GALLINE IN FUGA di Peter Lord e Nick Park

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GALLINE IN FUGA di Peter Lord e Nick Park
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GALLINE IN FUGA
di Peter Lord e Nick Park (USA, 2004)
di Andrea Monda
Può sembrare strano proporre un film a
cartoni come Galline in fuga in una rivista
dedicata all’insegnamento della religione
cattolica, ma posso affermare, “dal basso
della mia esperienza”, che si tratta di una
pellicola non solo molto divertente, ma
con una sua profondità ed una particolare
efficacia didattica (se saputa “maneggiare”). La presente scheda intende proprio
essere una piccola guida all’utilizzo di
questo film che, tra l’altro, ha il pregio di
essere ampiamente conosciuto dai nostri
studenti di tutte le età. Si tratta di un film
molto breve (84 minuti) ma che, proprio
perché conosciuto dalla maggior parte dei
ragazzi, può anche essere mostrato solo in
parte senza la necessità di proiettarlo per
intero. In questi anni, alle classi medie superiori, io ho sempre mostrato un’unica
sequenza del film, a mio parere la più significativa e la più utile in termini didattici. Prima di entrare nel vivo della sequenza, una breve presentazione della trama
del film.
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Galline in schiavitù
Chicken Run, questo il titolo originale, “fa
il verso” ai film che raccontano storie di
grandi evasioni da carceri e dai carceri militari come The Great Escape con Steve
McQueen e, soprattutto, il bellissimo film
Stalag 17 di Billy Wilder con William
Holden. Le galline del film vivono in un
allevamento che però assomiglia molto da
vicino ad un campo di concentramento
con tanto di filo spinato tutto intorno e
gli alloggiamenti che raccolgono le galline
che si chiamano Stalag (e quello delle protagoniste è proprio il numero 17). In questa prigione-allevamento le galline vivono
una vita da… gallina: covano, beccano,
spettegolano, consumano e si nutrono di
grano ed erba e soprattutto producono
uova in quantità industriale per la gioia
dell’avida Mrs. Tweedy, acida e arida proprietaria della triste fattoria-lager. Sono
solo consumatrici e carne da macello,
nient’altro e, questo è peggio, non se ne
accorgono nemmeno. Insomma sono proprio galline, anzi “oche”.
Però, però, c’è qualche gallina che si oppone a questo stato di cose e di continuo organizza piani di fuga: è Gaia, la vera protagonista della nostra storia. Gaia è simbolo
della coscienza: è lei la voce che spinge le
compagne ad aprire gli occhi, ad agire, a
ribellarsi di fronte alla schiavitù, a migliorare la propria condizione; è appunto la
voce della coscienza (che il cardinale New61
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man chiamava «il primo dei vicari di Cristo»). La coscienza di Gaia quindi non è
solo un fatto interiore, solitario, ma in
qualche modo “collettivo”: all’inizio della
storia vedremo come questa Fgallina “meno gallina” delle altre cercherà di risvegliare e scuotere le coscienze delle sue compagne di cella invitandole alla fuga di massa
(è questa le scena più interessante, ai nostri
fini, di tutto il film). I suoi tentativi all’inizio sono destinati a fallire, un po’ per la
lentezza, tutta “aviaria”, del popolo delle
galline, un po’ per le difficoltà oggettive:
non è certo facile superare tutto quel filo
spinato e quei controlli! Ma ecco che accade l’imprevedibile: piomba (è il caso di dire) all’interno dell’allevamento Rocky, un
gallo che, apparentemente, sa volare. In
realtà si tratta di un gallo da circo, un “gallo-cannone”, nel senso che Rocky è il protagonista di un numero da baraccone essendo il “proiettile” sparato da un cannone
oltre il tendone del circo in cui lavora. In
uno di questi numeri il buon Rocky (gallo
un po’ “galletto”, un po’ sbruffone e guascone, ma dal cuore d’oro) si trova sparato
ogni oltre misura e scaraventato all’interno
dell’allevamento. Quando Gaia lo vede
sfrecciare nel cielo e atterrare a due passi
da lei ecco che scatta l’equivoco sui cui si
basa tutto il film: le galline pensano che
Rocky sappia volare e gli chiedono di insegnargli il volo e di organizzare così la fuga,
per via “aerea”. Per una serie di motivi, più
o meno nobili, Rocky mente e si dichiara
“volatile” a tutti gli effetti: inizia così l’esi-
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larante sequenza delle lezioni di volo che il
simpatico e ruspante galletto impartisce alle goffe e maldestre galline spronate dalla
sempre generosa e volenterosa Gaia. Alla
fine, dopo disastri e salvataggi “all’ultima
penna”, il sogno del volo verrà realizzato,
ma non per via naturale: Rocky dovrà ammettere la verità (la sua incapacità a volare), e tuttavia l’evasione ci sarà lo stesso, a
bordo di una specie di aeroplano molto
rustico e pericolante, che però porterà galli
e galline oltre il mortifero recinto della
cattiva (e punita) Mrs. Tweedy.
