metodiche è l’eventuale mancanza di CD specifici per la specie oggetto
di studio o la necessità di campioni freschi. Eseguire un nuovo campionamento istologico dall’animale malato richiede una nuova procedura che, anche se non invasiva, può essere rifiutata dal proprietario. Per questo motivo, è consigliabile conservare sempre vetrini di citologia ottenuti per apposizione dai campioni istologici, da poter poi valutare con l’immunocitochimica.
Una lesione nel derma superficiale e profondo di tipo granulomatoso/piogranulomatoso da nodulare a diffuso è spesso di difficile interpretazione come singolo referto e richiede dati anamnestici, clinici e di laboratorio supplementari per la diagnosi.
CONCLUSIONI
La diagnosi di “certezza” di lesione sterile si ottiene sostanzialmente solo
per esclusione di tutte le altre cause e spesso in seguito alla risposta clinica alla terapia medica immunosoppressiva. Da qui la necessità di applicare un approccio multidisciplinare per formulare una diagnosi corretta, tramite l’impiego simultaneo di clinica, citologia, istologia, esami colturali, biologia molecolare, ecc.
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Silvia Colombo
Med Vet, Dr Ric, Dipl ECVD, Legnano (MI)
Adenite sebacea
nel cane e nel gatto
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 15.05
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ADENITE SEBACEA NEL CANE
Introduzione
L’adenite sebacea (AS) è una malattia di poco frequente riscontro e ad
eziologia sconosciuta, nella quale le ghiandole sebacee (GS) vengono interessate da un processo infiammatorio granulomatoso o piogranulomatoso sterile
e progressivamente distrutte, lasciando intatti gli altri annessi cutanei. La perdita di funzionalità delle GS comporta la mancanza del loro secreto e quindi
la progressiva secchezza di cute e mantello, che si manifestano clinicamente
con esfoliazione, pelo secco e con la formazione di manicotti follicolari. La
progressione della malattia causa anche alopecia, probabilmente in seguito alla mancata separazione della guaina radicolare interna dal fusto del pelo, processo per cui è indispensabile la secrezione delle GS. Le alterazioni follicolari rendono i soggetti colpiti particolarmente predisposti ad infezioni batteriche secondarie.1 La causa della malattia non è nota e sono state proposte quattro ipotesi patogenetiche. L’AS potrebbe insorgere in seguito ad una reazione
immunomediata, ipotesi supportata dalla presenza del processo infiammatorio granulomatoso o piogranulomatoso. L’attacco diretto verso le GS sarebbe
mediato da linfociti T CD8+ (citotossici) e forse da linfociti T CD4- e CD8e non sono stati evidenziati autoanticorpi circolanti o legati ai tessuti.2 In alcune razze esiste una chiara predisposizione per la malattia e, nel Barbone gigante3 e nell’Akita inu4, è stato proposto un meccanismo di ereditarietà autosomico recessivo. La malattia potrebbe anche insorgere in seguito ad un difetto di corneificazione follicolare con ostruzione dei dotti delle GS, a cui
conseguirebbe l’infiammazione. Infine, la causa delle alterazioni descritte potrebbe essere un’anomalia del metabolismo lipidico.5
L’AS è stata descritta in oltre 50 razze canine e in cani meticci, con una
spiccata predisposizione razziale nei già citati Akita inu e Barbone gigante,
nel Samoiedo, nel Vizsla, nel Bichon Havanese,6 nell’Hovawart7, nello Springer spaniel8, nel Pastore belga9 e nel Chow chow.10 La malattia è stata descritta nel cane nel 198611 ed è stata riconosciuta in seguito anche nel gatto,12 nel
coniglio13 e nel cavallo.14 Nell’uomo è molto rara ed esistono soltanto tre casi descritti in letteratura.15-17
Aspetti clinici
L’AS insorge solitamente in cani adulti e in alcuni studi i maschi sembrano essere più frequentemente affetti rispetto alle femmine.6,8 La malattia si
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manifesta clinicamente in modo diverso a seconda del tipo di mantello. Nelle razze a pelo lungo (Barbone gigante, Akita inu, Hovawart, Bichon Havanese, Springer spaniel, Samoiedo, Chow chow, Pastore belga) si osservano
esfoliazione, alopecia, pelo secco e fragile e manicotti follicolari in assenza
di prurito, che può comparire quando la malattia è complicata da infezioni
batteriche o da otiti secondarie. Le lesioni sono tendenzialmente simmetriche e si manifestano prevalentemente sulla testa, sui padiglioni auricolari,
sul dorso del naso, sul collo, sulla linea mediana dorsale e sulla coda.4-10,18
Nell’Akita inu la malattia è particolarmente grave, l’alopecia interessa soprattutto i peli secondari e sono molto frequenti le infezioni complicanti;
possono inoltre essere osservati segni sistemici quali malessere generale,
febbre e calo ponderale. In molti casi, l’insorgenza dell’AS in questa razza è
preceduta da eventi predisponenti quali malattie gravi, terapie con glucocorticoidi o progestinici, anestesia generale, calore, muta, sterilizzazione o cambiamenti ambientali.4,5,10 Nello Springer spaniel e nel Pastore belga l’otite è
un segno clinico particolarmente frequente.8,9 Nelle razze a pelo corto come
il Vizsla, le lesioni sono rappresentate da aree alopeciche annulari o arciformi con esfoliazione, prevalentemente localizzate sulla testa e sul tronco; in
alcuni casi è possibile osservare lesioni meno comuni come noduli e placche
o edema intermittente a carico del muso e delle palpebre.5,10. Le infezioni secondarie sono rare.
Le principali malattie che possono presentarsi con segni clinici sovrapponibili a quelli osservati nell’AS sono la leishmaniosi, la dermatofitosi, la demodicosi, il pemfigo foliaceo, il lupus eritematoso cutaneo esfoliativo, la dermatosi che risponde allo zinco, la seborrea idiopatica, l’ittiosi, la displasia follicolare, il linfoma cutaneo epiteliotropo, l’ipotiroidismo e la follicolite batterica. In presenza di lesioni nodulari o di placche devono essere escluse malattie come la sindrome del granuloma/piogranuloma sterile e l’istiocitosi reattiva cutanea.
Diagnosi
La diagnosi di AS si effettua mediante la valutazione del segnalamento,
dell’anamnesi, della tipologia e distribuzione delle lesioni e viene confermata dai risultati dell’esame istopatologico di biopsie cutanee multiple. L’epidermide presenta in genere lieve o moderata iperplasia con ipercheratosi ortocheratosica, da moderata a grave, che si estende verso gli osti follicolari e crea
una guaina che avvolge i fusti dei peli. Nel derma si osservano infiltrati nodulari di cellule infiammatorie localizzati in corrispondenza dell’istmo folli-
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colare, nell’area in cui normalmente sono localizzate le GS; queste ultime appaiono circondate dalle cellule infiammatorie o non sono più visibili.19 L’infiltrato infiammatorio è costituito di solito da macrofagi, neutrofili e linfociti
con alcune plasmacellule (granulomatoso o piogranulomatoso);19 nel Bichon
Havanese l’infiammazione è tipicamente linfoplasmacellulare.6 Nel Barbone
standard, anche la biopsia di cute clinicamente normale può rivelare aspetti
istologici patologici;20,21 nell’Akita inu è frequente osservare anche follicolite
o foruncolosi secondaria;4 nel Vizsla solitamente l’infiammazione è particolarmente prominente e presente in tutti gli stadi della malattia.19 L’infiammazione a livello dell’istmo follicolare può essere molto lieve o assente nei casi
cronici, le GS possono essere scomparse del tutto e si possono osservare atrofia dei follicoli e fibrosi perifollicolare.19 In alcuni Akita inu sottoposti a biopsia alcuni mesi dopo la diagnosi o dopo La rigenerazione delle GS è possibile, apparentemente a partire da cellule staminali o di riserva localizzate nell’istmo follicolare, ed è stata evidenziata in alcuni Akita inu sottoposti a biopsia alcuni mesi dopo la diagnosi o dopo la terapia.4,22,23 Dal punto di vista istopatologico, la diagnosi differenziale principale nel nostro paese è la leishmaniosi, malattia in cui è possibile osservare quadri di adenite sebacea.7,24 In un
recente lavoro, Bardagi et al.24 hanno dimostrato però che nella leishmaniosi
l’infiltrato infiammatorio dermico può essere sia diffuso che nodulare e può
estendersi fino al pannicolo adiposo ma, a differenza dell’adenite sebacea,
non è mai esclusivamente incentrato nell’area dell’istmo follicolare, sede anatomica delle GS.
Terapia
La terapia è di solito necessaria per tutta la vita dell’animale colpito da
AS, anche se in alcuni soggetti si è notata una remissione permanente dei sintomi dopo alcuni mesi di terapia.22,25 Sfortunatamente non tutti i cani rispondono alla terapia e, per questo motivo, in uno studio 14 soggetti su 44 sono
stati sottoposti ad eutanasia.8 La terapia si propone di restaurare la normalità
della cute neutralizzando gli effetti secondari alla distruzione delle GS e di
arrestare il processo infiammatorio responsabile della loro distruzione.26 Il
primo scopo può essere ottenuto mediante l’uso di una terapia topica a base
di shampoo antiseborroici (contenenti zolfo e acido salicilico al 2%, benzoil
perossido o fitosfingosina) applicati tre o quattro volte la settimana, eventualmente associati all’applicazione di prodotti emollienti/umettanti; un’altra
possibilità è l’applicazione giornaliera di uno spray contenente acqua/olio per
bambini e glicole propilenico in parti uguali.5-7,18,21,23,26-28 La terapia topica è
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solitamente molto efficace e potrebbe essere l’unica necessaria ma, a lungo
termine, risulta essere molto impegnativa per i proprietari.23 Alcuni autori consigliano di associare alla terapia topica l’integrazione di acidi grassi essenziali per via orale.6,21,26-28 La terapia antinfiammatoria si avvale principalmente dell’uso della ciclosporina, somministrata alla dose di 5 mg/kg al giorno per via orale.22,23,26,28,29 I risultati della terapia con ciclosporina sono molto soddisfacenti, ed è necessario somministrare il farmaco per quattro mesi al
dosaggio raccomandato prima di ridurre la frequenza di somministrazione.22,23 La ciclosporina sembra essere più efficace se utilizzata in associazione alla terapia topica e in alcuni soggetti trattati è stata osservata la ricomparsa delle GS in sezioni istopatologiche effettuate post terapia.22, 23 Alcuni soggetti non rispondono in maniera soddisfacente alla terapia con ciclosporina;
il motivo di questo insuccesso non è chiaro ed è probabilmente da imputare
alla cronicità della malattia (la fase infiammatoria della malattia è già terminata) o all’utilizzo di un dosaggio insufficiente di farmaco.22,23 Nei casi refrattari, le opzioni terapeutiche sono rappresentate dai retinoidi sintetici, in particolare dall’isotretina o dall’acitretina (1-2 mg/kg SID PO); quest’ultima ha
sostituito l’etretinate, non più in commercio.5,7,23,25,27,30,31 L’efficacia dei retinoidi sintetici è variabile e poiché gli effetti collaterali sono numerosi, è stato recentemente suggerito l’uso di Vitamina A (1000 UI/kg SID PO), sicuramente più sicura e maneggevole.26,28 L’efficacia dei glucocorticoidi nella terapia dell’AS è molto controversa, anche se nei casi più difficili possono rappresentare una valida opzione prima di considerare la somministrazione di retinoidi sintetici.5,11,22,25,26,29,30 La terapia antibiotica sistemica è indispensabile
solo nei soggetti che presentano infezioni batteriche secondarie.
ADENITE SEBACEA NEL GATTO
L’AS nel gatto è rarissima e si manifesta soprattutto in gatti adulti, con alopecia multifocale della testa, del collo, del tronco e degli arti, esfoliazione generalizzata, manicotti follicolari, mantello diffusamente secco e opaco e accumulo di materiale di colore scuro sui margini delle palpebre.5,19,32-34 Il prurito
è variabile e la malattia può andare incontro a remissione spontanea, talvolta
seguita da recidiva.19,33 La diagnosi differenziale è complessa: le malattie da
considerare sono la dermatofitosi, la demodicosi, le malattie allergiche, le malattie della corneificazione, l’eritema multiforme, la dermatite esfoliativa associata a timoma, la linfocitosi cutanea, il linfoma cutaneo epiteliotropo, la
follicolite murale linfocitaria mucinosa degenerativa e la pseudopelade.33-35
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L’esame istopatologico consente di osservare ipercheratosi ortocheratosica di
entità variabile, assenza di GS, infiammazione perifollicolare piogranulomatosa o linfocitaria e follicolite murale.32,34,35 La componente di follicolite murale nel gatto è maggiore rispetto al cane, tanto che le principali diagnosi differenziali istologiche sono la follicolite murale linfocitaria mucinotica degenerativa, le follicoliti murali secondarie a dermatofitosi o a reazioni avverse
al cibo o a farmaco e la pseudopelade.19 La terapia topica con umettanti è parzialmente efficace33 ed è stata osservata risposta completa alla terapia con ciclosporina in un solo caso.34
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Carla Dedola
Med Vet, Dipl ECVD
Facoltà di Medicina Veterinaria,
Università degli Studi di Sassari
Linfoma epiteliotropo
nel cane: quadri clinici e
novità terapeutiche
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 15.40
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INTRODUZIONE
Le malattie dermatologiche causate dalla proliferazione di linfociti T (LT)
nella cute includono lesioni sia di tipo neoplastico che reattivo e sono rappresentate nel cane dalle seguenti forme: il linfoma cutaneo epiteliotropo, anche
detto micosi fungoide, il linfoma cutaneo non-epiteliotropo e la linfocitosi cutanea.1, 2
Il linfoma epiteliotropo nel cane è una neoplasia rara: insieme a quello
non-epiteliotropo rappresenta infatti solo l’1% delle malattie neoplastiche cutanee. Si contraddistingue per lo spiccato epiteliotropismo dell’infiltrato linfocitario sia nei confronti dell’epidermide che dell’epitelio follicolare.1,2
L’eziologia del linfoma cutaneo epiteliotropo nel cane è tutt’ora sconosciuta: si ipotizza che possano giocare un ruolo nel suo sviluppo malattie croniche cutanee, come per esempio la dermatite atopica,3 teoria al momento dibattuta anche in medicina umana.4,5 L’espansione clonale di LT attivati da stimoli infiammatori cronici potrebbe infatti essere all’origine della proliferazione neoplastica degli stessi.
ASPETTI CLINICI
Il linfoma epiteliotropo colpisce prevalentemente cani anziani con età
media di insorgenza che va dai 9 agli 11 anni, e alcune razze, come il Cocker spaniel americano e il Golden retriever sembrerebbero predisposte al
suo sviluppo.6-9
Le presentazioni cliniche associate al linfoma epiteliotropo sono numerose e contribuiscono alla formazione di quadri pleomorfi che si associano, soprattutto negli stadi iniziali della malattia, ad ovvie difficoltà diagnostiche.
Adottando la classificazione utilizzata in medicina umana10 anche per il
cane si possono riconoscere tre principali varianti della malattia: la forma
classica di micosi fungoide, la reticulosi pagetoide e la sindrome di Sézary. Le
tre forme sono clinicamente indistinguibili e gli aspetti che permetterebbero
una diagnosi definitiva di una forma piuttosto che di un’altra sono rappresentati dalla presenza di un infiltrato neoplastico esclusivamente a livello di epidermide ed epitelio annessiale senza coinvolgimento del derma nella reticulosi pagetoide e dalla presenza di linfociti neoplastici nei linfonodi e nel sangue periferico nella sindrome di Sézary.1
La forma cosiddetta d’emblèe, considerata una delle manifestazioni della
micosi fungoide e caratterizzata dalla comparsa di lesioni tumorali nodulari
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senza il passaggio dallo stadio di macula o placca è stata attualmente esclusa
dalla classificazione del linfoma epiteliotropo umano della World Health Organization (WHO) e dell’European Organization for Research and Treatment
of Cancer (EORTEC), in quanto i linfociti T riscontrati in questo tipo di linfoma non erano del fenotipo generalmente osservato nel linfoma epiteliotropo e in alcuni soggetti erano addirittura linfociti di tipo B.10
Per quanto riguarda invece la classificazione utilizzata per differenziare le
varie presentazioni cliniche del linfoma epiteliotropo cutaneo, quella maggiormente utilizzata in medicina veterinaria è quella suggerita da Scott et al.2
che descrive quattro forme: eritroderma esfoliativo, placche e/o noduli, lesioni ulcerative della mucosa orale e localizzazioni muco-cutanee.
Queste presentazioni raramente si manifestano in maniera esclusiva e
nella maggior parte dei casi rappresentano l’evoluzione di lesioni cliniche
simili fra loro che possono sovrapporsi e/o essere presenti contemporaneamente.
Le lesioni presenti nella forma di eritroderma esfoliativo sono, insieme alle placche e ai noduli, le più comunemente riscontrate e consistono nella presenza di eritema generalizzato, scaglie e vari gradi di alopecia.1, 2 Il quadro di
eritroderma esfoliativo è anche quello con più elevata difficoltà diagnostica,
vista la notevole somiglianza clinica con patologie cutanee infiammatorie di
varia natura (allergie, infezioni ecc..).
La forma con placche e noduli è invece più caratteristica di un linfoma cutaneo che di una malattia infiammatoria e spesso rappresenta l’evoluzione
dell’eritroderma esfoliativo.1, 2, 6
Il tronco e la testa sono fra le zone anatomiche più colpite, ma spesso si
osserva una diffusione generalizzata. Il coinvolgimento delle mucose e/o delle giunzioni muco-cutanee è principalmente caratterizzato da lesioni depigmentate, placche e lesioni nodulari.1, 2, 6, 11
Le giunzioni muco-cutanee facciali (naso, palpebre e soprattutto le labbra)
sono le più frequentemente coinvolte, con una marcata simmetria nella presentazione. Le lesioni ulcerative del cavo orale rappresentano una rara manifestazione di micosi fungoide e possono essere presenti come lesioni palpabili o in una mucosa apparentemente normale.1
Di recente è inoltre stata descritta una forma caratterizzata dalla presenza
di vescicole e bolle, sovrapponibile alla micosi fungoide bollosa dell’uomo.12
Il prurito nel linfoma epiteliotropo può essere da moderato a grave ed è
presente in circa il 40% dei soggetti.11 Il coinvolgimento sistemico con metastasi ai linfonodi e/o agli organi interni è stato descritto in alcuni casi ma è di
solito una rara occorrenza.
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DIAGNOSI
La differenziazione clinica, e spesso anche istologica, di un linfoma epiteliotropo nei suoi stadi iniziali da una patologia infiammatoria cutanea benigna
o da una malattia autoimmune rappresenta una delle maggiori sfide diagnostiche sia in campo medico umano che veterinario.13,14 Nonostante infatti alcune lesioni, soprattutto se associate fra loro, possano suggerire una diagnosi
di linfoma epiteliotropo, per la conferma sono spesso necessarie, oltre all’esame istologico, ulteriori indagini (es. immunoistochimica, PCR) che permettano la caratterizzazione fenotipica della popolazione linfocitaria, differenziando una popolazione linfocitaria neoplastica di tipo monoclonale da una reattiva di tipo policlonale.1, 8, 15
L’esame citologico di lesioni campionabili (erosioni, ulcere, placche e/o
noduli) può supportare la diagnosi di linfoma se sono presenti cellule linfocitarie polimorfe ed elementi cellulari atipici; tuttavia, può capitare che i linfociti non presentino caratteri di atipia e siano pertanto difficilmente distinguibili dai linfociti reattivi.9,11
La caratteristica lesione istologica nel linfoma epiteliotropo è rappresentata dal tropismo delle cellule neoplastiche nei confronti dell’epidermide e delle strutture annessiali. I linfociti a livello epidermico possono essere distribuiti in maniera diffusa o presentarsi in piccoli gruppi, formando i caratteristici
microaggregati di Pautrier. Negli stadi più avanzati l’infiltrato si spinge nel
derma profondo e nel pannicolo, anche se l’epiteliotropismo rimane costantemente presente.1, 9, 11 Un esclusivo ed estremo epiteliotropismo, con assenza di
coinvolgimento dermico è invece la caratteristica fondamentale della forma di
linfoma epiteliotropo noto come reticulosi pagetoide.1
A differenza di quanto osservato nell’uomo, dove i linfomi cutanei sono
esclusivamente causati da LT CD4+, nel cane la maggioranza dei casi presenta proliferazione di LT CD8+ CD4 – e solo raramente LT CD8 – e CD4 –
(doppi negativi).16 Per quanto riguarda invece l’espressione della molecola
del recettore dei linfociti T (TCR), nel cane la maggior parte dei linfomi epiteliotropi presenta cellule linfocitarie che esprimono il TCR γ/δ (60%), a differenza dell’uomo dove la quasi totalità dei casi di micosi fungoide è costituita da LT che esprimono il TCR α/β.8, 15
Attualmente, per distinguere con maggiore certezza gli stadi iniziali di un
linfoma epiteliotropo, caratterizzato da una popolazione monoclonale di LT,
da forme infiammatorie benigne, che presentano invece una popolazione policlonale di LT, è possibile analizzare il riarrangiamento genico del TCR γ tramite la PCR, che può essere eseguita su tessuti in paraffina. Questa metodo-
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logia ha una sensibilità del 95% e una specificità del 100% nel discriminare
un’infiltrato linfocitario neoplastico da uno reattivo.15
OPZIONI TERAPEUTICHE
La prognosi dei cani con linfoma epiteliotropo cutaneo è di solito riservata e
infausta nel lungo termine, con tempi di sopravvivenza che vanno da poche settimane fino a 18-24 mesi nei rari casi in cui si effettua diagnosi precoce e/o con
buona risposta alla terapia.2, 11 Numerosi trattamenti sono stati fino ad oggi utilizzati e proposti per la cura del linfoma epiteliotropo nel cane, fra cui farmaci da
somministrare per via orale, terapie topiche, radioterapia e chemioterapici.
La chirurgia e la radioterapia possono essere considerate un’opzione potenzialmente risolutiva in casi di lesioni singole localizzate (es. labbra), ma
non trovano applicazione nelle forme generalizzate, che sono quelle riscontrate più frequentemente.17 Le terapie topiche, utilizzate spesso nel campo
della medicina umana, vengono considerate poco efficaci e di difficile realizzazione in medicina veterinaria. I glucocorticoidi sotto forma di lozioni o
spray contenenti idrocortisone all’1% o triamcinolone allo 0.015% potrebbero plausibilmente contribuire al successo della terapia sistemica, soprattutto
negli stadi iniziali della malattia, ma mancano nel cane prove di efficacia.17
Le mostarde azotate (es. mecloretamina) sono state utilizzate in passato con
buoni risultati, tuttavia a causa della loro potenziale cancerogenicità e irritabilità cutanea verso le persone a contatto con i soggetti trattati sono state abbandonate dalla maggior parte dei medici veterinari.17
Successi terapeutici interessanti in persone con stadi precoci di malattia si
sono ottenenuti con la terapia fotodinamica (TFD), che prevede la somministrazione topica o sistemica di sostanze fotosensibilizzanti e la successiva
esposizione a raggi UVA.17, 18 Altri protocolli terapeutici utilizzati in medicina umana, ma non nel cane, includono la fototerapia con raggi UVB a banda
stretta e l’irradiazione cutanea totale con fascio di elettroni.
I retinoidi, in particolare quelli somministrati per via sistemica, come
l’etretinato (1.25 – 1.45 mg/kg al giorno) e l’isotretinoina (1-2 mg/kg al giorno), sono stati utilizzati con risultati incoraggianti in un limitato numero di cani e sembra siano particolarmente efficaci in soggetti con stadi precoci della
malattia.19 Inoltre, un recente studio ha dimostrato che la maggior parte dei
linfomi cutanei del cane presenta una forte espressione di entrambi i recettori specifici per i retinoidi, aggiungendo evidenza al loro utilizzo in corso di
linfoma epiteliotropo.20
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La lomustina o CCNU è al momento il chemioterapico considerato più
promettente nella cura del linfoma cutaneo epiteliotropo nel cane. Viene utilizzata con dosaggio dai 50 ai 90 mg/m2 per via orale una volta ogni tre settimane, con variazioni del dosaggio e degli intervalli di somministrazione dipendenti dalla risposta e dalla presenza o meno di effetti tossici correlabili al
farmaco.
Di solito sono necessari una media di 4-5 trattamenti e le somministrazioni vengono comunque sospese solo una volta che il paziente è in remissione
completa.7, 17, 21
Due studi recenti hanno evidenziato il successo di questo farmaco, utilizzato sia come unico trattamento che associato ad altri, fra cui più frequenti sono i corticosteroidi. Esaminando i risultati dei due studi per un totale di 82 cani trattati con la lomustina a dosaggi da 60 a 70 mg/m2 si evidenziava una risposta nell’80% circa dei soggetti, con 26% dei cani che mostravano una remissione totale della malattia e una media di durata della risposta di circa 95
giorni.7, 21
Neutropenia, trombocitopenia e alterazioni degli enzimi epatici e renali
sono gli effetti collaterali più comunemente associati alla somministrazione di
lomustina. In generale risultano di lieve entità e solo raramente richiedono la
diminuzione del dosaggio utilizzato o, quando molto gravi, la sospensione del
trattamento.7, 21
È importante eseguire esami ematochimici di base e una conta piastrinica
immediatamente prima e 7 giorni dopo ogni trattamento.
I corticosteroidi utilizzati come singolo trattamento vengono considerati
palliativi, essendo in grado di ridurre i segni clinici della malattia, migliorare
in parte la qualità della vita, ma non di indurre remissione. Vengono di solito
usati come accompagnamento ad altri monoterapici (es. lomustina) o inclusi
in protocolli di chemioterapia.17
L’utilizzo di protocolli chemioterapici combinati nel linfoma epiteliotropo
sembrerebbe non offrire nessun ulteriore vantaggio rispetto ai trattamenti con
singoli farmaci né in medicina umana né nel cane. Tuttavia, l’utilizzo di comuni protocolli fra cui ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone (CHOP) e ciclofosfamide, vincristina e prednisone (COP) è stato riportato
in caso di mancata risposta alla lomustina con successo moderato e tempi di
sopravvivenza fra i 2 e i 6 mesi.17
Dati preliminari suggeriscono inoltre che anche il masitinib, un inibitore
selettivo della proteina tirosina-chinasi, possa essere utilizzato nella cura del
linfoma epiteliotropo ma sono necessari ulteriori studi per confermarne l’efficacia.22
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Ersilia Pappalardo
Med Vet, Dipl ECVD, Catania
Leishmaniosi:
quadri clinici tipici e atipici
Sabato, 22 settembre 2012, ore 09.30
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INTRODUZIONE
La leishmaniosi canina è una grave zoonosi causata dal protozoo Leishmania infantum (sin: L.chagasi), che è un parassita intracellulare obbligato. La
leishmaniosi è ampiamente diffusa nel mondo e rappresenta un serio problema, in particolare in alcuni paesi, per la salute pubblica. In Europa la leishmaniosi è endemica nelle regioni del bacino mediterraneo e, negli ultimi dieci
anni, sono stati descritti numerosi casi autoctoni in zone in cui la malattia era
totalmente assente. La trasmissione tra gli animali o dal cane all’uomo avviene tramite la puntura di un insetto vettore, il flebotomo. Il cane rappresenta il
serbatoio più importante per la trasmissione della malattia all’uomo1. Sono
stati inoltre riportati casi di trasmissione verticale e trasmissione venerea del
parassita2,3. Si discute anche del potenziale ruolo delle zecche e delle pulci come vettori del parassita, sulla base dell’isolamento del parassita e del suo
DNA all’interno delle pulci4. In realtà il fatto che le pulci e le zecche possano ingerire il parassita durante il loro naturale pasto di sangue non implica che
questi artropodi possano agire come vettori. D’altronde è già stato dimostrato che altre specie di flebotomi possono ingerire il parassita, ma non sono in
grado di trasmettere la malattia. Il periodo di incubazione è variabile da mesi
ad anni, durante i quali il parassita si distribuisce nell’organismo.
