CIABATTE: se le conosci le eviti

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CIABATTE: se le conosci le eviti
ESTRATTO DA «L’INGEGNERE UMBRO» N° 47 - Dicembre 2003 - PAGG. 7-11
U
n articolo del Corriere della Sera ci
offre lo spunto per approfondire l’argomento di prese, spine, adattatori e
multiple. Il collega prof. Giorgio Corbellini,
che ha pubblicato un autorevole intervento
in materia sulla nostra Rivista, si è occupato
di un brutto caso di incendio di origine elettrica che ha provocato tre vittime, due bimbi
e la loro bambinaia. Sembra accertato che
l’incendio sia stato provocato da una comune «ciabatta», nella quale era stata inserita
una spina UNEL (il tipo tedesco), mentre la
presa era costruita per accettare il passo
italiano. Tutti sanno che, forzando un po’, si
riesce comunque ad infilare la spina tedesca,
che ha un diametro più grande di 0,75 mm di
quella italiana. Questo forzamento, però, ha
provocato l’allargamento della sede femmina nella «ciabatta», con la conseguenza di un
cattivo contatto, che si è tradotto in un aumento di resistenza localizzato; quest’ultimo, per effetto Joule, ha portato al surriscaldamento del componente. Da qui all’incendio il passo è stato breve.
Spesso, però, come mostrano le foto che
pubblichiamo, le «ciabatte» si surriscaldano
anche se la spina è di tipo giusto; di inconvenienti analoghi soffrono anche gli adattatori.
Il problema della sicurezza nei confronti
dell’incendio è quindi più articolato.
Innanzitutto vi è l’aspetto della compatibilità di spine e prese appartenenti a sistemi
diversi: non solo il tedesco con l’italiano, ma
anche quello civile con il tipo industriale
(IEC 309, comunemente designato come
prese CEE). Questa mancanza di compatibilità, nota a tutti a causa delle seccature che
comporta, costringe ad impiegare gli adattatori. Sui problemi che possono nascere da
questi dispositivi si è già soffermato il Prof.
Corbellini, oltre al sottoscritto. Ricordiamo,
sinteticamente, che l’utilizzatore comune può
cadere nell’errore dell’uso improprio e sovraccaricare l’adattatore senza sapere che
sta sbagliando: questi dispositivi non sono
«a prova di profano», né è ragionevole pretendere che la pensionata di 75 anni o la
casalinga di Voghera leggano e interpretino
correttamente l’avvertenza del tipo «max
1500 W», peraltro spesso poco visibile.
L’esperienza insegna, inoltre, che alcuni adattatori, correttamente impiegati, sono stati comunque causa di incendio o di principio
di incendio; e ciò anche se recavano un
Marchio di Qualità. In questo caso, evidentemente, si tratta di difetti costruttivi, da
attribuire alla serie o all’esemplare, a secondo delle situazioni.
Il secondo aspetto da approfondire riguarda la «penuria di prese» negli impianti
civili e del terziario. È un problema che
abbiamo tutti: stereo, TV, satellitare, lettore
DVD e altri ammennicoli si sono accumulati
in quell’angolo del soggiorno dove, quando
va bene, una presa c’è, ma è più sola di una
particella di sodio... Per non parlare dei dispositivi informatici: CPU, scanner, stampante, monitor, disco esterno, masterizzatore
e altri balocchi invadono lo spazio di giuoco
e lavoro, reclamando ciascuno la propria
presa e, neanche a dirlo, di tipi differenti. La
soluzione più rapida ed indolore sono le
«ciabatte»: nessuna installazione, nessuna
traccia. Questi dispositivi, la cui denominazione corretta è «prese mobili multiple»,
CIABATTE:
se le conosci le eviti
nelle versioni oggi più diffuse sono fatti in
modo da accettare la spina UNEL e quella
italiana, sia da 10 sia da 16 A: almeno in
questo caso non serve l’adattatore. Se così
fosse stato nella vicenda di cui si è occupato
il prof. Corbellini, probabilmente la tragedia
non sarebbe accaduta.
Rimane comunque il fatto che le «ciabatte» sono costruite di solito con una tecnologia poco affidabile. All’interno vi sono delle
barrette di ottone («rebbi») sagomate in modo
da accettare la spina. L’esperienza mostra
che il punto di contatto può allentarsi, anche
se la spina è del tipo giusto, creando una
maggior resistenza, che provoca un surriscaldamento. Eppure queste prese mobili
multiple sono di solito costruite nel rispetto
normativo e molte di esse vengono sottoposte alle prove previste dalla norma stessa e
quindi conseguono anche un Marchio di
Qualità. A questo proposito stralciamo dal
Corriere l’opinione del Prof. Corbellini: il
costruttore doveva provvedere a una costruzione che escludesse questo pericolo, il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) doveva
prescrivere una serie di prove che garantissero da questo pericolo, e l’IMQ doveva
rilevare il pericolo e non concedere il Marchio di Qualità. E ancora: se l’IMQ nel dare
la sua garanzia avesse effettivamente rispettato alla lettera i criteri indicati dal CEI, ciò
significherebbe solamente che la norma CEI
è errata. Sarebbe pertanto necessario modificare questa norma. Sono osservazioni che
portano a riflettere sulla «regola dell’arte»,
la quale, solitamente, si intende applicata
quando sono rispettati i dettami normativi
del caso; situazioni come questa mostrano
che la «regola dell’arte» è un concetto di
portata molto più ampia, riferibile al principio generale del neminem lædere.
