La promessa dell`immortalità nel Somnium Scipionis

Transcript

La promessa dell`immortalità nel Somnium Scipionis
PRIMO PERCORSO
La promessa dell'immortalità
nel Somnium Scipionis
OPERE FILOSOFICHE E FILOSOFICO-POLITICHE
Somnium Scipionis
LA S U B L I M A Z I O N E DEI V A L O R I R E P U B B L I C A N I
Il Somnium Scipionis è la parte finale del
De re publica, il dialogo in sei libri che riassume e dibatte le vedute dell'antichità classica in
tema di governo.
Composto tra il 54 e il 51 a.C., il De re publica segnò un momento di crisi della vicenda politica di Cicerone e della stessa repubblica. Erano gli anni in cui Cesare si preparava al duello decisivo con Pompeo, e Cicerone, che ormai aveva percorso con successo e non senza incidenti
il cursus honorum, cercava o si illudeva di trovare uno spazio di mediazione tra i due. Il suo
obiettivo era quello di non essere definitivamente emarginato dalla scena politica e di contenere le spinte eversive che stavano mettendo in forse la salute dello stato stesso, al cui servizio Cicerone militava da un trentennio.
All'interno dell'opera, il Somnium Scipionis presenta una serie di profezie e di norme di
comportamento che si immaginano rivelate in sogno a Scipione Emiliano dal nonno adottivo Scipione Africano e dal padre Lucio Emilio Paolo. Lo scritto, dunque, riprende ed
esalta, associandoli alla figura dell'Emiliano vissuto un secolo prima, tutti i valori legati alla
forma repubblicana, che ormai da tempo aveva iniziato la sua lunga agonia. In esso, l'elogio
dell'uomo di governo trascende l'ambito profano dei valori puramente civili, ereditati anche
Il Somnium
Scipionis
Cornice narrativa: il colloquio di Scipione Emiliano con Masinissa
Paragrafo 1: Incontro con Masinissa.
Paragrafo 2: Masinissa invita a cena l'Emiliano e
rievoca la figura di Scipione Africano. Questo
compare in sogno a Scipione Emiliano.
Il sogno di Scipione Emiliano
• Predizioni dell'Africano
Paragrafo 3: L'Africano predice al nipote una
gloriosa carriera politica.
Paragrafo 4: Profezia della morte violenta
dell'Emiliano.
Paragrafo 5: Ai benemeriti della patria è riservata eterna beatitudine in cielo.
• Intermezzo
Paragrafo 6: Compare all'Emiliano l'ombra del
padre Lucio Emilio Paolo.
Paragrafi 7-8: Emilio Paolo esorta Scipione a
perseverare nella giustizia, in attesa di raggiungere la sede dei beati nella Via Lattea.
• Continua la profezia dell'Africano
Paragrafo 9: L'Africano illustra il sistema delle
nove sfere celesti.
Paragrafi 10-11: L'Emiliano ode l'armonia musicale prodotta dalla rotazione delle sfere.
Paragrafo 12: La vanità della gloria umana.
Paragrafi 13-14: Descrizione delle cinque zone
in cui è suddivisa la Terra e degli ostacoli natu-
Primo Percorso
rali che si oppongono alla diffusione della gloria
umana.
Paragrafi 15-16: La gloria umana non può durare perché il mondo è soggetto a cataclismi periodici che delimitano il 'grande anno' cosmico.
Paragrafo 17: L'Emiliano non deve aspirare alla
gloria terrena, ma alla vera immortalità nelle
sfere celesti, che si consegue con la pratica della virtù.
Paragrafo 18: L'anima dell'uomo è immortale e
partecipe della natura divina.
Paragrafi 19-20: Dimostrazione dell'eternità
dell'anima.
Paragrafo 21: Conclusione: esercitando la virtù
al servizio dello stato e mantenendosi immuni
dalla contaminazione corporea si può raggiungere più speditamente la dimora celeste.
Fine del sogno
Paragrafo 21 (ultima frase): Il fantasma
dell'Africano scompare.
251
dalla tradizione greca, per sublimarli sub specie aeternitatis in una sanzione mistica e divii
che riconosce ai benemeriti della patria il compenso della beatitudine celeste.
IL L E G A M E T E M A T I C O C O N IL DE RE
PUBLICA
Il Somnium occupa i capitoli 9-26 (parr. 9-2
del libro VI del De re publica (indicati tra parentesi nella numerazione). Anche se ci è giuri
come trattazione a sé stante, il suo significato è da valutare in rapporto con l'opera complet
della qualeriassumetutte le principali tematiche e le lega in una prospettiva di superiore unii
Il libro I del De re publica, infatti, definisce il concetto di stato e illustra le tre forme di gì
verno (monarchia, aristocrazia e democrazia) indicando come soluzione ottimale il model
misto, che Cicerone vedeva realizzato nella costituzione romana. L'opera continua poi trattar
do della giustizia come fondamento dello stato e in particolare delineando lafiguradel prina
ps o moderator rei publicae come cittadino garante dell'ordine al di sopra delle parti.
Nel Somnium tutti questi temi puntualmente ritornano, dalla teoria della costituzione mist
alle problematiche relative, alla politica interna ed estera alla riflessione sulla figura del per
fetto uomo di governo: il personaggio che garantisce unità e coesione al complesso - protago
nista del De re publica come del Somnium - è Scipione Emiliano, nel quale Cicerone ve
devariassuntetutte le principali prerogative del moderator rei publicae.
LA TRADIZIONE SEPARATA DEL SOMNIUM
SCIPIONIS
Somnium Scipionis non è il titolo originale d
queste pagine. Esso non risale a Cicerone - che non l'aveva concepito come un'opera a sé stante
ed è probabile che sia stato formulato all'atto del distacco dal De re publica di cui era parte. I motivi della tradizione separata del Somnium sono daricercarenella peculiare natura di questo testo nei confronti dell'opera complessiva. Il De re publica illustrava un modello di costituzione repubblicana che di fatto era già superato nell'epoca in cui il libro veniva composto: esso non poteva
dunqueriscuotereinteresse nell'età dell'impero, quando il solo fatto di appellarsi alla visione ciceroniana dello stato poteva apparire indice di un'opposizione al principato. Il Somnium, al contrario, con la speculazione sull'immortalità dell'anima e con il suo misticismo, non poteva passare inosservato da parte dei pensatori neoplatonici e cristiani dei primi secoli dopo Cristo. Non è da
sottovalutare, per un'epoca come la tarda antichità, che prediligeva le summae e i compendi, il
pregio della brevità e della maneggevolezza di un'opera cheriassumevail misticismo platonico e
pitagorico,richiamavala speculazione astronomica con spunti di teoria musicale e forniva un fantasioso quadro escatologico di sapore premedievale (vd. L'opera nel tempo, pp. 262-263).
LA F O R T U N A D E L L ' O P E R A
Questo particolare apprezzamento assicurò al
Somnium una tradizione indipendente da quella del De re publica. All'inizio del V secolo
d.C., l'erudito Teodosio Macrobio compose due libri di Commentarii in Somnium
Scipionis, grazie ai quali il Somnium non solo fu letto nella tarda antichità e nel Medioevo,
ma è disponibile anche per noi in numerosi codici. Il De re publica, invece, fu conosciuto fino
al VII secolo d.C., poi se ne persero le tracce per tutto il Medioevo e il Rinascimentofinoal
1819, quando venne riscoperto da Angelo Mai nel codice palinsesto (un codice di pergamena
raschiato eriscritto)Vaticano Latino 5757 e pubblicato in prima edizione nel 1822.
Per leggere il testo
Per il testo critico: E. Bréguet, «Les Belles Lettres», Paris 1981.
Per la traduzione italiana: L. Ferrerò nel primo volume delle Opere politiche e filosofiche di M. T. Cicerone, UTET, Torino
1974; F. Stok, Marsilio, Venezia 1993.
Per approfondire
A questioni esegetiche particolari risponde il commento scientifico a cura di A. Ronconi: Cicerone, Somnium Scipionis,
Le Monnier, Firenze 1961. Dello stesso Ronconi si può vedere l'articolo Osservazioni sulla lingua del «Somnium
Scipionis» nel volume complessivo Interpretazioni grammaticali, Ateneo, Roma 19712, pp. 61-80.
Sull'età scipionica si può vedere P. Grimal, Il secolo degli Scipioni, trad. it., Paideia, Brescia 1981 : una rassegna sistematica, ma di agevole lettura, di tutti gli aspetti peculiari dell'epoca cui idealmente si riferisce il Somnium. Dalla profezia della
morte dell'Emiliano prende spunto R. Montanari Caldini, Necessità e libertà nel Somnium Scipionis: la morte dell'Emiliano,
in «Atene e Roma» 1984, pp. 17-41, per poi estendere l'analisi a un'ampia ricognizione sul tema del destino.
A far luce sulla situazione di Cicerone nel contesto delle vicende politiche contemporanee alla stesura del De re publica
possono servire le pp. 172-178 di S. L. Utcenko, Cicerone e il suo tempo, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1975.
252
Cicerone
La profezia di Scipione Africano
•
I primi due paragrafi del Somnium introducono la rivelazione dei premi oltremondani
riservati ai benemeriti della patria. A questo scopo Cicerone ricorre a un espediente: Scipione
Emiliano racconta un sogno da lui fatto nel 149 a.C., quando si trovava in Africa presso il re di
Numidia Masinissa per partecipare alla terza guerra punica. In tale visione gli era apparso il
nonno adottivo Scipione Africano, che gli aveva fatto una predizione.
•
I paragrafi 3-4, qui riportati, contengono la parte preliminare della predizione di Scipione
Africano, il quale dall'alto della Via Lattea rivela al nipote la gloriosa carriera politica che gli
è destinata e la morte violenta che a essa seguirà.
La morte dell'Emiliano nel 129 a.C. viene da Cicerone inquadrata nel clima di turbolenza politica e di vendetta familiare che era venuto creandosi negli anni difficili seguiti alla riforma agraria fatta approvare dal cognato Tiberio Gracco, proprio quando si pensava da parte aristocratica che la dittatura di Scipione, ritenuto T'uomo forte' del momento, potesse mettere fine
ai conflitti sociali destinati a provocare, a lungo termine, la fine della repubblica (vd. Storia
Costume Società, pp. 256-257).
2,3
(11) "Videsne illam urbem, quae parere populo Romano
coacta per me renovat pristina bella nec potest quiescere?". Ostendebat autem Karthaginem de excelso et
pieno stellarum, illustri et claro quodam loco. "Ad
quam tu oppugnandam nunc venis paene miles, hanc
hoc biennio consul evertes, eritque cognomen id tibi
per te partum quod habes adhuc a nobis hereditarium.