L’evoluzione dell’infezione è correlata all’assetto del sistema immunitario
del cane. La resistenza del cane alla malattia è caratterizzata da una minima o
assente risposta dei linfociti Th2 e da una robusta risposta dei linfociti Th1 nei
confronti della leishmania. Al contrario una maggiore sensibilità a sviluppare
la malattia sembra essere legata ad una esagerata risposta Th2 ed a una assente o moderata risposta Th1. La malattia nel cane è caratterizzata dal marcato
pleomorfismo dei segni clinici, che variano dall’assenza totale dei sintomi a
quadri clinici gravi e devastanti5. A tal proposito è stato dimostrato un rapporto positivo tra la carica parassitaria rinvenuta nel sangue e nei linfonodi e la
sintomatologia nel cane, che supporterebbe la variabilità del quadro clinico6.
La diagnosi e il conseguente trattamento di questa malattia sono fondamentali, sia perché si tratta di una zoonosi che per assicurare un adeguato trattamento ai nostri animali. Nella pratica quotidiana avviene che alle forme tipiche, talvolta eclatanti e che richiedono solo poche indagini per la diagnosi,
si affiancano le sempre più numerose forme atipiche, subdole e insidiose.
Queste ultime rendono la vita del dermatologo “difficile” o stimolante a seconda dei punti di vista, ma certo è che nelle forme atipiche il numero degli
esami collaterali da eseguire è maggiore. In alcuni casi, neanche con tutti i
mezzi diagnostici a nostra disposizione si può ottenere una diagnosi di certez-
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za. Questo avviene perché, nelle aree endemiche e negli animali sieropositivi, l’isolamento del parassita in un determinato apparato non necessariamente ne implica il coinvolgimento, potendo essere quell’organo il serbatoio del
parassita.
QUADRI CLINICI TIPICI
In corso di leishmaniosi può essere interessato un solo apparato, ma nella
maggioranza dei casi sono coinvolti più organi contemporaneamente rendendo il quadro, come già detto, estremamente polimorfo.
Le manifestazioni cutanee si osservano nell’80-90% dei casi e le più comuni sono la dermatite esfoliativa e la dermatite ulcerativa7,8. Una lesione
dermatologica meno comune, ma molto caratteristica e suggestiva di leishmaniosi è la dermatite papulare.
La dermatite esfoliativa è caratterizzata dalla presenza di scaglie secche di
colore amiantaceo, più o meno adese alla cute sottostante. I sintomi si possono osservare, in alcuni casi, solo nelle sedi più tipiche come la regione perioculare, i padiglioni auricolari, il muso, la coda e la cute sovrastante le prominenze sacro-iliache. Nei casi più gravi i sintomi cutanei possono coinvolgere
tutta la superficie corporea, il mantello può apparire scadente e si può associare alopecia da parziale a totale7,8.
Le lesioni ulcerative sono prevalentemente localizzate sui punti di appoggio (gomiti, garretti), sulle giunzioni muco-cutanee o su aree più predisposte
ai traumi come le zampe al livello del carpo o dei tarsi e la punta della coda.
Le ulcere posso presentarsi lineari (ragadi) su tartufo, labbra, cuscinetti plantari, prepuzio, vulva e ano9.
La dermatite papulare si osserva esclusivamente sulle aree glabre di cani a
pelo corto, ed è caratterizzata da papule dal colore variabile dal rosa-giallastro al bianco, in alcuni casi ombelicate10,11,12. Le papule sono più spesso di
numero ridotto, ma in alcuni casi possono essere numerose soprattutto se presenti sulla cute addominale.
Altre localizzazioni sono le labbra, le palpebre, il dorso del naso, i padiglioni e meno frequentemente la vulva e lo scroto. I cani affetti da dermatite
papulare, nella maggior parte dei casi, non presentano alterazioni del quadro
ematologico o solo una leggera ipergammaglobulinemia e una risposta anticorpale assente o lieve. In alcuni casi è stata riportata la risoluzione spontanea in 3-5 mesi ed è stata dimostrata una importante risposta cellulomediata
specifica11. In base all’andamento benigno e alle alterazioni clinico-patologi-
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che e immunologiche di queste forme, è stato ipotizzato che si tratti delle lesioni risultanti dall’inoculo del parassita nella cute. All’inoculazione seguirebbe un granuloma, che sembra essere efficace nel contenere l’infezione impedendone la diffusione ad altri tessuti.
Le lesioni oculari sono rappresentate da cheratocongiuntivite secca, opacità corneale, glaucoma e blefarite.
Le manifestazioni sistemiche tipiche sono rappresentare da polifagia e raramente anoressia, associata a dimagrimento, atrofia muscolare, linfoadenopatia sistemica, depressione del sensorio e insufficienza renale. Alle alterazioni sistemiche si associano quelle ematologiche caratterizzate da anemia emolitica non rigenerativa, trombocitopenia, ipergammaglobulinemia e ipoalbuminemia.
QUADRI CLINICI ATIPICI
I quadri clinici atipici riportati in letteratura possono interessare l’apparato muscolo-scheletrico (osteolisi, lesioni osteoproliferative, poliartriti, atrofia
muscolare, miosite), l’apparato cardiovascolare (pericardite fibrosa, granulomi ventricolari, vasculite necrotizzante sistemica, tromboembolismo) e l’apparato gastroenterico (enterite emorragica acuta fatale, colite cronica, melena). Sono inoltre stati descritti rari casi di DIC e localizzazione del parassita
nel sistema nervoso centrale12. Verranno di seguito descritti solo i quadri clinici atipici con coinvolgimento cutaneo.
I quadri clinici atipici riportati in letteratura sono rappresentati dalla dermatite pustolosa sterile, dalle lesioni nasali simil-lupus cutaneo, dalle onicopatie, dalla dermatite nodulare, dall’alopecia multifocale e dall’ipercheratosi
naso-digitale.
Dermatite pustolosa
È stata descritta una dermatite pustolosa sterile diffusa8, spesso associata a
prurito grave, depressione del sensorio, ipertermia e anoressia. Il quadro ematologico rivela sempre un profilo compatibile con la leishmaniosi e un elevato titolo anticorpale. Numerose sono state nell’ultimo decennio le segnalazioni aneddotiche di forme analoghe. Si ipotizza che possa essere causata da una
disfunzione della risposta immunitaria secondaria alla leishmaniosi. Il trattamento prevede l’utilizzo di corticosteroidi sistemici, in associazione alla terapia per la leishmaniosi.
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Onicopatie
Un’alterazione dell’unghia di comune riscontro è l’onicogrifosi e meno
frequentemente si possono osservare paronichia, onicodistrofia, onicoressi,
onicoschisi e onicomadesi. Possono essere colpite una o più dita, e in alcuni
casi si possono osservare tumefazione del dito e zoppia secondaria al dolore.
La patogenesi della lesione, non ancora conosciuta, può essere compatibile
con un danno vascolare sottostante.
Lesioni lupus-like sul tartufo
Le manifestazioni sul tartufo e sulle labbra sono caratterizzate da ipopigmentazione associata o meno a erosioni, ulcere e croste12. In questi casi la diagnosi può essere più difficile, soprattutto in assenza di altri segni clinici e nei
casi di risposta anticorpale negativa o lieve. L’esame istologico è caratterizzato da un’infiltrato linfoplasmacellulare e macrofagico a carico della giunzione dermo-epidermica e in alcuni casi si osserva danno dei cheratinociti basali (vacuolizzazione e/o apoptosi). In alcuni casi è necessario ricorrere all’immunoistochimica per evidenziare i parassiti che, nella maggior parte dei
casi, sono pochi9.
Dermatite nodulare
Si possono osservare noduli cutanei singoli o multipli localizzati prevalentemente su aree rivestite di pelo (al contrario della dermatite papulare). Generalmente la cute è integra, raramente è ulcerata12. Sono stati riportati noduli
delle mucose esterne o muco-cutanei. La dermatite nodulare, che sia cutanea
o delle mucose, viene considerata una conseguenza della distribuzione per via
linfo-ematica del parassita. Alcuni autori, invece, hanno ipotizzato che le lesioni linguali possano essere dovute allo “schiacciamento” nel cavo orale del
flebotomo contenente i parassiti14.
Alopecia multifocale
Raramente si osserva un’alopecia multifocale, localizzata prevalentemente sull’area perioculare e sugli arti. Le lesioni mostrano un aspetto cicatriziale suggestivo di una dermatopatia ischemica. Al momento si conosce poco di
questa forma, ma è necessario dimostrare la dermatopatia ischemica con
l’esame dermatopatologico e l’associazione con il parassita9.
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Ipercheratosi naso-digitale
Si osserva un notevole ispessimento della cute del tartufo e dei cuscinetti,
spesso associato a ragadi e a croste. Nelle forme descritte sino ad oggi le lesioni sono accompagnate da altri segni clinici cutanei e/o sistemici.
CONCLUSIONI
Considerata l’elevata incidenza dei segni clinici cutanei associati alla leishmaniosi e le sempre più numerose segnalazioni di casi atipici, il veterinario
che lavora in un’area endemica non può mai abbassare la guardia. La leishmaniosi, infatti, viene spesso inclusa nella lista delle diagnosi differenziali dei
problemi dermatologici. Il veterinario clinico deve stabilire se le lesioni cutanee sono effettivamente causate dall’infezione, se il cane è sieropositivo, non
malato e le lesioni cutanee hanno un’altra origine, oppure se il cane è malato,
ma le lesioni cutanee sono causate da un’altra malattia concomitante.
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Federico Leone
Med Vet, Clinica Veterinaria Adriatica,
Senigallia (Ancona)
Attualità sulla demodicosi
canina
Sabato, 22 settembre 2012, ore 10.05
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ASPETTI GENERALI
La demodicosi canina è una malattia parassitaria cutanea non contagiosa
sostenuta dall’acaro Demodex canis, considerato un normale residente della
microfauna cutanea del cane.1,2,3
Negli ultimi anni sono state descritte altre due specie di Demodex morfologicamente differenti da D. canis. La prima, conosciuta come “forma corta”e
da alcuni denominata Demodex cornei, viene isolata negli stati superficiali
dell’epidermide e descritta in associazione con D. canis;4-6 la seconda, dal corpo più allungato e denominata Demodex injai, è associata soprattutto a quadri clinici di seborrea oleosa a localizzazione dorsale.7-9 Tuttavia, nonostante
le diverse segnalazioni, non si è ancora stabilito se si tratti effettivamente di
due nuove specie di Demodex o, viceversa, di tre differenti forme di D. canis.
Alcuni autori sostengono che le variazioni morfologiche non sarebbero sufficienti per poterle classificare come nuove specie, in quanto potrebbero dipendere da fattori di crescita dell’acaro legati all’interazione ospite-parassita o da
fattori intrinseci all’acaro stesso, concludendo sulla necessità di ulteriori studi molecolari e di genetica di popolazione.3,10,11
La demodicosi canina è una malattia non contagiosa in cui gli acari vengono trasferiti per contatto diretto dalla madre ai cuccioli esclusivamente durante i primissimi giorni di vita.1,3
In diverse pubblicazioni si distinguono una forma di demodicosi ad insorgenza giovanile e una forma ad insorgenza in età adulta, basata sull’età in cui
compaiono le prime lesioni. Tale differenziazione non è tuttavia ben codificata e può risultare difficoltosa nella valutazione di alcuni casi specifici.3
La classificazione clinica prevede una distinzione tra forma localizzata e
forma generalizzata basata sul numero, la sede e l’estensione delle lesioni ed
è considerata di notevole importanza ai fini prognostici e terapeutici. I criteri
clinici presi in considerazione per differenziare le due forme sono estremamente variabili nelle diverse pubblicazioni e possono verificarsi situazioni
“borderline” che rendono difficile la classificazione.1,12,13 Secondo le linee
guida recentemente redatte da un gruppo internazionale di dermatologi veterinari, la demodicosi è da considerarsi localizzata se non sono presenti più di
quattro lesioni di diametro inferiore ai 2,5 cm.3
Il meccanismo immunopatogenetico per cui in alcuni soggetti si assiste ad
un drammatico aumento della popolazione parassitaria responsabile dello sviluppo della malattia non è mai stato completamente chiarito. Negli animali
giovani la presenza di alcuni fattori stressanti, come le endoparassitosi (coccidiosi, vermi uncinati), potrebbe compromettere l’efficienza del sistema im-
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munitario e favorire la moltiplicazione degli acari.14 Negli animali adulti si ritiene che la presenza di condizioni di immunodepressione (es. terapie immunosoppressive, neoplasie, malattie ormonali) possa essere responsabile dell’insorgenza della malattia, anche se una reale correlazione tra causa ed effetto non è stata mai dimostrata.3
L’elevata predisposizione osservata in alcune razze canine, ha suggerito la
possibile esistenza di una componente genetica,3,15 e, sulla base di queste considerazioni, l’American Academy of Veterinary Dermatology (AAVD) ha
emanato, circa trent’anni fa, una direttiva che raccomanda la sterilizzazione
di tutti i cani affetti da demodicosi generalizzata allo scopo di ridurre la prevalenza della malattia.3
La diagnosi di demodicosi si effettua osservando il parassita adulto, i suoi
stadi immaturi o le sue uova al microscopio. L’esecuzione di raschiati cutanei
profondi multipli rappresenta attualmente la tecnica di elezione per la ricerca
di Demodex canis.1,3,16 Una metodica alternativa è rappresentata dall’esame
microscopico del pelo, impiegata soprattutto per campionare regioni particolarmente sensibili come quella perioculare e quella interdigitale.17 La tecnica
è considerata meno sensibile rispetto al raschiato cutaneo profondo per cui un
risultato negativo non consente di escludere la malattia,3,17 mentre un risultato positivo è considerato raro negli animali sani.18 Raramente la diagnosi richiede l’esecuzione di una biopsia cutanea da destinare all’esame istopatologico.3 In presenza di infezione batterica, l’esame citologico del contenuto di
una pustola o di un tragitto fistoloso può evidenziare la presenza degli acari,
ma un risultato negativo non permette di escludere l’infestazione.3,17
ASPETTI TERAPEUTICI
La demodicosi localizzata si risolve spontaneamente nella quasi totalità
dei soggetti per cui non è indicato alcun trattamento acaricida, che potrebbe
mascherare, in alcuni casi, la progressione della forma localizzata a generalizzata. Nei soggetti affetti da demodicosi localizzata è consigliato l’esclusivo controllo delle infezioni batteriche mediante l’utilizzo di molecole antibatteriche ad uso topico (es. mupirocina, clorexidina, benzoil perossido).1,3,19,20
La demodicosi generalizzata necessita, viceversa, di una terapia specifica
acaricida che è possibile effettuare sia con molecole ad uso topico che sistemico.
L’amitraz è stata la prima molecola registrata in Italia per il trattamento
della demodicosi canina e ha rappresentato la terapia di elezione per più di
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vent’anni. Il trattamento è realizzato per via topica, mediante spugnature, ed
è registrato per applicazioni ad una concentrazione dello 0.025%. Nel corso
degli anni l’amitraz è stato utilizzato a diverse diluizioni e a differenti frequenze di applicazione in numerosi studi. La diluizione finale varia dallo
0.025% allo 0.125%, a seconda dei paesi e degli Autori, con una frequenza di
somministrazione da giornaliera a ogni due settimane.3,19,20 Attualmente il suo
utilizzo si è notevolmente ridotto a vantaggio della terapia sistemica.
La terapia sistemica si basa sull’utilizzo di lattoni macrociclici di cui solo
la milbemicina ossima per uso orale e la moxidectina, spot-on sono registrate in Italia per il trattamento della demodicosi generalizzata.
I lattoni macrociclici sono substrati della glicoproteina P, presente nella
barriera emato-encefalica dei mammiferi, dove limita l’ingresso di numerose molecole, tra cui i lattoni macrociclici, nel SNC. Il gene che codifica la
glicoproteina P è conosciuto come ABCB1-1 e una sua mutazione, di tipo
omozigote, determina un’interruzione nella sintesi della glicoproteina P che
permette un accumulo di molecole neurotossiche, come l’ivermectina, nel
SNC.22 Esistono diverse razze canine predisposte a questa mutazione tra cui
il Collie, il Bobtail, il Pastore australiano, il Pastore delle Shetland e il Border Collie ma recenti segnalazioni in altre razze, quali il Whippet a pelo lungo, il Pastore tedesco e il Pastore svizzero rendono questo elenco tutt’altro
che esaustivo.23
La milbemicina ossima è utilizzata alla posologia di 1-2 mg/Kg al giorno
per via orale,3 con un’efficacia minore riportata nel trattamento della demodicosi ad insorgenza in età adulta.21 È stata segnalata la comparsa di atassia in
due cani di razza Collie omozigoti per la mutazione ABCB1-1 al dosaggio di
1,5 mg/Kg.24
Recentemente è stato introdotto sul mercato un prodotto spot-on contenente moxidectina 2,5% in associazione con imidacloprid 10%, registrato in Italia per la terapia della demodicosi generalizzata (una applicazione ogni 4 settimane). In un primo studio l’utilizzo di questo prodotto, a frequenza di somministrazione mensile, evidenziava risultati sovrapponibili a quelli ottenuti
con l’utilizzo di milbemicina ossima.25 Studi clinici successivi non hanno confermato questo risultato indicando che l’utilizzo di questa formulazione era
più efficace nelle forme lievi di demodicosi ad insorgenza giovanile14 e che la
somministrazione settimanale risultava più efficace rispetto a quella mensile
o ogni quindici giorni.13,26,27 Attualmente il suo utilizzo è raccomandato a frequenza settimanale per le forme lievi di demodicosi ad insorgenza giovanile,
considerando il ricorso ad altri protocolli terapeutici nel caso di assenza di miglioramento nelle prime settimane.3
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Esistono numerosi protocolli alternativi che utilizzano molecole non registrate per il trattamento della demodicosi generalizzata canina, il cui impiego
è sotto la stretta responsabilità del medico veterinario prescrittore. L’attuale
normativa italiana di riferimento in materia di farmaco veterinario, rappresentata dal Decreto Legislativo del 6 aprile 2006 n°193 (attuazione della direttiva 2004/28/CE), prevede, infatti, per il medico veterinario l’obbligo di usare
e prescrivere medicinali ad uso veterinario che siano registrati per la specie
da trattare e per l’affezione che si vuole curare. Tutte le situazioni che esulano da questa condizione, secondo la normativa, rappresentano un “uso improprio non consentito” e prevedono sanzioni amministrative pecuniarie per il
veterinario prescrittore.
L’utilizzo dell’ivermectina per via orale alla posologia di 0.3-0.6 mg/Kg al
giorno è stato valutato in diversi studi19,28,29 risultando efficace per il trattamento della demodicosi generalizzata canina,3 mentre il suo impiego a frequenza settimanale per via sottocutanea alla dose di 0.4 mg/Kg ha dato risultati incostanti e attualmente non è raccomandato.3
La moxidectina iniettabile è stata utilizzata in diversi studi alla posologia
di 0.2-0.5 mg/Kg al giorno per via orale con risultati paragonabili a quelli ottenuti con l’ivermectina30,31 ed è considerata una molecola efficace per il trattamento della demodicosi generalizzata canina.3
La doramectina può essere utilizzata alla posologia di 0.6 mg/Kg a frequenza settimanale sia per via orale che sottocutanea.3,32,33
La selamectina, utilizzata alla posologia di 24-48 mg/Kg per via orale una
volta alla settimana o due volte al mese non ha dato buoni risultati nel trattamento della demodicosi generalizzata.34
Recentemente è stato introdotto sul mercato un prodotto spot-on a base di
amitraz 15% in associazione con metaflumizone 15%, il cui utilizzo sembra
essere efficace ad una frequenza di somministrazione mensile o ogni due settimane.35,36 Sono stati descritti casi di pemfigo foliaceo conseguente alla somministrazione di questo prodotto37 per cui si consiglia di non impiegare questa formulazione se non nei soggetti che non rispondono ad altre opzioni terapeutiche.3
Nella gestione della demodicosi generalizzata canina è di fondamentale
importanza il controllo di diversi fattori che, direttamente o indirettamente,
possono condizionare il decorso della malattia.
La terapia antibatterica è di primaria importanza in quanto la demodicosi
generalizzata si associa spesso a piodermite superficiale e/o profonda. Il trattamento topico (clorexidina, benzoilperossido), oltre che per l’azione antimicrobica, è raccomandato in quanto favorisce la rimozione di scaglie, detriti,
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croste, essudati e mediatori dell’infiammazione contribuendo alla guarigione
e al benessere generale dell’animale. La scelta dell’antibiotico sistemico da
utilizzare deve basarsi sui risultati dell’esame citologico e preferibilmente
sull’esito dell’esame batteriologico e dell’antibiogramma, per poter eseguire
una terapia mirata.3,19
La diagnosi e il trattamento delle malattie concomitanti è essenziale per la
prognosi della demodicosi generalizzata ad insorgenza in età adulta, anche se
non sempre l’identificazione della causa associata risulta possibile.38-40
La terapia medica deve associarsi ad un buon mantenimento delle condizioni generali dell’animale, realizzabile mediante il controllo delle endoparassitosi e garantendo un’alimentazione equilibrata e di buona qualità.3
Il monitoraggio terapeutico non può basarsi sul miglioramento delle lesioni in quanto la guarigione clinica non corrisponde, e precede, quella parassitologica per cui è necessario eseguire diversi raschiati profondi cutanei
mensili, possibilmente nelle stesse sedi, con il fine di evidenziare progressivamente un aumento del rapporto acari morti-forme adulte/acari vivi-forme immature.
Indipendentemente dal tipo di acaricida utilizzato la terapia deve essere
protratta sino ad ottenere due serie di raschiati cutanei profondi negativi (assenza di acari vivi e morti, frammenti di acari, uova e forme immature) eseguiti a distanza di un mese.1-3 Nei soggetti che hanno risposto lentamente al
trattamento alcuni Autori suggeriscono di protrarre la terapia per un ulteriore mese.3
È consigliato monitorare attentamente i cani durante i primi 12 mesi dall’interruzione del trattamento.3 Secondo alcuni Autori un cane può considerarsi guarito se non presenta recidive della malattia per un periodo di 12 mesi dalla sospensione della terapia;1 sono però segnalate ricadute verificatesi in
un periodo di tempo maggiore,19,41 per cui è si consiglia di informare i proprietari su questa eventualità, anche se i cani appaiono in remissione per un
periodo di tempo prolungato.
La terapia della demodicosi canina generalizzata è lunga e la prognosi è
generalmente buona anche se una percentuale di soggetti non manifesta miglioramento clinico o va incontro a continue recidive.1,19 In molti di questi casi la principale causa di insuccesso è da ricercarsi nella scorretta gestione del
paziente, che si traduce principalmente nell’assenza di controllo della piodermite associata, nella mancata identificazione della malattia sottostante nella
forma ad insorgenza in età adulta, nello scorretto utilizzo dei farmaci disponibili e soprattutto nell’insufficiente monitoraggio della malattia, in particolare relativo ad un’interruzione precoce della terapia.42
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Nei soggetti sottoposti ad una gestione corretta e rigorosa della malattia,
in cui non si ottiene un miglioramento clinico soddisfacente o che vanno incontro a frequenti recidive, è possibile instaurare una terapia di mantenimento. I trattamenti suggeriti sono rappresentati dall’utilizzo per via orale dell’ivermectina (ogni 48-72 ore o settimanale), della milbemicina (ogni 48-72
ore)1,3,19 e, come indicato da un recente studio pilota, dall’applicazione mensile di un prodotto spot-on a base di moxidectina 2,5%, in associazione con
imidacloprid 10%.43
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Giovanni Ghibaudo
Med Vet, Fano (PU)
Terapia medica delle otiti:
lo stato dell’arte
Sabato, 22 settembre 2012, ore 10.40
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L’efficacia della terapia dell’otite esterna richiede l’identificazione ed il
trattamento di tutti i fattori implicati nella sua insorgenza. L’approccio terapeutico varia quindi sensibilmente in relazione alle caratteristiche evidenziate dall’indagine diagnostica. La terapia topica è essenziale nel trattamento
dell’otite esterna e in commercio sono disponibili diversi prodotti otologici
contenenti differenti combinazioni di principi attivi (antibatterici, antifungini,
antinfiammatori, antiparassitari) la cui scelta è modulata in funzione dei risultati degli esami diagnostici eseguiti. La terapia sistemica si associa alla terapia topica in particolari situazioni che saranno descritte successivamente.
I punti chiave della terapia dell’otite esterna sono:
• La pulizia del condotto uditivo
• Il controllo e l’eradicazione delle infezioni secondarie (fattori secondari)
• Il controllo e l’eliminazione delle cause primarie
• Il controllo e l’eliminazione dei fattori perpetuanti e predisponenti
PULIZIA DEL CONDOTTO UDITIVO
Il lavaggio auricolare è una tappa fondamentale del protocollo terapeutico
dell’otite. La pulizia del condotto uditivo favorisce il ripristino di un ambiente auricolare normale ma, se non eseguita correttamente, può costituire un
ostacolo alla risoluzione dell’otite.
La pulizia di un condotto auricolare sano non è generalmente necessaria,
in quanto può favorire l’aumento dell’umidità e la macerazione del rivestimento esterno del condotto, predisponendo alle infezioni secondarie.
Le finalità del lavaggio auricolari sono sia diagnostiche che terapeutiche:
• Rendere possibile l’ispezione del condotto uditivo e del timpano in presenza di abbondanti secrezioni
• Rimuovere eventuali corpi estranei (soprattutto di piccole dimensioni)
spesso intrappolati nei prodotti di secrezione e quindi non sempre evidenti
• Garantire la rimozione di tossine batteriche e detriti cellulari che rappresentano un ulteriore stimolo infiammatorio
• Garantire l’efficacia della terapia topica in quanto le secrezioni auricolari contrastano l’azione dei farmaci, sia inattivandoli (es. la polimixina B, inattivata dal pus), sia impedendo loro di raggiungere la sede di
azione.