In attesa che si prendano provvedimenti,
come ad esempio un’auspicabile revisione
della norma di prodotto, è bene tenere presente la situazione oggettiva, eliminando o
riducendo al minimo l’impiego di «ciabatte»
e adattatori. A questo proposito, nelle pagine che seguono, diamo qualche suggerimento.
Testo e foto di
Sergio Sisani.
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E
C
A
A
D
A
A
F
Nelle foto qui sopra, una «ciabatta» impiegata in un laboratorio di misure alla
quale erano connessi alcuni apparecchi di
piccola potenza (circa 500 W). Il surriscaldamento della presa (A) non è stato quindi
provocato da un sovraccarico, visto che i
dati di targa (B) indicano una potenza massima ammissibile di 2500 W, né dall’impiego di una spina non adatta, poiché le prese
sono di tipo polivalente ed evitano la necessità di adattatori. Notare la tipologia costruttiva: all’interno i collegamenti sono
eseguiti con rebbi in ottone, sagomati nei
punti di contatto (C) e tenuti assieme da
piccoli elementi di collegamento a cavallotto
(D), sempre in ottone. L’interruttore luminoso sul dispositivo (E) è un semplice organo di manovra, e non dà alcuna protezione
da sovraccarico o cortocircuito, come erroneamente gli utenti profani ritengono. Bisogna comunque precisare che nessuna protezione magnetotermica può rivelare tempestivamente inconvenienti del tipo di quello
mostrato qui. Da notare inoltre che i rebbi
B
hanno i bordi taglienti: se non si fa attenzione nel chiudere l’involucro i cavi possono
venire a contatto con questi bordi, con danneggiamento dell’isolamento (F).
Nella foto in basso a sinistra: questa
multipla alimentava un radiatore elettrico
da 2000 W, per una corrente di circa 9 A. La
spina italiana è da 16 A, ma si è surriscaldata tanto da provocare la saldatura degli
elementi di contatto. La presenza di persone
in attività accanto alla «ciabatta» ha permesso di intervenire tempestivamente. Le
conseguenze possono essere tragiche se l’inconveniente si verifica in ambiente non sorvegliato.
In basso a destra, un adattatore con uno
spinotto arrostito. Sul dispositivo è indicata
la corrente nominale, 10 A, ma dal lato femmina gli alveoli accettanno anche una spina
da 16 A! Non è nota la situazione di carico
in cui si è verificato l’inconveniente, ma è
difficile pensare ad una corrente superiore
a 10 A, visto l’ambiente domestico da cui
proviene il pezzo.
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Ancora adattatori. Qui non parliamo di incendio, ma di elettrocuzione. Se avete un impianto
vetusto, con le prese in scatola tonda, senza il polo di terra, vi troverete in difficoltà perché
quasi tutti gli apparecchi di uso corrente hanno la spina tripolare. Basta adoperare uno di
questi aggeggi e il giuoco è fatto. L’apparecchio non è più collegato a terra, ma la casalinga
di Voghera non protesta, perché tutto funziona lo stesso. Una situazione infrequente? Si pensi
a tante case di campagna...
D
a anni oramai vado ripetendo che la
progettazione di un impianto non deve
essere fatta «a norma», brutta espressione di uso comune, più adatta ad indicare
quell’ottima salsa sicula con melanzane, ricotta ed altre leccornìe. Mi spiego: le norme,
salvo casi particolari, non sono un dato di
ingresso del progetto, ma un elemento di verifica finale. Si consideri un impianto per il
terziario; dotando ogni posto di lavoro di una
sola presa italiana da 10 A e adottando le
protezioni contro le sovracorrenti e l’elettrocuzione, quella presa è sicura, secondo i canoni della norma impianti. Così facendo, però, si
è trascurato ogni criterio pratico ed ergonomico,
costringendo l’utente ad adoperare multiple,
«ciabatte», adattatori, con tutta la pletora di
cavi che girano sul pavimento, sotto ed attorno
alla scrivania, dietro i mobili... Tutto ciò non è
pratico e, vista la situazione che abbiamo presentato in queste pagine, è anche potenzialmente pericoloso.
