I modi di costruire degli antichi romani - Municipio Roma X

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I modi di costruire degli antichi romani - Municipio Roma X
Municipio Roma X – Parco Regionale dell’Appia Antica
I MODI DI COSTRUIRE DEGLI ANTICHI ROMANI
La visione diretta delle innumerevoli testimonianze archeologiche che popolano i nostri
territori, unita alla lettura delle fonti antiche, prima tra tutte il De architectura di Vitruvio
(architetto contemporaneo di Augusto), ha consentito agli studiosi di acquisire e
consolidare progressivamente, un buon sistema di conoscenze degli sviluppi storici delle
tecniche di costruzione nel mondo romano.
In generale rispetto al modo di costruire dei Romani si può osservare che un punto
fondamentale di snodo è rappresentato dalla introduzione dell’ opus caementicium
ovvero del calcestruzzo.
Fino a quel momento, ci troviamo intorno al IV/ III sec. a.C., tutti i sistemi costruttivi,
dall’imponente opera quadrata, utilizzata soprattutto per cinte murarie e terrazzamenti,
al cosiddetto opus
craticium (costituito da
legno, argilla e pietrame di
varia natura), che veniva
impiegato nella
realizzazione delle pareti di
abitazioni private e di
edifici pubblici, erano
sprovvisti di materiale legante, cioè di calce e per questo definite negli studi: opere “a
secco”.
A partire da quella data (IV sec. a.C.) a Roma cominciò a diffondersi l’uso di mescolare i
caementa (pietre di piccole dimensioni, frammenti di selce e di tufo, definiti scapoli) con
la malta (una composizione di calce, acqua e
parti di sabbia). Verosimilmente questo nuovo
materiale
da
costruzione
fu
adoperato,
all’inizio, solo nei cavi di fondazione; tuttavia,
Elementi del tetto romano (da Giuliani 1997) .
ben presto, gli architetti romani dovettero rendersi conto che questa stessa tecnica si
poteva sfruttare anche per gli alzati dei muri, dal momento che il cementizio non
necessita di parti strutturali portanti (come elementi in pietra o lignei) per sostenere il
peso dei piani superiori e del tetto, coperto nelle costruzioni maggiori, già dalla fine del
VII sec. a.C. da coppi (imbrices) e tegole (tegulae).
Il risparmio di lavoro e nei tempi di
esecuzione, che questa innovativa tecnica comportava, insieme alla sua versatilità, ne
promossero la velocissima diffusione anche nella realizzazione di strutture in elevato.
Queste ultime, però, proprio per la loro posizione fuori da terra, richiedevano delle
attenzioni maggiori nella definizione delle facce, che dovevano essere costruite in
maniera tale che gli scapoli all’esterno, collocati a mano, fossero più regolari e lisci,
creando così le cosiddette cortine: tra i due paramenti esterni (facce a vista dei muri)
lisciati veniva
effettuata la gettata
di calcestruzzo.
Con un occhio alla
composizione delle
diverse cortine e
insieme attingendo
alla tradizione
letteraria (già
nell’opera di
Vitruvio, infatti,
troviamo espliciti
riferimenti, ad
esempio, all’ opus
Structores (muratori) romani al lavoro (da Adam 1998).
incertum, all’ opus reticulatum oppure all’ opus testaceum) negli studi sulle murature
romane viene effettuata una divisione in “tipi”, che come si vedrà seguono a grandi linee
una loro sequenza cronologica.
Queste tecniche costruttive, che nel corso degli anni si andarono via via affinando e in
alcuni casi finirono col fondersi in tecniche più complesse (quali le opere miste), non
soppiantarono del tutto le altre, utilizzate prima del IV sec. a.C.
A Pompei ed Ercolano, ad esempio, è attestato, su larga scala, l’uso dell’ opus craticium
ancora nel I sec. d.C., sia nei tramezzi interni che nelle pareti dei piani superiori delle
abitazioni.
Prospetto di una parete a graticcio (da Adam 1998).
Si deve notare, infine, che l’uso di una tecnica edilizia anziché di un’altra non sempre è
dato dal periodo della sua messa in opera, ma, talvolta, dipende dalla disponibilità di
reperimento dei materiali che servono alla sua realizzazione.
In questa nota di approfondimento si prendono in esame, in maniera sintetica, le
principali tecniche costruttive che caratterizzano i monumenti romani incontrati nei
cinque itinerari (A-E), seguendo un ordine storico e cronologico.
Opus quadratum
Tecnica costruttiva costituita da blocchi
regolari di grandi dimensioni e di forma
parallelepipeda disposti a secco su file
orizzontali, in uso già dalla fine del VII sec.
a.C.
Mura cosiddette Serviane in Viale Aventino.
A Roma, in particolare dal IV sec. a.C., viene
realizzata alternando filari o blocchi disposti
per testa e per taglio (A 1-2, B).
Si possono trovare anche schemi a blocchi
disposti per taglio a giunti alternati (C),
oppure tessiture a filari con giunti irregolari
(D).
Tipi di muro in opera quadrata (da Adam 1998).
Opus caementicium
Nucleo dell’ acquedotto Marcio a Roma Vecchia.
Sistema costruttivo, in uso dal IV/ III sec.
a.C., composto di pietrame di piccole
dimensioni, schegge di tufo, selce e
travertino (caementa) e malta, un impasto
di grassello (calce spenta ed acqua) e di
sabbia.