Il lavaggio auricolare profondo può essere eseguito solo sottoponendo il
paziente ad anestesia generale, che garantisce la completa immobilizzazione
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dell’animale; è essenziale il ricorso all’intubazione endotracheale per impedire, in presenza di una perforazione timpanica, il rischio di aspirazione dei liquidi di lavaggio, che possono raggiungere la trachea e quindi i polmoni (polmonite ab ingestis) attraverso la tuba uditiva.
L’operatore deve indossare guanti, maschera e occhiali protettivi per minimizzare i rischi di contaminazione legati alla aerosolizzazione delle secrezioni auricolari e al paziente deve essere garantita un’adeguata protezione degli
occhi per impedire il contatto con i liquidi di lavaggio durante la procedura.
La raccolta dei campioni da destinare agli esami complementari (citologia
auricolare, esame batteriologico) e qualsiasi indagine diagnostica per immagine deve essere effettuata prima di procedere alle operazioni di lavaggio.
La rimozione dei peli dal condotto uditivo, se non necessaria, è sconsigliata in quanto può rappresentare un ulteriore stimolo infiammatorio e devono
essere evitate le creme depilatorie in quanto potenzialmente irritanti e sensibilizzanti.
Le operazioni di pulizia sono semplificate, in presenza di abbondanti secrezioni, se precedute dall’utilizzo di un agente ceruminolitico.
Gli agenti ceruminolitici a base oleosa (glicole propilenico, olio di vaselina, glicerina, squalene) esercitano una blanda azione ammorbidendo e fluidificando il cerume. Gli agenti ceruminolitici a base acquosa (urea perossido,
perossido di carbammide, dioctilsodiosuccinato) possiedono proprietà surfactanti che garantiscono una maggior penetrazione con distruzione dell’integrità del cerume.
L’urea perossido e il perossido di carbammide sono agenti schiumogeni
che rilasciando ossigeno in situ favoriscono la dissoluzione dei detriti, soprattutto in presenza di secrezioni di natura purulenta. L’agente ceruminolitico è
applicato 5-15 minuti prima della pulizia auricolare, massaggiando delicatamente la base dell’orecchio per aumentarne l’effetto. Molti, se non tutti, i ceruminolitici, ad eccezione dello squalene, sono potenzialmente ototossici e
controindicati in presenza di rottura della membrana timpanica o in quei soggetti in cui non è possibile valutare le condizioni della membrana stessa. Nella pratica, tuttavia, il loro utilizzo è quasi sempre necessario per poter realizzare una adeguata pulizia per cui, dopo il loro impiego, è essenziale rimuoverli completamente mediante un lavaggio profondo.
La soluzione isotonica salina rappresenta un liquido di lavaggio sicuro anche in soggetti in cui non è possibile valutare l’integrità della membrana timpanica in quanto non è irritante né ototossica. Prima di essere utilizzata deve
essere scaldata a temperatura corporea per ridurre la stimolazione del paziente ed evitare fenomeni di vertigine.
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Il lavaggio auricolare prevede una tecnica di irrigazione-aspirazione del
condotto uditivo che consiste nell’immissione del liquido di lavaggio ad una
delicata pressione, alternata ad aspirazione dello stesso. Lo strumentario necessario può essere rappresentato da una semplice peretta in gomma per enteroclisma di piccole dimensioni oppure da una siringa da 10-20 ml privata
dell’ago e raccordata o ad un catetere urinario, a cui sia stata asportata la punta, ad un deflussore tagliato della lunghezza adeguata, o ad una sonda per alimentazione parenterale, di diametro e lunghezza proporzionali al condotto
uditivo. Il catetere è guidato all’interno del condotto attraverso il cono dell’otoscopio precedentemente posizionato, ponendo la massima attenzione a
non provocare lesioni alla membrana timpanica. Si introduce quindi la soluzione di lavaggio, si esegue un delicato massaggio del condotto dall’esterno
per favorire lo scioglimento delle secrezioni, e si procede all’aspirazione ripetendo più volte l’operazione sino alla completa pulizia del canale. L’aspirazione è realizzata mediante il pistone della siringa o utilizzando un altro catetere raccordato ad un aspiratore chirurgico.
Una particolate tecnica per il lavaggio prevede l’utilizzo di un apparecchio
per la pulizia auricolare (Auriflush®) che, collegato al rubinetto dell’acqua,
permette, tramite una pistola erogatrice, la simultanea irrigazione e aspirazione del condotto uditivo mediante l’immissione di acqua tiepida. Negli ultimi
anni si è assistito ad un’evoluzione tecnologica di questa procedura con l’introduzione della video-otoendoscopia. Il lavaggio auricolare mediante videootoendoscopio consente, a differenza dell’otoscopia tradizionale, la visualizzazione continua durante le operazioni di pulizia, realizzata tramite vie di servizio nelle camicie dell’ottica, in quanto la fonte luminosa e le lenti sono localizzate sulla punta dell’apparecchio. Esiste uno strumento brevettato che
permette attraverso l’immissione di soluzione fisiologica e l’aspirazione (tramite tasti alternati) di effettuare sotto visione endoscopica tutta la procedura
di lavaggio e di lavorare con estrema sicurezza anche a livello della membrana timpanica (Vetpump II® Storz).
Eventuali detriti e residui di cerume (ceruminoliti) che, dopo il lavaggio,
permangono adesi alla parete del condotto o in prossimità della membrana
timpanica, possono essere rimossi meccanicamente utilizzando una curette o
un ansa auricolare che viene introdotta all’interno del cono dell’otoscopio,
portata a ridosso del materiale da eliminare, e quindi ruotata al di sopra del residuo, prima di essere delicatamente estratta. In alternativa può essere utilizzato l’aspiratore: il tubo di raccordo viene posto a contatto con il materiale da
asportare e, dopo aver attivato l’aspiratore, e il tubo viene rimosso dal condotto uditivo rimuovendo il materiale.
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La pulizia si conclude con l’istillazione di un agente astringente ed essiccante per ridurre l’umidità residua e prevenire la macerazione. La maggior
parte di queste preparazioni sono a base alcolica e contengono alcool isopropilico associato ad un acido debole (es. acido borico, benzoico, salicilico, acetico). Il lavaggio auricolare profondo può essere una procedura dolorosa per
il paziente per cui è consigliabile prescrivere una terapia antidolorifica per
qualche giorno.
Le complicazioni derivanti dal lavaggio auricolare, spesso transitorie, sono rare nel cane mentre nel gatto sono più frequenti; il proprietario deve sempre essere istruito sui possibili rischi a cui va incontro il proprio animale e
preferibilmente deve rilasciare un consenso informato prima di intraprendere
le procedure. L’algia e lo scuotimento della testa sono frequenti dopo una pulizia auricolare aggressiva o possono essere espressione di un’inadeguata
analgesia. Raramente possono comparire segni clinici neurologici vestibolari
(testa ruotata, mancanza di equilibrio, movimenti in circolo) o sordità in conseguenza, ad esempio, dell’uso di sostanze ototossiche in presenza di perforazione timpanica non rimosse mediante adeguato lavaggio.
CONTROLLO ED ERADICAZIONE DELLE CAUSE
SECONDARIE
Il controllo delle complicazioni secondarie, sia batteriche che fungine, rappresenta il successivo passo nella gestione terapeutica dell’otite e prevede
l’utilizzo di agenti antibatterici e antifungini per via topica e/o sistemica.
Terapia delle complicazioni batteriche
L’obiettivo della terapia antibatterica è rappresentato dall’eliminazione
delle infezioni batteriche, evitando di favorire la selezione di batteri resistenti agli antibiotici, ed è realizzata mediante l’utilizzo di antibatterici non antibiotici (clorexidina a basse concentrazioni) e/o antibiotici topici ed eventualmente sistemici. La terapia topica rappresenta il trattamento di elezione in
quanto permette di ottenere elevate concentrazioni di principio attivo nel condotto uditivo, impossibili da raggiungere utilizzando la terapia sistemica.
Per garantire l’efficacia della terapia topica il prodotto deve essere correttamente inserito all’interno del condotto uditivo esterno cercando di rendere
il più rettilineo possibile il canale; questo per consentire al principio attivo di
raggiungere la porzione più profonda del condotto auricolare.
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La clorexidina digluconato è un disinfettante contenuto, a differenti concentrazioni, in diverse preparazioni commerciali ad uso otologico. La sua
attività battericida non viene inattivata dal materiale organico (pus, essudati) rendendola particolarmente indicata nel trattamento dell’otite. I principali antibiotici presenti nelle preparazioni otologiche disponibili in commercio sono rappresentati dagli aminoglicosidi (neomicina, gentamicina, framicetina), dalla rifaximina, dalle polimixine (polimixina B e colestina), dai
fluorochinoloni (enrofloxacina, marbofloxacina e orbifloxacina) e dalla sulfadiazina argentica.
L’approccio terapeutico varia notevolmente se si tratta di un’otite alla prima presentazione o di un’otite cronica. La scelta della molecola da utilizzare
è indirizzata dall’esito dell’esame citologico, che permette di selezionare i
principi attivi in funzione del tipo e delle caratteristiche della popolazione
batterica presente.
Se il quadro citologico è suggestivo di sovracrescita batterica sostenuta
da cocchi è indicato privilegiare l’impiego di antibatterici topici non antibiotici (clorexidina) per ridurre il rischio di selezionare batteri resistenti agli
antibiotici.
In presenza di un quadro citologico compatibile con un infezione batterica sostenuta da cocchi il principio attivo considerato di prima scelta è rappresentato dalla neomicina che presenta una buona attività antibatterica nei confronti dei cocchi Gram positivi. La neomicina, come la polimixina B, è inattivata dal materiale purulento per cui la sua somministrazione deve essere
preceduta dalla pulizia del condotto uditivo ed è una delle molecole più frequentemente implicate nelle reazioni irritative da contatto nel cane.
Se il quadro citologico evidenzia un’infezione batterica sostenuta da bastoncelli il principio attivo di prima scelta è rappresentato dalla polimixina B
che, oltre a presentare una buona attività antibatterica nei confronti dei Gram
negativi, Pseudomonas incluso, diminuisce la componente infiammatoria
neutralizzando gli effetti delle endotossine prodotte dai batteri stessi. La gentamicina viene generalmente utilizzata come seconda scelta per evitare il frequente rischio di insorgenza di ceppi resistenti e poterla impiegare in caso di
insuccesso conseguente ad un corretta terapia con farmaci di prima scelta.
Se non si osserva una risposta adeguata ad una corretta terapia o in presenza di un quadro citologico di infiammazione sostenuta da batteri bastoncellari in corso di otite cronica, la scelta del principio attivo da utilizzare, per l’alta frequenza di multi-resistenze ai comuni antibiotici da parte di questi batteri, deve essere basata sui risultati dell’esame batteriologico e dell’antibiogramma. Un aspetto da non trascurare nell’interpretazione di un antibiogram-
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ma realizzato da un campione auricolare è che le informazioni derivanti dai
risultati ottenuti si riferiscono alle concentrazioni plasmatiche di antibiotico
efficace, che sono nettamente inferiori a quelle ottenibili utilizzando molecole antibiotiche presenti nelle preparazioni ad uso topico. Un recente studio ha
inoltre evidenziato un estrema variabilità dei risultati nella sensibilità agli antibiotici, in corso di otite cronica da Pseudomonas spp., tra diversi laboratori
di microbiologia.
Il trattamento delle otiti croniche da Pseudomonas rappresenta una sfida
terapeutica che, attualmente, può essere considerata più un’arte che una scienza. In effetti, a differenza di quanto si verifica in medicina umana, i numerosi approcci descritti in letteratura veterinaria sono piuttosto empirici tanto che
una recente revisione critica sistematica degli studi clinici pubblicati su questo argomento tra il 1967 e il 2006 ha concluso che non esistono attualmente
protocolli terapeutici basati sull’evidenza in medicina veterinaria nella terapia
delle otiti da Pseudomonas nel cane.
L’amikacina e la tobramicina, non disponibili in commercio nelle preparazioni commerciali otologiche veterinarie, sono due aminoglicosidi indicati nelle otiti croniche da batteri Gram negativi resistenti alla gentamicina. L’amikacina viene impiegata utilizzando la soluzione iniettabile diluita
in soluzione fisiologica alla concentrazione di 30-40 mg/ml, mentre la tobramicina è disponibile come prodotto otologico ad uso umano.
I fluorochinoloni sono molto impiegati nelle otiti croniche da batteri Gram
negativi anche se sono descritte delle resistenze, soprattutto associate ad loro
un utilizzo a concentrazioni sub-terapeutiche. L’enrofloxacina e la marbofloxacina sono entrambe disponibili in preparazioni otologiche commerciali veterinarie, ad una concentrazione, rispettivamente, dello 0.5% e dello 0.3%,
mentre l’orbifloxacina è disponibile in concentrazione pari allo 0,9%. Alcuni
autori preferiscono utilizzare la formulazione iniettabile diluita con soluzione
fisiologica per ottenere una maggior concentrazione di principio attivo (es. 1
ml di enrofloxacina iniettabile al 5% in 6 ml di soluzione fisiologica). Recentemente sono stati registrati due prodotti otologici contenenti enrofloxacina e
sulfadiazina argentica e orbifloxacina insieme a posaconazolo e mometasone
furoato; l’utilizzo di formulazioni differenti di enrofloxacina costituisce,
quindi, un uso improprio nella specie canina. La sulfadiazina argentica è dotata di un ampio spettro antibatterico, inclusi batteri meticillino-resistenti e
ceppi resistenti di Pseudomonas. È impiegata nel trattamento delle ustioni
dell’uomo per le sue proprietà antibatteriche e cicatrizzanti per cui è particolarmente indicata nelle otiti erosive-ulcerative da batteri Gram negativi. È disponibile in preparazione otologiche veterinarie alla concentrazione dell’1%.
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La ticarcillina è una carbossipenicillina ad ampio spettro che manifesta
una buona attività nei confronti di batteri Gram negativi ed è impiegata da diversi autori nel trattamento delle otiti complicate da Pseudomonas. Non è disponibile nelle comuni preparazioni otologiche e viene utilizzata impiegando
la soluzione iniettabile diluita in soluzione fisiologica alla concentrazione di
25 mg/ml, ma attualmente non è reperibile in Italia.
Un presidio terapeutico disponibile è rappresentato dall’acido etilenilaminotetracetico (EDTA) associato alla trometamina (Tris EDTA) che oltre ad
una propria attività battericida garantisce un aumento della penetrazione degli antibiotici attraverso la membrana cellulare batterica; il suo utilizzo è consigliato 10 minuti prima dell’applicazione dell’antibiotico.
Attualmente è disponibile un prodotto contenente Tris-EDTA e clorexidina allo 0,15%, che garantisce un aumento dell’azione battericida da parte della clorexidina, che a questa concentrazione non manifesta ototossicità. Il prodotto è indicato sia come detergente che come terapeutico in tutte le otiti bastoncellari e può essere associato, utilizzandolo dopo 10-15 minuti, ad antibiotici come i fluorchinoloni e gli aminoglicosidi, presentando lo stesso pH
alcalino ottimale.
La durata della terapia topica è legata ai risultati degli esami citologici che
permettono di monitorare la risposta alla terapia.
La terapia antibiotica sistemica, sempre associata alla terapia topica, è indicata in presenza di una concomitante otite media, nelle gravi otiti esterne
croniche proliferative, nelle otiti in cui si osservano lesioni ulcerative a carico della parete del condotto e nei soggetti a cui i proprietari non riescono a
somministrare la terapia locale.
Terapia delle complicazioni fungine
La terapia topica delle complicazioni fungine utilizza derivati azolici quali i benzimidazolici (tiabendazolo) o gli imidazolici (miconazolo, econazolo,
clotrimazolo), presenti in diverse preparazioni otologiche veterinarie e attivi
nei confronti di Malassezia pachydermatis. Gli antifungini azolici non sono
ototossici mentre sono descritte reazioni irritanti da contatto conseguenti al
loro impiego. La clorexidina digluconato, ad una concentrazione dello 0.45%
utilizzata in monoterapia, è risultata efficace nei confronti di Malassezia. La
nistatina, un macrolide polienico, rappresenta la prima scelta nelle rare complicazioni sostenute da Candida manifestando una buona attività anche nei
confronti di Malassezia, anche se studi in vitro hanno evidenziato solo una
parziale inibizione nella crescita di questo lievito su agar Sabouraud dopo
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esposizione alla nistatina. La durata della terapia topica è legata ai risultati degli esami citologici che permettono di monitorare la risposta alla terapia. La
terapia sistemica non è quasi mai necessaria tranne i rari casi di otite media
da lieviti.
CONTROLLO ED ELIMINAZIONE DELLE CAUSE PRIMARIE
Il trattamento delle cause primarie di otite è di fondamentale importanza
anche se a volte la loro identificazione non è sempre semplice e, spesso, coesistono più fattori contemporaneamente. Se si escludono i corpi estranei, che
devono essere prontamente rimossi, la terapia della maggior parte delle cause primarie di otite è di competenza della dermatologia veterinaria ai cui testi
si rimanda. In questa sede viene affrontata la terapia delle otiti da ectoparassiti e delle otiti allergiche.
Terapia delle ectoparassitosi
Negli ultimi decenni, l’introduzione di una nuova generazione di antiparassitari ha notevolmente semplificato la terapia delle principali ectoparassitosi del cane e del gatto. La terapia viene limitata in questa sede al trattamento dell’otoacariasi e dell’otodemodicosi, rimandando il lettore ai testi di dermatologia veterinaria per il trattamento delle altre ectoparassitosi che possono interessare occasionalmente il condotto uditivo esterno.
Otoacariasi
Prima di iniziare la terapia antiparassitaria specifica è consigliabile eseguire un lavaggio auricolare che permette di rimuovere meccanicamente un gran
numero di parassiti e l’eccesso di cerume indotto dalla loro presenza. Tutti gli
animali a contatto con il soggetto malato devono essere sottoposti a terapia
(estrema contagiosità e possibile presenza di portatori asintomatici).
In Italia sono disponibili molecole, ad uso topico e sistemico, registrate per
il trattamento dell’otoacariasi canina e felina. La terapia topica tradizionale
utilizza prodotti contenenti acaricidi (tetrametrina, fenotrina, carbaril, diclorofene, piretro e tiabendazolo) introdotti direttamente nel condotto uditivo
giornalmente per almeno tre settimane. Il fipronil spot-on, registrato per la
specie canina e felina, ma non per l’otoacariasi, è stato utilizzato con successo istillando due gocce in ciascun orecchio a un mese di intervallo.
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La terapia sistemica prevede l’impiego delle recenti formulazioni spot-on
in cui il principio attivo, contenuto in piccole fiale di materiale plastico, viene applicato direttamente sulla cute tra le scapole o lungo la linea dorsale. Le
molecole registrate per il trattamento dell’otoacariasi del cane e del gatto appartengono alla famiglia dei lattoni macrociclici e sono rappresentate dalla selamectina spot-on, due applicazioni a distanza di trenta giorni, e dalla moxidectina (disponibile in associazione con imidacloprid), due applicazioni a distanza di ventotto giorni.
La terapia sistemica presenta dei vantaggi rispetto alla terapia topica. La
facilità di somministrazione garantisce un livello superiore di compliance da
parte del proprietario che si traduce in una maggior continuità nella terapia.
L’attività sistemica è, inoltre, efficace nei confronti di eventuali localizzazioni ectopiche da parte dell’Otodectes che, alcune volte, abbandona il condotto
uditivo determinando lesioni cutanee in altre sedi (principalmente periauricolari). L’efficacia dell’ivermectina iniettabile è ampiamente dimostrata (0.20.4 mg/Kg per via sottocutanea minimo due volte a distanza di 14 giorni o per
via orale minimo tre trattamenti ogni sette giorni) ma il suo utilizzo costituisce un uso improprio non consentito che viola la normativa vigente, in quanto non registrata per la specie canina e felina. L’ivermectina è inoltre implicata in gravi reazioni neurotossiche, spesso mortali, non solo nei cani di razza
Collie ma in numero crescente di razze canine tanto che diversi autori consigliano, prima della sua somministrazione, l’esecuzione del test di tipizzazione del gene mdr1, la cui mutazione in forma omozigote è responsabile della
sensibilità all’ivermectina.
Otodemodicosi
I rari casi di demodicosi con esclusivo interessamento del condotto uditivo, descritti principalmente nel gatto, possono essere trattati utilizzando
l’amitraz diluito in olio minerale (0.13%, 0.5%, 2%) ogni giorno o ogni tre
giorni direttamente nel condotto uditivo esterno.
Terapia dell’otite allergica
Si è visto nei capitoli precedenti come le malattie da ipersensibilità costituiscano uno dei principali fattori primari nell’insorgenza di otite. Il trattamento delle malattie allergiche è complesso ed esula dagli scopi di questa presentazione, in cui viene limitato alla gestione dell’otite allergica.
I soggetti affetti da dermatite atopica presentano alterazioni della composizione chimica della barriera lipidica epidermica. La ricostituzione e il man-
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tenimento della barriera cutanea può essere favorito utilizzando principi attivi come le fitosfingosine, che rappresentano un costituente essenziale della
barriera lipidica epidermica oltre ad esercitare un’azione antinfiammatoria e
antibatterica.
Il controllo delle manifestazioni infiammatorie e del prurito auricolare può
essere realizzato mediante l’utilizzo di glucocorticoidi topici, che oltre a presentare un’azione antinfiammatoria e antipruriginosa, determinano atrofia
delle ghiandole sebacee limitando la secrezione ghiandolare. Riducendo l’infiammazione favoriscono la normalizzazione del microambiente del condotto
uditivo contrastando, indirettamente, l’insorgenza di infezioni secondarie. I
glucocorticoidi sono presenti in quasi tutte le preparazioni otologiche disponibili in commercio, ma differiscono in potenza e concentrazione.
Nelle fasi iniziali si utilizzano glucocorticoidi più potenti (betametasone,
desametasone) e solo dopo aver ottenuto un soddisfacente controllo dell’infiammazione si impiegano quelli meno potenti (idrocortisone, prednisolone)
per la terapia di mantenimento. L’impiego di glucocorticoidi deve essere giudizioso in corso di concomitante infezione batterica, in quanto interferiscono
con la risposta immunitaria e nelle terapie a lungo termine, in quanto possono comportare soppressione dell’asse ipotalamo-ipofiso-surrenalica e determinare atrofia cutanea e/o ripiegamento del padiglione auricolare.
Ultimo aspetto, da non trascurare, è rappresentato dalle complicazioni secondarie, soprattutto da Malassezia, che si associano frequentemente alle otiti allergiche e che devono essere trattate secondo quanto esposto precedentemente.
CONTROLLO ED ELIMINAZIONE DEI FATTORI
PREDISPONENTI E PERPETUANTI
È una tappa delicata nel protocollo terapeutico dell’otite. Se l’approccio
terapeutico ai fattori predisponenti può talvolta essere di difficile realizzazione (es. predisposizioni anatomiche), il trattamento dei fattori perpetuanti deve essere tempestivo ed aggressivo per evitare al paziente una terapia invasiva chirurgica.
Le modificazioni anatomiche del condotto uditivo esterno che si verificano in seguito ad uno stimolo infiammatorio cronico sono responsabili della
progressiva riduzione del diametro trasversale del lume, che può esitare nella
completa stenosi. L’obiettivo primario della terapia è di favorire, per quanto
possibile, la riapertura del lume del condotto per facilitare l’areazione e il dre-
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naggio delle secrezioni presenti nel suo interno e prevede l’utilizzo per via sistemica di glucocorticoidi (prednisone o prednisolone 1-3 mg/Kg/die in funzione del quadro clinico) e antibiotici. Dopo due settimane di terapia aggressiva il paziente viene rivalutato: se si è ottenuto un miglioramento clinico (riapertura del condotto) il soggetto seguirà l’iter diagnostico terapeutico dell’otite esterna; se non si osserva nessun miglioramento clinico il paziente è destinato alla terapia chirurgica. Alcuni autori consigliano, prima di ricorrere alla
terapia chirurgica, l’esecuzione di iniezioni intralesionali di triamcinolone
acetonide; particolare attenzione deve essere rivolta al rapporto tra quantità di
corticosteroide e peso corporeo dell’animale per ridurre il rischio di insorgenza di gravi effetti collaterali (diabete mellito, iperadrenocorticismo iatrogeno
ecc.). La ciclosporina (5 mg/Kg/die) e gli antinfiammatori non steroidei sono
stati utilizzati ottenendo risultati variabili.
Un altro fattore perpetuante, spesso sottodiagnosticato, è rappresentato
dalla concomitante presenza di otite media associata ad otite esterna che, se
non riconosciuta e trattata, rende inutile qualsiasi terapia rivolta al solo trattamento dell’otite esterna.
BIBLIOGRAFIA
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dogs with otitis media. J Am Vet Med Assoc; 212:534, 1998.
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3. Gortel K, Campbell KL, et al: Methicillin resistance among staphylococci isolated from
dogs. Am J Vet Res; 60:1526-30, 1999.
4. Griffin CE: Otitis externa and media: In: Griffin CE et al. (eds): Current Veterinary Dermatology. Mosby Year Book, St.Louis, 1993, p245.
5. Gotthelf L.N.: Small Animal Ear Diseases: An Illustrate Guide. W.B.Saunders Company,
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Francesca Abramo
Med Vet, Dipartimento di Scienze Veterinarie, Pisa
Tutto ciò che “ama”
e che “odia” il patologo
Sabato, 22 settembre 2012, ore 11.50
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Quando il dermatologo decide di eseguire una biopsia cutanea è perché
questa rappresenta un punto chiave nell’iter diagnostico. Le motivazioni per
l’esecuzione sono molteplici: ottenere la conferma di un sospetto clinico di
malattia, formulare una diagnosi definitiva, oppure ricevere con la refertazione suggerimenti validi per orientarsi in una lunga lista di possibili diagnosi
differenziali, anche con l’eventuale esclusione di alcune di esse. Ne consegue
che spesso il clinico ripone nella risposta del patologo le sue aspettative di risoluzione del problema dermatologico o comunque si aspetta un aiuto nell’interpretazione della patogenesi della malattia per poter emettere una prognosi
e impostare il protocollo terapeutico. Dal punto di vista del patologo rimane
la responsabilità professionale di sapere che dalla propria interpretazione delle lesioni può dipendere la risoluzione di un caso clinico.
Premesso questo, entrambe le figure professionali devono agire in modo
tale da garantire un risultato ottimale per il bene del paziente.
In questa relazione il patologo vuole segnalare al clinico le procedure corrette per la preparazione di una biopsia prima che questa venga sottoposta a
fissazione e ricordare i punti salienti riguardanti la fase di fissazione del campione, individuando i punti critici che possono influenzare negativamente la
refertazione istopatologica.