2, 3 (11). "Videsne: interrogativa diretta segnata
dall'enclitica -ne: anche se
la domanda attende risposta affermativa, usualmente introdotta da nonne,
Videsne contrassegna l'interrogazione debole. - illam urbem: cioè Cartagine. Scipione parla dall'alto
della Via Lattea e pertanto
il dimostrativo illam indicherà la lontananza della
Terra, anche se non è da
escludere che il pronome
stia semplicemente a indicare che la città di Cartagine è ben nota: si potrà
dunque tradurre «quella
città» o «la città». - per
me: «per opera mia».
L'accusativo con per rende meglio di un eventuale
complemento d'agente
espresso in a + ablativo la
partecipazione diretta di
Scipione alla sottomissione di Cartagine dopo la
vittoria di Zama (202
a.C.). - quodam: il prono-
me indefinito quidam individua l'oggetto a cui si
riferisce, ma non lo specifica: il luogo, ossia la Via
Lattea, è dunque lasciato
per il momento indeterminato (quodam), con la sola funzione, di contrapporre Cartagine, città terrena,
alla «vera Terra» celeste. "Ad quam... venis...
hanc... evertes: l'organizzazione del periodo è
fondata sulla prolessi del
relativo Ad quam, ripreso
dal dimostrativo hanc,
che con il seguente hoc dà
luogo a una figura di poliptòto. Il tono oracolare
della rivelazione suggerisce un'accurata elaborazione formale, che si riscontra nel chiasmo oppugnandam...
miles...
consul evertes, nella klimax
oppugnandam...
evertes e nella relazione
/opposizione tra la condizione presente, espressa
da nunc, e il futuro pros-
Primo Percorso
simo, evocato da hoc
biennio. - paene miles:
Scipione ricopriva allora
(nel 149, quando è ipotizzato il sogno) solo il grado
di tribuno, una magistratura militare minore, anche se aveva già un ruolo
di comando. Infatti era addetto alla IV legione con il
console Manio Manilio durante le prime azioni della
terza guerra punica. - tibi
per te partum: lett. «e
sarà prodotto a te per
mezzo tuo», cioè «e avrai
ottenuto per i tuoi meriti».
Il costrutto pleonastico,
marcato da una forte allitterazione, insistendo sul
pronome di 2a persona
singolare vuole rendere l'idea del merito personale
dell'Emiliano. Il participio
funge da predicato nominale di erit e non dà luogo
a un futuro anteriore passivo. - hereditarium: il
concetto è che, grazie alle
benemerenze che acqui-
2,3. (11) "Vedi quella città 1 che, costretta per opera mia
a obbedire al popolo romano, rinnova le antiche guerre 2
e n o n r i e s c e a s t a r e t r a n q u i l l a ? " . Intanto Indicava
Cartagine da un luogo elevato e pieno di stelle, luminoso e splendente" 3 ."Questa città che ora, poco più che
semplice soldato, tu vieni ad assediare, come console
tra due anni la distruggerai 4 , e otterrai, guadagnato per I
m Cioè Cartagine (in lat.
illam urbem). È l'Africano
che, come risulterà chiaro
dal par. 8, parla dall'alto della Via Lattea.
[ T I Cioè riprende le ostilità
che dopo le prime due guerre puniche, combattute rispettivamente dal 264 al
241 e dal 218 al 201 a.C.,
sembravano cessate definitivamente. Il giudizio, oltre a
essere vistosamente di parte in quanto rispecchia il
punto di vista senatorio accolto da Cicerone, è storicamente infondato. In realtà i
cartaginesi, che dopo la
sconfitta di Zama si erano
ben presto risollevati, costretti nell'arco di un cinquantennio a ripetute cessioni territoriali a causa della prepotenza del re della
Numidia Masinissa, appoggiato da Roma, erano ricorsi
alle armi dopo che l'ambasceria guidata da Catone
nel 153 aveva persuaso il
senato all'intervento. La nota frase di Catone censeo
Carthaginem delendam esse esprimeva il timore che
la prosperità di Cartagine
potesse costituire ancora
una seria minaccia per
Roma, soprattutto se fossero nate coalizioni con altri
fronti di guerra.
|~3l Questo luogo è la Via
Lattea, che secondo le credenze pitagoriche era sede
delle anime degli eroi, come
si dirà nel par. 8.
[ T I In realtà, la distruzione
di Cartagine avvenne non
due ma tre anni dopo, nel
146, quando Scipione era
proconsole; forse, però, la
precisazione dell'Africano
allude al fatto che già nel
147, durante il suo consolato, Scipione impresse una
svolta risolutiva alle operazioni di guerra.
253
Cum autem Karthaginem deleveris, triumphum
egeris, censorque fueris et obiéris legatus
Aegyptum, Syriam, Asiara, Graeciam, deligére
iterum cónsul absens bellumque maximum
conficies, Numantiam exscindes. Sed cum eris
curru in Capitolium invectus, offendes rem publicam consiliis perturbatam nepotis mei.
tuoi meriti, il soprannome di Africano che ora porti come eredita
da me. Q u a n d o poi avrai distrutto Cartagine, avrai celebrato
trionfo 5 e sarai stato censore 6 , e ti sarai recato come ambasciato
in Egitto, in Siria, in Asia e in Grecia 7 , sarai fatto console per la s
conda volta 8 pur non essendo presente alle elezioni, e porrai term
ne a una guerra disastrosa, distruggerai Numanzia 9 . Ma quand
sarai portato in Campidoglio sul carro trionfale, troverai lo stato tu
bato dai piani di mio nipote 10 .
sirà nella distruzione di
Cartagine, l'Emiliano sarà
degno di assumere di persona il soprannome di
Africano che pure già porta in quanto nipote adottivo dell'Africano stesso, cui
era stato conferito nel 201
in occasione del trionfo
dopo la battaglia di Zama.
Avo e nipote vennero infatti distinti con gli ulteriori appellativi rispettivamente di Africano Maggiore e Africano Minore. Cum autem... deligere:
la subordinata, una proposizione temporale retta da
Cum con quattro futuri
anteriori che indicano
azioni precedenti rispetto
al futuro semplice deligere (= deligèris) della
principale, è ritmata, in
geometrica concinnitas,
5li omeoteleuti delle de- niento»), si addice bene a
sinenze verbali deleveris, un evento radicale come
egeris, fueris, obieris e
la distruzione di Numansuddivisa nel suo interzia. - cum eris curru...
no in due kola: il primo,
invectus: il costrutto
bimembre in asindeto
sembra da intendere, meCKarthaginem deleveris, glio che come futuro antetriumphum egeris), indi- riore, come predicato noca l'attività militare, l'altro,
minale, analogamente a
pure bimembre in polisinerit... partum all'inizio
deto e legato al primo daldel capitolo. La perifrasi
la congiunzione enclitica
curru... invectus («por-que {censorque fueris et tato sul carro») sembra
obieris legatus'), indica
esprimere la portata solo
l'attività politica. La frase
formale di quel trionfo,
principale con la notizia
che di fatto dovette considel secondo consolato sestere in una pura e semgna il culmine del cursus
plice sfilata, senza poter
honorum dell'Emiliano. esibire bottino perché i
obieris: futuro anteriore
numantini avevano incendi obeo («ti sarai recato») ' diato la loro città prima di
costruito con l'accusativo
arrendersi: Scipione aveva
del luogo. - exscindes:
dovuto provvedere a sue
futuro da exscindo («fac- spese a un donativo per i
cio a pezzi», quindi «ansoldati.
[ T I Nel 146, dopo la distruzione di Cartagine e la costituzione della provincia
d'Africa.
[ 6 1 Scipione ricevette l'incarico nel 142 ed ebbe come collega Lucio Mummlo, il
distruttore di Corinto (146
a.C.); esercitò la magistratura con severità e cercò di
porre argini al lusso che ormal si stava diffondendo in
Roma con grave pregiudizio
per l'integrità morale.
m Per incarico del senato
e probabilmente allo scadere della carica di censore,
Scipione condusse un'inchiesta sulle condizioni politiche delle regioni orientali
dell'impero e degli alleati di
Roma, recandosi di persona
in Egitto, Siria, Asia Minore
e Grecia. Probabilmente si
trattò di una missione diplomatica a scopo informativo
e di controllo sulle monarchie ellenistiche.
I T I Lelezione a console per
la seconda volta, avvenuta
nel 134, sembra dovuta a
una procedura eccezionale
in quanto vi era una legge
del 151 che vietava l'iterazione delle cariche: essa viene
attribuita alla speranza che
Scipione risolvesse l'assedio
di Numanzia che durava ormai da quattro anni.
[~9~1 La caduta di Numanzia,
roccaforte dei celtibèri nel
cuore della Spagna Tarraconense, avvenne, dopo un
guerra decennale, nel 133,
quando gli eroici difensori,
stretti d'assedio per otto mesi da Scipione con un esercito di 60 000 uomini, giunsero
254
Cicerone
al punto di cibarsi dei rad
veri dei caduti, poi diede
fuoco alle proprie case e
masero in gran parte sepo
sotto le macerie. Il trionfo
Numanzia, celebrato n
132, conferì a Scipione il tit
lo di Numantinus e segnò I'
pice della carriera e della
ma dell'Emiliano, ma dovev
aver suscitato dubbi già ne
l'antichità circa la giustificab
lità di quel tragico assedi
Intanto si trattò di un trìum
phus... tantum de nomiti
(come scrive Floro II 18
cioè solo di nome, senz
bottino, visto che tutto vi e
andato distrutto, ma anche
credibilità di soluzioni radica
come quella presa pe
Numanzia, che faceva segu
to alla distruzione di Carta
giné e di Corinto, doveva 0
mai vacillare. Infatti per affé
maria Cicerone stesso in D
officiis I 34 deve porre nu
mantini e cartaginesi tra i nemici crudeles e inmanes e
138 attribuire contro ogni verosimiglianza storica la d
struzione dei celtibèri a un
lotta per la sopravvivenza
Roma stessa.
[101 SI tratta di Tiberio
Gracco, figlio di Cornelia,
sua volta figlia dell'Africano
e cognato dell'Emiliano die
ne aveva sposato la sorella
Sempronia. Quelle che un
conservatore come Cicerone chiama in senso dispregiativo Consilia («macchinazioni», «piani») sono le proposte di legge agraria ohe
Tiberio Gracco aveva fatto
approvare nel 133 a.C. in
qualità di tribuno della plebe
(vd. Storia Costume Società, pp. 256-257).
(12) Hie tu, Africane, ostendas oportebit patriae
lumen animi ingeniique tui consiliique. Sed eius
temporis ancipitem video quasi fatorum viam.
Nam cum aetas tua septenos octiens solis anfractus reditusque converterit, duoque hi numeri,
quorum uterque plenus alter altera de causa habetur, circuitu naturali summam tibi fatalem confecerint, in te unum atque in tuum nomen se tota
convertet civitas, te senatus, te omnes boni, te
socii, te Latini intuebuntur, tu eris unus in quo nitatur civitatis salus, ac, ne multa, dictator rem
publicam constituas oportet, si impias propinquorum manus effugeris".
