un`intervista - Guia Soncini

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un`intervista - Guia Soncini
congedi eleganti
mi licenziano
e non so
cosa mettere
Perché vestirsi a casaccio quando
la vita va a rotoli? In fondo
il giorno in cui si perde il lavoro
è indimenticabile. Più delle nozze.
Parola di Nora Ephron. Che
a Io donna dice: se vi vestite
di nero, non sbagliate mai
di Guia Soncini foto Michel Arnaud e Mark Peterson
La scrittrice Nora
Ephron. Con
la sorella Delia ha
messo in scena uno
spettacolo in un
teatro di New York,
tratto da un testo
di Ilene Beckerman
intitolato
Amore, perdita e
cosa indossavo.
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congedi eleganti
A destra e in basso:
shopping e party
nell’Upper East Side
di Manhattan.
i
nfinite sono le vie dell’approccio frivolo alla disgrazia; ora
pare che una non secondaria
preoccupazione dei neodisoccupati causa recessione e crisi
della finanza sia: «Cosa mi metto per farmi licenziare?». Effettivamente è un giorno, quello in cui si perdono
lavoro e privilegi e status sociale, forse
più significativo e memorabile di quello
del matrimonio, e affrontarlo vestiti a
casaccio sarebbe imperdonabile. Solo
un anno fa, durante lo sciopero degli
sceneggiatori, la scrittrice Plum Sykes
scriveva sul New York Magazine che
decidere cosa indossare per andare al
picchetto degli scioperanti era fondamentale. Sembrava un paradosso, ma
poi sono arrivati nuovi e strabilianti
orizzonti del «non ho niente da mettermi». Il New York Times, ad esempio, ha
individuato una tendenza, che parte da
Maria Antonietta vestita completamente di bianco per la ghigliottina (se è
l’ultimo abito che metti, che sia spettacolare: un’esecuzione non è mica un
Sanremo qualunque) e arriva a una
giornalista che, liquidata dopo trent’anni dal Village Voice, rimpiange innanzitutto di non essersi presentata sartorialmente pronta al momento del congedo:
avrebbe tanto voluto essere licenziata
in Comme des Garçons. Come vestirsi
per la propria uscita di scena è importante, diamine. Negli stessi giorni, con
ammirevole tempismo, al teatro DR2 di
New York va in scena
Love, loss and what I
“Gli uomini governano wore (Amore, perdita,
il mondo perché e cosa indossavo). Sododici monologhi,
hanno più tempo libero. no
letti a rotazione per sei
Tempo che non trascorrono lunedì da attrici piutdavanti all’armadio tosto famose quali
America Ferrera e Roa decidere come vestirsi” sie O’Donnell, sull’universale tema del
«com’ero vestita il giorno in cui
la mia vita è andata a rotoli». Il
titolo viene da un libro di Ilene
Beckerman, leggendo il quale a
Nora Ephron (la donna che ci
ha dato cose come Affari di cuore, C’è posta per te e - soprattutto - Harry ti presento Sally) e a
sua sorella Delia è scattata la
valvola che ogni scrittrice spera
di attivare nelle sue lettrici: ma
questo è successo anche a me (o
alle mie amiche, a mia sorella
eccetera). In particolare Nora
Ephron dice che, nonostante
gli episodi fossero molto diversi, si è ritrovata a pensare al
proprio rapporto coi vestiti, ad
esempio «con le cose che mia madre
non mi comprava: credo che si conservi una memoria molto più vivida delle
cose che, da piccole, si desideravano,
che di quelle che realmente si è riuscite
a ottenere». È una rappresentazione di
beneficenza (per Dress for success, organizzazione che si occupa di fornire un
abbigliamento a donne d’affari che siano ancora troppo povere per poterselo
permettere: oltre ai 50 dollari del biglietto, le spettatrici sono invitate a portare in dono una borsa), presto diventerà un libro, e le sorelle Ephron si augurano le letture vengano fatte un po’
ovunque da attrici che capiscono l’universalità del tema: «Come fosse una
specie di Monologhi della vagina. Ma
senza vagina».
Qual è la memoria emotiva più legata
all’abbigliamento che ha?
«Una serie di ricordi strappacuore, naturalmente. Il principale dei quali si
colloca intorno ai dodici anni, poteva
essere la prima o seconda media. Sono
tornata a scuola a settembre e mi sono
resa conto che nel corso dell’estate tutte erano cresciute. Tutte, tranne me».
Intende in altezza?