Le fasi dell’esecuzione di una biopsia fino al momento della fissazione del
campione sono di competenza del clinico e comprendono i seguenti passaggi:
1) Selezione della malattia
2) Scelta del momento in cui eseguire la biopsia
3) Numero di campioni da prelevare
4) Scelta delle lesioni da prelevare
5) Tecnica di prelievo
6) Invio al laboratorio
La maggior parte di queste voci (da 1 a 5) riguardano il momento prefissazione. Solo nella voce 6 il campione viene sottoposto a fissazione. In
ognuna di queste fasi, un eventuale errore si ripercuote a valle e può inficiare il risultato dell’ultima delicata e complessa operazione, ovvero la refertazione. Da adesso in poi saranno prese in esame le fasi elencate, sottolineando ciò che è scorretto fare, ovvero quello che “odia” il patologo, per imparare dagli errori.
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1) SELEZIONE DELLA MALATTIA
Il dermatopatologo “ama” leggere le biopsie cutanee e pertanto sollecita il
clinico ad eseguirle sempre. Ovviamente la diagnosi clinica viene raggiunta
in molti casi anche senza la biopsia cutanea, mediante l’esame clinico o test
collaterali (esame microscopico del pelo, raschiati, citologia). In questo modo il patologo può diventare meno “esperto” nella refertazione di quadri istopatologici che vengono sottoposti alla sua attenzione solo di rado (dermatite
miliare, rogna sarcoptica, displasia del pelo).
2) SCELTA DEL MOMENTO IN CUI ESEGUIRE LA BIOPSIA
Eseguire una biopsia durante un trattamento con corticosteroidi può rendere un campione non diagnostico. Il quadro morfologico rilevato può infatti
risultare falsato dagli effetti dei farmaci; è auspicabile pertanto sospendere i
trattamenti con farmaci steroidei almeno 2-4 settimane, rispettivamente per le
formulazioni ad azione breve e ritardo, prima di eseguire i prelievi bioptici.
Un esempio classico in cui il patologo deve confrontarsi con questo errore è
rappresentato dal complesso del CGE: da un quadro clinico tipico si ottengono biopsie con pattern di distribuzione compatibile, ma con componente eosinofilica assente. Se il clinico non ha sospeso la terapia o comunque non ha
segnalato nella scheda che il soggetto è ancora sotto trattamento la diagnosi
per il patologo diventa complicata.
Ancora, eseguire una biopsia in presenza di una piodermite può rendere un
campione non diagnostico. Il quadro morfologico rilevato può infatti risultare falsato dalla presenza di infezioni secondarie. In questo caso si consiglia di
somministrare una terapia antibiotica per almeno 2 settimane prima del campionamento. Esempio classico in cui il patologo deve confrontarsi con questo
errore è rappresentato dal lupus cutaneo nasale: la presenza di plasmacellule
con distribuzione a banda lungo la superficie non è patognomonico di lupus
ma di un pattern di reazione tipico della zona anatomica. L’aver eseguito la
biopsia dopo trattamento antibiotico facilita al patologo il riconoscimento delle lesioni dell’interfaccia, parametri istopatologici chiave per la diagnosi di
lupus cutaneo.
In ultimo, quello che “odia” il patologo è dover refertare quadri aspecifici
e cronici. Tali eventi sono indicativi del fatto che la scelta del momento in cui
eseguire la biopsia non è stata ottimale (troppo precoce o tardiva).
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3) NUMERO DI CAMPIONI DA PRELEVARE
Il patologo vuole sempre “tante” biopsie e sollecita il clinico a cercare di
prelevare campioni multipli in quanto le informazioni ottenibili dalla lettura
dei preparati istopatologici sono direttamente proporzionali al numero di
campioni prelevati. In caso di malattia che si manifesta con diversi stadi evolutivi è buona norma prelevare diversi campioni, ciascuno rappresentativo di
una delle diverse tipologie di lesione (macula, papula, pustola, crosta). Non è
infrequente che il commento di un referto istopatologico riporti “in base a
quanto descritto clinicamente, non si può escludere che possa trattarsi di..”.
L’esempio classico di questa situazione è la valutazione di una biopsia prelevata da una lesione papulare precoce in un soggetto con pemfigo foliaceo che,
in un’area adiacente, poteva magari presentare una lesione pustoloso/crostosa
non campionata.
Infine, per malattie che si manifestano con alopecia e di cui si vogliano valutare alterazioni funzionali e/o displasiche delle unità follicolari, è consigliabile includere oltre alle biopsie prelevate dalle zone francamente alopeciche
anche aree periferiche ipotricotiche e di cute adiacente normale, che serviranno al patologo per confronto.
Questo diventa imperativo per alcune malattie quali l’alopecia a modello
(per confrontare la dimensione dei peli e dei follicoli).
4) SCELTA DELLE LESIONI DA PRELEVARE
Dal momento che le lesioni dermatologiche tendono spesso a complicarsi con microrganismi opportunisti o si modificano nel tempo in lesioni aspecifiche, è imperativo prelevare lesioni primarie o di recente evoluzione. Volendo portare alcuni esempi, aree eritematose, macule, vescicole e pustole
sono lesioni che devono essere campionate in quanto maggiormente diagnostiche. Il prelievo di lesioni croniche come aree lichenificate ed iperpigmentate è solitamente meno indicato in quanto non fornisce al patologo indicazioni rilevanti.
Devono essere evitate aree in cui siano presenti segni di autotraumatismo,
in cui siano stati effettuati trattamenti farmacologici topici o in cui siano evidenti ulcere e necrosi. Il patologo deve infine poter apprezzare le lesioni a livello epidermico: se l’epidermide è completamente necrotica e non prelevata
nella zona di passaggio tra necrosi e cute sana, la possibilità di emettere diagnosi istopatologica si riduce drasticamente.
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5) TECNICA DI PRELIEVO
La tecnica di prelievo prevede diverse fasi che includono 1) la scelta dello strumentario, 2) la preparazione del paziente, 3) l’anestesia e 4) la scelta
della tipologia di prelievo. Alcuni errori tecnici durante queste fasi possono
ripercuotersi sulla qualità del campione.
1) Scelta dello strumentario.
A prescindere dallo strumentario utilizzato, sia esso un punch o un bisturi, la lama deve essere affilata (evitare di riutilizzare i punch) e il campione
deve essere prelevato con taglio netto e deciso. La lama circolare deve essere
spinta perpendicolarmente alla superficie cutanea esercitando al contempo
una rotazione in senso orario; la rotazione deve essere direzionata sempre in
un senso, in quanto un movimento alternato in senso orario-antiorario potrebbe causare una deformazione del campione o un distacco artefattuale tra derma ed epidermide. Il punch deve includere non solo epidermide e derma ma
anche il sottocute/pannicolo che è spesso sede di lesioni. Con la lama di bisturi il campione è più soggetto a sanguinamento e a maggior distorsione durante la fase di fissazione.
È meglio evitare l’utilizzo di bisturi elettrico per asportazione di piccole
neoplasie cutanee, se queste vengono inviate per accertamento istopatologico.
Il campione subisce infatti un danno meccanico da surriscaldamento a cui
conseguono disidratazione e denaturazione delle proteine, con coagulazione e
condensazione. Il danno da calore si osserva ai margini della biopsia, sotto
forma di colorazione intensamente rosa (sostanza acidofila) con perdita dei
dettagli nucleari e citoplasmatici. Le fibre connettivali diventano coagulate
per gli effetti del calore mentre le strutture ghiandolari (se presenti) si vacuolizzano. Nelle lesioni caratterizzate dalla presenza di mastociti (mastocitoma,
mastocitosi) si può andare incontro a massiva degranulazione.
2) Preparazione del paziente.
Quando non si tratta di una lesione alopecica, è consigliabile non utilizzare la tosatrice elettrica, ma tagliare i peli con una forbice avendo cura di lasciare qualche millimetro di pelo. La presenza di peli è di notevole aiuto per
il patologo che potrà così orientare la sezione di taglio e visualizzare i follicoli secondo il loro asse longitudinale.
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3) Anestesia.
Senza voler entrare in merito alla scelta del miglior protocollo anestesiologico per l’esecuzione di una biopsia cutanea, si vuole ricordare come sia importante non infiltrare con anestetico locale per via intradermica la sede esatta della lesione in quanto si potrebbero causare artefatti; meno il paziente è reattivo, inoltre, migliore sarà la qualità della biopsia (necessità di sedazione o
anestesia generale).
4) Scelta della tipologia di prelievo.
Esistono due tipi di prelievo: la biopsia “incisionale” e la biopsia “escissionale”.
La prima viene effettuata solitamente tramite punch (si preleva un campione più piccolo rispetto alla lesione che si vuole analizzare), la seconda tramite bisturi per prelevare la lesione in toto. Il patologo vorrebbe ricevere sempre punch da 8mm: più grande è la biopsia più tessuto può essere esplorato
per il rilievo di lesioni.
Una volta che il punch ha perforato completamente il derma ed ha raggiunto il sottocute, è necessario sollevare delicatamente il cilindro di cute e
sottocute afferrandolo con le pinze nella sua parte più profonda e tagliare il
peduncolo di tessuto adiposo. È importante non afferrare con la pinza la porzione superficiale del campione (epidermide e derma) per evitare artefatti legati allo schiacciamento sul tessuto.
Allo stato fresco infatti i tessuti sono suscettibili di danno da schiacciamento da forbice o pinza e questo artefatto si vede particolarmente alla periferia dei campioni ed è solitamente localizzato. La zona schiacciata appare
colorata di blu intenso, i nuclei sono distorti alcune cellule appiattite o allungate e soprattutto basofile.
Meglio non utilizzare il punch e ricorrere al prelievo a “losanga” mediante lama di bisturi quando si devono campionare vescicole/bolle o pustole, per
evitare che si rompano. Il punch andrebbe anche evitato se si vuole eseguire
una biopsia cosiddetta “a cavallo” tra la parte di cute sana e quella lesionata;
questa tecnica è molto utile al patologo che, sezionando il campione secondo
il suo asse più lungo, potrà osservare le modificazioni patologiche nelle aree
di transizione spesso fondamentali ai fini diagnostici. Tale area di transizione
potrebbe essere non ben definita in una biopsia eseguita con punch, soprattutto dopo la fissazione.
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6) INVIO AL LABORATORIO
La parte finale di allestimento del campione e il suo invio al laboratorio di
istopatologia sono fasi rilevanti per l’ottimizzazione del risultato finale. Le
biopsie devono essere delicatamente tamponate su carta bibula o semplice
carta assorbente in modo da rimuovere il siero ed il sangue presenti sulle superfici laterali e profonda (quella a contatto con il sottocute). È consigliabile
far aderire la superficie profonda del campione ad un pezzetto di cartoncino
rigido prima di inserire entrambi nel fissativo; questo accorgimento impedisce al campione (soprattutto se si tratta di biopsie piccole prelevate da aree
con cute sottile) di accartocciarsi e rendere difficoltoso l’orientamento del taglio da parte del patologo. Quando un campione di tessuto viene immerso nel
liquido fissativo tende a perdere i colori naturali e spesso non è più possibile
riconoscere il limite tra parte sana e lesionata; per questo motivo, se si tratta
di un prelievo effettuato con punch, è consigliabile contrassegnare con una
penna sul cartoncino la direzione che il patologo dovrà seguire per il sezionamento; tale tecnica è utile anche per indicare al patologo la direzione della
crescita del pelo nei campioni provenienti da cute alopecica.
Il campione deve essere fissato immediatamente in formalina tamponata. Il
ritardo nell’inserimento del campione nel liquido fissativo è una frequente causa di artefatto che può portare ad una stima errata della lesione (sottostima o sovrastima); una delle situazioni più comuni è la formazione di aree o aloni bianchi perinucleari nei cheratinociti e nelle cellule infiammatorie. La presenza di
alone bianco perinucleare è una sorta di artefatto che si crea in alcune cellule linfomatose in sede epidermica (mycosis cells): in questo caso, si potrebbe sovrastimare un fenomeno di semplice esocitosi linfocitaria con una micosi fungoide.
In corso di infezione cutanea da papillomavirus non è infrequente il riscontro di
coilociti, ovvero cheratinociti con nucleo coartato e alone chiaro perinucleare: un
ritardo nella fissazione potrebbe mettere il patologo a dura prova nel determinare la natura coilocitica o meno di cellule che in realtà sono state solo fissate tardivamente. Se il tempo tra l’esecuzione della biopsia e la fissazione si allunga si
possono osservare i segni dell’autolisi, ovvero il rilascio di enzimi idrolitici per
rottura delle membrane lisosomiali, dopo che il tessuto è stato privato del suo
supporto ematico. Un tessuto autolitico mostra diversi gradi di picnosi, cariolisi,
carioressi e vacuolizzazioni citoplasmatiche fino alla disintegrazione cellulare. I
tessuti più suscettibili all’autolisi sono le ghiandole (la desquamazione intraluminale è uno dei primi segni) mentre le fibre di connettivo sono le più resistenti. L’autolisi può essere ritardata se il campione viene mantenuto a +4°C ma può
essere completamente evitata solo se la fissazione è immediata.
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La formalina in commercio è una soluzione al 40% (la forma pura non esiste allo stato liquido) e per un corretto uso deve essere diluita 1:10 in soluzione fisiologica (la concentrazione finale è quindi in realtà al 4% e non al 10%,
anche se comunemente viene indicata come formalina al 10%). In commercio è disponibile la “formalina tamponata al 10%” già pronta all’uso. Il volume totale del fissativo deve essere almeno 10 volte superiore al volume del
campione. Il contenitore deve essere a chiusura ermetica e, per una biopsia
cutanea che di solito è di piccole dimensioni, si consiglia l’uso di provette o
piccoli contenitori in plastica (i contenitori in vetro potrebbero rompersi durante il trasporto). Per analisi di campioni delle dimensioni superiori ad 1 cm
si raccomanda di eseguire la fissazione presso la sede in cui è stato eseguito
l’intervento chirurgico per 12-24h e di inviare il campione in un sacchetto ermeticamente chiuso in assenza del fissativo.
In presenza di biopsie multiple, il clinico deve assolutamente contrassegnare le biopsie. Più prelievi possono essere inseriti in un singolo contenitore contrassegnando le biopsie con un numero sul cartoncino, in modo che il
patologo possa valutare i campioni sulla base delle descrizioni indicate sul foglio di accompagnamento.
Durante il trasporto al laboratorio può accadere che i prelievi, galleggiando nel fissativo, vengano a contatto tra loro e si stacchino dal supporto; per
ovviare a questo problema, che renderebbe impossibile l’identificazione della sede di prelievo, è possibile utilizzare dei cartoncini di grandezza tale da restare incastrati tra le pareti della provetta, in modo da non subire urti durante
il trasporto, oppure si consiglia l’utilizzo di contenitori singoli.
Tutti i campioni devono essere corredati di una scheda anamnestica di accompagnamento compilata accuratamente e riportante il nome del veterinario
referente, il nome del proprietario, segnalamento, anamnesi, tipologia e localizzazione delle lesioni, esami diagnostici effettuati e loro risultati, eventuali
terapie effettuate e una lista di diagnosi differenziali.
La lettura della scheda clinico/anamnestica è una parte importante della refertazione dermatoistopatologica in quanto, in base ai dati forniti, il patologo,
anche in assenza di una diagnosi certa di malattia, può commentare le lesioni
riscontrate alla luce delle lesioni cliniche. Poiché in un laboratorio di istopatologia anche la tempistica di refertazione deve essere ottimizzata, la lettura
della scheda deve essere agevole e veloce. Il patologo “odia” non essere presente al momento della visita e apprezza ogni sforzo da parte del clinico di descrivere con semplicità e con precisione la tipologia di lesione/i presente/i
(anche con una sorta di score prestampato) e la distribuzione delle stesse (su
schema di cane/gatto con visione ventrale e dorsale).
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Francesco Albanese
Med Vet, Arezzo/Napoli
Le dermatopatie ischemiche
nel cane
Sabato, 22 settembre 2012, ore 12.25
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INTRODUZIONE
Con il termine “dermatopatie ischemiche” si intende un gruppo di disordini vascolari caratterizzati da quadri clinici ed istopatologici comuni, ma determinati da cause diverse.
Il comune denominatore che giustifica la correlazione tra alterazioni istopatologiche e segni clinici è un danno vascolare (vasculite cell poor) che
comporta una graduale ipossia del derma, degli annessi e dell’epidermide, cui
consegue lo sviluppo delle peculiari lesioni cliniche.
CLASSIFICAZIONE
Le dermatopatie ischemiche sono attualmente classificate sulla base della
causa, accertata o ipotetica, che le ha determinate. Nella maggior parte dei casi la causa resta però sconosciuta (forme idiopatiche). L’attuale classificazione suddivide le dermatopatie ischemiche in:
1-Dermatomiosite familiare (DM)
Malattia infiammatoria ereditaria che colpisce la cute ed i muscoli, osservata principalmente nei Collie e nei Pastori delle Shetland e recentemente segnalata nei Pastori della Beauce. Il termine dermatomiosite familiare deve essere riservato solo ai soggetti appartenenti alle razze per le quali è riconosciuta una patogenesi familiare.
2-Dermatomiosite-simile (DM-simile)
Dermatopatia con lesioni cutanee identiche alla dermatomiosite, che interessa soggetti giovani con segni istologici di infiammazione muscolare ma
non appartenenti a razze in cui è riconosciuta una predisposizione familiare.
3-Pannicolite focale post vaccinazione antirabbica (PVR)
Area ischemica focale nel punto di inoculo del vaccino antirabbico.
4-Dermatopatia ischemica generalizzata
post vaccinazione antirabbica (DGVR)
Lesioni ischemiche diffuse, simili alle prime due forme, e associate alla
vaccinazione antirabbica.
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5-Dermatopatia ischemica generalizzata ad insorgenza
in età adulta (DGA)
Dermatopatia ischemica che si sviluppa in soggetti adulti e che non è correlata ad una anamnesi di vaccinoterapia antirabbica.
Alcuni autori, per la presenza di alcune caratteristiche clinico-patologiche
simili, inseriscono tra le dermatopatie ischemiche anche la Vasculite cutanea
del Jack Russell e la Vascolopatia cutanea familiare del Pastore tedesco.
EZIOLOGIA E PATOGENESI
Le cause delle dermatopatie ischemiche non sono ancora chiare. Si ritiene
che le lesioni dermatologiche siano la conseguenza di una vasculite cui consegue un’ipossia tissutale a lenta evoluzione. Dal momento che all’esame
istopatologico della quasi totalità dei casi segnalati non si osservano quadri di
vasculite, ma solo alterazioni istopatologiche suggestive di un pregresso processo infiammatorio a carico dei vasi, alcuni autori preferiscono definire le alterazioni riscontrate con il termine di vasculopatie, pur ipotizzando che alla
loro origine ci sia stata una vasculite.
- DM e DM-simile
In medicina umana, è stata ipotizzata una predisposizione ereditaria o individuale associata ad un evento scatenante ignoto, probabilmente di natura
virale o autoimmune. Le lesioni da DM sono infatti spesso associate ad altre
malattie autoimmuni o a neoplasie. Sempre in pazienti umani affetti da DM è
stata segnalata una microangiopatia mediata dal complemento che sarebbe alla base del danno ischemico. Un attacco da parte del complemento è stato dimostrato anche in un cane con dermatopatia ischemica vaccino-indotta.
Nella DM-simile la patogenesi non è conosciuta ed essendo segnalata in
singoli soggetti appartenenti a diverse razze e in cani meticci non si sospetta
una ereditarietà.
- PVR e DGVR
Le lesioni focali nel punto di inoculo da PVR si presume possano essere
causate da una reazione immunologica idiosincrasica nei confronti dell’antigene del virus che avrebbe come target i vasi; tale ipotesi è supportata dal rinvenimento, mediante test di immunofluorescenza, di particelle di antigeni virali nella parete dei vasi e nell’epitelio follicolare.
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L’ipotesi dell’azione del virus vaccinale della rabbia nelle forme DGVR
sarebbe invece supportata dallo sviluppo delle lesioni a seguito della vaccinazione e non basata sul ritrovamento di antigeni virali nella cute lesionata in
aree diverse da quelle di inoculo.
- DGA
Nelle forme generalizzate non associate a vaccinazione antirabbica ed osservate nei soggetti adulti la causa non è conosciuta, anche se non è possibile escludere il ruolo di altri vaccini, dal momento che nell’arco della loro vita i cani vengono costantemente vaccinati.
SEGNI CLINICI
Le lesioni osservate nelle dermatopatie ischemiche sono abbastanza caratteristiche, anche se vista la loro eterogeneità possono essere simili a quelle osservate in corso di malattie dermatologiche di altra natura e dalle quali vanno
differenziate. In tutte le forme cliniche, a parte quella focale nel punto d’inoculo del vaccino antirabbico, le lesioni più comuni sono rappresentate da aree
di alopecia multifocale, inizialmente di piccole dimensioni e depigmentate,
con possibile presenza di scaglie superficiali o piccole croste o, in casi più
cronici, con cute liscia e di aspetto simil-cicatriziale. Le lesioni possono confluire e dare origine ad aree alopeciche più ampie. Con il cronicizzare della
malattia le lesioni residue tendono ad iperpigmentarsi. Altre lesioni sono rappresentate da depigmentazione delle giunzioni mucocutanee, erosioni ed ulcere in seguito a traumi spontanei o autoindotti per prurito. In rari casi è possibile osservare lesioni erosivo/ulcerative del cavo orale.
Le sedi anatomiche interessate sono prevalentemente le estremità, le prominenze ossee di dita, carpi e tarsi, la punta della coda, i padiglioni auricolari e i punti di pressione della testa, in particolar modo del muso e degli zigomi e in sede perioculare. Il motivo per cui le lesioni cutanee siano prevalentemente localizzate alle estremità e sui punti di pressione potrebbe essere giustificato dal fatto che i vasi di piccolo calibro, interessati dal processo patologico, non riescono a supportare le richieste nutritive della cute attraverso lo
sviluppo di una circolazione collaterale,.
Nei casi in cui sia presente un interessamento dell’epidermide della matrice ungueale si verificano alterazioni ungueali quali onicogrifosi, onicodistrofia di varia gravità, fino ad episodi di onicomadesi.
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Le lesioni osservate nei cani con DM e DM-simile sembrano essere meno
gravi ed estese rispetto alle forme dei soggetti inclusi nel quarto e quinto
gruppo.
Nei casi di lesioni nel punto di inoculo da vaccinazione antirabbica si osserva inizialmente la presenza di una macula o placca che col tempo può esitare in un’area alopecica cicatriziale.
Nella DM e DM-simile si osservano, in associazione a quelle dermatologiche, lesioni muscolari solitamente limitate ai masseteri e ai temporali con
conseguente difficoltà nella masticazione. In soggetti con sintomi più gravi si
osservano megaesofago, dolori muscolari, zoppia e atrofia muscolare diffusa.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI
Sebbene le lesioni in corso di dermatopatia ischemica siano abbastanza peculiari, devono essere escluse diagnosi differenziali quali la demodicosi, la
dermatofitosi, l’eritema multiforme e, nei cani anziani, il linfoma epiteliotropo. Anche se non segnalati in letteratura, l’autore ha diagnosticato diversi casi di dermatopatia ischemica in soggetti malati di leishmaniosi canina.
La dermatopatia ischemica post-vaccinale deve essere differenziata da altre cause infettive di alopecia focale, anche se l’aspetto cicatriziale, l’anamnesi e la localizzazione lasciano spazio a poche diagnosi differenziali.
REPERTI ISTOPATOLOGICI
Se si fa eccezione per i focolai profondi di pannicolite nel sito d’inoculo
della vaccinazione antirabbica (forma localizzata), le dermatopatie ischemiche, qualunque ne sia la causa, si presentano con alterazioni istopatologiche
comuni, espressione di una sofferenza ischemica delle cellule epidermiche,
del derma e degli annessi.
L’epidermide basale mostra fenomeni di apoptosi spesso associati a degenerazione idropica, che talvolta causa separazioni dermo-epidermiche ed incontinenza pigmentaria. Nel derma non è presente un infiltrato infiammatorio, ma aspetti di “mummificazione” vasale caratterizzati da ispessimento vitreo della parete ed assenza di endotelio. Il collagene è più pallido, degenerato e di aspetto omogeneizzato. I follicoli e le ghiandole appaiono atrofici ed i
primi manifestano un caratteristico pallore periferico che ha fatto coniare il
termine di follicoli sfumati (faded follicle).
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Nei casi in cui è presente miosite (DM e DM-simile) si osservano infiltrato mononucleato con rari neutrofili, degenerazione, frammentazione e ialinizzazione delle fibre muscolari nonché, nelle forme croniche, fibrosi e fenomeni di rigenerazione delle fibre muscolari.
TERAPIA
La terapia delle dermatopatie ischemiche è solo palliativa, dal momento
che nella totalità dei casi residuano lesioni cicatriziali a seconda del danno irreversibile che l’ischemia ha determinato.
Allo scopo di migliorare le lesioni sono stati utilizzati con successo variabile acidi grassi, vitamina E (200-800 UI/die), pentossifillina (10-30 mg/Kg
bid) e prednisone (1 mg/Kg sid).
La pentossifillina sembra dare i risultati migliori per la sue capacità di aumentare la deformabilità dei globuli rossi, favorendone il transiti nei vasi danneggiati.
Terapie antibiotiche topiche o sistemiche si prescrivono nei casi di infezione batterica secondaria.
BIBLIOGRAFIA
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10. Vitale, C.B., Gross, T.L., & Magro C.M. (1999) Vaccine-induced ischemic dermatopathy
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Lluis Ferrer
DVM, Dipl ECVD, PhD, Department of Clinical
Sciences Cumming’s School of Veterinary
Medicine Tufts University, North Grafton, MA, US
The canine genome:
a new scenario in veterinary
dermatology
Domenica, 23 settembre 2012, ore 09.00
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1. INTRODUCTION
In the last decade, several major hits have changed completely the scenario
in which we practice veterinary medicine (specially canine medicine):
a. The understanding of the origin of the dog, as a domestic wolf, obtained
from the application of molecular techniques (for instance identification of
mitochondrial DNA). The process of domestication took place around 40
000 years ago in Asia.
b. Sequencing of the whole genome of a dog (a female boxer, “Berta”). This
allowed a good knowledge of the structure of the genome of the dog and
also of the structure of the genome of the different dog breeds (>400).
c. The development of dog specific microchips to perform genome wide association analysis, first detecting 20 000 SNPs, now more than 170 000;
marketed by two companies (Affimetrix and Illumina) at affordable prices
(between 200 and 300 dollars/sample).
d. The fast development of high throughput sequencing methods and the constant reduction in the prices of sequencing.
e. The funding a few major research projects in Europe (www.eurolupa.org)
and in the US (Canine disease mapping project at the Broad Institute-Harvard/MIT; http://www.broadinstitute.org/scientific-community/science/
projects/mammals-models/dog/disease-research/dog-diseases).