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La difficile via per la libertà
Questo, in sintesi, il film. Il tema principale della pellicola è, ovviamente, la libertà, anzi la liberazione: l’azione di liberarsi, l’essere liberati, la libertà nel suo
“farsi”. È questo un tema che sta molto a
cuore agli studenti, che spesso vivono l’adolescenza e la scuola con lo spirito degli
animali in gabbia. Per affrontare questo
tema, negli ultimi anni ho utilizzato Galline in fuga ed in particolare una scena di
circa 5 minuti1 posta quasi all’inizio della
vicenda.
È la scena dell’“arringa” che la gallina
Gaia, leader del gruppo dello stalag 17, rivolge alle sue compagne per convincerle a
fuggire e a realizzare nuovi tentativi di evasione. L’arringa è necessaria perché Gaia si
rende conto che le galline non hanno poi
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La scena in questione si svolge tra il 15° e il 19° minuto del film. Nella versione su DVD bisogna selezionare la scena n. 6 (che
inizia al 13° minuto) e vederla tutta fino alla scena n. 7 (che inizia al 17° minuto).
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una grande voglia di uscir fuori dall’allevamento-lager. Gaia è appunto la “coscienza”
del gruppo, colei a cui tocca il difficile
compito di aprire gli occhi delle compagne. Il dialogo che si svolge è molto significativo: «ma volete per caso continuare
soltanto a deporre le uova per tutta la vita?» chiede provocatoriamente Gaia. «È un
mestiere» rispondono le galline (che per lo
più rispondono in coro). Gaia parte all’attacco, con la sua arte oratoria accusando le
sue amiche di avere dei recinti mentali
dentro la testa, recinti molto più difficili
da superare rispetto a quelli fisici, di filo
spinato; e poi c’è l’affondo finale con cui
Gaia cerca di convincere le pavide compagne che «c’è un posto migliore», oltre il
confine dell’allevamento: ci sarà, ci deve
essere un luogo dove cresce l’erba in abbondanza e si può stare in libertà. Le parole usate e le immagini che commentano
questo passaggio dell’arringa sono chiaramente bibliche: Gaia sta di fatto parlando
della «terra in cui scorre latte e miele» e
mentre afferma che «c’è un posto migliore»
mostra alle altre galline un manifesto (evidentemente di una pubblicità) dove è disegnato uno splendido paesaggio agreste con
la scritta Paradise.
Anche le risposte delle galline sono quanto
mai significative e rivelatrici del testo che
corre sottotraccia rispetto a questa scena.
«E chi ci nutre?» chiede a Gaia una gallina.
«Ci nutriremo da sole», risponde Gaia.
«Ma dov’è l’allevamento?» chiede un’altra.