2, 4 (12). Hic: avverbio
dimostrativo con valore
temporale: «qui», cioè «in
queste circostanze», quando l'Emiliano avrà fatto ritorno a Roma dopo la presa di Numanzia (133 a.C.).
- tu, Africane: sta parlando l'Africano Maggiore
e il vocativo Africane è
dunque riferito a Scipione
Emiliano Africano Minore
con la funzione psicologica di rammentargli il suo
passato di gloria militare
perché si impegni a dare
prova di pari virtù politica.
- ostendas oportebit:
oportet, che indica perlopiù una convenienza morale, si costruisce di solito
con il congiuntivo senza
ut. - eius temporis: di
qui in avanti il discorso si
fa involuto, sia per imitare
una certa oscurità di taglio
oracolare sia, più probabilmente, per la complessità
degli eventi stessi, relativi
agli ultimi anni della vita
di Scipione, cioè dal 133
alla morte, avvenuta nel
129 a.C. - ancipitem: aggettivo composto da ambo e caput, quindi etimologicamente «a due teste», ma in senso generale
«ambiguo», «dubbio», «incerto». - solis anfractus
reditusque: la perifrasi
sta a significare gli anni:
anfractus indica la curva
che si immaginava il Sole
compisse nel suo giro in-
torno alla Terra da uno all'altro tropico; reditus, invece, potrebbe rappresentare il movimento del Sole
in direzione opposta, cioè
il giro di ritorno dopo il
solstizio, oppure, più semplicemente, potrebbe costituire una coppia sinonimica con anfractus per
dire che a ogni giro completo il Sole ritorna nel
punto di partenza. - te senatus, te omnes boni,
te socii, te Latini: il tetrakolon (serie di quattro
membri di frase), caratterizzato dall'anafora del
pronome te, che pone in
risalto la figura dell'Emiliano, e dall'asindeto, svolge la funzione logica e retorica di elencare le classi
sociali che guarderanno
(intuebuntur) a Scipione
come all'unico capace di
salvare la situazione di crisi determinata dal progetto di riforma graccano.
Esse sono, in primo luogo,
i gruppi conservatori dell'oligarchia senatoria ([senatus), perlopiù coincidenti con quelli che Cicerone solitamente chiama
boni (qui omnes boni),
cioè gli ottimati, l'aristocrazia nobiliare che deteneva Yager publicus e
quindi si vedeva colpita
nei suoi interessi. I socii,
poi, sono gli alleati italici
tra i quali si distinguevano
i latini legati a Roma da
Primo Percorso
4. (12) A questo punto tu, Africano 11 , bisognerà che dimostri alla
patria tutta la luce del tuo coraggio e del tuo ingegno, e anche
del tuo senno. Ma di quel tempo vedo dubbia quella che si potrebbe dire la via del destino. Infatti, quando la tua età avrà percorso per otto volte sette giri e rivoluzioni del Sole 12 e quando
questi due numeri, del quali l'uno e l'altro, per diversi motivi, si
considerano perfetti 13 , avranno compiuto con il loro naturale percorso la somma degli anni stabilita dal fato, a te solo e al tuo nome si volgerà tutta la città 14 , a te il senato, a te tutti i buoni "cittadini, a te gli alleati, a te i latini guarderanno, tu sarai II solo a cui
possa appoggiarsi la salvezza dello stato e, per non farla troppo
lunga, bisogna che tu come dittatore riordini lo stato 15 , qualora
s i a r i u s c i t o a s f u g g i r e alle e m p i e m a n i del t u o i p a r e n t i " .
rapporti particolari: essi
erano danneggiati dalla
legge agraria in quanto
erano detentori di ager
publicus, perciò soggetti
a espropriazione, ma
esclusi dalle nuove distribuzioni,riservateai cittadini di pieno diritto. - in
quo nitatur: relativa impropria con il congiuntivo
di valore consecutivo. È
stato osservato che il verbo nitor, «mi appoggio»,
«mi sforzo», può prestarsi
a un sottile gioco di parole
sul termine Scipio, che
come nome comune significa «bastone», «appoggio», come a dire che
Scipione farà appunto da
Scipio, da «sostegno» dello stato. - ne multa: frase
parentetica con sottinteso
dicam. - si... effugeris":
la proposizione ipotetica è
un controsenso logico dopo che è stato detto che la
morte dell'Emiliano è ormai predestinata. In realtà
questa protasi, con il futuro anteriore («se sarai riuscito a sfuggire») per segnare l'anteriorità rispetto
al presente oportet, sembra un artificio retorico
volto a introdurre il sospetto che quella di
Scipione sia stata una
morte violenta, preparata
tra le pareti domestiche,
come dice l'espressione
impias
propinquorum
manus, «le mani empie
[Ti] Da intendersi come
Africano Minore, cioè l'Emiliano.
[121 Cioè a cinquantasei anni. La perifrasi e il ricorso a
numeri mistici sono propri
del linguaggio delle profezie.
[ Ì 3 l Cicerone non spiega
perché i due numeri debbano considerarsi perfetti, ma
possono valere le ragioni
addotte dal suo commentatore Macrobio: il sette risulta
dalla somma del tre - numero perfetto che ha in sé il
principio, il centro e la fine con il quattro che rappresenta gli elementi fondamentali: terra, acqua, aria e
fuoco; l'otto è perfetto perché otto punti delimitano il
cubo. Queste spiegazioni
affondano le loro radici nel
pitagorismo, che trasmise
all'Occidente l'antichissima
credenza orientale nel valore magico dei numeri, destinata a sopravvivere a lungo
nel Medioevo latino.
[141 Negli anni dal 132 al
130 l'Emiliano avrà goduto
principalmente del favore
del partito aristocratico e dei
possidenti. In particolare, a
vantaggio di questi nel 129
a.C. egli era riuscito a impedire l'applicazione della legge agraria di Tiberio Gracco
facendo trasferire ai consoli
le prerogative di ridistribuire
l'ager publicus confiscato,
che erano invece di competenza dei tresviri agris adsignandis. I consoli, impegnati
nelle campagne militari, di
fatto non avevano concluso
nulla.
[151 In quale modo l'Emiliano dovesse riordinare lo stato non viene precisato, ma il
verbo oportet, «bisogna»,
afferma la necessità di un
intervento straordinario, verosimilmente in linea con
l'esautorazione dei tresviri
agris adsignandis, che però
poteva essere legittimato
solo dal conferimento di una
magistratura che prevedesse pieni poteri quale la dittatura.
255
Hie cum exclamavisset Laelius ingemuissentque vehementius ceteri, leniter arridens Scipio: "St! quaeso" inquit "ne me e somno excitetis, et parumper audite cetera".
A queste parole Lelio gettò un grido e gli altri16 proruppero in forti lamenti, ma Scipione sorridendo serenamente "Silenzio! Vi prego - disse - , non destatemi dal
sonno e ancora per un poco ascoltate il seguito"17.
(trad. di A. Roncoroni)
dei tuoi parenti». - "St!:
l'interiezione, che è rimasta nell'italiano, appartiene all'uso familiare e ha la
funzione di smorzare la
tensione che si è venuta
accumulando con le ulti-
me parole dell'Africano.
- quaeso": formula parentetica di cortesia; si
tratta di una voce isolata
di quaeso, desiderativo di
quaero, che talora si trova
costruito con ut o ne e il
congiuntivo. - "ne... excitetis: imperativo negativo
in luogo della forma più
comune con il perfetto
congiuntivo.
Chi fu veramente Scipione
- <
i—
[161 Si tratta degli amici di
Scipione che partecipavano
al dialogo, cioè, oltre a Gaio
Lelio - citato nominativamente in quanto principale
interlocutore insieme con
Furio Filo - , Manio Manilio e
Spurio Mummio, poi Quinto
Elio Tuberone, nipote dell'Emiliano, i due generi di Lelio
- Gaio Fannio e Quinto
Mucio Scevola - e infine
Publio Rutilio Rufo.
[171 L'Emiliano invita gli
astanti a non svegliarlo, come se stesse rivivendo il sogno nel racconto. In realtà
l'intervento del dialogo tra gli
astanti ha la funzione di interrompere per un istante l'illusione scenica, segnando il
trapasso dalla prima parte
del sogno contenente la profezia sulla vita di Scipione
alla seconda con la rivelazione del destino oltremondano dei benemeriti dello
stato (cfr. par. 5, p. 257 s.).
Emiliano?
La carriera di Scipione. Publio Cornelio Scipione Emiliano,figliodi Lucio Emilio Paolo (il vincitore del re Perseo di Macedonia nella battaglia di Pidna del 186 a.C.), era nato nel 185 o nel 184.
Rimasto orfano della madre, era stato adottato dalfigliodel famoso Publio Cornelio Scipione
Africano (il vincitore di Annibale a Zama nel 202) assumendo così il nome della gens Cornelia.
Dopo le prime prove militari, a soli diciassette anni era stato tribuno militare in Macedonia nel 151 e
in Africa nel 149 durante le prime azioni della terza guerra punica. Console nel 147, assunse il comando della guerra e la concluse vittoriosamente l'anno dopo radendo al suolo Cartagine. Nel 142 fa
censore, nel 134 ottenne il secondo consolato e pose fine alla guerra contro i celtiberi, nella
Spagna Tarraconense, espugnandone la roccaforte di Numanzia (133 a.C.).
UJ
O
o
c/5
en
O
o
<
DC
O
I—
í/>
Scipione e i Gracchi. Mentre Scipione era impegnato nell'assedio di Numanzia, nel 133 era stata
approvata la legge agraria di Tiberio Gracco, seguita nello stesso anno dall'assassinio del tribuno.
Tornato a Roma, l'Emiliano fu il leader della opposizione antigraccana, tanto che si pensò di affidargli una dittatura costituente del tipo di quella che avrebbe poi rivestito Siila (Somnium
Scipionis 4): egli riuscì in effetti a bloccare momentaneamente l'applicazione della legge
agraria trasferendo la giurisdizione in materia dai triumviri incaricati dellaridistribuzionedelle terre ai consoli, i quali, perlopiù assenti da Roma per campagne militari, di fatto si astennero da ogni
forma di intervento.
La morte. Questo provvedimento gli valse l'odio popolare e l'accusa di voler invalidare la riforma
graccana; Scipione promise dirisponderea tale accusa con adeguate spiegazioni proprio nel giorno
in cui - era l'aprile o il maggio del 129 a.C. - venne misteriosamente trovato morto. In quel giorno egli avrebbe dovuto ripetere davanti al popolo l'orazione contra legem iudiciariam Tiberi
Gracchi, che aveva tenuto in senato il giorno prima. Quale fosse la sua opinione nei confronti di
Tiberio Graccorisultadal giudizio che è stato tramandato da una peridcha (cioè da unriassunto)a
Livio LIX: sembrava all'Emiliano che Tiberio fosse stato ucciso ben a ragione (in lat. iure caesum viderì).