In short, that at present time we have:
i. Much more information on the genetic and molecular basis of canine disease
that we had never figured or even dreamt. In some cases it is difficult to understand or to absorb all the new information arriving weekly from the lab
bench. For first time we are begun to understand why dermoid sinus are
common in Rhodesian ridgebacks or mast cell tumours in Boxer dogs. We
are very fortunate to live a revolution in medicine. Probably this period similar to the times of the “microbes hunters”, at the end of the XICX century.
ii. Several affordable research tools to investigate the origin of canine and feline diseases, at very affordable prices.
2. THE ORIGIN OF THE DOMESTIC DOG
AND OF THE DOMESTIC DOG BREEDS
Both archeozoological and molecular genetic evidences indicate that the
domestic dog originate from Asian wolves. Initially it was thought that the
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process took place 15 000 years ago, but more recent genetic studies consider that the process started probably over 40 000 years ago and that domestication was a long process, not a single punctual event. Contemporary dogs
and wolves still are very close from the genetic point of view. Genetic studies have also demonstrated that all dogs of the world have the same origin
(American dogs, African dogs,..). This domestication event created a first genetic bottleneck of the canine population.
The creation of the present dog breeds is a much more recent event, which
took place in most cases in the two last centuries. Modern breeds were created from a few individuals that shared similar morphological characters. This
created a second and much more severe genetic bottleneck.
Both bottlenecks influenced the haplotype pattern and linkage disequilibrium (LD) of current breeds. Before the creation of modern breeds, the dog
Karlsson E and Lindblad-Toh (2008). Leader of the pack: gene mapping in the dog and other
model organisms. Nature Rev Genetics 2008; 9: 713-725.
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population had the short-range LD that would be expected given its large size
and the long time period since the domestication bottleneck. In the creation of
modern breeds, a small subset of chromosomes was selected from the pool of
domestic dogs. The long-range patterns that were carried on these chromosomes became common within the breed, thereby creating long-range LD. In
the short time since breed creation, these long-range patterns have not yet
been substantially broken down by recombination.
3. THE CONSEQUENCES OF DOMESTICATION:
ACCUMULATION OF DELETERIOUS TRAITS
One of the consequences of domestication has been the accumulation of
deleterious genes. This has been very well investigated:
Cruz F et al. The legacy of domestication: accumulation of deleterious
mutations in the dog genome. Mol Biol Evol 2008; 25: 2331-2336.
In consequence, the prevalence of genetic diseases is much higher in pure
breed dogs, than in mongrel dogs, as has also been recently published:
Asher L et al. Inherited defects in pedigree dogs. Part 1: Disorders related to breed standards. Vet J 2009; 182: 402-411.
The most exciting part of this history is that we are now beginning to understand how the domestication process and the creation of breeds worked at
the molecular levels. Genetic researchers are now detecting the regions that
have suffered the higher selective pressure and in consequence show high homozigosity and extended haplotypes (selective sweeps). The many blocks of
reduced haplotype diversity observed across the genome in dog breeds are the
result of both selection and genetic drift, but extended blocks of homozygosity on a megabase scale appear to be best explained by selection. The recent
studies on the genetics of brachycephaly are a very good example of this complex process:
Vaysse A et al. Identification of genomic regions associated with phenotypic variation between dog breeds using selection mapping. PLoS Genetics
2011; 7: e1002316.
Bannasch et al. Localization of canine brachycephaly using an across
breed mapping approach. PLoS One 2010; 5: e9632.
Quilez J et al. A selective sweep of >8 Mb on chromosome 26 in the Boxer genome. BMC Genomics 2011; 12: 339.
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Lluis Ferrer
DVM, Dipl ECVD, PhD, Department of Clinical
Sciences Cumming’s School of Veterinary
Medicine Tufts University, North Grafton, MA, US
How to investigate and
diagnose a genetic skin disease
Domenica, 23 settembre 2012, ore 09.45
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1. INTRODUCTION
The classic book by Scott et al “Muller and Kirk’s Small Animal Dermatology” includes reference to over 60 genodermatosis. However, the real
number of disease with a high genetic background in dogs and cats is probably higher and unknown. Most allergic, autoimmune and neoplastic disease,
for instance, are probably associated with specific haplotypes.
The diseases with a very strong (determinant) genetic background have
been already investigated and in many cases the causal mutation have been
identified. Most of them are monogenic diseases. In many cases, a diagnostic
test is even available and there are in the world many laboratories specialized
in genetic testing (see annex for finding the web address of some of the most
active laboratories).
In many other cases, a genetic background is suspected, but it is difficult
to detect or identify. Most are polygenic or complex diseases in which the genetics play a role, although also factors are also important defining the phenotype. In some cases, the causal gen or genes have not been identified, but a
clear association with a certain haplotype has been detected. A good example
of this is the test to identify genetic predisposition to develop and transmit hip
dysplasia in dogs (DysgenR).
In the present lecture we will discuss the ways that have been followed so
far to identify the genetic background of diseases suspected of being of genetic origin or having a very high genetic background. These are, in fact, the
tools that we have to investigate a putative genetic disease.
From a very practical/clinical point of view, a genetic background is suspected in diseases with one or several of these characteristics:
i. Congenital presentation
ii. Familial presentation
iii. Marked breed predisposition
In these cases, the investigation is aimed to:
i. Confirm the genetic/hereditary basis/component of the disease.
ii. Know the way of inheritance.
iii. Identify the molecular defect /mutation and the pathogenesis.
iv. Draw a prevention / eradication plan
Below you will find the three main strategies and tools used to investigate
genodermatosis.
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2. THE ANALYSIS OF PEDIGREES
The medical histories of the families with affected animals are examined
and interpreted following Mendel’s laws. In general, two main steps are considered.
The first one is to determine if the disorder is autosomal or X/Y-linked.
If the disorder is X-linked, the number of males affected is much higher
that the number of females (in many cases only males are affected). In an autosomal disorder, both males and females are equally affected (similar percentage of affected animals of both sexes).
The second step is to determine if the disorder is dominant or recessive. A
few easy rules:
A disease is considered to be dominant if:
i. If two affected parents have a healthy descendant (both parents are heterozygotes).
ii. All affected animals have at least one parent affected.
A disease is considered recessive if:
i. The disease skips generations (in some generations none of the animals
have the disease).
ii. If two healthy parents have an affected descendant.
The analysis of pedigrees is a traditional and simple method to identify the
inheritance of a character/disease and also the probability of a descendant to
develop the disease. However, it has some limitations:
a. A very detailed, precise and extensive information about the families is
necessary. In many cases only a few affected animals and a few relatives
are known.
b. It doesn’t permit localize the disease to a specific genome region (except
in sex-linked diseases).
c. It doesn’t provide information about the pathomechanism or underlying
mutation/genetic defect.
One good example of pedigree analysis of interest for veterinary dermatologists is:
Paradis M et al. Acral mutilation and analgesia in 13 French spaniels. Vet
Dermatol 2005; 16: 87-93.
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3. CHROMOSOME MAPPING AND LINKAGE
TO MICROSATELLITES
These studies are aimed to localize in the genome the character or disease.
Detecting that the character or disease is in linkage disequilibrium (non-random association) with another gen or genome region indicate that the gen
causing this disease is located close to this region. To facilitate the localization in the genome, during the last two decades several maps of the chromosomes of the dog (and other species) have been developed. For instance:
Sargan et al. An extended microsatellite set for linkage mapping in the domestic dog. J Heredity 2007; 98: 221-231.
The microsatellites are repeated sequences usually of a dinucleotide that
are used as ‘marks’ of the genome (as the highway cairns). However, other
genes can also be used as markers (for instance MHC or DLA system).
The studies with microsatellites allow:
a. Confirm the existence of a genetic background for the investigated disease.
b. Associate the disease to a region of the genome (usually a very large region).
c. Development of a plan to eradicate/control the disease.
However, these studies do not allow the identification of the responsible
gen. Now a days most of these studies have been substituted by the genomewide association analysis (GWAs).
A good example of these type of studies could be the paper:
It et al. Association of canine juvenile generalized demodicosis with the
dog leukocyte antigen system. Tissue Antigens 2012: 76: 67-70.
4. GENOME-WIDE ASSOCIATION STUDIES (GWAS)
A genome-wide association study (GWA study, or GWAS), also known as
whole genome association study (WGA study, or WGAS), is the examination
of common genetic variants in different individuals to see if any variant is associated with a trait/disease. GWAS typically focus on associations between single-nucleotide polymorphisms (SNPs, changes in one nucleotide) and diseases.
These studies normally compare the DNA of two groups of animals: dogs
with the disease (cases) and similar dogs without (controls). The DNA is read
using SNP arrays (microchips). The present microarrays (Affimetrix, Illumi-
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na) investigate 170 000 SNPsin the whole canine genome, adequately selected to test the most relevant regions of the genome. If one genetic variant (one
or several SNPs) is more frequent in the animals with the disease, the SNP(s)
is/are said to be “associated” with the disease. The associated SNPs are then
considered to mark a region of the genome that increases the risk of developing the disease. In contrast to methods which specifically test one or a few genetic regions, the GWA studies investigates the entire genome. The approach
is therefore said to be non-candidate-driven, in contrast to gene-specific candidate-driven studies. GWA studies identify SNPs and other variants in DNA
which are associated with a disease, but cannot on their own specify which
genes are causal. Results are usually represented with a ”Manhattan plot” (see
example below).
Manhattan plot of the association of cutaneous hyaluronosis with Cf chromosome 13.
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The first successful GWA study was published in 2005 and investigated
human patients age-related macular degeneration. Now this technology is
widely used to link diseases to genomic regions, in humans and animals, although several GWA studies have received criticism for omitting important
quality control steps, rendering the findings invalid, but modern publications
address these issues. A very good design of the test and careful characterization of the phenotypes (what is a ‘case” and what is a ‘control”) are essential
to obtain valid results in a GWA study. However, the methodology itself still
has opponents.
Once the character or disease is associated to a region, the zone of the
genome can be sequenced (fine mapping). However, this method, because of
the structure of the canine genome (very large haplotypes) is very useful to
investigate/localize canine diseases. A good example of GWA of interest for
veterinary dermatologists is:
Roque J et al. Atopic dermatitis in West Highland white terriers is associated with a 1.3-Mb region on CFA 17. Immunogenetics 2012; 64: 2109-217.
In the future, probably full sequencing of the genome (every day more affordable from technical and financial point of view) will substitute the GWA
studies. Now, a two steps process is usually followed when doing GWAS in
dogs to localize genes associated with diseases, as proposed by Kerstin Lindblad-Toh and coworkers.
Karlsson E and Lindblad-Toh (2008). Leader of the pack: gene mapping in
the dog and other model organisms. Nature Rev Genetics 2008; 9: 713-725.
Annex
Laboratories around the world offering a service of genetic testing in small
animals. Most of them are located in Veterinary Schools in Europe or North
America.
Animal Health Trust (England): http://www.aht.org.uk/genetics_tests.html
Antagene (France): http://www.antagene.com/
Auburn Univ. - Boudreaux Lab:
http://www.vetmed.auburn.edu/faculty/pathobiology-faculty/boudreaux
Cornell - Goldstein Lab: http://www.vet.cornell.edu/labs/goldstein/
Cornell - Meyers-Wallen Lab:
http://bakerinstitute.vet.cornell.edu/faculty/page.php?id=206
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Cornell Univ. Comparative Coagulation Lab:
http://ahdc.vet.cornell.edu/sects/Coag/
DDC Veterinary:
http://www.vetdnacenter.com/canine-bully-test-whippets.html
DOGenes: http://www.dogenes.com/
Michigan State University - Peterson-Jones Lab.:
http://www.cardigancorgis.com/documents/
Acrobat/membersPRASubmissionForm.pdf
Michigan State University - Fyfe Lab.: http://mmg.msu.edu/92.html
New York University Neurogenetics Laboratory:
http://www.pwdca.org/health/tests/information/GM1TestInstructions.html
North Carolina State U - Meurs Lab:
http://www.cvm.ncsu.edu/vhc/csds/vcgl/
Optigen: http://www.optigen.com/
OFA: http://www.offa.org/
PennGen: http://www.vet.upenn.edu/penngen
Texas A&M - Comp Derm Lab: Comparative Dermatology Lab at Texas A&M
University
UAB - Vet Genomics: http://www.vetgenomics.com/es/
U Bern:
http://www.vetsuisse.unibe.ch/genetic/content/service/dog/index_eng.html
UC-Davis VGL: http://www.vgl.ucdavis.edu/services/index.php
U-Guelph AHL: http://www.labservices.uoguelph.ca/units/ahl/
U Minn Veterinary Diagnostic Laboratory:
http://www.vdl.umn.edu/ourservices/canineneuromuscular/home.html
U Missouri - Animal Molecular Genetics Lab:
http://www.caninegeneticdiseases.net/
VetGen: http://www.vetgen.com/
Washington State U - Pharm Lab: http://www.vetmed.wsu.edu/depts-VCPL/
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Giordana Zanna
Med Vet, PhD, Dipl ECVD
Studio Dermatologico Veterinario - Milano
Aspetti clinici
delle più comuni genodermatosi
Domenica, 23 settembre 2012, ore 11.00
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INTRODUZIONE
L’essere continuamente malato non rientra nella normalità dello stato fisico di un cane, ma è un segno inconfondibile di debolezza costituzionale.1
Nel corso degli anni, la specie canina è stata oggetto di un vero e proprio
maltrattamento genetico, che da un lato ha portato alla fissazione di determinate caratteristiche fenotipiche imposte dallo standard della razza e dall’altro
alla drastica perdita della variabilità genetica con insorgenza di malattie mono e multifattoriali.
Tuttavia, la ridotta variabilità genetica ha offerto nuove risorse alla comunità scientifica e rafforzato la posizione della specie canina quale modello per
la ricerca in campo umano, soprattutto grazie all’ausilio di nuove tecniche di
biologia molecolare e al completamento del progetto genoma canino.2-4 Numerose malattie mono o multifattoriali nel cane condividono infatti con la
specie umana i meccanismi fisiopatologici, la sintomatologia e la risposta terapeutica.5 Tra queste vi sono anche le malattie dermatologiche, che rappresentano un interessante modello sperimentale non solo per la loro frequenza
ma anche per la eterogeneità fenotipica e genetica.
Il termine genodermatosi si riferirà dunque a qualsiasi affezione cutanea
per la quale sia stata riconosciuta una chiara trasmissione ereditaria e, sebbene non esista una classificazione comprensiva di tutte le genodermatosi, una
possibile suddivisione può vederle inquadrate in malattie caratterizzate da
anomalie a carico degli strati più superficiali e profondi della cute nonché degli annessi cutanei.
Bibliografia
1. Gallicchio B, Notari L. Maltrattamento genetico: un problema bioetico e deontologico.
30 giorni- Il mensile del medico veterinario 1:25-27, 2009.
2. Lindblad-Toh K, Wade CM, Mikkelsen TS, et al. Genome sequence, comparative analysis and haplotype structure of the domestic dog. Nature 438:803-819, 2005.
3. Galibert F, André C. The dog genome. Genome Dyn 2:46-59, 2006.
4. Derrien T, Derrien T, Vaysse A, et al. Annotation of the domestic dog genome sequence:
finding the missing genes. Mamm Genome 23:124-131, 2012.
5. Lequarré AS, Andersson L, André C, et al. LUPA: A European initiative taking advantage of the canine genome architecture for unraveling complex disorders in both human and
dogs. Vet J 189:155-159, 2011.
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1. LE GENODERMATOSI DA MUTAZIONI A CARICO
DELLE COMPONENTI STRUTTURALI “PIÙ SUPERFICIALI”
LE ITTIOSI
Definizione
Il termine ittiosi (dal greco ichthys, pesce) identifica un gruppo eterogeneo
di disordini ereditari della normale corneificazione, clinicamente caratterizzati da eccessiva desquamazione.1
Basi genetiche
In medicina umana, nel corso degli ultimi anni, differenti mutazioni nei
geni che codificano per le cheratine e/o per gli enzimi che catalizzano i legami proteici durante la formazione del rivestimento corneo sono state identificate quali responsabili delle varianti clinicamente osservabili. 2-4
Nel cane sono state documentate le manifestazioni cliniche di oltre dieci
forme di ittiosi specifiche di razza, a fronte tuttavia di un numero esiguo di
studi inerenti i meccanismi molecolari direttamente coinvolti. Tra questi, nel
Norfolk Terrier è stata descritta una forma di ittiosi epidermolitica (invariabilmente associata ad un difetto nella sintesi della cheratina) autosomica recessiva e dovuta ad un’alterazione nel gene che codifica per la cheratina 10
(KRT10), una proteina che unitamente alla KRT1 si ritrova negli strati più superficiali dell’epidermide dove concorre al mantenimento della stabilità cellulare.5 In questa razza, fin dalla nascita la cute dei soggetti affetti è di colore
più scuro rispetto al normale e soggetta a facili erosioni anche a seguito di un
lieve trauma. Con l’avanzare dell’età, l’iperpigmentazione progredisce e
compaiono numerose scaglie brunastre intimamente adese alla superficie cutanea e distribuite prevalentemente sulla regione ventrale del tronco.
Nel Jack Russell Terrier è stata invece descritta una forma di ittiosi lamellare non epidermolitica (le cause possono essere ricercate in qualsiasi componente dello strato corneo e non soltanto nelle cheratine) associata ad una mutazione del gene che codifica per la transglutaminasi 1 (TGM1), un enzima
fondamentale per la formazione e la stabilità dell’envelope cornificato, una
struttura la cui costituzione rappresenta la tappa finale della differenziazione
dei cheratinociti.6 In tale razza, scaglie grigiastre di grandi dimensioni si distribuiscono sulle regioni più glabre del corpo, tra cui il ponte nasale, e la superficie cutanea appare irregolare e rugosa con più peli tra loro conglutinati
dall’accumulo di materiale cheratinico.
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Per la prima volta nel 2007 anche nel Golden Retriever è stata descritta
una condizione cutanea caratterizzata da iperpigmentazione e desquamazione
con grandi scaglie inizialmente biancastre e progressivamente grigio-nerastre,
adese soprattutto alla cute più glabra della regione addominale e presenti già
pochi mesi dopo la nascita.7,8 Le caratteristiche epidemiologiche, cliniche ed
istopatologiche della malattia sono state ampiamente analizzate9-11 ma soltanto di recente è stata identificata la mutazione del gene in causa. Trasmessa secondo una modalità autosomica recessiva, la malattia è dovuta ad una mutazione a carico della PNPLA1 (patatin-like phospholipase domain-containing
protein 1), una proteina che insieme ad altre nove proteine della stessa famiglia avrebbe un ruolo cruciale nelle interazioni tra le componenti lipidiche ed
altri costituenti cellulari degli strati cutanei più superficiali.12 Se mutata nella
sua espressione (soprattutto nelle cellule dello strato granuloso dell’epidermide)13 la PNPLA1 influirebbe negativamente sul corretto metabolismo della
barriera cellulare e quindi sul normale processo di cheratinizzazione.
Bibliografia
1. DiGiovanna JJ, Robinson-Boston L. Ichthyosis: etiology, diagnosis and management.
American Journal of Clinical Dermatology 4:81-95, 2003.
2. Li H, Loriè EP, Fischer J, et al. The expression of epidermal lipoxygenases and transglutaminase-1 is perturbed by NIPAL4 mutations: indications of a common metabolic pathway essential for skin barrier homeostasis. J Invest Dermatol, in press, 2012.
3. Fischer, J. Autosomal recessive congenital ichthyosis. J Invest Dermatol 129:1319-1321, 2009.
4. Elias PM, Williams ML, Feingold KR. Abnormal barrier function in the pathogenesis of
ichthyosis: therapeutic implications for lipid metabolic disorders. Clin Dermatol 30:311322, 2012.
5. Credille KM, Barnhart KF, Minor JS, et al. Mild recessive epidermolytic hyperkeratosis
associated with a novel keratin 10 donor splice-site mutation in a family of Norfolk terrier dogs. Br J Dermatol 153:51-58, 2005.
6. Credille KM, Minor JS, Barnhart KF, et al. Transglutaminase 1-deficient recessive lamellar ichthyosis associated with a LINE-1 insertion in Jack Russell terrier dogs. Br J Dermatol 161:265-272, 2009.
7. Mauldin EA., Credille KM., Dunstan RW, et al. Clinical, histopathological and ultrastructural analysis of golden retriever ichthyosis. Vet Dermatol 18 187, 2007.
8. Guaguere E, Bensignor E, Muller A, et al. Epidemiological, clinical, histopathological
and ultrastructural aspects of ichthyosis in golden retrievers: a report of 50 cases. Vet Dermatol 18: 382-383, 2007.
9. Mauldin EA, Credille KM, Dunstan RW, et al. The clinical and morphologic features of
nonepidermolytic ichthyosis in the golden retriever. Vet Pathol 45:174-180, 2008.
10. Cadiergues MC, Patel A, Shearer DH, et al. Cornification defect in the Golden retrivier:
clinical, histopathological, ultrastructural and genetic characterization. Vet Derm 19:120129, 2008.
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11. Colombo S, Baroni A, Aspidi F, et al. Dermatite esfoliativa compatibile con ittiosi non
epidermolitica in cinque cani di razza Golden retrivier. Veterinaria 23:35-39, 2009.
12. Grall A, Guaguère E, Planchais S, et al. PNPLA1 mutations cause autosomal recessive congenital ichthyosis in golden retriever dogs and humans. Nat Genet 44:140-148,
2012.
13. Kienesberger PC, Oberer M., Lass A, et al. Mammalian patatin domain containing proteins: a family with diverse lipolytic activities involved in multiple biological functions.
J Lipid Res 50: S63-S68, 2009.
EPIDERMOLISI BOLLOSA CONGENITA
Definizione
Nel corso degli ultimi 30 anni in medicina veterinaria sono state descritte
numerose patologie a carico della giunzione dermo-epidermica, ma soltanto
nell’ultimo decennio, grazie ai progressi in immunologia e biologia molecolare, è stato possibile riconoscere i meccanismi implicati nella patogenesi delle malattie ereditarie caratterizzate dal distacco dell’epidermide dal derma
con conseguente formazione di vescicole-bolle.1
L’epidermolisi bollosa congenita (EBC), conformemente a quanto descritto in medicina umana, viene oggi classificata in tre sottotipi a seconda della
componente strutturale direttamente coinvolta. Se la mutazione si realizza a
carico dello strato basale, la patologia rientra nel sottotipo dell’epidermolisi
bollosa simplex (EBS), mentre se sono implicate proteine nella lamina lucida
o al di sotto della lamina densa, si parlerà rispettivamente di epidermolisi bollosa giunzionale (EBG) o distrofica (EBD).
Gli animali affetti manifestano i primi sintomi immediatamente dopo la
nascita o entro le prime settimane di vita, con coinvolgimento delle regioni
del corpo maggiormente soggette a frizione e trauma tra cui le estremità, le
prominenze ossee e il cavo orale.
Basi genetiche
Nel caso dell’EBS, la maggior parte dei casi documentati in letteratura si
riferiscono alla specie bovina con coinvolgimento della cheratina 5 (KTR5)
nello strato basale2 ed alla specie equina, per la quale è stata invece descritta
una mutazione a carico della plectina, una proteina di ancoraggio delle componenti del citoscheletro.3 Nel cane e in una sola pubblicazione si fa riferimento a soggetti di razza Collie nei quali tuttavia non si è identificata la possibile mutazione.4 (Tabella 1).
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Le lesioni cliniche più significative sono prevalentemente rappresentate da
placche eritematose, erosioni, ulcere e raramente da vescicole (data la natura
transitoria delle stesse), soprattutto a carico delle estremità e della regione
facciale (perioculare, perilabiale) ed auricolare, oltre che della mucosa orale.
In seno all’EBS, sono state inoltre descritte varianti soprabasali come
l’epidermolisi bollosa acantolitica letale dei bovini5 e di recente, nel cane, la
sindrome da displasia ectodermica-fragilità cutanea dovuta a mutazioni a carico del gene che codifica per la placofilina-1 (PKP1), una proteina strutturale delle giunzioni desmosomiali.6 In quest’ultima, i pazienti affetti manifestano lacerazioni cutanee da traumi moderati immediatamente dopo la nascita e
con l’avanzare dell’età una marcata fragilità cutanea e aree di alopecia parziale multifocale.
TABELLA 1 - Classificazione dell’EBC nelle differenti specie animali
Malattia genetica
Gene coinvolto
Specie animale affetta
Epidermolisi bollosa simplex
KRT 5
Plectina
?
Bovina (Ford et al, 2005)
Equina (French and Pollitt, 2004)
Canina (Scott and Schulz, 1977)
Epidermolisi bollosa
giunzionale
Integrin a6β4
Bovina (Gaugere et al, 2004)
Equina (Spirito et al, 2002;
Milenkovic et al., 2003; Baird et al,
2003; Graves et al, 2009)
Laminin-5 (LM3A32;LM332)
Ovina (Ostmeier, 2009)
Canina (Dunstan et al, 1988;
Fontaine et al, 1992; Nagata et al,
1997; Capt et al, 2005)
Felina (Alhaidari et al, 2005)
Epidermolisi bollosa distrofica
Bovina (Thompson et al, 1985;
Deprez et al, 1993)
Ovina (Bruckner-Tuderman et al,
1991; Perez et al, 2005)
Collagene VII
Canina (Nagata et al, 1995;
Palazzi et al, 2000;Baldeschi et al,
2003; Magnol J et al, 2005;
Gache et al, 2011)
Felina (White et al, 1993;
Olivry et al 1999)
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Nell’EBG, erosioni ed ulcere a carico degli arti, della regione auricolare e
buccale e lesioni ungueali, sono state descritte in un vitello di razza Charolais,7 nel cavallo8-11 e nella pecora.12 Nel cane, in razze quali il Beauceron,13 il
Barbone toy,14 il cane da ferma tedesco a pelo corto15 e in un meticcio16 le lesioni più significative ricorrevano sui cuscinetti plantari e sulle unghie oltre
che sul palato e sulla lingua. La stessa malattia è stata anche documentata in
due gatti di razza Europea.17 In tutti i casi citati, il difetto genetico è stato
identificato a carico della laminina-5 (LM3A32 o LM332), la principale glicoproteina adesiva delle lamine basali subepiteliali. (Tabella 1).
L’EBD è stata invece descritta in diverse razze canine,18-22 oltre che nel gatto23,24 bovino25,26 ed ovino.27,28 La mutazione più importante è a carico del collagene VII che forma fibrille di ancoraggio nelle giunzioni dermo-epidermiche. (Tabella 1). I pazienti affetti inizialmente manifestano emorragie puntiformi in corrispondenza della lingua e del palato ma rapidamente si assiste alla comparsa di vescicole ed ulcere diffuse oltre che nel cavo orale, in altre mucose quali quella esofagea.
Bibliografia
1. Brucker-Tuderman L, McGrath JA, Robinson EC, et al. Animals models for epidermolysis bullosa: update 2010. J Invest Dermatol 130:1485-1488, 2010.