«No, intendo in circonferenza del seno,
e soprattutto nei vestiti. Portavano le
ballerine, che allora non si chiamavano
così ma andavano moltissimo, ed erano
vestite in quello che potrei definire uno
spezzato, casacca e gonna, e io invece
avevo ancora quegli stupidi abitini da
bambina. È il mio ricordo più netto di
mortificazione, e di come i vestiti ti defi-
congedi eleganti
niscano rispetto alle altre donne».
Questa è una cosa che gli uomini proprio non capiscono: come il nostro desiderio di essere adeguatamente abbigliate non abbia a che fare col sedurre loro,
ma con l’ottenere l’approvazione delle
altre donne. C’è una frase nella pièce...
«Una domanda: agli uomini capita mai
niente di simile? Scegliere quella maglia, cambiare idea su quella maglia...».
E la risposta è: certo che no.
«Ecco perché governano il mondo.
Perché hanno più tempo libero. Tempo
che non trascorrono davanti all’armadio a decidere cosa mettersi».
Riguardo all’articolo che le citavo prima sul cosa mettersi...
«Mi dia retta: nessuna era vestita bene
allo sciopero degli sceneggiatori, faceva
talmente freddo, era impossibile essere
altro che infagottate».
No, intendevo quello del New York Times sull’annosa questione del «cosa mi
metto il giorno in cui mi licenziano».
«Non ho capito una cosa: il licenziamento non dovrebbe arrivare a sorpresa?».
Be’, sa com’è con la crisi: si organizzano per farsi trovare preparati, almeno
da un punto di vista guardarobiero.
«Effettivamente è uno sforzo apprezzabile. Uno dei monologhi dello spettacolo è ispirato al libro di Geralyn Lucas
Perché ho messo il rossetto il giorno della mia mastectomia (pubblicato in Italia
da Tea, ndr). L’autrice racconta, appunto, come anche nelle circostanze più
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“Una cosa su tre
di quelle che
compriamo è un
errore. Tanto da farti
dire: e questo chi
l’ha comprato? Io?
E chi credevo
di essere, in quel
momento?”
gravi sia importante avere il migliore
aspetto possibile, quindi anche per il
licenziamento mi pare una buona idea
non farsi sorprendere in disordine».
Ma scusi: se leghiamo il ricordo di un
vestito che ci piace a una circostanza
spiacevole, poi non ci guastiamo il piacere di indossarlo in futuro?
«Uh, come si vede che lei è giovane.
Alla mia età non si ricorda più niente,
figuriamoci se si ha idea di quando si è
messa la tal cosa. Io poi mi vesto sempre
e solo di nero, quindi è difficile distinguere. Ho di sicuro troppi pantaloni
neri, e maglioni neri, ma almeno sono
tutti mettibili. Il fatto è che con gli anni
si arriva a capire che tipo di persona si
è: io sono una che non ama complicarsi
la vita. Ed è più difficile fare errori se vai
sul sicuro, cioè sul nero. È un approccio
molto newyorkese: ieri ero in metropolitana e mi rendevo conto che le persone
che vanno in giro per New York sono
vestite con tutt’una gamma di neri, tutte,
non vedi neanche un colore».
Ma eliminare i colori non toglie al vestirsi molto del divertimento?
«Guardi, una delle cose più deprimenti che mi siano mai state dette è una
frase di mia sorella Delia: una cosa su
tre di quelle che compriamo è un errore. Uno di quegli errori che davanti all’armadio ti fanno dire: “E questo chi
l’ha comprato? Io? E chi credevo di
essere, in quel momento?”. Ormai so
chi sono: una che, se compra una cosa
in cui ci siano due colori, non la metterà mai. A meno che quei due colori
siano il bianco e il nero».
Non c’è un che di vedovile, nel total
black?
«L’ho anche scritto: la tintura per capelli ha meriti storici che non le vengono
mai riconosciuti. Se hai i capelli grigi e
vesti di nero, sembrerai una vedova. Ma
se hai i capelli di un qualunque colore,
col nero avrai un aspetto fantastico».
Scusi, ma questo impedisce di vivere
appropriatamente i dolori. Voglio dire,
come fa a distinguere un giorno normale da uno di lutto?
«Non mi è ancora capitato, ma così a
occhio mi sembra un vantaggio: quando avrò un grave lutto, almeno non
avrò anche il problema di rifarmi il
guardaroba». l
Michel Arnaud/ Corbis Outline (1) - Mark Peterson/Redux/Contrasto (4)
Bar di lusso ai piani alti
di New York e, sotto, una
“shopper” con cagnolino.