Dopo che la malta è stata mischiata con i
caementa, viene messa subito in opera:
essa “tira” (cioè passa dallo stato
semifluido a quello solido) in tempi
abbastanza rapidi, legati comunque alla consistenza della gettata, alle condizioni del
tempo e alle componenti del legante. Nella grande maggioranza dei casi l’opera
cementizia costituisce il nucleo delle altre tecniche edilizie (si veda oltre), tuttavia, a volte,
essa può comparire senza cortina.
Opus incertum
Si tratta del più antico tipo di cortina (parte
esterna di un muro, paramento) con il
nucleo in calcestruzzo, realizzato con
pietre (per lo più tufelli) di forma
piramidale irregolare, unite da malta e
poste a mano con la base rivolta
all’esterno.
I primi esempi di murature in opus
Porticus Aemilia in via Florio a Testaccio.
incertum a Roma, databili con una certa
precisione, sono quelli del Tempio della
Magna Mater sul Palatino e della Porticus Aemilia nel quartiere di Testaccio, databili al
principio del II sec. a.C.
Opus quasi reticulatum
Nelle cortine delle strutture murarie con nucleo in opera cementizia è stata notata una
graduale regolarizzazione: l’opera quasi reticolata si colloca, così, nel mezzo tra l’opera
incerta e l’opera reticolata.
Essa presenta, dunque, un paramento con cubilia (blocchetti di forma troncopiramidale di
tufo o di pietra) con base ancora non propriamente regolare, disposti in filari non
esattamente allineati.
Gli esemplari più antichi di questa tecnica edilizia si ritrovano in monumenti della fine del
II sec. a.C.: gli Horrea Galbana (magazzini di Sergio Sulpicio Galba), la Fonte di Giuturna al
Foro Romano e il Tempio della Magna Mater (seconda fase costruttiva).
Opus reticulatum
Il paramento dei muri è costituito in
questo caso da cubilia a base
perfettamente quadrata, disposti in
obliquo (a 45°) a comporre una
trama a forma di rete. In genere i
muri in opera reticolata presentano
le testate, le mazzette delle porte e
Cisterna di via Marco Polo (particolare).
gli angoli delle pareti, rifiniti da ammorsature in blocchetti parallelepipedi dello stesso
materiale.
A Roma i primissimi esempi databili con sufficiente sicurezza sono: il restauro delle
cosiddette Mura Serviane, dell’ 87 a.C. e il Teatro di Pompeo, inaugurato agli inizi
dell’autunno del 55 a.C.
Opus latericium (o testaceum)
La definizione più largamente usata per questa importante tecnica edilizia è quella di
“opera laterizia”, tuttavia il termine più appropriato per indicare strutture realizzate con
mattoni cotti in fornace è
quello di opus testaceum, in
quanto il nome lateres in
latino vuol dire
esclusivamente mattoni
crudi o cotti al sole. I muri
presentano il nucleo in
calcestruzzo e la cortina di
mattoni ordinati in file
orizzontali. I primi
paramenti in laterizio sono
costruiti, già sul finire
dell’età repubblicana, con
Terme di Caracalla.
tegole prive dei dentelli e
spezzate alla giusta misura.
In breve tempo, però, considerate la rapidità
della messa in opera e l’eccellente resa, le
figlinae (fornaci) che fabbricavano tegole
cominciano a produrre anche mattoni quadrati
di misure standard.
A partire dal I sec. a.C. inizia a diffondersi l’uso di
bollare i mattoni e le tegole con il marchio della
fabbrica produttrice, che, come ben si può intuire,
costituisce oggi un dato prezioso per la datazione
di murature realizzate in opera laterizia.
Via Gaio Menio 45, bollo del 123 d.C.
Il primo complesso architettonico costruito interamente in mattoni sono i Castra Praetoria,
grande accampamento dei pretoriani fatto erigere dall’imperatore Tiberio tra il 21 e il 23
d.C.
Opus mixtum
Sempre alla fine della
Repubblica ha origine l’uso di
rafforzare l’opera reticolata
con filari orizzontali di
mattoni o di tegole spezzate.
Nel corso dell’età imperiale
questo sistema viene
perfezionato con
l’introduzione di
ammorsature laterali: il
reticolato è così inserito in
Villa delle Vignacce.
specchiature, inquadrate da
cornici in laterizio. Questa
particolare tecnica costruttiva è diffusa soprattutto nel periodo compreso tra l’età flavia e
l’età di Adriano.
Opus vittatum (opera listata)
Al principio del IV sec. d.C. si
afferma un nuovo tipo di muratura
con nucleo in calcestruzzo e cortina
realizzata con fasce orizzontali di
blocchetti parallelepipedi di tufo
alternate a fasce orizzontali di
mattoni. Questa tecnica, i cui primi
esempi risalgono alla seconda metà
del II sec. d.C., è caratteristica
dell’età di Massenzio e di
Costantino.
Le Mura Aureliane ad est di Porta S. Sebastiano.
Per saperne di più
R. Marta, Tecnica Costruttiva Romana, Roma 1991.
C.F. Giuliani, L’edilizia nell’antichità, Roma 1997.
J.P. Adam, L’arte di costruire presso i romani, Milano 1998.
S. Le Pera, Come costruivano gli antichi romani brevi note di tecnica edilizia, Roma 1999.

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