2. Ford CA, Stanfield AM, Spelman RJ, et al. A mutation in bovine keratin 5 causing epidermolysis bullosa simplex, transmitted by a mosaic sire. J Invest Dermatol 124:1170-1176, 2005.
3. French KR, Pollitt CC. Equine laminitis: clevage of laminin 5 associated with basement
membrane dysadhesion. Equine Vet J 36:242-277, 2004.
4. Scott DW, Schultz. Epidermolysis bullosa simplex in the Collie dog. JAVMA 171:721727, 1977.
5. Riet-Cornea F, Barros SS, dame MC, et al. Hereditary suprabasilar acantholytic mechanobullous dermatosis in buffaloes (bubalus bubalis). Veterinary Pathology 31:450-454, 1994.
6. Olivry T, Linder KE, Wang P, et al. Deficient plakophilin-1 expression due to a mutation
in PKP1 causes ectodermal dysplasia skin fragility syndrome in Chesapeake bay retrievier dogs. Plos One, 7:e332072, 2012.
7. Guaguere E, Berg K, Degorce-Rubioales F, et al. FC-26 junctional epidermolysis bullosa in a Charolais calf with deficient expression of integrinα6β4. Vet Derm 15:28, 2004.
8. Spirito F, Charlesworth A, Linder K, et al. Animal models for skin blistering conditions:
absence of laminin 5 causes hereditary junctional mechanobullous disease in the Belgian
horse. J Invest Dermatol 119:684-691, 2002.
9. Milenkovic D, Chaffaux S, Taourit S, et al. A mutation in the LAMC2gene causes the
Herlitz junctional epidermolysis bullosa (H-JEB) in two French draft horse breeds. Genet Sel Evol 35:249-256, 2003.
10. Baird JD, Millon LV, Dileanis S, et al. Junctional epidermolysis bullosa in Belgian draft
horses. In: Proceedings of the 49th Annual Convention of the American Association of
Equine Practitioners, New Orleans, LA, 122-126, 2003.
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2. LE GENODERMATOSI DA MUTAZIONI A CARICO
DELLE COMPONENTI STRUTTURALI “PIÙ PROFONDE”
LA IALURONOSI-MUCINOSI CUTANEA DELLO SHAR PEI
Definizione
Se è vero che ciascuna malattia ereditaria prevale all’interno di una determinata razza, non vi è razza più caratteristica dello shar pei per riconoscere
ed interpretare una patologia ereditaria nota come “mucinosi cutanea”.
Lo shar pei, infatti, in seguito ad una selettiva pressione genetica operata
nel corso degli anni dagli allevatori, si è contraddistinto per la presenza di numerose pieghe cutanee variamente distribuite lungo il garrese e per un muso
da “ippopotamo”, caratteristiche che lo hanno reso fenotipicamente molto apprezzato.
Basi genetiche
All’interno della stessa razza esiste anche una vasta diversificazione fenotipica, prevalentemente legata alle origini e alla pratica incontrollata dell’inbreeding operata nel corso degli anni.
Le caratteristiche pieghe cutanee (e la presenza in alcuni soggetti anche di vescicole o bolle confluenti localizzate sulla regione del collo o piatto delle cosce,
che a seguito di rottura gemono un materiale di consistenza gelatinosa al tatto),
sono considerate la conseguenza di un variabile accumulo nel derma di una sostanza trasparente e amorfa sintetizzata dai fibroblasti e nota come mucina.1,2
La mucina è costituita da glicosaminoglicani solfatati e da glicosaminoglicani non solfatati come l’acido ialuronico (AI), un polisaccaride non ramificato composto dalla ripetizione regolare di unità disaccaridiche (glucoronatoN acetilglucosamina).
Di recente è stato dimostrato che l’AI é il principale costituente del materiale mucinoso3 e il termine ialuronosi è probabilmente più appropriato per
definire tale condizione nei soggetti di razza shar pei.
Una volta sintetizzato da tre diverse sintasi transmembranarie denominate
HAS1-HAS2-HAS3, l’AI contribuisce ad una grande varietà di meccanismi
cellulari grazie alla sua interazione con differenti componenti della matrice
extracellulare.4,5
Tra le proteine transmembranarie coinvolte nella sintesi dell’AI, l’HAS2
rappresenta l’isoforma più attiva e negli shar pei è stato dimostrato il coinvolgimento di tale sintasi nella patogenesi della ialuronosi cutanea.6-8
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Gli shar pei sono inoltre affetti da una malattia nota come febbre familiare, una condizione che clinicamente ricorda la febbre mediterranea familiare
descritta in medicina umana.9 I pazienti colpiti risentono di episodi febbrili ricorrenti (in genere della durata di 12-48 ore), accompagnati da infiammazione a carico delle principali articolazioni quali la tibio-tarsica.
In un recente studio genetico, è stato possibile identificare una stretta correlazione tra la ialuronosi e la febbre familiare.10 Secondo i ricercatori infatti una
particolare duplicazione del DNA in prossimità del gene che codifica per l’HAS2 altererebbe l’espressione della stessa sintasi causando da un lato una eccessiva sintesi di AI e quindi, una condizione di grave ialuronosi clinicamente
manifesta e dall’altro una massiva degradazione dell’AI in eccesso in frammenti ad elevato potere infiammatorio, angiogenico ed immunostimolante, causa
della condizione febbrile. Futuri studi potranno essere d’ausilio non solo per
meglio comprendere una malattia così complessa ma anche per il contributo che
tale condizione offre alla medicina umana quale modello biologico.
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CISTOADENOCARCINOMA RENALE E DERMATOFIBROSI
NODULARE (RCND)
Definizione
Trattasi di una malattia riportata per la prima volta nel 1978 nel Pastore tedesco1 e definita cistoadenocarcinoma renale multifocale ereditario e dermatofibrosi nodulare (RCND) soltanto nel 1985.2 Nel corso degli anni, la malattia è stata diagnosticata anche in soggetti di altre razze3,4 e quale rara condizione ereditaria, si è caratterizzata per la presenza di tumori bilaterali e multifocali renali, neoformazioni cutanee diffuse e solide al tatto e, nelle femmine, anche per leiomiomi uterini.
Basi genetiche
L’analisi del pedigree di una famiglia di Pastori Tedeschi affetti da RCND
ha dimostrato che si tratta di una malattia a trasmissione ereditaria di tipo autosomico dominante il cui locus suscettibile si troverebbe sul cromosoma 5.5
Studi successivi di analisi di linkage hanno tuttavia dimostrato che in tutti gli
individui affetti è presente una mutazione nucleotidica nell’esone 7 del gene
che codifica per la follicolina (FLNC).6
In altre parole, tale mutazione determina una sostituzione a livello aminoacidico dell’istidina con l’arginina (H225R) con conseguente modificazione
delle funzioni della FLNC, una proteina espressa in diversi tessuti tra cui cute, reni e pneumociti di tipo I e a possibile attività oncosoppressiva o di regolazione della crescita cellulare. Pertanto, se la mutazione si realizza a carico
dell’istidina che codifica per la FNLC, quest’ultima muterà nelle sue funzioni regolatrici e come conseguenza i tessuti coinvolti andranno incontro a trasformazione neoplastica.7
Normalmente i pazienti affetti ereditano la malattia da uno solo dei genitori
che a sua volta è genotipicamente eterozigote e manifesta quindi la patologia
che invece, in stato di omozigosi, è incompatibile con la vita del soggetto.8
La RCND rappresenta inoltre un modello di studio per una malattia nota
nell’uomo come sindrome di Birt-Hogg-Dubé (BHD), anch’essa caratterizzata da mutazioni nel cromosoma 17p11.2 del gene che codifica per la FNLC,
sebbene le lesioni cutanee siano prevalentemente fibrofolliculomi piuttosto
che fibromi e i pazienti siano affetti oltre che da tumori renali, da cisti polmonari e pneumotorace spontaneo.6
La malattia in medicina veterinaria si manifesta in genere in età adulta (~
8 anni) con noduli multipli, ben circoscritti, da tondi ad ovalari, iperpigmen-
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tati e/o ulcerati, di diametro variabile dai 2 ai 5 mm e prevalentemente localizzati sulla testa e sugli arti. In alcuni casi i noduli sono difficilmente apprezzabili per mezzo del solo esame visivo ed è quindi necessaria una attenta palpazione delle regioni affette.
Le alterazioni a carico dei reni sono invece rappresentate da un aumento
del volume degli stessi, fibrosi e presenza di cisti multifocali che portano a distensione addominale.
Tali lesioni possono precedere di diversi anni la successiva evoluzione a
forme neoplastiche (carcinomatose e non)9 e causare progressiva insufficienza renale con conseguente insorgenza di segni sistemici quali poliuria, polidipsia, inappetenza e dimagramento.
È tuttavia importante ricordare che il fenotipo della RCDN non sempre
comporta la carcinogenesi renale e pertanto non tutti i pazienti affetti da fibromi multipli risentono anche di un danno renale.10
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SENO DERMOIDE (SD)
Definizione
Si tratta di una malformazione congenita causata da un difetto di separazione del foglietto embrionale ectodermico dal tubo neurale.1 L’invaginazione tubulare o il sacco a fondo cieco che si estende dalla superficie cutanea ai
tessuti sottostanti secondo una profondità variabile2 è stata descritta in varie
razze canine3-7 e nel gatto Burmese.8 Il Rhodesian Ridgeback rappresenta la
razza canina maggiormente predisposta all’SD e la malformazione si estende
lungo la linea dorsale del tronco o posteriormente o anteriormente alla cresta,
una caratteristica quest’ultima che si manifesta a mezzo della crescita del pelo in direzione caudocraniale.9-13
Basi genetiche
Nel Rhodesian Ridgeback è stato possibile dimostrare un modello di ereditarietà di tipo autosomico dominante del SD oltre che il difetto genetico direttamente coinvolto. Una mutazione a carico di uno o più dei tre geni che codificano per il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF) e in particolare dei geni FGF3, l’FGF4 e l’FGF19 genererebbe sia la formazione della cresta che del
SD. Tali geni hanno infatti un ruolo cruciale durante lo sviluppo embrionale,
contribuendo da un lato all’organizzazione funzionale della crescita del pelo
e dall’altro alla chiusura del tubo neurale.14-16
La sintomatologia varia a seconda della profondità del seno stesso. Classificato in cinque sottotipi in base all’estensione nei tessuti sottostanti la cute dorsale, il seno dermoide può apprezzarsi come un cordone fibroso che, poiché ripieno di materiale cheratinico e di prodotti di secrezione ghiandolare, può facilmente trasformarsi in un ricettacolo per batteri e quindi infiammarsi, con conseguente dolore alla palpazione. Nel sottotipo IV (con estensione fino al canale
vertebrale), a seguito della compressione esercitata dal seno stesso sul midollo
spinale, si può assistere anche all’insorgenza di gravi segni neurologici.
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3. LE GENODERMATOSI A CARICO DEGLI ANNESSI
CUTANEI
DISPLASIA ECTODERMICA
Definizione
Per displasia ectodermica (DE) si intende un ampio e complesso gruppo di
disordini congeniti caratterizzati da un anomalo sviluppo di tessuti ed organi di
origine ectodermica quali le ghiandole lacrimali, la cute, i peli e i denti.1 In queste forme, due differenti derivati ectodermici sono assenti o ipofunzionanti.
Basi genetiche
Nel corso degli anni in medicina umana sono state descritte fino a 190 varianti della stessa condizione, scarsamente differenziabili dal punto di vista
clinico e pertanto classificabili solo in base al difetto funzionale sottostante.
Tra tutte le forme di DE la più comune è la displasia ectodermica ipoidrotica
o anidrotica o sindrome di Christ-Siemens-Touraine, che può essere ereditata
secondo un modello di tipo autosomico recessivo, dominante o essere legata
al cromosoma X (XLED). Quest’ultima modalità di trasmissione è la più frequente ed è dovuta a mutazioni del gene che codifica per l’ectodisplasina -A
(EDA), una proteina transmembranaria che ha un ruolo chiave nella morfogenesi dei derivati ectodermici.2 Poiché tale gene è localizzato sul cromosoma
X, i soggetti di sesso maschile (cariotipo XY) saranno sempre emizigoti per
lo stesso gene e potranno pertanto manifestare la malattia mentre le femmine
(cariotipo XX) potranno non manifestarla o manifestarla in forma lieve a seconda del grado di lyonizzazione o inattivazione cromosomica.
I pazienti affetti si caratterizzano per una cute secca e assottigliata, peli radi e fragili, assenza o riduzione della sudorazione con conseguente grave ipertermia alle alte temperature, ipo o anodontia ed aumentata suscettibilità alle
infezioni secondarie soprattutto a carico dell’apparato respiratorio.3
In veterinaria, le razze canine il cui fenotipo è classificato come DE sono
rappresentate dal cane nudo messicano e dal cane crestato cinese, entrambe
caratterizzate da ampie regioni del corpo tipicamente glabre (ad eccezione
della testa e degli arti) e da anomalie dentarie. Il carattere nudo del mantello,
letale allo stato omozigote, si trasmette secondo un modello di ereditarietà di
tipo autosomico semidominante con mutazione legata al cromosoma 17 e in
particolare al FOX13, un fattore di trascrizione coinvolto nello sviluppo ectodermico.4
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Come nell’uomo, anche in veterinaria è stata descritta la XLED, in particolare nel topo (fenotipo Tabby),5 nel cane6-8 e nel bovino9,10 e anche in queste specie sono state identificate mutazioni a carico del gene che codifica per l’EDA.
Una corretta diagnosi di XLED non può prescindere dal quadro clinico caratterizzato da aree ipotricotiche (con peli rudimentali e distorti) o da alopecia franca la cui distribuzione è prevalentemente sulle regioni fronto-temporale, toracica o sacrale; da anomalie dentarie caratterizzate da permanenza dei
denti decidui o mancata eruzione11 e, istologicamente, da assenza delle unità
pilo-ghiandolari. Di recente, in un modello sperimentale, si è inoltre dimostrato che i cani affetti da XLED possono andare incontro ad affezioni a carico
del tratto respiratorio, prevenibili con la somministrazione neonatale di ectodisplasina ricombinante.12-14
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PATOLOGIE DELLA PIGMENTAZIONE:
LA GENETICA DEL COLORE DEL MANTELLO
Fra i possibili campi di applicazione della genetica vi è quello relativo alle variazioni cromatiche dei mantelli. Il colore di ciascuna specie è infatti il
risultato dell’adattamento dell’animale all’ambiente e della comunicazione
tra i differenti individui. Tuttavia, la forte selezione artificiale operata dall’uomo durante il processo di domesticazione e creazione delle diverse razze ha
inevitabilmente portato alla fissazione di caratteri a volte svantaggiosi per lo
stesso animale, quali ad esempio i mantelli chiari e monocromatici. I fenotipi
a mantello bianco e con iridi azzurre, per esempio, possono andare incontro a
sordità neurosensoriale congenita in seguito ad un’alterazione, durante lo sviluppo embrionale, dell’attività migratoria dei melanoblasti dalla cresta neurale agli strati basali dell’epidermide, bulbo pilifero, uvea ed orecchio interno.1,2
Ciononostante, grazie ad un corretto approccio molecolare, è stato possibile identificare fino a 7 geni implicati nella determinazione del colore del
mantello del cane3 (Tabella 2). Una mutazione molto rara, descritta ad esempio nel cane da Pastore Tedesco è quella che interessa il gene Agouti (A). Allo stato recessivo “a”, il soggetto perde difatti le focature che lo contraddistinguono e si caratterizza per una colorazione del mantello nero uniforme.
Nel caso del merle invece, allo stato omozigote con il gene M mutante dominante (MM) un soggetto quale il Collie avrà il mantello quasi completamente bianco mentre allo stato eterozigote (Mm) il mantello presenterà delle
parti pigmentate che si alterneranno a chiazze di colore grigio.
Negli ultimi anni una particolare attenzione è stata rivolta soprattutto al
gene che codifica per la melanofilina (MLPH), una proteina che insieme alla
miosinaVa e alla Rab27a si rende responsabile del trasporto della melanina
contenuta nei melanosomi ai cheratinociti. Mutazioni a carico della MPHL
sarebbero infatti responsabili del colore del mantello diluito (da nero a blu,
dal marrone al fulvo).4-7
L’alopecia da diluizione del colore (CDA) è una malattia dermatologica
ereditaria a trasmissione autosomica recessiva descritta in varie razze canine811
e caratterizzata da una perdita lenta ma progressiva del pelo, dapprima sulla regione del tronco e nelle fase più avanzate su tutte le aree del corpo a mantello diluito. I soggetti affetti hanno un’età compresa tra i 3 mesi e i 4 anni
d’età e con il progredire del tempo risentono, sulle stesse aree glabre, di infezioni batteriche secondarie, formazione di comedoni o cisti cheratiniche.12
Microscopicamente, i peli si caratterizzano per la presenza di aggregati grossolani di pigmento melanico che alterano la normale struttura del pelo stesso
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TABELLA 2 - I geni del colore del mantello (modificato da: Schmutz S.M. 2007)
Gene
Colore del mantello (fenotipo)
Peptide segnale del gene Agouti (A) (ASIP)
(mappato sul cromosoma 24)
A: nero dominante
ay: giallo-chiaro/zibellino con punte nere
aw: fenotipo a peli a banda (nero-rosso-nero)
at: nero e rossiccio o marrone e rossiccio
a: nero recessivo
Proteina 1 legata alla tirosinasi (TYRP1)
(mappato sul cromosoma 11)
B: Nero (il soggetto può sintetizzare il pigmento
nero)
b (bs, bd, bc): Cioccolato, fegato, rosso
(il soggetto non può sintetizzare il pigmento
nero, le mucose e il tartufo risultano fegato e
spesso gli occhi ambra)
Melanofilina (MLPH)
(mappato sul cromosoma 25)
D: Pigmentazione intensa
d: diluizione del colore (neroàblu,
marroneàlilac/isabella)
Recettore della melanocortina 1(MC1R)
(mappato sul cromosoma 5)
EM: superestensione del pigmento scuro
con maschera
E: solo eumelanina (nero, marrone, blu)
e: solo feomelanina (rosso, giallo, crema)
ß difensina 103 (CBD103)
(mappato sul cromosoma 16)
KB: nero, marrone o blu
Gene M (merle) = SILV/PMEL17
(mappato sul cromosoma 10)
M: Distribuzione del colore merle
m: Colore determinato da altri loci (non merle)
Gene S (spotting) (Fattore di trascrizione
associato alla microftalmia (MIFT)
(mappato sul cromosoma 20)
S: Colore solido (senza pezzature)
si Irish: Pezzatura irlandese (bianco limitato,
circa 1/3)
sp Piebald: pezzatura (bianco circa ½)
fino a deformarlo e fratturarlo. Qualora lo stesso esame microscopico del pelo venga effettuato in soggetti con colore diluito ma senza segni di alopecia,
sarebbe comunque possibile rinvenire ammassi di pigmento in assenza di
anomalie strutturali. Questo vuol dire che il gene MLPH, per quanto si renda
responsabile del colore diluito del mantello, non è necessariamente responsabile dei segni clinici riconducibili a CDA.
È quindi possibile che più mutazioni associate con il fenotipo diluito o difetti primitivi strutturali o di sviluppo del pelo siano direttamente coinvolti
nella patogenesi della malattia.
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Giordana Zanna
Med Vet, PhD, Dipl ECVD
Studio Dermatologico Veterinario - Milano
Aspetti clinici genodermatosi
non ancora completamente
decifrate
Domenica, 23 settembre 2012, ore 11.45
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LA DERMATITE ATOPICA (DA)
Definizione
È definita come una malattia cutanea pruriginosa ed infiammatoria cronica, con predisposizione genetica, aspetti clinici caratteristici ed associata alla
sintesi di anticorpi IgE più frequentemente diretti nei confronti di allergeni
ambientali.1
Sia da un punto di vista clinico che istopatologico, la DA canina condivide numerose caratteristiche con la DA in umana, tanto da suggerire una patogenesi comune.2
Basi genetiche
Allo stato attuale, la predisposizione ereditaria per la DA in umana è ritenuta complessa e sotto un controllo poligenico ed eterogeneo.3 Recenti studi,
contestualmente all’evoluzione della biologia molecolare, hanno permesso di
identificare una regione sul cromosoma 1q21 che comprende il centro di differenziamento dell’epidermide (complesso EDC), al cui livello i geni codificano per proteine strutturali fondamentali per la formazione di uno strato corneo correttamente funzionante.4-6 Tra queste si colloca la filaggrina (FLG),
una proteina che interagisce con i filamenti intermedi nel citoscheletro e che
se mutata nella sua espressione avrebbe un ruolo determinante nella patogenesi della DA.7-9 Tuttavia, la sola mutazione di tale proteina non è sufficiente
a determinare un impatto specifico sul fenotipo e pertanto la presenza concomitante di altri fattori sia molecolari che cellulari oltre che ambientali svolgerebbe la sua funzione nella suscettibilità alla malattia.10,11
In veterinaria, il fenotipo DA canino è oggetto di studi che vedono tra loro implicati tanto fattori genetici che non. In una colonia di West Highland
White Terrier (WHWT) recenti indagini sul gene ortologo canino per la FLG
localizzato sul cromosoma 17 (CFA17) hanno dimostrato che tale proteina
non ha un ruolo causale nella patogenesi della DA nel cane e pertanto è possibile che nuovi studi possano contribuire alla scoperta di nuovi geni candidati anche per la DA in umana.12 Il WHWT è infatti una razza con una prevalenza della malattia prossima al 18.7% e quindi meglio si predispone a ricerche genomiche volte all’identificazione di regioni cromosomiche direttamente implicate nella patogenesi della DA.13-15 Grazie allo studio di associazione
condotto sull’intero genoma (GWA), in tale razza canina è stato difatti possibile analizzare migliaia di polimorfismi di un singolo nucleotide (SNPs) presenti in determinati tratti di DNA ed identificare quindi nuovi loci di suscet-
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tibilità alla DA. Attraverso un approccio imparziale allo studio dei geni candidati, si è osservato che più geni in corrispondenza o in prossimità del
CFA17 sarebbero coinvolti e tra questi, la proteina tirosina fosfatasi non recettoriale di tipo 22 (linfoide) o PTPN22, che codifica per un mediatore linfoide specifico che regola l’attività delle cellule T e probabilmente anche delle cellule B.13,14 Ulteriori studi sono tuttavia in corso e finalizzati ad estendersi ad una popolazione canina ancora più ampia.
I segni clinici della DA canina si manifestano in genere tra i 6 mesi e i 3
anni d’età e le lesioni cutanee primarie consistono in macule eritematose e papule, sebbene la maggior parte dei pazienti affetti presentino lesioni conseguenti all’autotraumatismo indotto dal prurito.16 Frequenti sono pertanto le
escoriazioni, l’alopecia autoindotta o la iperpigmentazione e lichenificazione
da autotraumatismo prolungato.
In generale, le regioni corporee maggiormente colpite includono la facciale, la parte concava del padiglione auricolare (con esclusione solitamente dei
margini delle orecchie), la regione ascellare, inguinale e le superfici flessorie
e mediali dei 4 arti (con inclusione della porzione podalica).1
La diagnosi della DA canina si basa principalmente su segni clinici e distribuzione delle lesioni, storia familiare o predisposizione genetica ed eliminazione di altre potenziali cause mimanti la stessa malattia, tra cui le infestazioni parassitarie o altre patologie di origine allergica.
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LA LEISHMANIOSI
Definizione
Si tratta di una malattia causata da un protozoo parassita del genere Leishmania che attraverso un vettore biologico, il flebotomo, viene inoculato in
sede intradermica durante il pasto di sangue sull’ospite. La disseminazione
del parassita nell’organismo e l’eventuale sviluppo della malattia dipendono
dal tipo e dall’efficienza della risposta immunitaria del soggetto.1 Nelle aree
endemiche, la percentuale dei cani infetti può approssimarsi al 60%, contrariamente alla percentuale dei cani malati che si descrive quale decisamente
più bassa.2,3 Vi sono inoltre delle differenze di razza all’interno della stessa
specie che testimoniano come soggetti di razza Boxer, Pastore tedesco o Rottweiler siano maggiormente predisposti, a differenza del Podenco Ibicenco o
cane di Maiorca, una razza autoctona delle Baleari, per la quale è stata invece segnalata una resistenza alla malattia.4
Basi genetiche
Il background genetico dell’ospite ha pertanto un ruolo fondamentale nella minore o maggiore suscettibilità alla malattia. La maggior parte degli stu-
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di condotti in medicina umana, sia epidemiologici che genetici, hanno offerto
un grande contributo ad una più chiara comprensione della patologia. Tuttavia,
ricerche in grado di analizzare nello specifico quali siano i fattori genetici causa della progressione dell’infezione alla malattia sono a tutt’oggi esigue.5
A dispetto di quanto descritto in medicina umana, in veterinaria è stato di
recente effettuato un interessante studio genetico volto all’interpretazione della variabilità fenotipica nella progressione della Leishmaniosi canina e all’utilizzo dei dati genetici quali indicatori in grado di predire il decorso della malattia.6 Lo studio GWA condotto su una popolazione di 219 cani di razza Boxer ha così rappresentato un approccio efficace per l’identificazione dei geni
coinvolti nell’identificazione di un fenotipo così complesso. Nel cromosoma
4 (61.2-76.9 megabasi) si identificherebbero pertanto i geni responsabili della maggiore suscettibilità individuale alla progressione verso la malattia e uno
dei geni candidati sarebbe quello che codifica per l’IL-7, una glicoproteina fondamentale per la differenziazione dei linfociti T da cui dipende la
stessa evoluzione della malattia.
I pazienti possono essere animali giovani (di età < 3 anni e geneticamente
predisposti) o soggetti più adulti in cui numerosi altri fattori non necessariamente genetici quali farmaci, infezioni e/o neoplasie possono concorrere a
modificare la risposta immunitaria dell’ospite.
I segni clinici, polimorfici e ad interessamento sistemico oltre che dermatologico meritano una trattazione a parte. I più frequenti quadri dermatologici includono tuttavia la dermatite desquamativa o ulcerativa mentre la dermatite papulare e/o nodulare rappresentano espressioni meno comuni della stessa malattia.
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LA DEMODICOSI
Definizione
Le malattie infettive sono quelle a maggior pressione selettiva e i geni
coinvolti nella risposta immunitaria sono tra i più numerosi e svariati in seno
al genoma canino. Tuttavia, l’ampia variabilità della suscettibilità dell’ospite
nei confronti di un determinato patogeno riflette le diversità genetiche della
risposta immunitaria.1,2
La demodicosi canina, per esempio, sebbene rappresenti una malattia ad
elevata prevalenza nel cane, rimane scarsamente compresa nei suoi meccanismi patogenetici.
