un`intervista - Guia Soncini
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un`intervista - Guia Soncini
congedi eleganti mi licenziano e non so cosa mettere Perché vestirsi a casaccio quando la vita va a rotoli? In fondo il giorno in cui si perde il lavoro è indimenticabile. Più delle nozze. Parola di Nora Ephron. Che a Io donna dice: se vi vestite di nero, non sbagliate mai di Guia Soncini foto Michel Arnaud e Mark Peterson La scrittrice Nora Ephron. Con la sorella Delia ha messo in scena uno spettacolo in un teatro di New York, tratto da un testo di Ilene Beckerman intitolato Amore, perdita e cosa indossavo. iO 7 marzo 2009 155 congedi eleganti A destra e in basso: shopping e party nell’Upper East Side di Manhattan. i nfinite sono le vie dell’approccio frivolo alla disgrazia; ora pare che una non secondaria preoccupazione dei neodisoccupati causa recessione e crisi della finanza sia: «Cosa mi metto per farmi licenziare?». Effettivamente è un giorno, quello in cui si perdono lavoro e privilegi e status sociale, forse più significativo e memorabile di quello del matrimonio, e affrontarlo vestiti a casaccio sarebbe imperdonabile. Solo un anno fa, durante lo sciopero degli sceneggiatori, la scrittrice Plum Sykes scriveva sul New York Magazine che decidere cosa indossare per andare al picchetto degli scioperanti era fondamentale. Sembrava un paradosso, ma poi sono arrivati nuovi e strabilianti orizzonti del «non ho niente da mettermi». Il New York Times, ad esempio, ha individuato una tendenza, che parte da Maria Antonietta vestita completamente di bianco per la ghigliottina (se è l’ultimo abito che metti, che sia spettacolare: un’esecuzione non è mica un Sanremo qualunque) e arriva a una giornalista che, liquidata dopo trent’anni dal Village Voice, rimpiange innanzitutto di non essersi presentata sartorialmente pronta al momento del congedo: avrebbe tanto voluto essere licenziata in Comme des Garçons. Come vestirsi per la propria uscita di scena è importante, diamine. Negli stessi giorni, con ammirevole tempismo, al teatro DR2 di New York va in scena Love, loss and what I “Gli uomini governano wore (Amore, perdita, il mondo perché e cosa indossavo). Sododici monologhi, hanno più tempo libero. no letti a rotazione per sei Tempo che non trascorrono lunedì da attrici piutdavanti all’armadio tosto famose quali America Ferrera e Roa decidere come vestirsi” sie O’Donnell, sull’universale tema del «com’ero vestita il giorno in cui la mia vita è andata a rotoli». Il titolo viene da un libro di Ilene Beckerman, leggendo il quale a Nora Ephron (la donna che ci ha dato cose come Affari di cuore, C’è posta per te e - soprattutto - Harry ti presento Sally) e a sua sorella Delia è scattata la valvola che ogni scrittrice spera di attivare nelle sue lettrici: ma questo è successo anche a me (o alle mie amiche, a mia sorella eccetera). In particolare Nora Ephron dice che, nonostante gli episodi fossero molto diversi, si è ritrovata a pensare al proprio rapporto coi vestiti, ad esempio «con le cose che mia madre non mi comprava: credo che si conservi una memoria molto più vivida delle cose che, da piccole, si desideravano, che di quelle che realmente si è riuscite a ottenere». È una rappresentazione di beneficenza (per Dress for success, organizzazione che si occupa di fornire un abbigliamento a donne d’affari che siano ancora troppo povere per poterselo permettere: oltre ai 50 dollari del biglietto, le spettatrici sono invitate a portare in dono una borsa), presto diventerà un libro, e le sorelle Ephron si augurano le letture vengano fatte un po’ ovunque da attrici che capiscono l’universalità del tema: «Come fosse una specie di Monologhi della vagina. Ma senza vagina». Qual è la memoria emotiva più legata all’abbigliamento che ha? «Una serie di ricordi strappacuore, naturalmente. Il principale dei quali si colloca intorno ai dodici anni, poteva essere la prima o seconda media. Sono tornata a scuola a settembre e mi sono resa conto che nel corso dell’estate tutte erano cresciute. Tutte, tranne me». Intende in altezza? «No, intendo