«Non c’è allevamento!». «E dove vive l’allevatore?» – «Non c’è l’allevatore!»… e così
via, finché una gallina prende la parola e
dice, recisamente: «Affrontiamo la realtà…
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la nostra fuga ha solo una possibilità su
mille di riuscita!». «È sempre una possibilità» risponde Gaia, apparentemente sicura, quasi con tono di sfida, uscendo dallo
stalag. Ma ecco che appena uscita scoppia
in uno sfogo di pianto: «come faccio a guidare questo branco di…» (e tutti gli spettatori pensano, sorridendo, “galline”!). Al
che Gaia alza gli occhi in alto, ammira la
notte stellata e mormora: «Che il cielo ci
aiuti»… e la preghiera viene esaudita: un
colpo di cannone e si sente un grido «Libertàààà!!!!»: ecco sfrecciare nel cielo blu
Rocky, il gallo volante che atterra (in maniera rocambolesca e comica) proprio davanti ai piedi di Gaia. È lui l’aiuto che
scende dal cielo; sarà Rocky il “salvatore”,
il “liberatore”.
Risulta allora chiaro il motivo per cui questo film si rivela un prezioso strumento didattico ai fini dell’IRC. Il testo che è nascosto sotto le immagini di questo film
emerge è evidentemente il libro dell’Esodo. Le galline rappresentano gli Ebrei
schiavi in Egitto e la figura di Mosè si
“sdoppia” in Gaia (la portavoce del popolo) e Rocky (il liberatore). Nella scena che
abbiamo appena visto “al microscopio” risulta chiaro uno dei temi ricorrenti e più
interessanti del secondo libro della Bibbia:
la difficoltà della libertà e la tentazione, in
cui gli uomini spesso cadono, di temere e
rifiutare la libertà e soprattutto la sua “sorella”: la responsabilità. Una delle lezioni
dell’Esodo è infatti proprio questa: l’uomo
da una parte anela sempre alla libertà, ne
chiede sempre di più ed è pronto a combattere per essa, ma, d’altra parte, la libertà
mette paura all’uomo, gli appare come una
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minaccia rispetto ad un’esistenza da schiavi
ma tranquilla e comoda. Le parole delle
galline («chi ci nutre? dov’è l’allevatore?…») ricordano da vicino la mormorazione continua degli Ebrei, che dopo essere stati liberati dall’Egitto, di fronte e durante la temibile traversata del deserto, finiscono per rimpiangere la precedente situazione di schiavitù (cfr Es 16,2-3 e 17,14).
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Libertà e Responsabilità
La dinamica che il racconto dell’Esodo
offre all’attenzione del lettore è profondamente rivelatrice della psicologia umana:
la libertà è sempre oggetto della ricerca
dell’uomo, ma la responsabilità è invece
temuta, fuggita. Nel momento in cui gli
Ebrei si trovano liberati, sul momento
gioiscono e cantano la gloria del Signore
che li ha portati fuori dall’Egitto, ma poi
ecco che, davanti al deserto da attraversare, da soli, il canto si tramuta presto in
pianto e lamento.
Nel film prodotto della Dreamworks le galline pongono resistenza ancora prima di
essere liberate: a loro in fondo stare in
quella prigione non dispiace, vengono nutrite e rifocillate (fin troppo!) e non devono fare nulla, è l’allevatore che fa fare loro
tutto quello che devono fare. In questa luce l’allevamento è un lager, ma anche un
simbolo della società dei consumi che, grazie al benessere e ai comfort elargiti senza
alcuno sforzo o merito, ottunde l’intelligenza critica e spegne la voce della coscien64
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za. Le galline sono delle perfette consumatrici, inebetite dall’iper-nutrizione. È davvero difficile, per Gaia, far capire alle sue
amiche, che, innanzitutto esse non stanno
bene, non vivono pienamente la propria
dimensione e vocazione, e poi che quindi
devono “attraversare il deserto” della propria responsabilità per gustare pienamente
la bellezza di una libertà autentica (che appunto non è mai disgiunta dalla responsabilità). È poi molto interessante osservare
che il film non solo tiene unite libertà e responsabilità, ma ad esse aggrega anche il
tema della verità. Non ci può essere libertà
senza verità: Rocky, che si spaccia per gallo
volante, verrà scoperto e anche punito per
questo. Ma è proprio in quel momento
che la libertà può essere raggiunta: solo
quando l’uomo si riconosce limitato e fragile ecco che riesce ad ottenere i risultati
più “alti”, quelli apparentemente posti al
di là della sua portata, irraggiungibili. È
necessario attraversare il deserto per raggiungere la terra promessa.