È dunque naturale che la voce pubblica abbia accusato della sua morte i fautori del partito gracca-
256
Cicerone
Il premio riservato ai benemeriti della patria
•
A consolazione del triste destino di morte che lo aspetta, l'Emiliano deve però sapere che
ai benemeriti della patria è riservata eterna beatitudine in cielo. Nel formulare questa teoria, Cicerone prende spunto dall'idea dei pitagorici, secondo i quali nel cielo, e precisamente
nella Via Lattea, vi era un luogo riservato ai grandi sapienti. Platone aveva attribuito analogo
destino ai filosofi, i quali, simili a moribondi, evitano la contaminazione corporea e pertanto
sono degni di accedere per primi alla «vera Terra». Per Platone i filosofi sono i veri reggitori
degli stati, perché hanno una cognizione teorica della giustizia; per Cicerone, invece, il grande statista non è ilfilosofo,ma un magistrato, o un oratore o, a ogni modo, un uomo che
sappia dare attuazione concreta alla virtù, secondo il principio esposto nel proemio (12)
dello stesso De re publica: «Non è sufficiente possedere la virtù come una qualche arte, se non
la si pratica;... la virtù è tutta posta nella pratica che se ne fa e la più elevata pratica di essa è
il governo della città».
no, ma circolarono anche altre versioni, da quella ufficiale espressa dall'amico Lelio, che parlava di
decesso naturale, a quella che ipotizzò un suicidio motivato con l'impossibilità di mantenere le promesse fatte ai sodi italici e latini. La storiografia antica, sempre interessata al pettegolezzo, ha
raccolto tutte queste versioni e Cicerone nel Somnium, parlando delle «empie mani dei parenti»,
sembra dare credito ai sospetti nei confronti della moglie Sempronia, sorella di Tiberio, che secondo
Appiano avrebbe agito con la complicità della madre Cornelia e dell'altro fratello, Gaio Gracco. In altri passi delle sue opere Cicerone non fa parola di trame familiari, ma accoglie senz'altro la tesi dell'assassinio politico che effettivamente, dato il clima rovente di quegli anni, non sembra affatto da
escludere.
Una prefigurazione del princeps? La dittatura di Scipione, se si fosse realizzata, avrebbe dovuto
sfruttare le agitazioni dei latini e degli italici per paralizzare i lavori della commissione triumvirale e,
nel contempo, ricostituire una maggioranza senatoria che fosse in grado di avviare una normalizzazione della situazione politica interna (cfr. par. 4 del Somnium: rem publicam constituas
oportet, «bisogna che tu riordini lo stato»),
È certo tuttavia che l'Emiliano, quand'anche avesse applicato nella politica interna il metodo radicale dell'eliminazione degli avversari che aveva sperimentato nella politica estera, avrebbe solo arginato temporaneamente una situazione esplosiva che soltanto il cieco conservatorismo senatorio
poteva illudersi di controllare con la forza, senza cercare rimedi per la questione agraria e senza
riformare l'ordinamento sociale.
Cicerone, nella sua prospettiva conservatrice, vede nell'Emiliano una prefigurazione del princeps
che, senza uscire dalla legalità e senza rovesciare l'ordine repubblicano, sarebbe stato in grado di ristabilire la concordia ordinum e di porre fine alle agitazioni sociali. Pur rivolto al passato, il
suo sguardo èfissoalla sua epoca e alla crisi della repubblica: egli scrive queste pagine sullo scorcio
degli anni Cinquanta, quando la lotta tra Cesare e Pompeo per il potere personale stava esautorando
l'oligarchia senatoria. Pompeo, scegliendo l'accordo con il senato, diveniva agli occhi di Cicerone,
pur senza destarne l'entusiasmo, il campione del lealismo repubblicano e l'erede spirituale di
Scipione.
Primo Percorso
257
(13) "Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habèto: omnibus
qui patriam conservaverint, adiuvérint, auxérint, certum esse in caelo definitimi locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo qui omnem
mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc
profecti hue revertuntur".
3, 5 (13). "Sed... habeto:
«"Ma perché tu, Africano,
sia più sollecito a difendere lo stato, tieni per certo
questo». - "Sed: dopo l'interruzione dovuta al grido
di dolore levato da Lelio e
ai sospiri degli astanti,
l'Emiliano riprende il racconto del sogno, nel quale
l'Africano continua la profezia apostrofando direttamente il nipote con quel
cognomen di Africanus
che evocava di per sé l'idea di un futuro di gloria e
fungeva da incentivo a seguire la via aperta dall'avo.
- quo sis: la proposizione
finale è introdotta da quo
per la presenza del comparativo alacrior e regge il
gerundivofinalead tutandam rem publicam. - habeto: imperativo futuro,
conferisce solennità a
quanto sta per essere rivelato. - omnibus... fruantur: «per tutti quelli che
hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria, ben
preciso è statoriservatoin
cielo un luogo nel quale
possano felici godere di
una vita eterna». - conservaverint, adiuvérint,
auxérint: la successione
dei tre verbi in asindeto
segue una disposizione in
forma di klimax. Quanto
al tempo, possono essere
intesi come futuri anteriori
o perfetti congiuntivi per
anteriorità rispetto alla
frase reggente esse... definitum. - certum esse...
definitum locum: certum è aggettivo con valore
predicativo riferito a locum e da esso separato
per iperbato; il verbo dell'infinitiva è esse defini-
8 Cicerone
tum, infinito perfetto passivo da definió. - ubi...
fruantur: relativa introdotta dall'avverbio di luogo
ubi e costruita con il congiuntivo per esprimere
una sfumatura consecutiva-eventuale. - aevo sempiterno: il costrutto poetico contrassegna uno dei
concetti fondamentali del
Somnium, del tutto originale per la mentalità romana, l'idea cioè che ai benemeriti della patria sia riservata unaricompensaceleste. - illi principi deo: «al
dio supremo»: Cicerone
sembra riferirsi al dio unico detto da Platone, in
Timeo 41a, «colui che ha
generato il tutto», quindi
princeps non perché sia
primo fra gli altri dèi, ma
perché dirige il mondo.
Secondo il panteismo stoico, a cui Cicerone era pure
sensibile, questo dio supremo si identificava con il
Lògos universale e pertanto i principes degli stati
terreni dovevano ispirarsi
al suo modello per divenire partecipi della società
cosmica degli dèi e degli
uomini. - qui omnem
mundum regit: il princeps deus dirige l'universo
nel suo complesso {omnem)-. come si dirà nel
par. 9, esso si identifica
con l'ultimo cerchio celeste, che abbraccia tutto
l'universo e ne costituisce
l'anima. - quod quidem
in terris fiat: «di quanto
almeno accade sulla
Terra»: relativa con valore
limitativo, costruita con
quidem, «almeno», e il
congiuntivo; il plurale in
terris è di uso comune per
indicare il mondo, il singolare in terra viene perlopiù riferito a un paese, a
una regione, o alla terra
contrapposta al mare. concilia coetusque: nesso stereotipo caratterizzato da endiadi e allitterazione, indica «le comunità e
gli aggregati», cioè «gli organismi sociali», «le comunità di uomini». - iure sociati: l'aggettivo sociati
(riferito a coetus), determinato dall'ablativo strumentale iure (quindi «associati su base giuridica»),
circoscrive il concetto di
stato secondo la definizione che ne viene data, sempre dall'Africano, in De re
publica I 39: Est igitur...
res publica res populi,
populus autem non omnis hominum coetus
quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris ccmsensu et utilitatis communione sociatus, «È dunque... lo
stato (= la cosa pubblica)
cosa del popolo, il popolo
poi non è ogni comunità di
uomini aggregata in maniera qualunque, ma una
comunità di molte persone
associata dall'accordo nel
diritto e dalla comunione
dell'utile». - quae: il pronome relativo va inteso come un femminile concordato con civitates invece
che come un neutro in riferimento a concilia coetusque. Infatti, nelle proposizioni relative accessorie il pronome concorda
perlopiù con il predicativo
e non con l'antecedente. rectores et conservatores: «i reggitori e i salvatori». Il concetto, lapidario
nella sua concisione, con- j
densa il pensiero più origi- ;
nalmente ciceroniano. La i
concezione mistica del eie- ;
lo come sede delle anime è j
platonica e pitagorica; l'i- ;
dea del premio riservato a ;
particolari categorie di uo- ;
mini, ifilosofi,risaleal dia- !
logo platonico Fedone; l'i- ;
dentificazione degli eletti !
con i benemeriti dello sta- ;
to è invece genuinamente j
ciceroniana. In essa trova :
espressione la gerarchia di i
valori che Cicerone ha as- ;
sorbito dalla più autentica i
tradizione romana, awez- ;
za ad anteporre il nego- \
tium e la virtus ali'otium, ;
l'impegno civile alla cultu- i
ra disinteressata, la vita at- ;
tiva a quella contemplati- ;
va. - hinc profecti huc
revertuntur": «partiti di ;
qui, qui ritornano"». Secondo i pitagorici l'anima
ha origine astrale; secondo
Parmenide ed Eraclito è
fuoco divino dotato di intelligenza, e Platone riprende questi concetti nel
Timeo e nel Fedone attribuendo all'anima, oltre che
origine astrale, la possibilità di fareritorno,se abbia
ben vissuto, alla propria
sede originaria. Sembra
quasi che nel Somnium
Cicerone abbia timore di
mostrarsi originale e vada
in cerca di modelli su cui
autenticarsi, come fa qui
suggellando la prima parte
della profezia dell'Africano
con un enunciato categorico, scandito dai pronomi
dimostrativi (harum, hinc,
huc) e dall'omeoteleuto
rectores-conservatores.
Dal dialogo
filosofico
alla visione
oltremondana
Cicerone filosofo. Nel proemio delle Tusculanae (15) Cicerone dichiara con orgoglio che «la filosofia è stata trascurata fino a quest'epoca e non ha trovato nessuna luce nelle lettere latine: sta a
me il compito di darle splendore e vigore in modo tale che, se da uomo politico ho recato qualche
giovamento ai miei concittadini, possa essere loro utile, se possibile, da cittadino privato». Le sue
opere rispondono infatti al tentativo ambizioso di saldare filosofia e retorica nell'educazione
dell'oratore fornendo così le basi per una conciliazione fra teoria filosofica e prassi politica.