Basi genetiche
In passato è stata considerata l’ipotesi che i cani con demodicosi giovanile generalizzata avessero una predisposizione ereditaria imputabile ad un difetto delle cellule T nel riconoscimento e/o reazione nei confronti del parassita,3 ma soltanto di recente è stato possibile evidenziare un’associazione tra la
demodicosi canina e il sistema antigenico leucocitario canino (DLA), una regione genetica considerata candidata alla resistenza/suscettibilità alle malattie
infettive.4 Questa regione codifica per il complesso maggiore di istocompatibilità (MCH I e II), ovvero per due classi di proteine che sono espresse sulla
superficie di svariate cellule tra cui quelle macrofagiche, dendritiche e linfocitarie, che hanno un ruolo cruciale nella gestione della risposta immunitaria.5
In particolare, l’espressione dell’MCH II è aumentata nei cheratinociti follicolari di cani affetti da demodicosi, suggerendo quindi la sua possibile associazione con lo sviluppo e il mantenimento dell’infiammazione follicolare nel
corso della malattia.6
Tuttavia, solo grazie all’utilizzo di marcatori molecolari microsatelliti (ripetizioni in tandem di corte sequenze di nucleotidi distribuite nel genoma) è
stato possibile evidenziare una stretta associazione tra l’MCH II e lo sviluppo della demodicosi generalizzata.4 Tali studi hanno aperto nuove frontiere
genetiche e nuove ricerche biomolecolari stanno procedendo verso l’ulteriore
comprensione della demodicosi canina.7
In corso di demodicosi si possono osservare quadri di alopecia parziale associati ad eritema soprattutto sulla regione facciale ed estremità, mentre nelle forme più gravi, in cui si assiste alla distruzione del follicolo pilifero e ad
una massiva reazione infiammatoria, possono dominare lesioni quali pustole,
croste, bolle emorragiche e tragitti fistolosi diffusi sul corpo.8
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Fabiano Necci
Med Vet, Anagni (FR)
Francesco Albanese
Med Vet, Napoli/Arezzo
CASO CLINICO
Epidermolisi bollosa congenita
in 2 cani meticci
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SEGNALAMENTO
- Caso 1
Cane, meticcio, maschio 16 mesi, kg 25
- Caso 2
Cane, meticcio, maschio 3 mesi, kg 1,3
ANAMNESI
- Caso 1
Trovato all’età presunta di 2 mesi, vive in appartamento senza altri animali ed
è alimentato con una dieta commerciale. I proprietari riferiscono che le lesioni dermatologiche erano già presenti al momento del ritrovamento. Le lesioni non erano migliorare dopo la somministrazione di antibiotici e glucocorticoidi.
- Caso 2
Trovato da circa 20 giorni con lesioni erosivo ulcerative su tartufo e sulle
zampe. Il cane era stato sottoposto a trattamento con griseofulvina senza miglioramento; dopo qualche giorno era comparso un lieve prurito.
QUADRO CLINICO
- Casi 1 e 2
All’esame obiettivo generale i cani erano in ottime condizioni di salute. All’esame dermatologico, in entrambi i soggetti erano presenti vescicole e bolle nel cavo orale e sulla cute ascellare ed inguinale nonché ulcere e croste, verosimilmente secondarie alla rottura di suddette lesioni, nel cavo orale, sul
tartufo, sulla cute ascellare ed inguinale e sulla cute delle estremità distali e
della punta della coda.
Erano inoltre presenti lesioni ulcerativo-crostose intorno al prepuzio, sullo
scroto e sui punti di pressione. Entrambi i soggetti presentavano onicomadesi multidigitale ed onicodistrofia. Nel caso 2 erano presenti lesioni anche sulla superficie interna del padiglione auricolare nonché distacco dell’epidermide dei cuscinetti e conseguente zoppia.
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QUADRO RIASSUNTIVO DEL PROBLEMA
Lesioni vescicolo-bollose con interessamento delle mucose, delle giunzioni
mucocutanee e della cute.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI
Considerata la giovane età e l’assenza di segni sistemici venne presa in considerazione come prima ipotesi diagnostica l’epidermolisi bollosa congenita. Altre
possibilità erano le malattie autoimmuni vescicolo-bollose come il pemfigo volgare, l’epidermolisi bollosa acquisita, il pemfigoide bolloso ed il pemfigo cicatriziale (pemfigo delle membrane mucose); venivano incluse tra le diagnosi differenziali meno probabili la reazione a farmaco e la dermatopatia ischemica.
ESAMI COLLATERALI
In entrambi i soggetti il segno di Nikolsky era positivo. Vennero eseguiti gli
esami ematologici di base (emocromo, profilo biochimico ed elettroforesi)
che non evidenziarono alterazioni e biopsie cutanee multiple delle lesioni vescicolo-bollose integre mediante prelievo “a losanga”. Le alterazioni istopatologiche erano caratterizzate da aree di separazione tra derma ed epidermide
di estensione variabile con assenza di infiammazione dermica.
DIAGNOSI DEFINITIVA
Sulla base del segnalamento, del quadro clinico e delle caratteristiche istologiche venne diagnosticata, in entrambi i cani, l’epidermolisi bollosa congenita. Non avendo eseguito indagini di microscopia elettronica non è stato possibile precisare il tipo di EB.
TERAPIA
Non essendo possibile impostare una terapia risolutiva, è stato consigliato ai
proprietari di limitare gli eventi traumatici e di controllare le infezioni batteriche ricorrenti mediante l’utilizzo di prodotti antibatterici topici.
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DISCUSSIONE
Le epidermolisi bollose (EB) sono malattie congenite meccano-bollose riconosciute nell’uomo e segnalate in alcuni animali domestici quali il cane, il
gatto, il bovino ed il cavallo. Si tratta di malattie su base genetica, con modalità di trasmissione autosomica dominante o recessiva. Le EB si caratterizzano per la formazione di vescicole/bolle sia sulla cute che nel cavo orale, ad insorgenza spontanea o secondarie a traumi e causate da anomalie congenite o
acquisite a carico dei normali costituenti che garantiscono la coesione tra epidermide e derma (emidesmosomi e costituenti della membrana basale). Se ne
conoscono 3 forme, classificate in base alla localizzazione dello scollamento:
i) Epidermolisi bollosa semplice (EBS), in cui il difetto è localizzato nei
cheratinociti basali dell’epidermide;
ii) Epidermolisi bollosa giunzionale (EBG), in cui il difetto è localizzato
nella pars lucida della membrana basale;
iii) Epidermolisi bollosa distrofica (EBD), in cui il difetto è localizzato nel
derma papillare sotto la lamina basale.
Da un punto di vista istopatologico, queste 3 forme di EB sono riconosciute
sia nell’uomo che negli animali domestici (cane, cavallo, bovino, pecora e
gatto); inoltre mentre in medicina umana esistono diverse varianti sia localizzate che generalizzate, negli animali non si è ancora giunti ad una così ampia
sottoclassificazione.
Per quanto riguarda la EBS, nell’uomo esistono 2 varianti localizzate e ben 7
forme generalizzate; negli animali, l’EBS è stata identificata nel cane e nel
bovino. L’EBS è detta anche epidermolitica poiché il distacco dermo-epidermico avviene a livello dei cheratinociti dello strato basale.
La patogenesi è legata a mutazioni dei geni che codificano per le cheratine 5
e 14, che si trovano all’interno delle cellule dello strato basale dell’epidermide e si interconnettono, tramite gli emidesmosomi, alla pars lucida della lamina basale. Le alterazioni istologiche che caratterizzano la EBS sono rappresentate dalla fissurazione e dalla citolisi dello strato basale, fenomeni conosciuti come epidermolisi.
Nell’EBG dell’uomo sono segnalate 3 varianti localizzate e 4 generalizzate,
di cui una letale definita sindrome di Herlitz, una associata a stenosi pilorica,
una cicatriziale ed un’altra forma non letale, definita variante Mitis o non
Herlitz. Negli animali, la variante Herlitz è stata segnalata solamente nel cane, nel cavallo e nella pecora, mentre le altre forme sono state riconosciute solo nel cane e gatto. Nella EBG il sito di clivaggio è localizzato nella pars lucida della membrana basale. Il difetto strutturale è dovuto alla mancanza di
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molti componenti della laminina 5 (sindrome di Herlitz) e dell’integrina α-6
e β-4 nella forma associata a stenosi pilorica. Nel cane, l’EBG si presenta con
elevata frequenza nel Bracco Tedesco a pelo corto, tanto da esser definita una
dermatosi “razziale”; casi di EBG sono stati segnalati anche in un Barbone
toy ed in alcuni meticci.
L’EBD è la forma più grave di EB, per la formazione di ampie bolle sottoepidermiche, dal momento che lo scollamento si verifica nella parte superiore
del derma papillare, coinvolgendo il collagene VII ed il rimanente sistema di
ancoraggio. Nell’uomo sono riconosciute 4 forme localizzate e 4 forme generalizzate, mentre negli animali domestici esistono una variante generalizzata
grave nella pecora ed una forma generalizzata non letale nel cane.
Da un punto di vista clinico, le varianti di EB nel cane non sono differenziabili; i soggetti affetti presentano lesioni di tipo ulcerativo che possono essere
presenti in ogni sede, incluso il cavo orale e con spiccata frequenza a carico
delle zone di frizione. Le lesioni insorgono come vescicole/bolle e poi diventano vere e proprie ulcere con conseguente formazione di cicatrici. Da segnalare anche che queste malattie colpiscono con elevata frequenza i cuscinetti
plantari causandone la disepitelizzazione.
Per quanto riguarda la terapia, non esistono trattamenti specifici né per l’uomo né per il cane. Attualmente, in medicina umana, in pazienti affetti da
EBD recessiva (malattia in cui si osservano livelli elevati di collagenasi), si
utilizza la fenitoina, una sostanza che inibisce la collagenasi; questa terapia
sembra indurre una buona risposta anche in pazienti con EBG. In passato
sono state provate altre terapie sistemiche con corticosteroidi, vitamina E ed
antimalarici, ma attualmente la parte più importante della terapia è l’integrazione con vitamine e minerali, che vengono dispersi attraverso la cute
erosa ed ulcerata. Esistono anche trattamenti topici a base di medicazioni
biologiche (garze non aderenti) ma in veterinaria non trovano larga applicazione. L’utilizzo di antibiotici topici come la mupirocina, la sulfadiazina argentica, la bacitracina e l’acido fusidico è consigliato per prevenire le infezioni secondarie.
Bibliografia
1. Braun-Falco O., Plewig G., Wolff H.H., et al, Braun-Falco´s Dermatology. Springer-Verlag Berlin Heidelberg, 2000, Cap.15, 650-661.
2. Scott, D.W., Miller, W.H. and Griffin, C.E., Muller & Kirk’s Small Animal Dermatology.
W.B. Saunders, Philadelphia, PA, 2001, 938-940.
3. Capt A., Spirito F., Guaguere E. et al. Inherited junctional epidermolysis bullosa in the
German pointer: establishment of a large animal model. J Invest Dermatol (2005) 124,
530-535.
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4. Cerquetella M., Spaterna A., Beribe F. et al. Epidermolysis bullosa in the dog: four cases.
Vet Res Commun (2005) 29 (Suppl 2) 289-291.
5. Nagata M., Iwasaki T., Masuda H. et al. Nonlethal junctional epidermolysis bullosa in a
dog. Br J Dermatol (1997) 137, 445-449.
6. Uitto J., McGrath JA., Rodeck U. et al. Progress in epidermolysis bullosa research: toward treatment and cure. Journal of Investigative Dermatology (2010) 130, 1778-1784.
7. Uitto J., Mc Grath JA., Bruckner-Tuderman L. et al. Animal Models of Epidermolysis
Bullosa: update 2010. Journal of Investigative Dermatology (2010) 130, 1485-1488.
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POSTER
I poster sono elencati in ordine alfabetico secondo il cognome del relatore
e quindi in ordine cronologico di presentazione.
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DERMATITE PAPULO-NODULARE IN UN CANE
CON REAZIONE LEUCEMOIDE
F. Albanese, DVM1, FL. Salerni, DVM1,
D. Francione, DVM2, F. Abramo, DVM3
1
Libero professionista, Arezzzo
2
Clinica Veterinaria Campo d’Aviazione, Via Parri 4/6, Viareggio (LU)
3
Dipartimento di Patologia Animale, Università di Pisa,
Viale delle Piagge 2, Pisa
Introduzione. Le reazioni leucemoidi sono disordini ematologici che mimano le leucemie e nei cani sono osservate in associazione a infezioni sistemiche, gravi emorragie o emolisi.
Obiettivi. Descrivere un caso di reazione leucemoide in un cane associata a
lesioni cutanee assimilabili alla sindrome di Sweet dell’uomo.
Caso clinico. Un cane meticcio, femmina di 9 anni veniva portato a visita per
insorgenza acuta di vomito e letargia. Risultato positivo per Erlichia canis
(1:1280) e Leishmania infantum (1:640), era stato trattato da un altro veterinario con doxiciclina (10 mg/Kg), sali di antimonio (50 mg/Kg die) e prednisone (1 mg/Kg die) per circa un mese, ma dopo una breve remissione i sintomi clinici erano recidivati. All’esame clinico il cane era letargico, febbrile e
presentava piccole placche eritematose su labbro, torace ed addome. L’esame
emocromocitometrico evidenziava leucocitosi (89.000 WBC/μL) con neutrofilia maturi e immatura nonché anemia scarsamente rigenerativa. L’esame del
midollo osseo evidenziava un elevato rapporto mieloide/eritroide, con aumento dei neutrofili del compartimento maturativo e proliferativo e fu ipotizzata una reazione leucemoide.
L’ecografia addominale mostrava epato-splenomegalia e alla citologia di entrambi gli organi e della cute si osservava infiltrazione mieloide mista. L’esame istopatologico delle lesioni cutanee evidenziava un denso infiltrato neutrofilico e leucocitoclasia. Per un peggioramento delle condizioni cliniche, il
cane fu ricoverato e sottoposto a terapia immunosoppressiva con prednisone
(1 mg/Kg bid). Dopo tre settimane i valori ematologici erano rientrati per restare costanti.
Conclusioni. Dal momento che le stesse cellule sono state ritrovate nel midollo, nel sangue periferico e nella cute, gli autori ritengono che le lesioni
cutanee rappresentino una localizzazione atipica e rara di una reazione leucemoide o un disordine ematologico analogo alla sindrome di Sweet dell’uomo.
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Bibliografia
1. Johnson CS, May ER, Myers RK, et al.. Extracutaneous neutrophilic inflammation in a
dog with lesions resembling Sweet's Syndrome. Veterinaaary Dermatology 20:200-5,
2009.
2. Burrall B. Sweet's syndrome (acute febrile neutrophilic dermatosis). Dermatology Online Journal. 5:8, 1999.
3. Cohen PR, Kurzrock R. Sweet's syndrome revisited: a review of disease concepts. ogy
42:761-78, 2003.
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INFESTAZIONE DA LINOGNATHUS SETOSUS
(ANOPLURA: LINOGNATHIDAE) NEL CANE:
PRIMA SEGNALAZIONE IN ITALIA
F. Albanese1, F. Fabbrini2, S. Perrucci3
1
Libero professionista, Arezzo
2
Clinica Veterinaria Papiniano, Via Papiniano, 50, Milano,
3
Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli Alimenti,
Università di Medicina Veterinaria di Pisa, Viale delle Piagge 2, Pisa
Introduzione. Il pidocchio succhiatore Linognathus setosus è un ectoparassita del cane che può causare varie lesioni dermatologiche quali prurito, eritema, papule, scaglie, croste e, in soggetti gravemente infestati, un’anemia potenzialmente letale. Sebbene l’infestazione da L. setosus nel cane sia diffusa
in molte parti del mondo ed è frequentemente segnalata nei Paesi del Nord
Europa, fino ad oggi non è stata mai segnalata in Italia.
Obiettivi. Descrivere quattro casi di infestazione naturale da L. setosus nel
cane in Italia.
Descrizione casi clinici. I quattro cani appartenevano a razze diverse e più
precisamente erano rappresentati da tre maschi adulti di Yorkshire terrier,
Pitt bull e Setter inglese ed una femmina di Siberian husky. Sulla cute di
tutti i soggetti erano presenti numerosi parassiti e loro lendini, associati ad
una desquazione di entità variabile. Il Pitt bull si presentava inoltre in scadenti condizioni di salute e affetto da leishmaniosi e da una piodemodicosi generalizzata. Due soggetti presentavano marcata anemia microcitica.
Gli esami ematologici degli altri due soggetti erano normali. Tutti i soggetti sono stati trattati con un antiparassitario e più precisamente due cani con
fipronil spray ad intervalli settimanali, uno con selamectina ad intervallo
quindicinale ed uno con moxidectina spot-on al 2.5% mensilmente per due
volte. In tutti i soggetti si è osservata la negativizzazione parassitologica
già dopo due settimane.
Considerazioni. Linognathus setosus è un pidocchio comune nei paesi del
nord Europa e mai segnalato nel sud. A conoscenza degli autori, questa è la
prima segnalazione della presenza di Linognathus setosus in Italia.
Bibliografia
1. Gunnarsson L, Christensson D, Palmér E. Clinical efficacy of selamectin in the treatment
of naturally acquired infection of sucking lice (Linognathus setosus) in dogs. J Am Anim
Hosp Assoc. 2005 Nov-Dec;41(6):388-94.
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2. González A, Castro Ddel C, González S. Ectoparasitic species from Canis familiaris (Linné) in Buenos Aires province, Argentina. Vet Parasitol. 2004 Feb 26;120(1-2):123-9.
3. Hanssen I, Mencke N, Asskildt H, Ewald-Hamm D, Dorn H. Field study on the insecticidal efficacy of Advantage against natural infestations of dogs with lice. Parasitol Res.
1999 Apr;85(4):347-8.
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TRATTAMENTO CON DESLORELINA ACETATO
(SUPREROLIN®) IN 4 CANI CON ALOPECIA X
F. Albanese, DVM1, F. Necci DVM2, F. Abramo DVM3
1
Libero professionista, Arezzo
2
Libero professionista, Anagni (FR)
3
Dipartimento di Patologia Animale, Università di Pisa,
Viale delle Piagge, 2 Pisa
Introduzione. L’alopecia X è un disordine dermatologico ad eziologia poco conosciuta. Numerosi studi hanno escluso cause endocrine e le nuove ipotesi patogenetiche considerano alterazioni genetiche e interazione tra fattori di crescita, ormoni e recettori follicolari. La terapia prevede la somministrazione di trilostano o
la castrazione chirurgica. La deslorelina acetato, un agonista del GnRH, è utilizzato nel cane maschio per indurre una castrazione chimica temporanea. La sua
azione si espleta inibendo la secrezione di FSH ed LH mediante un feedback negativo sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, cui consegue l’inibizione della secrezione di testosterone da parte dei testicoli e delle ghiandole surrenali.
Scopo dello studio. Testare l’efficacia della deslorelina acetato, nel trattamento dell’alopecia X.
Materiali e metodi. Sono stati inclusi nello studio 4 cani, maschi interi, due
Volpini e due Barboncini, di età compresa tra 2 e 14 anni. Il segnalamento, la
presentazione clinica (alopecia non infiammatoria associata o meno ad iperpigmentazione diffusa), l’esclusione di endocrinopatie mediante esami ematochimici e la presenza di alterazioni istopatologiche compatibili hanno consentito la diagnosi. Tutti i soggetti sono stati trattati con un impianto sottocutaneo di 4,7 mg di deslorelina al giorno 0 e 180.
Risultati. In tutti i soggetti si è osservata entro tre mesi dall’inizio del trattamento il parziale infoltimento del mantello, completamente ricresciuto al sesto mese. Nessun soggetto ha manifestato effetti collaterali o alterazioni ematochimiche.
Considerazioni. A conoscenza degli autori questa è la prima segnalazione
circa l’utilizzo della deslorelina nel trattamento dell’alopecia X del cane; la
molecola può essere pertanto considerata una possibile opzione terapeutica.
Bibliografia
1. Cerundolo R, Lloyd DH, Persechino et al. Treatment of canine alopecia X with trilostane. Veterinary Dermatology 2004, 15: 285-293.
2. Frank LA. Oestrogen receptor antagonist and hair regrowth in dogs with hair cycle arrest
(alopecia X). Veterinary Dermatology 2007, 18: 63-66.
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METASTASI CUTANEE DI ADENOCARCINOMA
PROSTATICO ANAPLASTICO IN UN CANE
E. Antoniazzi, DVM1, W. Bertazzolo DVM, Dipl ECVCP2,
A. Cangialosi, DVM1, F. Florio, DVM3,
P. Roccabianca, DVM, PhD, Dipl ECVP4
1
Clinica Veterinaria “Città di Voghera”, Voghera
2
Ospedale Veterinario “Città di Pavia”, Pavia
3
Ambulatorio Veterinario “Carnevale e Florio”, Valenza (AL)
4
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria Università degli Studi di Milano
Caso clinico. Un cane Pastore Tedesco, maschio, di 12 anni veniva riferito
per decadimento delle condizioni generali, con anamnesi di patologia prostatica cronica non rispondente alle terapie, ipertermia recente, esami ematochimici indicativi di processo infiammatorio in progressivo aggravamento. Ultimamente comparivano lesioni cutanee nodulari multiple diffuse sul tronco, di
forma irregolare, con dimensioni variabili (5 - 20 mm), non ben delimitate, di
consistenza dura, non dolenti.
Diagnosi differenziali delle lesioni cutanee
• infezione batterica, protozoaria, micotica, parassitaria
• noduli sterili, calcinosis cutis
• neoplasia: benigna/ maligna, primaria/ metastatica
Esami collaterali
Ecografia addominale: prostatomegalia con disomogeneità del parenchima,
lesioni spleniche a bersaglio.
Citologia cutanea: presenza di cellule pleomorfe talora coese con atipie citologiche di alto grado.
Esame istopatologico da biopsia cutanea: metastasi di neoplasia anaplastica di
probabile origine epiteliale/ghiandolare.
Dopo alcune settimane di terapia antibiotica, cortisonica e di sostegno, veniva richiesta l’eutanasia.
L’autopsia rivelava aumento notevole di numero e dimensioni delle neoformazioni cutanee, prostatomegalia con disomogeneità del parenchima e
presenza di lesioni nodulari multiple di milza, fegato, pancreas, reni e polmoni.
Diagnosi istopatologia. Grave iperplasia prostatica, prostatite purulento-necrotizzante e, nella porzione dell’uretra prostatica, reperti di adenocarcinoma
anaplastico con numerosissimi emboli neoplastici a carico dei vasi linfatici;
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metastasi di carcinoma anaplastico a livello cutaneo, polmonare, renale, epatico, pancreatico.
Discussione. Nel cane sono già descritti casi di metastasi cutanee da osteosarcoma, emangiosarcoma, carcinoma mammario, faringeo, gastrico, pancreatico, duodenale, digiunale, del colon, renale, carcinoma neuroendocrino nasale, teratoma, seminoma, TVT, liposarcoma, melanoma orale; questa è ad oggi la prima descrizione di metastasi cutanee di adenocarcinoma prostatico.
Bibliografia
1. Scott DW, Miller WH, Griffin CE. Neoplastic and Non-Neoplastic Tumors. In: Muller &
Kirk’s. Small Animal Dermatology – 6th Edition. Philadelphia: WB Saunders Co, 2001,
pp. 1236-1414.
2. Mueller TJ, Wu H, Greenberg RE et al. Cutaneous metastases from genitourinary malignancies. Urology 63(6): 1021-6, 2004.
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UN CASO DI DERMATITE ATOPICA CANINA
TRATTATA CON ALIAMIDI
L. Bomben, Med Vet, Libero Professionista
Clinica Veterinaria Madonna di Rosa 33078 San Vito al Tagliamento (PN)
E-mail: [email protected]
Napoleone, bassotto tedesco, maschio, 12,5 anni, ha una diagnosi di dermatite atopica dall’età di 1 anno. Dopo un iter diagnostico completo, comprensivo di test intradermici, è stato trattato con successo per circa 3 anni con terapia di desensibilizzazione contro gli acari della polvere, e, successivamente,
la sintomatologia è stata controllata con farmaci omeopatici, dieta monoproteica al pesce e farmaci sintomatici (acidi grassi).
Dall’età di 11 anni le terapie di mantenimento non risultano più efficaci, e il
cane ha sviluppato una piodermite stafilococcica superficiale trattata efficacemente con cefalessina. Napoleone ha continuato però a presentare prurito, eritema, lichenificazione delle aree ascellari, inguinali, ombelicali e della faccia
interna della pinna auricolare.
All’E.O.G. il soggetto presenta prostatomegalia e disturbi neurologici (discopatia). Scarificati cutanei, esami tricoscopici e colturali per dermatofiti, citologici ed esami ematochimici e delle urine sono negativi o normali, con l’eccezione di una sovracrescita di Malassezia sulle aree di cute lichenificata.
Si emette diagnosi di dermatite atopica con sovracrescita di lieviti.
Vista l’età del paziente, si decide di non effettuare nuovi test allergologici e
di trattare il cane con aliamidi, somministrando palmitoiletanolamide (10
mg/kg/die/PO), ed applicando sulle lesioni una soluzione dermatologica contenente adelmidrol ed un complesso antimicrobico (triclosan, acido usnico e
undecilenico), il tutto associato a shampooterapia ad azione idratante igienizzante e ristrutturante.
I controlli a 20 e 40 giorni dall’inizio della terapia evidenziano una scomparsa pressoché totale del prurito e delle lesioni, nonché il controllo della sovracrescita dei lieviti. Il cane viene mantenuto in remissione con la somministrazione di palmitoiletanolamide a basso dosaggio (5 mg/kg/die/PO) e shampooterapia ogni 15-20 gg.
Il caso descritto è in linea con quanto pubblicato sull’efficacia delle aliamidi
palmitoiletanolamide e adelmidrol nelle dermatiti allergiche. Il complesso antimicrobico, costituito da triclosan, acido usnico e undecilenico, potrebbe
aver contribuito al controllo della sovracrescita dei lieviti.
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Bibliografia
1. Noli C, Miolo A. Aliamidi in Dermatologia Veterinaria. Review delle evidenze pre-cliniche e cliniche. Veterinaria 26(3):9-19, 2012.
2. Cerrato S, Brazis P, della Valle MF et al. Effects of palmitoylethanolamide on the cutaneous allergic inflammatory response in Ascaris hypersensitive Beagle dogs. Veterinary
Journal 191(3):377-382, 2012.
3. Waisglass S, Araujo J, della Valle MF et al. Palmitoiletanolamide (palmidrol, inn) nel management della dermatite atopica del cane. Studio randomizzato, in doppio cieco, controllato versus placebo.SkinALIA 2012. Primo simposio sulle aliamidi in Dermatologia Veterinaria, Verona, 2012, pp. 57-61.
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DIFETTO PRIMARIO DI CHERATINIZZAZIONE
DEI CUSCINETTI PLANTARI IN UN CERTOSINO
G. Ghibaudo, Med Vet1, A. Vercelli Med Vet. Dipl. CES2
1
Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (VA)
2
Ambulatorio Associato Veterinario, Torino (TO)
Segnalamento. Gatto, femmina sterilizzata, certosino, un anno di età.