in circonferenza del seno, e soprattutto nei vestiti. Portavano le ballerine, che allora non si chiamavano così ma andavano moltissimo, ed erano vestite in quello che potrei definire uno spezzato, casacca e gonna, e io invece avevo ancora quegli stupidi abitini da bambina. È il mio ricordo più netto di mortificazione, e di come i vestiti ti defi- congedi eleganti niscano rispetto alle altre donne». Questa è una cosa che gli uomini proprio non capiscono: come il nostro desiderio di essere adeguatamente abbigliate non abbia a che fare col sedurre loro, ma con l’ottenere l’approvazione delle altre donne. C’è una frase nella pièce... «Una domanda: agli uomini capita mai niente di simile? Scegliere quella maglia, cambiare idea su quella maglia...». E la risposta è: certo che no. «Ecco perché governano il mondo. Perché hanno più tempo libero. Tempo che non trascorrono davanti all’armadio a decidere cosa mettersi». Riguardo all’articolo che le citavo prima sul cosa mettersi... «Mi dia retta: nessuna era vestita bene allo sciopero degli sceneggiatori, faceva talmente freddo, era impossibile essere altro che infagottate». No, intendevo quello del New York Times sull’annosa questione del «cosa mi metto il giorno in cui mi licenziano». «Non ho capito una cosa: il licenziamento non dovrebbe arrivare a sorpresa?». Be’, sa com’è con la crisi: si organizzano per farsi trovare preparati, almeno da un punto di vista guardarobiero. «Effettivamente è uno sforzo apprezzabile. Uno dei monologhi dello spettacolo è ispirato al libro di Geralyn Lucas Perché ho messo il rossetto il giorno della mia mastectomia (pubblicato in Italia da Tea, ndr). L’autrice racconta, appunto, come anche nelle circostanze più 158 7 marzo 2009 iO “Una cosa su tre di quelle che compriamo è un errore. Tanto da farti dire: e questo chi l’ha comprato? Io? E chi credevo di essere, in quel momento?” gravi sia importante avere il migliore aspetto possibile, quindi anche per il licenziamento mi pare una buona idea non farsi sorprendere in disordine». Ma scusi: se leghiamo il ricordo di un vestito che ci piace a una circostanza spiacevole, poi non ci guastiamo il piacere di indossarlo in futuro? «Uh, come si vede che lei è giovane. Alla mia età non si ricorda più niente, figuriamoci se si ha idea di quando si è messa la tal cosa. Io poi mi vesto sempre e solo di nero, quindi è difficile distinguere. Ho di sicuro troppi pantaloni neri, e maglioni neri, ma almeno sono tutti mettibili. Il fatto è che con gli anni si arriva a capire che tipo di persona si è: io sono una che non ama complicarsi la vita. Ed è più difficile fare errori se vai sul sicuro, cioè sul nero. È un approccio molto newyorkese: ieri ero in metropolitana e mi rendevo conto che le persone che vanno in giro per New York sono vestite con tutt’una gamma di neri, tutte, non vedi neanche un colore». Ma eliminare i colori non toglie al vestirsi molto del divertimento? «Guardi, una delle cose più deprimenti che mi siano mai state dette è una frase di mia sorella Delia: una cosa su tre di quelle che compriamo è un errore. Uno di quegli errori che davanti all’armadio ti fanno dire: “E questo chi l’ha comprato? Io? E chi credevo di essere, in quel momento?”. Ormai so chi sono: una che, se compra una cosa in cui ci siano due colori, non la metterà mai. A meno che quei due colori siano il bianco e il nero». Non c’è un che di vedovile, nel total black? «L’ho anche scritto: la tintura per capelli ha meriti storici che non le vengono mai riconosciuti. Se hai i capelli grigi e vesti di nero, sembrerai una vedova. Ma se hai i capelli di un qualunque colore, col nero avrai un aspetto fantastico». Scusi, ma questo impedisce di vivere appropriatamente i dolori. Voglio dire, come fa a distinguere un giorno normale da uno di lutto? «Non mi è ancora capitato, ma così a occhio mi sembra un vantaggio: quando avrò un grave lutto, almeno non avrò anche il problema di rifarmi il guardaroba». l Michel Arnaud/ Corbis Outline (1) - Mark Peterson/Redux/Contrasto (4) Bar di lusso ai piani alti di New York e, sotto, una “shopper” con cagnolino.