In particolare, Cicerone si fece divulgatore di quelle dottrine del mediostoicismo nelle quali la
classe dirigente romana poteva trovare una giustificazione, da un lato, dei propri privilegi e, dall'altro, in base alle teorie del filosofo greco Panezio (185 ca.-109 a.C.), anche dell'imperialismo di
Roma. Dopo Cicerone, invece, lafilosofiapassò all'opposizione. Lo stoicismo stessorimaselegato
ai gruppi intellettuali aristocratici, tanto da diventare, in autori come Seneca, il pensiero di riferimento per l'opposizione al dispotismo del principe.
Il dialogo filosofico. Per realizzare il suo progetto, letterario ma anche etico-politico, Cicerone
(come poi Seneca) scelse la forma del dialogo, cioè uno scritto in forma di conversazione nel quale
il pensiero dell'autore emerge attraverso le idee espresse dai partecipanti. Nato nella letteratura greca come cellula originaria dell'opera di teatro, il dialogoricevetteuna destinazione filosofica
da parte di Platone. Questi, cercando di riprodurre in esso il tenore e lo spirito della conversazione orale che Socrate intratteneva con i suoi discepoli, ne fece lo strumento diricercadella verità in
un processo maieutico che si snodava attraverso domande erisposte.In Aristotele, invece, il
dialogorivestìuna forma più vicina al trattato, nel senso che un personaggio si assumeva il ruolo
di esporre ampi discorsi e di trarre le conclusioni.
Il dialogo ciceroniano. Il dialogo ciceroniano segue il modello aristotelico nella presenza di un
protagonista che espone la tesi di fondo, mentre la parte degli altri personaggi è ridotta al minimo:
così nel Somnium parla sempre Scipione Emiliano e gli interlocutori si limitano ad ascoltarne il
racconto, fatta eccezione per il solo paragrafo 4, in cui, di fronte alla profezia della morte
dell'Emiliano, Lelio alza un grido e gli altri prorompono in lamenti. All'interno del racconto, poi, la
parola è tenuta perlopiù dall'Africano, che pronuncia la profezia, affiancato nei soli paragrafi 7 e 8
da Lucio Emilio Paolo, mentre l'Emiliano limita i propri interventi a poche battute - perlopiù richieste di chiarimenti - e di tanto in tanto riprende la funzione di narratore, come quando nei paragrafi 6-7 rammenta la propria commozione alla vista del padre.
Il Somnium e le sue fonti. Il rapporto con la fonte platonica e con quella aristotelica non si pone
solo per il genere dialogico, ma anche per lo spunto che ha dato origine al Somnium. L'idea di
concludere il De re publica narrando il sogno dell'Emiliano richiama il mito di Er, esposto alla fine della Repubblica di Platone. Propriamente quella di Er è una vicenda di morte e resurrezione: il soldato Er di Panfilia, caduto in battaglia, era posto sul rogo ma tornava in vita e narrava
quello che aveva veduto nell'Aldilà. Uno spunto integrativo è stato offerto a Cicerone daìl'Eudemo
di Aristotele: l'opera narrava il sogno di Eudemo al quale, malato in Tessaglia, era comparso un
giovane e gli aveva predetto che sarebbe presto guarito, che il tiranno del luogo, Alessandro di
Fere, sarebbe morto e che egli dopo cinque anni avrebbe fatto ritorno in patria. Infatti il tiranno
moriva mentre Eudemo guariva, ma dopo cinque anni cadeva in battaglia, inverando e non smentendo la profezia nel senso che la vera patria dell'anima è il cielo e non la terra.
Cicerone, per parte sua, mantiene lo schema platonico a conclusione dell'opera, ma, sostituendo al
mito di Platone il sogno di Aristotele, consegue un effetto di maggiore verosimiglianza, storicizzando il racconto nel momento stesso in cui lo attribuisce a Scipione Emiliano. La profezia
dell'Africano, poi, che consente al nipote di contemplare lo spettacolo eterno e grandioso delle sfere celesti e gli predice l'immortalità nella Via Lattea come ricompensa dei suoi meriti civili, proietta
l'opera oltre i limiti del genere propriamente politico. Essa sconfina infatti nell'ambito degli scritti
apocalittici e utopistici, che troveranno largo seguito nell'età dell'impero, soprattutto nella letteratura cristiana, e poi continueranno nel Medioevo nei testi di letteratura oltremondana, che saranno modelli di Dante nella Divina Commedia.
Primo Percorso
259
ANALISI DEL TESTO
I temi. I momenti forti di questa prima parte della
profezia dell'Africano sono:
• la predizione della carriera di Scipione
Emiliano, dalla distruzione di Cartagine (146
a.C.) alla distruzione di Numanzia (133 a.C.) e al
movimento dei Gracchi (dal 133 a.C.);
• la predizione della morte violenta dell'Emiliano (129 a.C.);
• la promessa di beatitudine ai benemeriti
della patria.
Quest'ultimo motivo è enunciato nel paragrafo 5:
«per tutti quelli che hanno salvato, aiutato, accresciuto la patria, ben preciso è statoriservatoin
cielo un luogo nel quale possano felici godere di
una vita eterna».
Si ha qui uno sviluppo dell'idea pitagorica e platonica di un luogo nel cielo riservato ai grandi sapienti o filosofi tra cui Platone peraltro identifica i
governatori dello stato. Ciceroneriservatale privilegio non già aifilosofi,bensì all'oratore o all'uomo politico che dà concretezza al concetto di
virtù.
Nella triplice caratterizzazione dei reggitori
Cicerone fissa dunque la varietà delle benemerenze che a suo giudizio si possono acquisire nei
confronti della patria:
• conservare («salvare») nell'ottica conservatrice dell'autore va inteso nel senso di «mantenere»
lo stato nel suo assetto politico, prevenendo
o stroncando eventuali tentativi di cambiamento;
da questo punto di vista la reazione dell'Emiliano
alla legge agraria graccana si configurava come
salvataggio della patria;
• adiuvare («aiutare») significa assecondare il
corso politico dello stato e favorire la realizzazione degli obiettivi costituzionali, nel caso specifico
gli interessi conservatori del senato,
Quesiti
• augére («accrescere») significa invece rendere
lo stato più vasto e potente: non si precisa qui
in quale ambito specifico la crescita debba essere
intesa, ma si allude verosimilmente agli ingrandimenti territoriali dell'impero cui Scipione aveva
contribuito con la distruzione di Cartagine e di
Numanzia.
La Struttura. Questo primo segmento della profezia è strutturato lungo una klimax concettuale
e formale che, dopo una rassegna descrittiva
delle principali campagne vittoriose dell'Emiliano,
introduce il tema delicato dei conflitti civili destati dalla riforma graccana. L'apice della tensione
narrativa è raggiunto dalla predizione della morte di Scipione, suggestivamente formulata dall'ambigua espressione si impías propinque/rum
manus effugeris (par. 4). La pausa con le
espressioni di stupefatto dolore degli astanti segna un intermezzo tra la prima parte del sogno,
con le rivelazioni relative a Scipione, e la seconda,
con la predizione del destino oltremondano delle
anime.
Lo Stile. Lo stile della profezia si concretizza sul
piano formale con la serie di tempi futuri del
paragrafo 3, e trova sottili riscontri espressivi nello stile allusivo degli enunciati del paragrafo 4
{eius temporis ancipitem video quasi fatorum
viam) e nella forma arcana del simbolismo
aritmetico {curri aetas tua septenos octiens solis anfractus reditusque converterit). La rivelazione del destino delle anime è invece introdotta
dall'imperativo futuro sic habeto, caratteristico
delle prescrizioni di legge e dei testi oracolari, dal
quale la profezia ricava perentorietà e solennità.
e,proposte,
7 Nel par. 3 il periodo Ad quam tu oppugnandam
nunc venis paene miles, hanc hoc biennio consul
evertes appare elaborato con una cura conforme
al suo tono oracolare. In esso si possono individuare:
precedente, ne mantiene lo schema attentamente elaborato mediante:
• parallelismo antitetico
• pollptòto
• parallelismi antitetici
• omeoteleuto
• allitterazione
• variatio tra
• chiasmo
• klimax
• prolessi
3
Nell'espressione del par. 5 qui conservaverint,
adiuverint, auxerint Individua e illustra:
• il modo e il tempo verbale
2. La frase che segue nel medesimo par. 3 eritque
cognomen
id tibi per te partum quod
habes
adhuc a nobis hereditarium, coordinata con la
260
Cicerone
• le figure retoriche presenti
• il valore concettuale nel contesto della promessa di immortalità
ma è stata incarcerata dal dio creatore - prima di avere acquisito quelle benemerenze che
saranno ricompensate con la beatitudine eterna.
•
In questi capitoli Cicerone concentra i temi fondamentali dell'opera. Nel paragrafo 6,
Cicerone afferma che la vera vita è quella dello spirito: la frase hi vivunt qui e corporum
vinclis tamquam e carcere evolaverunt, vestra vero, quae cLicitur vita, mors est («i vivi
sono questi che volarono via dalle catene del corpo come da un carcere, invece quella che voi
chiamate vita è morte») esprime la dimensione mistica dell'opera, il fondamento spiritualistico
che ha fatto convergere sul Somnium l'interesse e la simpatia degli scrittori cristiani della
tarda antichità e del Medioevo. Cicerone desume dal Fedone platonico il concetto del corpocarcere dell'anima, che tramite il misticismo orfico-pitagorico ha lontane ascendenze orientali, nelle quali con ogni probabilità si collega anche con il tema veterotestamentario del peccato originale. L'immagine del corpo-carcere è funzionale a rovesciare la comune opinione che
identifica la vita con l'esistenza corporea.
La vita terrena, di riflesso, non è altro che un munus (par. 7), una gravosa incombenza assegnata dal dio agli uomini; secondo i pitagorici, per espiare una colpa originaria. La conseguenza
sarà poi raccolta nel paragrafo 12 del Somnium: haec caelestia semper spedato, illa humana contemnìto, «contempla sempre queste cose celesti, non darti pensiero di quelle umane».
Se dunque la vera vita è quella celeste, tutti i valori terreni sono secondari, compreso
quello che rappresenta il bene supremo per un leale cittadino romano, cioè Yimperium di Roma: «la Terra mi sembrò talmente piccola che mi vergognavo del nostro dominio, con il quale
arriviamo a toccarne, per così dire, un punto» (par. 8).
Qual è lo scopo di questo bilancio? Cicerone non è un 'disfattista', naturalmente; egli intende
solo stornare l'ideale uomo di stato da un'eventuale sopravvalutazione dei valori
connessi con il potere, dai quali potrebbe essere pericolosamente indotto ad appropriarsi
della cosa pubblica e a trasformarsi in tiranno. In questo modo si chiude il circuito tra il Ciceronefilosofoe il Cicerone politico.