Anamnesi. Ha sviluppato lesioni proliferative su i cuscinetti plantari da circa
3 mesi. Il proprietario ha rilevato zoppia dell’animale nell’ultimo mese.
Quadro clinico generale. L’animale si presenta alla vista in buone condizioni generali.
Quadro clinico dermatologico. Presenza di lesioni proliferative ipercheratosiche su tutti i cuscinetti plantari.
Quadro riassuntivo del problema. Pododermatite esofitica tetrapodale
Diagnosi differenziali. Ipercheratosi da cause genetiche o virali
Esami collaterali. I test sierologici con metodo ELISA ai virus della leucemia felina (FeLV) e dell’immunodeficienza (FIV) sono negativi. Si effettua di
seguito l’esame bioptico sulle lesioni ipercheratosiche; il referto istopatologico descrive un’epidermide iperplastica con degenerazione vacuolare in rapporto con aree di ipercheratosi ortocheratosica compatta colonnare e assenza
di flogosi sottoepiteliale. Il quadro è riferibile ad un difetto primario di cheratinizzazione (negativo a test con PCR su herpes virus e papillomavirus).
Terapia ed evoluzione clinica. È impostata una terapia con cheratolitici topici a base di glicole propilenico al 60%, acido salicilico e lattico al 2% e aloe
estratto puro 100% in soluzione BID a vita. Dopo 3 mesi si assiste ad un lieve miglioramento.
Discussione. Questo caso sembra essere riferibile ad un difetto congenito primario di cheratinizzazione ad esclusiva sede podale. La negatività agli esami
sierologici, istopatologici e PCR per cause virali e l’età dell’animale avvalora tale ipotesi.
Bibliografia
1. Schwittlick U, Bock P, Lapp S, Henneicke K, Wohlsein P. Feline papillomavirus infection in a cat with Bowen-like disease and cutaneous squamous cell carcinoma. Schweiz
Arch Tierheilkd. Dec;153(12):573-7, 2011.
2. Carney HC, England JJ, Hodgin EC, Whiteley HE, Adkison DL, Sundberg JP. Papillomavirus infection of aged Persian cats. J Vet Diagn Invest. Oct;2(4):294-9. 1990.
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in collaborazione con SCIVAC
MELANOMA DEL TARTUFO IN UN CANE
BOULE DOGUE FRANCESE
G. Ghibaudo, Med Vet1, A. Vercelli Med Vet. Dipl. CES2
1
Clinica Veterinaria Malpensa, Samarate (VA)
2
Ambulatorio Associato Veterinario, Torino (TO)
Segnalamento. Cane, maschio, Bouledogue francese, di 10 anni di età.
Anamnesi. Ha sviluppato una lesione crostosa-ulcerativa sul tartufo da circa
2 mesi.
Quadro clinico generale. L’animale si presenta alla vista in buone condizioni generali.
Quadro clinico dermatologico. Presenza di lesione crostosa-ulcerativa sul
tartufo.
Quadro riassuntivo del problema. Lesione crostosa-ulcerativa del tartufo
Diagnosi differenziali. Neoplasie (carcinoma squamocellulare, linfoma cutaneo, melanoma), lupus cutaneo (LE), leishmaniosi.
Esami collaterali. Si effettua l’esame bioptico sulla lesione crostosa-ulcerativa del tartufo; il referto istopatologico descrive, nel contesto di frammenti di
cute del tartufo intensamente flogosata, la presenza di cellule neoplastiche
epitelioidi/ epiteliomorfe risultate positive all’indagine immunoistochimica
Melan A, negative per i marker epiteliali (pancitocheratina) e caratterizzate da
un indice proliferativo (Ki67) compatibile con melanoma caratterizzato da
moderato indice proliferativo. La stadiazione clinica (palpazione linfonodi
periferici), radiografica (torace latero-laterale e dorso-ventrale) ed ecografica
(addome) sono negative per la presenza di metastasi.
Terapia ed evoluzione clinica. Si consiglia al proprietario un intervento chirurgico con laser CO2 e in seconda ipotesi una terapia conservativa topica a
base di imiquimod crema tre volte alla settimana per alcuni mesi. Nessuna terapia è accettata da parte del proprietario. Dopo 9 mesi al controllo clinico il
cane presenta la lesione con aspetto e dimensioni simili alla prima visita.
Discussione. Questo caso è interessante in quanto la localizzazione di melanoma in questa sede è un evenienza molto rara e poco descritta in letteratura.
Bibliografia
1. Coyner K, Loeffler D. Topical imiquimod in the treatment of two cutaneous melanocytomas in a dog. Veterinary Dermatology Apr;23(2):145-9, e31. doi: 10.1111/j.1365-3164.
2011.01000.x. Epub 2011 Jul 21., 2012.
2. Millanta F, Fratini F, Corazza M, Castagnaro et al. Proliferation activity in oral and cutaneous canine melanocytic tumours: correlation with histological parameters, location,
and clinical behaviour. Res Vet Sci. Aug;73(1):45-51, 2002.
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in collaborazione con SCIVAC
DISPLASIA ECTODERMICA (X-LINKED) IN UN CANE
I. Guisasola1, F. Scarampella1,2, G. Zanna1,2, B. Banco3, P. Roccabianca3
1
Istituto Veterinario di Novara Strada Provinciale 9
28060 Granozzo con Monticello - Novara
2
Studio Dermatologico Veterinario Via Sismondi, 62 20133 - Milano
3
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria Università degli Studi di Milano
Argo è un cane incrocio di Pastore Tedesco, maschio di 4 mesi d’età, ricoverato da circa 3 settimane presso il canile municipale di Novara. All’esame fisico generale il soggetto appare in buono stato di salute. L’ispezione della cavità orale rivela oligodonzia, con alcuni denti di forma conica e diastema fra
incisivi e canini. Si evidenzia inoltre la presenza di congiuntivite bilaterale.
Con l’esame dermatologico si osservano aree multiple di alopecia da parziale a completa associate ad iperpigmentazione che interessano la regione frontotemporale, ventrale del collo e del tronco, la regione lombare e la superficie posteromediale di entrambi gli arti posteriori.
I problemi di Argo sono un’alopecia multifocale con distribuzione peculiare
associata ad alterazione della dentizione.
In base all’anamnesi e al quadro clinico osservati le diagnosi differenziali sono: displasia ectodermica, displasia follicolare congenita e demodicosi generalizzata. Con i raschiati cutanei multipli ed esami microscopici dei peli non
si osservano alterazioni significative né la presenza di acari del genere Demodex spp. Si effettuano 5 biopsie cutanee dalle regioni ipotricotiche/alopeciche
e dalle aree con pelo. Nelle biopsie provenienti dalle aree alopeciche si osserva la completa assenza di tutti gli annessi e dei muscoli piloerettori mentre in
quelle eseguite dalle aree ipotricotiche le unità pilo sebacee e le ghiandole sudoripare sono fortemente ridotte. Le lesioni osservate sono compatibili con il
sospetto diagnostico di displasia ectodermica. Il test di Schirmer è negativo.
In base al quadro clinico e alle alterazioni riscontrate con l’esame dermatopatologico la diagnosi è di displasia ectodermica, probabilmente legata al cromosoma X.
Bibliografia
1. Mecklenburg L: An overview on congenital alopecia in domestic animals. European Society of Veterinary Dermatology 17: 393-410, 2006.
2. Moura E, Cirio S. M. : Clinical and genetic aspects of X-linked ectodermal dysplasia in
the dog-a review including three new spontaneous cases. Veterinary Dermatology 15:
269-277, 2004.
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TRATTAMENTO DELLE NEOFORMAZIONI CUTANEE
BENIGNE MEDIANTE LASER CO2 ASSOCIATO
A SOMMINISTRAZIONE DI CEFOVECINA:
RISULTATI SU 10 CASI
L. Olivieri, Med Vet, Ces-Dermatologia1, G. Ghibaudo, Med Vet2
1
Clinica Veterinaria Modena Sud, Piazza dei Tintori 1, Spilamberto (MO)
2
Clinica Veterinaria Malpensa, Via Marconi 27, Samarate (VA)
Introduzione e scopo del lavoro. L’utilizzo dei laser riveste crescente interesse in dermatologia veterinaria.
Obiettivi. Valutare l’efficacia terapeutica del laser CO2 nell’ablazione delle
neoformazioni cutanee benigne in associazione alla somministrazione sottocutanea di cefovecina come copertura antibiotica; valutare la compliance del
proprietario verso un approccio terapeutico innovativo.
Materiali e metodi. Soggetti inclusi: 10 cani, differenti per razza, età, sesso, con almeno una neoformazione cutanea benigna, valutata citologicamente alla prima visita.
In sedazione, ciascuna neoformazione è stata asportata mediante debulking o
foto-vaporizzazione con laser CO2, con o senza applicazione di suture, utilizzando potenze di 6-8 Watts in modalità continua; è stata quindi somministrata cefovecina 8 mg/kg sottocute.
Visite di controllo sono state effettuate dopo 2 e 4 settimane. A ciascun proprietario è stato dato un questionario riguardante l’indice di gradimento
della procedura.
Risultati. Lesioni asportate: adenomi sebacei, adenomi delle ghiandole circumanali, papillomi, cisti cheratiniche, un plasmocitoma. Controlli: non sono
stati rilevati prurito, dolore, edema, sanguinamento o infezione; in un solo caso si è osservata una parziale deiescenza della ferita. Compliance: eccellente
in tutti i casi.
Discussione. Il laser CO2 rimuove per foto-vaporizzazione o debulking le
neoformazioni cutanee benigne con rapidità, precisione ed eccellenti risultati
dermo-cosmetici. Nella stessa seduta, in sedazione con eventuale anestesia locale, possono essere asportate più lesioni, anche nei pazienti anziani o ad elevato rischio anestesiologico.
L’approccio terapeutico, completato dalla somministrazione sottocutanea di
cefovecina, garantisce un’efficace copertura antibiotica, semplificando ulteriormente la gestione a casa del paziente.
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Bibliografia
1. Berger N, Eeg PH. Veterinary Laser Surgery. A practical guide. Blackwell Publishing,
2006.
2. Duclos D. Lasers in veterinary dermatology. Vet Clin North Am Small Anim Pract. 2006
Jan; 36(1): 15-37.
3. Eeg PH. CO2 laser use in small animal clinics, Proceedings of The North American
Veterinary Conference, Small animal and exotics, Orlando, Florida, USA, 2003, pp.
1047-48.
4. Holt TL, Mann FA. Soft tissue application of lasers. Vet Clin North Am Small Anim
Pract. 2002; 32(3): 569-99.
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UN CASO DI LUPUS ERITEMATOSO CUTANEO
GENERALIZZATO IN UN LABRADOR RETRIEVER
E. Pisani, MedVet1, A. Fondati, Dipl ECVD, PhD2,3,
M. Monaco, MedVet3
1
Clinica Veterinaria Colli Aniene, via D’Onofrio 66, Roma
2
Clinica Veterinaria San Marco, via Sorio 114/c, Padova
3
Centro Veterinario Prati, viale delle Milizie 1/a, Roma
Un cane Labrador Retriever, maschio di 10 anni, viene valutato per erosioni
e croste che non rispondono alla terapia con enrofloxacina.
All’esame fisico generale si riscontra linfoadenomegalia generalizzata. L’esame dermatologico evidenzia scaglie biancastre aderenti al dorso del naso, alle palpebre e agli arti anteriori ed erosioni-ulcere perioculari e dell’orifizio
prepuziale.
I problemi dermatologici si riassumono come dermatite desquamativa e dermatite erosiva-ulcerativa delle giunzioni muco-cutanee.
Le probabili diagnosi differenziali includono leishmaniosi, lupus eritematoso
(LE) cutaneo e reazione avversa a farmaci. Per le lesioni erosive–ulcerative si
considera anche la piodermite muco-cutanea e le dermatiti delle giunzioni
dermo-epidermiche.
L’esame tricoscopico, l’esame con lampada di Wood e l’esame colturale non
evidenziano né parassiti né dermatofiti. All’esame citologico si osserva un’infiammazione piogranulomatosa.
Gli esami emato-chimici-urinari risultano nella norma ed il titolo anticorpale
anti-Leishmania è negativo. L’esame istologico di biopsie da lesioni desquamative mostra dermatite della giunzione dermo-epiteliale con vacuolizzazione basale epidermica e follicolare, separazione dermo-epidermica ed infiltrato prevalentemente plasmacellulare ed in misura minore linfo-istiocitario.
Nel derma medio l’infiltrato, da perivascolare a periannessiale, coinvolge le
ghiandole sebacee.
Esclusa la presenza di Leishmania nelle sezioni tramite tecniche biomolecolari, si considera il quadro compatibile con LE cutaneo generalizzato, pur non
escludendo una reazione avversa a farmaci. Le lesioni non rispondono alla terapia con doxiciclina, ma con metilprednisolone ed idratanti topici si ottiene
la remissione completa delle ulcere e della desquamazione e la risoluzione
della linfoadenomegalia.
Questo caso presenta alterazioni simili a quanto riportato sia nel LE cutaneo
esfoliativo del Bracco Tedesco sia nel LE discoide generalizzato.
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Bibliografia
1. Scott DW, Miller WM, Griffin CE. Muller and Kirk’s Small AnimalDermatology. Philadelphia: WB Saunders, 2001, pp 712-717.
2. Gross TL, Ihrke PJ, Walder EJ et al. Skindiseases of the Dog and Cat:Clinical and Histopathological Diagnosis. Oxford:Blackwell Science, 2005. pp 52-55.
3. Oberkirchner U, Linder KE, Olivry T. Successful treatment of a novelgeneralizedvariant
of canine discoid lupus erythematosus with oralhydroxychloroquine. Veterinary Dermatology 23(1):65-70, Feb 2012.
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RELAZIONI AZIENDALI
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Emanuele Brianti
Med Vet, Res. European Veterinary Parasitology
College (EVPC), Messina
Certifect®: un nuovo standard
di protezione contro le zecche
e nella prevenzione
delle tick-born diseases
Venerdì, 21 settembre 2012, ore 16.15
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Le zecche sono artropodi di grande interesse veterinario sia per i danni diretti (azione traumatica, tossica e sottrattiva) sia per quelli indiretti (trasmissione di agenti patogeni) che causano agli animali infestati. In Italia, le zecche più frequenti nel cane appartengono alla famiglia Ixodidae e sono Rhipicephalus sanguineus, la specie più diffusa soprattutto in aree urbane, Ixodes
ricinus, che può essere rinvenuta sui cani che frequentano aree con forte densità di ungulati selvatici e Dermacentor reticulatus, di più raro riscontro.
L’elevata plasticità adattativa di questi artropodi costituisce il motivo principale del loro successo biologico. Inoltre, le mutate condizioni ambientali e
climatiche ne hanno modificato notevolmente i tradizionali pattern epidemiologici (presenza, abbondanza e stagionalità) aumentandone intensità e durata
dell’azione parassitaria. Per queste ragioni, le zecche rappresentano oggi gli
ectoparassiti più frequenti nel cane e la loro azione parassitaria non si limita
solamente a quella sottrattiva ma, ancora più preoccupante, è il loro ruolo
quali vettori di agenti patogeni causa delle cosiddette malattie trasmesse da
zecche o tick-borne diseases. Questi artropodi sono infatti la prima e più importante via di trasmissione di patogeni nel cane e la seconda, dopo le zanzare, nell’uomo1. Il cane, suo malgrado, rappresenta spesso l’elemento di congiunzione tra le zecche e l’uomo. Infatti, se non adeguatamente protetti, i cani possono “raccogliere” un elevato numero di zecche dall’ambiente (parchi,
giardini, aree verdi) per poi trasportarle passivamente nelle abitazioni, aumentando così il rischio di attacco da zecche e malattie trasmesse anche per
l’uomo. La scelta di adeguati presidi farmacologici per il controllo delle zecche nel cane rappresenta quindi un gesto di responsabilità verso il proprio animale e, più in generale, di tutela della salute pubblica.
Nell’annosa lotta contro gli ectoparassiti, l’industria del farmaco veterinario è alla continua ricerca di nuovi presidi per rispondere alle crescenti esigenze di protezione avanzate da veterinari e proprietari di animali contro le zecche e le malattie da esse trasmesse. Recentemente una associazione a base di
fipronil, amitraz e (S)-methoprene (Certifect®, Merial SAS) è stata introdotta
nel mercato veterinario per il controllo delle infestazioni da ectoparassiti (zecche, pulci e pidocchi) nel cane. Questa nuova formulazione si caratterizza per
l’effetto sinergizzante espresso dalle due molecole, fipronil + amitraz, che attraverso meccanismi di azione combinati, consentono di raggiungere e mantenere nel tempo elevati livelli di efficacia e protezione (Fig. 1)2. Già poco dopo la sua applicazione sul cane, l’associazione fipronil, amitraz e (S)-methoprene garantisce un’elevata protezione nei confronti di nuove infestazioni da
zecche (prevenzione di attacco) o il rapido allontanamento di quelle già esistenti (effetto espellente) impedendo così alle stesse non solo di rimanere sul
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Figura 1 - Efficacia acaricida a 24 ore post esposizione di dosi crescenti di solo fipronil o di
fipronil + amitraz (12,5 ppm). Si noti come il solo fipronil, anche se a dosi maggiori, non riesce ad ottenere nello stesso tempo il 90% di efficacia registrato dell’associazione fipronil +
amitraz (Prullage et al. 2011. Veterinary Parasitology 179: 302-310).
cane ma anche di trasmettere eventuali patogeni. L’azione sinergizzante dei
principi attivi contenuti in Certifect® consente di dimezzare gli attuali tempi
di efficacia (48 ore post infezione) richiesti alle molecole ad azione acaricida3
garantendo il massimo effetto già a 12-24 ore post infestazione e per almeno
30 giorni dopo il trattamento4.
A questo riguardo, uno studio comparativo ha dimostrato infatti come i
profili di efficacia e durata dell’associazione fipronil, amitraz e (S)-methoprene siano significativamente superiori a quelli di altre associazioni (imidacloprid/permetrina) comunemente utilizzate per il controllo delle zecche nel cane già 24 ore dopo l’esposizione agli artropodi (Fig. 2)5.
Inoltre, il rapido allontanamento delle zecche dal cane e l’effetto protettivo contro le nuove infestazioni espresso da Certifect riducono notevolmente
il rischio di trasmissione di tick-borne diseases. Studi scientifici dimostrato
infatti come una sola applicazione di Certifect assicuri una piena efficacia di
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Figura 2 - Comparazione dell’efficacia acaricida a 24 ore post infestazione con zecche appartenti alla specie Dermacentor reticulatus in gruppi di cani trattati con l’associazione fipronil,
amitraz e (S)-methoprene (Certifect®, Merial SAS) o con l’associazione imidacloprid e permetrina (Advantix®, Bayer Animal Health Ltd) (Fourie J et al. 2011, Parasite 18:319-323).
almeno quattro settimane contro le infezioni da Anaplasma phagocytophilum
e Borrelia burgdoferi6 o contro lo sviluppo di forme cliniche di babesiosi canina (Babesia canis canis) in cani sperimentalmente esposti a zecche infette
(Tab. 1)7.
TABELLA 1 - Presenza di anticorpi specifici contro Anaplasma phagocytophilum e
Borrelia burgdoferi a diversi giorni post infestazione (p.i.) in due gruppi di cani con
(trattato) o senza (controllo) trattamento preventivo con Certifect ed esposti ad infestazioni con zecche (Ixodes scapularis) naturalmente infette da A. phagocytophilum e
B. burgdoferi (McCall et al. 2011. Veterinary Parasitology 179: 335-342).
Gruppo (N)
Trattato (24)
Controllo (8)
Agente patogeno
Presenza di anticorpi specifici (n. pos. (%)
27 p.i.
49 p.i.
63 p.i.
77 p.i.
91 p.i.
104 p.i.
B. burgdorferi
0
0
0
0
0
0
A. phagocytophilum
0
0
0
0
0
0
B. burgdorferi
0
0
6 (75%)
7 (88%)
7 (88%)
7 (88%)
A. phagocytophilum
0
2 (25%)
6 (75%)
6 (75%)
6 (75%)
5 (63%)
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In conclusione, sulla base delle numerose evidenze scientifiche è possibile affermare che grazie agli elevati livelli di efficacia, sicurezza e durata, l’associazione fipronil, amitraz e (S)-methoprene definisce un nuovo standard di
protezione contro le infestazioni da zecche nel cane e nella prevenzione delle malattie da esse trasmesse.
BIBLIOGRAFIA
1. Chomel B: Tick-borne infections in dogs-An emerging infectious torea. Veterinary Parasitology 179: 294-301, 2011.
2. Prullage JB, Tran HV, Timmons P, et al: The combined mode of action of fipronil and
amitraz on the motility of Rhipicephalus sanguineus. Veterinary Parasitology 179: 302310, 2011.
3. European Medicine Agency: Guidelines for the testing and evaluation of the efficacy of
antiparasitic substances for the treatment and prevention of tick and flea infestation in
dogs and cats. EMA Committe for Medical Products for Veterinary Use, Guideline no.
EMEA/CVMP/EWP/005/2000-Rev2-2007. European Medicine Agency, London.
4. Prullage JB, Hair JA, Everett WR, et al: The prevention of attachment and detachment effects of a novel combination of fipronil, amitraz and (S)-methoprene for Rhipicephalus
sanguineus and Dermacentor variabilis on dogs. Veterinary Parasitology 179: 311-317,
2011.
5. Fourie JJ, Beugnet F, Ollagnier C, et al: Study of the sustained speed of kill of the combination of fipronil/amitraz/(S)-methoprene and the combination of imidacloprid/permethrin against Dermacentor reticulatus, the european dog tick. Parasite 18: 319-323, 2011.
6. McCall JW, Baker CF, Mather TN, et al: The ability of a topical novel combination of fipronil, amitraz and (S)-methoprene to protect dogs from Borrelia burgdoferi and Anaplasma phagocytophilum infections trasmitted by Ixodes scapularis. Veterinary Parasitology
179: 335-342, 2011.
7. Jongejan F, Fourie JJ, Chester ST, et al: The prevention of trasmission of Babesia canis
canis by Dermacentor reticulatus ticks to dogs using a novel combination of fipronil, amitraz and (S)-methoprene. Veterinary Parasitology 179:343-350, 2011.
Indirizzo per la corrispondenza:
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria
Facoltà di Medicina Veterinaria di Messina
Polo Universitario dell’Annunziata
98168 Messina
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Flavio Morchi
Med Vet, Dir Comunicazione Scientifica
Royal Canin Italia, Milano
I vantaggi delle diete
da esclusione
Sabato, 22 settembre 2012, ore 17.20
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Nella clinica dei piccoli animali è oramai riconosciuto il ruolo insostituibile delle diete da esclusione (o da evizione) di origine industriale; sebbene
siano classificate dal Regolamento CE 767/2009 alla voce “mangimi destinati a particolari fini nutrizionali, costituiscono di fatto per il medico veterinario dei piccoli animali uno valido strumento per facilitare la diagnosi differenziale ed in alcuni casi diventano fattore di successo della strategia terapeutica
di alcune affezioni dell’apparato digerente e della cute.
Malattie in cui il segno clinico più evidente è la diarrea come ad esempio
la IBD, o il prurito come nella Dermatite Atopica, l’impiego di una dieta da
esclusione consente al medio curante di stabilizzare in gran parte dei casi il
quadro clinico permettendo di osservare il paziente con maggiore agio.
Di contro, sono indubbi i vantaggi per l’animale alleviato da sintomi talvolta molto fastidiosi che arrivano a perturbare seriamente la qualità della vita. Ciò non di meno si consegue il prezioso obiettivo di migliorare la compiacenza del proprietario che sarà maggiormente incoraggiato a proseguire nel
precisare la diagnosi. La scelta della dieta per un cane o gatto affetto da una
patologia si rivela quindi un momento fondamentale affidato alle mani del
medico veterinario, in grado di dare una significativa svolta all’attività clinica successiva. Per la verità le scelte possibili sono diverse: si possono distinguere diete confezionabili in modo casalingo su diretta indicazione del nutrizionista e diete di fabbricazione industriale disponibili in commercio.
Le prime hanno l’indubbio vantaggio di utilizzare come materie prime gli
alimenti già in uso sulla nostra tavola e reperibili nei comuni negozi di alimentari, ma si prestano ad errori di razionamento specialmente sul lungo periodo senza contare l’impegno economico ed organizzativo del proprietario.
Di contro le seconde, anche se reperibili solo nei negozi specializzati per animali, rappresentano un validissimo sussidio sia nell’immediato che nel medio lungo periodo in termini di efficacia e praticità d’uso. La gamma Royal Canin annovera diete da esclusione di vario tipo, secche piuttosto che umide, confezionate con proteine e carboidrati selezionati o a base di proteine idrolizzate.
Queste ultime rappresentano la novità degli ultimi 10 anni in nutrizione
clinica e numerosi studi dimostrano la loro efficacia sia in gastroenterologia
che in dermatologia veterinaria proprio in virtù del loro ridotto potere antigenico, della l’altissima digeribilità e dell’affidabilità su lunghi periodi (Fig. 1).
A tale proposito vengono indicati gli obiettivi nutrizionali delle diete da
esclusione ovvero APPETIBILITÀ, DIGERIBILITÀ, PRATICITÀ d’uso, ECONOMIA di esercizio e non ultimo AFFIDABILITÀ (Fig. 2).
Proprio questo ultimo obiettivo pone il Gruppo Royal Canin all’avanguardia nel settore degli alimenti dietetici. Infatti se la conditio sine qua non di
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Figura 1
Figura 2
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21-23 SETTEMBRE 2012 - MONTESILVANO (PE)
in collaborazione con SCIVAC
una qualsiasi dieta da esclusione è rappresentata dalla sicurezza delle materie
prime, questa costituisce il primo punto di forza della gamma ROYAL CANIN VETERINARY DIET.
Al fine di garantire la presenza negli alimenti dietetici come HYPOALLERGENIC e ANALLEGENIC delle proteine idrolizzate a basso peso molecolare, vengono imposti allo stabilimento dei rigidissimi protocolli di pulizia
e sanificazione prima di iniziare il processo di produzione assicurando l’assenza di proteine provenienti da altri lotti di fabbricazione.
Inoltre per garantire l’assenza di proteine non omologhe con quelle previste gli stabilimenti impiegano sofisticate tecniche di laboratorio come la PCR
(Reazione a catena della polimerasi). Ed infine per essere certi della idrolisi
spinta, a garanzia della efficacia di alimenti come ANALLERGENIC, viene
impiegata la Cromatografia Liquida ad alte prestazioni (HPLC-MS) come
metodica di indagine sulle materie prime per identificare il grado di idrolisi.
In conclusione le diete da esclusione proposte da Royal Canin costituiscono l’avanguardia della nutrizione clinica sia in termini di materie prime impiegate sia come processi di controllo qualità applicati alla innovativa tecnologia di fabbricazione.
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