È chiara quindi la ragione per cui la visione di questo filmetto “per bambini” si rivela un’occasione formidabile per far riflettere gli studenti adolescenti sul tema della
libertà-responsabilità e, anche, per farli riflettere sulla loro stessa condizione di ragazzi sottoposti alla scuola dell’obbligo, situazione che spesso rischia di assomigliare
molto da vicino a quella delle galline chiuse nello stalag 17. La scuola, per gli studenti, finisce spesso per avere il cupo volto
della terribile Mrs. Tweedy: è lei che con
modi bruschi e autoritari, provvede però
tutti i giorni a preparare la “pappa pronta”
per le galline-studenti che non devono far
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altro che aprire la bocca (cioè studiare) e
chiudere il becco (cioè non parlare in classe). Tutto ciò ad un tempo rassicura e frustra mortalmente i nostri ragazzi. La scuola
dovrebbe invece educare alla responsabilità, dovrebbe, per dirla con Mark Twain,
«insegnare ai ragazzi a pescare», non «dar
loro il pesce». Paradossalmente l’unica lezione che, già in se stessa, rappresenta
un’eccezione alla scuola-allevamento, è
proprio l’ora di religione. Ed è proprio la
“debolezza” di questa ora a rivelarsi come
la sua forza: la mancanza di un voto “pesante” come quello delle altre materie, il
fatto che sia l’unica materia facoltativa, il
particolare che il giudizio degli insegnanti
di religione non faccia media insieme ad
altri aspetti che fanno della religione cattolica la “Cenerentola” delle discipline scolastiche, fanno anche sì che, poi, alla fine,
sia proprio Cenerentola a sposare il principe azzurro. La metafora è chiara per chiunque abbia insegnato questa straordinaria
materia: gli studenti spesso finiscono per
premiare e gratificare proprio i docenti di
religione, accordandogli un rapporto vero,
schietto e aperto che magari negano agli
altri professori, più temuti e distanti. I ragazzi non amano le costrizioni né le ipocrisie, vogliono rapporti autentici, profondi,
in cui da tutte e due le parti della relazione
ci si metta in gioco, apertamente e senza
paura di infingimenti e subalternità.
Inoltre gli studenti delle medie superiori in
particolare hanno molta voglia di crescere
velocemente e di scappare dalla scuola per
tuffarsi nel mondo del lavoro o degli studi
universitari. Quando mostro loro quella
sequenza di Galline in fuga, accompagnan-
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dola con la lettura di alcuni brani dell’Esodo, vedo che l’effetto è quello di una benefica doccia fredda. La riflessione, che spesso conduco, non da solo, ma in modo dialettico insieme agli studenti, è tutta sulla
differenza tra la “comodità mortale” del vivere in una realtà tutta ovattata ed eteroguidata ed una esistenza “senza accompagnamento” in cui la persona si trova sola a
dover camminare con le proprie gambe.
Avverto il brivido che questa riflessione
provoca negli studenti, e mi rendo conto
che hanno compreso che una vita senza rischio non è autenticamente umana, come
lo è invece una vita “senza rete” nonostante essa incuta un certo timore, al punto
che spesso gli uomini rinviano il momento
dell’assunzione dei rischi (e qui i discorsi
che si potrebbero fare sono diversi: dal fenomeno dei figli che non lasciano la casa
dei genitori, che ritardano il momento del
matrimonio e dell’avvio di una propria famiglia…).
Stimolati piacevolmente dalla visione del
film i ragazzi vengono scossi e generalmente rispondono con partecipazione alle
tante riflessioni che possono scaturire da
un discorso aperto e serio su questi temi
grandi.
Un’ultima considerazione: Galline in fuga
non è solo un film che permette di riflettere su questioni fondamentali come la libertà e la responsabilità, di grande e delicata importanza per ragazzi adolescenti,
ma è anche una occasione che, in modo
facile e lieve, permette un approccio piacevole al testo biblico di cui gli studenti
riscoprono bellezza e profondità. E non è
poco.
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