3,6
(14) Hic ego, etsi eram perterritus non tarn mortis
metu quam insidiarum a meis, quaesivi tarnen viveretne ipse et Paulus pater et alii quos nos exstinctos esse arbitraremur. "Immo vero" inquit "hi vivunt
qui e corporum vinclis tamquam e carcere evolave-
3, 6 (14). ego: a parlare
ora è l'Emiliano. - viveretne: interrogativa indiretta dipendente da quaesivi e introdotta dalla particella enclitica -ne, che
esprime totale incertezza
circa il tenore della risposta. • alii: cioè «altri» dei
quali si lascia intendere
che l'Emiliano abbia fatto
il nome: naturalmente non
si tratta di tutti gli estinti,
ma solo di coloro che condividono con l'Africano e
con Lucio Emilio Paolo le
benemerenze e le virtù civiche. - arbitraremur: il
congiuntivo èrichiestodal
discorso indiretto, l'imperfetto dalla consecutio
temporum in quanto la
Primo Percorso
3,6. (14) A questo punto io, anche se ero rimasto sconvolto
non tanto per la paura della morte, ma delle insidie da parte
dei miei, chiesi nondimeno se lui vivesse e così mio padre
Paolo1 e altri che noi consideriamo estinti. "Anzi" disse "i vivi
sono proprio questi che volarono via dalle catene del corpo
relativa quos... arbitraremur dipende dai tempi
storici della reggente viveret e della principale
quaesivi e il rapporto è di
contemporaneità: dal momento che la frase esprime un concetto di carattere generale, in italiano si
può tradurre con un presente acronico, quindi
I T I Lucio Emilio Paolo è il
padre dell'Emiliano. Fu figura esemplare per valore militare e integrità morale.
Dopo aver soggiogato i pirati liguri, nel secondo consolato, quando era già quasi
sessantenne, vinse il re macedone Perseo nella battaglia di Pidna del 168, dopo
la quale riordinò la Grecia e
riportò a Roma un ricco bottino. Tra le spoglie di guerra
figurava anche la biblioteca
di Perseo, che costituì un importante tramite per l'ellenlzzazione della cultura latina.
Morì nel 160 in dignitosa povertà. Il figlio Publio era stato
adottato dalla gens Cornelia,
divenendo così nipote dell'Africano (Maggiore).
261
runt, vestra vero, quae dicitur vita, mors est. Quin
tu aspicis ad te venientem Paulum patrem?".
Quern ut vidi, equidem vim lacrimarum profudi, tile autem me complexus atque osculans flere
prohibebat.
(15) Atque ego ut primum fletu represso loqui posse coepi, "Quaeso" inquam "pater sanctissime at«che noi consideriamo
estinti». - Quin: l'avverbio
interrogativo composto da
qui, antico ablativo del
pronome interrogativo, e
dall'enclitica -ne era usato
nelle opere di teatro per
segnare l'ingresso in scena
di un nuovo personaggio:
quindi propriamente «Perché non (guardi tu stesso)?». - venientem: participio presente predicativo
che in dipendenza da verbi di percezione (aspicis)
indica che l'azione è in
corso di svolgimento e introduce un nuovo interlocutore, Lucio Emilio
Paolo, il padre dell'Emiliano, che si affianca nella
profezia a Scipione Afri-
L'eredità del
Somnium
Scipionis
O
CL
<
OC
LU
O.
o
cano. - ut: la congiunzione
ha valore temporale, esprime coincidenza di
tempo o precedenza immediata dell'azione della
dipendente rispetto a
quella della principale
(profudi, «versai»), vini: il termine vis, oltre a
quello di «forza», ha anche il significato meno
usuale di «quantità». complexus: participio
perfetto di complector.
Analogamente al seguente
osculans con cui è coordinato, esprime azione contemporanea e pertanto si
rende in italiano con il gerundio semplice. - prohibebat: imperfetto conativo: Emilio Paolo cerca di
come da un carcere 2 , invece quella che voi chiamate vita è !
morte 3 . Non vedi tuo padre Paolo che viene verso di te?". Non i
appena lo vidi, per parte mia scoppiai a piangere a dirotto. !
mentre egli, abbracciandomi e baciandomi, cercava di tratte- !
nermi dal piangere.
7. (15) E io, non appena, trattenuto il pianto, cominciai a esse- !
re In grado di parlare, "TI prego - dissi - padre santissimo e ot- j
distogliere il figlio dal
pianto.
7 (15). "Quaeso": questa
parola, già comparsa alla
fine del par. 4 (vd. p. 256),
è una voce isolata del verbo quaeso, con valore di
inciso. - optume: forma
arcaica per optine. - quid
moror in terris? la domanda esprime garbatamente l'idea che il suicidio
possa rappresentare la
strada più breve verso la
beatitudine. Nel Fedone
(61d) Cebèterivolgeanaloga domanda a Socrate:
«Come puoi dire, o
Socrate, che non è lecito
recare violenza a se stesso, ma che ilfilosofopossa
desiderare la morte?». -
ITI L'origine di questo concetto è sicuramente platonica. L'immagine del corpo
come prigione dell'anima (in
lat. e corporum vinclis tamquam e carcere) compare in
vari passi del Fedone (62b,
67d, 81 e, 92a) e la rappresentazione dell'anima alata
che se ne va dal corpo (cfr.
in lat. evolaverunt) disperdendosi come soffio di vento o come fumo si trova in
Fedone 70a: ambedue risalgono al repertorio orfico-pitagorico, che attribuiva l'incarcerazione dell'anima nel
corpo alla necessità di
espiare una colpa originaria.
[ 3 1 È la mistica dichiarazione che la vera vita è quella
dello spirito. La fonte di i
Cicerone (in lat. vestra... \
quae dicitur vita, mors est] è |
ancora il Fedone, che pro- :
prio in questi termini egli dichiara esplicitamente di co- i
noscere nell'orazione Pro \
Scauro 5: Piatonis... iibrum ;
de morte, in quo, ut opina.; i
Sócrates disputai... hancesse mortem quam nos w'íara i
putaremus, «Il libro di Pia- ;
tone sulla morte, nel quale, i
come credo, Socrate asserì- :
sce che è morte questa che
noi riteniamo vita». Il riferi- i
mento può essere al
Fedone 64 ove si ribadisce ;
insistentemente che la mor- ;
te altro non è se non liberazione dell'anima dal corpo.
La ricezione del De re publica. Mentre il De re publica vedeva la luce nel momento stesso in cui
perdevano attualità le problematiche politiche sulle quali è imbastito, il Somnium, al contrario, aveva tutti i requisiti per destare il massimo interesse da parte delle generazioni future.
Al De re publica comunque non mancarono certamente lettori ed estimatori: Attico, l'amico di
Cicerone, lo lesse e lo meditò, Livio e forse anche Tacito lo tennero presente, Seneca lo trovava
interessante. Le attenzioni non eranorivolteal messaggio autentico dell'opera, ma a singoli aspetti, i
quali talora erano oggetto di palese fraintendimento, come nel caso di Plinio il Giovane, che vedeva in Traiano la realizzazione del princeps ciceroniano. In realtà, se da una parte il De re publica
non doveva destare l'entusiasmo degli imperatori per il suo messaggio sostanzialmente repubblicano, dall'altra, l'ambiguità di Cicerone nei confronti di Cesare e di Ottaviano impedì a quest'opera di
diventare il manifesto dell'opposizione repubblicana, che anzi rinnegò Cicerone in nome di Bruto e
di Catone.
Gli scrittori cristiani, che invero ammirarono in Cicerone soprattutto 0 maestro di retorica e lo
imitarono come supremo modello della prosa latina, continuarono regolarmente a leggere il De re
publicafinoal V secolo d.C. e oltre: esso è frequentemente citato da sant'Agostino, ma come deposito dei valori profani della tradizione greco-latina, quindi di un mondo non più attuale a cui il cristianesimo ha sostituito i nuovi valori della 'Città di Dio'.
Le ragioni del distacco del Somnium dal De re publica. Tuttavia, sono proprio alcuni di questi valori che hanno determinato il distacco del Somnium dal resto dell'opera. In un'epoca come il V secolo, contrassegnata dal misticismo cristiano e dal neoplatonismo, il primo posto nella gerarchia dei valori è riservato alla contemplazione: di pari passo con l'inversione di valori che è in atto rispetto alla tradizione profana, l'appendice mistica del De re publica si rivela per i lettori come l'unico settore dell'opera veramente vitale.
262
Cicerone
que optume, quoniam haec est vita, ut Africanum
audio dicere, quid moror in terris? Quin hue ad vos
venire propero?". "Non est ita" inquit ille. "Nisi
enim cum deus is, cuius hoc templum est omne
quod conspicis, istis te corporis custodiis liberaverit, hue tibi aditus patere non potest. Homines enim
sunt hac lege generati, qui tuerentur ilium globum,
quem in hoc tempio medium vides, quae terra dicitemplum: il termine appartiene al linguaggio sacrale e designa lo spazio
delimitato dall'augure nel
cielo e sulla terra all'interno del quale raccoglieva e
interpretava i presagi,
quindi per estensione il
cielo tutto intero, lo spazio
celeste o, anche, la distesa
dello spazio abbracciato
dallo sguardo. Il significato di «tempio» è secondario e in questo senso templum concorre con i termini aedes, fanum, detubrum. - omne: t'aggettivo
omnis esprime la totalità
analizzata in tutte le sue
parti, mentre la figura di
iperbato, cioè il distacco
dell'aggettivo dal sostantivo, accentua la caratterizzazione, come a dire «lo
spazio celeste nella sua
ampiezza e in tutte le sue
componenti», perché ne
risalti la potenza del dio. istis... corporis custodiis: il dimostrativo di 2a
persona istis è impiegato
correttamente a designare
il carcere corporeo, cui solo l'Emiliano è ancora soggetto, e proprio dalla sua
natura dimostrativa deriva
il valore dispregiativo, come se Emilio Paolo - che
parla - respingesse da sé
verso l'interlocutore un
oggetto disgustoso. - liberaverit: la liberazione
dell'anima dal carcere del
corpo è dunque decisa dal
dio, secondo quanto Socrate precisa in Fedone
67a in risposta all'obiezione espressa da Cebete. huc: avverbio dimostrativo di moto a luogo; indica
la .regione celeste, di cui
sono ormai cittadini l'Africano e Lucio Emilio
Paolo, con marcata contrapposizione al dimostrativo-spregiativo istis, riferito al carcere corporeo. sunt... generati: espressione da intendere come
perfetto passivo e non come predicato nominale,
come dimostrano, sul piano sintattico, la reggenza
timo, dal momento che questa è la vita, come sento dire
dall'Africano, perché indugio sulla Terra? Perché non mi
affretto a venire qui da voi?". "Non è così" rispose. "Infatti,
se il dio a cui appartiene tutto questo spazio celeste che
vedi non ti avrà liberato da codesto carcere che è II tuo
corpo, l'accesso In questo luogo non ti può essere
aperto4. Gli uomini, infatti, sono stati generati con questa
legge, che custodiscano II globo5 chiamato Terra che vedi
m II concetto presuppone
l'idea pitagorica della vita
corporea come espiazione
di una colpa originaria: solo
quando sarà trascorso il periodo fissato per l'espiazione, l'anima potrà fare ritorno
nelle sfere superiori. Il suicidio è dunque qui esplicitamente condannato, in polemica con le vedute del cinismo, dell'epicureismo e soprattutto dello stoicismo,
che ne ammettevano la legittimità in circostanze parti-
colari quali dolori insopportabili, mutilazioni o malattie.