Dovendosi occupare di una nuova realizzazione è abbastanza semplice affrontare il problema, perché, banalmente, basta pensarci prima. Per evitare le multiple occorre valutare
con attenzione il numero di prese necessarie
alla specifica postazione di lavoro, prevedendo delle scorte o delle possibilità di ampliamento: l’esperienza spicciola insegna che le
prese non bastano mai. Le soluzioni distributive sono molteplici, richiamiamo le principali:
• pavimenti flottanti con gruppi prese incassati «a vaschetta», oppure torrette portaprese
Qui a lato: a sinistra,
gruppo prese per
postazione di lavoro
in un ufficio; è
possibile connettere
sette apparecchi, con
spina di qualsiasi
tipo. Per il telefono e
la LAN vi è un setto
separatore
all’interno;
a destra, una forma
costruttiva di alveoli
per prese fisse, ben
diversa dai rebbi di
quelle mobili.
La normativa
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La costruzione delle «prese mobili multiple» è trattata dalla norma CEI 23-50 (1998)
«Prese a spina per usi domestici e similari – Parte 1: prescrizioni generali». Per gli
adattatori vi è la 23-57 (1997) «Spine e prese per uso domestico e similare – Parte 2:
requisiti particolari per adattatori». Formalmente, se il dispositivo supera le prove
previste dalle relative norme costruttive, può ottenere la concessione di un Marchio di
Qualità. In passato erano in vigore la norma 23-5 per le prese UNEL e la 23-16 per quelle
italiane. Le «ciabatte» costruite secondo queste vecchie norme, se hanno conseguito un
Marchio di Qualità, lo possono conservare sino al Dicembre 2005. A tutt’oggi, quindi,
trovando in commercio una «ciabatta» con Marchio, non è dato sapere se esso si
riferisce all’ancien régime oppure no. Per poter collegare un apparecchio di tipo
domestico o similare (ad esempio un trapano) ad una presa di un impianto industriale
occorre un altro tipo di adattatore, la cui costruzione è regolata dalla 23-64 (1998)
«Adattatori di sistema per uso industriale». L’impiego di questi dispositivi lascia molti
dubbi in merito alla sicurezza, soprattutto nei cantieri edili.
(assolutamente preferibili le prime per motivi
di ingombro); queste soluzioni sono molto
flessibili e consentono modifiche, aggiustamenti e ampliamenti;
• controsoffitti con vani tecnici e colonnine di
calata per ogni postazione;
• scrivanie elettrificate con tutta la parte prese
a bordo del mobile (attenzione, esiste una norma specifica);
• una combinazione di questi accorgimenti.
È da notare che soluzioni tipiche della
distribuzione «da ufficio» sono state adottate
con soddisfazione anche in casi differenti e
particolari, come la fossa orchestra di un teatro, dove ogni musicista vuole il suo leggìo con
la luce; per evitare tutti i cavi sparsi a terra
furono impiegate le vaschette incassate a filo
pavimento, distribuite in numero sufficiente in
modo da capitare accanto ad ogni possibile
utilizzatore.
Per quanto riguarda la compatibilità delle
spine, esistono oggi dei frutti presa polivalenti, distinguibili in due tipologie principali:
quello bipasso, che accetta sia la presa italiana
da 10 A che quella da 16 A, e quello tripasso,
che, oltre alle succitate, accetta anche la tedesca; quest’ultimo ha il difetto di avere un
ingombro doppio, per cui è consigliabile combinare i due tipi.
Laddove non sia possibile intervenire sull’impianto esistente è conveniente far realizzare dall’installatore (mai ricorrere al fai da
te!) dei contenitori con prese dello stesso tipo
di quelle fisse. Di fatto si autocostruisce una
«ciabatta», con la differenza, però, che le prese
impiegate hanno un’affidabilità molto superiore del sistema di connessione con la spina:
l’esperienza mostra chiaramente che l’arrosto
di una presa fissa da incasso è un evento molto
raro, perché questi componenti sono realizzati
con tipologie costruttive differenti dai rebbi in
ottone delle «ciabatte».
In questa pagina: «ciabatta» autocostruita
(dall’elettricista!) per ben 12 apparecchi
con spina qualsiasi. Il cordone di
alimentazione è in cavo flessibile FROR
450/750 V 3G1,5, adatto al servizio
mobile, con guaina antiabrasiva, portata
17 A in aria libera a 30 °C.
Personalmente preferisco non far
installare interruttori di manovra o
protezione, per non rubare posto a una
presa; s’intende che il circuito a cui si
collega il tutto deve essere protetto al
massimo da un magnetotermico con
corrente nominale di 16 A.
Notare i particolari del fermacavo (qui a
lato), e delle prese a frutto doppio, che,
oltre a semplificare il cablaggio, danno
una miglior garanzia di sicurezza perché
si riduce il numero di connessioni.
Piccolezze? Sì, però...
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