ITI I pitagorici furono i primi
ad attribuire forma sferica
alla Terra per il principio che
la sfera è il corpo perfetto; i
filosofi ionici la Immaginavano perlopiù piatta, ruotante
in mezzo alle acque secondo Talete, compressa nell'aria secondo Anassimene, librata nella sfera celeste secondo Empedocle, di forma
cilindrica per Anassimandro.
La separazione peraltro ricalca una alterità, che è intrinseca all'opera stessa: argomento del De re
publica è la città terrena, ma il Somnium con il suo misticismo platonico-pitagorico e con le sue
prospettive oltremondane configura compiutamente una 'città celeste' ante litteram. Ha così inizio
la lunga fortuna di questo testo, risparmiato dalla dispersione dei classici che nel VII secolo coinvolge lo stesso De re publica. Il Somnium rimane agganciato al potente veicolo del commento di
Macrobio, che grazie alle sue allegorie a sfondo pitagorico e neoplatonico gode fama di essere lo
scrigno della mitologia e dellafilosofiagreca e registra un continuo incremento di popolarità: nel XII
secolo diviene a sua volta oggetto di un monumentale commento, le Glosae super Macrobium di
Guglielmo di Conches,filosofodella scuola capitolare di Chartres. Grazie a Macrobio, dunque, il
Somnium attraversa indenne il Medioevo, arriva a Dante, che spesso loriecheggiaper il tramite
di Boezio; affidato a numerose copie manoscritte e tradotto anche in greco, rende più acuto presso
gli umanisti e nell'età moderna ilrimpiantodell'opera completa fino alla scoperta del cardinale
Angelo Mai nel 1819.
Una lunga durata. Ma intanto la prospettiva generale del Somnium e le sue tematiche erano state
assimilate nel corso dei secoli fino a divenire parte integrante della comune coscienza spirituale e politica, sicchérisultaimpresa disperata pretendere di identificare in questo o in quell'autore singoli echi oripresepuntuali. I temi portanti del Somnium hanno permeato a tal punto la morale comune che, quando noi oggi ritroviamo nella nostra formazione spirituale concetti come la distinzione tra spirito e materia, la fede nella sopravvivenza dell'anima, lafiduciain un premio oltremondano, l'idea di servizio allo stato, forse non siamo consapevoli di raccogliere un'eredità che si è
consolidata anche grazie all'autorevolezza di queste poche pagine del Somnium.
Primo Percorso
263
tur, iisque animus datus est ex illis sempiternis
ignibus quae sidera et stellas vocatis, quae globosae et rotundae, divinis animatae mentibus,
circulos suos orbesque conficiunt celeritate
mirabili. Quare et tibi, Publi, et piis omnibus
retinendus animus est in custodia corporis nec
iniussu eius, a quo ille est vobis datus, ex hominum vita migrandum est, ne munus humanuni adsignatum a deo defugisse videamini.
(16) Sed sic, Scipio, ut avus hie tuus, ut ego qui
te genui, iustitiam cole et pietatem, quae cum
magna in parentibus et propinquis, tum in patria maxima est; ea vita via est in caelum et in
hunc coetum eorum qui iam vixerunt et corpore laxati ilium incolunt locum, quem vides
del congiuntivo imperfetto
tuerentur e, concettualmente, la perentorietà e
l'irrevocabilità di questa
legge alla quale gli uomini
sono stati sottoposti all'atto stesso della loro creazione. - qui tuerentur:
relativa impropria con valore epesegetico, più che
finale o consecutivo, anticipata in prolessi dal nesso hoc lege. Il congiuntivo
imperfetto è dovuto alla
consecutio temporum,
ma può essere tradotto in
italiano con un presente
acronico, come arbitraremur nel par. 6. - illuni: va
tradotto come semplice
articolo determinativo meglio che come aggettivo
dimostrativo, in quanto
funge da correlativo della
relativa quem... vides. quae terra dicitur: il
pronome relativo quae
concorda con il predicativo terra e non con l'antecedente globum perché la
frase ha funzione accessoria. - quae sidera et
stellas vocatis: come
nella relativa precedente,
il pronome quae è accordato con il predicativo sidera et stellas e non con
l'antecedente ignibus. piis: pius è chi compie i
suoi doveri verso gli dèi e
verso i parenti: nel presente contesto la pietas
sembra dovuta soprattutto
al dio creatore dell'anima
umana. - iniussu eius: il
corpo è carcere dell'anima, ma è stato assegnato
dal dio creatore e pertanto non è lecito abbandonarlo senza il suo consenso (iniussu eius), tanto
più che gli uomini pii proprio nel corso della loro vita corporea acquisiscono
quelle benemerenze che il
dioricompenseràconsentendo loro di ritornare nel
luogo della beatitudine. ne... videamini: proposizione finale negativa con
costruzione personale del
verbo videor, da rendere
in italiano in forma impersonale, costruendo il verbo alla 3a persona singolare e trasferendone il soggetto alla dipendente, cioè
«affinché non sembri che
voi».
8 (16). iustitiam... et
pietatem: i due termini,
disposti in crescendo,
rappresentano altrettanti
cardini della morale romana e si riferiscono rispettivamente ai rapporti civili
regolati dal diritto (iustitiam) e al sentimento del
dovere verso gli dèi, verso
genitori e familiari e verso
la patria (pietatem). cum... tum: le due congiunzioni indicano una
correlazione gerarchica,
ribadita dall'accostamento
di cum all'aggettivo magna e di tum al superlativo maxima. Nella gradua-
264
Cicerone
posto al centro 6 di questo spazio celeste e a essi l'anima è stata
data da quei fuochi sempiterni 7 che voi chiamate costellazioni e
stelle che, sferiche e rotonde, animate da menti divine 8 , compiono orbite circolari con mirabile celerità. Perciò tu, Publio, e t
le persone devote al dio dovete mantenere l'anima nel carcere
del corpo 9 né senza II consenso di colui dal quale l'anima vi è
stata data dovete emigrare dalla vita tra gli uomini, perché non
sembri che slate venuti meno al dovere umano assegnato (
dio 10 .
8. (16) Così dunque, Scipione, come fece II tuo avo 11 qui presente, come feci io che ti ho dato la vita, coltiva la giustizia e la devozione, la quale, se già è grande nei confronti di genitori e [
renti, tanto più deve essere grandissima quando si tratta della
patria. Una tale vita è la via verso il cielo 12 e verso la comunità di
coloro che già hanno vissuto e, svincolati dal corpo, abitano i
toria aristocratica dei valori consolidati dal mos
maiorum, i servizi resi alla patria occupano senz'altro il primo posto, seguiti
in sottordine dalle virtù
private. - ea vita via est
in caelum: allitterazione
e omeoteleuto in quanto
procedimenti tipici delle
antiche preghiere conferiscono all'espressione un
tono di sacralità, rimarcando il contributo originale di Cicerone alla teoria
dell'eternità dell'anima: è
agli uomini che hanno dato in primis un valido sostegno alla patria che vieneriservatala beatitudine
celeste. - in hunc coetum: il coetus è la «schiera», la «comunità» degli
eletti. Il dimostrativo hic
indica cosa idealmente vicina a chi parla: Emilio
Paolo e l'Africano, infatti,
appartengono già a questa
comunità di beati. Sul piano retorico l'accostamento
caelum... coetum crea
una figura di paronomasia
(accostamento di parole
simili con significato diverso). - iam vixerunt:
dopo quanto si è precisato
nel par. 6 invertendo i valori di vita e mors, l'espressione appare non un
eufemismo per indicare i
morti, bensì una prima caratterizzazione dei beati
come coloro che hanno
assolto gli obblighi della
|~6l S e c o n d o la dottrina
g e o c e n t r i c a fissata da
Aristotele (384-322 a.C.) ma
già presente in Anassimandro, in Parmenide (V sec.
a.C.) e nei pitagorici, la
Terra è fissa al centro dell'universo: nel Fedone (108e)
Socrate accoglie la tesi pitagorica secondo la quale la
Terra è sferica, posta al centro dell'universo, in equilibrio
perfetto in quanto è circondata da ogni parte dal cielo
e l'aria la preme in modo
omogeneo, sostenendola.
I T I Cicerone ritorna in altri
scritti sull'Idea dell'origine
astrale dell'anima e ne dichiara le fonti, in primo luogo Pitagora (570-490 ca.
a.C.), ma anche gli stoici,
soprattutto per la natura
ignea. Circa l'origine divina
dell'anima, Cicerone non
nutre dubbi, anche se non
appare altrettanto sicuro
della composizione ignea di
essa.
|~8~] La spiegazione del concetto è ormai implicita in
quanto si è detto sin qui: se
gli astri sono divinità e hanno natura ignea, la sostanza
dell'anima, che appunto ha
origine astrale, non può che
condividerne la natura secondo il principio stoico per
cui il fuoco primigenio costituisce l'anima stessa del
mondo.
I T I In questa parte nodale
del Somnium Cicerone coniuga due diverse concezioni: l'immagine di repertorio è
quella orfico-pitagorica e
platonica del corpo prigione
dell'anima, già espressa
dalle parole dell'Africano r
par. 6; Cicerone la fa propria
nel par. 7 e la rivitalizza innestandovi, nel par. 8,
concetto pragmatistico e tipicamente romano di una
missione da compiere assegnata dal dio.
fìOl II processo discorsivo
rimane orientato verso una
fatalistica attesa della morte
liberatrice e solo nel seguente par. 8 subisce una
svolta decisiva nel recupero
positivo della vita intesa come missione. Qui munus indica semplicemente il «dovere» della custodia corporis, ma nel grave compito
imposto dalla necessità si
avverte l'eco del Fedone,
dove il corpo funge sempre
da ostacolo alla contemplazione della verità.
i m LAfricano era il nonno
adottivo dell'Emiliano dal
momento che questo era
stato adottato da Publio
Cornelio Scipione, figlio
dell'Africano.
f Ì 2 l In questa affermazione
si manifesta l'apporto originale di Cicerone al tema
dell'eternità dello spirito.
(erat autem is splendidissimo candore inter
flammas circus elucens), quem vos, ut a Grais
accepistis, orbem lacteum nuncupatis". Ex
quo omnia mihi contemplanti praeclara cetera et mirabilia videbantur. Erant autem eae
stellae, quas numquam ex hoc loco vidimus,
et eae magnitudines omnium, quas esse numquam suspicati sumus, ex quibus erat ea minima quae ultima a caelo, citìma terris luce lucebat aliena. Stellarum autem globi terrae
magnitudinem facile vincebant. Iam vero ipsa
terra ita mihi parva visa est, ut me imperii nostri, quo quasi punctum eius attingimus, paeniteret.
vita. - is: pronome determinativo con valore epanalettico:riprendecioè illuni locum per meglio
precisarlo. - inter flammas: naturalmente non si
tratta di fiamme vere e
proprie, ma, per metonimia, l'oggetto è indicato
tramite la materia di cui è
composto; dunque l'espressione può essere tradotta come fosse inter sidereiflammantia.- circus: equivale a orbis e indica la figura piana delineata da una circonferenza; il termine più usuale è
il diminutivo circulus. - a
Grais: il termine Grai sta
per Graeci ed è un arcaismo poetico che eleva il
tono della rivelazione. orbem lacteum: trasposizione del termine greco
galaxias (in italiano «galassia»), spiegabile in riferimento al candore latteo
proprio dei corpi stellari
incandescenti. Era stato
Pitagora a porre la sede
delle anime nella Via
Lattea: Cicerone ne ha
dunque desunto anche
questo particolare, ma ha
riservato la galassia alle
anime dei beati. - nuncupatis": il verbo nuncupare, composto da noI men e capere, significa
propriamente «prendere
nome», «pronunciare il
nome», poi «designare
con il suo nome», quindi
«chiamare». - Ex quo:
cioè dalla Via Lattea; riprende il racconto del-
l'Emiliano che nella finzione poetica del sogno crede anch'egli di trovarsi
nella Via Lattea vicino
all'Africano e a Emilio
Paolo. - cetera: come
precisa il periodo seguente, non si tratta di «tutto il
resto» semplicemente
contrapposto alla Terra,
ma di tutti gli astri che si
possono vedere dalla Via
Lattea: si potrebbe tradurre «tutto ciò che vedevo».
- ex hoc loco: significa
«di qui», cioè dalla Terra,
ed è contrapposto a Ex
quo (loco) della frase precedente. - magnitudines:
il termine non è da interpretare nell'accezione di
«grandezza», ma nel significato relativo di «dimensione» e significa che dalla
Via Lattea si vedono molto
più grandi gli astri a essa
vicini e lontani dalla Terra,
e viceversa. - omnium: riferito non soltanto a eae
stellae, ma a tutti gli astri,
sia a quelli che Scipione
vede per la prima volta sia
a quelli già noti, le cui dimensioni risultano alterate dalla novità del punto
di osservazione. Anche se
la traduzione con il femminile «di tutte (le stelle)» non manca di ambiguità, va mantenuta perché consente l'accordo
con la relativa che segue
al femminile: a ogni modo,
il genitivo omnium è da
intendere «di tutti gli
astri». - ea: si tratta della
Luna, a cui già i presocra-
Primo Percorso
luogo che vedi (quel luogo era infatti uno spazio circolare rilucente
di splendidissimo candore tra le fiamme degli astri) e che voi, come avete appreso dai greci, denominate Via Lattea". A me che
contemplavo l'universo da quel luogo, tutto il resto sembrava magnifico e degno di meraviglia. Vi erano infatti quelle stelle che mal
abbiamo visto di qui 13 e le dimensioni di tutte erano quali non abbiamo mai sospettato. Tra queste la più piccola era quella che, ultima dalla parte del cielo e più vicina alla Terra, brillava di luce non
propria. I globi delle stelle, poi, superavano di molto la grandezza
della Terra. Anzi, la Terra mi sembrò talmente piccola che mi sentivo insoddisfatto del nostro dominio, con il quale arriviamo a toccarne, per così dire, un punto. 14
tici, a partire da Talete (VI
sec. a.C.), avevano attribuito luce riflessa dal Sole. ultima a caelo, citima
terris: antitesi simmetrica
in asindeto, nella quale ultimus regge l'ablativo di allontanamento, citimus
(superlativo dall'avverbio
citra) il dativo di contatto.
- luce lucebat aliena: /lice lucebat è unafiguraetimologica che crea forte
coesione tra i due termini
staccando l'aggettivo aliena dal sostantivo luce mediante iperbato e conferendogli forte rilievo in chiusura di periodo, come si addice al termine che, insieme
a minima, contiene l'informazione più significativa. ut... paeniteret: propriamente il verbo paenitere
significa «provare dispetto
di qualcosa»: pertanto non
va tradotto con il significato corrente di «pentirsi»,
ma con un verbo che esprima tutto il disappunto
dell'Emiliano nel prendere
atto della piccolezza dell'impero di Roma. - punctum: il termine, etimologicamente connesso con il
verbo pungere, «pungere», sta à indicare metaforicamente qualsiasi oggetto
che appaia di piccole dimensioni. Naturalmente, in
riferimento all'impero di
Roma, la parola assume l'aspetto di una caratterizzazione iperbolica, nei cui
confronti l'avverbio quasi
ha valore attenuativo.
(trad. di A. Roncoroni)
Sulla base di quanto l'Africano e Lucio Emilio Paolo
sono venuti dicendo sin qui,
egli ha fuso in maniera
eclettica concetti tradizionali, dalla fede nella sopravvivenza dell'anima ai motivi
orfico-pitagorici, mediati dalla fonte platonica e ormai di
dominio comune nel misticismo greco-latino. Ma nel riservare la beatitudine agli
uomini giusti e pii, benemeriti della famiglia e della patria, egli ha impresso il sigillo autentico della sua personalità di filosofo e di statista,
di interprete genuino della
mentalità romana.
pi3l L'espressione non va
intesa nel senso che dalla
Via Lattea si vedono soltanto le stelle che non è possibile vedere dalla Terra, ma
che si vedono proprio tutte:
Scipione sta contemplando
l'universo nel suo complesso e ciò spiega il suo senso
di ammirato stupore.
f14l Latitudine dell'Emiliano
ad associare al fatti profonde riflessioni esistenziali gli
è attribuita anche da Polibio
nel famoso passo delle
Storie (XXXIX 6) In cui lo
rappresenta intento a piangere sulle rovine di Cartagine e a riflettere, di fronte alla città da lui stesso distrutta, sulla precarietà delle sorti umane e sulla fragilità degli imperi.
265
Quando un politico parla
dell'Aldilà
Pragmatismo e misticismo in Cicerone. Nel Somnium vediamo un Cicerone intento a crea
problemi più che arisolverli.Come mai uno scrittore che nelle opere di argomento religioso - s
prattutto nel De divinatione, scritto meno di una decina di anni più tardi - avrebbe fatto profe
sione di scetticismo sembra qui sinceramente convinto della sopravvivenza dell'anima? E a
cora, come si concilia l'impegno tutto terreno del negotium, a cui Cicerone aveva votato la \
ta, con l'invito alla contemplazione, al mantenersi estranei alla sfera degli interessi corpore
che a più riprese risuona nell'opera? Nel paragrafo 12 l'esortazione espressa in forma ieratic
dall'Africano (haec caelestia semper spedato, illa fiumana contemnito, «contempla sempr
queste cose celesti, non darti pensiero di quelle umane») è un inequivocabile invito alla vita con
templativa,ribaditonelle parole del paragrafo 17: «non prestare attenzione ai discorsi del volgo i
non riporre le tue speranze nei premi umani». E questi non sono che corollari del problema di fon
do suscitato dal Somnium, un finale all'insegna della spiritualità e del misticismo apposto a un'o
pera di stampo schiettamente pragmatico come il De re publica.
Uno scettico non può credere nell'immortalità dell'anima e noi lettori non possiamo pretendere dj
conciliare ciò che è inconciliabile. Possiamo però cercare di capire perché Cicerone sia giunto si
queste posizioni.
Lo scetticismo di Cicerone. In primo luogo bisogna precisare che veramente Cicerone fa professione di scetticismo: nel De natura deorum il neoaccademico Cotta adduce argomenti contro
l'esistenza degli dèi e della provvidenza; nel De divinatione sono messe inridicolole assurde pratiche divinatorie. Ma è anche vero che lo scetticismo di per sé non ammetteva convinzioni assolute: e così nel De natura deorum Cicerone appare interessato alla visione con cui lo stoico Balbo
descrive le manifestazioni della provvidenza nella natura, e nel De divinatione non nasconde le gravi ripercussioni che l'incredulità potrebbe avere sulla religione romana, che era la più valida garanzia della compagine statale.
Del resto, lo scetticismo escludeva per definizione uno spirito di sistema, e Cicerone si affrettava
ad accantonare il suo 'illuminismo' quando la patria chiamava a raccolta per rifondare i valori
tradizionali, come nel De officiis. Che cosa è successo, dunque, nel Somnium?
li canto del cigno della repubblica morente. Occorre non perdere di vista il contesto politico
degli anni 54-51 a.C., in cui Cicerone attendeva alla composizione del De re publica. Ben poche
illusioni dovevano rimanergli circa il futuro della repubblica, anche se sperava ancora che la causa
di Pompeo e del senato potesse avere la meglio su quella di Cesare. Proponeva dunque un modello
di repubblica adattato all'emergenza sull'esempio dell'età scipionica: come nel 129 a.C. il senato aveva creduto che la dittatura di Scipione Emiliano potesse normalizzare la situazione turbata
dalla legge agraria di Tiberio Gracco (vd. Storia Costume Società, pp. 256-257), così Cicerone poteva ancora illudersi che il suo princeps o, meglio, un gruppo scelto di moderatores dello stato,
fossero in grado di ripristinare la concordia. Perché questi principes si sentissero missionari al
servizio del senato e non esponenti di una guerra senza quartiere per l'appropriazione dello stato,
andavano educati a comprendere la vanità del potere e della gloria umana, a non identificare il bene supremo con il potere personale, ma ad aspirare alla ricompensa eterna proposta dal
Somnium.
Ancora una volta Cicerone non si presentava come un teologo, ma come un politico. Anche se aveva sbagliato i suoi calcoli per difetto di realismo a causa dell'ingenuità tipica dell'intellettuale, che
crede che a muovere la storia sia la forza delle idee, non quella degli interessi e delle armi. Di lì a
qualche anno scriveva all'amico Attico (Ep. ad Atticum VIII 11,1-2): «Tiricordiquel moderatore
dello stato a cui vorremmo che tutto facesse capo? [...] Ebbene questo il nostro Pompeo né in passato né in quell'occasione se lo è mai proposto. Egli, come l'altro [cioè Cesare], ha cercato il potere,
non il vantaggio e il bene dello stato [...]: tutti e due vogliono regnare».
16 Cicerone